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LA NOTAZIONE ADIASTEMATICA

La notazione chironomica e poi neumatica, almeno fino alla fine del X secolo, è definita
adiastematica (= non intervallata, ossia priva di indicazioni di intervalli), cioè “in campo aperto”,
perché non utilizza ancora le linee di riferimento a indicare le altezze dei suoni.

Notazione adiastematica
La scrittura neumatica assume caratteristiche grafiche differenti nei numerosi centri scrittori
delle diverse aree geografiche, con uno sviluppo temporalmente non lineare.
Tra le notazioni neumatiche adiastematiche più importanti ricordiamo la sangallese, presso i
centri scrittori del Monastero di S. Gallo (oggi abbazia, in Svizzera) alla fine del IX secolo, e la
metense, presso i centri scrittori dei Monasteri di Metz e Laon (Nord-est della Francia) nel X
secolo.
I neumi sembrano derivare graficamente dagli accenti grammaticali del greco e del latino, cioè
direttamente dalla notazione chironomica: dai due accenti acuto (/) e grave (\) sarebbero derivati la
virga, che indica un suono più acuto, e il punctum, che indica un suono più grave del precedente,
e; combinandosi tra loro, punctum e virga formano altri neumi di due, tre o più suoni. Questi primi
neumi sono detti neumi-accenti.
Questi neumi-accenti sono in grado di registrare graficamente l’andamento del canto in tutti i
suoi aspetti ritmici ed espressivi. Ogni neuma può avere una serie di variazioni grafiche che
permette una maggiore precisione esecutiva. Ad esempio, se lo stesso neuma assume una forma più
angolata rispetto alla sua forma standard tondeggiante, prescrive un’esecuzione più marcata;
oppure, se i neumi vengono corredati di trattini orizzontali, chiamati episemi, il suono o i suoni da
essi rappresentati acquistano un prolungamento di durata rispetto a quello o a quelli che ne sono
sprovvisti. Inoltre, esistono neumi speciali, come l’oriscus e il quilisma, aggregati ai neumi base,
che, per quanto riguarda il movimento melodico, hanno lo stesso significato dei neumi già descritti,
ma che assommano ad essi particolari significati fraseologici, espressivi o anche ornamentali; sono
neumi difficili che dimostrano l’enorme ricchezza e varietà ritmica del repertorio gregoriano e
quindi della sua notazione. Infatti, questa ricchezza complica il problema inerente alla sua
registrazione grafica, per il fatto che il canto gregoriano non ha durate misurabili in modo esatto
attraverso rapporti aritmetici fra le note, come invece avrà la musica a partire dal tardo medioevo
fino all’epoca moderna, che sarà appunto mensurata (misurata): non può, dunque, essere
imbrigliato in un andamento ritmico regolato da scansioni periodiche del tempo. Al contrario, il
ritmo del canto gregoriano segue strettamente quello del testo verbale e si adegua al suo
andamento1.

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Nonostante l’esigenza della misurabilità delle durate, conseguenza della conquista della polifonia, l’elemento ritmico avrà scarso sviluppo nella
musica in Occidente, poiché dalla Chiesa associato al corpo e, quindi, al peccato, con la conseguenza che resterà relegato, al pari dell’audiotattilità,
all’ambito popolaresco della musica (di cui pochissimo si sa, per mancanza di testimonianze scritte) o filtrato attraverso una censura rigorosa dei
movimenti coreutici, al ritmo indissolubilmente legati.
Nasce così la distinzione tra danza bassa o popolaresca, più libera, e danza alta, più composta e controllata, stabilmente introdotta nelle corti
durante la prima metà del XV secolo e insegnata dalla nuova figura professionale del maestro.
Lo scarso sviluppo dell’elemento ritmico porterà, come “compensazione”, a un’esaltazione degli altri elementi della musica, fino alla nascita
dell’armonia e alla conquista della tonalità.
Nel 1439, una bolla di papa Eugenio IV autorizza lo svolgimento di certe manifestazioni coreutiche, a testimonianza di un mitigato, ancorché pur
sempre assai guardingo, atteggiamento della Chiesa nei confronti dell’arte della danza.
In seguito, con la scoperta delle Americhe (1492) e la fine del “millennio medievale”, dal Rinascimento in poi la danza (comunque non
popolaresca) si conquisterà uno spazio via via maggiore sia nel costume sia a livello istituzionale.
Tuttavia, solo con l’avvento delle sincopi e dei contrattempi del ragtime negli Stati Uniti alla fine del XIX secolo e poi con la diffusione
principalmente del jazz, ma anche di altre forme, tutte fortemente ritmiche e poliritmiche, di musica afroamericana, la danza sarà liberata, a dispetto
dei tentativi di repressione (si pensi che il ragtime fu addirittura bandito con ordinanza sindacale da alcuni comuni). Ciò porterà a una riscoperta
dell’unità psicofisica dell’essere umano. E all’inizio della “musica moderna”!

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