I filosofi greci valutano la musica dal punto di vista della sua efficacia pedagogica. Essi
concepivano il mondo musicale come gravitante intorno a due poli opposti, simboleggiati dalla lyra
e dall’aulos.
Lyra. Progenitrice degli strumenti a corde, creata per unirsi alla poesia umana, al discorso, alla
possibilità di istruirsi, alla razionalità;
Aulos. Capostipite degli strumenti a fiato, simbolo della musica che si accompagna all’invasamento
estatico, alla possessione rituale, alla sfrenatezza orgiastica.
Questa contrapposizione si lega anche al dualismo che scinde la religiosità greca. Abbiamo quindi:
Religione olimpica. Quella ufficiale, alla quale vengono associati gli strumenti a corde e che separa
nettamente gli uomini dagli Dei;
Culto dionisiaco. Al quale vengono associati gli strumenti a fiato, che ammette il contatto intimo
con il divino e il cosmico attraverso l’invasamento estatico.
Sono presenti altri fattori che descrivono la visione pedagogica della musica da parte dei Greci:
Harmonìai. O modi, sono scale sulle quali i greci basavano il loro sistema musicale, caratterizzate
ciascuna dal nome di una popolazione ellenica (harmonia dorica, frigia, lidia, ionica,
eolia, etc…), e che probabilmente comprendevano ognuna di esse tutto l’insieme degli
elementi musicali (ritmi, melodie tradizionali, modi di esecuzione, etc…) della
popolazione da cui prendevano il nome.
Ethos. Sentimento, effetto sull’animo e sul corpo umano causato dall’ascolto di brani legati ad una
determinata harmonia (esempi: harmonia dorica, legata alla lyra, la più grave e la più virile;
harmonia frigia, legata all’aulos, suscitava un ethos “entusiastico” ed emozioni sfrenate).
Secondo la teoria dell’ethos la musica aveva un potentissimo effetto sull’animo, sul corpo umano
(si parla addirittura di prescrizioni terapeutiche), sugli animali e sugli esseri inanimati.
Tra il V e il VI secolo a.C. si accese un grande dibattito sullo sfruttamento a fini politici della
“musiké” (letteralmente significa “arte delle muse”, comprendeva danza musica e poesia).
La musica secondo Platone. Per lui la presenza della musica doveva essere accuratamente
regolamentata al fine di indirizzare i suoi effetti verso uno scopo di
educazione morale della futura classe dirigente (catarsi allopatica: una
musica appropriata può infondere una determinata virtù a chi ne è
privo o a chi è in preda al vizio opposto, purificandolo). Ammetteva
soltanto le harmonìai dorica e frigia.
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La musica secondo Aristotele. Più aperto e permissivo, esprimeva un concetto di musica definibile
come “catarsi omeopatica” (anche un ethos negativo è accettabile
perché, attraverso un perturbamento controllato, l’animo può
espellere fuori di sé le proprie negatività e ritornare allo stato
normale).
Entrambi i filosofi vietano ai giovani ogni professionismo musicale (la musica doveva essere
destinata al tempo libero).
Pitagora. Fin dai suoi era maggiormente considerata la musica puramente teorica (la scienza
acustica, fondata sul numero). I pitagorici che il moto degli astri fosse regolato
armonicamente da proporzioni numeriche (armonia delle sfere) e che anche gli intervalli
musicali erano determinati da simili rapporti matematici. Ritenevano inoltre che la
potenza del numero coordinava in un unico insieme astri e musica. Anche il rapporto
umano veniva considerato intessuto dal numero e dall’armonia: un opportuno uso della
musica poteva reintrodurre nell’uomo l’equilibrio turbato da emozioni o malattie. La
musica udibile soltanto un pallido ed imperfetto riflesso dell’armonia cosmica. Per
questo motivo abbiamo pochissime trascrizioni: 23 frammenti su papiro o su pietra, che
usano un ambiguo sistema di notazione basato sulle lettere dell’alfabeto, che
comprendono brevissimi frammenti di melodie di soltanto due tragedie (Ifigenia di
Aulide, Oreste di Euripide).
Citarodia e Aulodia. Principali generi musicali della Grecia classica, sono canti accompagnati dal
suono della kithàra e da quello dell’aulos. Utilizzavano spesso i nòmoi, variandoli ed elaborandoli.
Nomoi. Moduli ritmico-melodici caratteristici già noti e codificati attraverso i quali venivano
costruite le melodie.
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2. LA MONODIA LITURGICA CRISTIANA
In seguito alle musiche greche, che svanirono gradualmente, riuscì a giungere alla fase della stesura
scritta un repertorio di tradizione orale, la monodia liturgica cristiana. L’ultimo prodotto di
quest’ultima è conosciuto come canto gregoriano.
Si suppone che, essendo Cristo e i suoi apostoli ebrei, la prima comunità cristiana usasse un canto
simile a quello delle sinagoghe, che era interamente cantillato.
Salmodia. La recita dei salmi è imperniata su un’unica nota continuamente ripetuta, fatta precedere
e seguire da formule di intonazione e di cadenza.
I cristiani attinsero anche dal mondo greco (a Roma la comunità si esprimeva in greco e in greco
furono scritti sia i vangeli che tutti gli altri libri del nuovo testamento). Da precisare che il latino in
occidente iniziò ad affiancarsi al greco come lingua liturgica con molta gradualità (non divenne
lingua ufficiale della Chiesa d’occidente almeno fino alla seconda metà del IV secolo.
Editto di Milano. Emanato nel 313 d.C. da Costantino e Licinio, riconosceva il diritto alla libertà
di espressione per tutti i culti religiosi. Vennero così restituiti alla chiesa cristiana
tutti i beni e gli edifici di culto della persecuzione di Diocleziano. Ne consegue il
fatto che il Cristianesimo diventa sempre più influente.
Amplificazione rituale: la solennità del rito era amplificata dalla musica; avvolgendosi nella
dimensione del canto, la proclamazione del testo liturgico si innalzava dal
semplice livello di linguaggio umano a Parola di Dio.
Amplificazione fonica: la parola cantata è molto più udibile all’interno di una sala affollata da
fedeli.
Stile sillabico: la melodia è molto semplice, una sillaba per ogni nota.
Stile melismatico: stile più ricco, più note per ogni sillaba.
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Inni. Composizioni poetiche di lode a Dio. L’innodia in latina conobbe una vastissima diffusione
per impulso di Sant’Ambrogio.
Il testo liturgico dava luogo a tradizioni di canto diverse nelle varie regioni d’Europa, subendo
anche l’influenza degli stili di canto locali.
Dal IV secolo, con l’ufficializzazione della Chiesa si coagulò la liturgia e il canto liturgico in vaste
unità regionali
Chiese d’oriente. Di diverse lingue (greco, armeno, siriaco, arabo, paleoslavo, gregoriano, etc…).
nel 1504 avviene la scissione definitiva tra cattolici e ortodossi.
Il canto gregoriano prende il nome da Papa Gregorio Magno: si riteneva che avesse avviato una
riforma del canto liturgico, ma studi più recenti dimostrano come non esiste alcun documento
attendibile che dimostri un suo intervento nei confronti della musica.
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3. LE GRANDI INNOVAZIONI DEL IX SECOLO
Per il cammino della musica è stato più importante l’intervento di Carlo Magno che quello di Bach
o di Beethoven per motivazioni essenzialmente politiche: all’alleanza dei Franchi con il papato
conseguirono numerosi scambi tra Roma e Aquisgrana. Ci si rese quindi conto che il canto liturgico
in uso presso i Franchi era ben diverso da quello romano (differenza tra rito gallicano e vetero-
romano).
La monarchia carolingia (Pipino e i suoi discendenti) si occuparono dei problemi religiosi, mirando
ad un’unificazione religiosa, allo scopo di portare avanti in maniera completa il progetto di
accentramento del potere nell’autorità imperiale.
Si tentò forzatamente di trapiantare presso i Franchi il rito Romano, col risultato di un prodotto
ibrido, frutto di una reciproca contaminazione (una delle difficoltà per i Franchi era rappresentata
dall’uso di microtoni da parte del canto vetero-romano). Ne consegue quindi la nascita del canto
franco-romano che fu imposto dao sovrani carolingi a tutti i territori a loro soggetti. Venne così
conferito a questo canto il nome di canto gregoriano, che conquistò gradualmente tutta l’Europa.
Considerando che c’era la volontà di trasmettere il canto gregoriano alle generazioni future senza
alcun mutamento (per rispettare la volontà dello Spirito Santo che lo aveva dettato), venne
gradualmente abbandonata la pratica improvvisativa nel canto liturgico, adottando una pratica
legata a testi musicali preesistenti e mutando la didattica (dalla creatività della tradizione orale
all’apprendimento passivo di un repertorio già costituito).
Modi ecclesiastici. Scale musicali appartenenti al canto gregoriano (i teorici carolingi suddivisero il
repertorio a seconda del tipo di scala musicale usata). Ne possiamo contare otto,
formate da differenti successioni di toni e semitoni.
Nella fase più antica del canto liturgico, periodo in cui si impiegavano sistemi modali molto
semplici, le melodie ruotavano intorno alla “corda madre” (nota più importante), mentre
successivamente nacque un secondo polo d’attrazione, avendo così sia la dominante (“corda di
recita” o “repercussio”) sia una nota finale (“finalis”). Considerando che non era semplice adattare
tutti i canti gregoriani agli 8 modi, alcuni canti conservarono la modalità arcaica (con una sola
“corda madre”), altri furono forzatamente inseriti all’interno degli otto modi, mentre alcuni,
impossibili da normalizzare, furono denominati col termine “modo irregolare” o “peregrino”. Si
iniziò quindi ad utilizzare la scrittura.
Neumi. Segni convenzionali finalizzati alla scrittura della musica sui libri liturgici, adottati
inizialmente da sacerdoti e diaconi.
I testi erano spesso intonati in stile di salmodia su una repercussio fissa (soltanto in alcuni punti,
evidenziati dai neumi stessi, dovevano piegarsi in inflessioni o in cadenze alla finalis; questo tipo di
scrittura quindi aveva una funzione molto simile a quella della punteggiatura).
Per assicurare la sopravvivenza del canto gregoriano, minacciato dall’avvento delle nuove lingue
romanze, dal X secolo cominciarono ad essere compilato manoscritti musicali ad uso anche dei
cantori professionisti della schola cantorum (il loro scopo non era la pratica musicale concreta, ma
quello di archivio finalizzato al mantenimento della tradizione).
Tropi e sequenze. Consistono nel “farcire” di parole i lunghi melismi privi di testo che fanno parte
di alcuni canti.
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Tropi. Aggiunta di un nuovo melisma, o inserzione di nuove frasi, complete di parole e musica, per
amplificare il canto di partenza (anche nella durata).
Memorizzazione delle melodie. È più facile imparare a memoria una musica con le parole
piuttosto che un vocalizzo senza testo.
Amplificazione delle parole del canto originario. Il testo aggiunto ha un legame con le parole del
canto originario (amplificazione orizzontale).
In epoca carolingia la polifonia fu inserita a pieno diritto nella liturgia e per la prima volta fu
tramandata da fonti scritte. Anch’essa accresceva la solennità del rito, senza alterare il canto
gregoriano, con un’amplificazione verticale.
Organum parallelo. Maniera di eseguire i canti liturgici in diafonia: una parte del coro eseguiva il
canto liturgico così com’era tramandato dalla tradizione (vox principalis); la
restante parte intonava il medesimo canto a distanza di una quarta o di una
quinta sotto o sopra (vox organalis). Risultavano così due melodie che si
muovevano in parallelo
Tecnica del discanto. Tipo di polifonia. È l’arte di improvvisare una nuova melodia, compatibile
nota per nota (punctum contra punctum, da cui “contrappunto”) con un canto
preesistente.
Eterofonia. Ornamentazione della vox organalis (nell’organum) operata dal cantor (elaborazione
tramite melismi); la vox principalis assume una funzione di sostegno.
Organum melismatico. La voce inferiore (tenor) ha valori lunghi, la voce superiore (duplum) si
lancia in ampi melismi.
Bordone. Nota fissa e persistente posta generalmente al grave che accompagna una melodia.
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4. LA NOTAZIONE NEUMATICA E GUIDO D’AREZZO
Verso la fine del IX secolo, i celebranti, per capire quando cominciare una cadenza (dopo aver
cantato una lunga porzione di testo su un’unica nota) iniziarono ad usare i neumi (tratti dai segni di
interpunizione o, forse, dagli accenti grammaticali).
La notazione neumatica non si proponeva di prescrivere quale nota andasse cantata (i cantori, fin
da bambini, conoscevano a memoria i brani), ma come questa nota dovesse essere eseguita (note
più lente o più veloci delle altre, dinamica, qualità fonica del suono stesso).
Talvolta venivano aggiunte ai neumi alcune lettere convenzionali, dotate di vari significati (“in
alto”, “più in alto”, “più veloce” etc…).
Notazione adiastematica: O “in campo aperto”. Non indica le altezze sonore, non è vincolata da un
rigo musicale.
Notazione di Guido d’Arezzo. Propone l’utilizzo di più linee (da 2 a 4) molto ravvicinate tra loro.
Come nel moderno pentagramma era possibile posizionare le note
sia sulle righe che sugli spazi intermedi tra una riga e l’altra. Per far
si che ogni suono corrispondesse ad un solo posto sul rigo musicale
furono proposte due metodologie:
Da questa invenzione si passa gradualmente al tetragramma (usato ancora oggi per scrivere il canto
gregoriano) e la forma dei neumi andò alterandosi (per adattarsi all’esatta collocazione sul rigo),
passando dai tratti sottili e sfumati a più grandi e squadrati, evolvendosi nella classica notazione del
canto gregoriano, la notazione quadrata (XII sec.).
Guido d’Arezzo crea delle opere didattiche, l’Ut queant laxis e la solmisazione.
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Nel periodo medievale la musica era parte integrante di tutte le attività sociali, politiche, lavorative
e ricreative. Tutto ciò, però, rimase per lunghi secoli nel dominio della tradizione orale, e può essere
da noi riscoperto solo parzialmente.
Canti di lavoro, musica e danza nelle giornate di festa e nelle ore di riposo. La musica
distingueva anche
categorie sociali
meno prestigiose.
Musica e poesia nascono in una stretta simbiosi. Tale unione, esistente fin dall’antica Grecia,
viene parzialmente infranta solo a partire dal
dolce stil novo.
Le liriche dei trovatori (lirica trobadorica) rappresentano il più antico e vasto patrimonio di poesie
in lingua volgare. La musica inizialmente veniva trasmessa secondo le modalità della tradizione
orale. Solo tardivamente si misero per iscritto parole e musica (il periodo di massimo splendore di
questo fenomeno culturale avviene quasi un secolo dopo dalle prime trascrizioni). I trovatori
operavano nella Francia meridionale (lingua d’oc).
È necessario fare la distinzione tra giullari, menestrelli e trovatori (tutti cantavano poesie su
musica improvvisata: la differenza è essenzialmente sociologica).
Giullari. Erano presenti nelle corti e nei villaggi medievali. Eredi dei ioculatores (artisti girovaghi),
con un comportamento spesso deviante e irriverente (abuso di droga o alcool, adulterio,
debolezza fisica, indebitamenti), vengono accettati dalla comunità senza essere puniti in
quanto fungono sia da intrattenitori che da memoria storica del popolo (tramandavano
oralmente le gesta degli eroi).
Trovatori. La maggior parte appartenevano alla piccola nobiltà feudale (Jaufre Rudel, Bertran de
Born), alcuni erano addirittura di elevatissimo rango (il primo trovatore fu Guglielmo
d’Aquitania, ovvero Guglielmo IX, Conte di Poitiers e duca di Aquitania), altri erano
chierici (Peire Cardenal, Gui Folqueis), ricchi mercanti (Folquet de Marseille, Peire
Vidal).
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Queste liriche trattano argomenti politici, satirici, religiosi e amorosi (celebrano l’amor cortese:
nelle poesie in lingua d’oc l’amore è vissuto come dipendenza assoluta dell’amante verso l’amata).
L’origine della letteratura trobadorica può essere spiegata attraverso varie ipotesi:
Ipotesi liturgica. Sono state rintracciate precise corrispondenze con la musica sacra ad essa
contemporanea (il termine “trovatore” potrebbe derivare da “tropatore”), ma non
si può rintracciare un’origine liturgica considerando i loro contenuti amorosi.
Ipotesi araba. Presenza di numerosi punti di contatto tra le poesie arabe prodotte durante il
dominio islamico in Spagna e le liriche provenzali (es. presenza di personaggi
stereotipi, concetto della virtù nobilitante dell’amore stesso, impiego di formule
poetiche particolare come il zagial).
La letteratura dei trovieri, che usavano la lingua d’oil (da origine al francese moderno) discende
incontestabilmente da quella dei trovatori (rapporti commerciali tra nord e sud, viaggi di trovatori e
giullari in terra straniera, matrimoni principeschi che comportarono ingenti spostamenti di personale
causando contaminazioni tra culture diverse)
Principali esponenti del mondo trovierico. Chrétien de Troyes (il più antico troviere conosciuto),
Riccardo I Cuor di Leone, Thibaut IV di Champagne,
Adam de la Halle.
I nomi dei generi poetici erano quasi sempre la traduzione in lingua d’oil delle corrispondenti forme
provenzali:
Le strutture metriche non si lasciano inquadrare in schemi troppo rigidi (presentano una grande
quantità di soluzioni formali diverse).
Della lingua in produzione catalana ci sono rimaste quasi solamente le Cantigas de Santa Maria,
monodie di argomento sacro attribuite ad Alfonso X el sabio.
Sono state conservate le liriche di autori di alto rango per innalzare il livello di tale produzione in
volgare agli occhi di contemporanei e posteri.
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Alcuni canti profani furono scritti in lingua latina (intonazioni di poesie di classici latini quali
Orazio, Virgilio, Giovenale, Boezio; planctus; altre melodie).
Clerici vagantes: “studenti vaganti” da un’università all’altra, creano dei canti goliardici in latino,
in antico tedesco e in francese (es. Carmina Burana).
Dramma liturgico: tipica espressione del gusto medievale (esteriorizzazione e visualizzazione del
rito religioso), non sono originariamente espressioni teatrali, ma avevano una
destinazione principalmente ecclesiastica.
Drammi in volgare: anch’essi affrontano argomenti sacri, si può veramente parlare di teatro: i
costumi non erano storicizzati, consistevano in abiti contemporanei; il
palcoscenico era spesso all’aperto in piena luce del giorno; avevamo una
scena multipla, ovvero pochi elementi scenici piazzati uno accanto all’altro
per rappresentare luoghi diversi. In essi era riservato ampio spazio ai dialoghi
parlati.
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6. ARS ANTIQUA: LA SCUOLA DI NOTRE DAME
L’ars antiqua, che si colloca nella zona di Parigi dalla seconda metà del XII secolo fino allo
scoccare del XIV secolo, si inserisce in un’epoca in cui si afferma lo stile architettonico gotico e si
assiste alla creazione della notazione del ritmo (la polifonia si amplia, in senso verticale, a 3, 4 o più
voci sovrapposte).
Il numero delle voci, dopo qualche tempo, crebbe a dismisura: si sovrappongono fino a 36 parti
vocali.
La conseguenza della piena affermazione della notazione ritmica, avvenuta intorno all’anno 1000,
ha come conseguenza la scomparsa dei microtoni.
Intorno alla fine del XII secolo si arrivò a stabilire anche la durata delle note grazie al gruppo di
musicisti definito Scuola di Notre Dame e grazie al gruppo di studenti e professori che nel 1215
verrà riconosciuto come Università di Parigi.
Magister Leoninus: il primo nome di compositore tramandatoci, che dovrebbe essere vissuto nella
seconda metà del XII secolo (la fonte che ci parla di lui, il trattato “Anonimo
IV”, è stata scritta più di un secolo dopo).
Nella seconda metà del XII secolo viene compilato un Magnus liber (la scrittura musicale è
funzionale anche alla composizione); successivamente Magister Perotinus Magnus (citato nell’
“Anonimo IV) crea il Magnus liber organi (rielaborazione del Liber precedente: aggiunge organa a
3 e 4 voci), del quale sono rimaste alcune versioni successive che risalgono al XIII e al XIV secolo.
Organa (epoca di Leoninus): a 2 voci, si basano su un canto gregoriano preesistente (la voce
inferiore, il tenor, esegue il canto gregoriano originale; la voce superiore, il duplum, esegue una
melodia liberamente inventata in note molto più veloci), differisce dall’organum melismatico per la
prescrizione da parte dell’autore del ritmo del duplum.
Clausole: sezioni dell’organum, si contrappongono allo stile in cui il tenor tiene lungamente fissa
ogni nota nei punti in cui il canto gregoriano è in stile sillabico. Il tenor si velocizza entrando in un
fitto dialogo col duplum (contrappunto in stile di discanto).
Organa (epoca di Perotinus): vecchi organa in cui vengono sostituite le clausole originali a 2 voci con
clausole più nuove a 2, a 3 o a 4 voci (in quest’epoca prediligevano un più
alto numero di parti vocali).
Da precisare che gli organa erano composti per festività solenni (il consumo musicale quotidiano di tutte le
classi sociali seguiva la tradizione orale.
È stato possibile scrivere anche il ritmo musicale attraverso la creazione della notazione modale: ispirandosi
alla metrica antica vennero create 6 possibili strutture, i modi ritmici, ciascuna formata dalla diversa
combinazione di unità lunghe e unità brevi che andavano a realizzare sempre una suddivisione ternaria del
ritmo (si utilizzavano i neumi gregoriani, in quest’epoca chiamati ligature, nella loro forma quadrata).
Considerando che le musiche della Scuola di Notre Dame non si adattano con naturalezza a questo metodo
rigido, si suppone che questa scrittura, sostituita qualche secolo dopo da altri tipi di notazione, prevede che
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l’ultima nota del neuma abbia un peso diverso rispetto alle prime note del neuma stesso, come una sorta di
levare-battere (teoria degli stacchi neumatici).
Mottetto: il nome con cui viene definita la clausola tropata (“mot” in francese significa “parola”).
Il mottetto del Duecento e del Trecento divenne una composizione autonoma, eseguibile al di fuori del
contesto liturgico, i cui testi trattavano frequentemente argomenti profani.
Mottetto politestuale: mottetto in cui il tenor è eseguito da strumenti, e ogni voce ( motetus o duplum,
triplum) è fornita ciascuna di un proprio testo (in latino o in francese). I contenuti dei
testi non sono scollegati tra loro, e le voci scorrevano con velocità diverse (tenor:
note molto lunghe; motetus: andamento più veloce; triplum: ritmo ancora più
serrato).
Conductus: genere musicale coltivato da Filippo, consiste in canti in lingua latina di argomento spesso
profano e generalmente politico, monodici o polifonici, scritti in stile prevalentemente sillabico.
È il primo genere musicale medievale in cui il compositore poteva creare liberamente tutte le
voci, senza basarsi su una musica già esistente (a differenza del mottetto il tenor non era
liturgico).
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7. ARS NOVA FRANCESE
Nel periodo successivo alla Scuola di Notre Dame si andava affermando la scissione dell’atto compositivo
dal momento dell’esecuzione sonora (per affidarsi quasi esclusivamente alla scrittura musicale e non al
canto).
A partire dal trattato Ars cantus mensurabilis di Francone di Colonia (un tedesco attivo anche a Parigi) .
dando vita alla musica mensurale. In quest’ultima la nota lunga ( longa) fu rappresentata con la virga e la
nota breve (brevis) con il segno del punctum. Si aggiunsero inoltre un valore ancora più lungo, la duplex
longa o maxima, e un valore ancora più breve, la semibrevis. Questi 4 valori potevano essere abbinatei tra
loro (secondo una rigida ternarietà).
Nel 1300 nel pensiero musicale francese si verificò un grande mutamento, che la musicologia ha denominato
ars nova. Venne introdotta la suddivisione binaria alla pari con quella ternaria e si affiancò una nuova figura
musicale, la minima.
Segni di mensura: progenitori delle moderne indicazioni metriche, permetteva a questa scala di valori di
durare il doppio o il triplo della figura di valore immediatamente inferiore.
Intorno al 1320 si scatenò una violentissima polemica. Ammettere che la duplicità potesse essere perfetta
quanto la ternarietà significava dare credito ad una concezione ereticale. Inoltre, ritenendo che ogni scienza
ed arte umana traesse origine da Dio, la musica ne doveva rispecchiare l’immutabile perfezione.
I teorici trecenteschi, come ad esempio Johannes de Muris, sostenevano invece che la musica poteva essere
suscettibile di progresso.
I maggiori musicisti dell’ars nova sono Philippe de Vitry (scirve un trattato intitolato ars nova), diplomatico
e vescovo, musicista e poeta, e Guillame de Machaut , ecclesiastico, musicista e poeta (scrive numerosi
mottetti, composizioni profane in francese quali ballades, virelais, rondeaux, alcune delle quali sono inseriti
in due suoi poemi, il Remède de fortune e Voir dit, ed è il primo a comporre in polifonia l’intero ciclo
dell’Ordinarium della messa, la cosidetta Messe de Nostre Dame).
Isoritmia: consiste nello stabilire il ritmo e le scansioni temporali della musica secondo principi
rigorosamente matematici (nel periodo precedente avveniva secondo la parola).
La polemica prima citata fu fomentata dai testi musicati dagli autori dell’ars nova (contenuto politico di
critica sociale), come il Roman de Fauvel. (poema satirico di Gervaos de Bus).
Il più agguerrito difensore dell’ars antiqua fu Jacobus di Liegi (scrisse il trattato Speculum Musicae).
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8. ARS NOVA ITALIANA
Il Duecento musicale italiano è orientato prevalentemente verso una pratica non scritta
Laude: canti devozionali in volgare, monodici, di struttura strofica, eseguiti prevalentemente in occasione di
processioni, riunioni di devoti e simili. La fonte più importante è il Laudario di Cortona, e a questa si
accosta il Codice Magliabechiano di Firenze.
alla diffusione delle Laude nell’Italia centrale duecentesca contribuì la spiritualità francescana (es. Cantico
delle creature di San Francesco d’Assisi).
Nel Trecento le cose cambiano: numerosi manoscritti ci offrono un nutrito corpus di musiche polifoniche
profane in volgare. Le contaminazioni francesi portano, quindi ad una produzione polifonica detta ars nova
italiana. Gli autori più importanti sono:
- Marchetto da Padova: la sua vita si suppone che si incrociò con quella di Giotto e di Dante.
Compone un mottetto politestuale in latino che fu probabilmente eseguito il
25 marzo 1305 per l’inaugurazione della Cappella degli Scrovegni a Padova,
scrive due trattati sulla notazione ( Lucidarium e Pomerium).
- Jacopo da Bologna: lavorò soprattutto per le due maggiori corti dell’Italia settentrionale: quella
degli Scaligeri a Verona e quella dei Visconti a Milano. Produsse composizioni
celebrative per i Signori che lo ospitavano e si dedicò al madrigale.
Ars subtilior: nasce nel tardo trecento. È rappresentata dalla fusione dei due criteri notazionali del tempo
(suddivisione binaria e suddivisione ternaria).
Madrigale del Trecento: composizione generalmente a due voci d’impianto strofico, costituito da due o
più terzine di endecasillabi intonate tutte sulla stessa musica e chiuso da una
coppia di endecasillabi a rima baciata detta ritornello che era cantata su una musica
diversa da quella delle strofe (da non confondere con il madrigale del
Cinquecento).
Caccia: madrigale che ha come soggetto una scena di caccia, con una polifonia strutturata in forma di
canone
dopo la metà del secolo, l’Italia musicale ruota intorno ad un altro centro di produzione: Firenze. Vi era uno
scambio di competenze tra poeti e musicisti (i poeti possedevano una cultura musicale teorica e pratica,
mentre i musicisti avevano un gusto letterario e di una capacità poetica autonoma).
I tre compositori fiorentini del Trecento più importanti sono Lorenzo Masini, Gherardello da Firenze e
Francesco landini.
Ballata dell’ars nova: genere più frequentato a Firenze, è la ballata monodica in veste polifonica. Le
tematiche erano di tutte le tipologie, l’esecuzione coinvolgeva solista e coro dei
danzatori. La ballata Trecentesca prevedeva che i canti fossero eseguiti liricamente,
da un solista e senza danza, aveva una forma che prevedeva una forma poetica ad
opera degli stilnovisti ed una forma musicale ad opera dei compositori attivi negli
ambienti colti fiorentini.
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9. LA GESTIONE DELLA FORMA MUSICALE NEL QUATTROCENTO
Nel momento in cui la musica inizia ad essere considerato come un oggetto dalle coordinate pienamente
misurabili, la musica pratica passa da arte “meccanica”, manuale, a disciplina scientifica del quadrivium (di
cui faceva parte la musica teorica, insieme all’aritmetica, alla geometria e all’astronomia-astrologia).
Il numero, oltre a costituire l’intelaiatura razionale della costruzione artistica, guidava la mente umana ad una
rete di simbologie che rinviavano a verità di ordine superiore.
Per gli artisti medievali c’era una predilezione particolare per le forme simmetriche. Troviamo, ad esempio,
molte forme palindromiche, utilizzo delle sezioni proporzionali (ripetizione della stessa musica facendo in
modo che la seconda ripetizione durasse una frazione del tempo originario).
Nel XIII secolo si passò ad una visione del mondo dominata più dalla geometria che dall’aritmetica: il tempo
non era più visto come somma di unità minime ma come qualcosa che scorre senza soluzione di continuità
(simile ad una linea retta) e che può venir diviso in un certo numero di parti.
Sezione aurea: rapporto di proporzione utilizzato dalla musica che introduce numeri irrazionali. Fu molto
utilizzata nel Quattrocento da Guillame Dufay.
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10. I COMPOSITORI FIAMMINGHI
Tra la fine del Trecento e la fine del Quattrocento si iniziarono a fondere gli stili musicale francese e italiano.
La fusione dei singoli stili nazionali in un idioma musicale di carattere internazionale è stata causata
soprattutto dallo spostamento del baricentro politico-religioso della Chiesa (nel 1378 la sede papale torna a
Roma) e dal fatto che i musicisti, che diventarono dei veri e propri professionisti, si spostavano tra le varie
corti europee per arricchire il proprio bagaglio tecnico e culturale nonché per cercare impieghi sempre più
retribuiti.
Alcuni compositori che coniugavano elementi italiani e francesi ( ars subtilior) sono Filippotto da Caserta,
Antonello da Caserta, Matteo da Perugia, Johannes Ciconia (forse allievo di Filippotto). Si trovano nelle
loro composizioni lunghe catene di sincopi, ritmi sovrapposti in reciproco conflitto, frequenti cambiamenti di
metro, metri diversi usati contemporaneamente da più voci, notazione accuratissima e preziosa, anche dal
punto di vista grafico.
Generalmente i fiamminghi (abitanti delle Fiandre: Belgio, Olanda, Lussemburgo e una parte del territorio
francese) vengono suddivisi in 6 successive generazioni.
- Prima generazione: vi appartengono Guillame Dufay (1400 ca.-1474), Gilles Binchois (1400 ca.-
1460).
- Seconda generazione: seconda metà del Quattrocento, vi appartengono Johannes Ockeghem (1410
ca.- 1497), Antoine Busnois (1430 ca.- 1492).
- Terza generazione: si situa a cavallo dell’anno 1500, vi appartengono Josquin Desprez (1440 ca.
1521), Jacob Obrecht (1450 ca.-1505), Heinrich Isaac (1450 ca.-1517).
- Quarta generazione: abbraccia la prima metà del XVI secolo, vi appartengono Adrian Willaert
(1490 ca.-1562), Cipriano de Rore (1515/16-1565), Philippe verdelot
(1470/80-prima del 1552), Jacques Arcadelt (1505 ca.-1568).
- Quinta generazione: si colloca nella seconda metà del Cinquecento, ha come esponenti principali
Orlando di Lasso (1532-1594), Philippe de Monte (1521-1603), Giaches de
Wert (1535-1596).
I fiamminghi produssero chansons profane e una gran quantità di musica sacra (occupavano spesso il ruolo
di maestri di cappella).
Nel XV secolo si ebbe la graduale trasformazione del mottetto in composizione destinata a cerimonie
pubbliche, civili e religiose: andò scomparendo la politestualità, e la lingua prevalentemente usata divenne
quella latina. Nel Cinquecento il mottetto diventa la composizione sacra per eccellenza.
L’epoca fiamminga è caratterizzata dalla tensione verso la massima unitarietà possibile. si cerca di ridurre al
minimo gli elementi costruttivi di una composizione, cercando di sfruttarne al massimo le proprietà. Si
sviluppano quindi gli artifici contrappuntistici tipici dell’età fiamminga:
- una frase musicale, pur rimanendo la stessa, poteva essere scritta anche partendo dall’ultima nota e
andando verso la prima (moto retrogrado o cancrizzante);
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- oppure si potevano disporre a specchio i suoi intervalli, facendo scendere quelli che salivano o
viceversa (moto contrario o inverso);
- si poteva utilizzare in modo cancrizzante la stessa frase esposta per moto contrario (retrogrado
dell’inverso). La melodia;
- la melodia poteva essere presentata con valori ritmici più ampi (aumentazione) e più veloci
(diminuzione)
Canone enigmatico: il compositore scriveva solo una voce, abbinando ad essa un indovinello per suggerire
la modalità di esecuzione delle altre voci.
Canone mensurale: quando viene cantata la stessa melodia con due mensure diverse in modo che le voci,
partite insieme, andassero ritmicamente sfasandosi pur eseguendo le stesse note (es.
Missa prolationum di Ockegem).
Nel Cinquecento stentò a scoparire il cantus firmus: ci si serviva di una melodia preesitente, spesso
gregoriana ma talvolta profana, affidata in valori ritmici molto lunghi alla voce del tenore.
Per creare coesione all’interno della principale forma usata dai fiamminghi, la messa, si cominciò ad
utilizzare lo stesso cantus firmus per tutte le sezioni di essa (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus e Agnus Dei). Le
messe così composte si dicono messe cicliche.
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11. LA MUSICA NELLE CORTI UMANISTICHE
Nel Quattrocento e nel Cinquecento abbiamo una coesistenza tra mecenatismo istituzionale e mecenatismo
umanistico:
Mecenate: colui che, all’interno del rapporto padrone-servo, offre protezione in cambio di sottomissione e
prestazione di servizi.
Il musicista era uno dei tanti dipendenti della corte, con la funzione di realizzare concreti eventi sonori per le
varie necessità del suo signore che esteriorizzassero il rango della corte che li promuovevano.
Mecenatismo istituzionale: committenza di opere musicali allo scopo di esteriorizzare il rango di una corte.
I cantori della cappella di corte, ecclesiastici che si occupavano delle celebrazioni liturgiche giornaliere
garantendo ad esse anche una veste sonora (spesso polifonica), avevano una posizione sociale tra le più
elevate tra i dipendenti della corte (erano uomini di Chiesa e di cultura che svolgevano mansioni di
consiglieri, amministratori e diplomatici).
Mecenatismo umanistico: mecenate in epoca umanistica, possiede un’elevata cultura musicale (la nobiltà è
inscindibilmente associata con le maggiori virtù morali e intellettuali). Promuove
attività musicali da camera, possiede strumenti musicali, compila e colleziona
manoscritti musicali.
Il duplice volto della musica di quest’epoca è rappresentato dall’artificiosa polifonia di tipo fiammingo e dal
canto a voce sola accompagnata da strumenti. Quest’ultima tipologia musicale prende quindi nuovo slancio
ad opera delle idee propugnate dai letterati umanisti. Questi nutrivano una profonda diffidenza verso la
tecnica polifonica (considerata espressione di uno stile gotico, frutto di una mentalità scolastica soppiantata
dal neoplatonismo). Il canto solistico si prestava maggiormente ad esaltare il valore della parola poetica: la
pratica di cantare le poesie (e non di declamarle) era praticata in tutte le principali corti italiane.
“Aeri per cantar ottave”: giri armonici su cui il cantore improvvisava, cercando di dar risalto soprattutto
alla pregnanza del testo poetico.
Tradizione orale e tradizione scritta tra Umanesimo e Rinascimento: un Aer de capitoli di Marchetto
Cara e la frottola “El grillo è buon cantore” di Josquin Desprez
Tra il secondo e il terzo decennio del XV secolo il numero di opere dei compositori italiani riportate nei
codici fa registrare un brusco calo: aveva largo spazio il canto monodico accompagnato sugli strumenti a
corda (pratica che non trova riscontro nelle fonti musicali in quanto fondata su modalità non scritte di
esecuzione e di trasmissione).
A partire dagli ultimi decenni del XV secolo compare una redazione scritta di queste musiche.
Frottola: genere musicale in auge a partire dal tardo Quattrocento / denominazione più frequente sui
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frontespizi delle raccolte manoscritte e a stampa che compendiano l’intero repertorio poetico
musicale in voga in ambiente cortigiano tra Quattro e Cinquecento.
Le sillogi principali del repertorio “frottolistico” (gli unidici volumi stampati a Venezia da Ottaviano
Petrucci) contengono anche composizioni poetico-musicali di fattura diversa che recano più evidenti le
tracce della pratica musicale non scritta da cui derivano.
Aer de capitoli di Marchetto Cara: breve melodia destinata all’intonazione della serie di terzine di
endecasillabi, struttura metrica del “capitolo” (lungo componimento
poetico in terza rima).
“El Grillo è buon cantore” di Josquin: viene data alla lingua italiana una piena dignità letteraria e proprio
in questo periodo si inizio a riconoscere alla musica piena
cittadinanza tra le forme di espressione artistica.
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12. LA CHANSON PARIGINA TRA FRANCIA E ITALIA
Con la raccolta “Harmonice Musices Odhecaton” pubblicata a Venezia nel 1501 da Ottaviano Petrucci, che
usava un sistema a caratteri mobili, si ebbe l’inizio di una sistematica attività editoriale in campo musicale.
Andrea Antico pochi anni dopo impiego un sistema di stampa che prevedeva l’incisione a mano della
pagina musicale completa su una tavoletta di legno (xilografia).
Pierre Attaignant fu il primo editore di musica ad aver realizzato una produzione quasi di massa. Negli anni
’30 e ’40 del Cinquecento pubblicò numerosi libri contenenti un genere musicale definito chanson parigina
(diffusa nell’ambito della corte francese di Valois), più semplice e meno contrappuntistica della sua
corrispondente fiamminga, era legata al ritmo verbale del testo stesso (le voci procedono con andamento
omoritmico, in stile sillabico, con ritmo iniziale dattilico detto “narrativo”).
Le musiche appositamente composte per strumenti, quasi sempre musiche per danza eseguite da strumentisti
professionisti, venivano trasmesse perlopiù oralmente.
Durante il XV secolo si ricercò una sonorità più fusa e più omogenea dal punto di vista timbrico: si
costruirono intere famiglie strumentali (ogni tipo di strumento veniva realizzato in varie taglie, ottenendo le
più varie tessiture)
La presenza di “voci” diverse nelle famiglie strumentali le rendeva simili a piccoli cori, e le assimilava così
alla musica vocale, dandole dignità simile. Nacquero conseguentemente le composizioni didattiche e i
trattati che insegnavano ai dilettanti come suonare correttamente i vari strumenti e come eseguire le
“diminuzioni” (abbellimenti estemporanei). La tecnica strumentale inizia a diventare di dominio pubblico.
“Battaglia”: vero e proprio genere musicale, sullo stile della canzon francese
Canzone da sonar: consiste nella creazione di canzoni totalmente indipendenti da modelli francesi e
rappresenta il trampolino di lancio per la creazione delle principali forme di musica
strumentale del periodo barocco. Il termine “canzone” passò ad indicare la prima, vera
forma strumentale autonoma.
Verso la fine del Cinquecento si iniziarono a prescrivere anche alcune indicazioni dinamiche, e iniziava ad
uscire fuori lo stile policorale (contrapposizione degli strumenti in 2 gruppi detti “cori”).
La sede in cui la musica policorale trovò il suo più ampio sviluppo fu la basilica di San Marco a Venezia,
dove la musica sacra prevedeva un uso massiccio di musica strumentale, e dove le formazioni erano spesso
suddivise in 2 o più cori (fino a 6). I cantori, gli organisti e i maestri di cappella avevano l’importante
compito di curare le cerimonie ufficiali della repubblica di Venezia.
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A Venezia, tra i più importanti musicisti abbiamo Adrian Willaert, Cipriano de Rore, Gioseffo Zarlino,
Annibale Padovano, Claudio Merulo, Andrea Gabrieli, Giovanni Gabrieli, Gioseffo Guami.
13. GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA
Il distacco del mondo luterano da quello cattolico determinò conseguenze anche in campo musicale: Canti in
lingua volgare (tedesco), semplici e orecchiabili (di facile portata per il popolo).
Corale protestante: canti religiosi in tedesco, spesso armonizzati a 4 voci, finalizzati alla celebrazione del
rito luterano.
Lutero si batté affinché la musica continuasse a far parte del programma educativo nelle scuole fin dai primi
gradi dell’istruzione.
L’avanzata del Protestantesimo nei territori germanici portò la Chiesa cattolica a convocare il concilio di
Trento (assemblea di vescovi). Quest’ultimo portò a prendere delle decisioni anche riguardanti la musica,
con 3 principali conseguenze:
- Nuova edizione del gregoriano: fu portato alla “purezza originaria”, abolendo tutti i tropi e quasi
tutte le sequenze; il compito di redigere una nuova edizione dei
libri liturgici fu affidato al più autorevole compositore che operasse
a Roma, Giovanni Pierluigi da Palestrina.
- Abolizione di elementi profani: non solo le musiche, ma anche ogni cantus firmus non ricavato dal
Gregoriano.
- Comprensibilità del testo sacro: semplificazione degli intrecci polifonici in modo da rispettare la
corretta e chiara dizione del testo liturgico.
- Cappella Sistina: cappella personale del pontefice, i cantori provenivano da tutta Europa, in genere
non impiegava strumenti di accompagnamento e non aveva pueri cantores (si
serviva di adulti evirati)
- Cappella Giulia: cappella ufficiale della Basilica di San Pietro, i cantori erano perlopiù di
estradizione locale
- Cappella della Basilica di San Giovanni in Laterano;
Il Palestrina fu nominato nel 1551 maestro della Cappella Giulia e nel 1554 pubblicò il suo primo libro di
messe, dedicato al Pontefice in persona (seconda pubblicazione di messe effettuata da un musicista italiano,
la prima nel 1549 a Venezia da Gasparo Alberti) e la prima in assoluto stampata a Roma.
Al Palestrina vengono attribuite sicuramente 104 messe, 375 mottetti, circa 300 altre composizioni sacre,
contro un centinaio circa di madrigali profani. Utilizzava lo stile dei compositori di area fiamminga e
francese anche per la costruzione delle messe.
Lo stile “alla Palestrina” divenne lo stile ecclesiastico per eccellenza, resistendo quasi immutato per secoli.
Si ebbe così lo stile antiquus per il repertorio sacro (“alla Palestrina”, detto anche “a cappella” perché faceva
uso di sole voci umane, come si usava nella cappella Sistina) e lo stile modernus per la produzione teatrale e
da camera.
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14. IL MADRIGALE DEL CINQUECENTO
Con i compositori fiamminghi l’evento sonoro iniziò a rendere ciò che era contenuto nelle parole: immagini
motorie, atmosfere espressive particolari, etc…
Questa pratica ricevette uno slancio decisivo dalle teorie di Pietro Bembo: egli, oltre ad avere propugnato la
via del petrarchismo, introdusse un nuovo criterio di intendere la poesia puntando l’attenzione al fatto che la
sonorità e il ritmo delle parole hanno una diretta ripercussione sul significato stesso. Per sfruttare le proprietà
sonore della parola il poeta doveva servirsene con la più grande libertà, senza soggiacere a schemi troppo
rigidi di rime, metri accenti e strofe.
Nacque l’esigenza di trovare una nuova forma musicale, diversa ad esempio dalla frottola (che aveva delle
forme fisse, strofiche, in cui più di un verso era sottoposto alla stessa frase musicale): il madrigale.
Questa forma esisteva già, ma non aveva ancora assunto questo nome. A Firenze, infatti, negli anni ’20 del
XVI secolo, Philippe Verdelot (1470/80-prima del 1552), Maestro di Cappella del Duomo e del Battistero,
sperimentava una nuova forma polifonica.
Sullo stile di un tipo di chanson francese molto semplice (simile a quella di Claudin) faceva eseguire tutte le
parti da voci umane, alternando sezioni in contrappunto non troppo elaborate, ma aderente all’esatta
declamazione del testo, con sezioni omoritmiche, e con una assoluta omogeneità e parificazione tra le voci.
Questo tipo di composizione, quindi, una volta diffuso dalle edizioni a stampa, prenderà il nome di
madrigale, estendendosi anche a Roma (città collegata a Firenze per la presenza di due papi medicei: Leone
X, figlio di Lorenzo il Magnifico, e Clemente VII)
Alcuni compositori di madrigali furono Costanzo e Sebastiano Festa, Adrian Willaert, Cipriano De Rore.
Nel 1539 furono pubblicati a Venezia quattro libri di madrigali di Jacques Arcadelt (1505-1568).
Il madrigale subisce una notevole evoluzione proprio nel momento in cui approda a Venezia: fu inserita una
massiccia infusione di contrappunto fiammingo.
Madrigali cromatici: così definiti perché usavano le crome (più in là il termine cromatico passò ad indicare
uno stile armonico: uso di note alterate e di modulazioni), inaugurati dal libro di
Cipriano de Rore “Primo libro de madrigali cromatici”.
I principali compositori italiani di madrigali furono Giovanni Pierluigi da Palestrina, Luzzasco Luzzaschi
(1545-1607), Luca Marenzio (1554-1599), Carlo Gesualdo principe di Venosa (1560 ca.-1613), Claudio
Monteverdi.
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15. MUSICHE “ALTROVE”: TEATRO RECITATO, FESTE, BANCHETTI
Faceva parte della musica rinascimentale anche quella non sacra e non “da camera”, che arricchiva la tavola
dei principi, che esaltava ospiti particolarmente illustri.
Entremetz: musica rinascimentale profana per banchetti, anche in versione esclusivamente strumentale, a
volte abbinata ad apparati scenografici e a movimenti danzati o pantomimici (che contribuivano
a creare una cornice ancora più fastosa).
Ricordiamo i mottetti celebrativi in latino affiancati da madrigali in italiano per le celebrazioni ufficiali delle
autorità politiche.
Da Ferrara prese le mosse un impiego della musica legato al teatro recitato. Si ha così la duplice funzione da
parte della musica:
- Intermedi: musiche presenti tra un atto e l’altro delle commedie, evitando ogni interruzione totale:
era indispensabile che le vicende recitate fossero interrotte da qualcosa di ugualmente
interessante ma profondamente diverso, per tenere desta l’attenzione degli spettatori.
A volte si aggiungevano degli inserti musicali all’inizio (prologo) e alla fine della commedia.
Agli inizi del Cinquecento le musiche degli intermedi erano spesso tratte dal repertorio frottolistico, mentre a
partire dalla rappresentazione della Clizia di Machiavelli nel 1525 gli intermedi iniziarono ad essere dei
madrigali polifonici (in questo caso il testo fu scritto da Machiavelli stesso e la musica da Philippe Verdelot
Compressione artificiale del tempo: definizione di una delle funzioni degli intermedi, dava l’opportunità di
rispettare l’unità di tempo della raffigurazione teatrale (quasi mai
rispettata a causa della lunga durata della storia descritta).
Intermedi aulici: intermedi che assumono una forma particolarmente sfarzosa servendosi anche di
complessi apparati scenografici e di ricchissimi costumi, destinati ad occasioni solenni.
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16. TEORICI, UMANISTI E COMPOSITORI VERSO LA MONODIA
Nel XVI secolo la monodia espugnava spesso anche il campo della musica polifonica: oltre che la frottola
anche il madrigale veniva eseguito monodicamente cantando solo la parte superiore e affidando quelle
inferiori ad uno o più strumenti.
Inizia a prendere atto della crescente predilezione per la monodia anche la riflessione teorica. Heinricus
Glareanus nel suo trattato “Dodecachordon” (1547) avanzò l’idea che fosse più appropriato considerare veri
musicisti coloro che inventavano melodie monodiche piuttosto che i compositori polifonici (che elaboravano
delle musiche attorno ad un cantus firmus preesistente, a discapito della libera invenzione).
Nicola Vicentino (1511-1576 ca.), allievo di Willaert, scrisse nel 1555 un trattato dal nome “L’antica musica
ridotta alla moderna prattica” che permise di iniziare a discutere anche in campo musicale il tema
dell’imitazione dell’antica Grecia. Vicentino non volle rinunciare alla polifonia, proponendone una
semplificazione a favore della comprensibilità del testo (massimo 4 voci, seguendo la pronuncia e
l’accentuazione delle parole, tentativo di reintrodurre i 3 generi musicali greci, diatonico, cromatico ed
enarmonico, al fine di rendere con maggiore flessibilità le più minute inflessioni del linguaggio).
Sempre nel Cinqeucento, Gioseffo Zarlino (1517-1590), anch’egli allievo di Willaert, ebbe un’aspra
polemica con un suo allievo, Vincenzo Galilei. Quest’ultimo, a favore della moderna monodia, vedeva nel
suo maestro Zarlino un sostenitore della polifonia. Zarlino non auspicava una subordinazione della musica
alla parola, ma rivendicava ad ambedue una piena autonomia; Galilei, nel suo “Dialogo della musica antica
et della moderna” (1581), contrappone il medioevo, epoca di barbarie, con l’antica Grecia, modello di ogni
civiltà.
Le opinioni di Galilei erano condivise dal gruppo di intellettuali (che frequentava) che si riunivano a Firenze
a casa del conte Giovanni de’ Bardi (1534-1612) e che costituivano un gruppo informale (non dotato di
regole e statuti) definito “camerata” più che “accademia”. Essi discutevano di poesia, di astrologia, di
scienze, di sport e anche di musica.
Questa camerata, che ebbe il suo massimo rigoglio negli anni 70 e 80 del Cinquecento, ospitò personaggi
come il cantante e compositore Giulio Caccini (1545-1618 ca.), lo scienziato Pietro Strozzi, i giovani poeti
Ottavio Rinuccini (1562-1621) e Giovanni Battista Strozzi (meno assiduamente i più celebri Giovanni
Battista Guarini e Gabriello Chiabrera)
Nel 1592 si sono interrotte le riunioni della camerata: le discussioni furono ereditate da un’altra camerata
(anni ’90 del Cinquecento) che si riuniva nel palazzo di Jacopo Corsi (1561-1602). L’esponente di punta di
queste altre riunioni era Jacopo Peri (1561-1633), rivale di Caccini (Corsi lo era di de’ Bardi).
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La camerata Corsi andò più sul pratico, realizzando eventi musicali concreti, e per riprodurre gli stessi effetti
della musica greca coniarono un tipo di emissione vocale che rappresentava una via di mezzo tra canto e
recitazione, il recitar cantando.
Recitar cantando: tecnica che prevede un’emissione vocale equivalente ad una via di mezzo tra canto e
recitazione (il canto, monodico e accompagnato da semplici armonie realizzate dagli
strumenti, doveva rispecchiare le inflessioni della recitazione).
Finanziata da Corsi, fu creata un’importante opera in musica (forse la prima): la Dafne, pastorale
drammatica su testo di Rinuccini e musica di Peri e Corsi stesso (composta nell’inverno del 1594-95, la
musica è andata persa).
Altro importante compositore fu Emilio de’ Cavalieri che compose il primo esempio totalmente
sopravvissuto di dramma monodico per recitar cantando: la Rappresentazione di Anima, et di Corpo (1600).
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17. MONTEVERDI E LA “SECONDA PRATTICA”
All’interno del passaggio tra Cinque e Seicento ci fu il passaggio dall’epoca rinascimentale all’epoca
barocca.
Fu accantonata la natura polifonica del madrigale (che si estinse alla metà del Seicento) per dare spazio alle
sue nuove esigenze barocche (monodia con basso continuo, stile concertante, tendenza alla
rappresentatività).
Il fine principale della musica di questa epoca era quello di muovere gli affetti degli ascoltatori
Quando aveva quindici anni uscì a Venezia il primo volume a stampa di sue composizioni
(raccolta di mottetti: le “ Sacrae Canticulae ” a tre voci, 1582), seguito in breve da un libro di
“Madrigali spirituali” a quattro voci (1583) e dalle “Canzonette” a tre voci (1584). Nel 1587
vennero stampati a Venezia i suoi “Madrigali a cinque voci […] Libro primo”.
Pubblicò in totale otto libri di madrigali (un nono libro di madrigali e canzonette uscì postumo).
Nel 1590 uscì il “Secondo libro de madrigali” e tra il 1590 e il 1591 fu assunto come violista
(anche con mansioni di cantore e maestro di canto) alla corte di Mantova (il Maestro di cappella
era Giaches de Wert). Nel 1592 esce il “Terzo libro de madrigali” che fu apprezzato dal duca
Vincenzo I di Gonzaga tanto da nominarlo maestro della piccola cappella formata da Monteverdi
stesso e altri tre cantori.
Monteverdi rispondeva sostenendo la tesi che l’errore stava nel considerare i suoi madrigali
soltanto dal punto di vista musicale: era il rapporto col testo a determinarne la struttura musicale
e a giustificarne le deviazioni dalle regole stabilite. Egli distingue la “ prima prattica” dalla
“seconda prattica”
“Prima prattica”: rappresentata dai grandi polifonisti (da Ockeghem e Josquin, fino a
Willaert e Zarlino), considerava la musica soggetta solo alle proprie
leggi di natura tecnico-musicale;
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Lo scopo principale di Monteverdi non consisteva nella descrizione del significato letterale del
testo (come facevano i madrigalisti cinquecenteschi), ma nel renderne in musica il contenuto più
profondo.
“Orfeo” (fu rappresentato nel 1607, favola pastorale scritta nello stile monodico dei
compositori fiorentini);
“Arianna” (1608, prima tragedia in musica, scritta su testo di Ottavio Rinuccini, ci resta
soltanto il celebre Lamento di Arianna);
le musiche per il Ballo delle ingrate (balletto di corte con voci e strumenti.
Nel 1613 Monteverdi supera un concorso diventando maestro di cappella in San Marco a
Venezia.
La sua produzione madrigalistica registra, così, un’ulteriore evoluzione: a partire dal Settimo
libro de madrigali pubblicato nel 1619 (un Sesto libro era stato stampato nel 1614) egli applicò
al madrigale tanto la monodia con basso continuo (non è più polifonico) quanto l’inserimento di
altre parti strumentali autonome (da questa mescolanza di voci e strumenti, che abbiamo definito
“stile concertante”, deriva il titolo di Concerto apposto al volume).
Se fino ad allora la musica era riuscita ad esprimere soltanto due affetti dell’animo umano (la
temperanza, con lo stile temperato, e la supplicazione, con lo stile molle), egli riuscì ad
aggiungere la passione dell’ira, attraverso l’utilizzo dello stile concitato.
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