IL SISTEMA MODALE
Tra l’VIII e il IX secolo tutto il repertorio gregoriano, per necessità di organizzazione e per
facilitarne l’apprendimento, è classificato in base al sistema dei modi ecclesiastici, esposti per la
prima volta dal filosofo, teologo e liturgista Flacco Alcuino (Regno di Northumbria, 735 – Tours,
804): una serie di otto scale diatoniche ascendenti composte da otto suoni.
Flacco Alcuino
I modi ecclesiastici hanno ricevuto tre tipi di denominazioni: 1) gli ordinali greci latinizzati,
protus, deuterus, tritus, tetrardus, autentici e plagali; 2) gli ordinali latini dal primo all’ottavo; ) i
nomi “etnici”, ossia dorico e ipodorico, frigio e ipofrigio, lidio e ipolidio, misolidio e ipomisolidio.
Quest’ultima nomenclatura, derivata dai termini che denominano le scale modali greche, è però
errata, perché nessun modo medievale coincide con il modo greco avente lo stesso nome.
Il sistema modale deriva dalle scale utilizzate per il canto gregoriano, ma è utilizzato anche nelle
composizioni polifoniche (strumentali e vocali), fino all’affermazione del sistema tonale1.
I modi sono quattro autentici e quattro plagali.
I modi autentici sono riconducibili a scale diatoniche di un’ottava con partenza dalle note di re (I
modo), mi (III modo), fa (V modo), sol (VII modo).
I modi plagali nascono dalla trasposizione dei modi autentici alla quarta inferiore e partono,
dunque, dal la (I modo), dal si (IV modo) dal do (VI medo) e dal re (VIII modo).
Nel sistema modale sono del tutto assenti i concetti di tonica, dominante e sensibile2, ma si può
dire che ci sia una “gerarchia” dei suoni in relazione alle note c. d. finalis e repercussio.
La finalis (indicata con F nello schema precedente), ossia la nota con la quale termina il canto, è
sempre la nota iniziale nei modi autentici e la quarta nota nei modi plagali (partendo questi ultimi
da una quarta sotto i relativi autentici).
La repercussio (indicata con R nello schema) è la nota intorno alla quale si svolge il canto ed è
posta una quinta sopra la finalis nei modi autentici protus, tritus e tetrardus, ma una sesta sopra la
finalis nel modo autentico deuterus (per evitare la nota si, diabolus in quanto terminale di tritono);
nonché una terza sopra la finalis nei modi plagali protus e tritus e una quarta sopra la finalis nei
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Nel sistema tonale, il sesto modo sarà, ad es., il modello della scala maggiore.
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Il modalismo sarà introdotto nel jazz alla fine degli anni ’50 dello scorso secolo e caratterizzerà fortemente il decennio successivo. “Kind of
Blue” di Miles Davis ne è generalmente considerato il manifesto, benché anche in precedenza il sistema modale fosse stato sporadicamente adottato.
modi plagali deuterus e tetrardus.
In un canto gregoriano, la finalis e la repercussio sono generalmente eseguite un maggior
numero di volte rispetto alle altre note: di regola la repercussio è eseguita un maggior numero di
volte anche rispetto alla finalis, ma non di rado accade il contrario.
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In seguito alle riforme del Concilio vaticano II, il mattutino, c. d. perché celebrato nelle ore notturne o all’alba, è stato ribattezzato “ufficio delle
letture” e può essere celebrato in qualsiasi ora del giorno o della notte.
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Brevi canti, originariamente ripetuti a ogni versetto dei salmi, la cui melodia si venne ornando sempre più, fino ad essere eseguita solo dai capi
cantori; oggi precedono e/o seguono un salmo.
Oltre all'antifona salmodica, il repertorio comprende l’antifona libera, ossia ciò che è in effetti una semplice preghiera cantata, senza salmo
associato.
All'interno del repertorio hanno un particolare rilievo le quattro antifone mariane maggiori: Alma Redemptoris Mater, cantata durante i tempi di
avvento e di natale (fino alla candelora); Ave Regina Coelorum è l'antifona cantata in quaresima; Regina Coeli, cantata nella Pasqua fino a Pentecoste:
Salve Regina, cantata nel resto dell'anno.
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Canti nello stile della salmodia responsoriale.
dopo la lettura del Mattutino, e il responsorio breve, dopo le letture brevi delle Laudi o dei Vespri.
I testi della messa si dividono nell’Ordinarium missae, i cui testi sono invariabili per ogni giorno
dell’anno, e nel Proprium missae, i cui testi cambiano in base al calendario liturgico.
Benché dal XV secolo i compositori, da Guillaume de Maschaut a Igor Stravinsky fino ad oggi,
metteranno in musica solo i testi dell’Ordinario, i brani più importanti della messa nel canto
gregoriano appartengono ancora al Proprio.
Istrioni latini
Quanto alla musica profana, va ricordato che gli istrioni latini, la cui diffusione è attestata dal
secolo V in poi per tutto il mondo cristiano, portano, in tempi di decadimento, qualche parvenza di
vita letteraria e soprattutto teatrale: sono giocolieri e saltimbanchi; recitano, cantano, suonano,
danzano; divertono il pubblico nelle piazze, nelle fiere, nelle campagne; si spingono fino ai confini
della latinità, penetrando negli ambienti dei barbari e dei militi; si distinguono particolarmente i
mimi, già durante l’Impero Romano attori comici, uomini e donne (benché fino a tutto il Medioevo
la presenza femminile nelle rappresentazioni sarà ritenuta licenziosa), che recitano parti sia parlate
sia mimate, con accompagnamento di canti e musica, dal contenuto generalmente piccante legato
alla vita quotidiana, adottando una satira mordace e un linguaggio spesso osceno, senza maschera
(contrariamente ai dettami del teatro greco) e a piedi nudi.
TROPI E SEQUENZE
Ai secoli IX e X risalgono i primi canti profani in latino classico o volgare di cui abbiamo notizia
e, come si vedrà nel prosieguo, in questi secoli nascono gli uffici drammatici.
I grandi monasteri (soprattutto le abbazie benedettine) sono centri propulsori e diffusori di
cultura e anche di creatività musicale, che trova nella liturgia il campo di azione privilegiato:
appartengono a questo periodo la prima notazione adiastematica (IX sec.) e diastematica (X sec.), le
prime sperimentazioni nel campo della polifonia, nonché la creazione e diffusione di nuovi generi
di canti inseriti sia all’interno che all’esterno della liturgia ufficiale: i tropi e le sequenze, che
costituiscono il risultato più importante scaturito da questa esigenza di novità che caratterizza
musicalmente il periodo della rinascenza carolingia.
I tropi consistono a) o in sillabe scritte appositamente su un melisma di canto gregoriano o b)
nell’aggiunta di melismi o c) nell’introduzione di nuovi brani letterari con relative nuove melodie;
come si vedrà, anche le prime forme polifoniche possono essere considerate tropature, nel senso più
ampio del termine.
Il tropo, la cui invenzione è tradizionalmente attribuita a Tutilone, monaco del monastero di S.
Gallo, nell’attuale Svizzera, nasce dall’applicazione a scopo mnemonico di parole alle note d'un
passo melismatico di canti liturgici, ma a questa pratica seguirà presto l’interpolazione di nuovi
melismi oppure, specialmente a conclusione (quasi coda) e talvolta a introduzione, di un nuovo
testo con sua propria e nuova melodia.
La sequenza altro non è che l’introduzione di testi al melisma allelujatico (e, dunque, è
sostanzialmente un tropo applicato all’Alleluja).
Il monaco di S. Gallo Nokter Balbulus, che ne è tradizionalmente ritenuto il creatore, raccoglie
sequenze da lui stesso composte nel suo Liber Hymnorum.
I testi delle sequenze sono chiamati prosae, poiché, a differenza degli inni, sono in prosa.
Caratteristica dominante della sequenza è, fin dal principio, la presenza di un numero variabile di
strofe costituite da coppie (copulae) di frasi testuali consecutive sottoposte alla medesima frase
melodica ripetuta, mentre rimane isolata di solito la prima strofa (talora anche altre sparse, ma senza
schemi precisi di collocazione), secondo il modello generale A, BB, CC, DD, ecc..
Il principio musicale di ripetizione coinvolge in progresso gli elementi testuali, conducendo
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Silvana Sinisi, “Storia della danza occidentale”, Carocci Editore, sesta ristampa, 2014, Roma.
anch’essi alla corrispondenza tra strofe parallele, che divengono uguali per lunghezza, accento,
contenuti concettuali.
Tale processo contribuirà, con lo sviluppo dell’innodia, all’abbandono graduale della metrica
quantitativa e alla nascita della moderna metrica accentuativa e rimata, già evidente nelle sequenze
composte nell’XI secolo e in seguito perfezionata.
Le melodie, staccate sempre più dai modelli gregoriani, si orientano verso intonazioni originali e
anche i testi si emancipano dalla liturgia tradizionale.
La codificazione della sequenza nella sua forma più compiuta si deve ad Adamo da S. Vittore
(1112-1192), canonico regolare della Scuola di S. Vittore presso Parigi.
Tropi e sequenze finiranno con lo staccarsi dalle composizioni originariamente tropate,
costituendo composizioni a sé stanti.
Raggiungeranno il culmine nell’XI secolo, ma la produzione continuuerà fino all’inizio del XIV,
imponendosi come una delle maggiori espressioni della creatività medievale e delle esigenze di
rinnovamento all’interno dello stesso Clero.
Il Concilio di Trento (1545-63) abolirà tutti i tropi e tutte le sequenze, a eccezione delle sequenze
Victimae paschali laudes per la Pasqua, Veni Sancte Spiritus per la Pentecoste, Lauda Sion
Salvatorem per il Corpus Domini, Dies irae per la messa dei defunti; nel XVIII secolo sarà
recuperata anche la sequenza Stabat Mater dolorosa.
Va detto che, dal punto di vista storico, il canto gregoriano subirà un declino inarrestabile: la
tropatura e le prime forme polifoniche porteranno inevitabilmente alla disgregazione del ritmo
naturale del canto liturgico fino a giungere all’Editio Medicea del 1614, uno dei punti più bassi del
processo di decadenza sotto l’aspetto sia della melodia, ormai lontanissima dall’originale, sia della
notazione quadrata, per l’utilizzo di forme grafiche proporzionali. Questo “Graduale mediceo”,
stampato iussu Pauli V, è tristemente famoso, perché, ristampato dall’editore Pustet di Ratisbona
nel 1870 e favorito da un privilegio trentennale accordato dalla Santa Sede, servirà lungamente da
testo ufficiale di riferimento per le melodie gregoriane, diventando, negli ultimi decenni del 1800,
un concreto e serio ostacolo alla Restaurazione Gregoriana. I redattori dell’Editio Medicea,
appassionati, come sappiamo, della classicità, considereranno il latino ecclesiastico alla stregua del
latino classico, prosodicamente organizzato secondo una metrica quantitativa (alternanza di sillabe
lunghe e brevi: una sillaba lunga dura esattamente il doppio di una breve). Quindi anche al latino
del canto gregoriano sarà applicato un ritmo musicale rigorosamente rispettoso della quantità
prosodica delle sillabe. Sicuri della verità della loro teoria metrica, già i nostri esteti del
Rinascimento si sentono in dovere di correggere la melodia del canto gregoriano, quando non
rientra nei canoni enunciati.
E’ solo nel 1903, con il Motu proprio, codice sulla musica sacra promulgato da Pio X e
successivamente confermato nella Costituzione Liturgica del Concilio Vaticano II, che si assisterà a
una rinascita del genuino canto gregoriano.
La sua è una musica di potente e suggestiva intensità, lirica e drammatica: una sintesi
eccezionale del grande misticismo medievale (come, del resto, l’intera opera sua).
Scrive 77 composizioni in stile sia sillabico che melismatico, tra antifone, inni, responsori e
sequenze, tutti canti sacri dalla stessa Ildegarda raccolti sotto il titolo Symphonia harmoniae
caelestium revelationum (solo Pietro Abelardo ha pubblicato, una ventina di anni prima, un ciclo di
composizioni liturgiche di tali dimensioni), nonché uno dei primi drammi liturgici medievali, Ordo
Virtutum, con 82 melodie per lo più in stile sillabico, opera di alto valore estetico e teologico, in cui
è messa in scena con figure allegoriche la vittoria dell’anima sul diavolo con l’aiuto delle virtù.
Le composizioni di Ildegarda presentano un impianto monodico, arricchito a tratti da semplici,
ma efficacissimi, procedimenti polifonici, e non seguono i canoni consueti né gli sviluppi della
musica del suo tempo, tant’è che il suo stile è stato paragonato al Liber hymnorum di Notker di San
Gallo, che risale al IX secolo.
Se questa è verosimilmente la ragione per cui è generalmente trattata con sufficienza nei manuali
di storiografia musicale, pur tuttavia le sue composizioni hanno affascinato molti studiosi per la loro
forte originalità: un numero relativamente ristretto di formule melodiche ricorrenti in continue
variazioni, in antitesi con le frasi fisse, ancorché più numerose ed elaborate, assemblate
ripetutamente nelle sequenze di Adamo da San Vittore e dei suoi discepoli.