ORGANICO: Quando ascoltiamo un brano è importante conoscere l’organico, cioè quali sono gli
strumenti e/o le voci che lo stanno eseguendo.
CANTO GREGORIANO: canto liturgico ufficiale della Chiesa cattolica fino al concilio Vaticano II
(1962-5), in cui si abbandonò il latino.
Monodico o omofono, esclusivamente vocale, quindi a cappella (ultimi secoli: accompagnamento
Organo), ritmicamente flessibile, perché determinato dal testo letterario intonato.
Nome: papa Gregorio Magno, a cui si attribuisce il merito di averne fatto codificare il repertorio;
in realtà si era formato in epoca medievale.
In Età carolingiaàlarga espansione grazie all’invenzione di sistemi di notazione musicale, che
fissarono le melodie (prima orali).
Ribadito nel Concilio di Trento (XVI sec) il suo ruolo centrale nella liturgia.
Dal 1905 l’Editio Vaticana iniziò la pubblicazione delle melodie gregoriane ufficiali, utilizzando la
notazione quadrata su tatragramma.
Notazione: segnià Neumi (trasformazione degli accenti grammaticali della letteratura latina)
semplici (punctum/virga = 1 nota) o composti (più note)à all’inizio posti sopra le parole del testo
(tipo di notazione a campo aperto o adiastematica à linea immaginaria), poi iniziò ad essere più
marcata. Invenzione del rigo musicale (Guido d’Arezzo) à notazione diastematica.
Ovviamente non è una notazione che indica la durata o la lunghezza delle parole.
Dominus dixit ad me: brano eseguito omofonicamente, cioè più voci (di monaci) cantano la stessa
linea melodica all’unisono (in latino). È impossibile seguire/battere ritmicamente questo canto,
perché il concetto di ritmo è molto flessibile, non ha un ritmo musicale vero e proprio, ma segue il
testo letterario.
NOTAZIONE: è la scrittura della musica. La musica viene scritta. Ha le sue origini nell’epoca
medievale e continua per secoli. Per moltissimo tempo è manoscritta, perché la stampa musicale
nasce nel 1500 circa in Italia, anche se la notazione manoscritta convive anche quando c’è la
stampa musicale. Ovviamente la notazione esiste solo per la musica scritta, perché esiste anche
una musica orale, in cui c’è l’improvvisazione.
OMOFONIA: tante persone o tanti strumenti che suonano una sola linea melodica all’unisono à
tutti eseguono le stesse note o all’ottava.
MONODIA: Un solo suono, quindi una sola voce (di uno strumento o di una persona).
POLIFONIA: Più voci che cantano linee melodiche diverse, per esempio 4/5 voci che magari
attaccano la melodia in momenti diversi e con linee melodiche diverse. Di solito le voci sono miste:
la voce più alta è del soprano (femminile tantus), contralto (femminile altus), tenore (maschile
tenor), basso (maschile bassus). + di 4 raddoppia una delle precedenti (es. ci sono due
soprani..ecc)
Ovviamente le note che cantano in un brano polifonico, devono essere consonanti (deve esserci
consonanza ≠ dissonanza) tra di loro, devono andare d’accordo e l’effetto deve essere gradevole.
OMORITMIA: linee melodiche vocali o strumentali diverse, ma simultanee à stesso ritmo
BASSO CONTINUO: è una tecnica che nasce all’inizio del ‘600. Basso in musica significa una linea
grave, continuo nel senso una linea strumentale che procede continuamente dall’inizio alla fine
del brano. Nelle partiture viene individuata dalla chiave di basso all’inizio del pentagramma .
Gli esecutori del basso continuo di solito sono il violoncello, il clavicembalo. Viene utilizzato di
solito come supporto per i cantanti. Lo troviamo nell’opera, negli oratori, nelle cantate ecc,
insomma è una tecnica utilizzatissima. Per esempio viene usato nell’ Oratorio: Susanna di
Alessandro Stradella, 1681. In cui c’è la voce che viene eseguita contemporaneamente al basso
continuo (clavicembalo e violoncello).
DISTINZIONE TRA MUSICA SACRA E MUSICA PROFANA: La musica sacra appunto tratta di
argomenti sacri, legati al mondo della Chiesa. Va distinta tra musica sacra e musica liturgica,
perché non sempre una musica che è sacra appartiene anche alla musica liturgica. La musica
liturgica è collegata alla liturgia, quindi (nella messa cattolica) ai riti della messa o della liturgia
delle ore. La musica sacra invece è musica che ha argomento religioso, per esempio riprende
episodi tratti dalla Bibbia, ma non è musica liturgica, per esempio l’oratorio.
La musica profana fa parte della sfera del profano appunto, quindi tutto ciò che non è sacro, in cui
gli argomenti sono amorosi, scherzosi, bucolici ecc.
CANTI CARNESCIALESCHI: durante le feste di carnevale a Firenze. Lorenzo de’ Medici à sfilate
accompagnate da musiche polifoniche composte da musicisti fiamminghi. In genere a 4 voci,
d’impianto omoritmico, avevano una struttura analoga a quella della ballata.
FROTTOLA MUSICALE: Nata intorno al 1480 e tende a scomparire intorno agli anni ‘20 del ‘500 ed
è un genere collegato alle corti. Di soggetto amoroso, la frottola musicale intona forme letterarie
strofiche (ripetizioni) o trattate musicalmente come tali: appunto frottole (di vario metro, con
ritornello ricorrente), ma soprattutto strambotti lirici monostrofici, barzellette, odi, capitoli,
sonetti. La frottola è un canto polifonico, spesso a 4 voci (Canto, Alto, Tenore, Basso) che hanno
linee diverse, ha una struttura in cui prevale la dimensione accordale e omoritmica. La voce più
grave ha funzioni più che altro di fondamento. Delle due voci intermedie, solo il Tenore sembra
essere davvero essenziale: nel tipo di esecuzione di cui s’è detto (a canto accompagnato da
strumenti) significativamente di solito l’Alto viene eliminato.
Ostinato vo’ seguire: frottola di Bartolomeo Tromboncino. Si tratta di 3 sestine di ottonari. Ogni
sestina presenta la struttura AABA’ in cui A presenta la melodia “Ostinato vo’ seguire, B diversa
melodia, A’ ripropone la melodia iniziale seguita da una coda. Eseguita da una sola voce, che
esegue una delle linee vocali e da uno strumento (il liuto: strumento a corde con la tastiera, con
un manico che finisce ad angolo retto in cui ci sono le caviglie che tendono le corde; ha una cassa
armonica panciuta) che esegue le 3 voci che restano.
periodi più o meno lunghi, o addirittura per stabilirvisi definitivamente: cantori, compositori,
organisti. I musicisti attivi nella Francia settentrionale (Parigi soprattutto), nella Borgogna e nelle
Fiandre avevano sviluppato tecniche di composizione musicale polifonica sempre più solide e
sofisticate: erano diventati veri e propri specialisti in quello stile che oggi viene chiamato ‘Stile
fiammingo’. Si fonda sulla sovrapposizione e sulla combinazione di più voci (polifonia), e sul
contrappunto. La tecnica che praticarono di più è l’imitazione, che può assumere anche la veste
del canone. Questi musicisti si formavano nelle scuole ecclesiastiche ma anche in ambito
universitario, questi musicisti nord-europei diffusero tecniche e gusti complessi e artificiosi,
lavorando nelle principali corti e chiese italiane. I generi da loro più praticati furono la messa, il
mottetto e la chanson. Praticavano molto lo STILE A CAPPELLA: canto eseguito dalle sole voci,
senza l’intervento di strumenti musicali. Inizialmente collegata al canto gregoriano, si estese poi
anche alla musica polifonica sacra in generale, e in seguito anche a quella profana.
CHANSON: In ambito profano è il genere più importante. È affine alla frottola, infatti hanno in
comune la polifonia e la stroficità (ripetizioni). Diffusasi nel corso del XV secolo, la chanson
polifonica intona testi profani in francese, spesso di carattere descrittivo o amoroso, quasi
sempre di struttura strofica. Le chanson mettono in musica testi poetici preesistenti.
Generalmente a 3 o 4 voci, presenta una scrittura in stile imitativo, di carattere brillante, con
predominanza della voce più acuta. Scrissero chansons tutti i grandi maestri fiamminghi del XV e
XVI secolo, tra cui ricordiamo il celebre Josquin Desprez.
Aultre Vénus: Chanson di Johannes Ockeghem. Chanson polifonica a quattro voci. Il motivo iniziale
(A) torna ogni volta che comincia una nuova strofa (versi 1, 5, 9, 13). Nella seconda strofa, il
motivo A torna addirittura due volte, all’inizio (v. 5) e a metà (v. 7: qui infatti si ripete il medesimo
testo dell’inizio della chanson).
MADRIGALE del trecento: In Italia il più importante genere di polifonia misurata su testo in
volgare nella prima metà del Trecento fu il madrigale. Anzi, il suo nome forse rimanda proprio a
questo dato di fatto: il suo mettere in musica una forma di poesia in volgare (il madrigale,
appunto) che, come lingua letteraria, utilizza la lingua materna (matricalis: da mater). Dal punto di
vista musicale è una composizione in genere a due voci: quella inferiore (tenor: dal verbo tenere)
presenta appunto note tenute, sulle quali quella superiore si snoda con valori più brevi e con
fioriture vocalizzate (melismi). A volte le due voci entrano sfasate, dando vita ad una specie di
inseguimento (caccia). Compositori di madrigali furono Giovanni da Cascia e Iacopo da Bologna, a
cui si deve la veste musicale di un madrigale di Francesco Petrarca, “Non al suo amante più Diana
piacque”, che confluirà poi nel Canzoniere.
MADRIGALE del Cinquecento: Il termine era già apparso nel Trecento. Ora invece designa un
genere polifonico che si sviluppa a partire dagli anni ’20 e ‘30 del Cinquecento. Esso compare
prima nell’Italia centrale, poi anche e soprattutto in quella settentrionale, in parallelo con la voga
letteraria del Petrarchismo. Esistono madrigali in genere a 4/5 voci (soprano/cantus –
altus/contralto – tenor/tenore – bassus/basso; se c’è una quinta voce si chiama quintus, se ci sono
altre voci si raddoppia una delle precedenti), ma anche a 3 o 6 ecc. Nella sua fase iniziale è un
brano a cappella (non ci sono strumenti). Sono voci che fanno melodie diverse (polifoniche), che
usano la tecnica del contrappunto. Il compositore mette in musica un brano poetico preesistente,
quindi ci sono madrigali musicali che mettono in musica dei sonetti oppure delle sestine o delle
ottave. Tra le tante morfologie letterarie ce ne sono alcune più adatte e alcune meno adatte, per
esempio il madrigale letterario che è più adatto, perché ha una forma più libera di altre
morfologie. Facendo una “classifica” degli autori scelti per il madrigale vediamo che Petrarca dal
1550 fino al 1630 c’è sempre, viene sempre scelto, anche se nell’ultimo periodo non viene scelto
come prima scelta, ma si tende a preferire un poeta contemporaneo, per esempio Tasso, Guarini,
Sannazaro.
Il bianco e dolce cigno: madrigale del 1539 scritto da Archadelt, le parole scritte dal marchese
d’Avalos. Brano piuttosto breve e conciso (anche dal punto di vista contenutistico). È un madrigale
letterario perché, come in questo caso, i versi devono essere o endecasillabi o settenari. Le rime
non hanno uno schema prestabilito (per esempio il primo non rima con nessun altro verso). Non è
un brano strofico, nel senso che non c’è la stroficità, la musica non propone materiale già
presentato, va sempre avanti.
Pueri Haebraeorum: esempio di polifonia sacra a cappella del 1500 circa composto da Palestrina,
mottetto a 4 voci (canto, canto, alto, tenore).
STAMPA MUSICALE: è stata importantissima per la diffusione del madrigale (anche per tutto il
resto ovviamente). Nel 1500 circa, quindi nemmeno 50 dopo dall’invenzione di Gutenberg, anche
la musica si è attrezzata per la stampa, infatti proprio in Italia è stata inventata la stampa
musicale. Il primo che ha istituito un negozio di stampature a Venezia è stato Ottaviano Petrucci
utilizzando le stesse tecniche della stampa normale, quindi mettendo insieme i caratteri mobili e
la triplice impressione (che necessitava di una precisione grandissima)à un foglio che viene
inchiostrato tre volte: nella prima si passa sotto il torchio per imprimere i righi musicali, nella
seconda si applicavano le note e nella terza le parole (quando c’erano), i titoli e altri elementi che
potevano servire.
SOGGETTO: Breve motivo musicale esposto inizialmente, e poi oggetto di elaborazione polifonica
perlopiù imitativa. Il soggetto può essere «cavato», cioè può derivare le note che lo compongono
dalle lettere di un nome o di una frase, un artificio molto usato dai polifonisti fiamminghi.
FANTASIA: Brano strumentale polifonico di solito per tastiera, di carattere imitativo; in seguito
assunse invece un carattere più libero, quasi improvvisativo.
PIFFARI: Nome generico di strumento aerofono (in cui cioè il suono viene prodotto dalla
vibrazione di una colonna d’aria) la cui imboccatura è munita di una coppia di lamelle (ance)
accostate. Propriamente, si trattava di una bombarda o cialamello, ossia una specie di oboe. I
piffari di corte si esibivano durante eventi pubblici o privati, da soli o insieme ad altri strumenti
(soprattutto i suonatori di trombone), formando un complesso strumentale che all’epoca era
detto «cappella alta», cioè ‘sonora’, adatta a prestazioni all’aperto o in luoghi grandi.
Nel 1600 a Firenze ci fu un avvenimento molto importante: Maria de’ Medici sposa Enrico IV re di
Francia, per cui ci furono settimane di festeggiamenti, in cui ci furono messi in scena moltissimi
spettacoli, tra cui la prima opera in musica: l’Euridice. Il librettista era Ottavio Rinuccini, mentre il
compositore era Iacopo Peri.
Altra opera molto importante, messa in scena nel 1607 a Mantova nella corte dei Gonzaga, fu la
Favola di Orfeo à compositore era Claudio Monteverdi, mentre il librettista Alessandro Striggio.
Altra opera molto importante del 1643 è L’incoronazione di Poppea, composta da Monteverdi sui
versi di Francesco Busenello.
Il testo dell’opera è in versi sciolti (cioè versi che hanno due possibilità di metro, settenario o
endecasillabo, versi che non hanno una struttura pre-determinata) o in versi misurati (cioè sono
costruiti in modo da creare degli schemi ordinati e si possono usare versi di qualsiasi lunghezza
settenari/ottonari/endecasillabi ecc). Per i versi sciolti si usa lo stile recitativo, in cui c’è una
diversa emissione della voce à il cantante emette un modo di cantare molto vicino al parlare.
L’accompagnamento anch’esso è molto scarno, infatti è spesso eseguito dal basso continuo,
quindi pochi strumenti e il resto dell’orchestra tace. Per i versi misurati si usa l’aria, una melodia
facilmente memorizzabile anche con ripetizioni, in cui il cantante canta davvero e ha bisogno di un
accompagnamento più cospicuo, in cui di solito suona tutta l’orchestra o una gran parte.
Esempio di Oratorio: Susanna di Alessandro Stradella, 1681. Oratorio in due parti: 1) “Ma costanza
miei fidi pensieri” = Aria. 2) “Così l’afflitta donna” = Recitativo.
Nel 1637 a Venezia nel teatro di San Cassiano ci fu un avvenimento molto importante: viene data
in musica l’Andromeda, un’opera di Manelli su testo di Ferrari. Per la prima volta si poteva
assistere all’opera non su invito, ma a pagamento e questo diede vita al teatro impresariale, un
teatro fatto ai fini di lucro e non per celebrare la corte. Questo apre un mondo completamente
diverso, in cui persone (attori/cantanti, scenografi, macchinisti ecc) si iniziano a dedicare al teatro
come un lavoro. Nascono gli spettacoli a Venezia e vengono esportati in tutta Italia, spettacoli che
si potevano vedere solo alcune sere all’anno e poi non venivano più messi in scena.
MUSICA SACRA DEL ‘500: La musica sacra appunto tratta di argomenti sacri, legati al mondo della
Chiesa. Va distinta tra musica sacra e musica liturgica, perché non sempre una musica che è sacra
appartiene anche alla musica liturgica. La musica liturgica è collegata alla liturgia, quindi (nella
messa cattolica) ai riti della messa o della liturgia delle ore. La musica sacra invece è musica che ha
argomento religioso, per esempio riprende episodi tratti dalla Bibbia, ma non è musica liturgica,
per esempio l’oratorio. I generi principali che venivano utilizzati sono la messa e il mottetto. La
MESSA può essere messa in musica sia con il canto gregoriano, sia con la tecnica della polifonia,
dello stile fiammingo e con la tecnica del contrappunto. Venivano messe in musica solo le parti
fisse dell’Ordinarium missae, cioè le letture fisse: Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus-Benedictus, Agnus
Dei.
MESSA: è il genere di composizione liturgica più importante. A partire dal Trecento, e sempre più
spesso dal Quattrocento, essa ebbe veste anche polifonica generalmente a 3, 4 o (più tardi) 5 voci.
Le parti liturgiche interessate da questo processo di enfatizzazione sonora furono di gran lunga
quelle dell’Ordinarium missae, cioè le letture fisse: Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus- Benedictus,
Agnus Dei. Quando si parla di messa polifonica s’intende la successione di questi 5 brani.
Ovviamente il testo era sempre quello, sempre lo stesso in latino (almeno per la religione
cattolica). Molto spesso, soprattutto i compositori fiamminghi, che erano amanti del gioco e degli
escamotage, avevano l’abitudine di scegliere un motivo preesistente e farlo diventare la base della
loro messa. Questo brano si chiama cantus firmus, veniva ripreso da un canto gregoriano noto ad
esempio e veniva affidato di solito ad una delle voci (di solito il tenor, che appunto tiene le note
della melodia, in modo che tutte le altre voci possano contrappuntare con lui). Oppure il cantus
firmus poteva essere ripreso da una chanson profana, tant’è vero che queste messe poi
prendevano il nome delle chanson da cui derivavano (il mondo profano che entra in quello sacro).
Il cantus firmus di solito veniva proposto in tutte e 5 le parti fisse della messa e appunto questa
messa polifonica prende il nome di messa ciclica. Un’altra possibilità era quella di inventarsi il
brano, anche se magari riprendevano un qualcosa da un brano già preesistente (ad esempio dal
titolo) e queste messe si chiamano su soggetto cavato, il soggetto appunto viene ricavato da
un’artificiosità, da un pretesto diciamo (era una scusa per ricavare una melodia).
Il ‘500 è stato un secolo molto importante per la religione, innanzitutto perché nel 1517 c’è stato
l’inizio della Riforma luterana e poi perché successivamente c’è stata la risposta ovvero la
Controriforma con il Concilio di Trento (iniziato nel 1545 e finito nel 1563). Da un punto di vista
musicale questi avvenimenti hanno avuto dei riscontri importanti, ovviamente nel Concilio di
Trento, non sono state prese decisioni dirette per la musica, ma la musica, a volte, è entrata
indirettamente nelle argomentazioni del Concilio, magari per risolvere altri problemi. Lutero aveva
fatto cose importanti dal punto di vista musicale e un aspetto importante della musica protestante
era il fatto che si pregava cantando, quindi il canto era un aspetto su cui Lutero aveva puntato
molto. Un altro aspetto molto importante era che Lutero aveva tradotto la Bibbia nella sua lingua
e aveva anche tradotto canti in lingua tedesca. Ovviamente nel Concilio di Trento non si
abbandona l’uso del latino per la Chiesa, però si è cercato di rendere più comprensibile la musica
in chiesa, adottando un tipo di composizione che aiutasse a comprendere meglio le parole (che
comunque restavano in latino). Un altro elemento che il Concilio di Trento sistemò fu quello di
eliminare il mondo profano da quello sacro (banditi i cantus firmus che provenivano da musica
profana).
MOTTETTO: composizione polifonica a 3 voci nata verso la metà del Duecento. Nel corso del
Quattrocento si stabilizzò a 4, e poi a 5 voci, e andò definitivamente collocandosi in ambito
liturgico. Abbandonò così l’originaria destinazione profana, ed anche la primitiva compresenza di
differenti testi letterari (spesso magari in lingue diverse). Lo praticarono quasi tutti i maggiori
compositori fiamminghi da Dufay a Despres, e successivamente anche compositori italiani come
Palestrina e i Gabrieli. Nell’ambito della musica liturgica il mottetto è una composizione singola (e
non una catena di 5 brani, come la messa) che utilizza testi relativi al Proprium missae, cioè
all’insieme delle letture specifiche del giorno.
MUSICA STRUMENTALE DEL ‘600: comprende due grandi generi che si praticavano in Italia: la
sonata a tre e il concento grosso. LA SONATA A TRE: significa un brano esclusivamente da
suonare senza le voci (appunto sonata), a tre parti, con tre diverse linee autonome che procedono
parallelamente. Arcangelo Corelli è un compositore seicentesco romagnolo che ha vissuto gran
parte della sua vita a Roma, ha scritto molta musica strumentale: delle sonate (da camera) a tre
à a tre non vuol dire che lo eseguano tre strumenti, ma che ci sono tre parti che possono essere,
come nel caso delle sonate da camera di Corelli, due violini e violone o cembalo (si può scegliere
di farlo con il violoncello o con il basso continuo).
Esistono le sonate da camera e le sonate da chiesa che sono diverse soprattutto per un aspetto: il
numero dei movimenti non è predeterminato nelle sonate da camera e spesso prendono il nome
dalla danza a cui sono ispirati (es: giga, allemanda, sarabanda); se il primo movimento è lento, è
molto probabile che il secondo sia più veloce ecc à ci deve essere una certa alternanza.
Tutto questo non si trova nelle sonate da chiesa: per esempio i movimenti di una sonata usano le
indicazioni del tempo e si chiameranno semplicemente lento, adagio, grave (quelli lenti) e presto,
allegro (quelli veloci).
IL CONCERTO GROSSO: a quell’epoca esisteva una distinzione tra tre tipi di concerti: il concerto
ripieno, il concerto solista e il concerto grosso. Quello che hanno in comune è l’orchestra, perché
appunto sono brani per orchestra. Il concerto ripieno è tutto orchestrale, il concerto solista pone
in contrapposizione l’orchestra e uno strumento solista (in questo periodo quasi sempre il violino,
nel periodo di Mozart può essere quasi sempre il pianoforte). Il concerto grosso è la
contrapposizione dell’orchestra (che si chiama Tutti) e del concertino (una parte di strumenti,
Soli), cioè alcune parti strumentali che rispondono all’orchestra.
OPERA SERIA DEL ‘700 - METASTASIO: è un poeta importantissimo del ‘700 che ha lavorato
moltissimo per l’opera, che ha scritto un numero grandissimo di libretti, che sono stati scelti da
tantissimi compositori per metterli in musica in tutta Italia e soprattutto a Vienna. I personaggi dei
suoi libretti vengono analizzati soprattutto dal punto di vista psicologico, vivono dei conflitti
interiori, sono sempre posti davanti a delle scelte difficili, devono compiere azioni sofferenti,
insomma personaggi lacerati. È una teatralità più legata alla parola che all’azione, perché spesso
queste sofferenze vengono solo raccontate e non accadono in scena in quel momento. Dal punto
di vista della versificazione, usa moltissimo i versi sciolti (endecasillabi e settenari) e vengono
messi in musica nello stile recitativo (in modo sillabico e declamatorio che si avvicina al parlato), in
cui diventano importanti i monologhi narrativi, in cui l’azione procede (succede qualcosa durante
il loro svolgimento). Dal punto di vista della strumentazione, il recitativo deve essere
accompagnato dal basso continuo à recitativo semplice (si chiamerà ‘secco’ nell’800) quando il
basso continuo è esclusivamente fatto dal clavicembalo o dal violoncello. à recitativo
accompagnato, quando il basso continuo è accompagnato da qualche strumento dell’orchestra.
Le arie in Metastasio sono importantissime, sono in versi misurati e sono abbastanza brevi.
L’aspetto musicale invece è più complesso dell’aspetto letterario. L’aria è il momento in cui il
cantante esprime un sentimento, il proprio stato d’animo, in uno stile molto più vocalizzato e
complesso con l’accompagnamento dell’orchestra. Ci sono tantissimi tipi di arie: ci sono le arie di
rabbia, di passione, amorose, di gelosia ecc., alcune hanno delle introduzioni musicali, altre
cominciano insieme all’accompagnamento musicale. Molto importanti sono le ARIE CON IL ‘DA
CAPO’: sono arie che dal punto di vista della struttura letteraria sono suddivisibili in due momenti.
Il compositore affida alla sezione iniziale (sezione A) una melodia iniziale di esordio, poi si passa
alla sezione B in cui la melodia cambia, quando finisce la sezione B, si fa ascoltare di nuovo la
sezione Aà che può variare diventando appunto A’.
Tito Manlio, di Antonio Vivaldi: aria con ‘da capo’. Sono 4 versi in cui la parte A sono i primi 2 versi
e la parte B gli ultimi due versi. C’è un’introduzione strumentale e dopo qualche battuta parte la
voce. I versi della parte A sono ripetuti più volte. Nella parte B c’è una ripetizione del secondo
verso. E poi c’è il ‘da capo’, che in realtà è un A’, perché la cantante ripete la stessa struttura, ma
abbellendola.
OPERA COMICA DEL ‘700: Rispetto all’opera seria c’è più dinamismo esteriore (no aspetti
interiori), l’azione è più evidente. Ci sono grandi giochi di scena, grandi movimenti, il personaggio
invece di pensare, agisce à questo comporta un uso più massiccio di numeri d’assieme (cioè con
più personaggi) che tendono ad essere più lunghi e importanti; tra questi spicca il finale degli atti
intermedi, che diventa il momento clou dell’opera, in cui si ha il massimo sviluppo della trama. à
Lo afferma anche Lorenzo Da Ponte quando dice che i finali d’atto intermedi sono dei drammi nel
dramma, che potrebbero quasi vivere da sé. Nei finali i recitativi non ci sono, sono solo una serie di
brani in versi misurati che formano il finale à mettono in campo tutti i personaggi e poi ci sono
sezioni diverse (alcune più lente, altre più veloci ecc. finché si arriva al culmine del finale d’atto).
La Cecchina (La buona figliola), di Niccolò Piccinni (libretto di Goldoni), siamo nel 1760: I
personaggi sono Sandrina, Paoluccia, Cecchina, Tagliaferro (è un soldato), Marchese à i
personaggi delle opere comiche non sono personaggi storici né mitologici, sono persone più vicine
a quelle reali (es. nobildonne, nobiluomini, servette, fanciulle ecc.).
BELLINI E DONIZETTI: Le nuove tendenze romantiche che si erano giù viste in letteratura iniziano a
vedersi anche nell’opera in musica, quindi cambiano gli argomenti, tragedie, persone che muoiono
in scena à quindi un teatro diverso da quello precedente. Però certe costruzioni (accostamento
tra elemento cantabile e cabaletta) rimangono. Anzi tendono ad essere sempre più articolate.
Un’opera di Donizetti può avere per ogni atto 3/4 numeri e quindi 3 o 4 atti, possono avere 12/16
numeri, quindi cala il numero dei brani, ma la struttura diventa più complessa.
Donizetti, Lucia di Lammermoor, duetto Lucia-Edgardo “Sulla tomba che rinserra”.
Bellini, Norma, aria di Norma “Casta diva”.
Verdi, Nabucco, coro “Gli arredi festivi giù cadano infranti” (1842)
JOHANN SEBASTIAN BACH: nacque nel 1685 in una famiglia di musicisti e i suoi primi insegnanti
furono il padre e il fratello maggiore. Dimostrò molto talento affermandosi come organista,
violinista e compositore prodigio. Nel 1708, all’età di soli 23 anni divenne musicista di corte dei
ducati di Sassonia, e con il medesimo incarico, passò al servizio del principe di Cothen, con
l’obbligo di comporre ed eseguire tutti i giorni tutta la musica che accompagnava la vita di corte.
Nelle 1723 si trasferì a Lipsia, per consentire ai figli più grandi di iscriversi all’università di questa
città. Rimase a Lipsia fino alla morte e la sua tomba si trova oggi nella grande chiesa di San
Tommaso. Bach ebbe due mogli che gli diedero un numero considerevole di figli (25, ma soltanto
la metà raggiunse l’età adulta), e proprio i suoi figli lo aiutarono nei suoi ultimi anni di vita quando
si ammalò agli occhi e divenne completamente cieco. Morì a Lipsia nel 1750.
Compositore che è attivo nella prima metà del ‘700.
IL CORALE: il termine proviene dalla parola tedesca Kirchenlieder = canti da chiesa, che sono
strettamente collegati alla liturgia della chiesa tedesca (che è una chiesa luterana). Quindi il corale
fa parte della liturgia luterana. Al tempo di Bach c’erano già molti corali, che lui utilizzerà, infatti lui
attinge ad un repertorio che si era costruito nei secoli precedenti a partire da Lutero (‘500), il
quale a sua volta ha attinto ad un repertorio ancora precedenteà faceva parte per esempio del
mondo profano o del canto gregoriano. Anche Lutero stesso scrisse corali, che vennero utilizzati
nei secoli successivi e poi anche da Bach che fece un lavoro di rielaborazione, di riscrittura, che ha
fatto sì che questi corali diventassero qualcosa di diverso.
I corali erano strofici, in cui le strofe erano costituite di 8 versi alternati (ABABCDCD). Le melodie
provenivano da un repertorio antecedente. I corali dovevano essere semplici, con ripetizioni, che
aiutassero la memorizzazione, perché per i fedeli doveva essere semplice ricordarli. Era un canto
omofonico, cioè tutti i partecipanti cantavano la stessa melodia, le stesse note, nello stesso
momento.
Bach però fa una cosa diversa: trae i suoi corali da corpus già esistenti, quindi la melodia non l’ha
inventata, però l’ha rielaborata attraverso il processo di ARMONIZZAZIONE: in cui innanzitutto
bisogna scegliere la melodia e poi armonizzarla, cioè affidare ad una sola voce, quella superiore
(soprano), la melodia e costruire le note delle voci intermedie e inferiori à ad esempio affidare
alla voce di contralto altre note, diverse da quelle della melodia principale; e così fare per la voce
di tenore e per quella di basso. La voce del basso è affidata, oltre che al cantante, anche al basso
continuo. E quando queste voci si fanno suonare insieme si ottiene un accordo, cioè quando
almeno tre note suonano contemporaneamente, e si crea una verticalizzazione della melodia. In
questo modo il corale diventa più complesso, però segue uno schema di tipo omoritmico, cioè
ogni voce, anche se canta note diverse, dice la stessa parola/la stessa sillaba nello stesso
momento, quindi è molto facile da seguire.
Bach usava i corali in composizioni più grandi: nella CANTATA che è composta da una media di
7/8/10 brani, di cui 2 sono corali, oppure nelle PASSIONI in cui ci sono molti corali dentro.
LA FUGA: è una tecnica compositiva. La base di una fuga è un tema/una melodia (alcune volte
molto breve) sulla quale Bach costruisce tutta la fuga, o gran parte di essa, e questa costruzione è
basata sul contrappunto (quando ci sono più note che vengono suonate insieme e devono essere
in accordo, quindi deve esserci un certo intervallo tra una nota e l’altra).
Noi abbiamo studiato le Fughe della raccolta del Clavicembalo ben temperato, cioè fughe
destinate ad essere suonate da un solo strumento. In cui ci sono fughe a 3/4/5 voci strumentali à
quindi linee melodiche che hanno tutte la stessa importanza.
La struttura della fuga è tripartita: la parte A (esposizione, perché espone i temi), la parte B
(svolgimento, perché li svolge) e la parte A’ (riesposizione, perché riespone i temi iniziali).
L’esposizione è il momento più importante, in cui troviamo l’essenza della fuga, cioè il soggetto (il
tema principale). Il soggetto della fuga viene esposto da una delle voci, quando termina
l’esposizione del soggetto, la seconda voce può cominciare a fare la sua esposizione e risponde al
soggetto, infatti si chiama risposta, che usa la tecnica dell’imitazione, quindi non sempre è uguale
la risposta, è molto simile (quando è uguale si dice che è una risposta reale, altrimenti si dice
tonale). Mentre la seconda voce fa la risposta, la prima voce fa il controsoggetto, dopo averlo
fatto, propone parti libere. L’esposizione termina quando tutte le voci hanno proposto il soggetto,
il controsoggetto e qualcuno anche le parti libere. Inizia lo svolgimento, è la parte più libera, in cui
il compositore può fare quale gioco di scambio: il soggetto può essere ripresentato camuffato (ad
esempio dalla fine all’inizio, anziché dall’inizio alla fine). Tutti i procedimenti sono ammessi e
vengono chiamati divertimenti. Poi c’è la riesposizione, in cui si ritorna da dove si è partiti e le
voci devono riesporre il soggetto, di solito con le voci più riavvicinate à invece di essere una dopo
l’altra, sono sovrapposte, cioè cominciano quando ancora la voce precedente non ha terminato à
queste parti vengono chiamate stretti, perché appunto i tempi si stringono.
Ovviamente questo è uno schema di massima, perché nessuna fuga è uguale all’altra.
Fuga n. 2 dal Clavicembalo ben temperato: è una serie di composizioni create per il clavicembalo,
anche se noi l’abbiamo ascoltata nella versione per pianoforte. Sono due raccolte di fughe (una del
1722, una del 1744) e ogni fuga viene abbinata ad un altro brano (preludio). Ogni fuga (che può
essere a 3/4/5 voci) viene presentata in una diversa tonalità, cioè il compositore deve scegliere
quali note usare, per esempio se sceglie di usare il Do, può usare tutte le note che appartengono
alla scala del Do, quindi Do Re Mi Fa Sol La Si; se invece sceglie di usare il Re, deve usare Re Mi Fa
diesis Sol La Si Do diesis Re. à quindi il concetto di tonalità è: scegliere una certa scala e usare
quelle note di quella scala, eliminando le altre. Però può attuare anche la tecnica della
modulazione, cioè cambiare uno di questi suoni, eliminarlo temporaneamente e usare uno dei 5
che non aveva usato.
GEORG FRIEDERICH HANDEL: VITA Händel nacque nel 1685 a Halle, in Germania, da una famiglia
senza tradizioni musicali. Iniziò da bambino lo studio della musica, dimostrando subito un grande
talento come compositore e organista. All'università di Halle intraprese anche studi giuridici. Nel
1703 si stabilì ad Amburgo, dove lavorò come violinista e dove ebbero luogo le prime esecuzioni di
sue musiche, tra cui l'opera Almira, regina di Castiglia (1705). Negli anni successivi compì diversi
viaggi in Italia, in Germania e a Londra, dove nel 1711 fu rappresentata con grande successo la sua
opera Rinaldo. Nonostante sia oggi conosciuto soprattutto per gli oratori e la musica strumentale,
ai suoi tempi Händel fu molto apprezzato per le opere teatrali, prevalentemente composte
secondo il modello dell'opera seria italiana (forme musicali). Ambientata in epoca classica, di
argomento letterario o di ambientazione mitologica, l'opera seria alterna, in lingua italiana,
recitativi e arie. I recitativi, con un'intonazione vicina alla lingua parlata, servivano a far procedere
l'azione ed erano accompagnati dal cembalo e a volte dall'orchestra. Le arie, con intonazione
melodica, avevano la funzione di esprimere gli stati d'animo o 'affetti' dei personaggi e in esse i
cantanti mostravano la propria virtuosistica bravura. Al tempo del soggiorno londinese risalgono
anche due significative composizioni orchestrali: le tre suite Musica sull'acqua (1715-36), nate per
accompagnare le feste sul Tamigi di re Giorgio I, e i Sei concerti grossi op. 3 (1730-34), ispirati al
modello del musicista italiano Arcangelo Corelli. Nel 1719 Händel promosse la fondazione di una
società musicale privata, la Royal academy of music, e ne diventò direttore. Nel 1727 ottenne la
cittadinanza inglese e per molti anni dominò la scena musicale britannica. Oltre alle circa quaranta
opere teatrali, tra cui Giulio Cesare in Egitto (1723), Rodelinda regina de’
Longobardi (1725), Ariodante (1734), Alcina (1735), Serse (1737-38), in questi anni scrisse più di
venti oratori ‒ composizioni di argomento religioso, per soli, coro e orchestra ‒ in forma
drammatica e in lingua inglese (con narrazione, personaggi e dialogo ma senza scena teatrale), per
lo più con testi tratti dall'Antico Testamento (tra cui Esther, 1718, Saul e Israele in Egitto, del 1738
entrambi). L'adesione di Händel alla cultura inglese non fu occasionale, ma profondamente
sentita: lo dimostrano alcuni lavori vocali e strumentali, come Acis e Galatea (1718, con una
seconda versione nel 1732) e l'Ode per il giorno di s. Cecilia (1739), composti su testi di poeti
inglesi di grande rilievo come John Dryden e Alexander Pope. Tra la musica strumentale, Händel
dedicò in particolare all'organo, di cui era valente esecutore, ben venti concerti con orchestra.
L'oratorio Messiah è uno dei lavori più conosciuti di Händel: eseguito a Dublino nel 1742, fu scritto
per una istituzione benefica in soli ventiquattro giorni. Il libretto di Charles Jennens, in inglese,
illustra in tre parti i momenti più rilevanti della vita di Cristo con brani delle Sacre Scritture (è
l'unico oratorio tratto dal Nuovo Testamento). La prima parte tratta dell'Avvento e del Natale; la
seconda della Passione e della Resurrezione, culminante nel celebre Halleluja; la terza riguarda la
glorificazione di Dio e il destino dell'uomo. Tra le più interessanti composizioni strumentali degli
ultimi anni è degna di nota la Musica per i fuochi d'artificio, inizialmente composta soprattutto per
fiati e timpani, perché destinata a un'esecuzione all'aperto alla presenza dei principi di Galles
(1749), e in seguito arricchita con gli archi. Gli ultimi oratori Solomon e Susanna (entrambi del
1748), Theodora (1749) e Jephtha (1751) rappresentano l'estrema e più raffinata espressione
dell'arte di Händel. Egli trascorse gli ultimi anni della propria vita semiparalitico e quasi
completamente cieco, non rinunciando tuttavia a comporre. Morì a Londra nel 1759, celebre e
ammirato.
Contemporaneo di Bach, opera nella prima metà del ‘700. È ritenuto l’inventore del genere
dell’ORATORIO INGLESE: un genere molto economico, perché non prevedeva allestimenti e i
cantanti si esibivano in borghese rimanendo fermi al loro posto. Quindi le spese per i costumi, per
la scenografia ecc non c’erano. Inoltre gli oratori di Handel aiutarono la Chiesa anglicana a
fronteggiare le idee deiste, perché nei libretti degli oratori l’idea di Dio è sempre fattiva: cioè incita
le sue creature al bene, le aiuta in momenti difficili e di pericolo, fa miracoli e profezie ecc à
quindi è molto presente nelle loro vite. I personaggi degli oratori sono eroi coraggiosi che
combattono sempre per la pace e per il bene comune. Quindi oltre allo spirito religioso si aggiunge
anche quello patriottico (l’amore per la patria).
L’oratorio più celebre di Handel è il Messiah, il cui libretto è ricavato da testi tratti da varie parti
della Bibbia e non ha un vero e proprio intreccio, perché tratta 3 parti (la venuta di Cristo sulla
terra, la morte e risurrezione, il ruolo del cristianesimo nel futuro del mondo). La presenza del coro
è molto rilevante: su 52 numeri complessivi, ben 21 sono cori. Gli ‘ingredienti’ quindi sono quelli
che ci si aspetta: arie solistiche, qualche brano d’assieme (duetti, terzetti, ma davvero pochi),
recitativi semplici o accompagnati. Ci sono però degli allontanamenti. In particolare, l’aria nella
sua forma più consueta di ‘aria con il da capo’: questa tipologia che è ancora piuttosto presente nei
primi oratori tende poi a scomparire per lasciare spazio ad arie più snelle, senza ripetizioni, quindi
brevi ed incisive. Anzi, proprio la mancanza del ‘da capo’, tanto connaturato ormai nelle
aspettative degli ascoltatori inglesi dal predisporli ad attenderlo, finiva per rendere più efficace la
drammaturgia delle situazioni in cui l’aria era inserita.
Un’opera molto importante di Bach è il Saul, il suo terzo oratorio: gli ‘ingredienti’ sono arie
solistiche, recitativi semplici o accompagnati, i cori tantissimi e importantissimi, perché il coro
svolge la duplice funzione di commentatore degli eventi che si stanno narrando e di personaggio
collettivo (in questo caso i Filistei e gli Israeliti). Poi ci sono i brani solo strumentali (senza voci), che
sono finalizzati per spiegare qualcosa; poi i numeri a più voci (duetti o terzetti), ma sono pochi.
Saul è la storia del re di Israele, che è stato eseguito per la prima volta a Londra al King’s Theatre
nel 1739, su un libretto di Charles Jennes, tratto dalla storia biblica dell’Antico Testamento, quindi
si tratta di musica sacra, ma non musica liturgica (infatti veniva eseguito a teatro e non in chiesa).
Aria di Michal: è un’aria col ‘da capo’ (ABA) in cui A sono i primi 4 versi, in cui c’è l’orchestra, e B gli
ultimi 2, in cui c’è il basso continuo (clavicembalo e violoncello) e l’orchestra tace, poi c’è di nuovo
A (il ‘da capo’) ripetuta in modo identico.
Recitativo di Michal: l’inizio è solo strumentale con una caratteristica molto particolare, perché
all’interno dell’orchestra c’è uno strumento che di solito non fa parte di essaà il carillon, l’ha
scelto per riprodurre un punto esatto del libro di Samuele in cui descrive le donne della città vanno
incontro al loro re cantando e suonando particolari strumenti tra cui i triangoli. Dopo la parte
strumentale, ci sono i primi tre versi e si tratta di un recitativo eseguito sul basso continuo. E poi
inizia il coro, costruito sullo stesso motivo tematico del carillon e inizialmente è cantato solo da
voci femminili omoritmicamente (stesso ritmo, stesse sillabe nello stesso momento). Poi entrano
anche le voci maschili (sul finale) e si passa ad un livello più polifonico, in cui le voci si rispondono e
il coro diventa di tipo imitativo (imitazione=procedimento contrappuntistico in cui una voce
riprende parte del motivo appena esposto da un’altra voce, quindi utilizza la tecnica imitativa).
Aria di Saul: non è un’aria col ‘da capo’, infatti è in un solo movimento. Però è un’aria particolare,
perché il primo verso viene cantata prima che la parte strumentale inizi à si chiama aria ‘col
motto’. Poi c’è la parte strumentale e poi ripete quella prima frase (il motto) e continua.
Aria di David: è un’aria strofica (due strofe, ognuna di 4 versi), in cui c’è la stessa melodia per tutte
e due le strofe. È un brano molto calmo, in cui David cerca di placare l’ira di Saul, infatti nella
seconda sezione c’è un brano strumentale eseguito dall’arpa.
Coro: ha una costruzione particolareà è un coro polifonico basato su un ostinato melodico del
basso, cioè la ripetizione continua di una frase melodica o ritmica. Il basso ostinato si interrompe
nella parte centrale del coro e in quel punto anche la polifonia imitativa viene sospesa per lasciare
spazio ad una sezione omoritmica. Alla ripresa dell’ostinato, riprende anche la polifonia.
Aria di Gionatan: divisa in due sezioni molto contrastanti e diverse tra loroà la prima (5 versi) è
un larghetto, la seconda (ultimi 2 versi) è un allegro, in cui Gionatan è combattuto tra l’affetto
fraterno per David e la devozione per il padre.
Recitativo (accompagnato) in cui Saul va a trovare la strega. All’inizio dell’atto III si entra in una
dimensione più magica con Saul, travestito per non essere riconosciuto, che chiede alla strega di
Endor di evocare lo spirito di Samuele: l’ombra del profeta gli predice la disfatta. Ci sono qui
entrambe le tipologie di recitativo: inizialmente quello accompagnato (oboi, archi e basso
continuo), successivamente, e soprattutto nelle parti dialogiche, quello semplice.
HAYDN: VITA Haydn è attivo in tutta la seconda metà del ‘700 e nella prima metà dell’800. Nato a
Rohrau in Austria nel 1732 da genitori poveri, entrò giovanissimo come cantore nella cattedrale di
Vienna e fu avviato allo studio della musica da un parente. Studiò canto, violino, clavicembalo e
composizione, adattandosi per i primi anni a qualche saltuario lavoro come insegnante o come
orchestrale.
Una svolta decisiva nella sua vita si ebbe nel 1761, quando il ricchissimo principe Nicola Esterhazy
lo assunse come compositore alla sua corte; qui Haydn rivestì l’incarico di maestro di cappella per
circa trent'anni fornendo musiche per le più svariati occasioni. Il numero delle sue composizioni è
enorme e annovera più di cento sinfonie, circa ottanta quartetti, numerose sonate, concerti, trii e
masse. Quando del 1790 morì il principe, Haydn fu licenziato, ma ricevette immediatamente
l’incarico di recarsi a Londra per comporre e dirigere alcune sinfonie.
La fama e la fortuna di Haydn sono legate proprio alla musica strumentale, e in particolare ai
quartetti per archi e alle sinfonie. A questi generi Haydn impresse un segno molto profondo,
dando all'insieme strumentale quell'elegante perfezione stilistica e formale che conferirono alle
sue opere tanta popolarità. Morì, famoso e colmo di onori, nel 1809 a Vienna.
QUARTETTO (HAYDN): Il termine quartetto nella storia della musica ha sempre un duplice
significato: indica sia un particolare organico a 4 strumenti (o a quattro voci, se si tratta di musica
vocale), sia il genere musicale che quell’organico esegue, cioè il brano effettivamente suonato. In
pratica, un quartetto esegue in genere un quartetto. Nel campo della musica strumentale, questi
quattro strumenti sono generalmente quattro archi. Il quartetto d’archi si compone nella maggior
parte dei casi di due violini (che eseguono due parti distinte: I, II), una viola ed un violoncello.
Haydn ne compose circa una settantina, ma è grazie a Mozart che questo genere diventa uno dei
più in voga tra tutta la musica da camera del secondo Settecento. Haydn scrisse quartetti durante
tutta la sua vita: i primi risalgono alla fine degli anni Cinquanta del Settecento, l’ultimo, che rimase
incompiuto, fu composto nei primi anni del XIX secolo. I primi quartetti furono composti fra il 1757
e il 1758 per il barone Carl Joseph Fürnberg, presso la cui tenuta estiva Haydn lavorava come
maestro di cappella. I primi quartetti sono però più che altro dei divertimenti, non seguono ancora
uno schema preciso, ma propongono al loro interno brani di varia natura (soprattutto danze): in
essi inoltre il violino aveva ruolo di spicco rispetto alle altre tre parti. Nei quartetti successivi,
soprattutto quelli dell’opera 17 e dell’opera 20, datati rispettivamente 1771 e 1772, alcune di
queste caratteristiche si smorzano: il numero dei movimenti si fissa in quattro, e la forma-sonata
diventa un elemento costante. Dopo quasi un decennio di silenzio, Haydn torna al quartetto nel
1781, con i 6 quartetti dell’opera 33. È in questa fase che essi perdono definitivamente il carattere
di musica di puro intrattenimento, e acquistano uno dei criteri più distintivi, quello della eguale
importanza tra i quattro strumenti, e del loro equilibrio perfetto pur avendo a ruoli diversi. I
quartetti successivi, quelli dell’op. 50, 54, 55 (1787-1788) e i più tardi dell’op. 76 (1797, ma
pubblicati nel 1799) commissionati dal principe Joseph Erdödy e a lui dedicati, rendono ancor più
metodica la costruzione architettonica: sempre quattro movimenti, con l’adagio in seconda
posizione e il minuetto in terza. Proprio tratto dall’ultima raccolta, abbiamo analizzato il
Quartetto per archi op. 76 n. 3 in Do maggiore, composto nel 1797 di ritorno dall’ultimo viaggio
londinese; esso viene anche chiamato Kaiserquartett [Quartetto dell’imperatore]. Si compone di
quattro movimenti:
Il primo movimento (Allegro): è molto ampio, è in forma-sonata, però con alcune particolarità. Al
primo tema, presentato molto chiaramente dai quattro strumenti nelle battute d’inizio, non segue
infatti un vero e proprio secondo tema: il compositore lavora su quest’unico motivo mostrandolo
con alcune varianti, melodiche e tonali, con spunti anche contrappuntistici. Dopo lo sviluppo del
tema dobbiamo notare l’effetto ‘cornamusa’ ottenuto facendo suonare al violoncello e alla viola un
bicordo formato da tonica e dominante senza la nota intermedia (accordo vuoto).
Il secondo movimento (Poco adagio, cantabile): è un tema con variazioni, è quello che dà il nome a
tutto il quartetto. Il tema infatti venne composto nel gennaio del 1797 da Haydn come inno in
onore di Francesco d’Asburgo, ultimo Imperatore del Sacro Romano Impero dal 1792 al 1806 come
Francesco II, e Imperatore d’Austria dal 1804 (come Francesco I), sulle parole “Gott erhalte Franz
den Kaiser”, [Dio salvi l’imperatore Francesco]. Nel 1841 questo motivo venne rivestito di nuove
parole e scelto come inno nazionale tedesco (mantenuto ancora oggi). Ogni variazione presenta il
medesimo tema immutato affidato ogni volta ad uno strumento diverso.àTema affidato al violino
I; I variazione: il tema è affidato al violino II, mentre il violino I contrappunta con note più veloci e
gli altri due strumenti tacciono; II variazione il tema è suonato dal violoncello; III variazione: il tema
è affidato alla viola; IV variazione: il tema è suonato dal violino I.
Il terzo movimento rispecchia perfettamente la forma del minuetto/trio/minuetto.
Il quarto movimento è di nuovo in forma-sonata, un’eventualità abbastanza diffusa per gli ultimi
movimenti, seconda solo alla forma di rondò. Anziché però essere in Do maggiore come il primo
movimento, questo è in Do minore fino a metà della ripresa. A quel punto infatti c’è il passaggio a
Do maggiore per concludere il quartetto con grandiosità.
SINFONIA: è un genere che nasce per l’orchestra à insieme di strumenti suddivisi per famiglia
(famiglia degli archi, dei fiati, delle percussioni) che suonano tutti insieme.
(Haydn) Sinfonia n. 94 in Sol maggiore, detta La Sorpresa: è un brano per orchestra, perché
appunto è una sinfonia. Poi è la 94esima delle sue sinfonie. Sol maggiore è la tonalità, cioè il
compositore deve scegliere quali note usare, per esempio se sceglie di usare il Do, può usare tutte
le note che appartengono alla scala del Do, quindi Do Re Mi Fa Sol La Si; se invece sceglie di usare il
Sol (come ha fatto), deve usare Sol La Si Do Re Mi Fa diesis Sol. à quindi il concetto di tonalità è:
scegliere una certa scala e usare quelle note di quella scala, eliminando le altre. Però può attuare
anche la tecnica della modulazione, cioè cambiare uno di questi suoni, eliminarlo
temporaneamente e usare uno dei 5 che non aveva usato.
In questo periodo, la prassi vuole che dopo la modulazione, prima della fine tornerà sulla tonalità
d’impianto, perché il brano deve iniziare e finire con la stessa tonalità (in questo caso il Sol).
Tornando al titoloà La Sorpresa, perché nel secondo movimento c’è un accordo fortissimo del
timpano che sorprende lo spettatore.
La struttura di questa sinfonia è in 4 movimenti:
- Primo movimento è in forma-sonata, in cui c’è un breve brano lento (Adagio) che svolge la
funzione di introdurre la sinfonia. Il primo tema (Allegro) viene ripetuto due volte, poi segue un
ponte modulante che conduce ad una variante del primo tema (in cui c’è la tecnica della
modulazioneàil cambio di una nota per uscire dalla tonalità d’impianto). Poi c’è il secondo tema. E
tutta l’esposizione viene ripetuta. Lo sviluppo riprende materiale dal primo tema, sia dal punto di
vista melodico, sia ritmico. Poi nella ripresa si risentono il primo tema e il secondo. E in conclusione
c’è una breve coda.
- Secondo movimento è quello che dà il nome alla sinfonia: dopo un inizio pianissimo degli archi, si
sente un colpo fortissimo dei timpani, appunto la ‘sorpresa’ o ‘il colpo di timpani’, che fa un po’
sobbalzare. La forma è quella del tema con variazioni: il tema ha un carattere pastorale, molto
semplice e regolare. Ognuna delle due frasi di cui è composto, la prima con note staccate, la
seconda invece più legata, viene ripetuta due volte. Nella prima variazione, il tema è molto
chiaramente percepibile negli archi più gravi, mentre il violino I (e talvolta anche il flauto)
abbellisce la melodia con figurazioni ornamentali. Nella seconda variazione si cambia
improvvisamente atmosfera con il passaggio alla tonalità minore. La prima parte del tema viene
ribadita da tutta l’orchestra, mentre la seconda si nasconde frammentandosi tra le pieghe delle
varie parti orchestrali. La terza variazione riprende l’atmosfera bucolica con il ritorno alla tonalità
maggiore. La prima frase del tema viene proposta con il doppio delle note alla metà del loro valore,
la seconda invece ritorna ai valori precedenti e viene presentata solo dagli archi mentre il resto
dell’orchestra suona melodie diverse. Nell’ultima variazione il tema inizialmente è affidato con
molta ai fiati e agli archi gravi, e i violini svolgono la funzione ornamentale. Tutta la variazione
alterna momenti a carattere militare a momenti più idilliaci.
FORMA – SONATA: Si può trovare la forma-sonata preferibilmente nei primi movimenti di sinfonie,
quartetti, sonate e concerti solistici; non è escluso però che sia in forma-sonata anche qualcuno
degli altri tre movimenti (soprattutto il quarto e il secondo, più raramente il terzo). La forma-
sonata è tripartita e bitematica, tripartita cioè è suddivisibile in tre parti distinte: esposizione (in
cui viene presentato il primo tema [chiamato maschile], cioè la melodia iniziale, che indica
l’impianto tonale, poi c’è il ponte modulante, che collega il primo tema e il secondo tema, poi
appunto c’è il secondo tema [chiamato femminile], che è opposto al primo), poi c’è lo sviluppo (in
cui il compositore ha molta libertà. La lunghezza è mutevole e il materiale può provenire
dall’esposizione o essere nuovo) e poi la ripresa (che è appunto la ripresa dell’esposizione e può
presentare delle varianti). Poi è bitematica, perché nella prima e nell’ultima parte sono presentati i
due temi principali.
CANZONE TRIPARTITA: rispecchia lo schema ABA se la terza sezione è uguale alla prima oppure
ABA’ se la terza sezione presenta delle modifiche. Generalmente la possiamo trovare nei secondi
movimenti, anche se per questi ultimi è difficile individuare una vera e propria forma tipica.
TEMA CON VARIAZIONI: è una forma abbastanza diffusa nel secondo movimento di sonata o di
quartetto, però si può trovare anche come terzo o quarto movimento. Si tratta di un brano
composto da un tema iniziale, che poteva essere originale o preesistente, ed è seguito da un
numero variabile di variazioni, cioè brani che ripropongono il tema iniziale con delle modifiche
(che possono riguardare la melodia, il ritmo ecc.).
MINUETTO: è la forma più comunemente utilizzata nei terzi movimenti di sonate, quartetti o
sinfonie dell’epoca classica. Riprende il mondo della danza, infatti il minuetto è proprio una danza
francese dal ritmo ternario, abbastanza moderata. Nella seconda metà del Settecento entra a far
parte dei principali generi strumentali come una danza stilizzata ed è suddivisa in 3 parti:
minuetto/trio/minuetto. Sono brani di derivazione coreutica e quindi devono seguire per forza
degli schemi molto precisi, che appunto percorrono i movimenti di queste danze. Possiamo
chiamare le tre parti ABAà Il minuetto vero e proprio (A) è suddiviso in due sottosezioni (a e b),
ripetute, quindi c’è un ritornello; poi il trio (B) è suddiviso sempre in due sottosezioni (c e d),
sempre ritornellate; alla fine si riprende il minuetto da capo, però senza ritornelli (a e b). A partire
da Beethoven, il minuetto viene sostituito dallo SCHERZO à un brano ternario come il minuetto,
però più rapido e marcato ritmicamente. La costruzione è simile a quella del minuetto.
RONDO’: generalmente è la forma del quarto (ed ultimo) movimento dei quartetti, delle sonate,
delle sinfonie. Deriva dalla parola francese rondeau, è si tratta di una forma musicale (francese
appunto) che risale al medioevo. È un brano vocale, inizialmente era monodico, poi diventa
polifonico, perché è destinato ad accompagnare quella danza. Nella versione strumentale adotta
l’alternanza tra un refrain (ritornello) e diversi couplets (vari episodi). Lo schema può essere
sintetizzato così: A B A C A D A, in cui A è il tema che ritorna più volte e BCD sono gli episodi
sempre diversi (melodicamente, o tonalmente) e possono avere una lunghezza variabile. Il numero
di questi episodi non è prestabilito, in genere sono due o tre, però possono essere anche di più. Il
rondò può presentare anche lo schema A B A’ C A’’ D A’’’, in cui A (il tema), ritorna con delle
modifiche.
QUARTETTO D’ARCHI: Quartetto suonato da: Violino I, Violino II, Viola e Violoncello. Diviso
generalmente in 4 movimenti.
SONATA: composizione che nasce per uno strumento solo, ad esempio il pianoforte; oppure per
due strumenti che suonano insieme, ad esempio pianoforte e violino à organico ristretto. Divisa
generalmente in 4 movimenti.
CONCERTO: ha due poli fondamentalià l’orchestra e uno strumento solista (può essere il violino,
il pianoforte, violoncello ecc.). Ha in gran parte le stesse strutture interne della sinfonia, quel
quartetto e della sonata. Diviso generalmente in 3 movimenti (manca il terzo diciamo, si passa dal
secondo al quarto, che poi diventa il terzo quindi.)
WOLFGANG AMADEUS MOZART: VITA Nato a Salisburgo nel gennaio del 1756, Mozart rivelò
subito straordinarie doti musicali, tanto che il padre Leopold, valido violinista e maestro di
cappella presso il principe arcivescovo, decise di far conoscere alla nobiltà di tutta Europa il
talento straordinario del figlio.
Fin dalla più tenera età Mozart cominciò così a viaggiare in compagnia del padre, che lo faceva
esibire come fanciullo prodigio. Tre viaggi ebbero come meta l’Italia, dove Mozart apprese con
facilità lo stile italiano che al tempo imperava in tutta Europa.
Altri viaggi lo portarono a Londra, Parigi e Vienna; ovunque riscosse grandi successi sia come
esecutore che come precoce compositore di sonate, sinfonie, messe e opere liriche, di cui le prime
furono La finta semplice e Bastiano e Bastiana del 1768, Mitridate e Lucio Silla del 1770-72.
Nel 1772 morì l’arcivescovo di Salisburgo, protettore di Mozart; il suo successore non capì la
grandezza del musicista e i due mal si sopportarono fino al 1781, quando Mozart si licenziò
definitivamente trasferendosi a Vienna.
Qui, l’anno successivo, ebbe un gran successo con uno spettacolo comico dal titolo Il ratto dal
serraglio. E’ questa la prima opera che Mozart scrisse da libero professionista: la grande popolarità
così ottenuta gli permise di esibirsi anche al pianoforte, per il quale compose una serie di bellissimi
concerti con l’orchestra.
Oltre a questi lavori, sono da ricordare i quartetti dedicati a Haydn e il quintetto per archi e
clarinetto.
Ma è per il teatro che Mozart sente la più forte attrazione, e dall'incontro con il librettista italiano
Lorenzo Da Ponte nasceranno tre grandi capolavori: Le nozze di Figaro del 1786, il Don Giovanni
del 1787 e Così fan tutte del 1790.
Gli ultimi anni della vita di Mozart trascorsero miseramente, tra tristezze economiche dovute alla
sua vita sregolata e a intrighi e ostilità di musicisti rivali.
Debiti e malattie costrinsero Mozart a una frenetica attività compositiva da cui nacquero Il flauto
magico (la sua ultima opera teatrale), il concerto per clarinetto e orchestra e il famoso Requiem,
rimasto incompiuto per il sopraggiungere della morte, nella notte tra il 5 e il 6 dicembre del 1791.
SINGSPIEL: è un genere teatrale (musica per il teatro), che ha una particolarità che lo distingue ad
esempio dall’opera italiana, cioè di mescolare momenti musicali veri e proprio (canto
accompagnato dall’orchestra) a momenti parlati. Quindi chi si esibisce deve essere sia un bravo
attore, sia un bravo cantante. Trae i suoi modelli dalla ballad-opera inglese o dalla operà comique
francese. Il Singspiel è il primo caso importante di vera e propria opera tedesca e mette insieme il
Lied (canto strofico) ed elementi dell’opera italiana (arie e recitativi). I Singspiel sono ambientati in
ambienti rurali e contadini, con personaggi del mondo reale e quotidiano e sono mescolati con
elementi magici.
Il Flauto magico: che è stato eseguito per la prima volta nel 1791 (qualche mese dopo Mozart
morirà). La storia è tratta da una fiaba “Lulù e il flauto magico”. Il librettista era Emanuel
Schikaneder, personaggio molto particolare, perché era lui stesso attore, capocomico, impresario
teatrale à fu proprio nel teatro dove lavorava Schikaneder che andò in scena il Flauto magico per
la prima volta.
Recitativo e Aria della Regina della notte, I atto: l’aria è anticipata da una breve introduzione
strumentale a carattere descrittivoàl’entrata della Regina infatti è anticipata dallo squarcio delle
montagne che lasciano vedere un trono adornato di stelle. Il recitativo che segue, come tutti i
recitativi dei Singspiel, è accompagnato dall’orchestra. L’aria vera e propria è di tipo bipartito, con
un cantabile iniziale (un Andante) di grande espressività prima intima, poi passionale, e un Allegro.
Terzetto di Pamina, Monostatos e Papageno, I atto: è un terzetto anomalo, poiché i tre
personaggi non cantano mai insieme, ma sempre a due a due, prima Pamina e Monostatos, poi,
dopo lo svenimento di Pamina, Monostatos con Papageno. Si tratta di fatto di due piccoli duetti
senza soluzione di continuità: nel primo Pamina e Monostatos cominciano con la stessa melodia
ma le loro linee vocali poi si dividono; nel secondo si possono individuare due ulteriori momenti
distinti: nel primo, Papageno canta da solo; nel secondo invece (fino alla fine) i due personaggi
cantano a due inizialmente in modo sillabato: è il momento in cui Monostatos e Papageno si
vedono per la prima volta e si spaventano reciprocamente, l’uno nel vedere un uomo pennuto,
l’altro nel vedere un uomo di colore.
Poi c’è una parte recitata dopo il Terzetto.
Duetto di Pamina e Papageno, I atto: Questo duetto è in forma strofica: la prima strofa
comprende i primi 6 versi, la seconda i successivi 6 versi. Gli ultimi due versi servono per la coda
finale. Le due strofe sono molto simili tra loro (ci sono solo alcune varianti melodiche). Ogni strofa
a sua volta è composta con molta regolarità: ad una frase di proposta di Pamina, risponde
Papageno con una frase simile; i due cantanti poi si uniscono per concludere la strofa.
Aria di Papageno, II atto: si tratta di un’aria a couplets, cioè di un brano strofico con ritornelli. La
melodia iniziale era preesistente: Mozart provvide a strumentarla caratterizzandola con la
presenza del glockenspiel (corrisponde allo strumento italiano dei campanelli); vi aggiunse poi una
seconda sezione in tempo ternario (questa di invenzione mozartiana).
Schema del brano:
I strofa: introduzione strumentale; melodia preesistente; sezione ‘mozartiana’.
II strofa: uguale alla precedente tranne che per le parole della sezione ‘mozartiana’.
III strofa: uguale alla precedente tranne che per l’aggiunta dei fiati nell’orchestrazione e per le
varianti del glockenspiel.
Coda strumentale (fino alla fine).
CONCERTO SOLISTA (MOZART): Mentre per il quartetto, per la sonata, per la sinfonia c’è sempre
un solo elemento in giocoà lo strumento solista o l’orchestra. Nel concerto ci sono due elementi
in giocoà da una parte lo strumento solista (in questo caso il pianoforte) e dall’altra parte
l’orchestra. Il fatto che siano due pone dei problemi che il compositore deve risolvere, quindi il
rapporto tra i due può essere svolto in vari modi à ad esempio un tema può essere presentato
prima dal solista e poi dall’orchestra, oppure possono partire insieme. Tutte le strutture devono
essere adattate ai due elementi, che sono entrambi importanti. Il concerto solista dell’epoca
classica è generalmente suddiviso in tre movimenti: il primo movimento, di solito un Allegro, è
molto spesso in forma-sonata; il secondo movimento, un Andante, è nella forma di canzone (Lied)
tripartita o tema con variazioni; il terzo movimento, di nuovo un Allegro, è in forma di rondò
oppure di forma-sonata o ancora in una forma ibrida che mette insieme entrambi questi ultimi
(rondò-sonata). Rispetto agli altri generi fin qui studiati, manca quindi il Minuetto. Tutte queste
forme, una volta applicate al concerto, propongono delle varianti derivate dal fatto che esse
devono per forza adattarsi alla dialettica del Soli/Tutti.
Come esempio di concerto solista, abbiamo analizzato il Concerto per pianoforte e orchestra K.
488 in La maggiore di Mozart. Questo concerto, il numero 23 della serie dei concerti per
pianoforte di Mozart, è stato composto nel 1786: l’orchestra prevede un flauto, 2 clarinetti, 2
fagotti, 2 corni e gli archi.
Il primo movimento è in forma-sonata e possiamo notare che i temi prima vengono esposti
dall’orchestra (mentre il solista tace), poi dal solista (inizialmente l’orchestra tace e poi lo
accompagna); prima dello sviluppo compare un terzo tema suonato dall’orchestraàche poi
diventerò oggetto dello sviluppo; nella ripresa il primo tema viene suonato dall’orchestra e subito
dopo dal pianoforte, mentre il secondo prima dal pianoforte e poi dall’orchestra. Anche il terzo
tema è oggetto di ripresa. Prima della coda l’orchestra si ferma su un particolare accordo che crea
un’atmosfera di sospensione: in quel punto il pianoforte comincia una cadenza, cioè un passaggio
virtuosistico che, in questo caso, è stato composto interamente da Mozart.
Il secondo movimento è (in tonalità minore) in forma di canzone tripartita con schema ABA’ +
coda: la sezione A propone due diversi motivi, uno per pianoforte e uno per orchestra (in entrambi
i casi, uno suona e l’altro tace); poi c’è il passaggio alla tonalità maggiore; nella sezione B il clima è
meno tragico e più pastorale, in cui tra pianoforte e orchestra c’è maggiore dialogo; in A’ c’è un
ritorno alla tonalità minore e si riprendono entrambi i temi.
Il terzo movimento è in forma di rondò: ABA’CA’’ + coda, in cui A, A’ e A’’ costituiscono le varie
proposizioni del ritornello, mentre B e C sono i diversi episodi intermedi. Il ritornello A viene
esposto prima dal pianoforte (mentre l’orchestra tace) e poi dall’orchestra (mentre il pianoforte
tace); Poi sia B sia C sono molto più corposi di A e propongono a loro volta temi nuovi; alcuni di
questi temi passano da B a C, per cui l’episodio non è del tutto nuovo ma ripropone cose già
sentite; Ogni ripresa di A non è uguale a se stessa (infatti si tratta di A’, A’’ etc.) ma propone
sempre qualche elemento di novità: la testa del ritornello però è sempre perfettamente
riconoscibile, e viene presentata sempre nella stessa tonalità (La maggiore); B e C anche
tonalmente sono molto più instabili, con frequenti modulazioni (cioè spostamenti da una tonalità
ad un’altra).
LUDWIG VAN BEETHOVEN: VITA Nato a Bonn nel 1770, Beethoven non ebbe un’infanzia felice a
causa delle notevoli ristrettezze economiche e dei problemi psicologici del padre Johann, che era
tenore della cappella arcivescovile.
Nel 1784 giunse a Bonn l’arcivescovo Maximilian Franz che prese Beethoven al suo servizio come
organista, gli dette la possibilità di studiare e gli permise anche di recarsi a Vienna il giovane
musicista poté incontrare, fra gli altri, anche il grande Haydn, a cui fece conoscere alcune delle sue
prime composizioni.
Proprio mentre si trovava a Vienna, l’invasione delle truppe francesi costrinse l’arcivescovo
Maximilian Franz a fuggire da Bonn. Beethoven si trovò così in una situazione praticamente da
libero professionista, e seppe abilmente approfittarne per strappare la musica dai salotti
aristocratici in cui fino ad allora era rimasta e per divulgarla presso il ceto borghese, che stava
assumendo sempre maggiore importanza nella società.
Beethoven fu il primo grande musicista che partecipò attivamente alla vita del suo tempo,
esprimendo attraverso la sua arte le passioni, gli entusiasmi, gli ideali dell’epoca e divulgandoli
presso le masse borghesi che affollavano i teatri pubblici che proprio allora stavano nascendo in
tutta Europa.
Il periodo tra il 1795 e il 1815 fu quello in cui Beethoven compose le sue opere più famose, fra cui
alcune sonate per pianoforte, tre concerti per pianoforte e orchestra, le prime sette sinfonie e
molti quartetti per archi.
Nello stesso periodo però egli cominciò ad avvertire i primi sintomi della sordità che lo
accompagnò per il resto della sua vita, costringendolo a troncare l’attività concertistica e a
rinchiudersi in solitudine. Cominciò così un periodo molto sofferto, in cui il naturale ottimismo di
Beethoven si scontrava continuamente con la situazione in cui era costretto a vivere.
Dalle crisi di sconforto che ne derivavano, egli riusciva a risollevarsi facendo appello a una serie di
grandi ideali positivi: l’amore per l’umanità, la fratellanza di tutti gli uomini, la sostanziale bontà
della natura e del suo creatore; questi ideali emergono soprattutto nelle ultime opere, e in
particolare nel famoso Inno alla gioia della Nona sinfonia, la cui musica è oggi stata scelta come
inno europeo.
Beethoven morì a Vienna nel 1827.
SONATA (Beethoven): Il genere della sonata assume nel secondo Settecento la strutturazione
abbastanza standardizzata di brano per strumento solista (o per piccolo gruppo cameristico) in più
movimenti. La sonata dell’epoca classica ha certamente in Haydn e Mozart le figure di riferimento
e nel pianoforte lo strumento principe; molto diffuse sono però anche le sonate per violino e
pianoforte, oppure per qualche altro strumento (come il violoncello, il clarinetto, il flauto, il corno)
e pianoforte. L’articolazione interna tende a cristallizzarsi nella tripartizione Allegro – Lento –
Allegro, con: un primo tempo in cui la forma-sonata è largamente la più utilizzata, poi un cantabile
Adagio spesso in forma di canzone tripartita o in forma di tema con variazioni e un finale in forma
di rondò o di nuovo in forma-sonata. L’aggiunta di un Minuetto/Trio in terza posizione (che può
portare quindi a quattro i movimenti complessivi) è piuttosto frequente. L’impianto tonale
prevede primo e ultimo tempo (ed eventualmente anche il Minuetto se c’è) nella stessa tonalità, e
il tempo lento invece in tonalità contrastante.
All’interno della vita di Beethoven la sonata occupa un posto importante: le più importanti sono le
32 sonate per pianoforte solo, ma a queste dobbiamo aggiungere una decina di sonate per violino
e pianoforte, cinque per violoncello e pianoforte, ed una per corno e pianoforte.
Le sonate per pianoforte sono state composte durante tutto l’arco della vita artistica di Beethoven
(quasi trent’anni intercorrono tra la prima sonata, risalente al 1795, e l’ultima, del 1822). Esse
percorrono tutte le fasi della maturazione dell’artista e quindi presentano al loro interno
differenze anche sostanziali a tutti i livelli: di indagine tematica, di approfondimento tonale, di
esemplificazione formale.
La sonata per pianoforte che abbiamo studiato appartiene alle prime composizioni e si tratta della
Sonata op. 2 n. 3 in Do maggiore, composta nel 1795 e pubblicata nel marzo dell’anno successivo
a Vienna, presso l’editore Artaria.
Questa sonata, che appartiene ad un gruppo di tre sonate (le altre sono l’op. 2 n. 1 in fa minore e
l’op. 2 n. 2 in La maggiore) pubblicate assieme e dedicate tutte ad Haydn, presenta un impianto
piuttosto regolare: quattro movimenti, tre dei quali (il primo, il terzo e il quarto) nella tonalità
d’impianto di Do maggiore, e il secondo in tonalità contrastante di Mi maggiore.
- i due temi differiscono tra di loro per carattere: il primo più energico, il secondo più lirico e
affettuoso. Queste ultime caratteristiche vengono ancor più messe in risalto dal fatto che il
secondo tema anziché essere alla dominante di Do maggiore (cioè Sol maggiore) è alla dominante
ma nel modo minore (cioè sol minore).
- prima delle codette Beethoven cita di nuovo un motivo del ponte (a 1’35’’), qui decisamente più
modulante rispetto alla prima volta;
- sviluppo e ripresa non prevedono una ripetizione (Beethoven privilegia la drammaticità sulla
simmetria). La mancanza del ritornello infatti accresce l’effetto sorpresa dello sviluppo, che viene
quindi pensato come un punto di non ritorno: se venisse ripetuto, infatti, perderebbe di unicità;
- nella ripresa il II tema dovrebbe essere nella tonalità di impianto (Do). Dovendo invece qui
mantenere il minore, come era successo nell’esposizione, Beethoven deve usare il do minore invece
del Do maggiore;
- la coda inizia con una serie di arpeggi, poi presenta una piccola cadenza (a 8’41’’) in certi punti
simile a quella presente nel concerto (cfr. la lezione sul concerto solista), cui segue addirittura una
breve citazione del I tema (a 9’05’’), e poi l’ultima fase della coda, stavolta a carattere conclusivo.
Nel secondo movimento anziché la più canonica forma di canzone tripartita, Beethoven utilizza qui
una sua variante abbastanza diffusa, la forma pentapartita (ABABA). In questo caso l’esatto
schema deve essere A B A’ B’ A’’: infatti le tre sezioni A non sono uguali fra di loro, e le varianti che
le distinguono sono di peso differente. Ad esempio A’ si differenzia da A solo per l’aggiunta di due
battute finali (a 3’26’’) che riprendono la prima battuta di A ma con accordi pieni in fortissimo; in
A’’ invece Beethoven sembra un po’ giocare con la melodia: la sposta all’ottava superiore, la
fiorisce con qualche breve abbellimento, la ripropone con ritmi spezzati.
Le due sezioni B hanno una struttura molto elastica e irregolare, quasi atematica: pur avendo il
medesimo disegno, B (sorprendentemente lungo rispetto ad A) è molto più esteso anche di B’.
Da notare anche l’uso della tonalità di Mi maggiore, molto lontana da quella di impianto della
sonata (Do maggiore): questa soluzione a sorpresa fu spesso sperimentata anche da Haydn.
Nel terzo movimento la perfetta simmetria dei passi di danza che caratterizzavano i minuetti di
Haydn o di Mozart, viene ora in parte messa in discussione attraverso l’inserimento di punti di
sutura, di code e codette; permane invece la struttura ternaria sia dell’impianto generale (Scherzo
– Trio – Scherzo), sia del metro ritmico (che è un tempo ternario, come quasi tutti i minuetti
settecenteschi).
- a 0’16’’ una ripetizione del I tema prima della presentazione del II (e lo stesso accade anche nella
ripresa);
- lo sviluppo comincia lavorando sul primo tema, poi introduce elementi nuovi su cui indugia a
lungo.
- i temi melodici di un certo spessore sono quindi tre, ma se ne possono individuare altri, più brevi:
Della Seta ne individua almeno otto.
- lo sviluppo presenta un lavoro intenso: i temi già presentati vengono sottoposti ad una forte
rielaborazione attraverso migrazione ad altra tonalità, progressioni, dilatazione o restringimento
delle cellule motiviche, etc. Interessante l’episodio fugato e la presentazione di motivi del tutto
nuovi.
- la coda è talmente ampia da risultare una sezione a sé stante: essa non costituisce solo il
ribadimento della tonalità d’impianto, ma presenta inaspettatamente anche il ritorno di motivi
precedenti. Questo fatto spinge Della Seta a parlare di motivi che «assumono il carattere di una
citazione, o meglio di un ricordo di eventi trascorsi paragonabile a una di quelle melodie ricorrenti
che nell’opera romantica – di Weber, Meyerbeer, Donizetti, Bellini, Wagner e Verdi – avranno il
compito di identificare personaggi, situazioni o motivi narrativi importanti.
Il secondo movimento dell’Eroica è una Marcia funebre e ha la forma della canzone tripartita, in
cui si individuano le seguenti sezioni: Marcia (A) – sezione centrale (B) – ripresa della Marcia (A’) +
Coda. La Marcia vera e propria (A) si suddivide a sua volta in almeno tre sottosezioni interne: 1.
tema iniziale, 2. parte in cui si passa dalla tonalità minore alla tonalità maggiore, 3. ripresa del
tema iniziale. Nella parte iniziale è molto evidente la dilatazione del tempo psicologico, per cui
questa sezione appare assai più lunga della sua durata cronometrica. A questo risultato
concorrono certo il tempo di base assai lento e l’assenza di una pulsazione ritmica regolare – per
essere una marcia, marcia assai poco –, ma ancor più l’estrema densità e varietà degli eventi
musicali. La sezione centrale è caratterizzata dalla presenza di un fugato, cioè di una sezione che
utilizza le prerogative della fuga (un soggetto che viene imitato tra le varie voci) pur non avendone
l’impianto costruttivo completo à quindi ci sarà il tema principale che viene riproposto man mano
dalle varie famiglie strumentali. Nel fugato il soggetto viene presentato in modo completo prima
dai violini II, poi dai violini I, da viole e violoncelli, da violoncelli e contrabbassi e infine dalla
famiglia dei legni. Da questo punto in poi ricompare più volte all’interno dell’orchestra ma in forma
abbreviata (solo le prime cinque note).
Il terzo movimento dell’Eroica è uno Scherzo: con questo movimento Beethoven inaugura la prassi
di sostituire il Minuetto con uno Scherzo, che se ne differenzia sia per il carattere appunto più
spiritoso e brillante, sia per l’andamento più veloce. La ripartizione già in uso nel Minuetto viene
rispettata nelle linee essenziali, ma molto ampliata nelle proporzioni. Quindi lo schema di massima
è: Scherzo – Trio – Scherzo + Coda, con tripartizione interna di tutte le sezioni (esclusa, ovviamente,
la coda). Ci sono però delle novità: ad esempio sia lo Scherzo sia il Trio presentano oltre alle sezioni
A B A’ una sezione C.
Il quarto movimento dell’Eroica è in forma di tema con variazioniàè formato da un tema, cioè una
melodia prescelta, infatti prima di usarlo in questa sinfonia, Beethoven utilizzò questo tema altre
tre volte precedentemente. La particolarità che rende unico questo tema con variazioni sta nel
fatto che il tema vero e proprio appare non all’inizio bensì dopo 75 battute, nelle quali però si sente
il basso di accompagnamento del tema che diventa lui stesso vero e proprio tema, tanto che è
seguito da ben due variazioni. In questo modo, lo schema di questo finale risulta il seguente:
- breve introduzione in fortissimo;
- basso del tema principale, che a sua volta qui diventa tema;
- sei diverse variazioni del tema vero e proprio: nella prima variazione, in tonalità minore, è
presente un fugato il cui soggetto è la testa del basso; nella terza è presentato un tema nuovo (ma
sempre sullo stesso basso); la quinta presenta di nuovo un fugato sul basso; la sesta è una
variazione lenta (in cui il tempo viene dilatato e i valori raddoppiati).
FRANZ SCHUBERT: VITA Nato in un paesino presso Vienna nel 1797, Schubert trascorse gran parte
della sua breve vita proprio nella capitale austriaca, spostandosi solo per brevi periodi. A undici
anni entrò a far parte del coro della cappella imperiale, dove ricevette anche una buona istruzione.
Studiò composizione con Antonio Salieri che era il compositore di corte. Scrisse così i suoi primi
lavori, fa i quali cinque sinfonie, quattro messe, alcune opere teatrali e i suoi primi lieder per canto
e pianoforte. Il lied era la forma musicale che Schubert predilesse: ne scrisse infatti quasi un
migliaio. Questi brani erano per lo più destinati a essere eseguiti nei salotti e fra gli amici musicisti
dilettanti.
Nel 1818 fu assunto come maestro di musica presso la famiglia del conto Esterhazy, dove rimase
per circa due anni, divenendo poi un libero professionista.
Ammalatosi gravemente nel 1822, Schubert morì nel 1828, in estrema povertà, lasciando parecchi
lavori incompiuti tra cui la famosa Sinfonia in Si minore.
Tutta la musica di Schubert è caratterizzata da una viva vena melodica esposta in temi sempre
affascinanti e ricchi di sentimento lirico. Egli fu grande nelle forme musicali minori (in particolare
nella musica da camera, anticipando in questo una delle tendenze del Romanticismo.
I LIEDER di Schubert: sono un genere di composizione da camera, quindi pensati per una
situazione piuttosto ristretta (piccole sale da concerto o salotti), di tipo vocale-strumentale, quindi
ci sarà una sola voce e pianoforte. I testi letterali (piuttosto brevi) sono tratti da poesie di poeti
tedeschi come Goethe, Schiller, Muller. Questi testi letterali sono generalmente strofici (cioè divisi
in strofe sempre uguali tra di solo). Dal punto di vista musicale ci sono due grandi famiglie di
Lieder: 1) il Lied strofico: è favorito dal fatto che i testi letterari sono già strofici, quindi il
compositore deve ideare una melodia e applicarla sempre uguale a tutte le strofe. A volte può
esserci qualche piccola variante melodica (e si chiama Lied strofico modificato). 2) il Lied
durchkomponiert: cioè un Lied che va sempre avanti, non presenta ritorni delle melodie, le
melodie sono sempre diverse, anche se c’è il testo strofico, non si tiene conto della stroficità del
testo, si va avanti con melodie sempre diverse.
Schubert ha scritto più di 600 Lieder. La maggior parte di questi Lieder sono slegati tra di loro, però
ci sono alcuni casi in cui questi Lieder sono messi insieme e formano una raccolta, perché
all’interno c’è una storia, un filo conduttore, che ha permesso a Schubert di metterli insieme àIl
primo ciclo: La bella mugnaia, che racconta la storia di un giovane che si era innamorato della bella
mugnaia e, non essendo corrisposto, vorrebbe porre fine alla sua vita; Il secondo ciclo: Il viaggio
d’inverno, che è una raccolta di 24 Lieder, ed è la storia di un viandante che va incontro ad un
amore infelice e decide di lasciare tutto e vagare nella natura invernale, in cui è sempre solo e
pensa a tutto quello che gli è successo. L’autore dei testi è Muller. [Noi abbiamo ascoltato i primi 8
Lieder].
Il compositore, attraverso il testo e attraverso la musica del pianoforte, vuole rendere certe
atmosfere. Quindi non dobbiamo pensare che il pianoforte abbia solo la funzione di
accompagnatore, perché contribuisce a creare atmosfera e a farci capire certe situazioni.
Primo Lied: Buonanotte. Si tratta di un Lied strofico, in cui la melodia della prima strofa viene
ripetuta nelle altre tre. Ogni strofa viene introdotta da un breve interludio pianistico. Ci sono però
delle varianti: mentre infatti la seconda strofa non è scritta, ma prevede semplicemente il ‘da
capo’, la terza propone piccole varianti nella melodia, mentre la quarta è in tonalità maggiore, si
passa cioè da re minore a re maggiore.
Secondo Lied: La banderuola segnavento. La banderuola rappresenta qui l’incostanza della donna
amata. Rispetto al primo, questo Lied è molto veloce e dinamico. L’introduzione pianistica e i
successivi brevi interventi del pianoforte solo vogliono emulare il movimento vorticoso della
banderuola mossa dal vento. Le parole della terza strofa vengono ripetute due volte: il Lied diventa
così in quattro parti. Il motivo iniziale della prima strofa si ripete anche nella terza, per poi
proseguire in modo diverso (c’è una stroficità non completa).
Terzo Lied: Lacrime di ghiaccio Siamo di fronte ad un Lied che inizialmente è durchkomponiert, ma
poi la terza strofa viene ripetuta due volte (la seconda con varianti). Il pianoforte alterna due
motivi uno più ritmico (quello delle battute iniziali) e uno più melodico. La parte del cantante è
sempre in contrapposizione con quella del pianoforte, procedono quindi in modo indipendente.
Quarto Lied: Irrigidimento. Nonostante il titolo, questo Lied esprime tutto il contrario
dell’irrigidimento e dell’immobilità: ha invece un carattere molto dinamico ed esprime lo sciogliersi
dei sentimenti. È l’unico Lied della raccolta in cui c’è il sentimento amoroso che sembra aver
colmato l’assenza dell’amata con la ripetizione impossibile di gesti e di situazioni passate.
Quinto Lied: Il tiglio. Nelle prime due strofe il tiglio ha la funzione di riportare il viandante verso
ricordi gioiosi del passato, verso un’atmosfera più serena. Ma presto egli viene riportato al gelido
presente (III strofa) indicato musicalmente dal passaggio ad una tonalità minore. Le gelide folate
(V strofa) vengono rese pianisticamente con un ritmo incalzante a terzine. Alla fine (ultima strofa)
si ritorna alla melodia iniziale.
Sesto Lied: Flusso d’acqua. Con questo Lied si ritorna alla forma strofica: la melodia però non si
ripete ad ogni strofa, ma ogni due strofe. Quindi il ‘da capo’ si trova dopo la seconda strofa.
Contrariamente a quanto avviene di solito, in questo Lied il pianoforte fa veramente solo da sfondo
alla linea vocale, quindi presenta solo l’elemento dell’accompagnamento con accordi ripetuti sul
ritmo puntato, mentre le linee melodiche del canto coprono un’estensione particolarmente ampia
e spesso compiono grandi salti.
Settimo Lied: Sul fiume. Il Lied è suddiviso in tre sezioni: la prima comprende le prime due strofe, la
seconda comprende la terza e quarta strofa, la terza comprende l’ultima strofa (ripetuta due
volte). Si noti nella seconda parte il passaggio da una tonalità minore ad una maggiore.
Ottavo Lied: Sguardo all’indietro. In questo Lied il viandante è in fuga dalla città. È presente ancora
una volta il passaggio da una tonalità minore ad una tonalità maggiore: anzi qui è raddoppiato,
visto che questo passaggio avviene sia all’inizio della terza strofa, sia nella parte finale del brano.
Però «questa conclusione in maggiore non pare aver alcuna connotazione positiva. Sembra anzi
suggerire una violenta ironia in A [parte iniziale] dove comparivano corvi e ghiaccio in funzione di
oppositori (...). Il desiderio di tornare indietro produce una intensificazione del movimento di fuga a
perdifiato dalla “città dell’incostanza”.» (Lo Presti, op. cit., p. 172)