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Tra Quattrocento e Cinquecento

Tra i secoli XV e XVI varie furono le trasformazioni nella storia della musica che prepararono la
grande fioritura del periodo seguente. Grande rilevanza riveste ancora la polifonia liturgica. Il
teorico Tinctoris definisce cantus magnus la messa, cantus mediocris il mottetto e cantus parvus la
profana chanson. Rispetto alle epoche precedenti scompaiono l’isoritmia e la politestualità a favore
di un coinvolgimento paritario di tutte le voci e di una maggiore attenzione alla parola intonata. Si
predilige la scrittura a 4 voci, che simbolicamente rappresentano i 4 elementi, terra acqua, aria,
fuoco (dal grave all'acuto), con uso intensivo dell'imitazione.

Messa
Principale forma vocale sacra della chiesa romana. Sebbene fin dalle origini la liturgia fosse
accompagnata dall'esecuzione di canti, soltanto a partire dal XIV sec. la Messa fu concepita come
una forma musicale organica ed unitaria, le cui parti devono essere scritte tutte dallo stesso autore
(primo esempio la messa di Notre Dame di G. de Machaut). Solitamente quando un compositore
scrive una messa musica i canti dell’Ordinarium, ovvero quelle parti del rito (Kyrie, Gloria, Credo,
Sanctus, Agnus Dei) il cui testo rimane invariato durante tutto l'anno liturgico. Una messa
particolare è la messa plenaria, in cui sono musicate sia le parti dell’ordinarium che quelle del
proprium (esempio Messa Sancti Jacobi di Dufay). Un altro tipo di messa particolare è la messa di
requiem, priva del Gloria e del Credo, al cui posto viene inserito il canto della sequenza Dies Irae.
Okeghem, compositore fiammingo di seconda generazione, scrisse una delle prime messe di
requiem della storia della musica in occasione della morte di Dufay.
Con i maestri fiamminghi la messa assunse un’importanza preponderante, come forma musicale di
massimo impegno contrappuntistico. L’estrema complessità dell’elaborazione testimonia ormai una
concezione estetica che va al di là del fine liturgico. L’ordito polifonico della messa fiamminga è in
genere a quattro parti, a cappella (cioè senza accompagnamento strumentale), con il cantus firmus
tenuto rigorosamente da una voce (tenor) mentre le altre voci si contrappuntano in libera imitazione
o a canone. Il cantus firmus può essere tratto dal repertorio gregoriano oppure anche da
composizioni profane (come l’homme armé che venne utilizzato per una trentina di messe dai più
celebri autori del periodo). Collateralmente si sviluppano altri procedimenti, come la messa ciclica
in cui tutte le parti dell’ordinarium presentavano lo stesso cantus firmus, la messa parodia
(soprattutto con Josquin, Gombert poi Palestrina) che attinge da una composizione preesistente non
solo il cantus firmus ma tutto il materiale melodico e l’apparato contrappuntistico, e la messa
parafrasi con il cantus firmus liberamente variato e distribuito fra tutte le voci (esempio la messa
Pange lingua di Josquin). Un tipo particolare fu la messa in discanto, con frase melodica ricorrente
(motto) alla voce superiore. Abbiamo anche messe dette libere (es. messa Papae Marcelli di
Palestrina ), perché non hanno strutture particolari. Nel secolo XVI la musica polifonica a cappella
giunse a perfezione in tutte le sue varietà con Palestrina; egli la sottrasse alla macchinosità di artifici
e procedimenti che impedivano la comprensione delle parole e si preoccupò innanzitutto di riflettere
nella musica lo spirito del testo sacro in linea con le direttive del concilio di Trento.

Mottetto
Ai procedimenti con cui erano composte le messe resta estraneo il mottetto, composizione
polifonica vocale sacra su testo latino che veniva spesso eseguita durante la messa nelle parti del
Proprium. E’ un genere che concede spazio alla fantasia del compositore, visto che i testi non sono
fissi (come le parti dell’ordinarium missae) ma sono tratti da passi biblici, da antifone e sequenze,
con una scelta amplissima di temi. La veste musicale poteva essere cucita sulle frasi del testo
ricercando i colori, i registri, i movimenti più giusti a ottenere l’effetto desiderato. Anche per il
mottetto è norma comune attingere a tenor sacri o profani già esistenti. Coltivato dai compositori
fiamminghi tra il Quattrocento e il Cinquecento si caratterizzò per l'impiego sistematico
dell'imitazione: nel mottetto rinascimentale (a quattro o cinque voci) a ogni frase del testo
corrispondeva una nuova idea musicale, che veniva ripresa via via da tutte le voci. Nel cinquecento,
scomparsa la politestualità e il cantus firmus gregoriano, il mottetto elabora il modello di tradizione
fiamminga attuando una graduale semplificazione del contrappunto e una maggiore aderenza della
musica al testo. (Desprez) I mottetti di Palestrina e di Orlando di Lasso segnano forse il culmine
della produzione cinquecentesca del genere. Nella scuola veneziana, specialmente con Andrea e
Giovanni Gabrieli, il mottetto fiorisce anche con l’adozione dello stile policorale e con l’uso degli
strumenti.

I compositori
Secondo un teorico dell’epoca (Coclico) i fiamminghi del 400 avevano rappresentato il tipo dei
musici matematici. Dopo di loro invece era apparsa una generazione capace di coniugare tecnica,
eleganza ed espressione, fatta di musicisti che conferiscono soavità ai canti e sanno esprimere tutti
gli “affetti”. Fra loro emerge Josquin Desprès lodato dai contemporanei per l’attenzione
all’espressività del testo.
Josquin Desprès (Beaurevoir, Piccardia, ca. 1440 - ? Condé-sur-l'Escaut, 1521) È uno dei
principali compositori del suo periodo e segna il passaggio tra il Quattrocento e il Cinquecento.
Viaggiò molto e a 19 anni sembra fosse già a Milano al servizio degli Sforza. Ha lavorato poi a
Roma e a Ferrara presso gli Estensi. Nel 1505 lasciò definitivamente l’Italia per recarsi in Francia a
servizio del re Luigi XII. Apprezzato dai contemporanei e anche da Lutero, le sue composizioni
entrarono nel primo libro a stampa edito nel 1501 da Ottaviano Petrucci da Fossombrone.
Caratteristica comune e innovativa per le composizioni di Josquin è la particolare attenzione rivolta
al testo e quindi alla singola parola. La musica deve essere concepita in stretta connessione con essa
per esprimerne al meglio il significato. Scrisse un centinaio di mottetti, una ventina di messe e
musica profana. Le messe adottano varie tecniche compositive: su cantus firmus (ad esempio la
messa L’homme armée che J. musicò in due versioni), oppure parafrasi di melodie preesistenti, ad
esempio la messa Pange lingua. Scritta probabilmente intorno al 1515, fu composta per essere
eseguita nel giorno del Corpus Domini e riprende la melodia dell’omonimo inno, il cui testo è
attribuito a san Tommaso d’Aquino che l’avrebbe scritto nel 1262. Nella messa parafrasi il cantus
firmus è assorbito da tutte le voci, al punto di non apparire più entità autonoma e riconoscibile ma
una base per parafrasi in continua mobilità, con sviluppo a tutte le voci in contrappunto e
imitazione. La messa Pange lingua fu definita infatti “una fantasia su canto gregoriano”.
Un’altra tecnica del tutto particolare per realizzare messe polifoniche impiegata da Josquin è
quella del soggetto cavato, cioè linee melodiche ricavate da una parola o da una frase in modo
tale che ogni vocale indichi una sillaba corrispondente a una nota. Esempio di questa tecnica
particolarmente artificiosa è la Missa Hercules Dux Ferrariae: Re Ut Re Ut Re Fa Mi Re, in cui
il soggetto è chiara espressione dell’intento encomiastico del compositore. Josquin si dedicò poi
alla composizione di chansons francesi soprattutto nel periodo della piena maturità. Notevole è
la varietà di atteggiamenti: dall’ironia alla malinconia allo scherzo, con applicazione delle
tecniche sperimentate nei mottetti: imitazioni, pari importanza delle varie voci e innalzamento
della parola isolata per illustrare il significato che essa porta. Tra le chansons di Josquin celebre
è Mille regrette, brano breve, a 5 voci, composto intorno al 1515. Il testo esprime tristezza: il
dolore del poeta per aver abbandonato la donna amata; la musica ben sottolinea ogni singola
parola. Tra i numerosi mottetti di Josquin si ricorda Virgo salutiferi, dedicato alla Vergine
Maria. A 5 voci eccezionalmente ancora politestuale, il cantus planus (l’Ave Maria), viene
assegnato a superius e tenor che tuttavia entrano solo a composizione inoltrata (mis 41-44)
avviando un canone all’ottava. L’incalzarsi imitativo delle altre voci è invece incessante.
Josquin è anche autore di un nuovo genere italiano di musica profana: la frottola, una forma
musicale fiorita in Italia verso la fine del 1400 e i primi decenni del 1500. La frottola più celebre
di Josquin è El grillo è buon cantore, una delle composizioni più note del Cinquecento. E’ a 4
voci e fu stampata a Venezia nel 1505 da Ottaviano Petrucci da Fossombrone nel suo terzo libro
di frottole. Alterna stile imitativo a passaggi omoritmici. Si compone di una ripresa, due piedi e
una volta intonate su tre melodie diverse: una per la ripresa, una per ciascuno dei due piedi, una
per la volta.
La frottola
Composizione polifonica profana fiorita in Italia verso la fine del 1400 e i primi decenni del
1500. Prese il nome da quello del genere metrico. L’origine più probabile del termine è quello
dal medio latino frocta ossia miscellanea, congerie di elementi diversi. Questo genere, insieme a
quello del balletto, dello strambotto della villotta etc. nasce come forma profana popolare,
espressione di una tendenza tipicamente italiana, quasi in contrasto con il predominio della
musica dei maestri fiamminghi. Ebbe una fortuna particolare nelle città dell'Italia settentrionale
come Milano, Venezia, Ferrara ma soprattutto Mantova alla corte di Isabella d'Este Gonzaga,
importante mecenate culturale. Era un tipo di composizione con temi di carattere amoroso,
sentimentale, popolareschi e scherzosi. Solitamente a 4 voci (canto, alto, tenore, basso), con
particolare rilevo melodico e ritmico a quella più acuta. Le altre si dispongono in dimensione
accordale, ed erano spesso sostituite da strumenti. Frottole vengono stampate da Ottaviano
Petrucci da Fossombrone fra il 1504 e il 1514, in totale 11 libri con la presenza anche di
componimenti affini. La musica è abbastanza semplice, spesso strofica. L’andamento fra le voci
prevalentemente omoritmico, l’esecuzione sillabica. Ma la frottola ha ampio sviluppo e sia la
struttura che le caratteristiche musicali sono molto varie. Il rapido incremento numerico segnala
un orientamento di gusto che dalla prassi in cui prevaleva l'improvvisazione segue una maniera
composta e scritta. Dalla generazione dei rimatori musici canterini e attori si passa a quella dei
musicisti specializzati e qualificati professionalmente. Tra gli autori di frottole si ricordano
Bartolomeo Tromboncino, Michele Pesenti e Marchetto Cara.

Marchetto Cara (1470-1525)


Fu compositore, liutista e cantore.
Nativo di Verona, fu attivo per oltre trent’anni a Mantova, e fu il fulcro delle attività musicali
alla corte dei Gonzaga, per i quali compone musiche per le feste, per i matrimoni e per le
cerimonie ufficiali. Per brevi periodi si esibisce a Firenze presso la corte dei Medici, a Venezia
presso la famiglia Bembo e a Bologna presso i Bentivoglio.
Fu uno dei più celebri compositori di frottole, assieme a Bartolomeo Tromboncino. Molto
apprezzato per la bellezza del suo canto, viene spesso citato in numerose pubblicazioni del
tempo, tra cui il trattato “Il Cortegiano” di Baldassarre Castiglione
Le sue musiche vennero pubblicate nelle prime raccolte a stampa di O. Petrucci tra il 1504 e il
1509.
Le frottole hanno spesso la forma poetica della barzelletta che riprende metricamente quella
della ballata trecentesca. I versi sono di solito ottonari. Spesso ripresa di 4 versi e stanza di 8
composta da 2 piedi e una volta. Musicalmente le sezioni sono diverse rispetto alla ballata.
Tra le frottole più celebri Io non compro più speranza, pubblicata nel 1504 nel primo libro di
frottole di Ottaviano Petrucci. Si compone di tre sezioni uguali melodicamente fra loro. Melodia
semplice, estensione limitata, stile sillabico, ad eccezione di un melisma finale.

Le cappelle musicali
Le istituzioni ecclesiastiche e non avevano desideravano dotarsi di liturgie musicali di qualità: il
che significava arredi, libri liturgici, ma soprattutto corpi musicali stabili in grado di farvi
fronte. Si svilupparono le cappelle musicali provviste di un ampio numero di strumentisti e
cantori. Più numerose erano le voci acute con minor potenza sonora interpretate da falsettisti o
fanciulli cantori e a partire dal tardo 500 anche da castrati. Nelle voci gravi scompare il contra
terno e si insedia il bassus Inoltre le voci gravi potevano avere il sostegno strumentale.
Le cappelle dell’epoca erano ricche di componenti: nel 1501 Filippo il Bello aveva al suo
servizio 36 cappellani. A Cambrai si contano fino a 34 cantori. Molto numerose anche in Italia
ad esempio a Ferrara.
Lo sfarzo delle liturgie musicali celebrate dal potere politico superava di gran lunga quello delle
sedi ecclesiastiche. La ricchezza vocale e strumentale di chiese come San Marco a Venezia e
San Petronio a Bologna si giustifica col fatto che esse non erano le cattedrali cittadine ma edifici
pubblici annessi ai palazzi di governo.I rappresentanti di quelle assemblee oligarchiche
presenziavano ufficialmente alle cerimonie religiose.
Mansioni dei musici a Corte:
1) Celebrazioni religiose officiate solitamente alla presenza delle supreme autorità di governo
2) Cerimonie laiche: cortei, feste, solennità, ricevimenti. Solitamente riservati alla cappella alta
(con strumenti sonori a fiato, d’ottone, piffari e bombarde).
3) Danza Nella ricreazione cortese, spesso in presenza di dame, la musica era associata alla
danza che aveva un ruolo sociale importante nelle occasioni festive.
3) Svaghi quotidiani a corte. In questo caso la musica era non solo di competenza dei
professionisti ma la praticavano anche nobili e capi di stato come il papa Enea Silvio
Piccolomini (Pio II), Federico da Montefeltro signore di Urbino. La musica era ricreazione
prediletta anche dei familiari del principe e dei loro enturages.
Molteplici erano i compiti dei musici di corte. Francesco I di Francia (1515-1547) divise il
proprio personale musicale in cappella, camera e scuderia. La cappella a sua volta venne divisa
in cappella per il canto piano (gregoriano, 12) e cappella per la musica polifonica (20 +
organista). Camera per le occasioni profane (15 tra cantori e strumentisti). Scuderia: di
frequente si esibiva a cavallo all’aperto in occasione di cortei e sfilate (strumenti con potenza
sonora).

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