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Valenza formativa del canto corale


nelle pratiche scolastiche inclusive di
alfabetizzazione emotiva: alcune indicazioni
operative per la scuola dell’infanzia
Giuseppe Sellari
Università degli Studi di Roma «Tor Vergata»; giuseppe.sellari@uniroma2.it

Sommario
Introdurre nella scuola programmi di «alfabetizzazione emotiva»,
che possano coinvolgere anche le famiglie, è un’esigenza sempre
più impellente per accrescere nei giovani tutte le componenti
dell’intelligenza intra e interpersonale. Fin dall’età prescolare, infatti,
empatizzare con i vissuti dell’altro favorisce la messa in atto dei
comportamenti prosociali adeguati, aiuta a regolare il flusso delle
emozioni negative e a ridurre le manifestazioni aggressive verso i
compagni, favorisce la comunicazione e incoraggia l’accoglienza della
diversità. La voce dell’uomo è l’elemento sonoro del proprio mondo
interiore e della propria emotività, ed è per questo che le attività
di canto corale, se proposte a scuola in una dimensione laborato-
riale inclusiva, possono costituire una delle esperienze espressive e
educative più coinvolgenti in grado di suscitare profonde emozioni
e sentimenti significativi. I risultati emersi dalle ricerche scientifiche
condotte in équipe nel corso degli ultimi dieci anni, forniscono una
serie di indicazioni operative, rivolte a tutti i decisori scolastici, sulle
pratiche inclusive di alfabetizzazione emotiva con la musica e il canto.

Parole chiave
Canto corale, didattica inclusiva, educazione emotiva, empatia.

Erickson – Trento Orientamenti Pedagogici Vol. 66, n. 2, aprile-maggio-giugno 2019 (pp. #-#)


Orientamenti Pedagogici Vol. 66, n. 2, aprile-maggio-giugno 2019

1. Le emozioni e lo sviluppo dell’empatia a scuola: un quadro introduttivo

Le emozioni sono stati mentali complessi e dinamici che possiedono un’origi-


naria utilità adattativa poiché mediano i rapporti tra gli individui e il loro ambiente
(Darwin, 1872; Ianes e Demo, 2007; AA.VV., 2017). Molti autori concordano
nel considerarle come i «movimenti» fondamentali del comportamento umano
in cui convergono una serie di componenti fisiologiche, cognitive, motivazionali,
espressivo-motorie e affettivo-soggettive tra di loro strettamente dipendenti (Frjida,
1990; Harris, 1991; Plutchik, 1995; D’Urso e Trentin, 1998; Le Doux, 1998). La
loro funzione principale è infatti quella di favorire reazioni più efficaci e vantag-
giose possibili rispetto alle variazioni dell’ambiente. Nello specifico, l’emozione
può essere definita come «l’esperienza che produce sentimenti o affetti («mi sento
felice»), presenta delle modificazioni fisiologiche in risposta a determinati stimo-
li (un aumento del battito cardiaco, ad esempio), è dotata di correlati cognitivi
(come la valutazione degli stimoli emotigeni) e ha, infine, risvolti sul piano del
comportamento».1
Durante l’età evolutiva si passa dalla comparsa delle emozioni «semplici» o
«primarie» a quelle «complesse» attraverso un processo multidimensionale in cui
svolge un ruolo cruciale la capacità della figura primaria di relazione (primary
caregiver, che coincide quasi sempre con la figura materna) di leggere, interpretare
e rispondere alle espressioni emotive del bambino (Ianes e Zappella, 2011). Le
abilità socio-emozionali e cognitive hanno pertanto le loro radici nelle relazioni
affettive e gli scambi emotivi tra l’infante e un conspecifico in grado di prendersi
cura di lui. Questo legame è definito «attaccamento» e si riferisce alle esperienze
interattive primarie tra l’adulto e il bambino.
Secondo Bowlby (1969; 1979; 1988) l’attaccamento è un comportamento
istintivo e adattivo che il piccolo dell’uomo sfrutta per la sua sopravvivenza. È
un legame geneticamente determinato in grado di regolare le relazioni sociali
future di ciascun individuo e di presagire forme psicopatologiche in età avanzata.
Bowlby attribuisce alla figura materna una responsabilità esclusiva e univoca nella
formazione dell’attaccamento distinguendo tre diverse categorie per identificarne
il grado di sicurezza. Attualmente gli studiosi inquadrano il processo di sviluppo
dei legami affettivi in una visione più complessa e multifattoriale in cui non solo
la madre, ma anche le altre figure di riferimento svolgono un ruolo determinante
per la formazione di un modello interno positivo in grado di creare nel bambino
un’immagine sicura di sé. Questa coscienza di sé emerge fin dall’infanzia in modo
progressivo ed è intimamente legata al «processo di mentalizzazione» attraverso il
quale ciascun individuo apprende che «la nostra esperienza del mondo è mediata
dal fatto che possediamo una mente […] è una struttura che si sviluppa dalla prima

1
Balconi M. (2004), Neuropsicologia delle emozioni, Roma, Carocci, p. 31.

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infanzia in poi, e il suo sviluppo dipende in modo critico dall’interazione con menti
più mature, la cui qualità sia a loro volta benigna e riflessiva».2
Nella società civile odierna e in un’epoca come quella attuale dove prevale
il progresso con i suoi stress, le ansie e la depressione, la chiusura in sè stessi e le
difficoltà nell’attenzione e nella riflessione e in cui l’aggressività e le violenze sono
in continuo aumento, si rende sempre più necessario prevedere a scuola percorsi
di educazione emotiva e programmi di prevenzione del disagio psicologico e dei
disturbi della comunicazione (Valeri e Marotta, 2014). Intervenire precocemente
già a partire dall’infanzia attraverso pratiche di «alfabetizzazione emotiva» permette
infatti di contrastare lo sviluppo delle dipendenze patologiche e di favorire le com-
petenze necessarie al riconoscimento, la gestione e la modulazione delle proprie
emozioni: «le azioni antisociali di un bambino di cinque anni possono essere il
prototipo delle azioni di un adolescente delinquente».3 Spesso infatti, per motivi
principalmente educativi, i bambini non riescono né a gestire, né a riconoscere e
né tantomeno a esplicitare quelle sensazioni di dissolvenza, di rabbia, di frustra-
zione e di languore spirituale che pervadono l’animo nei momenti di sconforto
e insoddisfazione: «se il giovane non riesce a creare un sé differenziato, viene a
trovarsi in balia dell’oggetto».4 D’altronde «i veri bisogni dell’uomo, nonostante
una società come questa in crisi di legami, di significati, di valori, rimangono ancora
bisogni di vicinanza, di relazione, di intimità, di conferma, di ascolto, di sicurezza;
bisogni che spesso sono stati sacrificati nel baratto con il benessere materiale».5 La
scuola, oltre la famiglia, può assolvere un ruolo fondamentale come spazio-tempo
privilegiato per sostenere il benessere, impedire l’insorgere del disagio e del di-
sadattamento (Cottini, 2004; Di Pietro, 2014) e, parallelamente, favorire una più
cosciente consapevolezza di sé e una maggiore e più attiva partecipazione alla
vita comunitaria, culturale e intellettuale (Canevaro e Ianes, 2002). Il processo
di relazione e di scambio globale tra le persone nel contesto in cui si svolge, si
realizza, d’altro canto, attraverso il fenomeno eterogeneo della comunicazione.
Comprendere l’altro sapendo interpretare i diversi segnali di cui dispone ogni atto
comunicativo è un’abilità riconducibile all’«intelligenza interpersonale» (Gardner,
2005), con la quale gli individui partecipano alla costruzione della visione comune
o condivisa. Una corretta comunicazione non può quindi prescindere dall’aspetto
relazionale (e vimultimodalceversa) sul quale si fonda ogni possibilità di incontro
nella diversità e nella soggettività delle persone.
Tra le variabili individuali in grado di promuovere un positivo sviluppo psi-
cosociale, riveste un ruolo fondamentale l’empatia. Questa capacità favorisce il

2
Fonagy P., Gergely G., Jurist E.L. e Target M. (2005), Regolazione affettiva, mentalizzazione e
sviluppo del sé, Milano, Raffaello Cortina, pp. 3-4.
3
Patterson, cit. in Goleman D. (1995), Emotional intelligence. Why it can matter more than IQ, New
York, Bantam Books, p. 278.
4
Del Pidio F. (2008), Il contributo dell’immaginazione ai processi di soggettivazione con particolare
riguardo all’adolescenza. In A.M. Disanto (a cura di), Paradossi della mente giovanile. Oscillazioni
tra paura, angoscia e aggressività, Roma, Borla, p. 52.
5
Mariani U. (2002), Costruire il benessere personale in classe, Trento, Erickson, p. 40.

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riconoscimento e la condivisione in maniera vicaria dell’emozione provata da un


altro individuo, che si traduce in un vissuto emotivo più consono allo stato d’animo
dell’altro rispetto al proprio, e nel comprenderne la situazione mettendosi nei suoi
panni in modo sempre più raffinato nel corso dello sviluppo (Hoffmann, 2001).
L’empatia è una capacità emotiva superiore che si manifesta in maniera compiuta
in età preadolescenziale se inizialmente sostenuta, in famiglia, al nido e a scuola,
da esperienze rilevanti di «alfabetizzazione», condotte da modelli educativi di
riferimento — gli adulti — che ne sappiano costantemente rafforzare l’efficacia
con atteggiamenti idonei, coerenti ed esemplari: empatizzare fin da piccoli con i
vissuti dell’altro favorisce la messa in atto di comportamenti prosociali adeguati
(Eisenberg, Fabes e Spinrad, 2006). L’empatia, inoltre, aiuta a regolare il flusso
delle emozioni negative e a ridurre le manifestazioni aggressive verso i compagni
(Eisenberg e Fabes, 1998), avvalora la comunicazione e stimola l’accoglienza
della diversità (Hoffman, 2000). Essa quindi è un’abilità fondamentale per la co-
struzione di relazioni intra e interpersonali positive (Albiero e Matricardi, 2006) e
di benessere primario, che è importante incoraggiare già durante l’età prenatale e,
successivamente, promuovere con percorsi educativi specifici ed efficaci (WHO,
1993). La voce materna parlata e cantata è, per esempio, uno straordinario canale
espressivo per veicolare intense e significative emozioni e per sollecitare una prima
«relazione simbiotica di scambio» con il nascituro.6

2. Il laboratorio musicale come ambiente di apprendimento emotivo


e sociale

Esaminando alcune delle principali esperienze nell’ambito dell’educazione


emotiva e della prevenzione del disagio psicologico, è possibile notare come la
maggior parte degli interventi scolastici siano progettati su percorsi educativi fondati
su tecniche principalmente cognitive (La Mela, 2016; Di Pietro, 2013; Ornaghi,
Grazzani Gavazzi e Antoniotti, 2011; Cornoldi et al., 2002) in cui la dimensione
verbale viene privilegiata a scapito di quella non verbale, ossia viene spesso tra-
scurato il «lavoro sul corpo» che rappresenta invece un’essenza fondamentale per
lo sviluppo del proprio «io» emotivo (Polito, 2003; 2005). Il ruolo del sè svolge
una funzione di primaria importanza nelle varie forme di apprendimento specifico,
così come nell’apprendimento delle capacità affettive ed emotive: se chi apprende
associa l’informazione a sè, questa verrà conservata in memoria e recuperata in
maniera più profonda e accurata (Mazzoni, 2000).
Fra tutte le esperienze in grado di coinvolgere la mente e il corpo in modo
globale e attivo nell’esplorazione delle varie modalità e possibilità espressive,
emotive e relazionali, la musica riveste un ruolo di straordinaria rilevanza. Ci si
riferisce, in particolare, a tutte quelle situazioni in cui la pratica musicale è progettata

6
Imberty M. (2002), La musica e il bambino. In J.J. Nattiez (a cura di), Enciclopedia della musica,
Torino, Einaudi, pp. 477-495.

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e presentata in una dimensione laboratoriale dove la facilitazione della partecipa-


zione e dell’apprendimento di ciascun discente è garantita da un’organizzazione
inclusiva che riconosce e valorizza le differenze di ciascuno mediante una didattica
competente e di qualità (Ferrari e Santini, 2014; Chiappetta Cajola e Rizzo, 2016).
La musica, ossia l’organizzazione del suono come elemento presente in natura,
è il prodotto di un’abilità umana innata: è espressione di noi, delle nostre emozioni
e del nostro universo più intimo (Sellari, 2015). I risultati scientifici ottenuti negli
ultimi decenni nel campo delle neuroscienze cognitive (Margulis, 2018), della
neuromusicologia (Caramia, 2018; Schön, Akiva-Kabiri e Vecchi, 2018) e della
pedagogia e didattica della musica (Delfrati, 2008) hanno confutato la tesi seconda
la quale tutti nasciamo «musicali», ossia ciascuno di noi possiede una dotazione
genetica alla musica fin dalla nascita. Ciò significa che, attraverso un’educazione
tempestiva calibrata a formare le competenze e le abilità secondo criteri di indivi-
dualizzazione e personalizzazione, è possibile implementare l’attitudine di partenza
alla musica in ciascun individuo e scoraggiare, di conseguenza, qualsiasi grado
di atrofizzazione delle aree cerebrali implicate in questa facoltà. Howard Gardner
(2005; 2016), nei suoi famosi e tanto celebrati studi sulla «teoria delle intelligenze
multiple», ha più volte sostenuto che la musica, al pari dell’intelligenza linguistica,
logico-matematica, naturalistica, emotiva, cinestetico-corporea e visivo-spaziale, è
un’attitudine umana in sviluppo. Inoltre, per le sue qualità intrinseche ed estrinseche
(Nattiez, 1987), essa è portatrice di un «carattere affettivo» che racchiude l’essenza
del suo stesso significato (Baroni, 2004). Una delle esperienze più coinvolgenti che
la musica è in grado di offrire è quella di suscitare profonde emozioni e sentimenti
significativi (Budd, 1985; Davies, 1994; Juslin e Sloboda, 2001; Scherer e Zentner,
2008; Juslin e Laukka, 2004) seguendo una propria logica, diversa da quella del
linguaggio verbale (Nattiez, 1989). Quando infatti ascoltiamo o eseguiamo una
musica veniamo emotivamente coinvolti in uno stato di benessere cerebrale che a
sua volta è in grado di stimolare in ciascuno di noi particolari sensazioni di piacere
e di soddisfazione. Questa capacità di elevare il livello della nostra vita emotiva
(Sloboda, 1998) non è l’unica peculiarità di quest’arte. La musica infatti, per i vari
livelli di abilità sensorie e corporali a cui fa riferimento, può assumere una valenza
formativa, educativa, curativa ed estetica di straordinaria importanza e favorire
nei bambini, soprattutto in età prescolare, esperienze reali significative perché
intimamente vissute (Shuter-Dyson, 1999; Imberty, 2002; Sacks, 2008; Anceschi,
2009; Baroni, 2009). Cantare in coro per esempio significa non solo comunicare gli
aspetti più profondi della nostra affettività umana ma anche, in contesti educativi
e scolastici inclusivi, favorire in maniera trasversale la promozione delle singole
potenzialità degli allievi e del personale successo formativo7.

7
Art. 1 comma 2 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999.

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3. Gli effetti dell’educazione vocale e corale per l’espressione di sen-


timenti, emozioni e stati d’animo

La musica vocale rappresenta la forma più efficace e democratica per ri-


svegliare i nostri sensi e per accrescere il livello della nostra sensibilità, del buon
gusto e della felicità. La voce, che precede evolutivamente l’utilizzo della parola
(Schindler e Mari, 1986), costituisce infatti l’elemento fondamentale dell’e-
spressione verbale-fonatoria attraverso la quale ciascun individuo veicola le sue
emozioni, i sentimenti e gli stati d’animo (Magnani, 2001; 2008; 2010; Sellari,
2017). È emanazione diretta del nostro pensiero e del nostro «io» più intimo e il
suo livello qualitativo e quantitativo è indice del nostro benessere. La ricerca di
una voce eufonica, in grado di far provare sensazioni piacevoli non solo nel par-
lante ma anche nell’ascoltatore, deve accompagnarci costantemente nel cammino
della nostra esistenza. Per questo è indispensabile mantenerla sana ed efficiente
e educarla fin dalla prima infanzia, evitando quella serie di comportamenti errati
che possono danneggiarla o comprometterne, anche in maniera definitiva, la sua
straordinaria efficacia comunicativa ed espressiva (Visioli, Sellari e Bellia, 2011).
Le attività di canto corale, se ben gestite tenendo presente i limiti fonatori e
di estensione di ciascuna voce, sono uno straordinario esempio di apprendimento
cooperativo in grado di stimolare la percezione e l’affinità con l’altro e di facilitare
a loro volta la condivisione delle esperienze. Cantare in coro significa infatti aprirsi
all’altro, entrare in sintonia con i propri compagni attraverso la mediazione della
musica con-vibrando insieme e condividendo le emozioni suscitate dalle voci, dai
suoni e dall’esperienza di gruppo. In una progettazione didattica inclusiva di tipo
laboratoriale, basata su una dimensione interculturale, interdisciplinare, multimodale
e multisensoriale, le esperienze di «coro scenico» (in cui il canto viene associato
alle attività di movimento e di espressione corporea) attivano abilità cognitive e
fisiche complesse (Clarke, 2002), riducono l’ansia e lo stress e alimentano interazioni
sociali più intense (Gargiulo e Altomare, 2017). Cantare, nello specifico, richiede
un’abilità introspettiva profonda non solo per poter osservare una corretta postura,
un flusso respiratorio regolare, un’articolazione degli organi fonatori adeguata e
una coordinazione motoria efficace, ma soprattutto necessita di competenze e di
attitudini interpersonali particolarmente avanzate per un ascolto attento di sé e per
entrare in sintonia con l’altro e favorire, quindi, l’incontro e il contatto. Per questo
la musica di gruppo favorisce «momenti e processi interattivi e associativi»8 e
può rappresentare una delle vie più dirette ed efficaci per promuovere lo sviluppo
delle capacità percettive, motorie, cognitive, affettive e sociali che sono alla base
del benessere di ciascun discente. Sul piano operativo, il canto corale affronta,
nella scuola di oggi, la «sfida» dell’inclusione per promuovere in tutti gli allievi il
senso di appartenenza e partecipazione, funzionali a stimolare gli apprendimenti e
la crescita culturale sia in coloro che presentano uno sviluppo tipico, sia in quelli
con bisogni educativi speciali.
8
Art. 2 comma 6 del Decreto Ministeriale del 13 febbraio 1996.

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4. Educazione emotiva e vocale: alcuni risultati di ricerca

Durante il decennio 2008-2018 sono stati realizzati una serie di studi scientifici
orientati a offrire un contributo alla validazione dell’efficacia dei laboratori scola-
stici di educazione al suono, alla musica e al canto, proposti in ambito «educativo
speciale», principalmente con il fine di favorire lo sviluppo emotivo e vocale e
l’educazione alla convivenza e alle relazioni di fiducia, cooperazione e recipro-
cità. In particolar modo sono state condotte quattro ricerche sperimentali basate
su protocolli standardizzati (Sellari, Sellari e Benfari, 2009; Sellari, Matricardi e
Albiero, 2011; Sellari, 2017, Cappa e Sellari, 2018) con l’intento pedagogico di
orientare i decisori scolastici, attraverso una serie di indicazioni operative, nella
progettazione di attività inclusive di sostegno efficaci sul piano dello sviluppo di
determinate competenze a partire dalla scuola dell’infanzia.
La prima esperienza (Sellari, Sellari e Benfari, 2009) è consistita in una
ricerca pilota realizzata in ambiente medico sulla riabilitazione della voce che ha
coinvolto più gruppi di bambini di età compresa tra i quattro e i dieci anni affetti
da disfonia disfunzionale con alterazioni muscolo-tensive delle pliche vocali. La
patologia, come ci informa la letteratura scientifica di riferimento (Le Huche e Allali,
1989; Valeri e Marotta, 2014), incide profondamente, con gravi implicazioni, sul
livello generale di salute psico-fisica dei soggetti: dalle difficoltà di respirazione a
quelle di fonazione e articolazione del linguaggio parlato; dalla compromissione
della sfera emotiva e relazionale a quella comunicativa. Inoltre, le disfonie sono
in comorbilità con i disturbi evolutivi specifici e le disabilità: anche un semplice
stato influenzale può infatti produrre un’alterazione qualitativa e quantitativa della
voce. Durante il percorso educativo sperimentale, sono state realizzate una serie
di attività con i bambini, combinando gli esercizi e le metodologie della riabili-
tazione vocale appartenenti alle principali «Scuole di terapia» italiane ed estere
(Sellari, Sellari e Benfari, 2010) con esperienze di danza e movimento, di musica
e di canto corale in grado di coinvolgere il corpo in maniera attiva e globale.
Poiché il rilassamento muscolare riveste un ruolo primario nel trattamento delle
turbe vocali, ci si è chiesto in particolare se tali pratiche fossero state in grado di
guidare il bambino alla coordinazione motoria, al respiro e alla corretta fonazione
per favorire il recupero delle funzioni vocali, e quelle a esse correlate, rendendolo
al contempo collaborativo con la terapia.
È emerso che il bambino, muovendosi in reazione allo stimolo sonoro, per-
cepisce se stesso, la propria voce e il proprio corpo lasciandosi guidare dalla forza
e dalla spinta «energizzante» della musica.
La serie di esercizi ludico-musicali, appositamente ideati e realizzati su misura
secondo il protocollo di ricerca, hanno elevato lo stato di benessere psico-fisico
dei piccoli, oltre ad aver garantito una maggiore partecipazione e il recupero delle
facoltà espressive della loro voce. L’esperienza maturata ha contestualmente favorito
una più efficace coordinazione motoria e respiratoria e il recupero delle attitudini
emotive, relazionali e comunicative in tutti i partecipanti.

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In questo solco si è inserita la ricerca successiva (Sellari, 2017) che, mutuata


dai risultati ottenuti dal progetto pilota, è stata concepita per la prevenzione dei
disturbi vocali — quindi in assenza di patologia — nei fanciulli di quattro anni
frequentanti la scuola dell’infanzia, periodo in cui, secondo le stime della Società
Italiana di Foniatria e Logopedia (SIFeL), circa il 10% dei bambini risulta essere
disfonico (Baretter e Gaio, 2015). Il confronto finale ha messo in evidenza che le
attività di movimento associate alla musica, anch’esse elaborate sulla scorta delle
esperienze condotte precedentemente in ambito ri-educativo, hanno promosso un
netto miglioramento o un mantenimento delle capacità fonatorie ed espressive
iniziali in tutti i componenti del gruppo sperimentale.
Nel gruppo di controllo, che per esigenze di ricerca non aveva partecipato al
percorso educativo, sono emersi, d’altro canto, evidenti peggioramenti della salute
vocale dei bambini, probabilmente dovuti a un’errata quanto diffusa abitudine allo
sforzo fonatorio.
Il lavoro svolto sulla voce e sulle abilità comunicative ha permesso inoltre di
comprendere quanto sia significativa l’incidenza formativa esercitata dalle attività
laboratoriali di musica d’insieme, se ben gestite, sullo sviluppo delle attitudini intra
e interpersonali dei piccoli. Per questo si è pensato di perpetuare le esperienze di
ricerca allargando l’interesse d’indagine alla promozione delle abilità empatiche
e relazionali in età prescolare. Anche in questo caso ci si è avvalsi non solo dei
risultati conseguiti dagli studi finora descritti sulla riabilitazione e prevenzione
vocale, ma anche dei dati ottenuti da una precedente ricerca pilota (Sellari, Matri-
cardi e Albiero, 2011) che, sempre su protocolli standardizzati, aveva verificato il
livello di abilità empatica dei bambini impegnati in attività educative con la danza
e la musica strumentale d’insieme (il «suonare in orchestra» con lo «strumentario
didattico Orff»). Nel quadro della full inclusion (Miur, 2012; 2013), si è pensato
quindi di procedere nuovamente con una ricerca sperimentale per valutare il gra-
do di empatia nei bambini della scuola dell’infanzia coinvolti in un laboratorio
scolastico inclusivo di canto corale, sfruttando così a pieno le potenzialità educa-
tive e di crescita culturale svolto dal lavoro espressivo sulla voce. I risultati della
sperimentazione hanno messo in evidenza la straordinaria relazione tra le attività
di canto corale e l’incremento delle abilità emotive superiori come l’empatia, sot-
tolineando ancora una volta come la voce costituisca non solo il ‘barometro’ delle
nostre emozioni, ma anche un veicolo privilegiato attraverso il quale accrescere la
nostra sensibilità e la nostra capacità comunicativa e interpretativa delle sensazioni
e degli stati d’animo propri e altrui.
Cantare in coro, in una dimensione laboratoriale inclusiva, interculturale,
interdisciplinare, multimodale e multisensoriale ha prodotto un efficace migliora-
mento della capacità degli individui di empatizzare con gli altri in tutte le emozioni
considerate (gioia, tristezza, paura, rabbia). Inoltre, l’esperienza didattica con-
dotta con i bambini si è dimostrata efficace nel promuovere soprattutto l’empatia
verso emozioni di tono edonico negativo. Quest’ultimo risultato sembra essere
particolarmente rilevante perché è proprio l’abilità dei bambini di empatizzare
con le emozioni negative come la tristezza e la paura a favorire la messa in atto di

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comportamenti prosociali (Eisenberg e Fabes, 1998), così come è soprattutto la


capacità di empatizzare con la rabbia altrui a ridurre le loro condotte aggressive e
a migliorare il clima del gruppo classe (Eisenberg, Fabes e Spinrad, 2006).

5. Alcune indicazioni operative sulle attività inclusive di canto corale


per l’alfabetizzazione emotiva nella scuola dell’infanzia

I risultati emersi dai singoli studi sintetizzati nel paragrafo precedente possono
rappresentare uno straordinario punto di partenza per l’elaborazione di indicazioni
operative sulle pratiche scolastiche di alfabetizzazione emotiva.
Le esperienze di ricerca con i bambini in età prescolare hanno infatti messo in
evidenza alcuni elementi utili per la progettazione e la realizzazione di laboratori
inclusivi per migliorare la gestione delle emozioni e, di conseguenza, le relazioni
tra compagni attraverso le attività di canto corale associate al movimento, al gesto
ritmato e all’utilizzo dello «strumentario musicale didattico».
È innanzitutto indispensabile condurre le attività del laboratorio con modalità
ludico-animative in cui l’organizzazione della didattica sia innovativa e «compe-
tente» rispetto all’inclusione di tutte le diversità (Chiappetta Cajola e Rizzo, 2016).
Le potenzialità inclusive della musica, infatti, si manifestano appieno quando non
vengono richieste «super-abilità», ma capacità musicali comuni che, come abbiamo
visto in precedenza, costituiscono un’attitudine innata e quindi una caratteristica
universale dell’essere umano:
– percepire il suono e il suo flusso vibratorio attraverso il canale uditivo, il tatto
e la trasmissione ossea;
– muoversi in maniera fluente seguendo liberamente l’andamento della musica
trascinati dalla sua forza energetica;
– produrre i suoni con la voce e con la percussione del corpo modulandoli attra-
verso il proprio feedback uditivo e percettivo;
– saper «toccare» uno strumento musicale («didattico» o «tradizionale») per tra-
durre, attraverso le sue sonorità, le proprie esigenze espressive e comunicative.
Dalle ricerche condotte si è inoltre notato che i benefici più importanti a
livello emotivo e vocale si ottengono se le attività corali prevedono momenti di:
1. Ascolto (per favorire la concentrazione e il rilassamento);
2. Percezione di sé e del proprio corpo (per favorire le capacità introspettive e, di
conseguenza, l’apertura verso l’altro, sapendo cogliere e interpretare i segnali
espressivi e comunicativi);
3. Respirazione (per facilitare la sincronizzazione con la fonazione e con il mo-
vimento corporeo);
4. Postura e rilassamento (per allentare le tensioni muscolare ed emotive);
5. Educazione vocale (per gestire la qualità e l’udibilità della voce);

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6. Proiezione vocale, articolazione e risonanza (per ottenere volumi fonatori idonei


e ridurre lo sforzo vocale e, di conseguenza, per ricercare una propria eufonia
interna ed esterna).
Al fine di rendere la pratica del canto corale con i bambini un momento
significativo di educazione alle emozioni, è necessario attenersi a una serie di
norme igieniche vocali per non danneggiare il loro delicatissimo apparato. In età
evolutiva, infatti, l’organo fonatorio non tollera forzature e l’esposizione prematura
a repertori musicali fuori estensione, gridati e tipici del mondo «adulto». Se invece
ben gestite e praticate con le necessarie competenze, le attività di canto possono
recare notevoli benefici alla voce e all’immagine vocale che ciascuno costruirà in
se stesso, attraverso anche il confronto e la sintonia con le altre voci. È bene quindi
che in un laboratorio di musica ed emozioni nella scuola dell’infanzia si proceda
innanzitutto selezionando accuratamente i canti affinché il repertorio proposto
tenga ben presenti la natura e lo sviluppo graduale delle voci, la comprensibilità
dei testi impiegati — soprattutto se composti utilizzando il linguaggio psicologico
(Ornaghi e Grazzani Gavazzi, 2009) — e la possibilità di raggiungere risultati ese-
cutivi alla portata di tutti i piccoli cantori. Educare le voci per questa fascia d’età
significa saper giocare con i linguaggi, differenziare la ricca tavolozza di colori
ed espressioni a disposizione di ogni singolo individuo, presentando realizzazioni
musicali che sappiano mettere d’accordo le necessità di un percorso di formazione
e di educazione alla musica, al canto e alle emozioni con l’attenzione a produrre
risultati efficaci sia sul piano della partecipazione e della risposta dei bambini, sia
sul piano estetico e percettivo.
A fronte di quanto esposto finora, vengono qui di seguito elencate alcune
linee guida per permettere agli educatori di scuola dell’infanzia (maestre, direttori
di coro, insegnanti di musica, operatori esterni esperti di didattica musicale) di
analizzare e selezionare, attraverso una griglia di suddivisione di aree di pertinenza
disciplinare, un repertorio di canti in grado di sviluppare un’identità vocale ed
emotiva nei bambini, nel rispetto delle esigenze educative di ciascuno:

A) criteri di analisi dei brani corali:


1. titolo;
2. autore musica;
3. autore testo;
4. edizione;
5. metro;
6. andamento;
7. indicazioni metronomiche;
8. destinatari (fascia d’età a cui è rivolto);
9. lingua utilizzata;
10. uso della voce (parlata/cantata);
11. estensione vocale;

180
Valenza formativa del canto corale nelle pratiche scolastiche inclusive di alfabetizzazione emotiva

12. cultura e area geografica di riferimento.

B) criteri che fanno capo a indicazioni metodologiche di base:


1. accompagnamento strumentale;
2. uso dello strumentario didattico (melodico e ritmico);
3. attività ritmiche (gesti sonori / body percussion) e di danza-movimento;
4. ausilio di materiale psicomotorio (foulard, cerchi, paracaduti, nastri, ecc.);
5. suggerimenti per la drammatizzazione;
6. presenza di esercizi di improvvisazione per l’esplorazione del timbro, delle
tessiture, delle durate, delle dinamiche, delle risonanze;
7. presenza di esercizi sullo sviluppo delle emozioni e dell’empatia;
8. presenza di giochi di socializzazione;
9. tecniche di comunicazione verbale e non verbale;
10. utilizzo di sillabe neutre;
11. utilizzo di suoni onomatopeici;
12. giochi di respirazione, proiezione e articolazione vocale;
13. uso di partiture informali e di storie sonorizzate;
14. registrazioni e utilizzo di supporti tecnologici;
15. trasporto tonale;
16. densità delle informazioni (quanti canti sono dedicati a un’informazione nuo-
va e quante informazioni nuove vengono introdotte contemporaneamente);
17. obiettivi del brano: quali aspetti tecnici ed espressivi si sono appresi?

C) criteri inerenti i percorsi di apprendimento della lettura musicale (formale e


informale):
1. chironomia (John Curwen / Kodàly);
2. scrittura informale (uso di partiture grafiche);
3. scrittura adiastematica/diastematica;
4. solmisazione (do mobile, Kodàly);
5. modalità di sviluppo della capacità di lettura tradizionale;
6. figurazioni ritmiche;
7. tempi.

D) criteri che orientano il rapporto con il suono e con il pensiero musicale:


1. gradualità di presentazione della dinamica, delle tensioni e dell’articola-
zione del suono;
2. gradualità delle altezze e livello di difficoltà;
3. organizzazione del discorso musicale e del fraseggio,
4. organizzazione dei materiali musicali tra più gruppi corali;
5. creatività esecutiva e/o compositiva (anche con l’utilizzo di scritture non
convenzionali).

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Orientamenti Pedagogici Vol. 66, n. 2, aprile-maggio-giugno 2019

E) criteri riguardanti la struttura e la forma dei repertori proposti:


1. aspetti armonici, modulazioni (quali, quante);
2. aspetti intervallari;
3. indicazioni convenzionali (allegro, adagio ecc.), titoli allusivi al carattere
della musica;
4. forme utilizzate;
5. tonalità impiegate;
6. varietà di sistemi musicali anche combinati tra di loro (tonalità, modalità,
atonalità, serialità, àlea, ecc.);
7. presenza di generi diversi e/o di codici musicali non convenzionali;
8. propedeuticità a uno stile specifico.
La «via» del canto, se proposta e praticata con le necessarie competenze, può
pertanto recare notevoli benefici e accrescere una coscienza vocale e un’armonia
di fondo in grado di ricondurci a un’esistenza significa e profonda attraverso cui
ciascun individuo si attiva nella sua dimensione corporea, cognitiva e affettivo-re-
lazionale.

Formative value of choral singing in inclusive


school practices of emotional alphabetization: some
operational guidelines for the preschool
Abstract

Introducing «emotional alphabetization» programmes in schools, which can


also involve families, is an increasingly urgent need to make all the components
of intra and interpersonal intelligence grow in young students. Since pre-school
age, empathizing with the experiences of the other promotes the implementation of
appropriate prosocial behavior, helps at regulating the flow of negative emotions,
reducing aggressive manifestations towards comrades, promoting the communi-
cation and encouraging the acceptance of diversity. Voice is the sound element of
the inner world and emotionality of each human being, and it is for this reason that
choral singing activities, if proposed at school in an inclusive workshop dimension,
can be one of the most involving expressive and educational experiences able to
arouse deep emotions and significant feelings. The results of scientific research
carried out in teams over the last ten years provide a series of operational indica-
tions, addressed to all school decision-makers, on inclusive practices of emotional
literacy with music and singing.
Keywords
Choral singing, inclusive education, emotional education, empathy.

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Valenza formativa del canto corale nelle pratiche scolastiche inclusive di alfabetizzazione emotiva

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