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INTRODUZIONE 4
APPENDICE
1. Il Fandanguillo di Joaquín Turina: il manoscritto originale del compositore 67
BIBLIOGRAFIA 72
SITOGRAFIA 77
INTRODUZIONE
*3
Certa, poi, dell’appassionato e consolidato percorso cameristico con il mandolinista
Michele Mucci e l’arpista Naja Mohorič, ho richiesto che la trascrizione fosse fatta per
questa inusuale quanto suggestiva formazione.
La trascrizione delle tre scene Danza del terror, El círculo mágico, Danza ritual del
fuego realizzata per mandolino, chitarra e arpa è dunque la prima nel suo genere.
*4
PROGRAMMA DI SALA DEL RECITAL
Manuel de Falla (1876 – 1946), da El Amor Brujo : Danza Ritual del Fuego
El Círculo Mágico
*5
CAPITOLO PRIMO
IL CANTE JONDO
1[Il cante jondo canta come un usignolo senza occhi, canta cieco e per questo nasce sempre dalla notte. Non
ha mattina né sera, né montagne né pianure].
2 Con i termini gitani, zingari, zigani o zingani s’intende un insieme di diverse etnie originarie dell'India
settentrionale accomunate in passato dall'uso di un idioma comune, il romaní, stabilitesi in Europa nel corso
dell'epoca medievale e diffusesi, in tempi più recenti, anche in altri continenti.
3 Tīmūr Barlas (in chagatai ﺗﻴﯿﻤﻮﺭر, temur, “ferro”), italianizzato Tamerlano, è stato un condottiero e generale
turco-mongolo, fondatore dell'Impero timuride, che ha conquistato gran parte dell’Asia centrale e del Medio
Oriente a cominciare dal 1370, costituendo nella seconda metà del XIV secolo un vasto impero con capitale a
Samarcanda.
*6
Il poeta e drammaturgo spagnolo Federico García Lorca (1898 - 1936) racconta di come
sia stato questo popolo di nomadi, musicisti e allevatori di cavalli, a unire le tradizioni del
canto, del ballo e della musica andalusa alla propria tradizione orientale, dando così forma
definitiva al cante jondo.4 Un canto, dunque, che esisteva già in Andalusia, contaminato
dal canto bizantino adottato dall’antica chiesa spagnola, ma che i gitani portarono alla
massima fioritura. Un canto che reca in sé l’aroma della terra e che è tramandato oralmente
di padre in figlio, al punto che il nome del suo autore originario, se mai ne è esistito uno,
finisce col perdersi nell’oscurità dell’oblio:
E’ profondo, veramente profondo più di tutti i pozzi e di tutti i mari che circondano il
mondo, molto più profondo del cuore attuale che lo crea e della voce che lo canta perché è
quasi infinito. Viene da razze lontane che hanno attraversato il cimitero degli anni e le fronde
dei venti appassiti. Viene dal primo pianto e dal primo bacio.5
Il cante jondo dà voce all’anima dei gitani, segnata dolorosamente dal lungo esilio che
dall’Oriente li aveva condotti in Andalusia. È un cante percorso dal lamento, che non
celebra momenti di festa ma ritualizza, piuttosto, una condizione in bilico tra la vita e la
morte: quella di una minoranza etnica senza patria e destinata a un esodo senza fine.
All’inesorabile decadenza del canto nel corso dei secoli si affianca, tuttavia vivo, il suo
ricordo, grazie a diverse iniziative culturali e artistiche. Prima fra tutte, il Concurso de
cante jondo, tenuto a Granada nel 1922. Il compositore spagnolo Manuel de Falla era a
capo dell’organizzazione e parteciparono alla manifestazione molti musicisti, intellettuali e
letterati come Federico García Lorca, Joaquín Turina, Rafael Alberti e Juan Ramón
Jimenéz. Andrés Segovia era tra i membri della giuria. Dieci anni prima Lorca aveva
iniziato a lavorare alle poesie sul cante jondo, che confluirono poi nel Poema del cante
jondo e che sarebbero state pubblicate proprio nel 1922. Il 19 febbraio dello stesso anno, in
occasione del festival cui partecipano i più rinomati cantaores6 dell’epoca, Lorca tiene
presso il “Centro Artistico” di Granada una conferenza dal titolo Il cante jondo. Primitivo
cante andaluso.
4 [Canto profondo].
5 LORCA (1975) 2007, p. 1024.
6 Cantanti di cante jondo.
*7
Le parole di Lorca suonano come un grido d’allarme:7
Signori, l’anima musicale del popolo è in gravissimo pericolo! Il tesoro artistico di una
razza intera va verso l’oblio! Si può dire che ogni giorno che passa cade una foglia del mirabile
albero lirico andaluso, i vecchi che muoiono si portano dietro inestimabili tesori delle passate
generazioni e la valanga grossolana e stupida dei couplets8 inquina il delizioso ambiente
popolare di tutta la Spagna.
Tutti voi avete sentito parlare del cante jondo e certamente avete un’idea più o meno esatta
di ciò che è…: però è certo che a tutti i non iniziati sulla sua importanza storica e artistica, vi
evoca cose immorali, la taverna, l’orgia, la scena del caffè, tutto il ridicolo, la spagnolata
insomma! […] Non è possibile che le canzoni più emozionanti e profonde della nostra anima
misteriosa siano tacciate come cose di taverna e sporche. Non è possibile che il filo che ci
unisce all’oriente impenetrabile possano legarlo alla corda della chitarra festaiola: non è
possibile che la parte più adamantina del nostro canto venga macchiata dal vino torbido del
bullo di professione.
DUENDE
Lorca ricostruisce la genesi del cante, iniziando col distinguere il cante jondo dal cante
flamenco:10
Si dà il nome di cante jondo a un gruppo di canzoni andaluse il cui tipo genuino e perfetto è
la siguiriya gitana, da cui derivano altre canzoni ancora vive nel popolo come i palos,
martinetes, canceleras e soleares. Le strofe chiamate Malagueñas: granatine, rondeñas,
peteneras ecc. non possono essere considerate che una conseguenza di quelle citate sopra e, sia
per architettura che per ritmo, differiscono dalle altre. Queste sono le cosiddette Flamencas.
[…] Le differenze essenziali del cante jondo con il flamenco stanno nel fatto che l’origine del
primo la dobbiamo cercare nei primitivi sistemi musicali dell’India, cioè, nelle prime
Il cante flamenco è quindi l’evoluzione moderna del cante jondo e prende la sua forma
definitiva nel Settecento. Contrariamente al cante jondo, pervaso dal colore spirituale,
fosco e misterioso delle prime età, il cante flamenco esprime la leggerezza e la gioia di vita
racchiuse da Lorca nell’espressione <<la taverna, l’orgia, la scena del caffè>>.
Per meglio comprendere la differenza fra i due, è forse utile raccontare un aneddoto a
proposito di Pastora Pavón, la Niña de los Peines,11 l’unica partecipante femminile al
Concurso de cante Jondo.12 Lorca la descrive intenta a cantare in una taverna di Cadice,
circondata dai massimi esperti di cante. Inizialmente gli ascoltatori sono in silenzio, rapiti
dalla bellezza della sua voce; ma quando essa si
impadronisce dell’atavico, della hondura,13 gli astanti
prorompono in grida celebrative. Il cantaor, dunque, con la
sua voce rauca e “sanguinante”, non si cura della perfezione
e del bel canto. Questo ultime sono infatti caratteristiche che
appartengono al cante flamenco, un canto che risuona
indebolito della sua originaria carica emotiva: laddove il
cante flamenco è armonia e perfezione, il cante jondo è
irrazionale e istintuale. Spirito apollineo il primo, dionisiaco
il secondo. È solo quando Pastora Pavón abbandona la
forma e il bel canto per rimpadronirsi del suo duende, è solo
Pastora Pavón,
allora che seguono le sincere grida degli ascoltatori.
la Niña de los Peines
(1890-1969)
11 [La bambina dei pettini]. La cantaora andalusa Pastora Pavón, cupo genio ispanico, acquisì questo
soprannome quando iniziò a cantare al Cafè de la Marina, un cafè cantante di Madrid.
12 L’episodio è descritto da Lorca in Juego y teoría del duende, che il poeta lesse per la prima volta il 20
ottobre 1933 a Buenos Aires, nel salone della Sociedad de los Amigos del Arte, riscuotendo un vasto
successo.
13 [Profondità].
*9
proprietario di una casa (dueño de una casa > duen de casa > duende), il termine è
arrivato poi a indicare il folletto che infesta una dimora. Come scrive Lorca,14 è un
<<potere misterioso che tutti sentono ma nessun filosofo
spiega>>.15 È il demone che viene risvegliato nell'inconscio
dell'artista durante il momento creativo, laddove con artista
s’intende il torero, il ballerino, il cantaor, la cantaora, il
musicista, il poeta, l’attore. È un potere viscerale, che
respinge la Musa (la quale ispira nella forma e nella
geometria) e che al contempo respinge l’Angelo (che dà
luce): il potere di questo demone infatti è un potere scuro e
graffiante, richiamato dalla sola morte. <<Né nel ballo
spagnolo né nella corrida si diverte alcuno; il duende Danza (XIV sec., particolare):
s’incarica di far soffrire per mezzo del dramma, su forme dipinto attribuito a Muhammed
Siyah Qalam.
vive>>.16
Con il suo duende l’artista andaluso colpisce il pubblico dritto nel petto, e il pubblico
prorompe in grida celebrative. Al plauso controllato di una sala da concerto si oppongono
qui le grida sfrenate, che da celebrative si fanno liberatorie. Ciò accade proprio perché
l’arte andalusa è dotata di duende, così come la tragedia greca antica, e come quest’ultima
procura la catarsi. Per entrambe, infatti, la morte è uno spettacolo nazionale.
si avvicina al trillo dell’uccello, al canto del gallo e alle musiche naturali del bosco e della
fonte. […] È, quindi, un rarissimo esempio di canto primitivo, il più antico di tutta Europa, che
porta nelle sue note la nuda e struggente emozione delle prime razze orientali.
Gli elementi musicali essenziali che conferiscono al cante un’anima orientale sono i
seguenti:18
La più alta espressione del cante jondo è costituita dalla seguiriya gitana, che contiene,
nella struttura e nello stile, il meglio del canto primitivo dei popoli orientali. È infatti il
corrispondente singalese22 della seguidilla castigliana ed è un cante tragico, interpretato in
forma compassata e lenta. Le parole delle sue coplas (strofe) riflettono la sofferenza delle
relazioni umane, l’amore, la morte e le angherie subite dai gitani durante le persecuzioni
del XVI secolo. È eseguita in chiave di La nel modo Frigio e ogni compás (misura)
consiste di 12 battiti accentati sulla 1ª, 3ª, 5ª, 8ª e 11ª creando un amalgama di 3/4 e 6/8
come viene qui mostrato:
[1] 2 [3] 4 [5] 6 7 [8] 9 10 [11] 12
Anche la soleá, altra celebre forma del cante jondo, presenta una misura di 12 battiti,
ma accentati in modo differente sulla 3a, 6a, 8a, 10a, 12a:
Dall’etimo spagnolo soledad, la soleá canta il tema della solitudine e del disinganno ed
è eseguita solitamente in chiave di Mi maggiore in modo Frigio. Delle varie forme di cante
jondo, queste sono le più pure e prevedono numerosi stili esecutivi, come si confà,
d’altronde, al carattere estemporaneo di ogni musica popolare che sia stata tramandata
oralmente. Le varie espressioni di cante jondo sono poi confluite nel cante flamenco, le cui
forme più note sono sevillanas, granadinas, malagueñas e rondeñas, alegrías, bulerías,
fandangos o fandanguillos.
Pur essendo nato e tramandato oralmente, il cante jondo è sopravvissuto alla storia,
dimostrando la sua straordinaria importanza.
23 Per una trattazione più ampia dell’argomento vd. FADINI 2008, pp. 155-196.
*13
Nessun pittore meglio Julio Romero de Torres (Córdoba, 1874 - ibidem, 1930) seppe
cogliere lo spirito dell’Andalusia. Come l’opera di Manuel de Falla, l’arte di Torres - in
particolare i suoi ritratti di ballerine e coreografe quali Pastora Imperio o La Argentinita
- rivela un’ammirazione profonda per la musica e la danza tradizionali dell’Andalusia.
Il dipinto, intitolato Cante jondo, inscena i temi di questo cante: l’amore, la morte,
l’erotismo e il dolore. Fa da collante la chitarra, ancella fedele del canto.
*14
CAPITOLO SECONDO
MANUEL DE FALLA, HOMENAJE, EL AMOR BRUJO
CÁDIZ (1876-1897)
Falla nasce a Cádiz il 23 novembre 1876, dove trascorre i suoi primi vent’anni. Educato
in una famiglia tipica della borghesia cittadina, il suo immaginario fantastico e poetico è
nutrito dai racconti e dai canti della bambinaia gitana “la Morilla” e dalle note
dell’armonium suonato dal nonno. Musica, letteratura e teatro sono i suoi interessi fin da
bambino, a tal punto che si diletta a realizzare riviste letterarie con alcuni amici. Viene poi
avviato allo studio del pianoforte prima sotto la guida della madre, quindi da Eloísa
Galluzzo, la quale entra poi in convento lasciando il giovane allievo nelle mani di
Alejandro Odero e Enrique Broca.
Al suo insegnamento (assai superiore a quel che dicono molti, i quali senza dubbio
frequentarono la sua classe privi della preparazione tecnica indispensabile per affrontare lo
studio della composizione) debbo il più chiaro e fermo orientamento per i miei lavori. Quasi
incredibili erano la raffinata sensibilità armonica di Pedrell o il senso della modalità e quanto
esatte erano le sue osservazioni, anche sull’orchestrazione.2
Pedrell fu un “maestro” nel più alto senso del termine, poiché con la sua parola e con il suo
esempio ha additato e aperto ai musicisti spagnoli il sicuro cammino che doveva condurli alla
creazione di un’arte nobile e profondamente nazionale, un cammino che all’inizio dell’ultimo
secolo si credeva chiuso senza speranza.3
In quegli anni Falla inizia ad interessarsi alla nativa musica andalusa, anche se la sua
produzione si concentra per lo più nel campo della musica da camera, passando dalla
zarzuela4 all’opera teatrale. Al 1905 risale il suo primo successo: La Vida Breve, opera in
un atto di carattere verista.
Una volta nel 1910, a casa di Cipa Godebski, fui presentato a un uomo ancora più basso di
me, modesto e chiuso in sé stesso come un’ostrica. Lo presi per un homme sérieux; in effetti la
sua natura era la più spietatamente religiosa che abbia mai conosciuto… e la meno sensibile a
Falla è noto per il suo carattere mite e umile e per la sua fervente religiosità, nonostante
la quale non compose mai alcun brano sacro.
Profondamente segnato dall’influenza impressionistica, inizia a comporre nel 1909 le
impressioni sinfoniche per pianoforte e orchestra Noches en los Jardines de España, che
terminerà nel 1914, e le Siete Canciones Populares Españolas per voce e pianoforte.
Falla, la chitarra
ce l’aveva nel sangue.
MARIO CASTELNUOVO TEDESCO
Falla è tra i primissimi compositori non chitarristi a occuparsi di questo strumento. Nel
Prologo alla Escuela Razonada de la Guitarra del chitarrista e compositore Emilio Pujol
scrive:
Strumento ammirevole, tanto sobrio quanto ricco, che con asprezza o con dolcezza si
impadronisce dello spirito, e nel quale col passare del tempo si concentrano i valori essenziali
di strumenti decaduti la cui eredità raccoglie senza perdere il suo carattere specifico, quello
che, come la sua origine, deve al popolo. E come non affermare che, tra gli strumenti a corda
con manico, è la chitarra il più completo e ricco per le sue possibilità armonico-polifoniche?7
Il primo segno dell’interesse di Falla per la chitarra risale al 1905, anno in cui compone
la sua prima opera importante, il dramma lirico in due atti e quattro quadri La Vida Breve:
già in questa partitura affida alla chitarra alcuni passi secondari con accordi ritmati.
Ma è a Parigi, il più animato crocevia artistico d’Europa, che il compositore dipinge
l’immagine più autentica della chitarra nelle impressioni sinfoniche per pianoforte e
orchestra Noches en los jardines de España, composte nel 1909. Debussy e Ravel sono
l’ispirazione per i colori orchestrali, ma l’incanto che le Noches sprigionano si tinge di
misteriose paure e stregonerie. Racconta lo scrittore e giornalista Eduardo Molina Fajardo8
Una sera, il cantaor gitano Manuel Torres, il “Niño de Jerez”, ascoltando de Falla che
eseguiva il suo notturno <<En el Generalife>> (la prima delle tre impressioni che formano
Noches en los jardines de España: n.d.r.) esclamò, imbevuto nella musica: <<Tutto ciò che ha
suoni neri, ha duende>>. Suoni neri… De Falla era profondamente impressionato da questi
misteri magici che si annidano nell’opera d’arte, nell’anima umana, in una parola di sortilegio,
in un canto di voce opaca… Nelle sue conversazioni con Federico García Lorca, un tema
7 Prologo alla Escuela Razonada de la Guitarra di Emilio Pujol in FALLA (1988) 1993, p. 189.
8 FAJARDO (1962) 1976, p. 59.
*18
eccitante era quello delle paure, delle apprensioni che si compiono, dei pànici infondati che
danno la “carne di gallina” per qualche radice nascosta e lontana che non si percepisce.
È a questo immaginario, a questi misteriosi <<suoni neri, pieni di duende>> che Falla
riconduce la chitarra, cui dedicherà una composizione - la sola - nel 1920.
Nel 1920, Henry Prunières, direttore de La Revue Musicale, invita diversi compositori a
scrivere in memoria di Claude Debussy, morto nel 1918. Tra gli autori dei vari epicedi,
spiccano Igor’ Fëdorovič Stravinskij, Maurice Ravel, Gian Francesco Malipiero e Béla
Bartók, ovvero i protagonisti del rinnovamento musicale europeo.
È in questa occasione che Falla omaggia il suo Cher Maître (così definiva Debussy) con
un duplice contributo: scrivendo un articolo, “Debussy et l’Espagne”, e realizzando la sua
unica composizione per chitarra: Homenaje. Pièce de guitare écrite pour “Le Tombeau de
Claude Debussy”. Questi omaggi rappresentano il punto d’arrivo di un interesse che il
compositore ha maturato fin dagli anni di Madrid durante le conversazioni con Pedrell e
nell’analisi ed esecuzioni delle musiche di Debussy, fino all’agognato momento in cui
arriva a Parigi nel 1907 per conoscere il maestro di persona, avendo così la possibilità di
studiare più approfonditamente la sua musica.9
Falla, oltre ad omaggiare Debussy, può finalmente soddisfare la richiesta di Miguel
Llobet, grande chitarrista catalano e suo caro amico, il quale lo aveva da sempre pregato di
comporre un brano per chitarra. Llobet, che cura la revisione e la diteggiatura del brano,10 è
il primo interprete alla chitarra, mentre la prima esecuzione assoluta avviene sempre a
Parigi il 24 gennaio 1921, nell’interpretazione di Madame Marie-Louise Casadesus su
un’arpa-liuto. Non può mancare, infine, l’esecuzione di Segovia a Granada, dove,
9 Per una maggiore trattazione del rapporto che Falla ebbe con Debussy vd. ADDESSI 2000, pp. 19-61.
10 Non si tratta della prima versione pubblicata ne La Revue musicale.
*19
nonostante l’estro del chitarrista, il brano riceve una tiepida accoglienza dal pubblico e
dalla critica. In seguito Falla cura del brano un arrangiamento per pianoforte nel 1921 e
una trascrizione per orchestra, il secondo omaggio della Suite Homenajes, sottotitolato à
Claude Debussy, Elegia de la guitarra nel 1939.
Nelle pieghe di questo omaggio mesto e calmo, come recita l’indicazione agogica,
riecheggia lo spirito del cante jondo e s’intravede in filigrana la figura di Debussy.
A Granada Falla ha un contatto diretto con il cante jondo. Come componente
dell’Intelligencija della città, frequenta la tertulia “el Rinconcillo”, a cui partecipano, fra
gli altri, Ángel Barrios, compositore e chitarrista di jondo, e Federico García Lorca, che
proprio in quegli anni scrive le sue liriche ispirate alla chitarra, La guitarra, Adivinanza de
la guitarra e Las seis cuerdas. Ángel Barrios affianca probabilmente Falla
nell’esplorazione delle possibilità della chitarra, aiutandolo con suggerimenti di ordine
tecnico-chitarristico.
La lezione di Debussy consiste invece in quella che Jankélévitch definisce l’“ascesi
della continenza”:11 ascesi intesa come pratica della concisione e sobrietà che si concreta
nella riduzione ai minimi termini del materiale tematico.
Questa pratica è evidente ne La Sérenade interrompue (prélude n° 9, Premier livre,
1910), opera chiave per comprendere l’influsso dello spagnolismo di Debussy su Falla che,
in proposito, scrive sulla musica del compositore francese che
non è fatta alla spagnola, ma in spagnolo, o meglio in andaluso, dato che il nostro cante
jondo - nella sua forma più autentica - ha ispirato non solo le opere da lui scritte
intenzionalmente con caratteri spagnoli, ma anche taluni determinati valori musicali che si
possono apprezzare in altre sue opere non composte con tale intenzione. Alludiamo all’uso
frequente di modi, cadenze, concatenamenti di accordi, ritmi e giri melodici che rivelano
l’evidente parentela con la nostra musica naturale.12
14 Per una trattazione completa dell’argomento vd. RUSSOMANNO 1997, pp. 51-60.
*21
Nell’Homenaje Fa-Mi:
L’alternanza fa-mi, nel suo incedere esitante e oscillante, emerge dal magma sonoro in
modo persistente e ossessivo, caricandosi di una funzione magica e incantatoria, come
scrive Falla in occasione del Concurso de cante jondo.15
Da questa cellula cardine si dipanano brevi segmenti melodici che non superano mai
l’ambito di una sesta, ma privilegiano per lo più quello di una quarta, come si nota, per
esempio, nel caso della melodia di bb. 1-6, contenuta nell’intervallo di quarta Mi-La.
Questi segmenti sono ripetuti e variati attraverso una libera fioritura di terzine,
appoggiature e alterazioni di un semitono.
Procedimenti di questo tipo sono propri del cante jondo, nel quale la melodia, che non
superava l’ambito di una sesta, veniva variata sfalsando di un quarto di tono inferiore o
superiore l’intonazione della nota reale.16
Come scrive Suzanne Demarquez,
Falla sembra ispirarsi all’accordo a corde vuote della chitarra Mi-La-Re-Sol-Si-Mi che
procede per quarte, con l’oscillazione dell’intervallo di terza Sol-Sib (bb. 14, 15, 19, 20, 29, 61,
62) che dà alla composizione un tono tragico.17
18[La mia sofferenza la dico cantando/ perché cantare è piangere,/ la mia gioia la dico danzando/ perché
danzare è ridere. Canto dei gitani di Siviglia. L’Amore Stregone, Prologo].
19 [L’amore stregone].
*23
quattro movimenti fra cui la Danza ritual del fuego, divenuta celebre nell’esecuzione di
Arthur Rubinstein.
Rispetto alla Vida breve e alle Nuits dans le jardins d’Espagne, El Amor Brujo segna il
superamento delle ascendenze impressioniste in nome di una maggiore concentrazione,
resa da una strumentazione più essenziale, di un colorismo vivo e di una sottolineatura
dell’aspetto ritmico: è a tutti gli effetti la trasposizione dell’antica musica zigana spagnola
nella sfera della musica colta europea.
L’orchestra si fa più ridotta: due flauti (di cui uno anche ottavino), un oboe (anche corno
inglese), due clarinetti, un fagotto, due corni, due trombe, timpani, pianoforte (trattato
come uno strumento orchestrale, senza alcun rilievo solistico) e il consueto quintetto
d’archi. È interessante notare come Falla crea affascinanti effetti imitativi, come il suono
della chitarra e il crepitìo delle nacchere senza far uso di questi strumenti.
El amor brujo inscena una Spagna arcaica e pagana, fatta di superstizioni e passionalità,
sulla quale incombe l’immagine ossessiva della morte. Falla sa evocare questo scenario di
*24
sortilegi e visioni spettrali, d’amore e morte, non soltanto grazie alla trama ma anche grazie
al potere evocativo della musica. Scrive Mario Castelnuovo Tedesco:
4.1 DANZA DEL TERROR, EL CÍRCULO MÁGICO, DANZA RITUAL DEL FUEGO
Danza del terror, El círculo mágico e Danza ritual del fuego sono tra le scene più
celebri del balletto che nel corso della storia si sono staccate dall’opera originale per
godere di vita propria attraverso numerose trascrizioni per pianoforte, duo e quartetto di
chitarre.
4.2 DANZA DEL TERROR, EL CÍRCULO MÁGICO, DANZA RITUAL DEL FUEGO:
DALL’OPERA ORIGINALE ALLA TRASCRIZIONE
L’idea di una trascrizione per mandolino, chitarra e arpa è sorta, in verità, per puro caso,
durante una lunga ricerca personale sulle figure di Debussy e Falla in relazione alla
chitarra.
Conoscevo da anni le numerose trascrizioni di queste tre scene e due anni fa le eseguii
trascritte per duo di chitarra. Il grande fascino di questo balletto rivive, senza dubbio,
anche attraverso un solo strumento; tuttavia, nonostante la ricchezza timbrica delle sei
corde, sentivo che qualcosa mancava all’esecuzione.
Qualche anno dopo, in occasione di questo elaborato, mi sono imbattuta nella lettura di
un articolo di Michael Christoforidis, dal titolo Manuel de Falla, Debussy e la chitarra,23
nel quale si sottolinea il particolare interesse del compositore gaditano per gli strumenti a
pizzico.
Falla è particolarmente affascinato dall’arpa, come si evince dalle annotazioni a matita
sull’uso di questo strumento in molte partiture di opere di Debussy in suo possesso, come
La soirée dans Grenade, La puerta del vino e Ibéria in Les parfums de la nuit. Inoltre la
prima esecuzione assoluta dell’Homenaje avviene a Parigi nel 1921 su un’arpa-liuto.
La chitarra, dal canto suo, è costantemente presente nel suo pensiero creativo finché non
compone un brano - il solo - nel 1920. Fino ad allora, egli la inserisce ne La vida breve per
accompagnare, con semplici accordi, un cantaor flamenco. Le sue opere di questo periodo,
come El amor brujo ed El sombrero de tres picos, sono ricche di figurazioni idiomatiche ed
effetti chitarristici che raggiungono il climax nella Fantasía Bética per pianoforte, la
composizione che precede l’Homenaje. Il fascino per questo strumento, lo spinge, in
ultimo, a realizzare una versione per orchestra dell’Homenaje intitolata à Claude Debussy
e sottotitolata “Elegia de la guitarra” (1937).
Tutto è partito dalla richiesta di Eni Lulja di una trascrizione di alcuni brani tratti da El
amor brujo per una formazione inusuale quanto sofisticata: chitarra, arpa e mandolino.
Solo Hans Werner Henze e pochissimi altri compositori hanno scritto per questo organico.
Conoscevo poco l’opera di Manuel de Falla, L’amor brujo in particolare, così ho trovato la
sfida molto interessante.
Il lavoro di trascrizione è stato condotto con la massima fedeltà possibile. Dal punto di
vista della struttura formale, i tre brani seguono esattamente l’originale. La scrittura invece
ha posto ovviamente grossi problemi: partire dall’orchestra ha richiesto una rilettura
*27
importante della partitura, in particolare rispetto all’articolazione, alla dinamica e ai timbri.
Il risultato finale non poteva certo riproporre le caratteristiche sonore dell’originale.
Una trascrizione prevede, per definizione, una scrittura idiomatica. Come hai tenuto
conto, nel comporre, delle specifiche caratteristiche timbriche, espressive e tecniche
degli strumenti a pizzico a cui il brano è destinato?
Con il mandolino è stato facile: perfetto nelle figurazioni più agili, così come in certe
ampie arcate melodiche grazie al tremolo ottenuto col plettro. In generale l’arpa si è
prestata benissimo a ricostruire il tessuto armonico, al tempo stesso dando profondità e
ampiezza sonora al trio; ne El círculo mágico, invece, ho preferito sfruttare le ottave
delicatissime nel registro medio-acuto. La chitarra si pone al centro, capace di rafforzare
l’accompagnamento accordale e i frequenti arpeggi, sottolineare la linea dei bassi o
affiancarsi al mandolino nel fraseggio melodico.
*28
Grazie alle diverse possibilità di scrittura idiomatica e strumentazione è stato possibile
mettere in luce aspetti differenti del materiale musicale originale? Al contrario, la nuova
strumentazione ha creato dei limiti?
Come ho accennato prima, era del tutto impensabile che la formazione del trio potesse
anche solo ricordare la potenza del suono orchestrale. Ma credo che in questi casi si debba
puntare a trasformare i limiti in risorse: chitarra, arpa e mandolino possono offrire una
trasparenza e una definizione che in certi passaggi nell’orchestra tendono a perdersi.
L’ovvio limite della «massa» sonora, d’altra parte, nulla toglie allo slancio ritmico dei
brani – questo sta ai musicisti! Anzi, le possibilità dinamiche del trio, soprattutto in termini
di rarefazione sonora, hanno sottolineato il carattere più evocativo di certi pianissimi, in
funzione di contrasto rispetto alle improvvise fiammate ritmiche, o l’atmosfera incantata de
El círculo mágico.
*29
CAPITOLO TERZO
REGINALD SMITH BRINDLE, EL POLIFEMO DE ORO
1 TOLLEY 1980.
2 Ibidem [La sola orchestra trasportabile che esistesse].
*30
È il momento della svolta: dal 1952 al 1957 l’autore compone secondo la tecnica
seriale, di cui la sinfonia Variations on a Theme of Dallapiccola (1956) e El Polifemo de
oro per chitarra (1956) sono le opere più rappresentative.
Il New Grove Dictionary of Music and Musicians, definisce questo periodo creativo di
Smith Brindle <<tonally inclined serialism>>.3 L’autore, infatti, si ispira al serialismo di
Dallapiccola e Berg, in contrapposizione a quello di Schönberg, affermando che <<there is
a field of super-tonality which spans the enormous space between diatonic harmony on the
one hand, and sheer chaos on the other>>.4
Tale tecnica compositiva sarà illustrata attraverso l’analisi de El Polifemo de Oro,
consacrato alla storia dalla mitica incisione discografica realizzata nel 1958 da Julian
Bream.5
El Polifemo de Oro fu scritto da Smith Brindle nel 1956 e pubblicato nel 1963 dalla
casa editrice Bruzzichelli di Firenze. Nel 1981 l’autore realizzò una nuova versione
dell’opera, riveduta e ampliata, edita nel 1982 dalla casa editrice Schott di Londra.
L’edizione fiorentina riportava il sottotitolo di Quattro frammenti per chitarra poi
scomparso nell’edizione successiva, sostituito da Adivinanza de la guitarra, dal titolo di
una delle liriche di Federico García Lorca.
Es. 1.
1°
Movimento:
Ben Adagio
bb. 1-2
Serie iniziale:
Es. 2 .
2°
Movimento:
Allegretto
bb. 1-4
Serie iniziale:
Es. 3.
3°
Movimento:
Largo
bb. 1-4
Serie iniziale:
*32
Es. 4.
4° Movimento:
Ritmico e vivo
bb. 1-3
Serie iniziale:
Es. 5.
1° Movimento, b. 4
L’iterazione di una singola nota o di un
accordo, come si vede nella b. 4 del 1°
movimento, crea una figurazione ritmica
ricorrente in tutto il brano. Il fatto che la
nota Mi sia ripetuta fin dall’inizio del
brano contribuisce a percepire in Mi il
centro tonale.
La composizione è, tuttavia, inusuale nel panorama dodecafonico: è ben lontana sia dal
freddo intellettualismo che dall’Urschrei espressionista comunemente associati a questo
stile compositivo. La ragione di ciò si legge nella prefazione alla seconda edizione del
1982, che vede un ampliamento più o meno consistente di tutti i movimenti, nella quale
Smith Brindle dichiara che <<El Polifemo de Oro was inspired by García Lorca’s poetic
references to the guitar, particularly in the two poems Adivinanza de la Guitarra and Las
Seis Cuerdas>>.6
6 SMITH BRINDLE 1982, Preface [El Polifemo de Oro è ispirato ai riferimenti poetici di García Lorca alla
chitarra, in particolare alle due poesie Adivinanza de la Guitarra e Las Seis Cuerdas].
*33
Il compositore sceglie come fonte d’ispirazione il poeta e drammaturgo spagnolo García
Lorca. Nessuno, infatti, poteva cantare la chitarra meglio di un poeta chitarrista, spagnolo e
andaluso. L’essenzialità e la concentrazione espressiva dei versi del poeta andaluso
colpiscono il compositore a tal punto che dichiara di voler fare, in musica, quello che
Lorca fa in poesia.7 Due sono, nello specifico, le poesie a cui si ispira per la stesura de El
Polifemo de Oro, entrambe contenute ne Il poema del cante jondo (1921):8
Adivinanza de la guitarra9
En la redonda
encrucijada,
seis doncellas
bailan.
Tres de carne
y tres de plata.
Los sueños de ayer las buscan
pero las tiene abrazadas
un Polifemo de oro.
¡La guitarra!
La guitarra,
hace llorar a los sueños.
El sollozo de las almas
perdidas,
se escapa por su boca
redonda.
Y como la tarántula
teje una gran estrella
para cazar suspiros,
que flotan en su negro
aljibe de madera.
This mystic power of the instrument has always cast a spell over me. It seems to
possess a life of its own, a supernatural, incantatory spirit, which defies expression in
words. I have searched to express this elusive spirit in El Polifemo, through the
intangible, fleeting sounds of the first movement, the whirling, intertwining, softly
dissonant harmonies of the second, the supernatural harmonics and tamburo effects of
the third, and the ruthless vivaciousness of the finale.
4. RITMICO E VIVO. Il clima del quarto movimento è quello di una danza ritmica, di
carattere quasi tribale, che pur lascia intravedere qualche ascendenza jazz. Rievoca
l’immagine poetica delle <<seis doncellas>> che ballano, <<tres de carne/ y tres de
plata>> attorno al <<Polifemo de oro>>.
*36
CAPITOLO QUARTO
JOAQUÍN TURINA, FANDANGUILLO
1. JOAQUÍN TURINA
*37
I suoi studi musicali proseguono a Madrid, dove si perfeziona al pianoforte con José
Tragó, e in seguito alla Schola Cantorum a Parigi, dove a partire dal 1905 studia
composizione con Vincent d’Indy e pianoforte sotto la guida di Moritz Moszkowski.
Il debutto parigino avviene il 27 aprile 1907 alla Sala Æolian con il Poema de las
estaciones, e dopo solo otto giorni il compositore ritorna su quel palco con il Quintetto in
Sol minore per pianoforte e quartetto d’archi, suonando lui stesso il pianoforte con il
quartetto Parent.
L’opera riscosse un grande successo e l’anno successivo vinse un premio al Salón de
Otoño. Ma il miglior premio ricevuto fu la presenza in sala di Isaac Albéniz e Manuel de
Falla. L’incontro con Albéniz segnò un cambio radicale nella vita di Turina, che fece
promettere al compositore sivigliano di non scrivere più musica d’influenza francese e di
ispirarsi alla musica popolare spagnola, in particolare quella andalusa.
Nel 1913 Turina termina gli studi alla Schola Cantorum e riscuote un grande successo
con l’opera La procesión del Rocío in scena al Teatro Reale di Madrid. Ma l’inizio della
prima guerra mondiale lo costringe a lasciare Parigi e a tornare definitivamente a Madrid.
Nella capitale spagnola lavora come compositore, critico e insegnante. I più alti
traguardi del suo estro compositivo risalgono agli anni Venti: Danzas fantásticas composte
in origine per pianoforte e in seguito per orchestra (1919), Sinfonía sevillana per orchestra
(1920), Sanlúcar de Barrameda per pianoforte (1921), La oración del torero per pianoforte
(1925) El Poema de una sanluqueña per violino e pianoforte (1923).
Quanto alla produzione per chitarra, dobbiamo ringraziare Andrés Segovia se Turina ha
rivolto il suo interesse alle sei corde. In quegli anni, infatti, il chitarrista spagnolo era
impegnato ad ampliare il repertorio chitarristico con opere commissionate ai principali
compositori viventi. Dopo Manuel de Falla, Federico Moreno-Torroba e altri autori minori,
anche Turina rispose all’appello di Segovia, scrivendo per lui cinque opere che
costituiscono uno dei pilastri del repertorio originale per chitarra negli anni intercorsi tra le
due guerre: la Sevillana (1923), il Fandanguillo (1926), Ráfaga (1929), la Sonata en re
menor (1930) e l’Homenaje a Tárrega (1932). Esse sono la sintesi di un’infaticabile
ricerca artistica nella quale convergono più elementi: l’idioma chitarristico, le armonie
debussyniane, il contrappunto d’indysta e le reminiscenze andaluse.
Se gli altri compositori ignoravano le peculiarità tecniche e timbriche della chitarra, a
Turina, sivigliano, il timbro dello strumento era intimamente noto ed egli ne era anzi
*38
talmente affascinato che proprio alla chitarra aveva
dedicato la sua prima opera da camera, Cuarteto para
cuerda, denominata de la Guitarra (1910). A favorire
un’approfondita conoscenza dello strumento furono
anche i contatti con i chitarristi dell’epoca, Ángel
Barrios, Miguel Llobet e, soprattutto, Andrés Segovia
che negli anni si mise a completa disposizione del
compositore per adattare alla chitarra, battuta per
battuta, ciò che Turina andava scrivendo.
Sempre la chitarra fu il modello guida per la
composizione delle Danzas fantásticas, ispirate alla
novella La orgía di José Mas. La terza danza intitolata
Joaquín Turina in una caricatura di
Orgía è infatti una farruca andalusa, ovvero una forma Ugalde
1 [Le corde della chitarra suonando, erano come i lamenti di un’anima che non sopportava più il peso
dell’amarezza].
*39
2. PARIGI: L’INCONTRO CON ALBÉNIZ, LA CHITARRA E LA SCELTA
NAZIONALISTA
Assieme a Vienna, Parigi era all’epoca la capitale delle nuove tendenze estetico-
musicali, il cuore pulsante dell’arte impressionista e post-impressionista, un culto per poeti,
pittori e musicisti.
Per tutti i compositori che miravano a costruire un linguaggio musicale alternativo
rispetto all’esperienza romantica, la capitale francese era la Mecca. Attratti da questa
vivacità culturale, vi si recavano anche i giovani compositori spagnoli, latori del ricco
patrimonio folcloristico iberico e fautori della commistione tra la musica francese e quella
spagnola.
La morte dei genitori fu l’evento tragico che spinse Turina a seguire il consiglio di José
Villegas, direttore del Museo del Prado nonché amico stretto, di trasferirsi a Parigi per
proseguire gli studi. Ma c’era anche una causa più profonda: lo scoraggiamento verso la
ristrettezza mentale del clima musicale madrileno e l’ambito sogno d’europeismo.
Tuttavia, per quanto scoraggiante, l’esperienza madrilena aveva consentito l’incontro
con Falla, dal quale era nato un forte legame professionale e d’amicizia. Falla diventerà
presto per Turina una sorgente d’ispirazione, laddove il referente astratto di molte sue
composizioni è costituito dalle suggestioni armonico-timbriche della chitarra.
In Como se hace una obra, una delle sue sette conferenze pronunciate nell’Istituzione
Ispano-Cubana di cultura de La Habana nel 1929, lo stesso Turina sottolinea la presenza
delle sei corde nella sua fantasia compositiva. Illustra, attraverso un excursus di alcune
delle proprie opere, l’impiego di un lessico musicale fortemente debitore dell’idioma
chitarristico gitano-andaluso. Un idioma interiorizzato nei primi anni di vita, accantonato
nel periodo del severo apprendistato d’indysta e riscoperto infine dopo l’incontro parigino
con Albéniz e Falla.
*40
L’esecuzione del Quintetto in Sol minore, il 3 Ottobre del 1907 alla Sala Æolian a Parigi
col quartetto Parent e lo stesso Turina al pianoforte, darà una svolta alla vita artistica del
musicista sivigliano. In questa occasione avviene infatti lo storico incontro tra Turina,
Albéniz e Falla.
Si legge di tale incontro in diverse testimonianze, ma quella più conosciuta appare sul
periodico di Barcellona La Vanguardia (1911-1912):
Collocati già sulla scena e con l’archetto del violinista Parent pronto ad attaccare, vedemmo
entrare in tutta fretta e con l’affanno per la corsa, un signore molto grasso, con una lunga barba
nera e un enorme cappello a falde larghe. Un minuto dopo, e nel massimo silenzio, cominciava
il concerto. Dopo un po’ il signore grasso si rivolse al suo vicino, un giovane magrolino, e gli
chiese: “È inglese l’autore?” “No, è sivigliano”, rispose al suo vicino, completamente
stupefatto. L’opera continuò e dopo la fuga venne l’allegro, e dopo l’andante, e il finale.
Appena il concerto fu terminato, il signore grasso fece irruzione nel foyer, accompagnato dal
vicino, il giovane magrolino. Avanzò verso di me e con la maggiore cortesia pronunciò il suo
nome: “Isaac Albéniz”. Mezz’ora più tardi camminavamo noi tre sotto braccio per gli Champs-
Elysées, grigi, in quella serata autunnale. Dopo aver attraversato Place de la Concorde,
entrammo in una brasserie di Rue Royal e lì, davanti a una coppa di Champagne e pasticcini,
subii la più completa metamorfosi della mia vita. Si evocò “la patria chica”, si parlò di musica
con uno sguardo all’Europa, e da lì uscii con le idee completamente cambiate. Eravamo tre
spagnoli e in quel cenacolo, in un angolo di Parigi, ci rendemmo conto di dover fare grandi
sforzi per la musica nazionale e per la Spagna. Quella scena non la dimenticherò mai, né credo
la dimenticherà il giovane magrolino, che altri non era che Manuel de Falla.
*41
3. IL FANDANGUILLO
Lo scalpicciare
del fandango.
EUGENIO MONTALE
Anche se Turina non scrive flamenco, il suo stile compositivo ne è pervaso. Egli cerca
di evocare lo spirito e l’atmosfera andalusa trasferendo nei suoi lavori artifici e tecniche
familiari al flamenco: ritmi di danza, armonie, tecniche chitarristiche come rasgueado e
tambora, linee vocali, struttura formale e patterns cadenzali.
L’esempio più luminoso è dato dal Fandanguillo che affonda le sue radici nel fandango,
danza popolare spagnola in 3/4, costituita da strofe danzate in un tempo regolare con passo
marcato e da coplas libere da accompagnamento ritmico, affidate al floreo vocale del
cantaor. Questa danza popolare entra nella musica colta fin dal XVIII secolo: si trovano
ritmi di Fandango nelle Sonate K239 e K251 di Domenico Scarlatti, nel Quintetto n° 4 in
Re maggiore per archi e chitarra di Luigi Boccherini e nel balletto Don Juan di Christoph
Willibald Gluck. Ancora più forte è la sua presenza nel Novecento, e in particolare nel
repertorio chitarristico come, per esempio, nel Prélude per chitarra e clavicembalo di
Manuel Maria Ponce, nella Suite Castellana di Federico Moreno-Torroba, nel Concerto
madrigale per due chitarre e orchestra di Joaquín Rodrigo e altri.
Il Fandanguillo altro non è che una varietà del Fandango più viva e gioiosa,
particolarmente ricca di floreos.
La presente analisi, che ha lo scopo di indagare l’influenza del flamenco sul brano, è
basata sul manoscritto originale del compositore2 (vd. APPENDICE) e anche l’esecuzione
vuole essere fedele a esso.
Trattandosi di un fandango, la misura è di 3/4, con l’indicazione Allegretto
tranquillo, quasi un ossimoro che però dà ragione del valore metronomico = 72
che, non essendo scritto tra parentesi, è ragionevole considerare dell’autore e
non del revisore.3
2 Per contro, la versione più nota è quella pubblicata da Schott's Söhne nel 1926.
3 GILARDINO 1996, p. 38.
*42
Il nucleo germinale, nonché il cuore pulsante, del brano è costituito da un ritmo
dattilico, che risuona da lontano:
b.1
Alle marcate scansioni ritmiche della danza, il compositore sivigliano alterna degli ampi
floreos vocali con ritmo libero. Tali melodie dall’aspetto melismatico, quando eseguite alla
chitarra, rievocano le falsetas flamenche. Turina assume perciò la metrica elastica del cante
jondo, proprio come fa anche Falla nell’Homenaje:
bb. 35-38
bb. 74-81
Alla flessibilità ritmica si aggiunge quella melodica. Il primo tema, costituito da due
frasi, è annunciato nell’introduzione attraverso un motivo breve:
Se la prima frase subisce una dilatazione di due battute, la seconda sviluppa invece un
ampliamento di sette battute:
*43
bb. 10-11: prima frase del primo tema
Quest’asimmetria affonda le sue radici nelle monodie del cante jondo, ben lontane dal
periodare simmetrico della musica europea. Esse prendono forma dall’espansione di un
motivo brevissimo, in genere di due o tre note, al quale il cantaor aggiunge floreos sempre
più fitti. Tale flessibilità melodica passa per intervalli brevi, perlopiù di seconda e di terza,
e crea una sorta di stabilità con il costante ritorno su determinate note, identificate come
poli melodici.
*44
successione assume, inoltre, un tipico sapore orientale con l’aggiunta della seconda
aumentata (Fa naturale-Sol#) e influenza molte melodie del repertorio popolare spagnolo.4
Il Fandanguillo è costruito proprio sul tetracordo del modo frigio. Ed è questa la
ragione per cui non vi sono alterazioni in chiave, anche se inizia e si conclude modalmente
nel polo di Mi, ma si considera totalmente in La minore, con un succedersi di toniche eluse
e sostituite dalle rispettive dominanti. Turina predilige poi le progressioni per accordi
paralleli, proprie del flamenco:
bb. 88-93
Tutte queste caratteristiche del cante jondo, la flessibilità ritmica e melodica, nonché le
armonie modali, determinano, combinate tra loro, un forte contrasto, specchio del
complesso animo spagnolo in cui convivono l’esplosione vitale e la contemplazione
mistica. Il secondo tema (bb. 58-71), introdotto dall’indicazione “misterioso” è infatti
un’isola di pace, in cui lo <<scalpicciare del fandango>>5 del primo tema è solo un
lontano ricordo.
Per concludere, il Fandanguillo rappresenta il più punto più alto dell’ opera per chitarra
di Turina perché nasce dall’equilibrio perfetto di più elementi di natura e origini lontane.
La sua forma musicale è classica (introduzione, primo tema, secondo tema, cadenza,
epilogo), su di essa si stagliano gli echi del cante jondo e l’armonia nasce dalla fusione
perfetta tra diatonismo modale (che aveva attratto anche Debussy e Falla) e cromatismo di
sapore orientale.
4 Per una trattazione più ampia dell’argomento vd. CRIVILLÉ I BARGALLÓ 1988, pp. 315-316.
5 Eugenio Montale, La bufera.
*45
CAPITOLO QUINTO
MUSICA CUBANA
El postmodernismo es multicultural,
usa la belleza de la disonancia,
la cultura popular, relaciones pasado-presente,
intertextualidad.
En suma, una visión no excluyente
e integradora arte-espectador.1
LEO BROUWER
1[Il postmodernismo è multiculturale, usa la bellezza della dissonanza, la cultura popolare, i rapporti passato-
presente, l’intertestualità. In breve, una visione inclusiva e integrante arte-spettatore].
*46
orecchio, affascinato dal suono del flamenco e motivato dal padre Juan, medico e
chitarrista appassionato. La sua prima istruzione musicale avviene sotto la guida del
chitarrista Isaac Nicola, discepolo di Emilio Pujol, grazie al
quale scopre il cosiddetto “grande repertorio”: quello classico,
rinascimentale e barocco. Descrive questa scoperta come una
rivelazione, che lo porta ad abbandonare il flamenco e a
dedicarsi toto corde alla chitarra classica.
A soli sedici anni, dotato di un grande talento, il nostro
apprende rudimenti di pianoforte, contrabbasso, violoncello,
clarinetto e vari ottoni. Questa vasta conoscenza strumentale
lo porta poi a dedicarsi, da autodidatta, alla composizione.
Accorgendosi che i grandi compositori difficilmente hanno
Danzatori mascherati di musica
considerato la chitarra nelle loro opere, pensa, un po’ rituale Yoruba
[after] learning the so-called great repertoire, the grand repertoire... I realised that there
were a lot of gaps. We didn't have L'Histoire du Soldat by Stravinskij, we didn't have the
chamber music by Hindemith, we didn't have any sonatas by Bartók. So, as I was young and
ambitious and crazy, I told myself that if Bartók didn't write any sonatas, maybe I could do it.
What a beautiful thing it would be if Brahms had written a guitar concerto! But he didn't, so
maybe I can. This was the beginning of composing for me.2
Nel 1959, il nuovo governo rivoluzionario di Fidel Castro gli offre una borsa di studio
che lo porta negli Stati Uniti, dove inizia formalmente gli studi di composizione e
direzione alla Juilliard School di New York, al fianco di artisti come Darius Milhaud,
Lukas Foss e Paul Hindemith, e all’Università di Hartford nel Connecticut.
In seguito, torna nuovamente a Cuba, dove ottiene la cattedra di composizione al
Conservatorio Nazionale de La Habana, diventa direttore del Dipartimento di Musica del
ICAIC (Instituto Cubano de Arte e Industria Cinematográfica) e consulente musicale per
la Radio Nazionale.
2 MCKENNA, 1988 [Dopo aver imparato il cosiddetto grande repertorio, mi sono reso conto che c’erano molte
lacune. Non avevamo L'Histoire du Soldat di Stravinskij, non avevamo la musica da camera di Hindemith,
non avevamo alcuna sonata di Bartók. Così, mentre ero giovane, ambizioso e folle, mi sono detto che se
Bartók non aveva scritto alcuna sonata, forse avrei potuto farlo io. Come sarebbe stato bello se Brahms
avesse scritto un concerto per chitarra! Ma non lo ha fatto, quindi forse potrei farlo io. Questo fu l’inizio della
composizione per me].
*47
Membro onorario dell’UNESCO con Krzysztof Penderecki, Yehudi Menuhin, Ravi
Shankar e altri, Leo Brouwer è, ad oggi, una delle figure più interessanti del panorama
chitarristico e compositivo. Artista eclettico e innovativo, dedito non solo alla musica
classica ma anche a quella cinematografica, compositore, direttore d’orchestra, chitarrista,
ricercatore, pedagogo e promotore culturale, contribuì, in linea con il nuovo regime, al
recupero della cultura e dell’identità cubana, e seppe coniugare il patrimonio musicale
indigeno con l’arte musicale europea di matrice colta.
Tresillo
Cinquilllo
Ardévol, dal canto suo, mira a creare una scuola di compositori cubani, il cui stile
raggiunga un ampio grado di universalità, riflettendo gli idiomi contemporanei come il
neoclassicismo, il serialismo, l’atonalità e la politonalità, ma senza perdere le
caratteristiche originarie. Danza caracteristica (1958), Tres Apuntes (1959), i primi degli
Estudios Sencillos (pubblicati poi nel 1973) ed Elogio de la Danza (1964) sono le
composizioni più significative di questo periodo. I Tres Apuntes, in modo particolare, sono
*48
i brani più densi di questa stagione creativa: ognuno di essi è un omaggio a tre grandi
compositori della storia, importanti per la formazione di Brouwer. Fra questi Manuel de
Falla, cui è dedicato il primo degli Apuntes, che presenta diverse analogie con l’Homenaje
pour le tombeau de Debussy del compositore spagnolo.3
Il secondo periodo inizia nel 1968 con Canticum, che viene a interrompere un silenzio
durato quattro anni. Il compositore cubano descrive questo nuovo momento creativo come
<<a big eruption, a kind of cathartic avant-garde, aleatorealism>>4. Si muove sul terreno
dell’Avanguardia di quegli anni, usando forme parzialmente aleatorie e sperimentando
diverse tecniche: suoni indeterminati, cluster, serialismo, ricerca timbrica, durate assolute
espresse in secondi. Come spiega Brouwer, queste composizioni traggono ispirazione
anche da sorgenti extra-musicali:
I take as a basis any geometric design, any plastic vision, anything inspiring me more than
the traditional forms. This process is called (and I call it particularly) modular composition.
Modular things exist everywhere in architecture, graphic design, painting, film, montage and
why not in music?5
Alcune delle sue più celebri opere risalgono a questo periodo, come La Espiral Eterna
(1971), Parabola (1974) e Tarantos (1974), di cui si tratterà più accuratamente in seguito.
Anche la notazione sperimentale è un aspetto ricorrente della produzione di questa fase
creativa, come si osserva ne La Espiral Eterna per chitarra, in Conmutaciones per
percussioni e pianoforte preparato (1966) e nel Concerto per chitarra e piccola orchestra
n° 1 (1972).
4 BETANCOURT 1998 [Una grade eruzione, una storta di catartica avanguardia, aleatorietà].
5BROUWER 1979 [Prendo come base qualsiasi disegno geometrico, qualsiasi visione plastica, nulla mi ispira
più delle forme tradizionali. Questo processo è chiamato (e io in particolare lo chiamo) composizione
modulare. Le cose modulari esistono dovunque in architettura, nel design grafico, nella pittura, nei film, nel
montaggio. Perché no nella musica?].
*49
Es. 2, Conmutaciones, sezione F
There has been too much brain. It is time to appeal more to other and equally valid human
attributes, of which the heart and its basic rhythm is obviously one but not the only one.7
6 MCKENNA 1988.
7 COOPER 1985, p. 14 [È stato troppo cerebrale. È tempo di fare appello più agli altri attributi umani,
ugualmente validi, fra cui il cuore e il suo ritmo di base sono certamente un esempio ma non l’unico].
*50
Ciò che accomuna le tre stagioni creative è, in ultima analisi, il recupero costante di
elementi ritmici e melodici afrocubani e la ricerca di colori arcani, che raggiungono il
climax nel Rito de los Orishás (1993).
Tarantos è il brano più poetico e suggestivo della seconda stagione creativa del
compositore cubano.
Dal punto di vista esecutivo, richiede all’esecutore un coinvolgimento creativo
notevole: egli ha il compito di determinare l’architettura formale del brano, oltre a ricreare
la curvatura ritmica delle frasi senza notazione. Tuttavia, la libertà d’improvvisazione
dell’interprete è limitata dai vincoli dati dal compositore; pertanto, pur muovendosi sul
terreno della musica aleatoria, Tarantos è piuttosto un caso di alea controllata.
Il brano è costituito da sette frammenti brevi, detti enunciados (I - VII), da sei episodi
più lunghi, detti falsetas (Ⓐ - Ⓕ), e da una coda para final. La regola dettata dal
compositore vuole che ogni enunciado sia seguito da una falseta e che il brano si chiuda
con la coda para final. In calce allo spartito vi è anche un esempio di struttura esecutiva da
cui trarre spunto.
Atmosfere statiche e calme (IV, V, VI, Ⓐ, Ⓒ,
*51
L’interprete può dunque concepire molteplici e differenti traiettorie espressive: può
disarticolare al massimo la struttura così da creare un continuo effetto di contrasto, o
situare l’apice della tensione al centro, compiendo poi un cammino a ritroso, oppure alla
fine, raggiungendolo gradualmente.
Secondo un calcolo combinatorio, esistono tre milioni, seicentoventottomila e ottocento
possibilità di organizzare il materiale formale, ovvero più di tre milioni e mezzo di versioni
differenti di Tarantos.8
Quale che sia l’organizzazione formale prescelta, il brano presenta in ogni caso un’unità
strutturale data dalla polarizzazione in Fa#. Tale nota chiude tutti gli enunciados (eccezion
fatta per Ⓑ) e le falsetas, e apre buona parte di essi. Inoltre, la maggior parte delle corone
e che riappare, quasi come un’eco lontana, nelle sonorità ataviche della coda para final.
La natura parzialmente aleatoria del brano, figlio dell’avanguardia, lascia però spazio a
uno spirito antico: quello del flamenco.
e il dedillo, che può essere impiegato nel cuore della falseta Ⓕ Sarabanda:
9 Il Palo (o cante) è il nome tradizionalmente dato alle differenti forme musicali che costituiscono l’eredità
musicale del flamenco. Ogni palo è caratterizzato da una varietà di aspetti musicali come i patterns ritmici, il
modo, i motivi caratteristici, o il tipo di stanza usata per il testo, e comprende una serie di melodie
tradizionali o canzoni, generalmente dette estilos [stili].
*53
Ma l’omaggio al flamenco non si esaurisce con queste citazioni: tutto ciò che in esso è
tensione, spasmodica concitazione e ossessiva reiterazione trova in Tarantos una
trasfigurazione poetica e colta.
*54
CAPITOLO SESTO
MAURICE OHANA, TIENTO
La guitare appartient
à ce type d’instruments
enracinés dans un art populaire
depuis un lointain passé,
et pour lesquels il faut sans doute
une sorte de prédisposition atavique.3
MAURICE OHANA
Ohana non era chitarrista, eppure il suo contributo alla letteratura chitarristica del
Novecento è di straordinario valore.
Compositori come Falla e Smith Brindle trattano la chitarra come un’orchestra, ma
Ohana fa di più: tratta l’orchestra come fosse una grande chitarra:4
3[La chitarra appartiene a quel tipo di strumenti radicati in un arte popolare da un lontano passato, e per i
quali occorre senza dubbio una sorta di predisposizione atavica].
4 DUMOND 1984, p. 35.
*57
[…] si sente aleggiare l’ombra di un’immaginaria chitarra, un’assenza di chitarra, al di
sopra di numerose tra le sue opere orchestrali e cameristiche: l’attacco degli accordi,
articolazioni di rasgueado, timbri secchi o vellutati, risonanze che ricoprono le corde a vuoto.
Per il compositore la chitarra è innanzitutto lo strumento del flamenco, cui era legato
per le sue radici iberiche, e rappresenta il mezzo attraverso il quale tentare la libertà
espressiva. Nel flamenco, infatti, le sei corde affrancano il ritmo dalle griglie della battuta,
come Ohana stesso afferma nel corso di un’intervista con Pascal Bolbach:5
[…] l’art des guitaristes andalous, gitans pour la plupart, […] révèle la vraie rythmique aux
oreilles européennes bridées par la battue solfégique, métronomique et inhumaine quel les
grands ensembles instrumentaux et la musique classique (sans parler de la musique du
vingtième siècle dans beaucoup de ses ouvres) ont fait régner sans partage.
Tous [les grands noms de la guitare flamenco] pratiquent une guitare âpre, percussive. Les
agrégats sonores échappent à toute analyse harmonique, fondant l’impact digital du rasgueado
à des résonances où le métal, le bois frappé, l’absence de gamme tempérée réelle comblent
l’oreille moderne un peu à la façon de la percussion. C’est à dire en échappant à la gamme
tempérée et en alliant de manière organique, rythme, timbre et densité sonore.
Tutta la musica per chitarra di Ohana, come egli afferma, <<est forgée dans ce matériel
puissant et sauvage qu’ils font surgir d’instinct>>7. Ciascuna opera testimonia una diversa
tappa del suo cammino stilistico, il quale, esteso per un arco di circa trent’anni, vede un
5 BOLBACH 1982, p. 8 [ […] l’arte dei chitarristi andalusi, gitani per la maggior parte, […] rivela la vera
ritmica alle orecchie europee imbrigliate dalla battuta solfeggiata, metronomica e disumana che i grandi
gruppi strumentali e la musica classica (per non parlare di molte opere musicali del ventesimo secolo) hanno
imposto incondizionatamente].
6 Ivi, p. 6 [Tutti [i grandi nomi della chitarra flamenca] praticano un chitarrismo aspro, percussivo. Gli
aggregati sonori sfuggono ad ogni analisi armonica, fondendo l’impatto digitale del rasgueado con risonanze
dove il metallo, il legno percosso, l’assenza di una reale scala temperata appagano l’orecchio moderno un po’
come la percussione. Fuggendo cioè dalla scala temperata e unendo in modo organico ritmo, timbro e densità
sonora].
7 Ivi, p. 7 [è forgiata con il materiale possente e selvaggio che [i chitarristi di flamenco] fanno scaturire
d’istinto].
*58
progressivo allontanamento dagli stilemi della musica andalusa,
conservandone però l’essenza e alcune tecniche flamenche.
Il Tiento pour guitare (1954) e Trois Graphiques (1950,
rielaborato negli anni ‘60) sono rappresentativi del primo
periodo (1944-1959), Si le jour paraît… del secondo periodo
(1960-1964) ed Estelas (1974), Cadran Lunaire, e Anonyme
XXème siècle (1989) dell’ultima fase creativa (1965-1991).
A portare Ohana a una conoscenza approfondita dello
Ramón Montoya Salazar
strumento e delle sue potenzialità è la collaborazione, sia come
pianista che come compositore, con diversi grandi virtuosi della chitarra.
Nel 1936 parte in tournée con La Argentinita8 e Ramón Montoya Salazar (1880-1948),
il primo grande guitarrero flamenco della storia, che ha il merito di aver combinato la
tecnica classica con quella flamenca. Ohana può così osservare e interiorizzare gli stili e le
tecniche del flamenco da una posizione privilegiata.
Durante il soggiorno parigino, verso la fine del 1948, conosce il chitarrista uruguayano
Abel Carlevaro (1916-2001), che è l’ispiratore di due delle sue più rilevanti composizioni
per chitarra: il Concerto ed Estelas. Tra i due nasce
un’amicizia duratura grazie al comune indirizzo
estetico: Carlevaro, infatti, è sostenitore della teoria
dell’Universalismo Constructivo del pittore
compatriota Joaquín Torres García (1874-1949),
una teoria estetica che trova una eco corrispondente
nel pensiero creativo del compositore, fondato sul
ritorno alle grandi tradizioni universali dell’uomo e
Joaquín Torres García, 1943 sulla distanza dalla cultura europea - da lui definita
Arte astratta in cinque toni e
complementari “decadente” - del tempo.
Ben presto a disagio <<dans la cage limitée par le six cordes de la guitare
traditionelle>>9, parlando con Narciso Yepes, nasce l’idea di dotare lo strumento di
quattro corde aggiuntive nel registro grave, in maniera da favorire l’aumento del volume
8La Argentinita, Encarnación López Júlvez (1895-1945), è stata una celebre ballerina, coreografa e cantante
di flamenco.
9 BOLBACH 1982, p. 8 [nella gabbia angusta delle sei corde della chitarra tradizionale].
*59
sonoro e nel contempo incrementare le possibilità combinatorie dei suoni. Grazie alla
collaborazione con il grande liutaio José Ramirez III, si arriva nel 1962 alla costruzione del
primo esemplare moderno di chitarra decacorde. Affascinato dalle potenzialità sonore di
questo strumento e dalla maggiore quantità di armonici prodotti, Ohana avvia una nuova
esplorazione che lo porta a scrivere una versione alternativa per il Tiento e Trois
Graphiques per chitarra e orchestra. Solo alla fine della sua carriera tornerà alle sei corde,
in una formazione che le vede tuttavia raddoppiate, in Anonyme XXème siècle per duo di
chitarre.
Il Tiento è l’opera per chitarra di Ohana più eseguita e apprezzata. Nota anche nella
trascrizione per clavicembalo e nella versione per chitarra a dieci corde, fu inaugurata a
Parigi da Narciso Yepes nel 1961 ed è stata presto inclusa nel repertorio di concertisti come
Oscar Ghiglia, Alberto Ponce, Julian Bream e Leo Brouwer.
Le ragioni pratiche (è destinata a uno strumento singolo e per di più una chitarra a sei
corde) non bastano a giustificarne la vasta risonanza. La causa profonda è da ricercarsi nel
suo spirito, per dirla con Ohana:11
[…] la densité et la concision, l’alliance des deux lui conférant une force d’expression qui a
peu d’équivalents dans le répertoire guitaristique si ce n’est peut-être l’Hommage à Debussy de
10 [La forza di questa musica sta senza dubbio nel fatto che adagia un linguaggio contemporaneo su delle
risonanze arcaiche sia sacre che profane che lo rendono profondamente universale].
11 BOLBACH 1982, p. 8 [ […] la densità e la concisione, l’unione dei due che conferisce all’opera una forza
espressiva che ha pochi equivalenti nel repertorio chitarristico, se non l’Hommage à Debussy di Manuel de
Falla: stesso rigore e stessa austerità senza compromessi, stesso riferimento alla Spagna, ma in un modo tutto
interiore].
*60
Manuel de Falla: même rigueur et même austérité sans concession, même référence à
l’Espagne mais d’une manière toute intérieure.
L’influenza della musica spagnola è evidente fin dalle prime battute della composizione:
si apre infatti con l’evocazione del celebre tema della Folia de Espana12 nella sua forma
12 In principio la Folia era una forma di danza e un canto di accompagnamento alla danza, di origine
popolare, sviluppatasi nella penisola iberica nel tardo Medioevo. In seguito, fu assimilata nel repertorio di
corte, vocale e strumentale, diffondendosi in tutta Europa come progressione armonica consistente in una
linea di basso I-V-I-VII, su cui l’esecutore costruiva dei contrappunti standard o era libero di improvvisare.
Nel corso dei secoli la Folia si è identificata con la linea melodica risultante dalla realizzazione del basso
fatta da Corelli ed è stata utilizzata come tema per variazioni da numerosi compositori, fra cui Georg
Friedrich Händel nella Sarabande dalla Suite per clavicembalo in Re minore, Sergej Rachmaninov nelle
Variazioni su un tema di Corelli, e Manuel Ponce in Preludio, Tema, Variaciones y Fuga.
*61
ritmica più o meno standardizzata e resa popolare da Arcangelo Corelli. Una successione di
accordi imponenti e brutali si dispiega nei 3/4 della battuta, con un accento forte sul
secondo tempo, come nella ciaccona,13 anch’essa di origine spagnola.
Dal flamenco, il brano eredita ancora più elementi. Innanzitutto, la sua origine flamenca
si scopre platealmente nella forma: di struttura circolare, è costituita da sei parti, distinte
non solo dalle indicazioni di agogica, tempo e velocità, ma anche dalla scrittura ora
accordale ora monodica. Le diverse sezioni sono separate da gesti di carattere conclusivo,
spesso cadenzanti: pause, risonanze ma soprattutto tecniche strumentali spagnole come
rasgueados e tamboras. Questo principio di frammentazione e discontinuità è ereditato dai
melismi del cante jondo e determina nel brano un’oscillazione continua tra la violenza e la
tensione interna di alcuni episodi, e l’atmosfera mistica e raccolta di altri, creata
dall’impiego dell’armonia modale ereditata dal canto gregoriano. Una sezione di sapore
medievale è la terza, Deciso e calmo, dove la tensione cade già dal primo suono, un Fa#
raddoppiato all’ottava e apre una melodia di carattere modale, per gradi congiunti,
incentrata sul Sol#.
13Anche la ciaccona, come la Folia, era una danza di origine spagnola, diffusa in tutta Europa a partire dal
Cinquecento. In tempo ternario su un basso ostinato, dapprima di carattere vivace e scherzoso, acquisì tratti
più austeri alla corte francese. In tale forma fu in seguito introdotta agli inizi del XVII secolo nel balletto, e
nell’opera francesi, nell’opera veneziana e nelle suites strumentali.
*62
L’opposizione tra la scrittura lineare del tema iniziale, raddoppiato all’ottava, e il grande
accordo sgranato a fine frase (prima sfff poi ff) evoca la pratica responsoriale diffusa nella
liturgia cristiana, dove alla domanda del celebrante fa da contraltare la risposta del coro dei
fedeli. Il rimando al canto gregoriano è enfatizzato anche dal breve ambito in cui si muove
il tema.
La monodia di ambito ridotto ricorre frequentemente all’interno del brano, in particolare
nel Lento che prelude alla sezione finale, dove è arricchita e resa maggiormente espressiva
dall’uso di una scala per quarti di tono accanto a quella temperata. Le inflessioni
microtonali, che rappresentano per Ohana una via d’uscita dalle griglie del sistema
temperato, sono anch’esse ereditate dal cante jondo. Quel Do# 1/4 di tono inferiore
accompagnato dalla dicitura “Déplacer la corde pour attaquer légèrement au-dessus du
Do# et porter rapidement le son au Do# juste”14 è il climax di questa breve monodia di
andamento lento, nuova e inusuale. Ne concentra tutta la tensione e ha il valore di un
lamento: è il grido graffiante del cantaor gitano.
[…] Ohana précise que la notation est approximative et qu’il ne faut pas solfier avec trop
d’exactitude les valeurs écrites, le but étant de créer un balancement équivoque entre le binaire
e le ternaire […]: il faut créer un rythme naturel intérieur et non une battue métronomique.
14 [Spostare la corda attaccando leggermente al di sotto del Do# e portare rapidamente il suono al Do#
giusto].
15 BOLBACH 1982, p. 9 [Ohana precisa che la notazione [musicale] è approssimativa e che non si deve
solfeggiare con troppa precisione i valori scritti, allo scopo di creare un’oscillazione ambigua tra tempo
binario e ternario […]: si deve creare un ritmo interiore e non una battuta metronometrica].
*63
Es. 3. Tiento, bb. 10-12, 43-46. Oscillazione ambigua tra tempo binario e ternario dal Lento (bb. 10-12) e dal
Tranquillo, ben misurato (bb. 43-46).
Il ritmo di epitrito è rievocato poi nella specifica successione di tre crome e due
semiminime nella terza sezione Tranquillo, ben misurato (bb. 53-55). Questo ordine di
crome e semiminime sull’intervallo di seconda minore, è ripreso in conclusione del brano
simile a un rintocco di campane (l’espediente è utilizzato dal compositore varie volte nelle
opere per chitarra).
È evidente, dunque, che la volontà del compositore sia quella di creare un linguaggio
che conservi elementi dell’arte popolare andalusa ma che nel contempo rappresenti una
nuova pagina nel panorama novecentesco. La profondità del cante jondo e la solennità del
canto gregoriano conferiscono a questa composizione un fascino arcaico e sacro, di sapore
rituale. A tratti violento, evoca l’urlo primigenio più che il canto, urlo che si dissolve alla
fine in un evanescente effetto percussivo, la tambora.
Il Tiento parla della Spagna in una maniera del tutto interiore. Parla delle sue
caratteristiche spirituali con il filtro di un linguaggio contemporaneo come solo Falla,
prima di lui, aveva saputo fare con l’Homenaje. L’atmosfera cupa e malinconica,
l’austerità, il riferimento al rituale, i ritmi di ascendenza spagnola, i microtoni e i
cromatismi derivati dal cante jondo sono solo alcune delle peculiarità che accomunano
*64
Tiento e Homenaje. Al punto che si può pensare che tale composizione sia un omaggio
all’Omaggio e che ci sia un filo sottile che, attraversando la storia, lega Falla e Ohana, i
compositori che hanno saputo mettere in luce il volto più segreto dell’anima spagnola.
*65
APPENDICE
*66
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SITOGRAFIA
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