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5. Musurgia Rhytmica
5.1 Osservazioni
Sappiamo che la musurgia mirifica è stata concepita per comporre esclusivamente musica vocale, e che la
procedura compositiva prende le mosse dal testo il quale è in due tempi e modi diversi la variabile
determinante del carattere del brano: sul piano del significato e su quello del significante. Il significato del
testo ha valore nel momento della dispositio, influenzando le scelte che il compositore con la musurgia
mirifica deve operare; la considerazione al livello del significante ha guidato direttamente Kircher
nell’elaborazione delle tabellae melotacticae e soprattutto nella realizzazione delle sequenze di notae
metrometrae: di questa dimensione ci interesseremo ora. Esaminando le prescrizioni di carattere generale
che egli ha proposto e gli esempi da lui forniti saremo in grado di comprendere il criterio seguito
nell’elaborazione delle tabelle ritmiche di notae metrometrae.
Nella sezione (MU B 27-45) dedicata alla musurgia poetica Kircher esamina infatti il testo sul piano del
significante, nei suoi aspetti ritmici e metrici: egli cerca di spiegare come il compositore dovrebbe scegliere (e
come egli di fatto ha scelto) i valori delle note in relazione alla struttura dei versi che bisogna musicare.
Kircher sottolinea la distinzione esistente fra la metrica poetica in senso stretto, cioè quella ormai desueta
avuta in eredità dalla poesia latina, e la metrica musicale, che della prima sarebbe una versione semplificata e
ridotta: anche terminologicamente egli marca questa diversità, utilizzando due diversi aggettivi, poeticum e
harmonicum, per caratterizzare nel corso della sua esposizione i due differenti punti di vista.
In realtà ci troviamo decisamente nell’ambito di una metrica quantitativa e non più qualitativa:[136] per
quanto Kircher utilizzi la terminologia classica,[137] egli sfrutta nomi antichi per indicare concetti nuovi. Non
solo per l’ipotetico musurgus che applicasse le tecniche della composizione mirifica, ma per tutti i teorici del
tempo, e già da molto tempo, la terminologia indicativa della quantità delle sillabe brevi o lunghe era ormai
un flatus vocis. Gli stessi teorici di stretta fede umanistica della Camerata, o della musique mesurée à
l’antique,[138] applicavano gli antichi termini alla moderna metrica quantitativa: come sillabe “lunghe”
indicavano le sillabe marcate dall’accento tonico, mentre le sillabe “brevi” erano in realtà sillabe atone.[139]
Non sarà quindi produttivo sottolineare con pervicacia gli errori (e sono molti) commessi da Kircher nella
definizione e descrizione dei metri poetici. Sarà invece molto interessante esaminare come la struttura degli
accenti tonici del verso venga sovrapposta agli schemi accentuativi della battuta, ovvero in che misura la
musica cerchi di osservare le parti forti e deboli del testo. Infatti, pur affermando che “magnam habet
cognationem Musica cum Poësi” (MU A 249), Kircher non è stato promotore di una dipendenza
deterministica della musica dal testo; egli ha messo in luce l’impossibilità di istituire un rapporto univoco fra
la distribuzione degli accenti tonici di un testo e il ritmo musicale, criticando aspramente nello specifico le
opinioni espresse in tal senso da Mersenne[140] e manifestando di essere consapevole di una relazione
complessa fra andamento ritmico del testo, struttura della battuta e condotta melodica.
La sezione è articolata in sei capitoli corredati da abbondanti esempi; partendo da considerazioni di carattere
generale l’attenzione viene successivamente articolata focalizzando progressivamente verso il particolare.
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Quale la fonte della forza del ritmo? Secondo Kircher quando l’ordine del movimento ritmico è strutturato in
modo tale da porsi in risonanza con i moti dell’animo e i suoi affetti interni, gli effetti di tale corrispondenza
saranno prodigiosi: “si is interni animi affectibus commensuratus respondeat, commensuratus autem
correspondebit” (MU B 28). Appare abbastanza plausibile che Kircher intendesse riferirsi ad una influenza
“per simpatia”, agente come una risonanza acustica degli spiriti animali. Tale risonanza poteva essere efficace
perché esisteva secondo Kircher una omologia fra il ritmo e l’animo umano: “Est enim ut paulo ante quoque
dixi, nescio quid inter animum nostrum motusque harmonicos & Rhythmicos sympathicum” (MU B 28). La
mia ipotesi è confermata dal riferimento alla sezione “De magnetismo Musicae & Tarantismo” contenuto nel
III libro della Ars magnetica.[142] Tuttavia sembra che Kircher volesse anche alludere a quella che noi
definiremmo un’affinità fra la curva dinamica dei sentimenti e la curva dinamica del ritmo. Egli affermò che
gli animi motus lenti necessitano di ritmi lenti, mentre affetti veloci richiedono ritmi veloci: “Celeres animi
motus celer & velox sequatur mensura; tardos tarda” (MU B 28).[143]
Kircher mostrò come a suo parere la forza “per simpatia” del ritmo si esprimesse anche a livello delle forze
naturali e animali, consentendo la cura di molte malattie: tutto il Liber IX Magicus (MU B 200-363) tratta in
vario modo questi argomenti.
Nella lettura metrica le sillabe lunghe venivano a durare il doppio delle sillabe brevi: Quintiliano affermava
che “[…] longam esse duorum temporum, brevem unius, etiam pueri sciunt”;[144] Kircher invece ha
affermato che al musicista non deve interessare questa quantitas intensiva temporis, questo valore
temporale espresso dall’accento: egli deve prestare attenzione solo all’accentazione prosodica.
Per quanto il ritmo si dimostri efficace al di là degli schemi della civiltà e della cultura ed eserciti la propria
forza sulle persone colte e i bifolchi, sugli uomini e gli animali e perfino sugli oggetti inanimati, secondo
Kircher ogni popolo possiede propri peculiari tratti di accentazione prosodica, che sono tipici di ciascuna
lingua nazionale. Questa tesi è stata affrontata approfonditamente da Kircher nella sezione dedicata alla
panglossia musurgica (MU B 126-141).
Dopo avere sottolineato l’importanza del ritmo in senso generale, Kircher lo ha definito con maggior
proprietà: “[…] Rhythmus nihil aliud [est], quam sonus quidam proportionatus ex tardis & velocibus motis”
(MU B 30).[145] In questa accezione il ritmo è comune a musicisti, poeti e oratori: tuttavia, mentre i poeti
hanno a che fare con sillabe brevi e lunghe che possiedono tutte, verbi gratia, la stessa lunghezza e la stessa
brevità e devono rispettare la quantitas di tutte, il musicista gode di ben altra licenza. Non solo non deve
osservare assolutamente il valore temporale relativo fra brevi e lunghe: “Apud Musicos non tam praecise
iuxta naturam sumitur syllabarum correptio et productio” (MU B 29); addirittura dovrà considerare come
valore discriminante la quantità (per meglio dire la presenza o l’assenza dell’accento tonico) di una sola
sillaba, la penultima. Egli in Mu B 40 ha affermato che
[…] in poetica harmonica non praecise spectari syllabarum quantitatem, sed accentum
tantum rationem haberi, qui potissimum in media aut penultima vocum syllaba elucescit.
Videtur autem rhythmus metris esse consimilis, quae est verborum modulata compositio
non metrica ratione, sed numero syllabarum ad iudicium aurium examinata.[146]
https://kircher.chierotti.it/tesi/05/ 2/10
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Questa era la situazione di cui era possibile verificare gli effetti nel vasto corpus dell’innografia cristiana
latina: in questo campo dal XII secolo si assumeva come determinante la quantità della penultima sillaba.
[147]
I piedi presi in esame (MU B 32) sono: spondeo, trocheo (choraeus), pirrichio e giambo.
Vengono già presentate alcune cautele da osservare nel musicare tali piedi, di tipo agogico e di tipo
melodico: il pirrichio non può avere valori troppo brevi per non risultare troppo affannato (MU B 32); il
giambo deve essere espresso tramite un andamento melodico discendente perché “vix [..] in ascensu tolerari
potest ob accentum gravem” (ibidem). Infatti secondo Kircher l’unione di sillaba grave in ultima posizione e
intervallo ascendente era così goffa da muovere al riso. Egli tuttavia non ci ha fatto capire il motivo di questa
sua opinione. Abbiamo comunque una prima conferma della correlazione fra schema del piede ritmico e
andamento melodico.
Appartengono al gruppo dei mesobrachi i seguenti piedi ritmici: tribraco, dattilo, anapesto e cretico. Il gruppo
dei mesomacri invece è composto da molosso, bacchio, palimbacchio (antibacchius), amfibraco.
Il musicista deve osservare alcune essenziali precauzioni nel metter in musica un certo piede, e Kircher
espone un “Modus certus & aptissimus, quo metrici pedes harmonici, exacte & naturaliter sine periculo &
sillabicae pronunciationis soloecismo accomodari possunt” (MU B 34). Si tratta di una serie di prescrizioni
che il compositore deve seguire: stupisce questa serie di prescrizioni, dal momento che comunque
l’operatore della musurgia mirifica non compone musiche ma assembla parti già preparate: tuttavia l’aver
esaminate brevemente ma con attenzione questa parte ci sarà utile valutando le basi materiali del metodo
compositivo, cioè le strutture delle tabellae melotacticae.
In primo luogo Kircher ha definito alcuni punti circa la condotta melodica: nei trisillabi il progressus
harmonicus può essere “anobatus, isobatus, katobatus” (MU B 33). Il progressus anobatus si verifica quando
il piede segue una condotta melodica ascendente, sia per grado congiunto sia per grado disgiunto; isobatus
indica invece che la melodia insiste sempre sullo stesso grado, mentre katobatus indica una linea melodica
discendente. Secondariamente Kircher ha sottolineato (ibidem) l’importanza di osservare con cura la
disposizione di arsi e tesi, cioè dei tempi forti e deboli, perché ad esempio il molosso (tre sillabe lunghe)
soffre la posizione in arsi. In terzo luogo egli ha fatto osservare che alcuni piedi trisillabi preferiscono i tempi
perfecti (ternari) mentre altri prediligono i tempi imperfecti (binari);[150] come quarto punto ha sottolineato
la grande importanza dell’uso delle note puntate. Come sempre Kircher ha enunciato semplicemente alcune
prescrizioni senza spiegare le proprie scelte: alcuni esempi illustrativi hanno valore puramente empirico.
https://kircher.chierotti.it/tesi/05/ 3/10
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La vera preoccupazione di Kircher è stata il ribadire che non si doveva considerare la quantità sillabica come
la variabile che determinava il valore temporale delle note: questo avrebbe indotto in gravissimi errori “..]
praesertim si ascensus descensusque notarum nulla ratio habeatur” (MU B 34). Egli ha rivolto le proprie
critiche (ibidem) a Mersenne che nella Harmonie Universelle, fornendo il paradigma per il Cantus dactylicus,
[151] aveva utilizzato uno schema ritmico fisso minima-semiminima-semiminima per riflettere lo schema del
dattilo lunga-breve-breve, incorrendo inoltre a giudizio di Kircher in gravissimi errori melodici, che tuttavia
non sono stati specificati. Ecco comunque il paradigma in questione:
mersenne
Esempio musicale
La sillaba mediana, che è atona, viene sempre pronunciata su un tempo forte della battuta, cosa che secondo
Kircher avviene con grande fastidio per l’orecchio. Come aggravante bisogna notare che tale sillaba viene
raggiunta con un movimento melodico ascendente. Ricordiamo che il dattilo è un piede di tre sillabe in cui la
prime è accentata: sono dattili nel significato attribuito da Kircher le parole proparossitone (come ad esempio
Nápoli, Bérgamo).
Ecco quindi la “Regula I” (MU B 35): il progressus anobatus deve essere escluso quando il testo presenta un
piede la cui sillaba centrale è breve e quindi atona (mesobracus); ottimo sarà il progressus katobatus e
discreto, perché neutro, il progressus isobatus. Al contrario con i piedi mesomacri la cui sillaba centrale è
accentata dovrà essere evitato il progressus katobatus a favore del progressus anobatus.
L’appunto mosso a Mersenne riguardava non solo (o non tanto) la fissità dello schema ma anche (o
soprattutto) la collisione fra schema ritmico del verso e struttura ritmica della battuta, cioè la presenza di
sillabe atone su tempi forti e viceversa: la “Regula II” (MU B 35) fornisce gli strumenti necessari per evitare
simile solecismo. I piedi mesobrachi acquistano il loro perfetto accento se la sillaba centrale viene abbreviata
dalla presenza del punto, che può anche salvare la scelta di un progressus anobatus. I piedi mesomacri invece
saranno perfetti se la prima nota sarà sincopata grazie alla presenza di un pausa sul battere. Ecco due esempi:
kircher A
Esempio musicale
kircher B
Esempio musicale
Fanno invece parte del secondo gruppo: dispondeo, doppio trocheo (dichoreus), antispasto, ionico a minore,
peone terzo, epitrito primo, epitrito secondo, epitrito quarto.
Secondo Kircher individuare le differenze che intercorrono fra di essi non aveva importanza in quanto dal
punto di vista musicale era sufficiente la distinzione fra i due gruppi presi nel loro insieme (MU B 39): egli ha
ribadito che ci si doveva curare esclusivamente della penultima sillaba non legando pedissequamente fra
loro quantità sillabica e valore delle note.[152] In questa sezione egli si limita a fornire alcuni precetti: i piedi
con la penultima accentata tollerano tutti i tre progressus, e la loro scansione ritmica viene esaltata dalla
elisio (abbreviazione) della seconda nota per mezzo della sincope della nota precedente o del punto. Ecco una
serie di brevi esempi fornita da Kircher:
Kircher C
Esempio musicale
Kircher D
Esempio musicale
Anche i piedi con la penultima atona possono avere tutti i tre progressus: tuttavia è indispensabile
l’abbreviazione della penultima nota, come appare in questi esempi.
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Fondamentale è la differenza che Kircher ha stabilito fra pes metricus e pes harmonicus: metricus si riferisce
alla metrica poetica, mentre harmonicus indica l’interpretazione semplificata e più libera di cui si servono i
musicisti. Così come esiste diversità fra pes poeticus e pes harmonicus, ugualmente esiste una grande
differenza fra metrum poeticum e metrum harmonicum. Valga come dimostrazione l’esempio esposto in MU
B 31; consideriamo i seguenti versi:
Iste Confessor Domini sacratus Pie Confessor deprecare Deum Sanctus Confessor Oratores
audit.
Tutti i tre versi hanno lo stesso numero di sillabe: tuttavia solo il primo fra essi è un verso poeticus, in quanto
è l’unico a seguire lo schema ritmico corretto (saffico); gli altri due sono invece versi harmonici. In essi non è
osservata l’esatta successione di piedi, ma solo il numero delle sillabe e il fatto che la penultima sillaba sia
tonica. L’importante, in definitiva, è che in questo caso specifico i versi abbiano undici sillabe e si concludano
con una parola parossitona. Quanto a tecnica poetica saranno da scartare ma per il musicista sono da
mettere a buon diritto sullo stesso piano del primo, senza alcun detrimento per il risultato finale.
Infinita è la varietà dei metri poetici che nascono dalla inesauribile commistione dei piedi; di fronte
all’esigenza di catalogarli e definirli i criteri sono molteplici,[153] ma al compositore che voglia applicare il
metodo della musurgia mirifica interessa solo una ben precisa categoria di metri: quelli possiedono uno
schema fisso con un numero costante di sillabe “[…] quae certam & immutabilem pedum stationem servant”
(MU B 37). Solo i versi che possiedono uno schema fisso sono comodi da musicare, al contrario di quelli che
invece ammettono una certa elasticità. La scomodità deriva dal fatto che la musurgia mirifica si basa sull’uso
di schemi di note e di tabelle numeriche tarate per sequenze costanti di sillabe: impossibile lavorare con
strutture di versi dalla lunghezza variabile. L’esametro dattilico ad esempio è un metrum scomodo e difficile,
perché i dattili possono essere sostituiti da uno spondeo, e quindi in un testo composto secondo questo
metro il numero di sillabe di ogni verso oscilla da un massimo di diciassette ad un minimo di dodici.
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Tabella
Ricordiamo che, nomi a parte, quel che conta è il numero di sillabe e il fatta che l’ultima parola sia
parossitona o proparossitona.
Per ciascun tipo Kircher ha citato una semplice esemplificazione tratta quasi sempre dal Breviario Romano o
dalle Odi di Orazio; egli inoltre ha fornito schemi di notae metrometrae elaborati per rispondere alle esigenze
di ogni singolo metrum harmonicum. Come abbiamo mostrato già nella sezione II.1, le notae metrometrae
costituiscono la struttura ritmica che nella “Pars III”viene unita agli accordi espressi dai numeri harmonici: la
varietà ritmica costituisce uno dei punti di forza della musurgia mirifica.[154] Kircher non ha sfruttato in
quella sezione tutti gli schemi di notae metrometrae esposti in queste pagine della musurgia poetica: alcuni
sono stati esclusi, di altri egli ha realizzato versioni che tuttavia si discostano pochissimo da queste. A parte
pochissimi casi, le differenze si limitano ad un diverso ordine nell’esposizione delle varie sequenze di note o
ad una variazione nella scala dei valori temporali: sequenze di semiminime diventano sequenze di minime o
viceversa, ad esempio. Tuttavia, per precisione e completezza avremo cura di esaminare nello specifico gli
schemi di notae metrometrae forniti da Kircher nella “Pars III”, perché sono quelli che l’operatore della
musurgia mirifica materialmente deve utilizzare.
Gli schemi di notae metrometrae preparati per uno specifico verso costituiscono i metra musurgica. Kircher
in Mu B 41 spiega che
Sic [musurgicum] omnis generis metra, queis Musurgica metra a poeticis distinguamus, appellabimus. Dum
igitur dicimus Adonium Musurgicum (Metrometrum) Glyconicum Musurgicum, Iambicum Musurgicum, &
sic de coeteris, notas intelligimus metrometras, accentibus metrorum poeticorum respondentes sive quae
carmen ipsum metiantur. Hae enim notae applicatae verbis alicuius metri illud perfecte tum quo ad tempus,
tum quo ad accentum mensurabunt.
Sebbene siano pressoché infinite le varianti corrette di ciascun metrum musurgicum,[155] Kircher semplifica
la propria esposizione fornendo solo un numero limitato di notae metrometrae: otto o nove per il tempus
imperfectum e tre o quattro per il tempus perfectum.
Esaminiamo gli schemi ritmici delle notae metrometrae (si faccia riferimento all’Appendice: tutti gli schemi di
notae metrometrae sono stati trascritti): sono caratterizzati da una grande varietà, ma sono riconoscibili
alcune caratteristiche strutturali comuni a tutto il gruppo, costituito da nove sequenze per il tempo binario e
sette sequenze per i tempi ternari. Tranne che in un caso, gli accenti tonici del verso sono sempre marcati da
una nota posta in battere o per lo meno su un tempo forte della battuta. L’eccezione è data da un movimento
sincopato. Inoltre le sillabe toniche unitamente alla sillaba finale hanno sempre le note con i valori più lunghi.
Le sequenze per i tempi ternari sono divise in due gruppi: si veda supra la sezione V.1.D per una trattazione
dettagliata della questione. Divisione inutile: le notae metrometrae dell’uno hanno semplicemente valori
doppi rispetto alle notae dell’altro.
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Sono due i metri di sei sillabe esaminati da Kircher: l’adonio dattilico e il giambico euripideo. Il primo consta
di due dattili, ad esempio: “T=llite l¨mina”, con due accenti tonici sulla prima e quarta sillaba; il secondo è
composto da tre giambi, come ad esempio: “Óve mÓris stþlla”, con tre accenti tonici sulla prima, terza e
quinta sillaba.
A proposito del giambico euripideo sono necessarie alcune considerazioni particolari: l’esposizione di Kircher
è quanto meno imprecisa, in quanto confonde apparentemente un ritmo trocaico con un ritmo giambico. Il
ritmo giambico consiste nell’alternanza di una sillaba atona e di una tonica (“Aet erne r erum c onditor”):
Kircher invece porta come esempio l’inno “Ave maris stella”,[157] la cui struttura metrica è quanto meno
ambigua e dovrebbe forse essere definita di tipo trocaico ma non è certo giambica. Senza dubbio questo
dipende anche dal fatto che nella metrica degli inni latini “vi sono strette analogie fra i versi giambici e i versi
trocaici”:[158] tuttavia sappiamo già che sterile il tentare di dirimere in quest’ambito una questione metrica
così intricata. Infatti, analizzando la struttura ritmica degli schemi di notae metrometrae ci si accorge che
Kircher fornisce esempi e schemi che sono chiaramente eterogenei rispetto alla struttura metrica così come
egli l’ha descritta mentre rispettano con precisione la scansione del testo piano, cioè gli accenti tonici delle
parole pronunciate prescindendo dalla lettura poetica,[159] e si assume il valore normativo della pronuncia
“normale” del testo.[160] Non torneremo ulteriormente su constatazioni di questo tipo, ripetibili per ogni
esempio fornito dal nostro autore: la questione è ormai chiara.
Osserviamo in Appendice gli schemi di notae metrometrae: per il giambico nove sequenze per il tempo
binario e sette sequenze per i tempi ternari; per l’adonio dattilico abbiamo otto sequenze per il tempo binario
e sei sequenze per i tempi ternari.
La variabile che determina la struttura delle notae metrometrae consiste nella distribuzione degli accenti
tonici: nel verso giambico euripideo si alterna una posizione forte e una debole (esempio: ): i tre accenti sulla
prima, terza e quinta sillaba sono sottolineati in ogni schema metrometricus dalla corrispondenza con il
battere o il terzo movimento della battuta, cioè con un tempo forte. Le sillabe conclusive hanno valore in
proporzione più lunghi. Ugualmente nello schema dell’adonius dactylicus le sillabe accentate del verso (la
prima e la quarta) si trovano sempre sui tempi forti della battuta; va notata una maggiore varietà nella
distribuzione della durate, che negli schemi precedenti era eccessivamente monotona e meccanica: il dattilo,
accanto al classico schema di minima-semiminima-semiminima, viene articolato anche con successioni di
semiminima-semiminima-minima e con semiminima puntata-croma-minima.
Per entrambi i versi i due gruppi di sequenze per i tempi ternari sono perfettamente omologhi, come nel caso
precedente.
Kircher ha affermato che le notae metrometrae suesposte sono state ricavate da quelle relative al carmen
adonium dividendo la penultima nota in due note di valore minore. Gli esempi forniti suffragano solo in
parte tale affermazione.
Nella “Pars III” Kircher si è interessato solo della versione regolare di sette sillabe. Ci sono nove sequenze di
notae metrometrae per il tempo binario e cinque per i tempi ternari: si veda in Appendice. La loro struttura
corrisponde all’andamento prosodico; nonostante la prima sillaba sia atona solo due schemi su quattordici
iniziano in levare, mentre è generalizzato l’uso della sincope per marcare la seconda sillaba (accentata) e la
terza (atona). Le sequeze per i tempi ternari sono nuovamente omologhe fra loro.
Il quadro per la variante anapestica di otto sillabe fornito nel corso della “Pars II” è ampiamente incompleto
ed è stato ricavato suddividendo in due note di valore minore la prima nota degli schemi ritmici forniti per la
variante giambica. Si tratta di un procedimento utilizzato da Kircher anche altrove.
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Questo verso di otto sillabe è un “cantatissimum carminis genus” (MU B 43) molto usato negli inni del
Breviario Romano.[162] Basti ricordare i pochi inni citati da Kircher: “Vexilla regis prodeunt”, “Veni Creator
Spiritus”, “Sat funeri sat lachrymis”, “Sat est datum doloribus”.[163] Trattandosi di un metro usitatissimo
Kircher ha omesso qualsiasi tipo di indicazione esplicativa limitandosi a fornire la consueta serie di notae
metrometrae. Si veda in Appendice.
Lo schema della distribuzione degli accenti è abbastanza regolare: sono accentate alternativamente la prima
o la seconda sillaba, la quarta e sempre la sesta: l’ultima parola è discriminante, e deve sempre essere
proparossitona ovvero sdrucciola. Le note in battere o sulla parte forte della battuta sono sempre la prima, la
quarta e la sesta; due schemi presentano un ritmo sincopato e due iniziano in levare: sono i migliori per
quegli inni che hanno il primo accento tonico non sulla prima ma sulla seconda sillaba.
Ci sono otto schemi di notae metrometrae per il tempo binario e cinque per i due tipi di tempi ternari; questi
ultimi sono come sempre del tutto simili.
Nonostante queste premesse, nella “Pars III” Kircher ha dedicato a questo metro un pinax: abbiamo otto
schemi di notae metrometrae per il tempo binario e quattro per i tempi ternari. Non si capisce molto circa la
scansione prosodica di questo verso, perché contrariamente ai casi precedenti non è possibile riconoscere
un’assegnazione costante della posizione sul tempo forte. Il metrum decasyllabum rimane un oggetto
misterioso.
Esiste una grande varietà di endecasillabi e Kircher ha individuato tre tipologie: il falecio, il saffico e l’alcaico.
Già nella metrica classica l’endecasillabo, nelle tre varietà esaminate da Kircher, era un verso dal numero fisso
di sillabe che non ammetteva la soluzione di una lunga in due brevi o la contrazione di due brevi in una
lunga.
A proposito del falecio Kircher si è mostrato estremamente sbrigativo, forse per evitare di entrare nel merito
della definizione metrica di questo verso, che è sempre stata molto discussa.[166] Gli schemi di notae
metrometrae forniti nel corso della musurgia poetica sono però identici a quelli dell’endecasillabo saffico:
solo l’ordine è diverso. Non è chiara la motivazione che ha spinto Kircher ad esporre due esempi separati,
tanto più che la distribuzione degli accenti tonici è la stessa. Nella “Pars III” le notae metrometrae per questi
due endecasillabi sono invece leggermente differenti fra loro.
https://kircher.chierotti.it/tesi/05/ 8/10
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Kircher ha dedicato una maggiore cura nell’esaminare e descrivere l’endecasillabo saffico che nella metrica
classica costituiva la base della strofe saffica, la cui forma (tre endecasillabi e un adonio)[167] appare
evidente anche nell’inno di Paolo Diacono (morto nel 798), certamente più noto per l’uso che ne fece Guido
d’Arezzo:
Sancte Ioannes
Come già fatto per i versi precedenti, una volta giunti a considerare le notae metrometrae dimentichiamo
subito le osservazioni circa la corretta lettura metrica di questo verso,[168] per osservare invece che lo
schema ritmico è strutturato al solito sulla scansione regolare della lettura in prosa. Le sillabe toniche sono la
prima, la quarta, la sesta, l’ottava e la decima: il verso termina sempre con un parola piana. Il fulcro attorno al
quale ruota il ritmo della sequenza è la sesta sillaba del verso:[169] per quanto la scansione ritmica delle
prime cinque note possa variare essa è sempre in battere o comunque su un movimento forte.
L’endecasillabo alcaico secondo Kircher si distaccava dalla tipologia dei due precedenti, ed egli ha
raccomandato di non utilizzare con questo verso le tabelle del falecio e del saffico, perché non erano adatte:
tale endecasillabo è concluso da una parola proparossitona. Kircher ha citato (MU B 45) un verso di Orazio:
“Vides ut alta stet nive candidum”:[170] questo verso è formato da due membri di cinque e sei sillabe,[171]
ed egli lo interpreta come se fosse composto da un verso adonio (cinque sillabe, accenti sulla prima e sulla
quarta) e da un adonio dattilico (sei sillabe, accenti sulla prima e sulla quarta); questa disposizione riflette la
distribuzione degli accenti tonici (“Vídes ut álta stét nive cándidum”).[172] Le scansioni ritmiche sono state
ottenute unendo lo schema di cinque notae metrometrae del verso adonium pentasyllabum con lo schema di
sei note dell’adonium dactylicum hectasyllabum. A conferma della posizione debole della penultima sillaba si
nota che nello schema di notae metrometrae il penultimo valore non è mai in battere né su un tempo forte.
Giunto a questo punto, Kircher ha ritenuto che la materia esposta fosse più che bastevole per musicare
qualsiasi tipo di testo. Nel caso che l’operatore della musurgia mirifica volesse manipolare versi con
un’estensione superiore alle dodici sillabe, una volta apprese le nozioni relative ai precedenti schemi ritmici,
gli sarebbe sufficiente procedere semplicemente ad un lavoro di assemblaggio, unendo fra loro strutture
elaborate per versi più piccoli le quali, unite, potevano formare un insieme soddisfacente: “Hac praxi
coniungendo metra metris semper diversa & diversa metrorum nascentur genera” (MU B 45).[174]
5.7 Conclusioni
Nel suo esame del testo sul piano del significante Kircher non ha affrontato la questione della valutazione
della natura “affettiva” dei vari piedi ritmici. Egli ha vantato (MU B 28) la potenza psicagogica del ritmo,
tuttavia nel contesto della musurgia poetica hanno trovato posto solo per vaghissimi accenni quelle
argomentazioni che furono seriamente considerate, per esempio da Monteverdi,[175] quando si voglia
tralasciare la trattazione fatta da un erudito retore come Emanuele Tesauro, che espose dettagliatamente le
potenzialità del ritmo della parola nel suo magnum opus che venne pubblicato pochi anni dopo la Musurgia
Universalis.[176]
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13/10/2020 5. Musurgia Rhytmica | Athanasius Kircher
In realtà, anche se Kircher ha sostenuto che il numerus del ritmo determina gli effetti della musica (MU A
552), nel contesto della musurgia mirifica tali tematiche non potevano interessarlo: il materiale esaminato
nelle pagine precedenti dovrebbe aver dimostrato che gli accenni di Kircher alla potenza del ritmo (MU B 27-
30, passim) sono sovrastrutturali alla sostanza della sezione. Infatti, se è vero che il fine della musica è
“affectus movere” è anche vero che il fine della musurgia mirifica consiste nel permettere all’ _amusus_la
composizione musicale attraverso l’uso di tecniche che assemblano accordi, le quali prescindono
dall’essenziale per concentrarsi sull’accidentale,[177] laddove con essenziale in musica si intende la mozione
degli affetti e con accidentale il cercare di variare il materiale musicale dei musarithmi per mezzo di tecniche
di permutazione.
Se il fine ultimo della musurgia mirifica è il consentire di musicare un testo rispettandone la regolare
pronuncia prosodica, ecco che la definizione dell’ethos di ogni piede è un problema che più non ci tocca. Si
può invece veramente lamentare la mancanza di una trattazione più approfondita della relazione fra schema
ritmico e andamento melodico.
https://kircher.chierotti.it/tesi/05/ 10/10