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LA NOTAZIONE MODALE E MENSURALE DELLA MUSICA POLIFONICA

Allorché nei secoli XI-XII i repertori dell’abbazia inglese di Winchester (Tropario di


Winchester), dell’abbazia di San Marziale (Codice di San Marziale) e della cattedrale di
Compostela (Codex Calixtinus) cominciano a comprendere brani polifonici in stile melismatico –
cioè con gruppi di parecchie note nella parte organale superiore (vox organalis) contro ciascuna
delle note della melodia liturgica preesistente (vox principalis) –, rimane irrisolto il problema
dell’allineamento delle due voci (organale e principale), non esistendo ancora un sistema adeguato
per indicarne i valori ritmici (per cui non è possibile darne una precisa e univoca interpretazione in
notazione moderna).
In effetti, la polifonia esige che siano attribuiti determinati valori di durata alle singole note e che
tali valori possano essere indicati il più esattamente possibile1.
Sarà la scuola di Notre Dame a introdurre e a elaborare in sede teorica, dalla fine del XII secolo,
un proprio sistema pratico di notazione caratterizzato dall’uso di segni musicali per definire il
valore di durata delle note.
La notazione parigina si esprime dapprima in due valori di tempo, uno breve, ossia il punctum, e
uno lungo, ossia la virga.

Punctum Virga

Punctum e virga compaiono in determinati e prestabiliti rapporti, che sono i sei modi ritmici,
secondo le regole della metrica classica.
Nasce così la notazione modale.

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Si intende, naturalmente, una polifonia scritta, ossia non improvvisata, poiché, se improvvisata (come, ad esempio, nell’eterofonia del jazz
primigenio), la questio dell’attribuzione di determinati valori di durata viene a cadere.
A cavallo tra gli anni ’60 e ’70 dello scorso secolo, nell’ambito del free jazz e poi delle avanguardie, una volta affrancata, in tutto o in parte, la
musica dai vincoli degli accordi, si pose il problema inverso di liberare la polifonia anche dalla rigidità del tempo metronomico: fondamentale la
ricerca in tale direzione del batterista statunitense Sonny Murray (1936).
I simboli grafici adottati sono intesi come note isolate (nel caso dei simboli grafici del punctum o
longa e della virga o brevis) o come gruppi di note legate. Questi gruppi, come il torculus e il
climacus, da leggere secondo regole prefissate, in uso già prima che venisse concepita la notazione
modale (v. figura a pag. 40), sono chiamati ligaturae e possono essere formati da due, tre o più
suoni. L’appartenenza di una composizione a uno dei sei modi ritmici si individua in base alla
maniera con cui le ligaturae e le note isolate sono raggruppate e organizzate.
Più precisamente, l’andamento delle parti consiste in sequenze di note isolate o variamente
raggruppate ed è scandito dalla presenza di pause (suspiria) in forma di barrette.
L’appartenenza di una composizione a uno o all’altro dei sei modi ritmici si può individuare
grazie alla maniera in cui le note sono raggruppate e al numero di volte in cui la formula base del
modo ritmico prescelto si ripete all’interno degli ordines, ossia degli spazi intercorrenti tra le pause.
Per esempio, se tra una pausa e l’altra a una ligatura di tre suoni seguono una o più ligature di
due suoni, l’andamento ritmico appartiene al primo modo, basato sul trocheo, e le note devono
essere eseguite nella successione di longa, brevis, longa, brevis, ecc..
Se, invece, a una ligatura di due suoni seguono una o più ligaturae di tre suoni, l’andamento
ritmico appartiene al secondo modo, basato sul giambo, e quindi le note devono essere eseguite
nella successione breve, lunga, breve, lunga, etc..
Se la sequenza riporta solo ligaturae di tre suoni, l’andamento ritmico appartiene al quinto
modo, basato sullo spondeo e, quindi, le note devono essere eseguite in una successione di longae.
Non tutti i sei modi sono però ugualmente impiegati: il più frequente è il primo modo;
abbastanza usati sono il secondo e il terzo; puramente teorico è il quarto; il quinto è riservato
prevalentemente alla parte inferiore (il tenor); limitato è l’uso del sesto.
All’interno dello stesso componimento è raro che si alternino modi diversi.

L’evoluzione ritmica e il cambiamento di stile nell’ambito del mottetto del XIII secolo rispetto
alle forme precedenti determina un mutamento di notazione, perché l’organizzazione dei modi
ritmici basata sull’uso di ligaturae non può adattarsi al nuovo stile sillabico.
È la fortuna del mottetto nel secondo quarto del XIII secolo ad affrettare lo sviluppo della
notazione mensurale, ossia di una scrittura musicale che supera la fissità del sistema dei modi
ritmici, riconoscendo a ogni figura, in base alla sua forma grafica, un preciso valore di durata.
L’applicazione sillabica di un testo al duplum della clausula, infatti, spezza le ligaturae in
singole note alle quali non si può più riconoscere un significato ritmico modale: ancora recuperabile
nei primi mottetti attraverso le clausulae originarie, esso è definitivamente perso nei mottetti
successivi, concepiti come brani autonomi.
Occorre, dunque, codificare graficamente i diversi valori di durata applicabili a ogni singola
nota.
Sarà il teorico tedesco Francone di Colonia (metà del XIII sec.), attivo a Parigi, che, da una
parte, darà un ordinamento sistematico alla notazione modale, standardizzando i modi ritmici e
chiarendo in maniera pressoché definitiva il significato delle ligaturae; dall’altra, nel trattato Ars
cantus mensurabilis, scritto tra il 1260 e il 1280, definirà il principio di base che da allora ha sempre
governato il sistema di notazione occidentale, per cui i valori di durata vanno fissati con simboli ben
distinti piuttosto che determinati (ambiguamente) da serie di raggruppamenti diversi di note (i modi
ritmici): nasce così la notazione mensurale, che, da allora sviluppatasi e perfezionatasi, costituisce
ancora oggi il principale sistema di rappresentazione grafica della musica.

Francone di Colonia
Sono introdotti il valore più piccolo della semibrevis e il più grande della duplex longa, ritenuta
una specie della stessa longa.
Ecco di seguito i quattro segni codificati per le note singole:

La longa è di tre specie: perfecta, imperfecta e duplex longa.


La duplex longa dura il doppio di una longa perfecta.
La longa perfecta è misurata in 3 tempi e corrisponde a 3 breves; la longa imperfecta è misurata
in 2 tempi e corrisponde a 2 breves.
Analogamente, la brevis può essere perfecta, se corrisponde a 3 semibreves, o imperfecta, se
corrisponde a 2 semibreves.
L’identificazione del numero 3 con la perfezione è dovuta al fatto che esso si ritiene immagine
della Trinità.
Nel corso del XIV secolo, il sistema notazionale subisce varie modifiche, ampliamenti e
perfezionamenti nella scala dei valori musicali. Se in precedenza i rapporti tra i diversi valori di
durata hanno dato la preferenza quasi assoluta al criterio ternario, specchio della Trinità, in questo
secolo, in seguito alla laicizzazione della cultura, le suddivisioni binarie vengono ammesse a parità
di diritto2.
Le basi della nuova teoria mensurale sono poste dal teorico e compositore normanno Johannes
de Muris (?, c. 1290 - ? c. 1355), che, nel trattato Ars Novae Musicae (1319) – in seguito
conosciuto anche come Notitia artis musicae –, riconosce alla suddivisione imperfetta (binaria)
piena legittimità e propone di ampliare la serie di figure musicali, aggiungendo a longa, brevis e
semibrevis la maxima, non più considerata species della longa, e la semibrevis minima, anche detta
semplicemente minima, rappresentata come una semibrevis col gambo:

L’invito del de Muris ai “musici pratici”, affinché utilizzino modi di notazione adeguati alle
nuove teorie ritmiche, è accolto dal teorico e compositore Philippe de Vitry (Parigi 1291 - Parigi,
1361) nel trattato Ars nova musica (1320), steso dai suoi allievi all’Università di Parigi in varie
versioni.
Il de Vitry introduce innovazioni nei rapporti fra i valori, per cui ogni figura, meno la minima,
può essere divisa in due o tre note del valore minore successivo: come già nella teoria di Francone,
la suddivisione è definita perfetta se ternaria (vale a dire se il valore in questione vale tre note del
valore minore successivo) e imperfetta se binaria, ma si deve tenere conto anche delle nuove figure.
La divisione della maxima è detta maximodus (perfetto, se vale tre longae; imperfetto, se ne vale
due).
La divisione della longa è detta modus (perfetto, se vale tre breves; imperfetto, se ne vale due).
La divisione delle breve è detta tempus (perfetto, se vale tre semibrevi; imperfetto, se ne vale
due).

Philippe de Vitry

La divisione della semibreve è detta prolatio (detta maggiore, se ternaria; minore, se binaria).
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Se nella storia della musica occidentale si tende a una separazione e distinzione delle suddivisioni binaria e ternaria, nella musica africana e
afroamericana le due suddivisioni si sovrappongono, dando naturalmente vita a forme di poliritmia.
Poiché le note perfette e imperfette si scrivono allo stesso modo, Philippe de Vitry teorizza l’uso
di speciali segni, da porsi subito dopo la chiave.
I segni riguardanti il modo perfetto e imperfetto consistono in una barra verticale lunga
rispettivamente tre e due spazi; un cerchio indica il tempo perfetto e un semicerchio il tempo
imperfetto; un punto all’interno del cerchio o del semicerchio indica la prolazione maggiore e
l’assenza del punto la prolazione minore:

Come meglio vedremo nel prosieguo, con l’anno di pubblicazione del trattato del de Vitry si fa
convenzionalmente iniziare l’Ars Nova, che avrà le sue maggiori manifestazioni in Francia, dove
inizia, e in Italia.

Le regole del sistema mensurale nell’Ars nova italiana si contrappongono a quelle francesi per la
maggiore elasticità e complessità, ma anche per una più facile applicabilità nella pratica.
Lo stile delle composizioni vocali italiane dell’epoca, caratterizzato com’è dalla marcata
floridezza delle parti vocali e di quella superiore in particolare, richiede, infatti, un sistema
notazionale fondato sulla varietà dei valori.
Peraltro, il sistema di notazione italiano – descritto in un periodo compreso tra il 1317 e il 1319
nel trattato Pomerium in arte musicae mensuratae dal teorico e compositore Marchetto da
Padova (Marchetus de Padua) (?, 1275 circa – ? - ?, ?) –, a differenza del sistema notazionale
inaugurato dal de Muris e dal de Vitry, non pare discendere direttamente dalle teorie di francone di
Colonia, bensì, secondo alcuni studiosi, dall’elaborazione delle idee di un altro compositore e
teorico francese, Pierre de la Croix, alias Petrus de Cruce (Amiens, c. 1270 - ?, dopo il 1347).
Le figure del sistema notazionale italiano sono la maxima, la longa, la brevis, la semibrevis, la
minima e un’ulteriore figura: la semiminima, più breve della minima, che al gambo della minima
aggiunge l’uncino3.
In tale sistema, l’unità di base è la brevis, scindibile in valori minori, in base a tre divisiones,
secondo il seguente schema:

Quanto alla nascita di un’Ars Nova italiana, derivante dall’Ars nova francese, ancorché non
meramente imitativa del modello e anzi caratterizzata da forte autonomia, si devono considerare i
contatti diretti e gli scambi culturali intervenuti tra Francia e Italia in conseguenza della cattività
avignonese, protrattasi dal 1309 al 1377.

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A cavallo tra il XIV e il XV secolo, saranno introdotte altre due figure, la fusa e la semifusa, antenati delle attuali croma e semicroma.

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