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1. DEFINIZIONE DI POLIFONIA
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Esempio 1a
esempio 1b
Notazione dasiana utilizzata in Musica Enchiriadis
esempio 1c
Nello stesso trattato viene descritto un altro tipo di organum, per moto
obliquo, in cui le due voci, per evitare gli incontri intervallari di quarta
eccedente o di quinta diminuita (definiti allora «diabolus in musica»),
partono all'unisono, successivamente la sola vox principalis si muove verso
l'acuto fino a raggiungere l'intervallo di quarta rispetto alla vox organalis
(che ribatte la stessa nota), e procede poi con lei a quarte parallele; nella
cadenza finale le due voci ritornano all'unisono.
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Esempio 2a
Rex coeli Domine, da Musica Enchiriadis, in Gerbert, Scriptores cit. (v. bibliografia), tomo I,
p. 169
esempio 2b
Trascrizione in notazione moderna
Sic enim duobus aut pluribus in unum canendo modesta dumtaxat et concordi morositate,
quod suum est huius meli, videbis nasci suavem ex hac sonorum commixtione concentum
[Così cantando insieme in due o più, con lentezza misurata e concorde, il che è la
caratteristica principale di questo stile, vedrai che da questa mescolanza di voci nascerà
un bel 'concento'].
(Musica Enchiriadis, in Gerbert, cit., t. I, p.166)
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dell'Ufficio. In queste parti della liturgia venivano però rese polifoniche solo
le sezioni che nell'originario repertorio monodico venivano cantate dai
solisti. Nell'esecuzione si alternavano quindi sezioni polifoniche a sezioni
monodiche: queste ultime venivano cantate da tutto il coro all'unisono, e
quelle polifoniche, più difficili, eseguite da solisti.
Procedendo nella evoluzione della polifonia, bisogna citare alla fine
dell'XI secolo altri due importanti trattati: Ad organum faciendum (Per fare
un organum), databile intorno al 1100, proveniente da Laon e conservato
presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano; l'altro trattato è attribuito a
Johannes Afflighemensis, francese o fiammingo, che dedicò la sua opera
all'abate del monastero di Afflighem, vicino Bruxelles.
I due trattati codificano il moto contrario tra le due voci, che ora
invertono la loro posizione: la vox principalis è posta nella parte inferiore (e
lì rimarrà durante tutto il Medioevo), la vox organalis, è posta nella parte
superiore, (dunque in maggiore evidenza), si emancipa sempre più dalla
melodia liturgica preesistente, e mostra una sua propria originale
configurazione. A volte le due voci tendono, nel procedere, a incrociarsi,
ribaltando la loro posizione, la qual cosa le rende reciprocamente più
autonome. Accanto agli intervalli permessi - di unisono, quarta, quinta e
ottava, ritenuti consonanze perfette -, compaiono anche intervalli
imperfetti (terza, sesta) e addirittura intervalli dissonanti come la seconda.
All'inizio del XII secolo si sviluppa un nuovo tipo di organum, detto
melismatico, in cui le due voci non procedono nota contro nota (stile
chiamato dai teorici dell'epoca discanto), ma ad ogni nota del basso ne
corrispondono diverse nella voce superiore. Questo stile, detto appunto
melismatico, pone la melodia gregoriana preesistente al basso come
sostegno della voce superiore che invece intona intere frasi melodiche di
lunghezze diverse, dette melismi o fioriture.
La melodia gregoriana, in questa sua funzione di sostegno dei melismi della
voce superiore, viene a perdere la lezione ritmica originaria, e si trasforma
in una sequenza di note di lunga durata. Viene chiamata tenor (dal latino
tenere), termine che rimase a designare la voce più grave di una
composizione polifonica fino a circa la metà del XV secolo.
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Esempio 3
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Esempio 4
3.2 I compositori
Magister Leoninus, secundum quod dicebatur, fuit optimus organista, qui fecit magnum
librum organi de Gradali et Antiphonario pro servitio divino multiplicando; et fuit in usu
usque ad tempus Perotini Magni, qui abbreviavit eundem, et fecit clausulas sive puncta
plurima meliora, quoniam optimus discantor erat, et melior quam Leoninus erat; sed hic
non dicendus de subtilitate organi, etc.
[Magister Leoninus era il miglior compositore di organum (la forma polifonica più antica).
Fu lui a comporre il "Magnus liber organi de Gradali et Antiphonario" per dare risalto al
servizio divino. Quest'opera rimase in vigore fino all'epoca del grande Perotinus che
riassunse quel libro e scrisse numerose clausulae o puncta [sezioni di sostituzione] ben
più valide perché egli era il miglior compositore di discanto e superiore a Leonino, per
quanto non potesse vantare l'abilità di quest'ultimo all'organo].
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ore canoniche (Ufficio delle ore) e di 59 per la Messa, per tutto il corso
dell'anno ecclesiastico. Perotino revisionò il libro e compose dei nuovi
organa, conductus, mottetti. L'effetto prodotto dal nuovo repertorio
polifonico fornito dai due compositori fu enorme tanto che le loro opere
furono eseguite in tutta Europa come testimoniano le copie che ancora si
producevano all'inizio del XIV secolo.
Nel processo di chiarificazione della determinazione del ritmo,
Leonino rappresenta la via di mezzo tra l'organum melismatico di san
Marziale e la polifonia misurata di Perotino che, come vedremo, dette al
problema una prima efficace risoluzione.
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Esempio 5a
Magister Leoninus, Alleluia Pascha nostrum , Firenze, ms., Biblioteca Medicea Laurenziana,
Pluteo 29.1, c. 109r
esempio 5b
Trascrizione in S. Fuller, The European cit. (v. bibliografia), pp. 58-59
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Esempio 6a
Magister Perotinus, Viderunt omnes, ms., Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Pluteo
29.1, c.1r
esempio 6b
Trascrizione dell'incipit in notazione moderna
Negli organa quadrupla di Perotino le note del tenor sono così prolungate
nella loro durata che ognuna di esse (portatrice di una sillaba delle parole
del cantus firmus gregoriano) sostiene una intera sezione; il cambiamento
di nota o di sillaba nel tenor dà luogo ad un nuovo gruppo di idee nelle tre
voci superiori perché invece del flusso continuo di idee nuove di Leonino, il
magister Perotino adotta poche frasi brevi sottoposte a variazioni, ma
fondamentalmente costanti.
3.5 Il conductus
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3.6 Il mottetto
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Esempio 7
mottetto Salve Virgo virginum - Est il donc einsi Aptatur, ms. Montpellier, Bibliothèque de
la Faculté des Médecin, cod. H 196
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tenores dei mottetti non furono più derivati dai libri di Notre-Dame, ma da
fonti diverse, anche profane o strumentali (le estampidas).
Contemporaneamente si diradò l'uso delle formule dei modi ritmici in
favore di una maggiore duttilità ritmica.
Nei primi mottetti il motetus e il triplum erano affini nel carattere e
nello stile, ed entrambi in contrasto con il tenor.
Esempio 8
mottetto L'autre jour/Autens pascour/In seculum , in S. Fuller, The European, cit., pp. 83-
84
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Esempio 9
Petrus de Cruce, Aucun ont trouvé/ Lonc tans/Annuntiantes, in S. Fuller, The European
cit., p. 93
3.7 La notazione
Esempio 10
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Esempio 11
Esempio 12a
Esempio 12b
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4.1 Introduzione
La musica polifonica del Trecento, in Francia e in Italia, viene
definita ars nova: questa denominazione deriva dal titolo di un trattato
teorico scritto intorno al 1320 dal teorico, compositore e poeta parigino
Philippe de Vitry, vescovo di Meaux, vissuto tra il 1291 e il 1318. La
consapevolezza dei musicisti dell'epoca di trovarsi ad aprire un'epoca
nuova, è confermata dal titolo di un'altra opera teorica, Ars novae
musicae, scritto tra il 1319 e il 1321 dal matematico dell'Università di
Parigi Johannes de Muris.
Questa definizione, nel rispetto della concezione medievale dell'arte non si
riferiva a rinnovamenti di carattere estetico, ma alle innovazioni riguardanti
la tecnica compositiva, e al conseguente sviluppo della notazione
mensurale.
Un altro teorico, il fiammingo Jacob di Liegi, nel suo trattato
intitolato Speculum musicae, si contrapponeva a queste novità difendendo
l'arte polifonica del precedente periodo francese, compreso tra la Scuola di
Notre-Dame e i mottetti di Petrus de Cruce, periodo che fu definito Ars
antiqua.
Il Trecento fu un'epoca di grandi trasformazioni; nel passaggio dal
Medioevo al Rinascimento cambiarono i riferimenti politici e culturali, per
cui la Chiesa perse gradualmente il monopolio della cultura e la musica
polifonica approdò e si perfezionò anche nelle espressioni profane del
mondo cortese, lo stesso mondo che aveva accolto la letteratura
trobadorica e trovierica.
Nel Trecento la musica polifonica progredì nelle risorse ritmiche e nella
varietà di scrittura; le composizioni profane superarono quantitativamente
quelle sacre, e a volte persero anche quel legame con la tradizione
gregoriana rappresentato dal tenor dei mottetti: proprio il mottetto,
infatti, inizialmente concepito come forma sacra, si era avviato, già dalla
fine del XIII secolo, ad acquisire testo e stile profani. Una scrittura di
questo genere, ricca e varia, si era già vista nei mottetti di Petrus de
Cruce, e un carattere ancora più accentuato di transizione fra Ars antiqua
e Ars nova presentano alcuni dei 33 mottetti (cinque dei quali composti da
Philippe de Vitry) che nel 1316 furono inseriti nel Roman de Fauvel, un
poema satirico scritto pochi anni prima.
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Esempio 13
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moderna:
per es.
- se il rapporto tra la breve e la semibreve è ternario, e tra la semibreve e
la minima è binario (tre tempi con suddivisione ternaria), questa
situazione corrisponde al moderno segno 3/4;
- se il rapporto tra la breve e la semibreve è ternario, e tra semibreve e
minima è ternario (tre tempi con suddivisione ternaria), questa situazione
corrisponde al moderno 9/8;
- se il rapporto tra breve e semibreve è binario, e tra semibreve e minima
è ternario (due tempi con suddivisione ternaria), questa situazione
corrisponde al moderno 6/8;
- se il rapporto tra breve e semibreve è binario come quello tra semibreve
e minima (due tempi con suddivisione binaria), questa situazione
corrisponde al moderno segno 2/4 (cfr. esempio 13)
Philippe de Vitry introdusse anche l'uso dell'inchiostro rosso al
posto di quello nero per segnalare i cambiamenti di suddivisione: due note
al posto di tre, o di tre al posto di due, come i gruppi irregolari moderni
(duine e terzine).
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es. 14a
testo di ballata
Guillaume de Machaut, Nes que on porroit, ballade, in S. Fuller, The European cit., pp. 109-
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esempio 15b
Guillaume de Machaut, Ma fin est mon commencement, rondeau, G. de Machaut, .....
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numero di minime che una breve poteva contenere. Si potevano così avere
la divisio quaternaria (quando la breve conteneva quattro minime), la
senaria imperfecta (quando conteneva sei minime raggruppate in due
semibrevi, ciascuna comprendente tre minime), la senaria perfecta (sei
minime raggruppate in tre semibrevi, ciascuna comprendente due minime),
la novenaria (nove minime). Fin qui si trattava soltanto di dare nomi diversi
a rapporti già presenti nel sistema francese, che li definisce coi concetti di
tempus e di prolatio, ma tipicamente italiane erano la divisio octonaria
(otto minime, quindi metro binario) e quella duodenaria (dodici minime,
quindi metro ternario).
schema es. 16
Divisioni della breve in uso nell'Ars nova italiana
Nel corso del pezzo, poi, alcuni punti separavano i gruppi di note aventi
come valore totale una breve, similmente ai punti di Petrus de Cruce (dalla
cui notazione questa sembra derivare direttamente, senza la mediazione di
Philippe de Vitry). La semibreve aveva un valore fluttuante potendo
comprendere un numero variabile di minime e, quando era necessario
attribuirle un valore particolarmente grande, si usava il segno, detto
semibrevis maior, distinto dalla minima per il gambo discendente anziché
ascendente.
Dunque la vera fioritura artistica della polifonia italiana è
documentata solo a partire dal quarto decennio del Trecento, ma,
nonostante il gran numero di fonti manoscritte pervenuteci a partire da
quelle date, l'ars nova italiana fu praticata solo da ristretti ambienti di
intenditori, quali ecclesiastici o pubblici funzionari, perché la musica che
circolava negli ambienti cortesi o cittadini (gli ambienti a cui per esempio si
rifà Giovanni Boccaccio nel Decameron), era per lo più monodica e
consisteva in ballate, canzoni e danze strumentali di cui ci sono pervenute
poche testimonianze, perché normalmente la monodia non si metteva per
iscritto, e anche la polifonia era improvvisata o eseguita a memoria.
La fonte musicale italiana più ricca è rappresentata dal codice Squarcialupi,
così detto dal nome di Antonio Squarcialupi, organista fiorentino (1416-
1480), suo primo proprietario. Il codice fu redatto intorno al 1420, è
attualmente conservato nella Biblioteca Laurenziana di Firenze, e contiene
tre forme polifoniche profane italiane: il madrigale, la caccia e la ballata.
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(F. Petrarca)
Non al suo amante più Diana piacque
Quando per tal ventura tutta nuda
La vide in mezzo de le gelide acque
esempio 17b
Jacopo da Bologna, Non al suo amante, madrigale, in S. Fuller, The European cit., pp. 116-
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esempio 18
esempio 19a
testo di ballata
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esempio 19b
Francesco Landini, Questa fanciull'amor, in S. Fuller, The European cit., pp. 122-123
E' solo con Francesco Landini, detto Francesco degli Organi, il più
famoso musicista italiano del XIV secolo, che la ballata ricevette
intonazione a due e a tre voci, e divenne il genere della polifonia misurata
con testo volgare tipico della seconda metà del secolo.
Il ritorno della sede papale da Avignone a Roma (1377), determinò
una serie di contatti e scambi culturali tra italiani e francesi che portò alla
formazione del cosiddetto 'stile misto', nel quale coesistono elementi sia
dell'arte francese, sia di quella italiana; di conseguenza anche la notazione
musicale diventò 'mista', perché nel sistema delle divisiones di Marchetto si
inserirono le suddivisioni di Vitry (i "tempi" e le "prolazioni"), con i
meccanismi del sistema mensurale di Francone. La ballata divenne
polifonica e divenne la forma musicale più diffusa rispetto al madrigale. Le
prime ballate erano a 2 voci e di carattere umoristico; Francesco Landino,
o Landini (1335-1397), trasferì poi i contenuti lirici della ballata monodica
nella ballata polifonica, a 2 e a 3 voci, nella quale trasferì la complessità
delle tecniche francesi. Nella sua produzione le ballate sono molto più
numerose dei madrigali (140 ballate contro 10 madrigali).
Le ballate a due voci sono ancora vicine allo stile dell'Ars nova
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esempio 20
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esempio 21
Figure della notazione mensurale bianca
5.1 Introduzione
Dall'inizio del XV secolo si manifestò e sviluppò la grande civiltà
musicale franco-fiamminga, i cui protagonisti erano originari della Francia
settentrionale, della Borgogna e delle Fiandre. Da questi paesi numerosi
compositori, maestri di cappella, cantori e strumentisti andarono alla
conquista del resto dell'Europa dando vita a uno stile internazionale al
quale contribuirono in modo decisivo, verso la metà del secolo, anche
numerosi compositori inglesi.
La guerra dei Cento anni tra Francia e Inghilterra (1337-1475) favorì
indirettamente il consolidamento politico ed economico del ducato di
Borgogna, alleato degli inglesi e dunque svincolato dalla soggezione al
regno di Francia; sotto la guida di Filippo il Buono (1419-1467) e Carlo il
Temerario (1467-1477) il ducato conobbe una straordinaria fioritura
culturale, conseguenza della floridezza economica e della stabilità politica,
che trovò nelle arti figurative e nella musica i veicoli privilegiati di
espressione.
Tra l'altro, l'alleanza tra l'Inghilterra e la Borgogna contro la Francia,
aveva creato frequenti occasioni ad alti personaggi inglesi e al loro seguito
di musicisti, di transitare sui territori francese e borgognone: queste
occasioni favorirono contatti con la musica e i musicisti del continente. Già
alla fine del XIV secolo era iniziato un processo di fusione tra gli stili italiano
e francese: questo incipiente stile internazionale doveva essere
incrementato, nel secolo XV, dal contributo di altre scuole, in particolare
quella inglese e quella franco-fiamminga.
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nova francese; nei secoli XII e XIII la musica inglese aveva avuto una
continua evoluzione assimilando le conquiste tecniche più preziose dell'Ars
nova. Quando, a cominciare dalla battaglia di Azincourt (1415), vinta da
Enrico V d'Inghilterra, che assicurò ai re inglesi ampi domini sul territorio
francese favorì gli scambi culturali con il continente, i musicisti inglesi
esportarono nei paesi francesi e fiamminghi la loro tradizione musicale.
Dopo il XIII secolo l'Inghilterra aveva mantenuto e arricchito quei caratteri
che formavano il fascino e l'interesse specifico della sua polifonia:
predilezione per uno stile consonante e melodico, eufonia e senso di
pienezza armonica, naturalezza ritmica, aumento del numero delle voci,
libero impiego di movimenti paralleli per successioni di intervalli di terze e
seste.
La maggiore espansione della musica inglese ebbe luogo nella prima
metà del secolo, dall'avanzare dell'Inghilterra sul continente fino alla sua
sconfitta e alla fine della guerra dei Cento anni che coincise con la morte di
Dunstable, il più grande compositore della scuola inglese.
John Dunstable (1380 ca.-1453), compositore, astronomo e
matematico, è il compositore più rappresentato nei manoscritti diffusi nel
continente. Fu a Parigi al seguito del duca di Bedford, e fu ben noto anche
ai musicisti della corte di Borgogna, sui quali ebbe un influsso
determinante, e dai quali, a sua volta, ricevette stimoli importanti. La sua
produzione comprende messe e tempi di messe, mottetti isoritmici e di
libera composizione, inni, chansons su testo francese e inglese.
La musica inglese, e Dunstable in particolare, dettero contributi alla
musica europea soprattutto nel campo della musica sacra con nuove
tecniche compositive su canto fermo. Il cantus firmus, o, più precisamente
cantus prius factus, è una melodia preesistente posta come punto di
partenza a supporto della costruzione polifonica, data in valori larghi e
uniformi. Oltre a ciò la musica inglese mise a punto innovazioni quali la
forma ciclica nella messa, l'arricchimento delle sonorità, lo sviluppo della
variazione sul canto fermo e dello stile imitativo.
Le messe o parti di messe dell'inizio del Quattrocento adottarono
diversi stili come quello del mottetto isoritmico, ereditato dall'Ars nova
francese, o lo stile della ballata (una parte vocale superiore sostenuta da
due parti inferiori strumentali), o della caccia (con due voci superiori in
canone), ereditati dall'Ars nova italiana. Il manoscritto Old Hall, importante
fonte della musica inglese di questo periodo, contiene le forme suddette
insieme ad altre forme più arcaiche (come quella nello stile del conductus,
o ancora quelle articolate sul contrasto soli-coro). Se le messe o movimenti
di messe su canto fermo liturgico erano diffuse già dalla seconda metà del
XIV secolo e dall'inizio del XV, come anche gli abbinamenti di tempi di
messa costruiti sul medesimo cantus firmus (Sanctus-Agnus Dei, o Gloria-
Credo), tuttavia l'affermazione definitiva della messa ciclica, in cui tutti i
tempi sono scritti sul medesimo cantus prius factus e trattati secondo le
regole mensurali dell'isoritmia, è da attribuire alla scuola inglese.
Altro procedimento compositivo usato nella messa dagli inglesi (ma
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musicali.
I compositori della generazione successiva aspiravano invece
sempre più a un contrappunto destinato totalmente alle voci, (considerate
di eguale importanza), i cui singoli andamenti melodici fossero autonomi
(ma accomunati dal materiale ritmico e melodico del canto fermo che
rende omogeneo l'insieme), e tuttavia in grado di convivere nel rispetto
delle regole riguardanti i loro incontri verticali.
Questa perizia contrappuntistica realizzò una concezione
architettonica della musica che è confermata anche dall'uso dei canoni, una
tecnica compositiva, anzi una esibizione di tecnica per cui la struttura che
si rivela all'ascolto è in realtà sostenuta da un'altra struttura latente, di
natura rigorosa; si trattava della stessa tendenza che aveva condotto i
compositori medievali a scrivere mottetti isoritmici, tendenza in parte
dovuta al puro piacere di esercitarsi in una tecnica virtuosistica, e in parte
dovuta al desiderio di esibire pubblicamente le proprie capacità
professionali. Il termine canone nel XV secolo non aveva lo stesso
significato che ha assunto oggi, cioè di una composizione o di un passo
basato sull'imitazione stretta delle parti: questo stile veniva allora
denominato fuga. Il termine canone in origine indicava invece la 'regola' o
l'indicazione da seguire per poter ricavare da una parte data una o più parti
non scritte.
La tecnica del canone consiste nel derivare da una singola voce
data (detta antecedente), una o più voci (conseguenti): queste voci
possono essere scritte per esteso dal compositore o possono essere
ricavate da un'unica voce scritta (l'antecedente) modificandola secondo
particolari indicazioni. La voce di volta in volta aggiunta si può ricavare in
vari modi: ad esempio iniziando a cantarla dopo la voce originale a un certo
numero di tempi o battute; può essere un'inversione della prima (cioè si
muove sempre con gli stessi intervalli ma eseguiti in direzione opposta);
oppure la voce derivata può essere ricavata leggendo la voce originale al
contrario e allora si parla di un canone retrogrado (cancrizans). Abbiamo
dunque canoni per moto retto, moto contrario, retrogrado retto e
retrogrado contrario.
Un altro tipo di canone è quello mensurale, e consiste nel variare
ritmicamente i conseguenti rispetto all'antecedente, mediante l'adozione di
diversi segni di misura (di tactus): sono notati anteponendo a un'unica
melodia scritta tanti segni mensurali quante sono le voci che si vogliono
ricavare. In un canone mensurale il rapporto tra le due voci può essere di
semplice aumentazione (la seconda voce si muove con note di valore
doppio rispetto a quelle della prima), di semplice diminuzione (il valore è
dimezzato nella seconda voce), o un rapporto a volte più complesso. Le
tecniche suddette possono essere combinate tra loro; inoltre la voce
derivata può riprodurre la melodia a un qualsiasi intervallo più alto o più
basso rispetto all'antecedente. Una composizione può anche presentare un
canone doppio, cioè due o più canoni cantati simultaneamente. Un'altra
possibilità era il far procedere due o più voci in canone, mentre altre voci si
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5.5 I Faux-bourdons
Il faux-bourdon è uno stile nato sul continente e documentato in
fonti musicali dal quarto decennio del Quattrocento. Sembra essersi
generato dalla fusione di diversi elementi: la predilezione per l'andamento
in terze e seste, e lo stile di discanto (del gymel e del faburden) tipici della
musica inglese, e la contrapposizione fra la melodia vocale e il tenor
strumentale in funzione di sostegno armonico tipica della musica italiana.
Dunque, il faux-bourdon non è una forma, ma una tecnica
compositivo-esecutiva che si trova applicata all'interno delle messe e dei
mottetti o altre forme come inni, antifone, sequenze, Magnificat, in
alternanza al canto gregoriano o alla polifonia contrappuntistica.
Nell'ambito di composizioni polifoniche costituiscono episodi scritti a due
voci, un tenor e un cantus (generalmente un cantus prius factus variato),
che procedono per seste e ottave. Vicino al cantus è scritta l'indicazione
faux-bourdon, che prescrive una terza voce da cantarsi una quarta sotto il
cantus e parallelamente ad esso.
Non è ancora chiaro il significato del termine faux-bourdon, perché
potrebbe significare il "falso sostegno" che la voce ricavata alla quarta
inferiore dal cantus (il contratenor altus) fornisce al cantus stesso (il cui
vero sostegno è invece il tenor), oppure potrebbe voler dire "bordone per
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6. LA POLIFONIA CINQUECENTESCA
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Anche se, nella prima parte del XVI secolo i compositori fiamminghi
erano sparsi in tutta l'Europa occidentale, e il loro idioma era diventato
linguaggio internazionale, ogni paese coltivava tradizioni musicali
autoctone; questi idiomi nazionali durante il XVI secolo emersero sempre di
più costringendo a volte lo stile fiammingo a modificarsi in funzione delle
esigenze stilistiche ed espressive.
In Italia prese avvio una sequenza di avvenimenti che portò al
passaggio dal dominio musicale straniero a quello propriamente italiano:
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come si è già detto, nel 1520 giunse in Italia Adrian Willaert, che nel 1527
fu nominato maestro di cappella della basilica di S. Marco, una delle cariche
più prestigiose in Italia; tra i suoi numerosi allievi italiani ci fu Andrea
Gabrieli (1520 ca.-1586), che in seguito ebbe degli incarichi a S. Marco, e il
cui nipote e allievo Giovanni Gabrieli (1556 ca.-1613) diventò il più famoso
compositore veneziano della sua generazione ed ebbe tra i suoi allievi
Heinrich Schütz, un tedesco venuto in Italia per studiare con lui. Dunque, in
meno di un secolo l'Italia aveva ribaltato la situazione rispetto ai
Fiamminghi, diventò il centro della vita musicale europea, e la sua
supremazia, una volta affermatasi, durò per più di due secoli. In tutti i
paesi europei, alla dipendenza musicale dai Fiamminghi, si sostituì
gradatamente la dipendenza dall'Italia.
Un evento fondamentale per la diffusione della musica è
rappresentato dall'invenzione della stampa musicale. Il primo editore a
usare i caratteri mobili per la stampa della musica polifonica fu Ottaviano
Petrucci da Fossombrone (1466-1539), operante a Venezia. La sua prima
edizione fu un'antologia di 96 chansons intitolata Harmonice Musices
Odhecaton A, stampata nel 1501. A Petrucci dobbiamo la pubblicazione di
numerosi libri contenenti chansons, mottetti, messe, inni, Magnificat e
lamentazioni dei più importanti compositori franco-fiamminghi conosciuti
ed eseguiti in Italia in quel periodo (Josquin Desprez, Obrecht, Agricola,
Isaac, Mouton, Pierre de La Rue, Gaspar van Weerbecke). A lui dobbiamo
anche, tra il 1504 e il 1514, la stampa di undici libri di "frottole", un
repertorio di composizioni polifoniche profane molto diffuse nelle corti
dell'Italia del nord tra Quattro e Cinquecento (cfr. più avanti).
Contemporaneo a Petrucci è Andrea Antico, operante tra Roma e
Venezia; il primo a incidere la pagina musicale su lastre di rame fu Simone
Verovio, nel 1575. Altri importanti editori attivi a Venezia nel corso del
Cinquecento furono Girolamo Scotto, i Gardano, Ricciardo Amadino e i
Vincenti.
Quando Ottaviano Petrucci cominciò a stampare musica a Venezia
nel 1501, iniziò con chansons, Messe e mottetti; ma dal 1504 al 1514
pubblicò almeno undici raccolte di canzoni strofiche italiane, musicate in
modo sillabico a 4 voci, con schemi ritmici marcati, semplici armonie
diatoniche, uno stile omoritmico e con la melodia nella voce più alta.
Queste canzoni venivano dette frottole, un termine generico entro il quale
si possono distinguere vari sottotipi.
6.3 La frottola
"Frottola" è un termine che sta a definire una serie di composizioni
strofiche che furono coltivate nelle corti dell'Italia settentrionale come
Mantova, Ferrara, Urbino, tra la fine del secolo XV e i primi decenni del XVI.
Lo schema poetico più usato dalla frottola vera e propria è detto
"barzelletta" ed è simile, nella struttura metrica, alla ballata trecentesca;
vengono usati però anche altri metri poetici come lo strambotto, un'
ottava formata da 4 distici, l'oda, con strofe di 4 versi, il capitolo,
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RIPRESA STROFA
Rime dei versi: abba cdcdda La RIPRESA è ripetuta
Musica: A B A A B tutta o in parte
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6.4 Il madrigale
Nel quadro della musica profana, la forma più importante e diffusa
nel corso del Cinquecento (più precisamente a partire dagli anni Venti fino
agli anni Trenta del Seicento), era il madrigale; la sua circolazione non si
limitò alle corti e agli ambienti aristocratici ma si estese anche a quelli alto-
borghesi, alle accademie e ai circoli intellettuali. Non ha niente in comune,
se non il nome, con il madrigale del XIV secolo: questo aveva una forma
strofica con un ritornello, quello del Cinquecento non usava nessun
elemento delle vecchie formes fixes con le loro ripetizioni di frasi testuali e
musicali, ma consisteva in un adattamento continuo, non strofico, di una
breve poesia, ed era costruito con una serie di sezioni generalmente
contrastanti, alcune contrappuntistiche e altre omoritmiche, ognuna
espressione di una singola frase del testo, o parte di essa avente
comunque senso compiuto. Questa impostazione formale assomiglia a
quella del contemporaneo mottetto.
Il mottetto del '500 era concepito in base alla suddivisione del testo
letterario in tante sezioni, a discrezione del compositore, aventi ognuna
significato compiuto. Queste sezioni venivano messe in musica con
procedimenti diversi, scelti per rendere al meglio il significato testuale, per
cui alcune erano trattate in omoritmia, con tutte le voci che procedevano
con lo stesso ritmo producendo un andamento accordale che rendeva
chiara la declamazione delle parole, e altre erano trattate con il
contrappunto imitativo. In quest'ultimo caso, il compositore sceglieva per
ogni sezione un motivo musicale adatto a renderne il significato testuale, e
tale motivo, enunciato da una voce, veniva poi a turno imitato dalle altre
voci che intervenivano con entrate sfalsate e procedevano poi a una
elaborazione personale del materiale musicale esposto. Conclusa
l'elaborazione di tutta la sezione testuale, mentre alcune voci
cadenzavano, altra o altre voci rientravano sovrapponendosi alla cadenza,
per enunciare il motivo esplicativo della frase testuale successiva ed
elaborarla. Solo alla fine le voci si ritrovavano concordi sulla cadenza finale.
Dunque il mottetto si componeva di una serie di tessere o sezioni, più o
meno collegate l'una l'altra. L'abilità artistica dei compositori, sia nei
mottetti sia nei madrigali, consisteva nella capacità di organizzare le
sezioni della composizione dando loro il senso della continuità e della
coerenza. Il madrigale era una forma basata su un testo poetico italiano a
carattere lirico e amoroso, o idilliaco e arcadico, introspettivo o narrativo,
spesso di tono leggermente epigrammatico, in genere monostrofico e con
una struttura metrica libera e svincolata da schemi fissi e precostituiti;
tuttavia non mancano, specialmente nel periodo iniziale, testi poetici a
forma fissa quali il sonetto, l'ottava, la ballata e la stanza di canzone. Sul
piano musicale il madrigale è in genere quasi esclusivamente vocale (anche
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6.7 La controriforma
In seguito alla rivoluzione religiosa provocata da Martin Lutero,
buona parte dell'Europa si convertì e si staccò dalla Chiesa di Roma. Il
grave pericolo in cui quest'ultima venne a trovarsi, provocò un forte
impulso verso un rinnovamento che non tradisse lo spirito della religione
cattolica e delle sue istituzioni e che potesse in qualche modo far fronte al
dilagare delle dottrine protestanti. Questo movimento ha preso il nome di
Controriforma. La manifestazione più evidente dei nuovi fermenti cattolici
fu la convocazione, nel 1545, del Concilio di Trento, che, con varie
interruzioni e interventi dall'esterno, si concluse nel 1563 dopo aver
rinsaldato la compagine gerarchica della Chiesa e l'autorità del papa,
precisato dogmi e fissati gli obblighi disciplinari del clero e dei fedeli.
Riguardo alla musica sacra, il Concilio di Trento condannava lo
spirito profano presente, ad esempio, nelle messe costruite su un cantus
firmus profano, o nelle Messe parodie basate su chansons, e le complessità
contrappuntistiche che rendevano incomprensibili le parole del testo.
Inoltre si riprovava la negligenza e il malcostume dei cantori nel fiorire la
propria parte per emergere nel contesto vocale, e la loro cattiva pronuncia
delle parole; infine si riprovava l'uso di strumenti rumorosi in chiesa.
Tuttavia, al di là di questi pronunciamenti, il Concilio di Trento non prese in
considerazione le questioni tecniche e non fornì le regole musicali da
seguire, ma demandò le soluzioni pratiche ai vari vescovi e alle diocesi.
Dunque non vennero ufficialmente proibite né la polifonia, né la parodia su
modelli profani: l'importante era che, qualunque soluzione tecnica fosse
adottata, il testo cantato rimanesse intelligibile, e fossero evitati abusi
esecutivi.
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che procedono per lo più a blocchi accordali, serviva allo scopo di mettere
in rilievo e con estrema chiarezza il ritmo naturale delle parole, che in
questo modo erano facilmente percettibili. Willaert aveva pubblicato nel
1550 i suoi Salmi a uno et a duoi chori a Venezia e questa produzione
ebbe seguito attraverso i suoi discepoli, a cominciare dal teorico Gioseffo
Zarlino che trattò questo procedimento compositivo nella sua opera
intitolata Istitutioni harmoniche del 1558.
Il procedimento antifonico regolare dei Salmi di Willaert, con sezioni
alternate regolarmente tra i due cori, venne arricchito e amplificato dal suo
allievo Andrea Gabrieli (1533-1585), che sfruttò questa tecnica con una
numerosa serie di effetti sonori: anzitutto con un maggior numero di cori
contrapposti, e inoltre con episodi espressi attraverso dialoghi serrati
seguiti da episodi che vedono i cori riuniti in procedimenti omoritmici,
frequenti effetti d'eco e ripetizioni di parole. Non è del tutto assente il
contrappunto imitativo, ma questo cede il posto principale allo stile
omoritmico accordale che viene usato per meglio sottolineare la
declamazione del testo. Il vocabolario è in genere diatonico, salvo la
presenza di qualche cromatismo teso a evidenziare concetti significativi.
Andrea Gabrieli operò spesso al di fuori di Venezia, in Italia e all'estero,
soprattutto nei paesi di lingua tedesca, tanto che fino alla metà del
Seicento le sue opere sacre e profane, ebbero larga diffusione in edizioni e
ristampe. Furono suoi allievi, tra gli altri, il teorico Lodovico Zacconi (1555-
1627), autore del trattato Prattica di musica e il nipote Giovanni Gabrieli
(1557 ca.- 1612).
La raccolta intitolata Concerti...per voci, et stromenti musicali,
pubblicata a Venezia nel 1587, contiene opere di Andrea e Giovanni
Gabrieli, sacre e profane, per organici che comprendono dalle 6 alle 16
parti sia vocali, sia strumentali, anche se di queste ultime non vengono
precisati gli strumenti esecutori.
Giovanni Gabrieli proseguì l'opera di evoluzione delle tecniche
policorali soprattutto nella sperimentazione di sempre nuovi impasti di voci
e strumenti e relativi effetti timbrici e sonori. Con Giovanni il mottetto
policorale arrivò a dimensioni mai raggiunte, perché vi furono impiegati fino
a cinque cori, ognuno con una diversa combinazione di voci acute e gravi,
e ognuno combinato con strumenti di timbro diverso. Famosa è la sua
Sonata pian'e forte, contenuta nelle Sacrae Symphoniae del 1597; si
tratta, formalmente, di un mottetto a doppio coro per strumenti, ed è
importante, più che per il valore musicale, per il fatto che è uno dei primi
pezzi stampati per un insieme strumentale in cui sono specificati
esattamente quali particolari strumenti sono richiesti, nell'esecuzione, per
ogni parte: il primo "coro" prevede una cornetta e tre tromboni, il secondo
"coro" un violino e tre tromboni. Ma la raccolta è importante anche perché
Giovanni in questa sonata fu uno dei primi a usare indicazioni di dinamica,
sia nel titolo, sia nella partitura, di "pian[o] e "forte" (la prima indicazione è
usata quando ogni "coro" suona da solo, la seconda quando i due "cori"
suonano insieme). Nelle citate Sacrae symphoniae del 1597 e nelle le
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1625).
Per quanto riguarda gli incontri dissonanti delle voci, questi in molti
casi possono essere interpretati come abbellimenti, ma in effetti essi
venivano prevalentemente impiegati da Monteverdi allo scopo di rendere e
comunicare il significato e gli "affetti" contenuti nel testo poetico. Anche
se Monteverdi non usa i cromatismi e le conseguenti dissonanze nel modo
esasperato di Gesualdo da Venosa, tuttavia, soprattutto a cominciare dal
suo Terzo libro di madrigali lo vediamo derogare dalle regole
contrappuntistiche riguardanti gli incontri consonanti delle voci.
Furono proprio le deviazioni dalle regole grammaticali
contrappuntistiche riguardanti le combinazioni armoniche dissonanti che
sollecitarono il biasimo del teorico bolognese Giovanni Maria Artusi, allievo
di Zarlino, il quale nella sua opera L'Artusi, ovvero Delle imperfettioni della
moderna musica (1600) e nella successiva Seconda parte dell'Artusi
(1603), criticava le innovazioni armoniche di Monteverdi che
contrastavano con la regola, per esempio, per cui ogni dissonanza deve
essere preceduta e seguita da una consonanza. Tra i vari passi
monteverdiani contestati dall'Artusi c'è quello iniziale del madrigale Cruda
Amarilli (pubblicato per la prima volta nel quinto libro di madrigali a cinque
voci, del 1605, ma sicuramente in circolazione in forma manoscritta già
all'inizio del secolo): in esso Artusi disapprovava le licenze
contrappuntistiche causa di aspre dissonanze negli incontri vocali. Ma
proprio tali dissonanze poste su parole-chiave sono indice della volontà di
Monteverdi di comunicare attraverso l'insieme armonico il significato
emozionale del messaggio poetico.
La risposta di Monteverdi all'attacco di Artusi appare
dapprima nella lettera agli Studiosi lettori, pubblicata nello stesso quinto
libro, dove afferma di essere consapevole di ciò che scrive ("..io non faccio
le mie cose à caso"), ed enuncia l'esistenza di una "seconda prattica",
successiva e diversa da quella "insegnata dal Zerlino". Due anni dopo, il
concetto di "seconda prattica" fu spiegato dal fratello di Monteverdi, Giulio
Cesare, nella dichiaratione anteposta alla pubblicazione degli Scherzi
musicali (Venezia, 1607) con le seguenti parole: "[...] prima prattica
intende che sia quella che versa intorno alla perfetione del armonia [della
musica], cioè che considera l'armonia non comandata ma comandante, e
non serva ma signora del oratione [testo] [...]; seconda prattica, della
quale è stato il primo rinovatore ne nostri caratteri il divino Cipriano Rore
[...] intende che sia quella che versa intorno alla perfetione della melodia,
cioè che considera l'armonia comandata non comandante, e per signora del
armonia pone l'oratione, per cotali ragioni halla detta seconda e non nova".
Secondo Monteverdi dunque, l'Artusi criticava le innovazioni armoniche
senza tenere conto delle esigenze illustrative del testo ("[...] nulla
curandosi dell'oratione, tralasciandola in maniera tale come se nulla
havesse che fare con la musica"). Era infatti ormai da tempo in atto un
mutamento nei rapporti tra musica e poesia, e la parola, lungi ormai
dall'essere considerata mera base fonetica e sostegno delle complicate
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