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TESINA STORIA DEL JAZZ

CONSERVATORIO DOMENICO CIMAROSA

LA MAMMA AFRICA

CANDIDATO MATRICOLA
CARUSO FRANCESCO 11687
1) INTRODUZIONE

Quando si parla di ritmo africano, siamo difronte ad una scelta, dinanzi alla quale si
aprono molteplici strade. Ogni popolo, con la sua identità, ha prodotto i propri timbri
e le proprie sonorità, a seconda degli strumenti africani utilizzati. Nonostante tutto
la poliritmia è una caratteristica ed una costante quando parliamo di musica africana,
infatti i musicisti africani, soprattutto i percussionisti sono in grado di produrre
diverse figurazioni ritmiche e diversi tempi musicali, sconosciuti ai musicisti
occidentali.
Uno stereotipo vuole che l’Africa sia considerata, quasi ai nostri giorni, un continente
isolato ed inesplorato, misterioso ed impenetrabile, e del resto talmente povero di
cultura da non poter offrire nulla al resto dell’umanità. In realtà, fin dai tempi più
antichi, l’Africa ha intrattenuto da sempre vivaci scambi commerciali con i paesi del
Mediterraneo, del Vicino Oriente e del sud-est asiatico. Le popolazioni del Corno
d’Africa (Somalia, Etiopia) hanno avuto interscambi con le civiltà egiziana, araba e
mediterranea. Le popolazioni costiere dell’Africa orientale hanno avuto contatti
regolari con i commercianti arabi, i quali si sono spinti a volte fino al Congo. Questi
scambi commerciali e culturali fra le popolazioni africane e le popolazioni arabe
furono particolarmente intensi nell’Africa occidentale e settentrionale.
L’Africa non è un continente culturalmente omogeneo. Dal punto di vista delle
tradizioni musicali – il tema che qui ci interessa – può essere distinto grosso modo in
tre grandi aree:

– L’Africa settentrionale, comprendente i paesi del cosiddetto Maghreb, ma anche la


Libia, l’Egitto, il Sudan settentrionale, la fascia dei paesi del Sahel (stati islamizzati),
le coste fino al Golfo di Guinea ad occidente e a Zanzibar ad oriente, ha conosciuto
una forte influenza islamica;

– L’Africa meridionale, comprendente il Sud Africa, ma anche la Namibia, la


Rodhesia [oggi Zambia, Zimbabwe], l’Angola e il Mozambico, ha subito una forte
influenza occidentale, dovuta a numerosi e vasti insediamenti di coloni e alla
presenza di numerose chiese cristiane di origine europea;

– L’Africa centrale o sub-sahariana, comprendente gli stati della fascia mediana del
continente, Ë l’area meno influenzata dagli stili musicali provenienti dal di fuori e
quella in cui si trova ancora, a volte allo stato puro, la musica africana tradizionale.
Tutto questo ha avuto delle influenze anche nell’ambito specifico delle tradizioni
musicali. Musicalmente parlando, l’Africa ha subito influenze arabe e occidentali e
ha influenzato, a sua volta, sia il mondo arabo che quello occidentale

2) LA MUSICA TRIBALE: LE ORIGINI DELLE MUSICA


AFRICANA

2.1) LA MUSICA TRIBALE

Almeno una volta nella vita ci siamo imbattuti nel termine musica tribale, purtroppo
il significato di questo termine viene distorto, associandolo alla musica elettronica
oppure al generale House, in realtà la musica tribale altro che non è che la musica
suonata e cantata dalla tribù africane. Se riflettiamo sul termine musica tribale ci
imbattiamo nelle etnie che popolano uno dei continenti più antichi del mondo, che va
in netta contrapposizione con quella che è la musica elettronica, nata nel mondo più
moderno. In Africa la musica tribale o la musica in generale, a differenza
dall’occidente, non mira in maniera prioritaria al relax, allo svago o all’
intrattenimento, restando così del tutto opzionale, ma svolge svariate e fondamentali
funzioni di natura informativa, educativa, culturale e religiosa, la musica diventa
parte fondamentale del singolo individuo (nascita, circoncisione, iniziazione,
matrimonio, malattia, morte e sepoltura) e della comunità (commemorazioni,
celebrazioni, riti, feste). Ricapitola le tappe fondamentali della vita del gruppo e
cementa la coesione e l’unione fra tutti i suoi membri. Rafforza il ruolo dei re e dei
capi e facilita l’esternazione del rispetto e della gratitudine nei loro confronti.
Nella società tradizionale africana, la musica tribale, è soprattutto un evento sociale e
socializzante, le sue funzioni principali sono: quella di legare la comunità,
consolidare le tradizioni, credenze e l’intesa delle persone che sono già legate
attraverso vincoli di parenterali e comunitari. I “protagonisti” sono sicuramente i
membri di una famiglia, di un villaggio e l’esecuzione musicale è ristretta a specifici
gruppi di persone che risiedono nel villaggio stesso. Il concetto tipicamente
occidentale di musica è praticamente assente nella cultura africana, il musicista,
suona e canta per puro diletto, la musica coltivata come passatempo o addirittura per
gioco è praticamente assente in Africa, può farlo la donna di casa come antidoto alla
sua noia, può farlo, anche se più raramente, chi ha perduto una persona cara e da
libero sfogo, attraverso la musica al suo dolore, ma già il canto delle donne che
pestano la manioca (frutto tipico africano) o delle squadre dei lavoratori impegnati
nei capi ha uno scopo preciso: sincronizzare i movimenti per ottenere un suono meno
sgradito all’ orecchio o alleviare il dolore provocato dalla fatica, anche il canto della
ninna- nanna che la madre canta al bambino non mira solo ad addormentarlo, ma a
ricordare, attraverso le parole qualche particolare dovere o atteggiamento, anche a se
stessa e soprattutto a tutta la comunità, non di certo al bambino che non ha ancora il
dono di comprendere la musica.
La relazione che i popoli Africani intrattengono con la musica e molto poliedrica,
non tutti usano la musica allo stesso modo e nelle stesse circostanze. Presso certe
comunità il matrimonio come il funerale comportano l’accompagnamento di
specifiche musiche e canti mentre presso altre comunità non lo comporta. La
tipologia delle circostanze che richiedono un accompagnamento musicale strumentale
e/o canoro Ë molto varia. Essa include normalmente le seguenti:

1) riti e cerimonie in onore di spiriti e divinitý, come accompagnamento di


preghiere, offerte, processioni;

2) riti e cerimonie collegati con i momenti di passaggio nella vita del singolo:
nascita, circoncisione, iniziazione (di ragazzi e ragazze), matrimonio,
sepoltura;

3) celebrazioni di particolari categorie di persone: pastori, cacciatori, guerrieri;

4) ricorrenze e feste comunitarie, sottolineate da canti e danze a carattere


commemorativo, informativo, didattico o a scopo di intrattenimento e svago.

2.2) CARATTERISTICHE DELLA MUSICA TRIBALE


A Primo ascolto le musiche tribali o in generale quelle africane possono sembrare
molto approssimative o dei “rumori organizzati”. Ma in realtà sono ben più di questo,
il tentativo di caratterizzazione della musica tribale africana, attraverso l’ascolto, ha
prodotto queste caratteristiche fondamentali:
1) Rilevanza del ritmo. Mentre la musica occidentale favorisce l’armonia e
la melodia, la musica africana privilegia il ritmo, fraseggi brevi e più
delle volte ripetitivi creano dei veri e propri pattern. Si privilegia
l’utilizzo dei tamburi e degli strumenti idiofoni non melodici, come il
agogô, il djembe, la kayamba, l’hosho e in alcuni casi la darbuka. Anche
gli strumenti che hanno una funzione melodica vengono utilizzati per
uno scopo ritmico, per questo motivo i percussionisti sono considerati
più importanti dei cantanti e i ritmi più importanti della voce
2) Utilizzo di strutture ritmiche complesse. La musica africana non utilizza
le stesse strutture della musica occidentale, ma ricorre a strutture molto
complesse che si sovrappongono fra di loro. Vi è una struttura portante,
chiamata marcatempo, in cui il percussionista varia sempre il metro, non
dando punti di riferimento, poi vi è un altro percussionista che suona
frasi, improvvisate, che vanno più delle volte in contrasto con il
fraseggio utilizzato dal marcatempo. Così si crea l’impressione che il
tempo varia sempre, cosa inconcepibile per noi occidentali. Per creare
un’ atmosfera “dissonante” l’accordatura degli strumenti viene
approssimata, soprattutto gli strumenti a percussione, vengono messi al
sole in modo che la membrana si allenta, questo processo è
assolutamente volontario, la perfezione non è ammessa nella musica
africana.

3) Partecipazione corale. La musica africana nelle sue manifestazioni


prevede la partecipazione di tutta la comunità, una delle caratteristiche
fondamentali della musica tribale è la “democrazia” nella partecipazione
attiva del rito, infatti, non vi è una distinzione fra esecutori e ascoltatori,
tutti possono dare il proprio contributo, la musica africana esige
un’esecuzione corale ove non è possibile individuare gli interpreti
principali, nessun singolo ricopre un ruolo importante, ma è la sinergia
che porta ad ottenere un risultato sonoro appagante per i membri della
comunità, Nella musica africana non è il virtuosismo a fare grande un
esecuzione, ma l’energia che ognuno trasmette a chi ascolta, chi suona,
canta e danza deve lasciarsi trasportare in una corrente di energie e deve
aiutare gli altri a fare altrettanto
4) La centralità del messaggio. La qualità del messaggio che si trasmette a
chi ascolta, nella musica africana è praticamente la cosa più importante,
è importante trasmettere, attraverso la musica i valori fondamentali su
cui la comunità si basa, la musica tribale africana insegna, soprattutto ai
più piccoli, cosa è importante fare per condurre una vita all’ insegna
della fratellanza e del rispetto altrui.

Purtroppo, tendiamo spesse volte, a denigrare la musica africana, trattandola per


musica di serie b, invece, come vedremo in seguito in questo lavoro, la musica tribale
africana ha dato vita ad una nuova musica, il jazz, ma anche a nuovi strumenti
musicali come la batteria.
Io considero il jazz la casa di tutte le musiche che si sono venute a formare nel corso
degli anni, come per esempio, il funk, il soul, il rock, il reggae, l’RnB, fino al pop
dei giorni nostri, la mia impressione è che spesse volte si tende ad emarginare il
contributo che gli africani hanno dato alla nascita della musica jazz, considerando
poco l’influenza che il blues e la “sofferenza” di questa musica ha avuto su di essa.

3) IL BLUES: DALLA SOFFERANZA ALLA NASCITA DI UN


MOVIMENTO.

3.1) LA DEPORTAZIONE DEGLI SCHIAVI AFRICANI IN AMERICA

La tratta degli schiavi africani inizio nell’agosto del 1619 in Virginia con l’approdo
della prima nave, denominata, White Lion, contenente venti uomini di origine
africana, destinati ad essere venduti come lavoratori, da li a poco tempo arrivarono
altre navi contenti altra “merce umana”.
A queste persone, deportate con inganno negli Stati Uniti, non era concesso ribellarsi
al proprio destino, agli schiavi africani erano riservati i lavori più duri, quei lavori che
i bianchi rifiutavano di fare. Si venne a creare un sistema di vero e proprio scambio di
merci, in cui la manodopera non percepiva salario, ma lavorava per un certo periodo
di tempo per ripagare un debito, alla fine di questo periodo si otteneva la libertà.
Questo sistema si è rivelato nel corso del tempo poco conveniente per i proprietari
terrieri, che lo sostituirono con un sistema prettamente schiavistico, dando così il via
ad uno dei periodi più bui della storia degli Stati Uniti d’America.
Si stima che tra il XVI e il XIX secolo sono stati più di 11 milioni gli schiavi
deportati in America, la schiavitù toccò il suo punto più basso dopo la dichiarazione
d’indipendenza degli Stati Uniti ( 4 luglio 1776) dove venne sancito, in tutta la
nazione, che gli schiavi erano proprietà privata del padrone e come tale poteva farne
ciò che voleva. Per garantire la stabilizzazione dell’ordine schiavista, la legge
americana s’impegnò a esercitare un forte controllo sui neri, impedendone la
circolazione, l’aggregazione e, in alcuni casi addirittura l’istruzione. Ciò non
impediva agli schiavi di utilizzare un sistema in codice per permettere a loro di
comunicare e soprattutto di alleviare le proprie sofferenze.
Questo orrore durò per più di duecento anni, in cui morirono sia per la fatica sia per i
tentativi di ribellione, più di un milione di africani, la schiavitù venne abolita il 18
dicembre del 1865 dal presidente Abraham Lincoln, tramite l’emanazione di un
emendamento, il quale prevedeva che i neri africani non erano più “proprietà
privata” ma erano dei cittadini liberi, ma se prima i neri erano costretti a lavorare nei
campi, da quel momento i poi lo continuarono a fare, questa volta, anche se
sottopagati, per lavoro.

3.2) LA BATTERIA

Gli africani, quindi, si trovarono liberi o quasi dalla schiavitù, in una terra ignota
dinanzi a gente che fa cose a loro, cose ignote, privi di ogni effetto personale, che gli
era stato sottratto appena giunti in America, anche gli strumenti musicali, che gli
africani avevano portato con se durante il viaggio, gli erano stati sottratti, quindi per
eseguire i rituali della trazione tribale, furono costretti ad utilizzare gli unici strumenti
a percussione presenti in quel momenti in America, cioè gli strumenti della banda
musicale italiana o europea.
Adesso è difficile immaginarlo, ma nell’800 gli Stati Uniti, musicalmente parlando,
erano una colonia italiana, le uniche due forme musicali che gli americani
comprendevano erano l’opera e i brani della trazione bandistica, quest’ ultima forma
musicale proveniente dall’Italia veniva emulata dai musicisti americani, soprattutto a
New Orleans, città che divenne con il passare del tempo un crogiolo di etnie. Gli
americani vollero così creare una sorta di banda musicale all’italiana che suonasse sia
ai funerali sia alle feste, dando vita alla marching band, che letteralmente significa
banda marciante, gli strumenti a percussione di quest’ ultima venivano suonati
proprio dagli africani che con il tempo avevano acquisito una buona dimestichezza
con essi.
I musicisti di New Orleans rimodularono quindi le melodie che arrivarono
dall’Europa dando ad esse una nuova identità e rendendole ballabili, ma le sale da
ballo divenivano sempre più piccole e i soldi a disposizione dei musicisti erano
sempre di meno. Bisognava trovare una soluzione a questi problemi e l’unica via
sembrava quella di un taglio al personale, fu indispensabile, soprattutto per una
questione di spazio, assemblare gli strumenti a percussione rendendoli suonabili da
un unico musicista, dando così vita ad un nuovo strumento, la batteria. Solo una
mente poliritmica con un africano poteva pensare di suonare più strumenti diversi
facendo uscire un unico suono. La batteria degli albori era molto differente da quella
moderna, non vi era una conoscenza tecnica e quello che si suonava era molto
istintivo, le prime registrazioni, in cui è presente la batteria, che sono venute a noi,
sono molto poche, ma si può notare in esse come il batterista accompagni utilizzando
la stessa tecnica utilizzata nella banda, quella del rullo pressato, uno dei tanti
rudimenti base dai quali si parte per studiare questo strumento. Lo sviluppo della
tecnica, tramite la scoperta di rudimenti sempre nuovi, ha fatto si che si è arrivati ai
giorni nostri in cui la batteria ricopre un ruolo di rilevante importanza in un organico,
è lo strumento leader della sezione ritmica, ma grazie a batteristi come Tony
Williams, Ben Riley e Jeff Hamilton, la batteria, è conosciuta anche come
strumento melodico.

3.3) IL BLUES: UN CANTO DISPERATO

Tutto inizia con il blues, nella storia della musica occidentale, ha dato vita alla
maggior parte dei generi di musica leggera che ascoltiamo oggi, si parte con il jazz, si
passa per il rock n roll, si arriva al pop.
La parola blues è stata usata per la prima volta alla fine del 1700 per indicare un ballo
lento con cadenza terzinata, questa parola, è stata estrapolata dalla frase, ‘to have the
blue devils‘ che letteralmente significa avere i diavoli blu, sta indicare una persona
incupita, sempre triste..
Ma chi ha inventato il blues? Quali sono le sue origini? Le origini di questa musica
sono molto più profonde di come si pensa, infatti quando si parla di blues si abbraccia
una vasta gamma di stili musicali, che rappresentano il punto di arrivo di un percorso
iniziato tanti anni prima nei campi dal lavoro. Come già detto in precedenza la parola
blues viene usata per indicare una persona triste, infatti la stessa veniva utilizzata per
identificare la popolazione africana, sempre addolorata, nostalgica, e con essa anche
il loro canto di disperazione utilizzato per alleviare la sofferenza del lavoro
massacrante nei campi. Data importante per l’affermazione del blues è sicuramente il
1865 dopo l’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti, ottenuta la liberta, gli africani
iniziarono a portare le loro forme musicali fuori dalla piantagione, e nel giro di
qualche decennio, questo stile musicale fu noto a giungere alle prime attenzioni che
ci sono pervenute. Uno dei più importanti antenati del blues è sicuramente lo
spiritual, canto religioso, nato dalle riunioni dei devoti cristiani durante il Grande
Risveglio, dei primi anni del XIX secolo. Di argomento malinconico e appassionato,
lo spiritual, nei propri testi tratta di speranza, di una vita migliore non in questo
mondo, ma in un altro parallelo, la stessa speranza che aveva il popolo africano di
uscire da quella situazione di oppressione. Altri antenati del blues vanno ricercati
sicuramente nelle Work Song (canzoni di lavoro) sempre eseguite dagli schiavi
africani nei campi di lavoro e di altra provenienza ( canti portuali; canti manovali),
che risuonavano in America durante la guerra di secessione e anche negli anni
successivi in cui la condizione di povertà degli africani persisteva nonostante
l’abolizione della schiavitù. Da questi sicuramente il blues ha ereditato la sua
struttura, chiamata in termine tecnico call and response, chiamata e risposta, tecnica
su cui si basa la musica jazz, infatti la maggior parte degli standards sono stati
composti utilizzando questa tecnica. Molte caratteristiche del blues, a cominciare
dalla struttura antifonale e dall’ utilizzo delle Blue Note, posso essere fatte risalire
alla musica africana, soprattutto la musica islamica dell’Africa centrale o
occidentale in cui si utilizzano strumenti simili alla chitarra che venivano tollerati dai
padroni perché molto simili a strumenti occidentali come il violino, quindi gli africani
che avevano la fortuna di avere con se questi strumenti, si esibivano in pubblico,
ascoltati dai chitarristi Americani che cercarono di utilizzare quella forma adattandola
allo stile occidentale.
Nel corso della sua evoluzione il blues, acquisì alcune delle caratteristiche tipiche del
ministel e del ragtime, in questo periodo, questo genere musicale, come si può
ascoltare nei dischi di artisti come Leadbelly e Henry Thomas, veniva suonato non
usando una forma regolare, talvolta di otto o sedici, la forma che conosciamo tutti
noi, cioè quella formata da dodici battute, fu suonata per la prima volta dalle
comunità afroamericane del Mississipi e nelle orchestre bianche di New Orleans. Il
termine blues risale agli inizi del XX secolo, ma veniva utilizzato già tempo prima,
come detto già in precedenza, per indicare uno stato malinconico. La tipica forma del
blues invece, sembra essersi sviluppata negli stati del Sud degli Stati Uniti, ma
siccome questo genere fu una musica agreste, le sue origini sono documentate in
maniera molto approssimativa e poco precisa, e la maggioranza dei musicologi ha
concentrato i propri studi a partire dal 1920 quando il blues iniziò ad essere
documentato su larga scala, anche grazie all’avvento della discografia. Riferimenti al
blues appaiano relativamente molto tempo prima di quelli della musica jazz, e nel
periodo in cui il blues stava emergendo si crearono due relazioni molto importanti per
la nascita del jazz. La prima ha a che fare con la struttura armonica della maggior
parte dei brani blues (I/IV/V/I), tale struttura fu presto abbandonata dai musicisti di
ragtime, che usavano la struttura armonica ma non la struttura del blues,
allungandola, così facendo si vennero a creare quelli che noi oggi chiamiamo forma
canzone (AABA) di trentadue misure, sulla quale si basano la maggioranza degli
standards jazz. La seconda relazione va ricercata nella tradizione performativa del
blues, soprattutto quella della prima generazione di cantanti donne, che lavoravano
spesso affianco ai musicisti di ragtime, e portarono una sintesi di stili con quelli dei
musicisti jazz. Alcuni dei primi standards jazz furono composti dal cornettista W.C.
Handy, quali Memphis Blues ( scritto nel 1909 ma pubblicato nel 1912) e St. Louis
Blues (1914), questi brani, si chiudono con la ripetizione di un tema di dodici misure
sulle armonie tipiche del blues, inoltre per la prima volta, i musicisti si trovano ad
improvvisare su una struttura armonica che si ripete. Handy, non aveva aggiunto una
nuova forma musicale, ma semplicemente aveva trascritto ciò che ascoltava nelle
piantagioni del Mississipi. La regione delta di questo stato, divenne teatro dei
bluesmen, primo protagonisti di quel processo di maturazione che indicava la fine
dello schiavismo africano e indicava l’inizio di una nuova era, in cui grazie al blues,
gli afroamericani avevano ricevuto il giusto compenso per le troppe ingiustizie subite.

3.4) L’EVOLUZIONE DEL BLUES NELLE VARIE FORME

I primi suonatori di blues iniziarono a spostarsi verso il sud del paese, in cui venivano
reclutati per suonare alle cerimonie o semplici feste organizzate dai padroni dei
campi. Questi appuntamenti costituirono una grande occasione per elaborare la forma
del blues, infatti, i bluesmen si incontravano scambiandosi così opinioni. Fu così che
si arrivo progressivamente alla definizione della “forma blues”.
La struttura base è nata per rispondere alla necessità da parte dei musicisti blues di
improvvisare storie, magari estrapolandole dalla vita reale, adattandole alle
circostanze nelle quali si trovava ad esibirsi. Lo schema base conta dodici battute,
nelle quali le prime quattro venivano utilizzare per esporre un pensiero, che si ripete
nelle successive quattro battute, le ultime quattro danno il tempo al bluesman di
trovare un finale per chiudere la storia. Alle dodici battute, come già enunciato sopra,
si associa una struttura armonica tipica: Tonica, Sottodominante e Dominante.
Questa è solo la forma standard che ha subito, durante il corso degli anni, molte
modifiche. La libertà di apportare modifiche alla forma blues è una prerogativa dei
bluesman, che in modo insolente si contrappone alla durezza della musica colta,
suonata dai musicisti bianchi in posti di èlite.
Le variazioni subite dal blues sono molteplici e non riguardano solo la forma, ma
anche la struttura armonica con l’inserimento di nuovi accordi. A contribuire a nuove
forme di blues sono stati sicuramente i musicisti jazz in primis Charlie Parker, che
ha modificato l’armonia di questo genere, avvicinandolo al bebop, quindi da una
struttura base come questa

Esempio 1: Classica struttura di un blues in Do maggiore

Si è arrivati ad una struttura armonica come la seguente:


Esempio 2: Blues for Alice composto da Charlie Parker

Si nota come in questo brano siano state introdotte nuovi varianti armoniche, quali,
sostituzioni, modulazioni, turn around e scambi modali, questo tipo di struttura fu
nominata Bird’s Blues dai musicisti jazz, dal soprannome di Charlie Parker ( Bird).
Altra innovazione, portata da Parker, riguarda l’aspetto ritmico riguardante la velocità
di esecuzione, infatti, fino ad allora il blues veniva eseguito con un tempo molto lento
con cadenza terzinata, e le note utilizzate nell’ improvvisazione erano molto lunghe,
Parker, come da tradizione bebop, suona questo blues con un tempo medium, ma la
vera innovazione sta nelle note molto corte e staccate utilizzate nei soli, questa cosa,
non fu vista di buon occhio dai bluesman della tradizione.
Il blues tuttavia, fu accolto dai musicisti americani come una ventata di “aria fresca”
ed ebbe la sua massima espansione dopo gli anni trenta, ogni stato americano creò
una sua variante. Abbiamo per esempio il Delta Blues, tipico della regione Delta
dello stato del Mississipi, la tipicità di questo blues, come si può ascoltare nelle prime
registrazioni, è che veniva suonato utilizzando una chitarra acustica avente una cassa
armonica cava. Altra variante importante è il: Chicago Blues, nato quando molte
persone, dopo gli anni 30 e 40, lasciarono i campi del Mississipi e si trasferirono nel
nord del paese, questo tipo di blues è stato il più ascoltato. Il Chicago Blues fu il
primo ad essere suonato con chitarra elettrica amplificata, e con una formazione di
accompagnamento formata da basso, pianoforte e batteria. Un pioniere di questa
forma di blues fu il gruppo di Muddy Waters, dalla fine degli anni 50 lo stile
Chicago Blues continuò ad evolversi con una nuova generazione di chitarristi che si
ispiravano a B.B. King. Atre forme di blues sono il Memphis Blues, il Lousiana
Blues, il Country Blues, il Pidmont Blues ed il West Coast Blues, ma quello che
riguarda un po' l’introduzione del blues nel jazz è stato sicuramente il: New Orleans
Blues, questo stile rappresenta una vera e propria innovazione e con l’introduzione di
una sezione di corni si ottiene un suono nuovo. Il blues di New Orleans, inoltre, è
contraddistinto dai ritmi caraibici (dalla rumba soprattutto) e dal “second- line strut”
derivante dal jazz. Io personalmente considero New Orleans la “casa” di tutte le
musiche, non solo del jazz, infatti, ascoltando attentamente la musica di questa
regione e riducendola all’essenziale, cioè considerando solo chi accenti principali, si
nota come si creano delle “claves” cioè chiavi, che poi sono state il punto di partenza
dei ritmi latini come: la salsa, la bossa nova, il calypso, il songo, il merengue il cha
cha cha, ed il reggae.
Nel corso degli anni il blues ha subito numerose innovazioni, derivanti dall’
introduzioni di nuovi strumenti musicali e dallo studio della tecnica soprattutto per
strumenti come la chitarra e la batteria, ha subito numerose influenze come il rock,
Jimi Hendrix, i Doors ed Elvis Presley sopra tutti hanno utilizzato la struttura del
blues mescolandola con sonorità tipiche del rock e dello shuffle, altro genere nato
dalla matrice jazz. Anche in generi come la fusion, il blues è stato utilizzato dando
vita a nuove sonorità, come nel caso di Blues for Tony e Gas Lamb Blues, i due
brani, il primo brano ha una struttura di dieci battute, atipica per il blues, anche gli
accordi utilizzati sono molto distanti dalle sonorità classiche utilizzate in questo stile,
lo stesso discorso vale anche per Gas Lamb Blues, ma nonostante tutti vengono
classificati come blues.
È ormai chiaro che il blues è stato la culla di tutti i generi che si sono venuti a creare
dopo, sono davvero pochi gli artisti che non hanno omaggiato questo stile, che
insieme al jazz ha dato vita a tutte le sonorità “leggere” che sono venute ai giorni
nostri, il blues inoltre, ha creato una valida alternativa alla “staticità” della musica
classica, offrendo una strada alternativa, attraverso l’improvvisazione, ai musicisti del
dopoguerra, tutto questo grazie agli schiavi africani, che hanno dato sfogo alla loro
rabbia in modo creativo e non banale, ma il blues, come vedremo nel capitolo
successivo, non è l’unica forma musicale nata da un popolo oppresso.

4) IL MERIDIONE: “AFRICA” D’ITALIA


4.1) LA CANZONE POPOLARE DEL SUD

Alla fine dei moti rivoluzionari del 1848 nessuno avrebbe potuto immaginare
quale sarebbe stato il destino dell’Italia, gli Austriaci erano ancora in Veneto ed
in Lombardia, ed al centro sud i tentativi di riforma erano stati bloccati
dall’esercito borbonico. Nel marzo dell’1848 Vittorio Emanuele II, diventa re di
Sardegna, e nell’agosto del’ 1949 la Camera si rifiuta di firmare la pace,
dichiarando guerra all’esercito austriaco. Dopo questi fatti emerge una nuova
figura chiave per la svolta unitaria, Camillo Benso Conte di Cavour, lo stesso
venne eletto Ministro dell’agricoltura e del commercio, Su queste basi, Cavour
riesce ad integrare lo Stato sabaudo al contesto europeo, tramite trattati
commerciali con gli altri paesi e abolendo una serie di antiquate tasse sul grano.
Non è scopo di questo lavoro di parlare della storia dell’Unità d’Italia, ma vorrei
focalizzare l’attenzione su quello che è accaduto nel sud Italia, musicalmente
parlando in questo periodo. Come tutti ben sappiamo fu Giuseppe Garibaldi ad
operare nel meridione, infatti, dopo un lungo esilio, rientrò in Italia, liberandolo
dai Borboni, esso fu accolto come un liberatore e riuscì nel suo intento. Il 17
marzo del 1861 Vittorio Emanuele II viene proclamato Re d’Italia, ma quello che
noi chiamiamo liberazione del sud, in realtà è un occupazione da parte
dell’esercito piemontese a danno del popolo meridionale, Con la nascita del
Regno d’Italia, infatti, nel 1861 iniziarono a sorgere insurrezioni popolari contro
il nuovo governo, che interessarono le ex province del Regno delle Due Sicilie.
Le condizioni economiche peggiorate, l’incomprensione della nuova classe
dirigente, l’aumento delle tasse e dei prezzi dei beni di prima necessità,
l’aggravarsi della questione demaniale dovuta all’opportunismo dei ricchi
proprietari terrieri furono le cause principali del brigantaggio post-unitario. Il
brigantaggio postunitario fu, secondo alcuni, una delle prime guerre civili
dell’Italia contemporanea e fu soffocato con metodi brutali, tanto da scatenare
polemiche persino da parte di esponenti liberali e politici di alcuni stati
europei.Tra i politici europei che espressero critiche nei confronti dei
provvedimenti contro il brigantaggio vi furono lo scozzese McGuire, il francese
Gemeau e lo spagnolo Nocedal.

Come gli africani diedero vita al blues, cercando di alleviare le proprie


sofferenze, i briganti crearono la Canzone Popolare del Sud, la maggior parte di
queste canzoni a noi pervenute provengono dal Cilento e dal Vallo di Diano,
purtroppo si sa poco della Canzone Popolare del Sud, alcune tracce sono state
perse, tuttavia, alcune rivisitazioni di canti popolari del sud Italia, sono state fatte
da artisti come Eugenio Bennato che ha musicato alcuni testi scritti dai briganti
durante gli anni dell’occupazione piemontese nel meridione. Il canto più
conosciuto è sicuramente: Brigante se more, questo canto è stato composto nel
1970 da Eugenio Bennato è rappresenta, come nel caso del popolo africano, uno
stato d’animo molto malinconico diffuso nel Sud post unitario, inneggia e incita a
ribellarsi a quell’oppressore, chiamato “piemontese” che si era arricchito ai danni
del meridione. La canzone Brigante se more rievoca vecchie melodie, e con un
tempo terzinato richiama quelle che sono le correnti musicali del meridione come
la tarantella e la pizzica salentina, ritmi che sono arrivati in America grazie
all’emigrazione dei meridionali italiani e che insieme alla musica africana hanno
influenzato fortemente la musica jazz.

CONCLUSIONI

Ho composto questo lavoro perché ho avuto, confrontandomi con molti musicisti,


che si suona jazz, ma non si conosce la vera matrice di questa musica, ignorando
che sia partito tutto dal blues che attraverso la sofferenza del popolo africano ha
creato terra fertile alle musiche che sono arrivate a noi oggi. Molti musicisti jazz,
hanno subito durante la loro carriera discriminazioni, e delle volte, come nel caso
di Bud Powel, anche dei veri e propri tentativi di pestaggio da parte della polizia
americana. Ma le cose che ho cercato di dimostrare attraverso la stesura di questo
lavoro sono due: la prima riguarda l’aspetto tecnico musicale, che il blues
attraverso la sua struttura armonica e il ritmo terzinato ha dato vita ai primi
standards jazz, suonati ancora oggi dai musicisti attraverso riarrangiamenti
sempre più complessi e moderni, la seconda cosa riguarda l’aspetto umano, e
cioè, ascoltando un disco di musica jazz, con attenzione, quella sofferenza di cui
parlavo sopra viene percepita anche da noi, la voglia di dimostrare che quella
schiavitù è stata un ingiustizia è intrinseca nei fraseggi utilizzati dai musicisti, ma
i popoli oppressi sono stati tanti, vuoi che si chiamano siriani, afgani, o
palestinesi, africani o meridionali, credo che tutti noi abbiamo un “blues da
piangere” ed una sofferenza da portare con noi ogni volta che si fa MUSICA.

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