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Come Geltrude
istruisce i suoi figli

di Enrico Pestalozzi

Storia d’Italia Einaudi


a

Edizione di riferimento:
Come Geltrude istruisce i suoi figli, La Nuova Italia
Editrice, Firenze 1974

Storia d’Italia Einaudi II


.

Sommario

Introduzione 1
Lettera prima 10
II 44
III 64
IV 77
V 86
VI 90
VII 98
VIII 145
IX 153
X 159
XI 178
XII 184
XIII 193
XIV 203

Storia d’Italia Einaudi III


INTRODUZIONE

Queste lettere, sotto alcuni aspetti, possono essere consi-


derate come già invecchiate e in parte superate dal tem-
po, e sembrar quindi per questo lato appartenere più al
passato che al presente. Ma, per un altro lato, se l’idea
dell’educazione elementare ha valore in se stessa e nel-
la sua essenza, ed è tale da doversi affermare anche per
l’avvenire, esse posseggono per chi si interessi alla siste-
mazione psicologica del metodo educativo, un durevole
valore, giacché chiariscono il modo con cui l’idea stes-
sa dell’educazione, alla sua origine, si è venuta formando
in me. Ma oltre a questa considerazione generale, è cer-
to degno di nota particolare che questa idea, sorgendo,
nella naturale semplicità del mio essere e della mia vita,
da un’interiore oscurità, come da una notte, apparve co-
me un fuoco fiammeggiante, possente a giungere sino al-
l’intimo senso umano, con una forza che più tardi, quan-
do essa fu compresa ed espressa nel suo senso profon-
do da un punto di vista teoretico, non si mantenne nella
sua prima vivacità, anzi sembrò spegnersi per alcun tem-
po. Ith, Iohannen, Niederer e molti altri diedero, già sin
dal principio, all’espressione viva dei miei pensieri un si-
gnificato che oltrepassa di molto quello che diedi io stes-
so, e che appunto per questo destò l’attenzione pubbli-
ca in una forma, che non potè in seguito essere mante-
nuta. Gruner, von Türk e Chavannes, quasi nel medesi-
mo tempo, accolsero con profonda comprensione i risul-
tati delle nostre ricerche, ma li presentarono al pubbli-
co in un modo che differiva dall’originario punto di vi-
sta secondo cui io consideravo il mio oggetto e dall’indi-
rizzo stesso dei miei tentativi. Certo nel profondo sen-
timento del mio cuore stava un reale presentimento del-
l’alto fine a cui si può e si deve tendere per mezzo di un

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profondo concetto dell’essenza dell’educazione, ed è pur


certo che l’idea dell’educazione elementare era implicita,
secondo il suo pieno essenziale significato, nella mia con-
cezione e balenava in ogni parola che io ne dicessi. Ma
l’esigenza ch’era in me di cercare e di trovare un meto-
do d’insegnamento per il popolo, semplice e a tutti na-
turale, non nacque dal presentimento di quell’alto fine, a
cui per l’appunto poteva mirare, come a proprio risulta-
to, questo metodo; tale presentimento nacque piuttosto
dalla vivezza dell’esigenza ch’era in me di cercare quei
metodi. Questa mi guidò naturalmente e semplicemen-
te a riconoscere che un metodo d’insegnamento univer-
salmente comprensibile deve partire da elementi sempli-
ci, in modo che, se essi siano sviluppati secondo una se-
rie graduale e continua, si possa raggiungere un risultato
psicologicamente sicuro. E questo concetto era pure in
me psicologicamente chiaro e definito e scientificamen-
te organizzato. Ma, essendo incapace di raggiungere un
risultato soddisfacente per mezzo di astratte deduzioni,
io volli provare le mie idee in esperimenti pratici e intesi
essenzialmente e originariamente, per mezzo di ricerche
e di esperienze, a chiarire a me stesso ciò che io propria-
mente volevo e potevo, al fine di trovare per questa via i
mezzi di compiere ciò a cui io aspiravo. Ciò a cui io allo-
ra tendeva e a cui oggi ancora tendo, stava in intima vi-
va connessione con quello ch’io avevo tentato venti anni
prima sulle mie terre.
Ma l’altro significato che alle mie idee fu attribuito co-
sì apertamente, sotto diversi aspetti, e, si può dire, con
certa affrettata leggerezza, diede al modo con cui esse fu-
rono applicate nel reggimento del mio istituto, un indi-
rizzo che non era bene fondato nell’intimo della mia per-
sonalità, nè in quello dei miei collaboratori. Perciò, dal
modo in cui questo avvenne, io fui trascinato fuori di me
stesso su di un terreno che mi era affatto straniero e che
io non avevo mai percorso in tutta la mia vita. Per certo

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non solo il terreno su cui noi ci ponemmo allora, cadu-


ti in tale situazione inopinatamente come dal cielo, era
per me un terreno affatto nuovo, ma sembrava che per
la mia mancanza di coltura scientifica, per la natura stes-
sa della mia personalità, per l’età in cui allora mi trova-
vo, non fosse possibile pensare che per questa via mi fos-
se dato di veder sorgere una stella propizia. Anche le ca-
pacità dei miei collaboratori e del personale che, in gran
parte esso stesso impreparato, avrebbe dovuto darmi co-
sì grande aiuto m questo nuovo terreno, erano tali da far
cadere ogni speranza di poter raggiungere in esso felici
risultati. Frattanto nella nostra cerchia era sorta viva, in
generale, la tendenza a incamminarsi per tal via. La voce
che noi lo potessimo, e che noi lo facessimo, prima an-
cora che lo potessimo e lo facessimo realmente, si diffuse
in tal modo apertamente e nettamente in vari ambienti, e
per opera di uomini la cui testimonianza era per sè ricca
di valore e degna di rispetto, ma essa ebbe su di noi tale
effetto da spingerci a fare in tal senso più di quanto tale
voce dicesse e potesse dire. In breve, l’età in cui noi era-
vamo ci acciecò. Pure in questo stesso tempo noi lavo-
ravamo ancora intensamente per avvicinarci praticamen-
te al nostro fine. Ed anche ci riuscì, sotto molti aspet-
ti, per mezzo di una più profonda fondazione psicologi-
ca, di dare ad alcuni rami dell’insegnamento elementare
un ordine migliore. Le nostre fatiche avrebbero potuto
avere in questo campo importanti risultati, ma l’attività
pratica, che solo ci avrebbe potuto garantire il raggiungi-
mento del nostro scopo, venne a poco a poco tristamen-
te a mancare nella nostra cerchia. Oggetti estranei al no-
stro preciso compito attrassero rapidamente l’attenzione
del nostro tempo, assorbirono le nostre forze e infirma-
rono gravemente la semplicità, la misura, la limitazione
e persino il senso di umanità dei nostri tentativi origina-
ri. Grandi idee di miglioramento sociale, sorte dal rapi-
do sviluppo dei nostri concetti sull’educazione, occupa-

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rono le nostre menti, deviarono i nostri cuori, e fecero


si che le nostre mani abbandonassero il lavoro necessa-
rio per l’Istituto che stava innanzi ai nostri occhi. In ta-
le situazione era inevitabile che andasse perduto l’antico
originario nobile spirito, indispensabile per la nostra co-
munione di lavoro. Il nostro amore non potè più essere
quello d’un tempo.
Noi tutti, più o meno, vedemmo l’errore in cui erava-
mo caduti ; ma nessuno cercò e vide sufficientemente,
come doveva, l’errore in se stesso. Ciascuno più o meno
incolpò l’altro e dall’altro richiese ciò che egli stesso non
poteva fare e non faceva, e la nostra peggiore disgrazia in
questo momento fu che i nostri sforzi si volsero special-
mente, e con grande parzialità, a ricerche profonde d’or-
dine filosofico, d’onde poter trarre aiuto nei pericoli del
nostro Istituto. Noi, in generale, non eravamo affatto in
condizioni di trovare, per questa via, ciò che vi cercava-
mo. Niederer solo sentiva in se stesso la forza di muo-
versi su quel terreno su cui ci eravamo posti, e poichè,
per molti anni, egli era vissuto tra noi solo in questa di-
sposizione, fini per conquistare non solo tra i miei colla-
boratori, ma anche su me stesso un influsso così sover-
chiante, che io finii per perdere me in me stesso, e ten-
tar di fare, contro la mia natura stessa ed ogni possibili-
tà, di me e del mio Istituto ciò che noi avremmo dovu-
te essere per potere in qualche modo avanzare su questo
terreno. Questa supremazia che Niederer aveva conqui-
stato nella nostra cerchia e le idee che egli esponeva sul
nostro oggetto mi presero in tal modo e mi condussero,
nello sforzo di realizzare, ad una così completa sommis-
sione, e a una così piena dedizione ed oblio di me stes-
so, che ora, per ciò che io mi conosco, posso e devo chia-
ramente affermare: è certo che se quando io scrissi que-
ste lettere Niederer fosse già stato tra noi, io dovrei ora
considerare tutto il loro contenuto e quindi l’idea dell’e-
ducazione elementare che già allora viveva in me come

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in un sogno, quasi apparsa tra le nubi, come proveniente


da lui e passata dalla sua alla mia anima. Certamente per
credere a questa mia affermazione e considerarla con la
semplicità e l’innocenza con cui io la proclamo, è neces-
sario conoscermi da vicino e sapere con precisione quan-
to, da un lato, io sia convinto che mi siano sempre man-
cati e mi manchino ancora oggi concetti chiari e filoso-
ficamente determinati su questo oggetto, e quanto, d’al-
tro lato, io fossi allora fiducioso nelle alte idee del mio
amico e nel valore che esse potevano e dovevano avere
per il successo della mia idea, che era ancora in me stes-
so oscura. Ma il fatto che Niederer, quando io scrivevo
queste lettere, non era ancora tra noi, mi permette di ve-
der chiaro quale sia stata l’opera di Niederer per rispetto
ai nostri tentativi di una sistemazione elementare dell’in-
segnamento, e che cosa debba in essi considerarsi come
opera mia. Io so quanto poco ciò sia stato e quanto e che
cosa ancora sarebbe necessario affinché tutto non si di-
sperdesse, e venisse a mancare qualunque risultato. Per
quest’ultimo rapporto la mia fortuna è superiore al mio
merito. In ogni modo è ora chiaro per me che la conce-
zione deduttiva dei nostri principi, che oltrepassava, su-
perava e lasciava di tanto dietro a sè le applicazioni prati-
che, rappresentava il punto di vista di Niederer, mentre
il mio, sorgendo da un vivo impulso alla ricerca dei mez-
zi convenienti al nostro oggetto, mi costringeva a ricerca-
re concretamente ed empiricamente e a sforzarmi di rag-
giungere ciò che ancora non era e che io stesso realmen-
te non conoscevo ancora. Ciascuno di questi indirizzi of-
friva ad ognuno di noi la via che egli doveva percorrere
per giungere al fine comune e per cui egli sentiva in sè
stesso un’energia particolare. Ma noi non seppimo agi-
re in tal modo e ci ostacolammo l’un l’altro sulla nostra
via, giacché per lungo tempo, anzi, per troppo tempo,
ci volemmo sforzare di procedere tenendoci per mano,
anzi andando, per così dire, con le stesse scarpe sull’or-

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me medesime. Il nostro fine era il medesimo, ma la via


che noi dovevamo percorrere per raggiungerlo era dalla
natura stessa segnata per ciascuno di noi in una diversa
direzione e noi avremmo dovuto riconoscere più presto
che ciascuno sarebbe pervenuto al suo scopo tanto più
sicuramente e tanto più lietamente, quanto più vi si fosse
diretto con piena libertà ed indipendenza. Noi eravamo
troppo differenti. Io sono attratto perfino da una bricio-
la che giace sulla via, se io credo ch’essa sia destinata an-
che in piccolissima parte a dar alimento ai miei tentativi
e a farli in qualche modo progredire; io devo raccoglierla
dal terreno, prendere e considerarla, osservarla da ogni
lato e, prima ch’io l’abbia in tal modo sufficientemente
conosciuta, non posso valutarla e giudicarla in rapporto
al complesso delle relazioni in cui essa rientra, come ele-
mento particolare dei nostri procedimenti. La forma e le
vicende della mia vita non mi hanno dato alcuna capaci-
tà ed alcuna forza di procedere rapidamente in qualsia-
si caso verso concetti semplici e chiari senza che l’ogget-
to di cui si tratta, basato su fatti concreti, abbia in me un
fondamento tale da risvegliare qualche fiducia in lui. Per
ciò, sino alla mia morte, io dovrò rimanere nella maggior
parte delle mie cognizioni in una specie di oscurità; de-
vo però dire, che se questa oscurità ha a suo fondamen-
to intuizioni varie e di sufficiente vivezza, essa è per me
una oscurità sacra. Essa è per me l’unica luce in cui io
vivo e posso vivere ed in questa oscurità luminosa della
mia natura io procedo verso il mio fine tranquillo e sod-
disfatto, per quanto mi è possibile avere di tranquillità e
di libertà. Nel punto in cui io ora mi trovo per riguar-
do alle mie intraprese, io sono interamente persuaso che
mentre nella mia vita non m’è possibile riuscire che in
piccola parte alla sicurezza speculativa di concetti deter-
minati, potrò invece, seguendo la mia via, trovare alcuni
mezzi per il mio fine, che io non avrei mai scoperto se-
guendo la via delle ricerche filosofiche verso concetti de-

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finiti sul mio argomento, per quanto almeno mi riguar-


da. Io non mi lamento perciò di questa mia incapacità, e
non devo in realtà lamentarmene. Devo piuttosto proce-
dere per la via della mia empiria, che è la via stessa del-
la mia vita, liberamente e volontariamente, senza aspira-
re ai frutti dell’albero di un sapere universale, frutti real-
mente proibiti per me a cagione della mia stessa natura
individuale. Se procedo con fede ed attività per la via
della mia empiria, ancorché così limitata, è perché cre-
do che solo per essa io sono ciò che sono e so quanto so,
ed il mio essere ed il mio operare non à affatto solamen-
te un cieco brancolare verso esperienze non comprese. E
spero anche più. Spero cioè che nel mio procedere, per
riguardo al mio oggetto, io possa riuscire a quelche cosa
di chiaro e filosoficamente fondato, il che non mi sareb-
be stato ugualmente possibile per altra via. I caratteri in-
dividuali degli uomini sono, a mio vedere, il maggior be-
ne della nostra natura, e il vero fondamento da cui sor-
gono i suoi prodotti più elevati ed essenziali. Ma ciò non
può avvenire se non li si scorga e non li si scorge se tut-
to si oppone a che essi si rivelino e si considera ogni ten-
denza individuale come l’impulso a rendere dominante
sopra tutte le altre la propria singolarità personale. Se si
voglia rispettarli è necessario di non separare ciò che Dio
ha unito, e insieme di non unire ciò che Dio ha separa-
to. La connessione artificiosa e violenta di oggetti in sè
eterogenei ha, naturalmente, in ogni circostanza, il risul-
tato di deprimere le forze e le caratteristiche individuali
a forza connesse e queste, soffocate e sviate, si esprimo-
no in ogni caso come un risvegliato principio antinatura-
le agiscono quindi in forma di dispersione e depressione
sull’insieme della vita individuale, a servizio della quale
erano state connesse. Io so ciò che non sono e credo di
dover dire chiaramente che non voglio essere se non ciò
che sono; ma per usare delle energie che, per quel ch’io
sono, mi si possono offrire, io devo essere libero ed in-

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dipendente nella mia propria forza, per quanto essa pos-


sa esser piccola, affinché anche per me possa verificarsi
il detto: «A chi ha, sarà dato», e non l’opposto: «A chi
non ha, sarà tolto anche ciò ch’egli ha».
Considerando da questo punto di vista il valore che
questo libro ha oggi ancora per il mondo e per me à
naturale ch’io lo ripubblichi nella medesima forma con
cui lo lasciai pubblicare or sono più di venti anni.
Nel frattempo io ho dato in alcuni scritti i necessari
chiarimenti sui progressi pedagogici nell’insegnamento e
sui metodi del nostro Istituto. Io proseguirò a far que-
sto con tutta precisione, e specialmente nella quinta par-
te di Leonardo e Gertrude potrò dare su questo punto
luce maggiore di quanto non abbia potuto dare sin qui.
Per quanto riguarda i giudizi sulle cose e sulle persone
contenute in queste lettere, io non vi ritorno sopra nè lo
potrei. Oggi potrei sorridere su molte cose e certo le ve-
do assai differenti da come le vedevo quando scrissi que-
ste lettere. Sopra molte altre potrei meglio piangere che
sorridere. Pure io non faccio neppur questo. Io non pos-
so ora parlarne nè sorridendo nè piangendo. Il mio sen-
timento mi dice che l’ora del mio silenzio non è ancora
trascorsa. La ruota del mio destino non s’è ancora inte-
ramante svolta. Il sorriso o il pianto sarebbe ancora, su
molte cose, una superficialità e potrebbe divenir danno-
so se non fosse tenuto segreto. Per riguardo agli ogget-
ti e ai punti di vista considerati in questo volume, molto
ancora e forse assai presto potrà essere mutato. Forse io
potrò anche tra poco ridere su ciò che ora mi movereb-
be al pianto, e forse tra poco io considererò seriaman-
te quanto ora m’è oggetto di riso. In tali condizioni di
spirito ho quindi lasciato il libro senza alcun mutamen-
to. L’avvenire, se ciò sarà necessario, renderà ancora più
evidente il contrasto tra alcune cose che vi son dette e la
situazione in cui io, perciò stesso che fu detto, realmen-
te mi trovo, contrasto che rende tali cose difficilmente

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comprensibili e spiegabili. Io però non lo credo. Ma se


ciò dovesse avvenire, anche dopo la mia morte, avvenga
almeno in forma serena e senza asprezza.
Iferten, 1 giugno 1820.
Pestalozzi

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LETTERA PRIMA

Burgdorf. Capo d’anno 1801.


Mio caro Gessner .
Tu mi dici che è tempo oramai ch’io esponga pubbli-
camente le mie idee intorno all’istruzione popolare.
E ciò appunto io voglio fare esponendoti, il più chia-
ramente che mi sarà possibile – come già Lavater a Zim-
mermann le sue «Intuizioni nell’eternità» – queste mie
intuizioni o piuttosto questi miei pensieri in una serie di
lettere.
L’istruzione popolare apparve ai miei occhi come
un’immensa palude: io camminai coraggiosamente in
mezzo al suo fango sino a che riconobbi le sorgenti del-
le sue acque, le cause del loro ingorgo ed il punto dove
forse sarebbe stato possibile aprire una via d’uscita alle
acque stagnanti.
Io voglio condurti per un poco attraverso il labirinto,
da cui io trovai l’uscita più per il caso che per l’ingegno
e l’arte.
Da lungo tempo, sino dalla giovinezza, il mio cuore
si volse con la forza di un’irresistibile corrente, sempre e
solo al fine di chiudere la fonte della miseria in cui io vidi
attorno a me affondato il popolo.
Son già più di trent’anni che io misi mano all’opera
che ora sto compiendo. Le «Effemeridi» dell’Iselin pos-
sono far fede che il sogno dei miei desideri non è ora nel
mio pensiero più vasto di quello che già allora non cer-
cassi di tradurre in atto.
Io vissi per parecchio tempo nella compagnia di più
di cinquanta bimbi accattoni, divisi con loro, nella po-
vertà, il mio pane, vissi anch’io come un mendicante per
imparare a far vivere i mendicanti come uomini.

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L’ideale della loro educazione abbracciava l’agricoltu-


ra, l’industria e il commercio. Per ciò che riguarda l’in-
sieme e l’essenziale di questo piano, in tutti e tre i rami
io possedevo un senso elevato e sicuro, e oggi ancora io
non posso riconoscervi errori fondamentali. Ma non è
men vero che in ognuno di questi rami mi mancavano le
conoscenze e le abilità particolari a cui il mio spirito non
sapeva applicarsi con fermezza. Inoltre io non ero ab-
bastanza ricco e troppo isolato per supplire con un per-
sonale sufficiente a ciò che mi mancava. E il mio piano
fallì.
Pure nell’immensa fatica di tale tentativo io avevo ap-
preso immense verità, e in nessun tempo mai la mia fi-
ducia nel suo valore fu tanto grande come nel momen-
to ch’esso falliva. Il mio cuore si volgeva pur sempre in-
vincibilmente verso il medesimo fine, e caduto io stesso
nella miseria, imparai a conoscere sempre più profonda-
mente – il che non è dato all’uomo felice – la miseria del
popolo e le sue fonti. Io soffersi ciò che soffriva il po-
polo, e questi si mostrò a me – come già a nessun altro
– quale esso era. Io vissi lunghi anni tra il popolo come
il gufo in mezzo agli uccelli. Ma tra lo scherno degli uo-
mini che mi rigettavano, tra le loro apostrofi: «O misera-
bile! tu che sei più inetto dell’infimo tra i braccianti ad
aiutare te stesso, fantastichi di poter soccorrere il popo-
lo!», tra tanta irrisione che io leggevo su tutte le labbra,
la irresistibile aspirazione del mio cuore non cessò mai di
volgersi al fine di chiudere le fonti della miseria, in cui io
vedevo attorno a me affondato il popolo; anzi la mia for-
za crebbe ancor più. La mia sventura mi apprese nuo-
ve ed utili verità. Ciò che non ingannava nessuno, m’in-
gannava pur sempre, ma ciò che ingannava tutti, non mi
ingannava ormai più.
Io conoscevo il popolo come nessun altro attorno a
me. Il rapido benessere prodotto dall’introduzione della
tessitura del cotone, la crescente ricchezza, le case nuo-

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vamente imbiancate, i raccolti abbondanti, persino l’in-


segnamento socratico di alcuni maestri e i circoli di lettu-
ra diretti dai figli di impiegati e da barbieri non mi pote-
vano ingannare, vedevo la miseria, ma non sapevo coglie-
re l’unità delle varie e separate sue cause, così che la for-
za pratica diretta a rimediare ai suoi mali era lungi dall’e-
stendersi quanto la mia conoscenza delle condizioni rea-
li del popolo. Persino il libro in cui io espressi allora il
mio intimo e puro sentimento, cioè Leonardo e Gertrude,
fu l’opera di questa mia interna impotenza e rimase tra i
miei contemporanei come una stele marmorea che par-
la di vita, ma ne è priva essa stessa. Molti gli accordaro-
no uno sguardo, ma compresero me ed i miei fini tanto
poco, quanto poco io comprendevo quelle forze e quelle
cognizioni particolari ch’erano necessarie ad attuarli.
Io mi abbandonai e mi perdetti nel vortice dell’impul-
so ad un’attività esteriore, prima di aver sufficientemente
posto in me stesso i suoi interni fondamenti.
Se io avessi prima potuto far questo, a quale altezza
mi sarei nell’intimo elevato verso i fini che mi stavano a
cuore; e quanto rapidamente avrei potuto raggiungerli!
Ma io ne rimasi lontano, perché non ne ero degno, giac-
ché li cercai solo esteriormente, permisi che l’amore per
la verità e per la giustizia divenisse in me una cieca pas-
sione che mi gettò sulle onde della vita, come un arbusto
strappato dalle sponde e giorno per giorno impedì che le
mie radici attecchissero nuovamente su di un solido ter-
reno e vi trovassero quel nutrimento ch’era pur così ne-
cessario al fine della mia vita. Ed era vano sperare che al-
tri togliesse questo arbusto dalle onde e lo riponesse sul
terreno a cui io stesso non sapevo sospingerlo.
Amico! Chi ha nelle sue vene solo una stilla del sangue
che corre nelle mie, conosce ora l’abisso ove io dovevo
precipitare. E tu, mio Gessner, prima di leggere oltre
concedi alla mia sorte una lacrima.

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Un profondo malessere s’impadronì allora di me: nel-


la mia passione ciò che è eterna verità ed eterno diritto
si trasformava in chimere. Io mi aggrappavo ciecamen-
te a parole e da suoni che in me perdevano ogni senso
d’interna verità, e così di giorno in giorno mi immiseri-
vo sempre più nel culto dei luoghi comuni e nelle stam-
burate delle ricette dei ciarlatani, con cui i tempi nuovi
pretendevano di salvare il genere umano.
Pure non era che io non avessi coscienza di questo mio
naufragio e che non cercassi di porvi riparo. Io spesi, con
pena infinita, tre anni a comporre le Ricerche sul processo
della natura dello sviluppo del genere umano, con lo sco-
po precisamente di chiarire a me stesso la concatenazio-
ne delle mie idee predilette e di armonizzare i miei sen-
timenti naturali con le mie idee intorno al diritto civile e
alla moralità. Ma anche quest’opera è per me solo una
prova della mia interiore impotenza, un semplice gioco
della mia facoltà d’investigazione, unilaterale, dominata
dalle mie tendenze individuali, insufficiente a dare quel-
la forza pratica, che era tanto necessaria per le mie im-
prese. La sproporzione tra la mia capacità pratica e le
mie intenzioni s’accrebbe ancor più e la lacuna ch’io do-
vevo colmare per raggiungere il fine propostomi divenne
sempre più grande e sempre più difficile da togliere.
E in realtà io non raccolsi più di quanto avevo semi-
nato. Il risultato del mio libro intorno a me fu quello
che era stato il risultato di ogni opera mia. Nessuno mi
comprese e tra i miei conoscenti non ne trovai due che
non mi facessero discretamente capire ch’essi considera-
vano il mio libro come una strampaleria. E ancora ulti-
mamente un uomo di valore, che pure mi ama, mi dice-
va in proposito con la schiettezza propria agli Svizzeri :
«Non è vero Pestalozzi, voi stesso oggi riconoscete, che
quando scriveste quel libro non sapevate bene neppure
voi ciò che volevate?». Pure era questo il mio destino:
essere misconosciuto e soffrire ingiustizia; io avrei dovu-

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to tenerne conto, ma non lo feci. Alle avversità opposi lo


sdegno e il disprezzo per gli uomini. Con tutto ciò non
deviai dal mio scopo, ma esso si oscurò in determinazio-
ni parziali e visse in una fantasia sconvolta e in un cuore
scontento. E sempre più mi abbassai a voler coltivare su
di un terreno sconsacrato la sacra pianta del bene degli
uomini.
O Gessner! Io che nelle mie Ricerche avevo mostrato
che tutte le esigenze del diritto civile non erano che esi-
genze della mia natura animale e che le avevo quindi per-
ciò concepite come un ostacolo essenziale a ciò che solo
ha valore per l’umanità, ossia alla purezza morale, mi ab-
bassai sino al punto, sotto l’impulso della violenza este-
riore e della passione interna, da sperare che col sempli-
ce nome di verità e di diritto si potesse agire benefica-
mente sugli uomini del mio tempo, che, ad eccezione di
pochi, vivevano di sentimenti superficiali, aspiravano al
potere e ricercavano le tavole bene imbandite.
Con i miei capelli grigi io ero ancora un fanciullo, ma
un fanciullo dall’anima profondamente turbata. Anche
in mezzo alla tempesta di quell’età io tenevo fisso l’ani-
mo al fine della mia vita, ma la mia concezione era quan-
to mai unilaterale ed oscura. Io ora ne cercavo la via col
porre in luce in modo generale le antiche fonti del disor-
dine civile, con l’esposizione appassionata dei principi
del diritto e dei suoi fondamenti, con il trar partito dal-
l’accesa reazione contro alcune delle sofferenze del po-
polo. Ma se le più alte verità che io avevo precedente-
mente affermato erano state, per coloro che mi vivevano
accanto, solo vane parole, a maggior ragione il mio nuo-
vo modo di vedere le cose non poteva apparire loro che
come stoltezza. Essi, come sempre, imbrattarono anche
queste ultime verità del loro fango, rimasero quali era-
no, e si rivoltarono anzi contro di me. Ciò avrei dovuto,
ma non seppi prevedere, perché avvolto dal sogno delle
mie speranze volavo tra le nubi e l’egoismo non mi apri-

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va gli occhi sugli uomini che mi circondavano. Io mi la-


sciai ingannare non solo dagli astuti, ma anche dai pazzi
ed attribuii ad ognuno che mi si presentasse dinanzi con
una buona parola anche buoni sentimenti. Eppure io co-
noscevo il popolo e le cause del suo abbrutimento e del-
la sua decadenza meglio di ogni altro; ed io volevo solo
e semplicemente distruggere queste cause, togliere que-
sto male. Ma gli uomini nuovi (novi homines) d’Elvezia,
che avevano mire più vaste e non conoscevano il popolo,
trovarono naturalmente ch’io non facevo per loro. Que-
sti uomini che nella loro nuova posizione, come donnic-
ciuole nella burrasca, prendevano ogni fuscello per un
albero maestro a cui la Repubblica potesse attaccarsi per
giungere a porto sicuro, consideravano me e me solo co-
me un fuscello, a cui neppure un gatto potesse aggrap-
parsi. Senza saperlo e senza volerlo essi mi fecero del be-
ne, più di quanto alcuno me ne facesse mai. Essi mi ri-
condussero a me stesso nello stupore silenzioso in cui io
consideravo i loro sforzi per salvar la nave in pericolo al-
tro non valutarono in me che il pensiero ch’io avevo for-
mulato sino dai primi momenti di scompiglio: «Io voglio
diventar maestro di scuola». Su questo punto ebbi la lo-
ro fiducia. Io divenni maestro e da allora sostenni una
lotta che mi costrinse, anche contro il mio volere, a col-
mare le lacune della interna incapacità che mi impediva
di raggiungere il fine della mia vita.
Amico! io ti voglio esporre apertamente ciò ch’io fui e
ch’io feci da quel momento. Per merito di Legrand ave-
vo ottenuto la fiducia del primo Direttorio per ciò che ri-
guardava l’educazione popolare ed ero sul punto di ini-
ziare nel cantone di Argovia un vasto piano di educa-
zione, quando scoppiò l’incendio di Stans, e Legrand mi
pregò di scegliere come centro della mia attività quel luo-
go sventurato. Vi andai. Io sarei sceso nei più aspri bur-
roni dei monti per avvicinarmi al mio fine, e mi ci avvici-
nai realmente. Ma pensa alla mia condizione: solo, privo

Storia d’Italia Einaudi 15


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

completamente di ogni aiuto e sussidio per l’educazione;


in una sola volta direttore, amministratore, servo e per-
sino sguattero, in una casa diroccata, tra l’ignoranza, le
malattie e novità di costumi. Il numero dei fanciulli salì
a poco a poco sino ad ottanta, tutti di differente età, al-
cuni arroganti, altri abituati a mendicare per le vie, tutti,
salvo pochi, assolutamente ignoranti. Quale compito era
mai questo di educarli, di sviluppare l’animo loro?
Io mi accinsi a compierlo. Mi ponevo in mezzo a loro,
pronunciavo alcune parole e glie le facevo ripetere. Chi
mi seguì si meravigliò del risultato. Certo fu come un
lampo che fende l’aria e sparisce. Nessuno ne riconob-
be il senso profondo, neppure io stesso. Giacché questo
mio procedere era il risultato di una semplice idea psi-
cologica che esisteva nel mio spirito senza ch’io ne avessi
chiara coscienza.
In verità io avevo afferrato il polso del metodo che an-
davo cercando. Meraviglioso tentativo, che uno spiri-
to illuminato non avrebbe osato, che non avrei osato io
stesso, se, per buona sorte, non fossi stato cieco. Real-
mente io non sapevo ciò che facessi; sapevo però ciò che
volevo: morire o raggiungere il mio fine.
I mezzi ch’io scoprii non furono che i risultati della ne-
cessità in cui io mi trovai d’uscire dalle infinite difficoltà
della mia situazione.
Io stesso non so e non arrivo quasi a comprendere co-
me vi riuscii. Io lottai con la necessità, sfidai gli ostacoli
che mi sorgevano innanzi come montagne, opposi all’ap-
parenza di una impossibilità materiale la forza di una vo-
lontà che non vedeva e non curava il domani, tutta spro-
fondata nel presente come se da esso solo dipendesse la
sua vita e la sua morte.
Così io lavorai in Stans, sino a che l’avvicinarsi dell’ar-
mata austriaca colpì al cuore la mia impresa. L’angoscia
che mi oppresse indebolì le mie forze fisiche che erano
profondamente abbattute il giorno che io lasciai Stans.

Storia d’Italia Einaudi 16


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Sino allora io non avevo preso coscienza dei principi del


mio procedere; ma, avendo tentato l’impossibile, trovai
possibile ciò che non avrei pensato, ed essendomi cac-
ciato in un intrico senza via che nessuno mai da secoli
aveva percorso, vi trovai traccie che mi condussero sul-
la via maestra anch’essa da secoli abbandonata. Io voglio
entrare qui un po’ nei particolari.
Poiché io fui costretto a istruire solo, senz’altri aiuti,
i fanciulli, io appresi l’arte dell’insegnamento mutuo; e
poiché io non ebbi a mia disposizione altro mezzo che la
pronuncia ad alta voce, mi sorse naturalmente il pensie-
ro di far scrivere e lavorare durante lo studio i fanciul-
li. Il disordine prodotto dal numero dei fanciulli che ri-
petevano in coro le mie parole mi avvertì della necessità
del ritmo e la pronuncia ritmica accrebbe l’impressione
prodotta dall’insegnamento. L’assoluta ignoranza di tut-
to mi indusse a trattenermi a lungo sui principi, e ciò mi
permise di sperimentare il vigoroso elevarsi delle energie
spirituali, che consegue alla compiutezza dei primi gra-
di d’istruzione, e i benefici risultati del sentimento di tale
compiutezza e perfezione, anche nei gradi più bassi del-
l’insegnamento. Allora compresi, come ancora non m’e-
ra riuscito, la connessione tra i primi elementi e il siste-
ma complesso di ogni scienza, ed ebbi coscienza, per la
prima volta, della immensa lacuna che lo studio confu-
so e incompleto dei primi elementi produce in ogni si-
stema di conoscenze. I risultati che io ottenni in segui-
to a queste osservazioni superarono la mia aspettazione
stessa. Rapidamente si sviluppò nei fanciulli la coscien-
za di forze che essi ignoravano e sopratutto il sentimen-
to in generale dell’armonia e della bellezza. Acquistaro-
no coscienza di sè e il senso di pesantezza proprio della
vita scolastica scomparve dalla mia scuola come per in-
canto; essi volevano, potevano, perseveravano, riusciva-
no e sorridevano lieti; il loro stato d’animo non era quel-
lo di chi studia, ma di chi sente destarsi in sè vive forze

Storia d’Italia Einaudi 17


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

ignorate e un sentimento che eleva lo spirito e il cuore in


cui si animano queste forze stesse.
I fanciulli istruivano i fanciulli. Essi realizzavano i miei
progetti. Anche a ciò mi aveva condotto la necessità.
Poiché non avevo alcun collaboratore misi uno dei mi-
gliori allievi tra due più scadenti. Quegli li prendeva con
le due mani, insegnava loro quanto poteva ed essi ap-
prendevano a ripetere ciò che non sapevano.
Mio caro amico! Tu hai udito il chiasso di questo
studio in comune, tu ne hai veduto l’entusiasmo e la
gioia. Dimmi dunque, quale sentimento provasti a tal
vista? Io vidi le tue lagrime e il mio petto arse di sdegno
per chi osava ancor dire che la redenzione del popolo
non era che un sogno.
No, non è un sogno; io voglio porne l’arte nella mano
della madre, nella mano del fanciullo e nella mano del-
l’innocenza, e il miserabile tacerà nè potrà più ripetere:
essa è un sogno.
Mio Dio! Come ti ringrazio della mia miseria! Senza
di essa io non potrei pronunciare queste parole e imporre
silenzio a quell’uomo.
La mia convinzione è ora salda. Per lungo tempo non
fu così. Ma io ebbi in Stans dei fanciulli le cui forze
non ancora paralizzate dall’oppressione di un allevamen-
to famigliare e scolastico contrario alla natura dello spiri-
to umano, si svilupparono rapidamente. Mi pareva d’a-
vere a che fare con un’altra razza: anche i poveri erano
qui differenti dai poveri delle città e dai miserabili delle
nostre campagne ricche di grano e di vino. Io potei os-
servare la forza della natura umana e le sue facoltà nel-
la massima varietà e libertà del loro svolgimento; la lo-
ro corruzione era la corruzione di una natura sana, infi-
nitamente differente da quella cagionata da un disperato
abbattimento e da una dissoluzione completa.
Confuse in questa incolpevole ignoranza io scopersi
una viva forza d’intuizione e una sicura ritentiva di ciò

Storia d’Italia Einaudi 18


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

che era stato già visto e conosciuto, di cui i nostri fantocci


scolastici non hanno neppure l’idea.
Da loro appresi – e avrei dovuto esser cieco per non
apprenderla – la relazione naturale che deve intercorre-
re tra lo studio dell’alfabeto e la conoscenza degli ogget-
ti reali; da loro appresi quanto lo studio esclusivo del-
l’alfabeto e la fiducia incondizionata riposta nelle parole
che in sè sono puri suoni e voci, possa nuocere alla for-
za effettiva dell’intuizione e alla coscienza concreta degli
oggetti che ci attorniano.
A tale risultato io giunsi in Stans. Io sentivo che
le mie esperienze erano decisive per la possibilità di
fondare l’istruzione del popolo su basi psicologiche, di
porre a suo fondamento le reali conoscenze intuitive e
di strappar la maschera alla vanità della sua superficiale
ostentazione di parole. Io sentivo che di fronte ad uomini
d’ingegno acuto o di fresca energia spirituale, sarei stato
in grado di risolvere il problema; ma di ciò che m’era
pur tanto chiaro io non potevo persuadere la moltitudine
schiava di pregiudizi, simile alle oche, le quali, poiché
usciron dall’uovo, crebbero nella stalla e nella cucina, e
perdettero perciò ogni capacità di volare e di nuotare.
Era riserbato a Burgdorf di addestrarmi a ciò nella
scuola.
Ma tu che mi conosci, tu pensa con quale animo io
partissi da Stans. Quando un naufrago, dopo lunghe
notti angosciose, scorge finalmente terra, apre il suo
petto alla speranza della vita; ma se di nuovo si vede
sospinto dal vento nemico nell’infinito mare, tremando
per tutte le vene mille volte invoca la morte, e pure non
si precipita nell’abisso e fissa gli occhi stanchi e si guarda
attorno e cerca di nuovo la riva, e se la scorge ad essa
tende con tutte le forze delle sue membra. Tale appunto
ero io.
O Gessner, pensa a tutto ciò, pensa quale era il mio
cuore, quale la mia volontà, pensa alle mie fatiche, al

Storia d’Italia Einaudi 19


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

mio disinganno, alla mia disgrazia, alla mia eccitazione


nervosa, al mio accasciamento. Tale, amico, era la mia
condizione.
Fischer mi fece conoscere Zehender ed a Gurnigel io
ebbi alcuni giorni di sollievo. E veramente ne avevo
bisogno; è in fatti un miracolo ch’io sia vivo ancora. Pure
esso non era il mio porto, era uno scoglio nel mare su
cui mi riposavo per riprendere il nuoto. Fino a che io
viva, o Zehender, io non dimenticherò quei giorni. Essi
furono la mia salvezza; ma io non potevo vivere lontano
dall’opera mia, neppure quando dall’altura di Gurnigel
io contemplavo la bella, immensa vallata che si stendeva
ai miei piedi. Io non avevo veduto mai un panorama così
vasto, eppure in quel momento io pensavo meno alla sua
bellezza che alla cattiva educazione del popolo. Io non
potevo e non volevo vivere dimentico del fine della mia
vita.
La mia partenza da Stans, che, sebbene io fossi allora
vicino a morte, non era dovuta a una mia decisione vo-
lontaria, ma a disposizioni militari e all’assoluta impos-
sibilità di proseguire il mio piano, rinnovò l’antica dice-
ria sulla mia inettitudine e sulla mia incapacità a perse-
verare in una qualunque impresa. «Vedete, dicevano i
miei amici stessi, per cinque mesi gli è possibile dispor-
si al lavoro, ma prima che il sesto sia compito egli ha tut-
to abbandonato. Dovevamo aspettarcelo: non è buono
a nulla. Del resto non ha mai condotto a termine nulla
se non un romanzo; e oramai egli è inferiore a se stesso».
Mi dicevano sul viso che è una vera stoltezza di credere
che, perché un uomo a trent’anni ha scritto qualcosa di
ragionevole, debba, sui cinquanta anche fare qualcosa di
ragionevole. Si diceva apertamente, come il meglio che
si potesse pensare di me era che io accarezzavo un bel
sogno, e, come tutti i monomaniaci, avevo qua e là, nel
mio sogno e nella mia mania, qualche pensiero lumino-
so. Naturalmente si capisce che nessuno mi desse ascol-

Storia d’Italia Einaudi 20


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

to. Tutti erano convinti che tutto si riduceva a ciò: che


ancora una volta in Stans le cose m’erano andate male, e
che d’altra parte questo mi sarebbe sempre avvenuto.
F... mi riferì in proposito una singolare conversazione
tra amici, avvenuta in una pubblica riunione. Ma io non
voglio entrare nei particolari.
Il primo diceva: Hai visto che aspetto sconvolto?
E l’altro: Già, il povero pazzo mi fa compassione.
Anche a me, risponde quello, ma non c’è modo d’a-
iutarlo. Ogni volta ch’egli manda un lampo di luce, e si
crede ch’egli stia veramente per far qualche cosa, subito
si fa buio attorno a lui e avvicinandosi ci si accorge che
in quella luce egli ha arso se stesso.
E l’altro di nuovo: Fosse ciò pur una volta tanto
accaduto! Ohè egli non avrà pace sino a che non sarà
ridotto in cenere.
A cui il primo: Bisogna pregar Dio che ciò non abbia
a tardare a lungo!
Questo era il premio del mio lavoro a Stans, un lavoro,
che nessun mortale intraprese mai su tale estensione e in
tali circostanze, un lavoro in cui intimi risultati mi hanno
condotto al punto in cui ora sono.
Generale fu la meraviglia quando io discesi da Gurni-
gel con immutata volontà e con lo stesso scopo di prima,
non chiedendo e non cercando altro che di poter rian-
nodare in un qualsiasi angolo della terra, senza alcun se-
condo fine, là dove si era spezzato, il filo della mia im-
presa.
Rengger e Stapfer se ne compiacquero; il giudice Sch-
nell mi consigliò di recarmi a Burgdorf, e io vi giunsi due
giorni dopo. Là trovai nello Schnell e nel dottor Grimm
due persone che sapevano su quale mobile incerto ter-
reno siano ora fondate le nostre vecchie e tarlate scuole,
ma non disperavano di poter trovare sotto questo strato
incoerente un terreno più saldo. Io devo loro molta gra-
titudine. Essi fecero attenzione ai miei progetti e mi aiu-

Storia d’Italia Einaudi 21


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

tarono con l’attività e il buon volere ad aprirmi la via che


cercavo.
Ma anche qui non mancarono le difficoltà. Fortunata-
mente sul principio non mi si fece attenzione più di quel-
lo che si facesse a uno dei tanti maestri che vanno in cer-
ca di che vivere. Alcuni tra i ricchi mi salutarono ami-
chevolmente; alcuni ecclesiastici invocarono la benedi-
zione di Dio sulla mia impresa; alcune persone avvedute
pensarono che forse ne sarebbe potuto uscire qualcosa
di utile per i loro figli; tutti insomma sembravano dispo-
sti ad attendere sino a che io fossi in grado di mostrare i
miei risultati.
Ma il maestro della scuola popolare della città bassa,
alla cui classe, in verità, io ero stato assegnato, prese la
cosa in ben altro modo. Io credo ch’egli si immaginò che
l’ardore ch’io mettevo nel far ripetere i suoni alfabetici,
non avesse in fine altro scopo che quello di scalzarlo dal
suo posto. Un bel giorno ecco diffondersi, nell’ambiente
che era in rapporto con lui, la voce che il catechismo
di Heidelberg era in pericolo. Ora il catechismo di
Heidelberg, nelle città riformate della Svizzera, è l’unico
nutrimento spirituale concesso con circospezione alla
gioventù della classe borghese e popolana, del pari che
a quella dei contadini ignoranti del villaggio; e tu sai che
essa non apprende altro, sino al giorno in cui si presenta
al parroco per la richiesta di matrimonio.
Ma questa non era la sola accusa. Si spargeva in tali
ambienti la voce che io non sapevo nè scrivere, nè far di
conto e neppure leggere correttamente.
Tu sai, amico mio, che la voce popolare non è mai fal-
sa interamente. Effettivamente io non sapevo nè scrive-
re, nè far di conti, nè leggere correttamente. Ma l’errore
sta nelle conseguenze che l’opinione popolare vuol trar-
re da fatti pur veri. Tu vedesti come a Stans io potessi
insegnare a scrivere senza saper scrivere io stesso; anzi la
mia ignoranza di tutte queste cose era la condizione in-

Storia d’Italia Einaudi 22


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

dispensabile per farmi cercare la massima semplicità nei


metodi d’insegnamento e farmi scoprire i mezzi con cui
anche l’uomo più mal pratico ed ignorante può arrivare
ad istruire da sè i propri figli.
Certo io non potevo pretendere che i popolani di
Burgdorf avessero, non dico ad accettare, ma solo a
farsi una idea di questa verità. E infatti neppur se lo
sognarono. In una riunione essi dichiararono che non
avrebbero permesso che sui loro figlioli si facesse la
prova del nuovo metodo; che i borghesi la facessero
piuttosto sovra i propri.
E così avvenne. Protettori ed amici usarono di tutta
l’abilità necessaria in un tal luogo e per un tale scopo, e
riuscirono ad ottenermi un posto nella scuola inferiore
della città alta.
Io ne fui felice. Ma sul principio io fui come sper-
duto. Temevo ogni momento che mi si cacciasse anco-
ra una volta dalla mia scuola, ciò mi rendeva ancora più
impacciato, di quanto non sia naturalmente.
Quando io penso all’ardire, all’energia con cui, nei
primi tempi a Stans io andavo edificando quasi un castel-
lo incantato, e allo scoraggiamento con cui in Burgdorf
mi piegavo sotto il giogo meccanico della scuola, quasi
non so comprendere come lo stesso uomo abbia potuto
fare l’una e l’altra cosa.
Qui v’era un ordinamento scolastico, che dava l’appa-
renza di un senso di responsabilità educativa: un misto
di pedanteria e di presunzione. Ciò m’era assolutamen-
te estraneo. In vita mia non avevo mai sofferto tanta pe-
na; ma io volevo raggiungere il mio scopo, ero disposto a
tutto sopportare. Ricominciai perciò ogni giorno a vocia-
re il mio A B C dalla mattina alla sera, e procedetti, senza
alcun piano predisposto, con quel metodo empirico, che
avevo dovuto troncare a Stans. Infaticabilmente io com-
binavo lunghe serie di sillabe; di esse e di serie numeri-
che riempivo quaderni interi, e cercavo con ogni mezzo

Storia d’Italia Einaudi 23


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

di ridurre i rudimenti della lettura e del calcolo alla mas-


sima semplicità e a forme tali che il fanciullo, secondo un
procedimento psicologicamente naturale, potesse proce-
dere dal primo passo al secondo, gradualmente, senza al-
cuna discontinuità, e quindi, compreso e assicurato il se-
condo, dovesse rapidamente e senza esitazione avanzare
al terzo ed al quarto. Ma in luogo di far tracciare ai fan-
ciulli con la matita, come facevo in Stans, le lettere, feci
loro disegnare angoli, quadrati, linee e cerchi.
In questo lavoro si sviluppò a poco a poco nella mia
mente l’idea della possibilità di un A B C dell’intuizio-
ne, che ora acquistava grande importanza per me e la cui
compiuta attuazione mi apriva dinanzi, sia pure in for-
ma ancor vaga, l’orizzonte di un metodo generale d’inse-
gnamento. Ci volle tempo ancora prima che mi si chia-
risse completamente. Ciò ch’ io ti dico ti parrà incom-
prensibile, ma è pur vero: Da più mesi io andavo stu-
diando i principi elementari dell’insegnamento, cercan-
do con ogni sforzo di ridurli alla massima semplicità; pu-
re io non riuscivo a scoprire la loro connessione, o alme-
no non ne avevo ancora chiara coscienza; ma d’ora in ora
io sentivo di progredire, e di progredire a gran passi.
Mi ricordo d’aver udito fin da fanciullo ripetermi che
è buona cosa avvezzarsi a vincere le piccole difficoltà.
Ma oggi io so per esperienza che, pur avendo i capel-
li bianchi, per arrivare a compiere prodigi, bisogna co-
minciare dalle piccole cose. Io non ho certo la pretesa
di far miracoli: non ne ho l’attitudine e non ne farò mai
né veri, né apparenti; ma se un uomo fosse giunto alla
mia età conservando sano lo spirito ed integri i nervi, e
in un’impresa simile alla mia avesse voluto e dovuto pro-
cedere sempre gradatamente, sarebbe arrivato a compie-
re prodigi nell’uno o nell’altro senso. Ma che! gli uo-
mini della mia età non sogliono cercare che di sdraiarsi
in una comoda poltrona. Io non sono di tal fatta, e de-
vo rallegrarmi che ancora nella vecchiaia mi sia concesso

Storia d’Italia Einaudi 24


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

di lavorare umilmente all’opera mia. Tutta la mia aspira-


zione, tutto il mio lavoro consiste nel riconoscere la via
maestra, la quale ha il vantaggio che, per la sua direzione
in linea retta e per la sua visibilità, distoglie dalla sedu-
zione delle vie tortuose, che pure conducono alcuna vol-
ta gli uomini ad acquistar gloria e compiere prodigi. Se
io raggiungerò il fine propostomi, io non avrò che enun-
ciarlo e l’uomo più inesperto sarà capace di fare altret-
tanto. Ma, nonostante la convinzione che io non arrive-
rò mai nè a compiere prodigi, nè ad ottenere la gloria,
considero come corona della mia vita questo aver lavo-
rato lunghi anni, sino nella vecchiaia, all’opera mia con
paziente umiltà. E di ciò ogni giorno posso constatare i
vantaggi. Mentre dunque io attendevo a tutti i polvero-
si doveri scolastici, non superficialmente, ma consacran-
dovi quasi senza interruzione la mia giornata dalle ot-
to del mattino alle sette della sera, io scoprivo ad ogni
istante dei fatti che mettevano in risalto l’esistenza di leg-
gi fisico-meccaniche, secondo cui il nostro spirito riceve
e conserva più o meno facilmente le impressioni che gli
provengono dall’esterno. Ogni giorno anzi io andavo or-
ganizzando sempre meglio il mio insegnamento, secon-
do la coscienza vaga di tali leggi, ma non ebbi veramen-
te piena coscienza del loro principio sino a che il consi-
gliere esecutivo Glayre, a cui io nella scorsa estate cerca-
vo di far comprendere l’essenza del mio metodo, non mi
disse: «Vous voulez méchaniser l’éducation».
Egli aveva colpito nel segno e mi porgeva la parola
esatta per esprimere l’essenza del mio fine e dei mezzi
ad esso convenienti. Io non vi sarei forse giunto anco-
ra per chi sa quanto tempo, giacché io procedevo sen-
za rendermi ragione di ciò che facevo, lasciandomi gui-
dare da oscuri ma vivi sentimenti, che mi indirizzavano
sulla retta via, ma non me ne dava chiara coscienza. Nè
potevo fare altrimenti. Da ben trent’anni io non ho let-
to più un libro, e in realtà non potevo leggerne, mi man-

Storia d’Italia Einaudi 25


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

cavano le parole ad esprimere i concetti astratti e vive-


vo solo di convinzioni ch’erano il risultato di intuizioni
numerosissime, ma per gran parte dimenticate.
Così, senza aver chiara coscienza del principio a cui
ubbidivo, io cominciai nelle spiegazioni ai fanciulli, a
considerare gli oggetti secondo i rapporti con i quali essi
sogliono entrare in diretto contatto con i loro sensi e, ri-
cercando sino all’estremo limite gli elementi iniziali del-
l’insegnamento e volendo determinare il tempo in cui es-
so ha principio, giunsi alla convinzione, che la prima ora
dell’apprendimento è l’ora della nascita. Dal momento
in cui i sensi del fanciullo possono ricevere le impressio-
ni della natura, la natura lo educa. La novità stessa del-
la vita non è altro che la facoltà sviluppatasi di ricevere
queste impressioni, che il risveglio dei germi fisici giun-
ti a perfezione, i quali ora tendono con tutte le loro for-
ze e con tutte le loro energie a provocare tale interiore
sviluppo, ossia il risveglio, insomma, dell’animale ormai
perfetto, che vuole e deve divenir uomo.
Tutta l’istruzione non consiste quindi se non nell’arte
di favorire questa inclinazione della natura al suo proprio
sviluppo, e quest’arte riposa essenzialmente sulla natura-
le relazione e sull’armonia che deve esistere tra le impres-
sioni che si suscitano nell’alunno, e il grado di sviluppo
della sua energia interiore. Vi deve essere quindi neces-
sariamente un ordine secondo cui le impressioni devono
essere suscitate nel bimbo per mezzo dell’insegnamento,
ordine il cui principio e il cui processo devono dipende-
re dal principio e dal progresso dell’energia interiore del
fanciullo. Io compresi allora che la scoperta di quest’or-
dine in tutti i campi della conoscenza umana, e partico-
larmente nelle nozioni elementari, da cui dipende lo svi-
luppo dello spirito umano, è il mezzo semplice ed uni-
co per riuscire a comporre veri libri scolastici istruttivi,
conformi alla nostra natura ed ai nostri bisogni. Rico-
nobbi inoltre che nella composizione di questi libri im-

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Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

porta anzitutto di graduare la materia dell’insegnamen-


to in corrispondenza al grado di sviluppo delle energie
del fanciullo, e in tutti e tre i campi determinare con la
massima precisione quali nozioni convengano alle varie
età del fanciullo, per non sottrargli nulla di ciò che egli è
in grado di comprendere e non confonderlo con quanto
supera la sua capacità di intendimento.
Allora mi divenne manifesto che il fanciullo deve già
aver acquistato ampie nozioni, sia di cose che di paro-
le prima che ragionevolmente convenga di apprendergli
a sillabare, e questo giudizio mi persuase che il fanciul-
lo, sin dalla sua prima età deve essere avviato con un me-
todo psicologico ad una intuizione delle cose, secondo il
loro ordine razionale. Ma poiché un tale indirizzo non
può concepirsi negli uomini così come oggi sono, nè at-
tendersi da essi senza il concorso di un’arte pedagogica,
dovetti necessariamente sentire il bisogno di libri d’istru-
zione che precedano l’Abecedario, e che chiariscano in
anticipazione ai fanciulli, per mezzo di illustrazioni ben
scelte e ben fatte, i concetti che si vogliono comunicar
loro con la parola.
L’esperienza confermò pienamente questo mio giudi-
zio. Un’ottima madre affidò al mio insegnamento privato
il suo fanciullo di soli tre anni. Per qualche tempo gli die-
di lezione un’ora al giorno, e sulle prime applicai con lui
il metodo solo timidamente. Io ricorsi alle lettere dell’al-
fabeto, alle figure, a tutto ciò che mi cadeva sotto mano,
per insegnargli, cioè per formare in lui, con tutti questi
mezzi, concetti ed espressioni determinate. Gli feci de-
nominare con precisione ciò ch’egli conosceva d’ogni co-
sa, il colore, le membra, la posizione, la forma, il nume-
ro. Ma dovetti ben tosto lasciar da parte le malaugurate
lettere dell’alfabeto, primo tormento dell’infanzia. Egli
voleva solo immagini ed oggetti e dopo breve tempo egli
potè esprimersi con precisione sulle cose che entravano
nella cerchia della sua conoscenza. Per la via, nel giar-

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Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

dino, nella sua camera egli trovò la conferma delle sue


nozioni e presto giunse a riconoscere nella storia natura-
le del Buffon anche gli animali meno noti e a ricordare i
nomi più difficili nel loro ordine e a fare osservazioni e
distinzioni sottili sugli animali, sulle piante e sull’uomo.
Pure questo esperimento non era decisivo per deter-
minare il momento in cui ha inizio l’istruzione. Anche
questo fanciullo aveva dietro sè tre anni perduti, ed io so-
no convinto che a quell’età la natura ha già dato al bim-
bo coscienza determinata di un numero infinito di ogget-
ti. A noi non rimane che appropriare, con arte psicologi-
ca, le parole a queste cognizioni, per elevarle a un più al-
to grado di chiarezza. Così i fanciulli arriveranno a por-
re in ciò che la natura stessa ha loro insegnato i fonda-
menti dell’arte e della verità nelle loro innumerevoli for-
me, e reciprocamente ad usare degli insegnamenti diret-
ti e spontanei della natura, per chiarire quei principi del-
l’arte e della verità che ad essi si vogliono impartire. Tan-
to la loro energia quanto la loro esperienza sono a quel-
l’età sviluppate a sufficienza, ma le nostre scuole coi lo-
ro procedimenti antipsicologici non sono che un sistema
artificioso per isterilire quella forza e quell’esperienza a
cui la natura stessa ha dato vita nei fanciulli.
Tu lo conosci, mio amico; ma richiamati per un mo-
mento l’orrore di questo delitto. Fino ai cinque anni si
concede ai fanciulli il libero godimento della natura, si
lascia che ogni impressione che da essa deriva agisca su
di essi; essi hanno coscienza della propria forza, e già go-
dono con tutti i sensi della propria libertà e dei piace-
ri che ne derivano; il libero processo della natura secon-
do cui si sviluppa nella soddisfazione della sua sensibilità
il selvaggio, ha già acquistato in loro una direzione ben
determinata. Ora, dopo che essi hanno goduto per ben
cinque anni questa beatitudine della vita sensibile, ad un
tratto si toglie loro dagli occhi l’intera natura, si frena ti-
rannicamente il processo impulsivo della loro infrenata

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Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

libertà, si rinchiudono a schiere in una stanza appesta-


ta, si costringono per ore, giorni, settimane, mesi ed anni
interi, senza pietà, a contemplare le misere, aride ed uni-
formi lettere dell’alfabeto, li si condanna a un modo di
vita che contrasta con quello precedente, a segno di farli
impazzire.
Io non voglio andare oltre; dovrei ancora disegnare
la figura del maestro di scuola e mostrare l’orribile con-
trasto della sua persona, delle sue azioni, del suo uffi-
cio, della sua miseria, con l’amabile natura. Ma tu, ami-
co, dimmi: il colpo di mannaia che cade sul collo al de-
linquente e lo fa passare dalla vita alla morte, può forse
produrre sul suo corpo un’impressione maggiore di quel-
la che produce sull’anima dei bambini il brusco passag-
gio dalla bella vita naturale a lungo goduta, alla misera
vita di scuola?
Saranno dunque gli uomini eternamente ciechi? Non
vorranno essi risalire alle prime fonti del nostro disordine
spirituale, alle cause della perdita della nostra innocenza,
della rovina della nostra energia con tutte le miserie che
ne conseguono e che rendono la nostra vita scontenta e
conducono mille di noi alla morte negli ospedali, o alla
pazzia tra le catene dei manicomi?
Mio caro Gessner; come riposerò bene nella tomba se
io avrò in qualche modo contribuito a scoprire queste
fonti! Come riposerò bene nella tomba se potrò riuscire
ad accordare nell’educazione del popolo la natura e l’ar-
te con tanta intimità quanto è ora la violenza del distac-
co! Ahimè, come il mio cuore si ribella! nell’educazio-
ne del popolo natura ed arte sono ora non solo derise,
ma opposte sino alla pazzia l’una all’altra dalla malvagità
degli uomini. Sembra quasi che uno spirito malefico ab-
bia riservato al nostro continente e alla nostra età attra-
verso i secoli il dono dell’arte raffinata di questa inferna-
le separazione, per rendere nel secolo filosofico il genere
umano più fiacco e più misero di quello che in qualsia-

Storia d’Italia Einaudi 29


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

si terra e in qualsiasi età l’abbiano reso la presunzione, la


prepotenza e la vanità.
Con quanto piacere io dimentico un mondo che offre
un tale spettacolo; come mi è dolce, in queste circostan-
ze, essere a fianco del mio amabile piccolo Lodovico, i
cui capricci mi costringono a penetrare sempre più pro-
fondamente nello spirito dei libri destinati al primo inse-
gnamento. Sì, amico mio, questi libri daranno o dovran-
no dare il primo vero crollo ai metodi assurdi d’insegna-
mento propri dell’età nostra. Lo spirito che li deve ani-
mare mi divien sempre più chiaro. Essi devono partire
dagli elementi più semplici della conoscenza umana, essi
devono imprimere profondamente nei fanciulli le forme
essenziali di tutte le cose; essi devono sviluppare in es-
si presto e chiaramente la prima coscienza delle relazio-
ni numeriche; essi devono offrir loro parole e linguaggio
appropriato alla cerchia della loro coscienza e della lo-
ro esperienza; e in generale dar compiutezza ed organi-
cità ai primi gradi del processo per cui la natura stessa ci
guida ad acquistare ogni arte ed ogni energia.
Quale deficenza è per noi la mancanza di un tale li-
bro; deficenza non solo perché dobbiamo sostituirlo con
la nostra arte, ma perché esso non può essere da tale arte
sostituito. Ma a noi manca perfino il suo spirito, benché
esso, per opera della natura, senza alcuna nostra parteci-
pazione, viva in tutto ciò che ci circonda, tanto che noi
dobbiamo usar violenza contro noi stessi, quando con le
nostre scuole e con il loro esclusivo insegnamento alfa-
betico soffochiamo l’ultima scintilla del fuoco con cui la
natura l’ha voluto impresso nel nostro cuore.
Ma io ritorno all’argomento.
Mentre dunque, per definire il metodo a vantaggio dei
fanciulli, che ne avrebber dovuto esser formati sin dal-
la culla, io cercavo di scoprire i primi elementi di ogni
studio e di ogni energia spirituale, con gli scolari, che,
educati all’infuori di ogni metodo, io mi trovavo fra le

Storia d’Italia Einaudi 30


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

mani, seguivo regole che sembravano affatto opposte ai


miei principi e particolarmente all’ordine psicologico per
l’apprendimento delle conoscenze reali e verbali, secon-
do il quale dovrebbero svilupparsi i concetti dei fanciul-
li. E per verità io non potevo fare altrimenti; io dovevo
cercare di scoprire così alla cieca il grado di energia rag-
giunta dal loro spirito prima e all’infuori del mio inter-
vento. Mi ci misi infatti, come m’era possibile ed in tutti,
nonostante l’abbandono in cui erano stati lasciati trovai
che tal grado era assai superiore a quanto, data l’incon-
cepibile mancanza di ogni metodo ed azione educativa,
avrei ritenuto possibile. Là dove s’era esercitata l’azione
degli uomini trovai un enorme indebolimento, ma esso
non era riuscito ad uccidere la natura. L’esperienza mi
ha insegnato e io devo dire che occorre molto più tempo
di quanto non si creda, perché l’errore e la stoltezza de-
gli uomini soffochino completamente in un cuore infan-
tile la nostra natura. Dio stesso ha posto contro tale fol-
lia di distruzione un’incoercibile forza nel nostro petto.
Questa forza attinge vigore dalla vita e dalla verità della
natura che ci aleggia intorno e dalla bontà del Creatore,
il quale non vuole che ciò che nell’intimo nostro è santo
vada perduto a cagione della nostra debolezza e della no-
stra ingenuità, ma piuttosto che tutti i figli degli uomini
arrivino con sicurezza alla conoscenza della verità e del-
la giustizia; in modo che se essi perdono la dignità della
loro natura interiore, ciò sia per la loro propria opera, e
che se essi si smarriscono nel labirinto dell’errore e nel-
l’abisso del vizio, ciò sia per la loro propria colpa e con
piena coscienza. Ma gli uomini non sanno ciò che Dio fa
per loro e non dànno alcuna importanza all’incalcolabile
influenza che ha la natura sulla nostra educazione; fanno
invece gran conto di tutte le piccolezze che essi, cieca-
mente, aggiungono alla sua azione potente, come se sul
genere umano tutto potesse la loro arte e nulla la natu-
ra. Eppure solo la natura può produrre il nostro bene;

Storia d’Italia Einaudi 31


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

essa solo incorruttibile e inconcussa ci guida alla verità e


alla saggezza. Quanto più da vicino io seguii la sua trac-
cia cercando di accordare l’opera mia con la sua, quan-
to più io diressi la mia attività a seguir lei passo passo,
tanto più mi apparve che, se i passi con cui essa procede
sono giganteschi, il fanciullo ha pur sempre in sè la for-
za di seguirli. Io non trovai altro difetto se non nel mo-
do di usare delle energie che già sono in atto nel fanciul-
lo, ed io stesso mi accorgevo di errare in quanto preten-
devo di spingere un vagone che non era da sipingere, ma
solo da caricare, perché era capace di muoversi da sè. Ci
pensavo ben tre volte prima di ammettere che i miei fan-
ciulli fossero incapaci ad un dato lavoro; ci pensavo ben
dieci volte prima di dire: questo è loro impossibile. Es-
si riuscivano a ciò che, per la loro età, mi sembra va im-
possibile. Io feci sillabare a fanciulli di tre anni le com-
binazion più complicate solo per la loro assurda difficol-
tà. Tu stesso, amico, udisti fanciulli di meno di quattro
anni sillabare a memoria le frasi più lunghe e più diffici-
li. Lo avresti tu creduto possibile se non lo avessi vedu-
to? Così io spiegai loro interi fogli geografici, scritti con
forti abbreviazioni, e insegnai loro a leggere in un’età in
cui sanno solo sillabare lo scritto e pronunciare i vocabo-
li meno comuni, accennati con un paio di sillabe. Tu hai
potuto rilevare l’assoluta esattezza con cui essi leggevano
quei fogli e la facilità con cui apprendevano a memoria i
nomi.
Io cercai ancora di chiarire a poco a poco ai fanciul-
li più adulti alcune proposizioni delle scienze naturali,
complesse e per loro incomprensibili. Essi imparavano
tali proposizioni a memoria, ripetendole e leggendole e
nel medesimo modo apprendevano una serie di doman-
de e risposte ad esse relative. Sul principio fu – come av-
viene in ogni insegnamento catechetico – una ripetizio-
ne papagallesca di parole oscure, incomprese. Ma la net-
ta distinzione dei singoli concetti, il loro preciso ordina-

Storia d’Italia Einaudi 32


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

mento secondo queste distinzioni, la propria coscienza


radicata nella memoria di queste parole oscure, ma nella
loro oscurità stessa balenati di luci e di significati, risve-
gliò in loro il senso della verità e idea degli oggetti ch’e-
ran loro posti dinanzi, un’idea che come un raggio di sole
fendeva a poco a poco più potente la fitta nebbia.
Nel corso di questi esperimenti vennero a poco a
poco sviluppandosi e determinandosi in me con sempre
maggior precisione i principi del mio metodo ed insieme
mi divenne di giorno in giorno più chiaro che nei primi
anni non si deve ragionare con i fanciulli, ma limitarsi
ad approfittare dei mezzi di sviluppo spirituale che son a
loro disposizione. E più precisamente:
1º Estendere gradatamente la cerchia della loro intui-
zione;
2º Imprimere nella loro mente a caratteri netti, sicuri,
distinti, le intuizioni sorte nella loro coscienza;
3° Dar loro una conoscenza della lingua tale da ab-
bracciare tutte le nozioni che la natura e l’arte hanno lo-
ro fornito e forniranno in seguito.
Mentre, come dicevo, questi tre principi si venivano in
me sempre più precisando, si sviluppavano in me anche
queste convinzioni:
1° della necessità dei libri d’istruzione per l’infanzia;
2° della necessità di una sicura ed esatta spiegazione
di questi libri;
3° della necessità di esercitare i fanciulli, servendosi di
tali libri e della loro spiegazione, a conoscere i nomi e le
parole che devono loro diventare famigliari ancor prima
che sia giunto per loro il momento di sillabare.
Il vantaggio di possedere per tempo una nomenclatura
estesa è incalcolabile per i fanciulli. L’impressione viva
del nome rende loro indimenticabile l’oggetto, quando
l’abbiano una volta conosciuto, ed un ordine dei nomi
fatto secondo verità e con esattezza sviluppa e conserva
in loro la coscienza dei rapporti concreti delle cose.

Storia d’Italia Einaudi 33


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

L’utile che ne deriva è progressivo. E non si deve credere


che lo studio di qualcosa che il fanciullo non comprende
per intere debba essergli inutile. È certo che se egli
studiando l’A B C, riesce ad impadronirsi delle voci
di una gran parte della nomenclatura scientifica, godrà
perciò almeno del vantaggio di quei fanciulli che sin
dalla nascita vivono il giorno intero in un’officina, e che
quindi, senza uscir dalla loro casa, si familiarizzano col
nome di infiniti oggetti.
Il filantropo Fischer, che aveva fini simili ai miei, os-
servò sin dal principio il metodo del mio insegnamento,
egli rese giustizia, benché esso differisse profondamen-
te dal suo metodo e dalle sue vedute. La lettera che egli
scrisse in riguardo ai miei esperimenti è veramente de-
gna di nota, se si pensi come allora si presentava tale mia
impresa.
Per apprezzare l’impresa pedagogica del Pestalozzi,
importa sopratutto riconoscere la base psicologica su cui
riposa il suo edificio. Quella è certamente solida ben-
ché questo presenti all’esterno ancor molte ineguaglian-
ze e sproporzioni. Molti di questi difetti si spiegano col
modo empirico-psicologico con cui ha proceduto l’auto-
re, partendo dalla esperienza, dalle proprie condizioni di
vita, dalle proprie vicende, dai propri tentativi ed espe-
rienze. È presso che incredibile come egli sia instanca-
bile nel fare esperimenti, e poichè, egli, ad eccezione di
alcune idee fondamentali, costruisce le dottrine non pri-
ma, ma dopo gli esperimenti stessi, è naturale che que-
sti si moltiplichino all’infinito, ma anche che i resultati
guadagnino sempre in sicurezza. Solo che per introdur-
re questi ultimi nella vita comune, cioè per adattarli ai
preconcetti, alle relazioni, alle esigenze degli uomini, egli
ha bisogno o di collaboratori larghi di idee ed in perfetto
accordo con lui, i quali lo aiutino a dare forma precisa ai
suoi concetti, o di un assai lungo lasso di tempo per sco-
prire egli stesso queste forme di determinazione concreta

Storia d’Italia Einaudi 34


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

e dar con esse corpo allo spirito che lo anima. I principi


sui cui il suo metodo riposa sono, in circa i seguenti:
(Le cinque proposizioni seguenti che Fischer chiama
principi del mio metodo, non sono che le direttive dei
miei esperimenti. In quanto principi esse si fondano
sulla base sperimentale d’onde sono sorte per me. Qui
per vero non è fatta menzione del fine che ha diretto
le mie ricerche. Io voglio cioè rimediare ai vizi del
comune insegnamento scolastico, sopratutto nelle scuole
inferiori, e cercar forme didattiche che ne siano immuni).
«1° Egli vuole elevare le forze dello spirito intensiva-
mente e non solo arricchirle estensivamente con nuove
percezioni. Egli spera di raggiungere questo fine con va-
ri mezzi. Col pronunciare con frequenza e ad alta vo-
ce ai fanciulli parole, spiegazioni, proposizioni e periodi
più lunghi, e col farglieli ripetere egli intende (oltre allo
scopo particolare che Pestalozzi si propone in ciascuna
di tali lezioni) di formare l’organo vocale, di esercitare la
loro attenzione e la loro memoria. Per la stessa ragione
egli permette che durante la ripetizione disegnino libera-
mente sulla lavagna o scrivano le lettere dell’alfabeto».
(Io facevo allora disegnare particolarmente linee, an-
goli e cerchi, ed imparare a memoria le loro definizio-
ni. Quanto alle regole per insegnare a scrivere che io an-
davo cercando, partivo dal principio, ricavato dall’espe-
rienza, che i fanciulli sono capaci di atterrare i rapporti
di misura e di usare del gessetto, parecchi anni prima di
sapersi servire della penna e di poter tracciare i caratteri
alfabetici).
«Alla fine egli dà ai suoi scolari, delle tavolette traspa-
renti di corno sulle quali sono disegnate linee e lettere,
di cui gli alunni si servono facilmente come modelli, so-
vrapponendoli alle figure da loro disegnate, stabilendo
confronti tra le une e le altre dato che le tavolette sono
trasparenti. Il fatto che i fanciulli hanno sempre contem-
poraneamente due occupazioni, serve di preparazione ai

Storia d’Italia Einaudi 35


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

mille casi e lavori della vita, in cui l’attenzione deve sa-


persi dividere senza disperdersi. Le scuole del lavoro so-
no essenzialmente fondate su questa attitudine».
(Sopra di ciò io avevo ottenuto risultati decisivi ne-
gli esperimenti fatti trent’anni prima. Già fin d’allora io
avevo ottenuto da alcuni fanciulli, che durante il lavoro
di filatura, facessero calcoli mentali così complessi che io
stesso non potevo seguirli, senza fare i conti sulla carta.
Tutto dipende dalla forma psicologica dell’insegnamen-
to. Bisogna che il fanciullo sia completamente padrone
del lavoro manuale che lo occupa durante la lezione, e
ciò che egli impara lavorando, deve essere in ogni caso
solo una leggera aggiunta a ciò che egli già sa).
«Collega tutti i suoi insegnamenti allo studio della
lingua».
(Veramente si dovrebbe dire: Egli considera che do-
po l’intuizione diretta della natura, la lingua sia il primo
mezzo di conoscenza per l’uomo. Io partii qui dal prin-
cipio che il fanciullo deve imparare a parlare prima che
ali si possa ragionevolmente insegnare a leggere. Ma io
diedi inoltre all’arte di insegnare a parlare ai fanciulli, il
fondamento nelle nozioni intuitive che dà loro la natura
e in quelle che poi fornisce loro l’istruzione).
«Il linguaggio è infatti il depositario dei risultati di
tutto il progresso umano; noi dobbiamo solo portarli alla
luce secondo le leggi psicologiche».
(Il filo per tale processo psicologico deve esser cerca-
to nella natura dell’evoluzione del linguaggio. Il selvag-
gio in primo luogo nomina il suo oggetto poi lo disegna
qualificandolo, finalmente lo pone in rapporto con gli al-
tri, ma nel modo più semplice, così che solo più tardi ne
riesce a determinare con precisione le relazioni e le varia-
zioni temporali per mezzo delle desinenze e di combina-
zioni di parole. È in questo senso che io cerco di compie-
re il voto di Fischer nella ricerca dello svolgimento psico-

Storia d’Italia Einaudi 36


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

logico del linguaggio. Nel capitolo dedicato più innanzi


alla lingua ne tratterò particolarmente).
«Egli non vuol ragionare con i fanciulli se non dopo
ch’egli ha dato loro una buona provvista di parole e di
modi di dire ch’essi devono imparare ad usare appro-
priatamente, a comporre e a scomporre. Perciò egli ar-
ricchisce la memoria del fanciullo con spiegazioni sem-
plici degli oggetti sensibili, ed insegna al fanciullo a de-
scrivere ciò che lo circonda, cioè a dar conto delle sue
nuove percezioni e a dominarle, in quanto quelle che egli
già possiede divengono chiare per la sua coscienza».
(La mia opinione in proposito è questa: Perché i fan-
ciulli apprendano a ragionare e s’avviino a pensare da sè,
bisogna, per quanto è possibile, impedire ch’essi parlino
a sproposito e diano il loro parere su ciò che non cono-
scono se non superficialmente. Io credo che l’età dello
studio non è ancora per il fanciullo l’età del giudizio indi-
pendente: questo sorge solo quando lo studio è comple-
tato, quando la mente è abbastanza matura per pondera-
re i motivi del giudizio. Io credo che ogni giudizio deb-
ba avere per l’individuo che l’esprime una assoluta inter-
na verità e che perciò debba uscire così completo e ma-
turo dalla conoscenza dei moti vi determinanti, come il
nocciolo arrivato a maturanza si stacca naturalmente da
ciò che lo avvolge).
«Si esercita in lavori manuali e nell’esatta cadenza del
dire, mentre imprende con essi facili esercizi di flessio-
ne».
(Questi esercizi si limitavano alla descrizione di ogget-
ti sensibili già conosciuti).
«Si esercita così e s’accresce la loro attività mentale, e
quando per mezzo di numerosi esempi hanno imparato
a conoscere e a servirsi di certe forme descrittive, essi ne
usano in seguito per mille nuovi oggetti e dànno alle lo-
ro spiegazioni e descrizioni la vivezza di una determina-
zione sensibile».

Storia d’Italia Einaudi 37


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

(Ora io cerco nel numero nella misura e nella lingua i


primi ed universali principi che consentano di raggiun-
gere questo scopo).
«3° Egli cerca per tutte le operazioni dello spirito di
opporre ai fanciulli o dati o rubriche o idee generali che
servano loro di guida».
(O meglio: Egli cerca nel vasto dominio dell’arte e del-
la natura i punti fondamentali, le forme d’intuizione, i
fatti che per la loro determinatezza ed universalità pos-
sono utilmente servire a facilitare la conoscenza e il giu-
dizio di altri oggetti che ne dipendono o ad essi si connet-
tono. Per ciò egli offre ai fanciulli dei dati che attraggo-
no l’attenzione su oggetti simili ad essi; egli ordina delle
serie di concetti analogici, le cui determinazioni servono
a distinguere le serie degli oggetti ed a chiarire la natura
delle loro distinzioni).
«I dati, per quanto vengano esposti senz’ordine al fan-
ciullo, sono collegati tra loro. Essi sono nozioni di cui
l’una richiama l’altra e perciò si offrono allo spirito come
a soddisfare l’esigenza di dar compiutezza e sistematici-
tà ad ogni conoscenza. Le rubriche avviano alla classi-
ficazione delle nozioni che si acquistano successivamen-
te; esse portano l’ordine nella loro massa caotica, e que-
sto schema invita appunto il fanciullo a riempirlo di con-
tenuto concreto. Questo vale per le rubriche generali di
geografia e di storia naturale, di tecnologia, ecc. Ad aiu-
tare la memoria serve anche l’analogia che presiede alla
scelta dei singoli oggetti. Le idee direttive o fondamenta-
li corrispondono a quei problemi che costruiscono o pos-
sono costruire l’oggetto di intere scienze. Se questi pro-
blemi sono sciolti nei loro elementi costitutivi, resi com-
prensibili al fanciullo, ricondotti a dati ch’egli già possie-
de e può facilmente trovare, e se son fatti valere nell’eser-
cizio dell’osservazione, la mente infantile è spinta a lavo-
rare indefessamente alla loro soluzione. La semplice do-
manda: Nei tre regni della natura quali sono le cose che

Storia d’Italia Einaudi 38


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

l’uomo può usare per vestimento? dà un esempio della


via da seguirsi. Il fanciullo prenderà ad osservare e spe-
rimentare da questo punto di vista molte cose, di cui egli
pensa possano offrire elementi per la soluzione di quel
problema tecnologico. In tal modo egli si costruisce da
sè la scienza che deve imparare. Certamente devono per-
ciò essergliene forniti i materiali. Tra le idee direttive de-
vono porsi anche le sentenze, che, come massime prati-
che, vengono dapprima affidate alla memoria, ma a po-
co a poco acquistano forza, trovano applicazioni, si ar-
ricchiscono di significato, e perciò stesso più profonda-
mente si imprimono e meglio si conservano».
«4º Egli vuole semplificare il meccanismo dell’inse-
gnare e dell’apprendere1 ».
«Le nozioni ch’egli raccoglie nei suoi libri d’insegna-
mento e che per loro mezzo vuole impartire ai fanciulli,
devono essere così semplici che ogni madre, ed in seguito
ogni maestro, possa con un minimo di attitudine all’inse-
gnamento, comprenderle, enunciarle, spiegarle ed ordi-
narle. Sopratutto egli vuol render grata e facile alle madri
la prima istruzione dei loro figlioli, facilitando l’insegna-
mento della lingua e della lettura; vuole come egli stes-
so dice, a poco a poco, far sorgere l’esigenza della scuo-
la elementare e completarla per mezzo di una migliorata
educazione casalinga. Egli vuole, appunto per ciò, speri-
mentare il suo metodo con le madri appena che i suoi li-
bri saranno stampati, ed è sperabile che il governo vorrà
sostenerlo con qualche piccolo aiuto finanziario».
(Io conosco le difficoltà che incontrerò su questo pun-
to. Tutti vogliono dire che le madri non si lasceranno

1
È indubitabile che lo spirito umano non assimila le impres-
sioni che gli offre l’insegnamento qualunque sia la forma con
cui gli vengono offerte. L’arte di scoprire quelle forme che più
eccitano la sua capacità di assimilazione, è il meccanismo didat-
tico che ogni maestro può scoprire nella libera natura e appren-
dere in aiuto della sua arte.

Storia d’Italia Einaudi 39


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

persuadere ad aggiungere una nuova fatica alloro frega-


re, lavare, cucire, far di calza, ai mille lavori insomma
della loro vita. Io posso bensì rispondere: non si tratta di
un lavoro; è un gioco, che non toglierà loro alcun tempo,
ma servirà piuttosto a riempire molti istanti vuoti e gra-
vi di noia della loro vita; ma non mi si sa intendere, e mi
si risponde sempre: Non lo vorranno fare. Eppure il pa-
dre Bonifazio che nell’anno 1519 diceva al buon Zwingli:
Non può andare; le madri non leggeranno mai la Bibbia
coi loro figlioli, nè sarà possibile ch’esse preghino ogni
giorno, la mattina e la sera con loro; dovette constatare
nell’anno 1522 che esse pur lo facevano dicendo: «Non
l’avrei mai creduto!«. Io sono sicuro del mio metodo ed
io so che prima del 1803 qua o là un nuovo Padre Boni-
fazio dovrà a questo proposito fare il medesimo ricono-
scimento che l’antico. Posso esser certo che ciò avverrà).
«A questo principio si connette il quinto: Egli vuole
render popolare la scienza».
(Cioè egli vuole che tutti possano aspirare a raggiun-
gere quel grado di chiarezza e forza intellettuale che è ne-
cessario ad un uomo per condurre una vita indipendente
e saggia. Non aspiro a propagare il sapere scientifico per
sè stesso e farne uno strumento d’inganno per il misero
che ha bisogno di pane, ma voglio piuttosto che il po-
vero bisognoso di pane, per mezzo dei primi fondamen-
ti della verità e della saggezza sia liberato dal pericolo di
essere strumento infelice tanto della propria ignoranza,
quanto dell’astuzia altrui).
«Questo potrà essere raggiunto con l’uso dei libri
di istruzione che contengono in ischema gli argomenti
principali delle varie scienze espresse in parole ed in
proposizioni accuratamente scelte, e che son destinate ad
offrire i massi, di cui più tardi potrà facilmente costruirsi
l’edificio del sapere».
(Io avrei preferito esprimermi così: Questo dovrà es-
sere raggiunto sopratutto per mezzo della semplificazio-

Storia d’Italia Einaudi 40


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

ne dei primi fondamenti dell’insegnamento e del gradua-


le passaggio a tutte quelle nozioni che possono accre-
scere il sapere individuale di ogni singolo uomo. I li-
bri d’istruzione non devono essere che un modo didat-
tico di accordare, in ogni campo, l’insegnamento al pro-
cesso che la natura segue per sviluppare il sapere dell’uo-
mo qualunque sia la sua condizione e le circostanze del-
la sua vita. Essi non devono essere null’altro se non un
mezzo didattico a fine di preparare le forze di cui l’uo-
mo ha bisogno per approfittare con sicurezza di ciò che
la natura fa in ogni campo per il suo sviluppo).
«Inoltre alla diffusione è necessario che i libri siano
suddivisi e venduti a buon mercato. Brevi, ma completi,
essi devono collegarsi l’uno all’altro e costituire un tut-
to, pur rimanendo sempre distinti, in modo da poter es-
sere diffusi separata mente. Allo stesso scopo egli pre-
parerà, con incisioni in legno, così che possano vendersi
al massimo buon mercato, carte geografiche, figure geo-
metriche, ecc. Egli destina il ricavo di queste pubblica-
zioni, detratte le spese, al compimento della sua intra-
presa, cioè all’applicazione pratica del suo metodo in un
istituto, scuola o asilo per gli orfani».
(Questo è troppo. Io non posso offrire al pubblico
tutto il ricavo di scritti che sono il risultato di tutta
la mia vita e dei sacrifici economici fatti per questo
fine, detraendo semplicemente le spese di stampa. Pure,
nonostante tutti i sacrifici che ho dovuto sino ad oggi
sostenere per il fine dell’educazione, io voglio ancora,
se il governo o qualche privato mi renderanno possibile
l’erezione di un ospizio per gli orfani secondo i miei
principi, continuare sino alla mia morte a sacrificare
per questo scopo non solo il mio tempo e le mie forze,
ma anche la maggior parte del ricavo dei miei scritti
scolastici).
«Particolarmente nell’insegnamento scolastico si deve
ottenere che il maestro, fornito di un minimo di attitu-

Storia d’Italia Einaudi 41


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

dine, non solo non eserciti un’azione cattiva, ma possa


continuamente migliorare l’opera sua».
(Questo è l’essenziale. Io credo che non si possa pre-
tendere di ottenere in generale un progresso nell’istru-
zione del popolo, sino a che non si siano trovate forme
d’insegnamento che, almeno per tutto il periodo, dell’i-
struzione elementare, rendano il maestro un puro stru-
mento meccanico di un metodo i cui risultati devono
provenire dalla natura delle sue forme e non dall’arte del-
l’uomo che ne usa. Io sostengo che un libro scolastico è
un buon libro solo quando esso può essere usato tanto da
un maestro incolto quanto da uno colto. Esso deve es-
senzialmente esser fatto in modo che l’uomo incolto ed
anche la madre trovino una guida per poter esser sempre
un passo più avanti del fanciullo sulla via per cui devono,
con la loro arte, progressivamente condurlo. Di più non
v’è bisogno, e, almeno, per molti secoli altro non potrete
dare alla massa dei maestri. Invece si fabbricano castelli
in aria, ci si esalta con le idee della ragione e della liber-
tà, che esistono solo nei libri e sono assenti dalle scuo-
le reali più ancora che dalle sartorie e dalle officine dei
tessitori. Eppure nessuna professione si appaga tanto di
vuote parole quanto quella del maestro, e se si conside-
ra da quanto tempo essa se ne appaga, appare chiaro la
connessione di questo errore e delle sue cause).
«In fine: nel modo sopra accennato si devono ottenere
i seguenti risultati: di impartire a più fanciulli in una
sola volta un’eguale istruzione, di eccitare l’emulazione,
di facilitare lo scambio delle cognizioni acquistate tra gli
scolari e di evitare od accorciare le vie tortuose seguite
sino ad oggi per arricchire la loro memoria, usando altri
mezzi, come l’analogia nell’indicazione dei dati, l’ordine
nella loro disposizione, l’eccitamento dell’attenzione, la
recitazione a voce alta e simili esercizi».
Sino a qui Fischer. Tutta la sua lettera rivela l’uomo
nobile che rende onore alla verità anche quando essa gli

Storia d’Italia Einaudi 42


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

appare in umile veste o circondata dall’oscurità. In Stans


egli era stato colpito dalla vista dei miei fanciulli e per
l’impressione allora ricevuta, aveva rivolto seriamente la
sua attenzione ad ogni mia impresa.
Ma egli morì prima che il mio tentativo raggiungesse
quel grado di perfezione che gli avrebbe permesso di
scoprirvi più di quanto non vi abbia realmente scoperto.
Con la sua morte cominciò per me un’epoca nuova.

Storia d’Italia Einaudi 43


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

II

Io mi affaticai a Burgdorf come a Stans. Amico, se tu


non puoi sollevare senza aiuto una pietra, non tentare,
neppure per poco, di farlo. Io facevo assai più di ciò che
dovevo, e perciò la gente credeva ch’io dovessi fare assai
di più di ciò che facevo in realtà. Il mio petto era così
affaticato dal far scuola dalla mattina alla sera, che io ero
di nuovo in serio pericolo.
Ero in tale situazione, quando la morte di Fischer po-
se al mio fianco il maestro Krüsi, per mezzo del quale
io conobbi Tobler e Buss, che poche settimane più tar-
di s’unirono a me. La loro cooperazione mi salvò la vi-
ta e preservò la mia impresa da una fine precoce, prima
ancora che avesse gustato la vita. Ma il pericolo che le
sovrastava era pur sempre così grande che nei momenti
decisivi non mi restava altro se non osare il tutto per tut-
to, non solo dal punto di vista economico, ma anche da
quello morale. Ero ridotto al punto che l’attuazione del
sogno di tutta la mia vita diventava per me stesso l’ope-
ra della disperazione, e mi spingeva in uno stato d’ani-
mo e a tali azioni, che considerate in sè stesse e sotto l’a-
spetto finanziario portavano quasi l’impronta della paz-
zia. La gravità della mia situazione, d ’altra parte, in per-
sistenza della mia sfortuna e della mia ingiusta sofferen-
za, che colpiva al centro ogni mia attività, mi fecero ca-
dere in un profondo accasciamento, proprio nell’istante
in cui io cominciai ad avvicinarmi effettivamente ai miei
scopi.
L’aiuto che le persone sopra ricordate mi prestano nel-
l’insieme dell’opera mia, mi solleva sia economicamente
che moralmente. L’impressione che tanto la mia situa-
zione, quanto il mio procedere fece su di essi, e i risulta-
ti della loro collaborazione sono per riguardo al mio me-

Storia d’Italia Einaudi 44


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

todo troppo importanti e illuminano troppo bene i suoi


fondamenti psicologici perché io debba passare sotto si-
lenzio il modo come avvenne la nostra unione.
Krüsi, che conobbi pel primo, nella sua giovinezza
aveva esercitato diverse professioni ed aveva perciò mol-
teplici cognizioni e capacità pratiche che nelle classi in-
feriori servono spesso di fondamento a una coltura spi-
rituale più elevata, e quando siano acquistate dalla pri-
ma età elevano l’uomo ad attitudini più universali e più
estese.
Non aveva che dodici o tredici anni, quando suo pa-
dre, che possedeva un piccolo negozio, lo mandava spes-
so, per parecchie ore di cammino, con sei o otto dubloni
a comperar merci; egli assumeva, in tal caso, anche am-
basciate o commissioni. Si occupò poi oltre a ciò di tes-
situra e lavorava a giornata. A diciotto anni, senza alcu-
na preparazione, assunse a Gaia, suo paese natio, il posto
di maestro. Ora confessa che egli allora non conosceva
neppure di nome le elementari distinzioni grammaticali;
del rimanente non occorre parlare giacché egli aveva ri-
cevuto sino allora solamente l’istruzione ordinaria che si
impartisce nelle scuole dei villaggi svizzeri, e che consiste
semplicemente nel leggere, nel copiare i modelli di calli-
grafia, nell’imparare a memoria il catechismo. Ma egli
amava la compagnia dei fanciulli e sperava che questo
posto potesse esser per lui un’occasione per procurarsi
un’istruzione ed una coltura, della cui mancanza già nel-
la sua prima professione aveva sentito il peso. Spesso in-
fatti lo avevano incaricato di comperare prodotti distilla-
ti, variamente preparati, o sale ammoniaco, o borace, o
cento altre cose il cui nome egli non aveva mai neppu-
re udito. E poiché non doveva dimenticare alcuna com-
missione per quanto insignificante, e doveva render con-
to fino dell’ultimo centesimo, era naturale ch’egli doves-
se pensare quanto utile sarebbe stato per ogni fanciul-
lo essere istruito fin dalla scuola nello scrivere, nel far di

Storia d’Italia Einaudi 45


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

conti, nel leggere, in ogni esercitazione mentale, perfino


nel parlare, almeno tanto quanto egli sentiva che sarebbe
stato necessario per il suo misero mestiere.
Fin dalle prime settimane ebbe cento scolari. Ma il
compito di occupare convenientemente tutti questi fan-
ciulli, di determinare il contenuto e l’ordine dell’insegna-
mento era superiore alle sue forze. Egli non conosceva
altro mezzo di tenere una classe se non quello tradizio-
nale di far sillabare, leggere e apprendere mnemonica-
mente, recitare per turno, e sferzare quelli che non ave-
vano imparata la lezione. Sapeva però, dalla sua espe-
rienza infantile, che con questo metodo di far scuola la
maggioranza dei fanciulli rimane inerte per quasi tutto il
tempo, ed è perciò esposta al pericolo di lasciarsi andare
ad atti sciocchi o disonesti, e comprendeva che in que-
sto modo il tempo prezioso destinato alla loro istruzio-
ne era inutilmente sciupato e che i vantaggi dello studio
non compensavano gli inconvenienti che derivavano da
un tal metodo di scuola.
Il pastore Schiess, che lottava vivacemente contro l’an-
tica tradizione scolastica, lo aiutò per otto settimane a
reggere la sua scuola. Dapprima essi divisero gli scola-
ri in tre classi. Questa divisione e l’uso di nuovi libri di
lettura, che da tempo erano stati introdotti nella scuola,
consentivano di esercitare nel sillabare e nel leggere più
fanciulli ad un medesimo tempo e di occuparli tutti, assai
più che non per il passato.
Egli portò anche a Krüsi i libri scolastici necessari per
la sua istruzione e un libro modello di calligrafia che egli
copiò ben cento volte per migliorare, imitandolo, la sua
calligrafia, così che in breve fu in grado di soddisfare le
principali esigenze dei genitori. Ma egli non aspirava
solo a insegnare ai suoi fanciulli a leggere e a scrivere,
ma anche a formare il loro intelletto.
Il nuovo libro di lettura conteneva nozioni di religio-
ne sotto forma di racconti e di versetti biblici, elemen-

Storia d’Italia Einaudi 46


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

ti di scienza e storia naturale, geografia fisica e politica.


Krüsi aveva notato che durante la lettura del libro il pa-
store rivolgeva ai fanciulli domande relative ad ogni bra-
no che veniva letto, per vedere se essi avessero compre-
so. Egli ne imitò l’esempio e riuscì a rendere pienamen-
te famigliare alla maggior parte degli allievi il contenu-
to del libro. Questo risultato era tuttavia solo dovuto a
ciò che egli, come il bravo Hübner, adattava le sue do-
mande alle risposte già contenute nel libro, e non aspet-
tava e pretendeva altre risposte, se non, parola per paro-
la, quelle formulate nel testo, e già formate indipenden-
temente dalla domanda che le avrebbe dovuto provoca-
re. In altre parole, egli riusciva solo in quanto aveva to-
talmente escluso da quell’insegnamento catechetico ogni
esercitazione intellettuale. Si deve però anche notare che
in origine l’insegnamento catechetico non implicava al-
cun vero e proprio esercizio dello spirito, ma era una pu-
ra analisi delle parole costituenti proposizioni oscure e
complesse e valeva semplicemente come un lavoro pre-
paratorio per rischiarare i concetti, in quanto esso pone-
va dinanzi alla mente del fanciullo, in netta forma intui-
tiva e chiaramente parole e proposizioni. Solo nei nostri
tempi si è confuso con questo procedere catechetico –
che originariamente si riferiva solo a oggetti religiosi – il
procedere socratico.
Il pastore citava ad esempio ai suoi alunni più vecchi
gli scolari istruiti da Krüsi. Ma in seguito Krüsi si vol-
se ad un metodo in cui si fondevano il procedere cate-
chetico e il procedere socratico. Pure questa fusione tan-
to impossibile quanto la quadratura del circolo che uno
spaccalegna cercasse di attuare con l’accetta nella mano
su una tavola di legno: non si può fare. L’uomo incolto
e superficiale non può raggiungere le profondità da cui
Socrate attingeva energia spirituale e verità. È perciò na-
turale che oggi la cosa non riesca. Mancavano a Krüsi i
fondamenti per porre il problema e ai fanciulli la materia

Storia d’Italia Einaudi 47


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

concreta per rispondere. Ed inoltre essi non avevano pa-


role ad esprimere ciò che non sapevano ed eran privi di
libri d’onde attingere una risposta precisa alle domande
che essi comprendevano più o meno.
Pure Krüsi non comprendeva ancora facilmente la dif-
ferenza tra questi due sistemi cosi diversi. Egli anco-
ra non comprendeva che il sistema catechetico, specie
quando si tratti di concetti astratti, toltane l’utilità che
ci può essere nel distinguere nettamente le parole e nel-
l’acquistare facilità ai procedimenti d’analisi, non è per
se stesso, nulla più di un pappagallesco ripetere di voca-
boli incompresi, e che il sistema socratico è inattuabile
per i fanciulli a cui mancano cognizioni preliminari suf-
ficenti, e il mezzo di esprimerle, cioè l’arte della parola.
Egli accusava se stesso ingiustamente per i suoi insucces-
si; credeva che la mancanza fosse in lui, e che ogni buon
maestro dovesse poter ottenere dai suoi alunni risposte
esatte e precise a domande relative a qualsiasi concetto
religioso o morale.
Egli viveva in un tempo in cui era di moda il sistema
catechetico o piuttosto in cui quest’arte sublime dell’i-
struzione era in generale falsata e avvilita da forme ca-
techetiche degne di frati, introdottesi nella scuola. Si
credeva allora di poter in tal modo compiere il miracolo
di risvegliare l’intelligenza e di ricavarla quasi dal nulla.
Ora, io penso, ci si sta; destando da tale sogno.
Krüsi dormiva ancora in tal sogno, e io penso ch’egli
doveva ben dolcemente esserne cullato, altrimenti ben
mi meraviglierei che un cittadino di Appenzell non abbia
facilmente egli stesso avvertito che anche l’avvoltoio o
l’aquila non potrebbero rapire agli uccelli neppur un
uovo dal nido, se questi non ve lo avessero deposto.
Pure egli voleva a tutta forza impadronirsi di un ’arte
che stimava cosi essenziale alla professione. E offertaglisi
l’occasione, per la partenza di emigranti da Appenzell,
di recarsi da Fischer, sentì ridestarsi più vive le sue

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Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

speranze. E invero Fischer fece di tutto per renderlo,


secondo il suo concetto, un maestro istruito. Solamente,
a mio giudizio, egli ha voluto troppo presto lanciarlo a
volo nell’arte didattica, dal punto di vista formale, prima
che fosse compiuto il lavoro di chiarirgli le nozioni che
dovevano essere la base del suo insegnamento stesso.
Krüsi onora la sua memoria e parla del suo benefatto-
re ed amico con venerazione e gratitudine. Ma l’amore
per la verità, che congiunge anche il mio cuore a quello
di Fischer, esige che io non lasci nell’oscurità alcun giu-
dizio e alcuna circostanza che possa aver influito a svi-
luppare in me e nei miei collaboratori i sentimenti e le
idee su cui oggi ci troviamo d’accordo. Perciò io non de-
vo tacere che Krüsi ammirava la facilità con cui Fischer
aveva pronte numerose domande su qualsiasi oggetto, e
che sperava col tempo e col lavoro di giungere a porre
domande ancor con maggiore facilità ed in maggior nu-
mero, su qualsiasi argomento. Pure di più in più egli non
poteva nascondersi che se l’opera di un istituto magistra-
le avesse dovuto consistere solo nell’ammaestrare i mae-
stri delle scuole di villaggio a tale arte dell’interrogare,
sarebbe stata ben poca. Più lavorava con Fischer e mag-
giori gli sembravano gli ostacoli che gli si paravano di-
nanzi; nel tempo stesso sentiva mancarsi le forze neces-
sarie per superarli. Fino dai primi tempi ch’egli si tro-
vava qui con Fischer sentì i miei discorsi relativi all’edu-
cazione e all’istruzione popolare in cui io mi esprimevo
contrariamente al procedere socratico in voga allora tra
i maestri, per la ragione che io non vedevo alcuna utilità
nel provocare, con falsa apparenza di spontaneità, il giu-
dizio dei fanciulli su un determinato oggetto, prima che
le loro idee potessero esser mature, ma ritenevo necessa-
rio di trattenerlo il più possibile, sino a che ogni oggetto,
su cui si dovessero esprimere, fosse abbracciato da ogni
lato e sotto i suoi vari aspetti, e sino a che la conoscenza
delle parole con cui i fanciulli dovevano esprimere l’es-

Storia d’Italia Einaudi 49


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

senza e la proprietà di quell’oggetto stesso, fosse comple-


ta. Così Krüsi comprese che a lui mancava proprio que-
sto e che infine gli abbisognava la stessa istruzione che io
avevo pensato di dare ai miei fanciulli.
Mentre Fischer dal suo canto lo iniziava alle varie di-
scipline e lo preparava ad insegnarle, Krüsi sentiva ogni
giorno più che col solo aiuto dei libri non sarebbe arriva-
to a nulla, giacché egli mancava proprio di quelle nozioni
elementari sia oggettive che linguistiche, la cui maggiore
o minore conoscenza era presupposta da quei libri stes-
si. Ed egli fu ancora più confermato in questo così im-
portante giudizio sopra se stesso, dal fatto che egli vede-
va i risultati che io ottenevo col far partire gli allievi dagli
elementi più semplici del sapere ed indugiarmi paziente-
mente su di essi. Questa, esperienza gli trasformò il con-
cetto ch’egli si faceva dell’insegnamento, e i principi che
gli erano serviti di guida. Egli comprese che io, con tutta
l’opera mia miravo più a sviluppare intensivamente l’e-
nergia del fanciullo che a raggiungere risultati particola-
ri, e si convinse dell’efficacia di questo principio da me
usato in tutto il processo didattico, giacché esso permet-
te che siano posti i fondamenti di cognizioni e di ulte-
riori progressi, che in nessun altro modo si potrebbero
raggiungere.
Frattanto i progetti di Fischer sull’istituzione di un
istituto magistrale avevano incontrato degli ostacoli, ed
egli, richiamato al Ministero dell’Istruzione, differì a mi-
glior tempo la fondazione dell’istituto, accontentando-
si di dirigere, anche da lontano, le scuole di Burgdorf.
Queste dovevano essere riformate e ne avevano bisogno,
ma la lontananza di Fischer e l’assorbimento della sua
energia e del suo tempo in altri affari, non gli permise-
ro d’iniziare la riforma, e questo non sarebbe certo sta-
to possibile sino a che Fischer fosse stato assente e occu-
pato in altre cose. La situazione di Krüsi, durante l’as-
senza di Fischer, si fece ancora più tesa. Egli si senti-

Storia d’Italia Einaudi 50


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

va incapace di far ciò che Fischer aspettava da lui, ora


che questi era lontano e non poteva collaborare con lui.
Perciò subito dopo la partenza di Fischer egli espresse
a lui ed a me il desiderio di riunire la sua alla mia scuo-
la. Per quanto avessi bisogno di aiuto, che mi manca-
va completamente, rifiutai allora perché non volevo af-
fliggere Fischer che s’era fissato sul suo progetto di un
istituto magistrale e teneva moltissimo a Krüsi. Ma po-
co appreso quegli cadde malato e Krüsi nell’ultimo col-
loquio che ebbe con lui, gli espose le necessità di quella
unione. Un affettuoso cenno d’assentimento fu la rispo-
sta del moribondo. La sua memoria mi sarà sempre ca-
ra. Egli aveva per mira un fine identico al mio e lo per-
seguiva con ardore e generosità d’animo. Se egli fosse
sopravvissuto e avesse potuto vedere il compimento dei
miei esperimenti, noi ci saremmo certo associati.
Dopo la morte di Fischer proposi io stesso a Krüsi di
unir le due scuole e tanto l’uno che l’altro ci sentimmo
veramente più sollevati. D’altro lato però s’accrebbero
in egual misura anche le difficoltà dell’opera mia. Già i
fanciulli di Burgdorf erano tra loro diversi d’età, di istru-
zione e di costumi. L’arrivo dei fanciulli da altri piccoli
cantoni accrebbe le difficoltà per ciò che questi presen-
tavano non solo le stesse differenze, ma portavano nella
mia scuola una grande libertà e varietà di pensieri, di sen-
timenti e di linguaggio, che, unita alle insinuazioni con-
tro i miei metodi, faceva sentire più urgente il bisogno di
una organizzazione ben definita della mia didattica pra-
tica, che era per allora al semplice stato di tentativo. Io
avrei avuto bisogno di trovare un campo illimitato per i
miei esperimenti, giacché ad ogni istante mi si presenta-
vano indicazioni particolari sui procedimenti opportuni
per l’istruzione dei fanciulli. In un paese dove, per ge-
nerazioni intere, si era stati soliti, per ciò che riguarda
l’insegnamento, ad accontentarsi di assai poco, si esige-
va da me che un metodo che abbraccia tutti i rami del-

Storia d’Italia Einaudi 51


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

l’umano sapere e che fa assegnamento sull’azione eserci-


tata per tempo sui fanciulli ancor teneri, dovesse senz’al-
tro ed in ogni caso apportare grandi risultati per rispetto
a fanciulli, che s’erano induriti in una rozza libertà, priva
di ogni abitudine di riflessione sino a dodici o quattordi-
ci anni, ed erano perciò divenuti diffidenti contro qual-
siasi metodo di studio. Ciò naturalmente non avvenne, e
perciò si affermò che il mio metodo a nulla serviva. Lo
si scambiò con una semplice modificazione nell’insegna-
mento del leggere e dello scrivere. Il mio scopo di cer-
care i fondamenti sicuri di ogni ramo dell’attività pratica
e del sapere, lo sforzo di rafforzare in modo semplice e
generale per qualsiasi attività l’energia interiore del fan-
ciullo e la mia attesa tranquilla e apparentemente indif-
ferente dei risultati di disposizioni che avrebbero dovuto
lentamente svilupparsi da sè, sembrarono a tutti castelli
in aria. Non si comprese e non si vide nulla; anzi là dove
io venivo educando delle energie non si vide che il nulla.
Si diceva che i fanciulli non imparavano a leggere, e ciò
proprio perché io insegnavo loro a leggere bene; si dice-
va che qui non imparavano a scrivere, e ciò appunto per-
ché insegnavo loro a scrivere bene; e infine si diceva che
essi non imparavano ad essere pii, proprio perché cer-
cavo di allontanare tutto ciò che, nelle scuole, suole im-
pedire la vera pietà e sopratutto perché non stimavo che
il mandare papagallescamente a memoria il catechismo
di Heidelberg, fosse il sistema di istruzione col quale il
Salvatore del mondo voleva che si cercasse di elevare gli
animi degli uomini ad adorare e venerare Iddio in ispiri-
to e verità. È vero che io non ho temuto di dire: Dio non
è un Dio della stoltezza e dell’errore, Dio non è un Dio
che ami l’ipocrisia e le vane parole. Io ho detto senza ti-
more che l’avvezzare i fanciulli a concetti chiari e l’inse-
gnare loro a parlare prima di imporre alla loro memoria,
come esercizio dell’intelletto, i principi di una religione
positiva e i suoi non mai risolti problemi, non era agire

Storia d’Italia Einaudi 52


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

nè contro Dio, nè contro la religione. Ma io non pos-


so serbar rancore contro coloro che tanto erroneamen-
te mi giudicavano, giacché essi avevano buone intenzio-
ni ed io comprendo benissimo, che, data la ciarlataneria
del nostro sistema di educazione, il mio slancio disordi-
nato verso una nuova via, abbia potuto trarre in inganno
gli uomini, abbastanza numerosi, che preferiscono di ve-
dere un pesce nel loro stagno, che non un lago pieno di
carpe al di là dei monti.
Intanto io proseguivo nel mio cammino e Krüsi si
rafforzava sempre più al mio fianco.
I punti principali di vista di cui egli rapidamente si
convinse sono i seguenti:
1. Per mezzo di una nomenclatura ben ordinata, im-
pressa stabilmente nella memoria è possibile porre un
fondamento generale per ogni sapere, così che l’allievo
e il maestro, guidati da quella, sia nel comune lavoro,
sia nello studio separato possano lentamente, ma sicura-
mente elevarsi a concetti chiari in ogni disciplina.
2. Esercitando, come io allora cominciai a fare, i
fanciulli a tracciare linee, angoli e cerchi, si dà precisione
all’intuizione di ogni oggetto e si genera nel fanciullo una
energia fattiva che gioverà a render sempre più chiaro
tutto ciò che rientrerà nella cerchia delle sue esperienze.
3. La pratica che consiste nell’impartire i principi del
conteggio ai fanciulli per mezzo di oggetti reali o almeno
di punti che li rappresentino, stabilisce su solida base i
fondamenti dell’intera scienza matematica., e garantisce
il progresso del sapere da errori e confusioni.
4. Le definizioni, imparate a memoria dagli alunni di
parole come: andare, stare, giacere, sedere ecc., gli di-
mostrarono lo stretto rapporto tra il metodo di proce-
dere dai primi elementi e il fine che io in tal modo mi
proponevo, quello cioè di una graduale chiarificazione
di tutti i concetti. Egli comprese che facendo descrivere
ai fanciulli oggetti che sono a loro tanto chiari, che nul-

Storia d’Italia Einaudi 53


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

la l’esperienza può aggiungere alla loro chiarezza, si ot-


tiene, da un lato, di stornarli dalla pretensione di voler
descrivere ciò che essi non conoscono, dall’altro, di ren-
derli capaci di descrivere ciò che effettivamente conosco-
no, in qualunque campo, con unità, precisione, brevità e
compiutezza.
5. Alcune parole che io un giorno ebbi a dire sull’effi-
cacia del mio metodo contro i pregiudizi, fecero su di lui
viva impressione. Io dicevo cioè: la verità che sgorga dal-
l’intuizione rende superflui i vani discorsi e le circonlo-
cuzioni, che contro i pregiudizi e gli errori valgono tan-
to quanto vale il suono delle campane contro la minac-
cia dell’uragano. Una tale verità genera nell’uomo una
nuova forza che impedisce il sorgere nell’anima sua dei
pregiudizi e degli errori, e che, se mai questi giungano al
suo orecchio portati dall’eterno farneticare degli uomini,
li isola in tal modo da non potere esercitare quell’influs-
so che oggi esercitano sulla maggioranza, nella cui ima-
ginazione sono stati gettati verità ed errori, senza alcun
riferimento all’imaginazione, con semplici parole cabali-
stiche.
Questo discorso convinse Krüsi della possibilità di
combattere col silenzio, secondo il mio metodo, l’erro-
re e il pregiudizio, forse più di quello che ora non si fac-
cia con le chiacchiere infinite che ci si vuol permettere
intorno ad essi.
6. In fine le erborizzazioni fatte da noi nell’estate scor-
sa, e l’insegnamento impartito in tale occasione, lo con-
vinsero che il complesso delle conoscenze derivanti dai
sensi, dipende dall’attenzione rivolta alla natura e dalla
diligenza nel raccogliere e fissare ciò che essa ci insegna.
Tutte queste considerazioni unite al riconoscimento del-
l’armonia del mio metodo d’insegnamento in se stesso e
con la natura, lo persuasero che il principio di ogni istru-
zione sta proprio nell’unità di questo metodo, in modo
che un maestro non ha bisogno che di apprendere ad

Storia d’Italia Einaudi 54


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

usarlo, per poter acquistare e comunicare ai fanciulli, se-


guendo la sua guida, tutte le conoscenze che esige una
completa istruzione. Perciò si deve dare importanza non
all’erudizione, ma al sano uso dell’intelletto ed all’eserci-
tazione metodica sia per porre nella mente dei fanciulli
basi solide per qualsiasi sapere, sia per dare, col semplice
esercizio di tali mezzi intellettuali, ai genitori ed ai mae-
stri un’intima certezza ed indipendenza nell’opera edu-
cativa.
Krüsi era stato, come già dissi, per sei anni maestro di
scuola in un villaggio, avendo a che fare con un numero
rilevante di alunni di ogni età; ma, nonostante la sua
sollecitudine, non era riuscito a dare alle loro energie lo
sviluppo, la solidità, la sicurezza, l’estensione e la libertà,
cui arrivavano i fanciulli di Burgdorf.
Egli ne ricercò le cause e ne potè scoprire parecchie.
Vide anzi tutto che n principio di cominciare dal più
semplice, di perfezionarlo, prima di procedere oltre, e
quindi di progredire lentamente con un graduale aggiun-
gere di cognizioni a quelle già perfettamente imparate, se
non genera nei fanciulli il sentimento di sè e la coscien-
za delle proprie forze, tiene viva almeno, nei primi tempi
dello studio, questa coscienza delle proprie indistruttibili
energie naturali.
Con questo metodo, egli dice, non c’è bisogno di
spingere innanzi i fanciulli, ma solo di guidarli. Per
l’addietro egli doveva sempre ripetere, per ogni cosa che
doveva loro insegnare: Pensateci bene! Ve ne ricordate?
Non poteva del resto essere altrimenti. Quando, per
esempio, egli nel conteggio domandava: Quante volte
sta il 7 nel 637 il fanciullo non avendo alcun riferimento
sensibile da cui ricavare la risposta, doveva trovarla con
fatica, a forza di riflessione. Ora invece, secondo il mio
metodo, egli ha dinanzi agli occhi nove volte sette oggetti
ed ha imparato come nove 7 posti l’uno accanto all’altro
diano 63. Perciò non deve pensar troppo a lungo per

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Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

trovar la risposta; egli sa con precisione, da ciò che egli


ha già imparato, ciò che ora gli si chiede per la prima
volta, cioè che 7 in 63 è contenuto 9 volte. Simile è il
metodo nelle altre discipline.
Se egli ad esempio voleva avvezzare in precedenza i
fanciulli ascrivere i nomi con le iniziali maiuscole, essi
dimenticavano continuamente la regola che li doveva
guidare. Ma invece, dopo aver studiato alcune pagine del
nostro dizionario metodico come semplice esercitazione
di lettura, sono capaci di continuare la serie in ordine
alfabetico, aggiungendo i sostantivi da loro conosciuti,
il che presuppone una piena coscienza della differenza
tra il sostantivo e le altre parole. Il metodo naturale è
imperfetto ogni volta che si richiede in qualsiasi modo
una nuova spinta alla riflessione, e che un determinato
esercizio non deriva spontaneamente e senza sforzo da
ciò che è già noto al fanciullo.
Egli osservò inoltre che le parole, le imagini che io
mettevo una per una sott’occhio ai fanciulli, insegnan-
do loro a leggere, facevano su di loro ben altra impres-
sione che le frasi complesse imbandite dal comune inse-
gnamento. Esaminando ora più da vicino queste frasi le
trovò costrutte in modo che al fanciullo riesce assoluta-
mente impossibile di comprendere con immediata intui-
zione il senso delle parole che le compongono. In quelle
combinazioni di vocaboli egli non scopre alcun elemen-
to semplice che già gli sia noto, ma un confuso intrec-
cio di connessioni incomprensibili, di oggetti a lui ignoti,
attraverso i quali, contro la sua natura, al di là delle sue
proprie forze, per una serie di illusioni, egli viene spin-
to ad avvolgersi in un mondo di idee, che non solo, per
la loro natura stessa, gli sono estranee, ma che gli ven-
gon esposte in un linguaggio tecnico, che non si è ancora
cominciato ad apprendergli. Krüsi vide che io rigettavo
questa confusione del nostro sapere scolastico, e che, co-
me fa la natura coi selvaggi, ponevo sempre dinanzi agli

Storia d’Italia Einaudi 56


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

occhi dei fanciulli un solo oggetto, cercando poi la voce


ad esso corrispondente. Egli vide che questa immediata
semplicità d’esposizione non fa nascere nei fanciulli al-
cun giudizio o ragionamento, perché essa non presenta
nulla che sia come una tesi o una proposizione che deb-
ba essere concepita secondo il criterio della verità o del-
l’errore, ma tutto essa offre come semplice oggetto d’in-
tuizione e fondamento per giudizi e ragionamenti futuri,
come un filo sulla cui traccia potranno procedere oltre
riannodando le esperienze passate a quelle future.
E poiché egli riconobbe e comprese sempre più pro-
fondamente che lo spirito del metodo consisteva nel ri-
condurre universalmente tutta l’istruzione ai primi ele-
menti di ogni ramo del sapere, e nel connettere ad essi di
mano in mano gradualmente sempre nuove nozioni, con
un continuo e lento progresso, si fece di giorno in giorno
sempre più capace di collaborare con me secondo lo spi-
rito di questi principi, e ben presto mi aiutò a comporre
un sillabario e una aritmetica, basata essenzialmente su
questi principi. Fino dai primi giorni della nostra unio-
ne egli aveva desiderato di recarsi a Basilea per comuni-
care a Tobler con cui era in istretta amicizia, la morte di
Fischer e la sua attuale situazione. Io colsi questa occa-
sione per dirgli che, per i miei lavori letterari, avevo bi-
sogno di aiuto e che sarei stato felicissimo se avessi po-
tuto associarmi Tobler che io già conoscevo per la sua
corrispondenza con Fischer. E gli dissi inoltre che per
il mio scopo abbisognavo anche di un uomo che sapes-
se disegnare e cantare. Krüsi partì per Basilea, parlò con
Tobler, e questi, sin dal primo istante, si decise ad ade-
rire al mio invito, così che dopo alcune settimane, giun-
se a Burgdorf, e quando seppe da Krüsi che io avevo bi-
sogno d’un maestro di disegno pensò a Buss, che accettò
senz’altro l’offerta. Ambedue sono qui da otto mesi, ed
io credo ti interesserà di conoscere dettagliatamente i ri-
sultati delle loro esperienze su questi oggetti. Tobler era

Storia d’Italia Einaudi 57


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

stato precettore per cinque anni in una distinta famiglia


di Basilea. Il suo parere sopra lo stato attuale della mia
impresa, sulla parte attiva che egli vi prende è espresso
da lui nelle pagine seguenti:
«Nonostante sei anni di scrupoloso lavoro, i risultati
del mio insegnamento mi apparvero non corrisponden-
ti all’aspettativa. Le energie dei fanciulli, perciò che ri-
guarda la loro intensità, non si svolgevano in ragione del-
le mie fatiche e neppure in ragione delle loro cognizioni
reali. Mi sembrò anche che le nozioni particolari ch’io
impartivo loro non si collegassero e non si imprimessero,
così come era necessario, saldamente nella memoria.
Io usavo i migliori testi del nostro tempo. Ma essi, in
parte, contenevano parole che i fanciulli in generale non
capivano, in parte, erano pieni di concetti che sorpassa-
vano il cerchio delle loro esperienze e non s’accordava-
no col modo intuitivo di concepire le cose, proprio della
loro età, così che si richiedeva un gran tempo a spiegare
l’incomprensibile. E queste spiegazioni, benché tanto fa-
ticose, non portavano che un minimo giovamento al loro
reale interno sviluppo, simili a raggi luminosi isolati che
qua e là penetrano in una camera buia o cercano di tra-
versare l’oscurità di una nebbia fitta ed opaca. E ciò va-
leva specialmente di quei libri che con le loro imagini e
le loro elocubrazioni discendono sino nella più profonda
profondità delle umane conoscenze, o si elevano sopra
le nubi, sino al cielo supremo, prima ancora di consenti-
re ai fanciulli di porre al sicuro il piede sul solido terre-
no su cui gli uomini devono pur necessariamente proce-
dere, se è vero che devono imparare prima a cammina-
re che a volare, e che questo non è possibile avanti che
siano loro spuntate le ali.
L’oscuro sentimento di tutto ciò mi spinse ben presto
a cercare di interessare i miei piccoli allievi presentando
loro oggetti direttamente intuibili, e di elevare i più adat-
ti a concetti chiari per mezzo di un insegnamento socra-

Storia d’Italia Einaudi 58


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

tico. Grazie al primo metodo i piccini acquistarono co-


gnizioni che i fanciulli della loro età in generale non pos-
seggono. Io volli associare questo metodo con le forme
di insegnamento ch’io trovavo nei libri migliori, ma tutti
i libri ch’io cercai d’usare a questo scopo, erano scritti in
modo da presupporre nei fanciulli la conoscenza di ciò
che doveva loro esser dato per primo, cioè della lingua.
Anche il metodo socratico, usato coi più grandicelli, eb-
be il risultato che hanno e devono necessariamente ave-
re le spiegazioni di parole, che, da un lato, mancano del-
l’appoggio di conoscenze concrete e obbiettive, dall’al-
tro, son fatte in un linguaggio dei cui elementi costitutivi
i fanciulli non hanno alcuna chiara idea: Ciò che essi im-
paravano oggi, dopo pochi giorni svaniva dalle loro men-
ti in un modo per me incomprensibile, e quanto più mi
affaticavo a render loro tutto chiaro, tanto più essi sem-
bravano perdere l’energia spirituale necessaria per trar-
re le proprie idee dall’oscurità in cui sono da principio
naturalmente involute.
Così, considerando la mia posizione e i miei fini, io
sentivo il mio cammino ostacolato da difficoltà insor-
montabili, e le conversazioni con i maestri e gli istitu-
tori dei dintorni mi convinsero ancor più che, a dispet-
to di tutte le collezioni di libri pedagogici pubblicate ai
giorni nostri, tutti hanno le mie stesse impressioni e urta-
no ogni giorno contro difficoltà simili alle mie nell’edu-
cazione dei loro allievi. Sentivo ancora che queste diffi-
coltà dovevano pesare ancor più sui maestri delle scuo-
le inferiori, se un miserabile mestierantismo non li rende
tutt’affatto incapaci di un tal sentimento. Io vivevo con
la coscienza forte, sebbene ancor confusa, di queste defi-
cenze del nostro sistema d’educazione, e cercavo con tut-
te le mie forze i mezzi per porvi rimedio. Ebbi allora l’i-
dea di attingere, sia dalle mie esperienze sia dai libri pe-
dagogici, tutti i mezzi che potessero contribuire a liberar-
mi dagli ostacoli che mi si presentavano per l’educazione

Storia d’Italia Einaudi 59


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

del fanciullo in ognuno dei suoi periodi. Dovetti tutta-


via accorgermi che a tal fine non sarebbe stata sufficien-
te tutta la mia vita. Avevo intanto già composto con ta-
le indirizzo parecchi volumi, quando Fischer, in più let-
tere richiamò la mia attenzione sul metodo di Pestaloz-
zi, e mi fece presentire che egli forse poteva giungere al-
la mia stessa meta per un’altra via. Pensai che il procedi-
mento scientifico-sistematico da me seguito creava esso
stesso le difficoltà da cui quello era libero, e che appun-
to il sistema moderno d’istruzione era la causa di quelle
lacune che Pestalozzi non aveva bisogno di colmare, per-
ché egli non conosceva e non usava un tale sistema. Mol-
ti dei mezzi da lui usati, per esempio il disegno sulla ta-
vola nera, ed altri ancora, mi sembrarono così semplici,
ch’io non potevo comprendere come non ci fossi giunto
da me molto tempo prima. Capii che i mezzi da lui usa-
ti erano quelli più alla mano. Ma sopra tutto mi attrasse
verso il suo metodo il principio di render le madri capaci
di quella missione a cui esse sono destinate dalla natura,
perché esso era stato a base anche di tutti i miei tentativi.
Questi pensieri furono confermati all’arrivo in Basilea
da Krüsi, che fece all’Istituto femminile un’esposizione
pratica del metodo pestalozziano nell’insegnamento del-
l’alfabeto, della lettura e del conteggio.
I pastori Fäsch e von Brunn che avevano organizzato
il sistema didattico e l’indirizzo generale di quell’istituto,
secondo le linee del metodo pestalozziano, che non c’era
però noto interamente, rilevarono tosto la profonda im-
pressione che faceva sui fanciulli il leggere in comune e
il sillabare ritmicamente, la scarsità del materiale richie-
sto dal Krüsi per l’insegnamento, con questo sistema, del
conteggio e della scrittura. Alcuni esempi poi di un di-
zionario che Pestalozzi aveva destinato come primo libro
di lettura per i fanciulli, ci mostrarono le profonde basi
di questo metodo psicologico. Tutto ciò rapidamente mi

Storia d’Italia Einaudi 60


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

persuase ad accondiscendere al desiderio di Pestalozzi di


associarmi con lui.
Giunto a Burgdorf, riconobbi sin dal primo sguar-
do che l’impresa, benché fosse ai suoi primi passi, cor-
rispondeva alla mia aspettazione. Ammirai l’energia
straordinaria che gli allievi di Pestalozzi spiegavano in
ogni campo e la semplicità e varietà dei mezzi destinati
ad eccitarla. La sua assoluta indifferenza verso tutto ciò
che costituiva fino allora la didattica, la semplicità del-
le imagini che egli imprimeva nella mente dei fanciulli,
la netta distinzione delle varie cognizioni da apprender-
si in tempi differenti e con metodo progressivo, il suo
aborrimento da ogni confusione e complicazione, l’effi-
cacia con cui egli, senza vane parole, cercava di accre-
scere semplicemente l’intensità delle energie spirituali, la
cura rivolta, in ogni istante, alla chiara comprensione del-
la parola, e sopratutto la sicurezza con cui alcuni dei suoi
mezzi didattici, come una nuova creazione, mi sembrava-
no derivare dagli elementi dell’arte e della natura umana,
tutto ciò attrasse in massimo grado la mia attenzione.
Qualcosa, è vero, mi apparve nei suoi esperimenti con-
trario alla natura psicologica del bimbo, come ad esem-
pio, il far recitare frasi difficili e confuse, che doveva-
no rimanere a tutta prima pei fanciulli completamente
oscure. Ma quando notai con quanta energia egli pre-
parasse la graduale chiarificazione dei concetti, ed egli
all’osservazione mi rispose che anche la natura ci offre
dapprima tutte le intuizioni in forma oscura e confusa,
e che solo lentamente, ma sicuramente le porta a chia-
rezza, io non ebbi altro da obbiettare, sopratutto per-
ché rilevai che egli non dava assoluta importanza ai sin-
goli suoi esperimenti, ma ne lasciava molti, dopo averli
provati. Con tutto questo sperimentare egli cercava so-
lamente di accrescere la forza interiore dei fanciulli, di
chiarire a sè i principi e le regole che servissero di criteri
ai singoli mezzi.

Storia d’Italia Einaudi 61


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Quando mi accadeva di notare che alcuno dei suoi


procedimenti era ancora allo stadio di incertezza e debo-
lezza propria di un esperimento iniziale isolato, non me
ne turbavo, in quanto sapevo che la loro natura stessa im-
plicava uno sviluppo graduale e progressivo. Ciò rilevai
effettivamente sia nel conteggio che nel disegno, che nei
procedimenti fondamentali per lo studio della lingua.
Di giorno in giorno mi divenne sempre più chiaro che
l’efficacia dei suoi singoli mezzi deriva dall’esser tutti
connessi secondo un solo sistema, e dal convenire di tut-
ti allo spirito del fanciullo; notai che ciascun d’essi, nel-
l’esercizio giornaliero, prima ancora di venir formulato
come una massima didattica, raggiungeva una tal perfe-
zione, da determinare senz’altro il fine voluto. Pestalozzi
non cessa mai dallo sperimentare e provare ciascuno dei
suoi mezzi didattici, sino a che egli non sia convinto del-
l’impossibilità fisica di semplificarli maggiormente e di
stabilirli su più solida base. Questa tendenza alla sempli-
ficazione del tutto ed al perfezionamento dei particolari,
mi confermò nell’opinione che già prima era sorta in me,
sia pure confusamente: che cioè tutti i mezzi che preten-
dono di sviluppare lo spirito umano, servendosi di un lin-
guaggio artificioso, portano in se stessi le ragioni dell’in-
successo, e che se vogliamo realmente secondare la natu-
ra nell’attività spontanea che essa mostra nello sviluppo
dell’uomo, dobbiamo ridurre i mezzi dell’educazione al-
la maggior possibile semplicità che comporti la loro in-
terna natura, ed organizzare l’insegnamento della lingua
in un modo psicologico corrispondente a tali mezzi.
A poco a poco compresi ciò che Pestalozzi voleva rag-
giungere con la suddivisione delle varie parti dell’inse-
gnamento linguistico, perché egli riconduceva l’insegna-
mento dell’aritmetica a questo semplice ed universale
principio: che ogni calcolo non è se non l’abbreviazio-
ne della semplice numerazione, e che i numeri non sono
altro che l’abbreviazione della formula noiosa: uno più

Storia d’Italia Einaudi 62


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

uno fa due, più uno, tre ecc. Compresi ancora perché


egli vuol fondare l’educazione di ogni energia pratica, e
perfino dell’energia del rappresentarsi fedelmente gli og-
getti sensibili, sullo sviluppo, per tempo provocato, della
capacità a tracciar linee, angoli, quadrati, ed archi.
La mia fiducia nei vantaggi del nuovo metodo doveva
farsi di giorno in giorno necessariamente più salda, giac-
ché io notavo continuamente i risultati che nel misura-
re, nel calcolare, nello scrivere, nel disegnare produce-
va il risveglio e l’esercizio dell’energia spirituale dei fan-
ciulli, secondo questi principi. Sempre più mi persuasi
che è realmente possibile raggiungere il fine a cui prece-
dentemente accennai, come all’ispiratore dei miei propri
esperimenti, quello cioè di educare le madri alla missio-
ne a cui la natura le ha evidentemente destinate, in modo
che il primo insegnamento scolastico possa essere fonda-
to sui risultati dell’insegnamento materno. Mi parve di
riconoscere il metodo generale e psicologico per cui ogni
padre ed ogni madre che ci si senta inclinato, possa es-
ser messo in grado di istruire egli stesso i suoi figlioli, to-
gliendo così la speciosa necessità di educare i maestri nei
seminari e nelle biblioteche con grande perdita di tempo
e di denaro.
In una parola, l’impressione generale e l’ininterrotta
uniformità delle mie esperienze mi rinnovarono nel cuo-
re quella fede ch’io nutrivo vivissima al principio della
mia carriera pedagogica, ma che successivamente, per
colpa dei sistemi e dei metodi moderni, io avevo quasi
perduto: la fede cioè nella possibilità di nobilitare il ge-
nere umano».

Storia d’Italia Einaudi 63


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

III

Tu hai letto l’opinione di Tobler e di Krüsi sul nostro og-


getto, ti mando ora quella di Buss. Conosci la mia con-
vinzione relativa alle energie sepolte nelle infime classi.
Quale conferma ne è Bus! Quale trasformazione ha su-
bito quest’uomo in sei mesi! Mostra a Wieland il suo A B
C dell’intuizione e chiedigli se ha mai veduto una prova
più evidente di quali forze possano andar disperse.
Amico mio, il mondo è pieno di persone di valore,
mancano solo quelli che ne sappiano trarre partito. Il
nostro secolo limita la sua idea del valore umano al
proprio io, o l’estende solo ad uomini che siano a questo
vicino come la sua propria camicia.
Amico mio, sul serio, pensa a questi tre uomini e a ciò
che con essi ho raggiunto. Io vorrei che tu conoscessi
loro e la loro vita più da vicino. Qualche informazione te
ne dà appunto Buss per mia preghiera.
La prima educazione di Tobler fu assolutamente tra-
scurata. A ventidue anni egli si trovò, quasi per incan-
to, gettato tra i sistemi scientifici e pedagogici in parti-
colare. Credette dapprima di potersene render padrone;
ora egli vede ch’essi piuttosto se lo fecero schiavo, e lo
condussero, al primo avvertimento dell’insufficienza dei
suoi metodi d’insegnamento, ad affidarsi interamente ai
libri, invece di seguire la via dell’intuizione, di cui pre-
senti va la necessità e che la natura gli avrebbe indicato.
Egli vide il pericolo che gli sovrastava di perdersi in un
mare di mille e mille cosette ragionevoli ma incoerenti,
senza poter trovare per l’educazione e per l’istruzione i
principi che hanno per risultato non parole e libri ragio-
nevoli, ma uomini ragionevoli. Deplora di non aver sco-
perti a ventidue anni, quando lo studio dei libri non ave-
va ancor cominciato a indebolire la sua energia natura-

Storia d’Italia Einaudi 64


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

le, la via che egli ha ora intrapreso a trenta. S’addolora


profondamente dei danni prodotti da questo ritardo e fa
onore al suo cuore e al nostro metodo insieme col dire
che ad un ignorante ed indotto sarebbe riuscito assai più
facile che non a lui di chiarirsi i principi elementari del-
la metodica e di procedere in essa senza errore. Ma poi-
ché egli è fedele alla sua convinzione, il suo talento gli as-
sicura il premio. Quando egli avrà superata la difficoltà
di chiarire e determinare i punti di partenza iniziali, gli
sarà facile, per mezzo di questi e delle cognizioni ch’egli
già possiede, di svolgere il metodo anche rispetto ai gra-
di più alti dell’insegnamento scolastico, al che noi oggi
non siamo giunti ancora.
Tu conosci Krüsi e hai veduto quale energia egli dimo-
stri nel suo ufficio. Essa è veramente straordinaria. Chi
lo vede al lavoro se ne stupisce. Egli possiede nel suo ra-
mo una sicura originalità che rimane celata solo a quel-
li che ne sono privi; eppure, prima di conoscere il meto-
do, all’infuori di un tatto didattico naturale, era in ogni
disciplina inferiore anche a Buss.
Egli stesso dice che se non avesse conosciuto il me-
todo, nonostante la sua viva aspirazione all’indipenden-
za, non sarebbe mai riuscito a reggersi da sè, ma sarebbe
sempre rimasto necessariamente soggetto alla direzione
altrui, il che ripugna alla sua natura di cittadino di Ap-
penzell. Egli ha infatti rifiutato un posto di maestro con
lo stipendio di 500 fiorini ed è rimasto nella sua meschi-
na posizione attuale, perché sentiva e comprendeva che
se qui era maestro là non sarebbe stato nulla di più, an-
zi alla fine egli ne sarebbe stato insoddisfatto. Non ti re-
chi meraviglia ch’egli abbia una tale fermezza; essa è il ri-
sultato della sua semplicità d’animo, per cui si è dato in-
teramente alla nuova metodica, e perciò ne ha tratto ot-
timi risultati, così che è vero ciò che dice Tobler di lui:
«che a Krüsi fu facile assimilarsi il metodo, poiché egli
era privo di ogni arte pedagogica; e che egli vi fece rapidi

Storia d’Italia Einaudi 65


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

progressi, perché non sapeva nulla, ma aveva una grande


energia».
Amico non ho io ragione di andar superbo delle pri-
mizie del mio metodo? siano pure, come tu due anni fa
mi dicesti, gli uomini incapaci di comprendere i principi
semplici e psicologici che gli sono a fondamento, purché
i suoi frutti siano simili a queste tre primizie. Ed ora leggi
anche il giudizio di Buss, e poi dammi di nuovo ascolto.
«Mio padre, egli narra, serviva al Collegio Teologico
di Tübingen e vi abitava. Dai tre ai tredici anni egli
mi fece frequentare la scuola latina, ove io imparai ciò
che ivi si insegnava ai fanciulli della mia età. In questo
tempo io mi intrattenevo, fuori della scuola, sopratutto
con degli studenti, che si compiacevano di giocar meco
a cagione della mia natura lieta e disinvolta. Avevo
otto anni quando uno di essi mi insegnò a sonare il
pianoforte, ma tale insegnamento cessò presto giacché
egli dopo sei mesi s’allontanò da Tübingen, così che in
questo studio rimasi abbandonato a me stesso. Pure a
forza di esercizio e di costanza a dodici anni giunsi a
tanto da poter dar lezione con ottimo risultato ad una
signora e ad un ragazzo. A undici anni cominciai anche
ad imparare il disegno e continuai lo studio della lingua
greca ed ebraica, della logica e della retorica. Lo scopo
dei miei genitori era di avviarmi agli studi, per affidarmi
poi o alla Accademia delle belle arti e delle Scienze da
poco istituita a Stuttgart, o alla direzione dei Professori
dell’Università di Tübingen.
A quell’Accademia erano stati ammessi fino allora gio-
vani di tutte le classi, alcuni dietro pagamento, altri an-
che gratuitamente. Le condizioni dei miei genitori non
consentivano ch’essi disponessero per me neppure di
una minima somma. Perciò la domanda fu fatta nel senso
di una ammissione gratuita. Ma essa ci fu rimandata con
una risposta negativa, sottoscritta dallo stesso principe
Carlo. Questo fatto e l’emanazione, se ben mi ricordo,

Storia d’Italia Einaudi 66


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

proprio in quel tempo di un editto che escludeva dagli


studi superiori tutti i giovani della piccola e media bor-
ghesia fece su di me una forte impressione. All’improv-
viso scomparve in me la giovanile allegria e io perdetti
ogni amore allo studio. Io volsi allora tutte le mie for-
ze al disegno, ma anche qui, dopo sei mesi, fui di nuovo
interrotto, perché il mio maestro, per la sua cattiva con-
dotta, fu obbligato a lasciar la città. Così io rimasi senza
alcun mezzo e senza alcuna speranza di poter provvede-
re a me stesso, e dovetti collocarmi come operaio presso
un legatore di libri.
Io caddi allora nell’indifferenza. Accettai quel mestie-
re come ne avrei accettato un altro, per cancellare in me,
con la distrazione di un assiduo lavoro manuale, anche
il ricordo dei miei sogni di gioventù. Non vi riuscii. La-
voravo, ma rimanevo pur sempre insoddisfatto, e nutri-
vo un violento rancore contro l’ingiustizia di un potere
che, contrariamente all’antico costume, solo perché ap-
partenevo alla classe inferiore, mi escludeva dalla possi-
bilità di istruirmi e dalle speranze e dai progetti, al cui
raggiungimento avevo consacrato già una gran parte del-
la mia giovinezza. Pure io nutrivo in me la speranza di
potermi procurare con il lavoro mezzi sufficienti per to-
gliermi da quel mestiere che non mi soddisfaceva, e ri-
guadagnare in qualche modo il tempo che in esso avevo
dovuto perdere.
Viaggiai, ma il mondo era troppo angusto per me.
Divenni melanconico, malaticcio, dovetti rimpatriare,
cercai di nuovo di mutar mestiere e pensai, con quel poco
di musica ch’io sapevo, di guadagnarmi in Svizzera di che
vivere.
Partii per Basilea, sperando che ivi mi si offrisse l’oc-
casione di dar qualche lezione, ma la mia condizione mi
aveva dato un certo senso di timidezza, che mi ostacolava
tutti quegli approcci che possono condurre a guadagnar
denaro. Io non avevo il coraggio di dire alcuna di quelle

Storia d’Italia Einaudi 67


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

parole che sono necessarie per ottenere dalla gente, co-


sì come essa è, quello che io cercavo. Un amico, che in-
contrai per caso in quella critica situazione, mi riconciliò
momentaneamente con il mio primo mestiere. Io ritor-
nai in una bottega, ma fin dal primo giorno, in cui v’eb-
bi posto il piede, non feci che sognare il modo di trova-
re, col tempo e con l’occasione, un’occupazione diver-
sa, benché io riconoscessi d’essere troppo ignorante sia
nella musica che nel disegno, per potermi creare con es-
se una sicura posizione. Per avere maggior tempo libe-
ro e potermi in tal modo esercitare, mutai presto botte-
ga; vi guadagnai due ore dì libertà al giorno e feci alcu-
ne conoscenze che facilitarono i miei studi. Conobbi al-
lora tra gli altri anche Tobler, il quale indovinò ben tosto
la pena che mi tormentava e pensò di togliermi da quel-
la condizione. Così egli pensò subito a me, quando Krü-
si lo avvertì che si cercava qualcuno che conoscesse il di-
segno e la musica, per il nuovo metodo di istruzione che
Pestalozzi andava organizzando.
La coscienza della deficienza della mia istruzione e
delle mie cognizioni dì disegno e la speranza di trovar
modo di potermi perfezionare sia nell’una che nelle al-
tre, mi decisero senz’altro a partire per Burgdorf, ben-
ché molte persone mi consigliassero di non associarmi
a Pestalozzi, giacché egli era quasi pazzo, e non sapeva
con precisione ciò che voleva. Mi confermavano questa
asserzione con diversi fatti, per esempio, che un giorno
egli era venuto a Basilea con le scarpe allacciate con del-
la paglia, perché aveva donate, fuori della porta, le sue
fibbie a un mendicante. Io avevo letto Leonardo e Ger-
trude, perciò credevo alla storia delle fibbie, ma non che
egli fosse un pazzo. Insomma, volli far la prova. Venni
così a Burgdorf: la prima volta ch’io lo vidi ne rimasi col-
pito. Egli mi si fece incontro, scendendo dal piano su-
periore con Ziemssen che era venuto a fargli visita, con
le scarpe slacciate, tutto impolverato e in un estremo di-

Storia d’Italia Einaudi 68


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

sordine. Non posso rendere il sentimento che provai in


quel momento: era compassione mista a meraviglia. Ma,
in un istante, Pestalozzi e ciò che io vidi, la sua benevo-
lenza, la sua cordialità verso uno sconosciuto, l’assenza
di ogni pretensione, la sua semplicità e il disordine stes-
so in cui mi si presentava, tutto mi attrasse a lui. Io non
avevo mai conosciuto sino allora un altro uomo che così
cercasse il mio cuore, ma nessun altro uomo si guadagnò
come lui tutta la mia fiducia.
La mattina dopo, entrai nella sua scuola e al principio
non notai che un disordine manifesto e un chiasso che
mi spiacque. Ma l’entusiasmo con cui Ziemssen il giorno
prima aveva parlato dei progetti di Pestalozzi, aveva
in antecedenza destato il mio interesse; perciò superai
rapidamente quella prima impressione e non andò molto
ch’io scorsi alcuni dei vantaggi di questo metodo. Pure,
sul principio, mi sembrava che egli trattenesse troppo i
fanciulli a soffermarsi su ciascun punto; ma quando io
vidi a quale perfezione egli aveva condotto i suoi fanciulli
negli esercizi elementari, compresi per la prima volta i
difetti del metodo capriccioso e incoerente ch’io avevo
sperimentato nel mio studio giovanile, e pensai che se
io avessi approfondito e reso più saldi i primi elementi,
avrei acquistato la capacità di proceder oltre con le mie
stesse forze e liberarmi in tal modo dai mali e dalla
tristezza in cui mi sentivo sprofondato.
Questo pensiero corrisponde anche perfettamente al
principio di Pestalozzi: «far sì, col suo metodo, che gli
uomini possano bastare a sè stessi, giacchè, come egli di-
ce, su questa terra benedetta nessuno li aiuta e li può aiu-
tare». Quando io lessi questo passo in Leonardo e Ger-
trude, rabbrividii. Ma l’esperienza stessa della mia vita
mi ha provato che, in questa terra benedetta, nessuno
aiuta e può aiutare un uomo, s’egli non sa aiutarsi da se
stesso.

Storia d’Italia Einaudi 69


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Vedevo ora chiaramente che le lacune ch’io non riu-


scivo a colmare per raggiungere i fini propostimi, ave-
vano la loro origine nella debolezza e nella superficialità
con cui io avevo appreso l’arte, mancando dei suoi primi
fondamenti. Volsi allora la mia attenzione specialmen-
te alla disciplina in cui Pestalozzi attendeva da me aiuto.
Ma per parecchio tempo io non potei afferrare ciò che
egli pensava a proposito del disegno, e sul principio non
compresi nulla di ciò ch’egli intendeva, quando andava
ripetendomi che le linee, gli angoli e i cerchi sono il fon-
damento dell’arte del disegno. Per farsi intendere egli di-
ceva, «che lo spirito umano anche qui deve essere guida-
to dalle intuizioni oscure ai concetti chiari». Ma io non
mi potevo capacitare che ciò potesse avvenire per mezzo
del disegno. Diceva allora che questo si doveva ottene-
re con la divisione del quadrato e del cerchio e con la di-
stinzione delle loro parti in unità intuibili e paragonabili.
Io cercavo allora di scoprire queste divisioni e semplifi-
cazioni, ma ignorando ciò che era elementarmente sem-
plice, mi smarrii in un mare di figure particolari che era-
no bensì semplici in se stesse, ma che non mettevano in
luce quelle regole della semplicità che Pestalozzi cerca-
va. Per disgrazia egli non sapeva nè scrivere nè disegna-
re, benché avesse in ciò condotto i suoi fanciulli ad una
perfezione per me inspiegabile. In breve, per mesi interi
io non riuscii a comprenderlo, nè a capire che cosa gio-
vassero al suo scopo le linee elementari che egli mi se-
gnava come punto di partenza. Finalmente intesi che io
dovevo saper meno di quel che in realtà sapevo, o alme-
no ch’io dovevo lasciar da parte tutto il mio sapere, per
scendere sino a quegli elementi semplici che costituiva-
no, come ora avvertivo, la vera forza didattica di Pesta-
lozzi, benché non ne sapessi ancora approfittare. Fu una
grave fatica. Alla fine il rilevare sempre meglio quali pro-
gressi facessero i suoi fanciulli con l’indugiare a lungo sui
principi semplici, mi spinse a approfondire la intuizione

Storia d’Italia Einaudi 70


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

degli oggetti sino a quegli elementi da cui i fanciulli po-


tessero trarre energia di cui li vedevo capaci. Arrivato a
questo punto, in un paio di giorni condussi a termine l’A
B C dell’intuizione.
Esso era fatto, ed io non sapevo ancora ciò che va-
lesse; ma tosto che ne riconobbi la natura ne ricevetti
un’impressione profonda. Sino allora, infatti io non ave-
vo compreso che il disegno consiste solo di linee.
D’allora in poi, improvvisamente tutti gli oggetti si
presentavano alla mia vista come determinati da linee che
ne definivano i contorni. Prima di allora io non avevo
mai separato nella mia rappresentazione i contorni dagli
oggetti, ora invece essi se ne separavano immediatamen-
te nella immaginazione e si determinavano secondo l’im-
magine di forme regolari che davano rilievo alla minima
irregolarità. Ma come, per l’innanzi non vedevo che og-
getti, ora non vedevo che linee e credevo di dover intrat-
tener i fanciulli solamente su di esse, ed esaurire lo stu-
dio di tutte le loro forme, prima di offrire alla loro os-
servazione e alla loro imitazione oggetti reali. Ma Pesta-
lozzi pose in rapporto queste norme per l’insegnamento
del disegno con le sue idee generali e quindi con il cor-
so della natura, che non permette ad alcuna forma di at-
tività dello spirito umano di svilupparsi separata dall’in-
tuizione concreta. Egli aveva l’intenzione di mettere sot-
to gli occhi dei fanciulli, sin dalla culla, una doppia se-
rie di figure, l’una nel libro per l’infanzia, l’altra come
appendice delle sue tavole per la misurazione.
Egli voleva con la prima serie, secondare la natura e
curare, il più presto possibile, lo sviluppo delle cono-
scenze linguistiche e reali per mezzo di rappresentazio-
ni tratte ordinatamente dalla realtà naturale, e con la se-
conda associare le regole dell’arte del disegno con l’intui-
zione dell’arte stessa, fondare saldamente, connettendo-
le nella mente del fanciullo, la coscienza della pura for-
ma e degli oggetti ad essa corrispondenti, ed infine assi-

Storia d’Italia Einaudi 71


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

curare all’abilità estetico-pratica del disegno un processo


psicologicamente graduale, in modo che per ogni linea
che il fanciullo riuscisse a disegnare con precisione, es-
so potesse immediatamente trovare anche oggetti per la
sua applicazione, il cui completo esatto disegno non fos-
se essenzialmente altro che una ripetizione delle forme
regolari che già erano note al fanciullo.
Io temevo di indebolire la forza di determinazione in-
tuitiva dei fanciulli col sottoporre ad essi delle figure, ma
Pestalozzi non tollerava alcuna forza che non fosse natu-
rale. Egli disse una volta: «La natura non dà al fanciullo
alcuna linea, gli dà solo oggetti, e le linee gli devono es-
ser date solamente affinché egli possa intuire esattamen-
te gli oggetti, ma non si devono togliere dinanzi agli oc-
chi gli oggetti, affinché veda solamente linee». E un’al-
tra volta si infiammò tanto per il pericolo di trascurare
la natura per amore delle linee, che esclamò: «Dio guar-
di che a cagione di queste linee e dell’arte del disegno in
generale noi reprimiamo lo spirito umano e lo rendiamo
insensibile all’intuizione della natura, così come fanno i
sacerdoti idolatri con le loro dottrine superstiziose».
Alla fine mi persuasi e trovai che il piano dei due
libri era in piena armonia col processo della natura, e
conteneva solo quel tanto di artificio che è necessario per
render possibile alla natura di agire sullo spirito umano,
come lo richiede lo sviluppo delle sue facoltà.
Avevo precedentemente urtato contro un’altra diffi-
coltà. Pestalozzi diceva che bisognava insegnare ai fan-
ciulli a rilevare i contorni come si insegna a rilevar le pa-
role e a contraddistinguere ogni parte del cerchio o del-
l’angolo con delle lettere, in modo che la loro connes-
sione possa così facilmente esprimersi e riprodursi sul-
la carta, come la connessione delle lettere per costituire
una parola. Queste linee e questi archi dovevano costi-
tuire un A B C dell’intuizione e perciò il fondamento di
un linguaggio tecnico per mezzo del quale non solo fos-

Storia d’Italia Einaudi 72


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

se chiaramente rilevata la diversità delle forme, ma fosse


anche espressa con parole sino nei suoi minimi partico-
lari. Egli non ebbe pace sino a che non lo compresi. Io
mi accorgevo che lo affaticavo e me ne dolevo; ma non
potevo fare a meno; senza la sua pazienza il nostro A B
C dell’intuizione non sarebbe venuto alla luce.
Finalmente mi riuscì. Io cominciai con la lettera A; era
ciò ch’egli voleva, ed il successivo sviluppo del metodo
avvenne così naturalmente, ch’io, direi quasi, non facevo
più alcuna fatica. Il lavoro più importante era fatto,
giacché i disegni erano esattamente eseguiti; la difficoltà
stava in ciò che io non riuscivo ad esprimere ciò che
realmente sapevo e non comprendevo neppure, a tal
proposito, le espressioni degli altri.
E’ tuttavia uno degli essenziali vantaggi del metodo,
questo, ch’esso rimedia a tali difficoltà. Collega infatti
strettamente l’arte del linguaggio al sapere che ci dànno
la natura e lo studio, e fa sì che i fanciulli riescano ad ogni
passo nelle loro cognizioni a trovar per esse espressioni
precise.
Tra noi maestri si era fatta l’osservazione che, in gene-
rale, noi stessi non sappiamo esprimerci con determina-
tezza e precisione sopra argomenti che pure conosciamo
a fondo. Pestalozzi stesso non riusciva sempre a trovar le
parole convenienti al suo pensiero.
Questo difetto del linguaggio era stato la causa per cui
io ero andato così lungo tempo errando a tentoni nel mio
insegnamento e non avevo compreso e potuto compren-
dere i principi di Pestalozzi in proposito. Ma quando eb-
bi superato queste difficoltà, mi trovai tosto ad aver rag-
giunto, sotto ogni aspetto, il fine e riconobbi ogni giorno
più i vantaggi del metodo, rilevando sopratutto che l’A B
C dell’intuizione, offrendo ai fanciulli il linguaggio esat-
to per definire gli oggetti che presentano loro la natura
e l’arte, svolge corrispondentemente in essi un senso più
vivo della precisione e della proporzione.

Storia d’Italia Einaudi 73


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Inoltre, come uomini che già posseggono la lingua, i


fanciulli riescono, con l’esatta conoscenza dei nomi, a di-
stinguere più facilmente gli oggetti e a riconoscere con
sicurezza i loro caratteri distintivi, assai più di quanto sia
possibile a chi non è stato in tal modo istruito. L’espe-
rienza confermò le mie previsioni. Alcuni fanciulli rile-
vavano con maggior prestezza e precisione le differenze
che caratterizzano diversi oggetti, di quello che non fa-
cessero uomini esperti sin dalla gioventù nel disegno e
nella misura, e il progresso di questa loro capacità era in
essi così intenso, da non potersi paragonare con quello
che si osserva nei fanciulli in questo ramo.
Pure io giudicavo sempre il metodo di Pestalozzi solo
in relazione ad un’unica materia di studio, e sul fonda-
mento dei suoi particolari risultati. A poco a poco giun-
si a riconoscere e a comprendere che anche in altri ra-
mi il suo risultato era il medesimo. Scopersi, partendo
dall’esperienza del mio particolare insegnamento, che,
fondandosi sulla psicologia del linguaggio, e procedendo
nell’insegnamento gradualmente dal suono alla parola e
dalla parola al linguaggio nella sua complessità, è pos-
sibile di agevolare la formazione di concetti chiari, così
come avviene procedendo dalle linee agli angoli e dagli
angoli a forme più complesse, e da queste agli oggetti.
Compresi anche che un procedimento simile era possi-
bile anche nell’aritmetica. Sino allora io avevo concepito
ciascun numero, senza coscienza precisa del suo valore e
del suo contenuto, solo come un dato singolare, al mo-
do stesso che precedentemente io consideravo gli ogget-
ti del disegno, senza particolare coscienza dei loro deter-
minati contorni e delle loro relazioni, ossia del loro con-
tenuto. Ora ogni numero mi si rappresentò nella totalità
del suo contenuto determinato e riconobbi che anche in
questo campo i fanciulli possono far rapidi progressi, se
guidati per questa via; notai insieme quanto sia essenzia-
le per ogni ramo dell’insegnamento che questo proceda

Storia d’Italia Einaudi 74


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

insieme dalla considerazione del numero, della forma e


della parola. Come le difficoltà trovate nell’insegnamen-
to del disegno derivano dal difetto nell’uso del linguag-
gio, così le lacune che in esso avvertivo traevano la lo-
ro origine nel difetto di cognizioni aritmetiche. M’accor-
si cioè che il fanciullo non può rappresentarsi i diversi
elementi di una determinata forma senza contarli, ossia
che, sino a quando egli non sa con precisione, ad esem-
pio, che il numero 4 è composto di quattro unità, non
può neppur comprendere come una figura possa essere
divisa in quattro parti.
Così, di mano in mano che il mio insegnamento veni-
va chiarendomisi quasi per mia opera stessa, sorgeva in
me la persuasione che il metodo pestalozziano, per la sua
azione diretta sulle potenze dello spirito umano nei fan-
ciulli, crea ed assicura in essi la forza di progredire da sè
soli in qualunque ramo del sapere, e ch’esso è in sè essen-
zialmente una spinta che deve servire solo a sviluppare la
forza per poter proseguire oltre spontaneamente. Nè so-
no io il solo che giudichi così. Centinaia di visitatori ven-
nero, osservarono e dissero: «il successo non può man-
care». Contadini e contadine dicevano: «Questo posso
farlo anch’io con i miei bambini», ed avevano ragione.
Il metodo intero riesce un gioco per ognuno che abbia
sicuro in sua mano il filo dei primi elementi, il quale gli
garantisca di non perdersi negli errori che soli ostacolano
il progresso dell’attività umana, in quanto essi guastano
i suoi stessi fondamenti e la sviano dalla natura, che non
pretende da noi nulla di difficile, purché noi seguiamo la
via retta e ci lasciamo guidare da lei.
Mi resta ad aggiungere solo una cosa. La conoscenza
del metodo mi ha ridato quasi interamente la serenità e
l’energia della mia gioventù, e ha di nuovo avvivato in
me le speranze per la mia sorte e per quella dell’umanità,
speranze che, da tempo, sino ad oggi, io volli considerare

Storia d’Italia Einaudi 75


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

come un sogno e cacciare da me contro l’intima voce del


mio cuore».

Storia d’Italia Einaudi 76


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

IV

Amico, tu conosci ora gli uomini che sono i miei colla-


boratori, ma io non li avevo con me nei primi tempi del-
la mia dimora a Burgdorf, e neppur li cercavo. Dopo la
partenza da Stans io ero in un tale stato di prostrazione
e di stanchezza, che perfino le idee che si riferivano ai
miei antichi piani d ’educazione popolare cominciavano
ad annebbiarsi in me e i miei progetti attuali si limitava-
no ad alcuni miglioramenti da introdursi nella nostra in-
felice pratica scolastica. Fu ancora una volta la necessi-
tà e l’impossibilità di realizzare questo programma limi-
tato che mi risospinse per quella strada in cui solo po-
tevo raggiungere l’essenziale dei fini che un tempo m’e-
ro proposto. Ciò nonostante lavorai per molti mesi entro
quei limiti in cui questo annichilamento di me stesso mi
aveva rinchiuso. Era una strana situazione la mia! Con
la mia ignoranza ed inesperienza, ma d’altra parte con la
capacità sintetica del mio spirito e la sua nativa sempli-
cità, mi trovavo ad essere l’ultimo dei maestri di scuola
e, nello stesso tempo, ciò nonostante, il riformatore del-
l’insegnamento, e questo in un’età, in cui, dopo il Rous-
seau ed il Basedow, mezzo mondo s’era mosso a questo
scopo. Certo io ignoravo completamente ciò che gli altri
facevano e volevano; vedevo soltanto che i gradi più al-
ti dell’insegnamento, o meglio l’insegnamento superiore,
aveva qua e là raggiunto una perfezione il cui splendore
abbagliava la mia ignoranza, come la luce del sole abba-
glia il pipistrello. Trovavo che perfino l’istruzione media
superava di molto la sfera delle mie conoscenze e vede-
vo che l’insegnamento inferiore era curato con una dili-
genza e costanza da formiche, di cui non potevo in alcun
modo misconoscere il merito e i risultati.

Storia d’Italia Einaudi 77


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Ma quando io volsi lo sguardo all’indirizzo genera-


le dell’insegnamento, o piuttosto all’insegnamento con-
siderato nel suo insieme e nel rapporto con la massa de-
gli individui a cui esso si riferisce, mi parve che quel poco
che potevo far io nella mia ignoranza fosse infinitamente
più di quanto il popolo allora riceveva. Anzi, quanto più
consideravo questo popolo, tanto più scoprivo che quel
gran fiume di sapere che sembra scorrere a lui attraverso
i libri, quando lo si consideri nei villaggi e nelle scuole, si
risolve in una nebbia, la cui umida oscurità nè lo bagna,
nè lo lascia asciutto, nè gli offre i vantaggi del giorno, né
quelli della notte. Non potevo nascondermi che l’inse-
gnamento scolastico, come lo vedevo realmente esercita-
to, non offre alcun vantaggio al popolo in generale e in
particolare alle sue classi inferiori.
Ora che lo conoscevo, il nostro sistema d’istruzione
mi appariva come una gran casa, il cui piano superiore
è ornato con arte perfetta e squisita, ma è abitato solo
da pochi uomini. Il piano di mezzo alberga un numero
già maggiore di persone, ma esso manca di scale con cui
queste possano, come si usa tra gli uomini, salire a quello
superiore, e se qualcuno di loro mostra il desiderio di ar-
rampicarvisi in qualche modo, gli vien tagliato un brac-
cio o una gamba perché non vi riesca. Al pianterreno
dimora un gregge innumerevole di uomini che hanno lo
stesso diritto degli altri alla luce del sole e all’aria pura,
pure non solo sono abbandonati a se stessi nell’oscuri-
tà ributtante di stanze prive d’ogni finestra, ma se qua-
luno osa solo sollevare la testa e volger lo sguardo verso
lo splendore dei piani superiori, gli vengono senz’altro
strappati gli occhi.
Amico, questo modo di veder le cose mi portò natural-
mente alla convinzione che è oggi essenziale ed indispen-
sabile non solo di rimediare ai difetti scolastici, che tol-
gono a gran numero degli Europei ogni forza virile, ma
di curarli radicalmente, giacché un semplice palliativo si

Storia d’Italia Einaudi 78


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

trasformerebbe in questo caso facilmente in una nuova


porzione di veleno, che, invece di sopprimere gli effet-
ti della prima, li raddoppierebbe. Non era certamente
questa la mia intenzione. Ma io cominciavo ogni giorno
più a sentire che era assolutamente impossibile di ovvia-
re universalmente e durevolmente ai difetti della scuo-
la se non si fosse potuto riuscire a sottomettere la forma
meccanica di ogni insegnamento alle leggi eterne secon-
do cui lo spirito umano si eleva dalle intuizioni sensibili
ai concetti chiari.
Questo sentimento, che, come dissi, si faceva in me
ogni giorno più vivo, mi condusse naturalmente a con-
siderazioni di principio che abbracciavano tutto l’insie-
me dell’istruzione. E sebbene la mia disposizione d’ani-
mo fosse allora simile a quella del topo che, spaventato
dal gatto, non osa più nemmeno uscire dalla propria ta-
na, dovetti riconoscere che il programma ristretto det-
tatomi dallo scoramento non solo non offriva alcun ri-
medio all’insieme dei difetti dell’insegnamento scolasti-
co, ma in circostanze facili a verificarsi, avrebbe potu-
to avere per unico risultato quello di ammannire ai po-
veri fanciulli una nuova porzione di oppio oltre a quel-
la ch’essi son soliti d’ingoiare tra le quattro pareti della
scuola.
Ma, a parte questo timore, io ero sempre più malcon-
tento della nullità senza vita del mio povero ufficio di
maestro. E veramente mi pareva, in mezzo a tutto il mio
lavoro, d’esser come quel marinaio che, avendo perduto
la sua fiocina, cercava di prendere la balena con l’amo.
Naturalmente non vi riuscì e dovette, a rischio di perder
tutto, riprendere la fiocina o rinunciare alla caccia del-
la balena. Ed io, allorquando compresi che era necessa-
rio di porre i principi dell’insegnamento in armonia col
procedere della natura, mi trovai in una condizione simi-
le. I diritti della natura sull’educazione non m’appariva-
no solo secondo aspetti isolati, ma nella connessione del-

Storia d’Italia Einaudi 79


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

le varie forze e dei vari aspetti in cui si manifestano, ed


ero costretto, a rischio di perder tutto, come il cacciato-
re di balene o a rinunciare all’idea di ottenere nella mia
professione qualunque risultato, anche il più piccolo, o
a rispettare l’ordine della natura dovunque esso mi con-
ducesse. Scelsi il secondo partito, mi affidai ancora una
volta, e pur sempre ciecamente, alla guida della natura,
e dopo aver passato quasi un anno come povero maestro
di scuola ad insegnare l’A B C, mi gettai a capofitto in
un’impresa che comprendeva niente di meno che la fon-
dazione di un orfanotrofio, di un istituto magistrale e di
un convito. Ma solo per il primo anno occorreva un ca-
pitale di cui io non potevo sognare d’avere neppure la
decima parte.
Pure la cosa riuscì. Amico mio, essa riesce e deve
riuscire. Ho fatto l’esperienza che il cuore dell’uomo,
perfino il cuore dei governanti, che è il più duro di tutti
i cuori umani, non ha il coraggio di lasciar languire e
perire senza aiuto un’opera grande e pura animata da
uno spirito sincero di sacrificio. E i miei tentativi, o
Gessner, hanno avuto successo, e stanno per produrre
i loro frutti maturi.
Amico! L’uomo è buono e vuole il bene; ma vuole
anche, se fa il bene, esser felice; e s’egli è cattivo ciò
deriva dal fatto che gli si è chiusa la via per cui egli
avrebbe voluto esser buono. Chiudergli questa via, è
un’orribile cosa. Eppure ciò avviene così spesso, e perciò
appunto così di rado l’uomo è buono. Pure io credo in
modo assoluto e generale al cuore umano, e con questa
fede procedo per la mia via faticosa, come se fosse una
ben selciata via romana. Pure io vorrei farti penetrare
nel labirinto di riflessioni per le quali io dovetti passare
prima di poter chiarire a me stesso le forme meccaniche
dell’insegnamento e la loro subordinazione alle eterne
leggi della natura sensibile.

Storia d’Italia Einaudi 80


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Amico mio, io voglio, a questo fine trascriverti alcuni


passi di una relazione dei miei esperimenti che io indiriz-
zai, sei mesi fa circa a parecchi amici del mio istituto; essi
chiariranno in vari punti l’andamento delle mie idee.
«L’uomo, io dicevo in questo scritto, non diventa uo-
mo se non per mezzo dell’educazione, ma questa guida
che noi abbiamo e ci imponiamo da noi stessi, per quan-
to riesca effettivamente a compiere, deve sempre ed in
tutto il suo procedere accordarsi al semplice corso del-
la natura. Infatti l’educazione, qualunque sia l’importan-
za della sua opera e l’abilità con cui ci toglie dalle condi-
zioni e dal diritto proprii della notra individualità anima-
le, è pur sempre incapace di portare il più piccolo muta-
mento, nella sua essenza, alla forma del processo per cui
lo spirito umano si eleva dalle intuizioni confuse ai con-
cetti chiari. E non lo deve neppure. Essa adempie la sua
missione che è quella di perfezionare l’uomo, proprio so-
lo in quanto si limita a sviluppare il suo spirito secondo
la forma di tale processo, e ogni volta che essa cerca di
condurlo per altra via, lo ricaccia indietro, in una condi-
zione che non è degna dell’uomo e da cui appunto essa
è destinata a trarci dal Creatore stesso della nostra natu-
ra. L’essenza della natura, da cui deriva la forma del pro-
cesso di sviluppo che si conviene all’uomo, è in se stes-
sa stabile ed eterna, e deve perciò esser fondamento sta-
bile ed eterno dell’arte dell’educazione. Per questo agli
occhi di ogni osservatore non superficiale, l’arte educati-
va, anche se sia giunta al suo massimo splendore, appare
come un grande edifizio che, per l’addizione inavvertibi-
le di ciascuna piccola parte si è elevato sopra una grande
e solida rupe, e riposa sovr’essa indistruttibilmente, sino
a che rimanga ad essa intimamente unito. Ma tosto pre-
cipita, si frantuma e si riduce alla massa incoerente delle
sue piccole parti costitutive, se la forza che l’avvince al-
la roccia cede, sia pur solo in qualche punto. Per quanto
siano grandi i risultati diretti ed indiretti dell’educazio-

Storia d’Italia Einaudi 81


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

ne, ciò che essa aggiunge al processo della natura, o piut-


tosto ciò che costruisce sul suo fondamento, è cosa ben
piccola e trascurabile. Essa partecipa allo sviluppo delle
nostre energie solo in quanto raccoglie in una più stret-
ta cerchia e in serie ordinate ciò che la natura ci offre di-
sperso in una grande lontananza e in relazioni confuse,
e l’avvicina ai nostri cinque sensi, secondo rapporti che
aiutano la nostra memoria ed esercitano i sensi stessi a
rappresentarci gli oggetti ogni giorno in maggior nume-
ro e con maggiore esattezza e fissità. Tutta la forza del-
l’arte educativa riposa essenzialmente sull’armonia tra le
sue azioni e i suoi effetti, da un lato, e gli effetti essenziali
della natura fisica, dall’altro; tutta la sua opera non è che
una cosa sola con quella di questa natura.
Uomo! Segui il procedere della sublime natura, che
dal seme dell’albero più gigantesco non fa uscire da
principio che un germe impercettibile, ma, crescendolo
di giorno in giorno, di ora in ora invisibilmente e pur
senza interruzione, forma dapprima le basi del tronco,
poi quelle dei rami principali e alla fine quelle dei rami
secondari, sino all’estremo picciolo a cui si attacca la
fronda caduca. Osserva questo processo della sublime
natura, come essa ha cura di ogni parte da lei formata e
la protegge, come essa congiunge ogni nuova creazione
alla vita già assicurata della precedente.
Osserva come il fiore splendido germoglia da gemme
formate nell’interno dei tessuti, come esso rapidamente
perde l’incantevole splendore della sua prima forma di
vita, e, ancora tenero, ma già frutto pienamente formato
nella sua intima struttura, aggiunge ogni giorno constan-
temente qualcosa, ma qualcosa di reale, a ciò che esso è
già, e così va crescendo silenziosamente per lunghi mesi
sospeso al ramo che lo nutre, sino a che, perfettamente
maturo e completo in ogni sua parte, cade dall’albero.
Osserva come madre natura, al primo risvegliarsi del-
la vita nel seme, sviluppa il germe della radice e seppelli-

Storia d’Italia Einaudi 82


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

sce profondamente nel seno della terra la parte più pre-


ziosa dell’albero; come essa fa uscire il tronco immobi-
le dall’intima sostanza della radice, i rami principali dal-
l’intima sostanza del tronco, e i rami secondari dall’inti-
ma sostanza dei rami principali, e come dà a tutte le par-
ti, anche alle più lontane, una energia sufficiente, ma non
mai inutile, eccessiva o sproporzionata».
Il meccanismo della natura sensibile dell’uomo è nel-
la sua essenza soggetto alle medesime leggi secondo cui
la natura fisica sviluppa in generale le sue forze. Secon-
do queste leggi, ogni insegnamento deve imprimere nel-
l’intimo dello spirito umano, profondamente ed indele-
bilmente, la parte essenziale di ciascun ramo di sapere;
poi, solo più tardi connettere a questa le parti seconda-
rie, gradatamente, ma con energia ininterrotta e accorda-
re con lei in un tutto vivente e proporzionato ogni parte,
anche di poca importanza, di quel determinato campo
del sapere.
Cercai dunque di scoprire le leggi alle quali lo svilup-
po dello spirito umano deve essere assoggettato in for-
za della sua propria natura. Sapevo che esse doveva-
no essere le stesse di quelle che caratterizzano la natu-
ra fisico-sensibile, e ritenevo di poter trovare in esse il fi-
lo per tessere l’orditura di un metodo generale e psicolo-
gico d’insegnamento.
Uomo! dicevo a me stesso nella fantastica ricerca di
questo filo, come tu riconosci che la maturità fisica è
caratterizzata dal fatto che il frutto è perfetto in tutte le
sue parti, così non devi ritener maturo alcun giudizio che
non ti appaia come il risultato di un’intuizione, completa
in tutte le sue parti, dell’oggetto che vien giudicato. Ogni
giudizio invece che in un uomo sembra maturo, prima
che sia intervenuta un’intuizione completa, deve essere
considerato alla stregua di un frutto caduto dall’albero,
roso dai bachi e che perciò solo ha l’apparenza di essere
maturo.

Storia d’Italia Einaudi 83


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

1. Impara dunque in primo luogo a ordinare le tue in-


tuizioni e a dar compiutezza ai principi più semplici pri-
ma di passare a ciò che è complesso. Cerca di costruire
in ogni ramo di scienza una serie graduata di cognizioni,
in cui ogni nuovo concetto non sia che un’aggiunta leg-
gera, quasi impercettibile, alle nozioni precedenti, pro-
fondamente ed indelebilmente impresse nel tuo spirito.
2. In secondo luogo, procura che tutti gli oggetti es-
senzialmente connessi, abbiano nel tuo spirito la stessa
connessione ch’essi hanno realmente nella natura; subor-
dina nella tua rappresentazione l’inessenziale all’essen-
ziale, e specialmente l’impressioni artificialmente pro-
dotte a quelle che derivano dalla natura e dalla sua con-
creta verità. Non dare alle cose nella tua rappresentazio-
ne una importanza maggiore di quelle ch’esse posseggo-
no per la specie umana nella natura.
3. Rafforza e rischiara le impressioni degli oggetti
più importanti, avvicinandoli a te per mezzo dell’arte
didattica e facendoli agire su di te attraverso i differenti
sensi. Riconosci a questo scopo sopratutto la legge del
meccanismo fisico che fa dipendere la forza relativa di
tutte le impressioni dalla vicinanza o dalla lontananza
fisica di ogni oggetto che colpisce i tuoi sensi, da tali
sensi stessi. Non dimenticar mai che questa vicinanza o
lontananza sensibile determina tutto ciò che di positivo
v’è nella tua intuizione, nella tua coltura professionale e
perfino nella tua virtù.
4. Considera tutti gli effetti della natura fisica come
assolutamente necessari e riconosci in questa necessità il
risultato dell’arte con cui la natura raccoglie sotto il suo
impero in unità gli elementi apparentemente eterogenei
che costituiscono la sua materia, armonizzando ciascun
d’essi per il raggiungimento del suo fine. Fa in modo che
l’arte didattica per mezzo della quale tu agisci con l’inse-
gnamento sugli altri uomini elevi a necessità fisica i risul-
tati a cui essa aspira, in modo che in tutto il tuo opera-

Storia d’Italia Einaudi 84


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

re i mezzi apparentemente più eterogenei concorrano a


raggiungere il medesimo fine.
5. Ma i risultati della necessità fisica, per la ricchezza
e la varietà dei loro riflessi e delle loro conseguenze,
portano in sè generalmente un’impronta di libertà e di
indipendenza.
Fa in modo dunque che i risultati dell’arte didattica e
dell’insegnamento quando si siano elevati a una necessità
fisica, portino in sè per la ricchezza e la varietà dei
loro riflessi e delle loro conseguenze, un’impronta di
indipendenza e di libertà.
Tutte queste leggi a cui è soggetto lo sviluppo della
natura umana s’incentrano, nella loro totalità, intorno ad
un sol punto: s’incentrano cioè intorno al punto centrale
di tutto il nostro essere, e questo punto è il nostro io.
Amico, tutto ciò che io sono, tutto ciò che io voglio
e tutto ciò che io devo essere deriva; da me. Non deve
dunque derivare da me stesso anche il mio conoscere?

Storia d’Italia Einaudi 85


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Io ti ho esposto brevemente queste proposizioni, da cui


io credo si può trarre le fila di un metodo generale e psi-
cologico dell’insegnamento. Ma esse non mi soddisfano;
io sento di non poter ancora rappresentarmi nella sua
semplicità e nella sua estensione l’essenza della legge di
natura su cui queste proposizioni si fondano. Mi pare
però ch’esse abbiano una comune triplice sorgente.
La prima di queste sorgenti è la natura stessa, per
opera della quale il nostro spirito si eleva dalle intuizioni
oscure al concetti chiari.
Da questa sorgente derivano i seguenti principi che
devono essere riconosciuti come i fondamenti delle leggi
di cui io ricerco la natura:
1. Tutte le cose che colpiscono i miei sensi sono per
me mezzi a raggiungere idee esatte, solo in quanto le lo-
ro immagini presentano ai miei sensi la loro essenza inva-
riabile ed immutabile, anziché le loro variazioni mutevo-
li o gli aspetti particolari. Esse sono invece fonti d’errore
e d’inganno se le loro immagini presentano ai miei sensi
le loro proprietà accidentali invece della loro essenza.
2. Ad ogni intuizione profondamente impressa nello
spirito umano e fissata nella memoria, si collega con
grande facilità e quasi involontariamente una serie di
concetti collaterali che sono più o meno in rapporto con
quella intuizione.
3. Quando l’essenza di un oggetto è impressa nel tuo
spirito più fortemente che non i suoi particolari aspetti,
il meccanismo della tua natura spontaneamente, ti gui-
da, nei riguardi di questo oggetto, giorno per giorno, di
verità in verità. Al contrario quando gli aspetti variabi-
li di un oggetto sono impressi nel tuo spirito più forte-
mente della sua essenza questo meccanismo della tua na-

Storia d’Italia Einaudi 86


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

tura, giorno per giorno, nei riguardi di questo oggetto, ti


guida di errore in errore.
4. Riavvicinando oggetti della stessa natura, il nostro
giudizio sulla loro interna verità acquista una maggiore
ampiezza, essenzialità ed universalità, si fa più penetran-
te e più sicuro; l’impressione parziale e predominante de-
gli aspetti particolari si indebolisce a vantaggio dell’im-
pressione che deve fare su di te l’essenza degli oggetti
stessi, il fascino che esercita sul tuo spirito la forza iso-
lata di singole impressioni di aspetti particolari, è vinto,
e tu sei salvato dal pericolo di confondere leggermente
l’apparenza esteriore degli oggetti con la loro essenza e
quindi di accordare un’esagerata importanza e preferen-
za ad una cosa che un’osservazione più attenta t’avreb-
be rivelato affatto secondaria, e di riempirti la testa inu-
tilmente di queste vanità.
Non può essere altrimenti. Quanto più l’uomo possie-
de idee estese e generali intorno alle cose, tanto meno è
soggetto alla influenza nociva di idee limitate e partico-
lari delle cose stesse; quanto meno invece egli è esercita-
to all’ampia intuizione della natura, tanto, più facilmente
le idee particolari di un aspetto mutevole di un oggetto
possono in lui confondere ed oscurare l’idea essenziale
dell’oggetto stesso.
5. Anche l’intuizione più complessa consta di elementi
semplici. Se tu hai questi in tuo potere anche ciò che è
complesso ti diverrà semplice.
6. Quanti più sensi tu impieghi nell’indagare l’essenza
o le qualità fenomeniche di un oggetto, tanto più esatta
diviene la tua conoscenza di questo.
Questi mi sembrano essere i principi del meccanismo
fisico, che derivano dalla natura del nostro spirito stesso.
Ad essi si connettono le leggi generali di questo mecca-
nismo, di cui io accenno ora solo a questa: la perfezione
è la massima legge della natura tutto ciò che è imperfetto
non è vero.

Storia d’Italia Einaudi 87


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

La seconda sorgente di queste leggi fisico-meccaniche


è la sensibilità della mia natura, unita strettamente alla
facoltà dell’intuizione.
La mia natura infatti oscilla in ogni sua operazione tra
il desiderio di conoscere e di saper tutto, e il desiderio
di goder di tutto, che soffoca l’impulso al sapere ed alla
conoscenza. Come pura forza fisica, la pigrizia dell’uomo
è stimolata dalla curiosità, e la sua curiosità è moderata
dalla sua pigrizia. Ma tanto lo stimolo dell’una come il
freno imposto dall’altra non hanno, in sè stessi, che un
valore fisico. Invece, come fondamento sensibile della
mia energia d’investigazione, l’uno, e come fondamento
sensibile della calma nel giudizio, l’altro, hanno un valore
assai superiore. Solo per mezzo dell’infinita attrattiva
che l’albero della conoscenza esercita sulla nostra natura
sensibile, noi arriviamo al sapere; solo per mezzo del
principio d’inerzia che impone un fine preciso al nostro
superficiale passare da un’intuizione ad un’altra, può
maturare in noi, secondo varie direzioni, la verità, prima
che le diamo espressione esteriore.
Ma i nostri anfibi cercatori di verità non ne voglio-
no sapere di questo suo maturarsi interiore; essi van gra-
cidando della verità prima ancora di averne il presenti-
mento, non pure la conoscenza. Ma in verità non posso-
no far altro. Manca a loro tanto la forza dei quadrupedi
per camminare sulla terra ferma, quanto le pinne dei pe-
sci per nuotare sovra gli abissi, quanto le ali degli uccel-
li per elevarsi sino alle nubi. Essi ignorano al pari di Eva
l’intuizione disinteressata della realtà, ed hanno con lei
comune il destino nel cogliere il frutto della verità prima
ancora che sia maturo.
La terza sorgente di queste leggi fisico-meccaniche sta
il nella relazione della mia condizione esteriore con la
mia facoltà conoscitiva.
L’uomo è legato al suo nido e quando lo sospende
a cento fili e lo circonda di cento giri, che cosa egli fa

Storia d’Italia Einaudi 88


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

più del ragno che sospende il suo nido a cento fili e


lo circonda di cento giri? E quale è la differenza tra
un ragno un po’ più grosso ed un ragno un po’ più
piccolo? Il loro modo di vivere è essenzialmente lo
stesso: ambedue stanno nel centro del cerchio che essi
hanno tracciato. Ma l’uomo non può scegliersi da sè
il centro in cui sospendersi e tessere la tela della sua
vita; egli, come vera natura fisica, non ha altro criterio
per la verità se non quello della maggiore o della minor
vicinanza degli oggetti che giungono alla sua intuizione,
al centro in cui egli è sospeso e tesse la tela della sua vita.

Storia d’Italia Einaudi 89


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

VI

Amico, tu vedi almeno la pena ch’io mi dò per spiegarti


i principi teoretici della mia impresa. Valga questa a
farmi scusare la sua poca riuscita pratica. Già fino dai
venti anni io ho rinunciato allo studio filosofico nel vero
senso della parola, e per fortuna l’attuazione pratica del
mio progetto non richiedeva alcuna filosofia del genere
di quella che a me pare tanto misera e vana.
Nel cerchio della mia vita pratica io vivevo ogni situa-
zione ed ogni problema con tutta l’intensità che le mie
forze permettevano; sapevo ciò che io volevo, non pen-
savo al domani, ma sentivo in ogni istante ciò che il pre-
sente esigeva. E se talvolta la mia fantasia mi portò assai
più in là del terreno ove io potevo solidamente posare i
piedi, tosto io rifacevo il cammino erroneamente percor-
so. Ciò mi accadde mille e mille volte. Mille e mille vol-
te io credetti d’essermi avvicinato alla meta, e trovai in-
vece all’improvviso che la meta ch’io mi ero illuso d’a-
ver raggiunto non era che un nuovo monte contro cui mi
urtavo. Ciò m’avvenne specialmente quando i principi e
le leggi del meccanismo fisico cominciarono a diventar-
mi più chiari. Mi sembrava ormai che tutto si riduces-
se ad applicare questi principi alle varie discipline che da
millenni l’umanità considera come essenziali allo svilup-
po delle sue facoltà e ch’io ritenevo i principi d’ogni ar-
te e d’ogni sapere, cioè allo scrivere, al leggere, al far di
conti ecc.
Ma di mano in mano ch’io mi studiavo di far tali ap-
plicazioni constatavo con sempre maggior precisione e
sicurezza che queste materie di studio non sono senz’al-
tro gli elementi dell’arte e dell’istruzione, ma che al con-
trario devono venir organizzate secondo un sistema d’in-
segnamento assai più generale. Ma la coscienza di questa

Storia d’Italia Einaudi 90


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

verità così importante per il metodo d’istruzione e che si


venne in me sviluppando mentre cercavo di approfondi-
re le varie discipline scolastiche, rimase per molto tempo
una serie di intuizioni isolate, in rapporto con le singole
materie a cui volta per volta si riferiva la mia esperienza.
Così, insegnando a leggere, scopersi la necessità di su-
bordinare questo studio all’insegnamento della lingua, e
cercando i mezzi per insegnare ai fanciulli a parlare, tro-
vai esser necessario sempre il principio per cui quest’arte
deve svolgersi secondo la legge con cui la natura ascende
dal suono alla parola, e da questa solo gradualmente alla
lingua nel suo complesso.
Nell’affaticarmi ad insegnare a scrivere scopersi che
quest’arte deve essere subordinata al disegno, come, in-
segnando il disegno, mi convinsi ch’esso doveva collegar-
si e subordinarsi all’arte della misurazione.
L’insegnamento dell’alfabeto destò in me il bisogno
del libro per la prima infanzia con il quale confidavo di
poter dare ai fanciulli di tre o quattro anni cognizioni
concrete, superiori a quelle che oggi possiedono i fan-
ciulli di sette od otto. Ma queste esperienze che pure
praticamente mi conducevano a scoprire realmente nuo-
ve vie per l’insegnamento, mi facevano sentire ch’io non
possedevo il mio metodo nella sua totale estensione.
Cercai a lungo un comune principio psicologico di
questi metodi particolari, essendo persuaso che questo
era il solo mezzo di scoprire la forma in cui l’umanità
potesse essere educata dall’essenza stessa della natura.
Era manifesto che questa forma è fondata nella strut-
tura universale del nostro spirito, la quale fa si che il no-
stro intelletto riconduca ad unità, nella sua rappresenta-
zione, le varie impressioni che la sensibilità riceve dal-
la natura, che le sintetizzi in un concetto e che sviluppi
questo concetto sino alla piena chiarezza.
Dicevo a me stesso: ogni linea, ogni misura, ogni pa-
rola è un risultato dell’intelletto che vien prodotto da in-

Storia d’Italia Einaudi 91


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

tuizioni giunte a maturità e che deve essere concepito co-


me mezzo a una chiarificazione successiva dei nostri con-
cetti. E ogni insegnamento, nella sua essenza, non è altro
che questo; perciò i suoi principi devono essere ricava-
ti dalla originaria forma immutabile dell’evoluzione del-
lo spirito umano. Importa quindi sopratutto di raggiun-
gere la conoscenza più precisa di questa forma origina-
le. Io perciò riprendevo continuamente in esame i prin-
cipi elementari da cui questa conoscenza doveva essere
ricavata.
Il mondo, dicevo a me stesso nelle mie interiori medi-
tazioni, sta dinanzi a noi come un mare di intuizioni con-
fuse che trapassano le une nelle altre. Compito dell’inse-
gnamento e dell’arte didattica, se essi devono veramen-
te e senza alcun danno per noi abbreviare il processo del
nostro sviluppo intellettuale, che affidato alla sola natu-
ra sarebbe troppo lento, è appunto di togliere il disor-
dine di questo materiale intuitivo, distinguere tra di lo-
ro gli oggetti, unificare nella percezione quelli che sono
simili e coerenti, renderli a noi chiari, e dalla loro chia-
rezza sensibile elevare lo spirito del fanciullo alla distin-
zione intellettiva dei concetti. Essi possono raggiungere
questo risultato se ci pongano sott’occhio ad una ad una
le intuizioni che sarebbero naturalmente confuse e disor-
dinate, e quindi ci presentino tali intuizioni isolate nei lo-
ro differenti variabili aspetti, e se alla fine le connettano
con tutta la cerchia delle nostre precedenti conoscenze.
Così il nostro conoscere procede dalla dispersione alla
determinatezza, dalla determinatezza alla chiarezza, dal-
la chiarezza sensibile alla chiarezza e distinzione intellet-
tuale.
Ma la natura, nel processo di questo sviluppo, s’attie-
ne assolutamente alla grande legge che fa dipendere la
chiarezza della mia conoscenza dalla vicinanza o lonta-
nanza degli oggetti che colpiscono i miei sensi. Tutto ciò
che ti circonda appare ai tuoi sensi, caeteris paribus, tanto

Storia d’Italia Einaudi 92


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

più confuso, e quindi tanto più difficile a rendersi chia-


ro e distinto, quanto più esso è lontano dai tuoi sensi e,
all’opposto, appare tanto più determinato e quindi faci-
le a rendersi chiaro e distinto, quanto più è vicino ai tuoi
sensi.
Come natura dotata di vita fisica, tu non sei altro che
i tuoi cinque sensi; quindi la chiarezza o l’oscurità dei
tuoi concetti dipende assolutamente ed essenzialmente
dalla vicinanza o dalla lontananza in cui gli oggetti esterni
vengono a colpire i tuoi cinque sensi, cioè te stesso, ossia
il centro in cui le tue rappresentazioni si unificano.
Questo centro di tutte le tue intuizioni, cioè te stesso,
è per te un oggetto della tua intuizione. Tutto ciò che
tu sei, può rendersi a te assai più facilmente chiaro e
distinto di ciò che è fuori di te, tutto ciò che tu senti
di te stesso è, in sè, una intuizione determinata, solo ciò
che è fuori di te può essere un ’ intuizione confusa per
te; quindi lo sviluppo delle tue conoscenze, in quanto
riguarda te stesso, è assai più breve di quando ha il suo
oggetto in qualcosa d’esteriore. Di tutto ciò di cui tu sei
cosciente, come di un qualcosa che riguarda la tua vita
interiore, tu sei cosciente in modo affatto determinato;
tutto ciò che tu stesso conosci, è in te ed in sè, per
riflesso a te, perfettamente determinato. Perciò in questa
direzione la via a concetti chiari e distinti si apre assai più
facile e sicura che non in alcun’altra, e tra tutto ciò che
è chiaro, nulla può esser più chiaro della chiarezza di
questo principio, che la conoscenza della verità procede,
nell’uomo, dalla conoscenza di se stesso.
Amico, queste idee vivaci, ma confuse circa gli ele-
menti dell’istruzione si avvolgevano per lungo tempo nel-
la mia anima, sino a che le espressi nella mia relazione,
senza che neppure allora mi fosse possibile di trovare una
connessione continua tra di esse e la legge del meccani-
smo fisico, e senza che io riuscissi a determinare con sicu-
rezza gli elementi primi da cui dovesse svilupparsi la se-

Storia d’Italia Einaudi 93


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

rie degli artifici didattici, o piuttosto la forma in cui fosse


possibile di determinare lo sviluppo spirituale dell’uma-
nità secondo l’essenza della sua natura stessa. Finalmen-
te e da poco tempo, come un Deus ex machina, mi piov-
ve in mente il pensiero che ogni nostra conoscenza deri-
va dal numero, dalla forma e dalla parola, e mi sembrò
gettare nuova luce sull’oggetto delle mie ricerche.
Un giorno mentre mi affaticavo nei miei tentativi, o
piuttosto mi lasciavo portare dai sogni e dalle fantasie
sull’argomento che mi interessava, mi venne fatto di pen-
sare quale è di fatto e quale deve essere il procedimento
di un uomo colto che voglia nettamente analizzare e ren-
dersi a poco a poco chiaro un oggetto che gli si presenta
dapprima confuso innanzi agli occhi.
Egli volgerà e dovrà volgere il suo esame ai seguenti
punti:
1° Quanti sono gli oggetti che stanno innanzi a lui e di
quanta specie;
2° Qual’è il loro aspetto: quale la loro forma e il loro
contorno;
3° Come si chiamano, con quale suono, con quale
parola possono venir richiamati alla memoria.
Evidentemente perché quest’esame abbia un esito oc-
corre che un tal uomo possegga pienamente queste fa-
coltà :
1° la facoltà di afferrare la forma di oggetti diversi e di
rappresentarsene il contenuto;
2º la facoltà di distinguere questi oggetti numerica-
mente e di rappresentarseli in modo determinato come
unità o come molteplicità;
3° la facoltà di accrescere l’impressione rappresentati-
va di un oggetto, nelle sue proprietà numeriche e forma-
li, e di fissarla indelebilmente per mezzo della parola.
Io conchiusi allora: numero, forma e linguaggio sono,
insieme, i mezzi elementari dell’insegnamento in quan-
to tutta la somma delle altre proprietà esteriori di un og-

Storia d’Italia Einaudi 94


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

getto si raccolgono nella cerchia del suo contorno e nelle


relazioni delle sue proprietà numeriche, e vengono assi-
milate dalla mia coscienza per mezzo della lingua. L’ar-
te didattica deve dunque fissare come legge immutabi-
le dell’insegnamento quella di partire da questo triplice
fondamento nel modo seguente:
1° Insegnare ai fanciulli a considerare ogni oggetto di
cui abbiano coscienza come unità, cioè come distinto da
quelli con cui sembra unito.
2° Insegnar loro a riconoscere la forma di ciascun
oggetto, cioè le sue misure e le sue proporzioni.
3° Render loro, il più presto possibile, famigliare l’in-
sieme delle parole e dei nomi degli oggetti da loro rico-
nosciuti.
Se dunque l’insegnamento dei fanciulli deve partire da
questi tre punti elementari, è chiaro che la prima cura
dell’arte didattica deve esser rivolta a dare a questi tre
elementi la massima semplicità, estensione e reciproca
armonia.
La sola difficoltà che mi rimaneva per riconoscere il
valore di questi tre punti elementari, era la seguente: per
qual ragione tutte le proprietà delle cose, che noi perce-
piamo per mezzo dei cinque sensi non sono punti ele-
mentari della nostra conoscenza, come il numero, la for-
ma ed il nome? Ma non tardai a comprendere che, men-
tre tutti gli oggetti possibili hanno incondizionatamente
numero, forma e nome, le altre proprietà che son perce-
pite per mezzo dei sensi non sono comuni a tutti gli og-
getti, ma questa all’uno e quella all’altro; al che si aggiun-
ge che tali proprietà servono a farci distinguere al primo
sguardo i differenti oggetti. Così io riconobbi tra il nu-
mero, la forma e la parola e le altre proprietà delle co-
se una differenza essenziale ed assoluta, in modo ch’io
non potevo assumere nessuna di queste ultime come ele-
mento dell’umana conoscenza. Scopersi invece che tut-
te le altre proprietà delle cose che vengono percepite per

Storia d’Italia Einaudi 95


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

mezzo dei nostri cinque sensi si possono connettere im-


mediatamente a questi elementi della conoscenza uma-
na, in modo che quindi, nell’insegnamento infantile, la
conoscenza di tutte le restanti qualità degli oggetti devo-
no essere immediatamente collegate alla forma, al nume-
ro, al nome. Allora io vidi chiaramente, che con la co-
scienza dell’unità della forma e del nome di un oggetto,
la conoscenza che io ne posseggo diviene realmente de-
terminata; che con la coscienza gradualmente sviluppa-
ta di tutte le sue altre proprietà essa diviene sensibilmen-
te chiara; che infine per la coscienza della connessione di
tutte le sue proprietà essa diviene intellettualmente chia-
ra e distinta.
Allora procedetti oltre e scopersi che tutta la nostra
conoscenza deriva da tre forze elementari:
1° la facoltà di emettere suoni, da cui si sviluppa la
facoltà della parola;
2º la facoltà indeterminata e puramente sensibile di
rappresentazione, da cui si sviluppa la coscienza di tutte
le forme;
3° la facoltà determinata e non più puramente sensi-
bile di rappresentazione, da cui deve ricavarsi la coscien-
za dell’unità e con essa la facoltà della numerazione e del
calcolo.
Io conclusi così che l’educazione dell’uomo deve tro-
vare il suo punto d’attacco nei primi e più semplici ri-
sultati di queste tre facoltà fondamentali, nel suono, nel-
la forma e nel numero, e che l’insegnamento delle sin-
gole nozioni non potrà mai raggiungere un risultato che
soddisfi la nostra natura, considerata nel suo senso più
universale, se questi tre semplici risultati delle nostre fa-
coltà fondamentali non siano posti a base d’ogni insegna-
mento come i suoi elementi comuni, additati dalla natura
stessa, e se, in seguito a tale riconoscimento l’istruzione
sia svolta secondo forme che, in modo universale ed ar-
monico, siano derivate da questi primi risultati delle tre

Storia d’Italia Einaudi 96


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

forze elementari della nostra natura e tali da guidare il


corso dell’insegnamento, sino alla sua compiutezza, nei
limiti di una progressione continua, in cui siano eserci-
tate armonicamente ed equilibratamente le tre forze ele-
mentari. Solo in tal modo divien possibile di sollevarci,
in tutti questi tre campi, dalle intuizioni oscure a intui-
zioni determinate, da queste a chiare rappresentazioni e
da quest’ultime infine a concetti distinti.
Io trovo così alfine essenzialmente e intimamente con-
giunta l’arte didattica con la natura, o piuttosto con la
forma originaria con cui essa in generale ci rischiara gli
oggetti della realtà. In tal modo è sciolto il problema di
un comune principio di tutti i procedimenti didattici, e
trovata nel tempo stesso la forma secondo cui lo svilup-
po intellettuale dell’uomo può essere determinato dal-
l’essenza della nostra stessa natura.
Insieme sono tolte le difficoltà dell’applicazione delle
leggi meccaniche, ch’io riconosco come fondamento del-
l’umana istruzione, alle forme d’insegnamento, che l’e-
sperienza di millenni ha offerto all’umanità per il suo pri-
mo sviluppo intellettuale, cioè allo scrivere, al calcolare,
al leggere, e via dicendo.

Storia d’Italia Einaudi 97


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

VII

Il primo elemento dell’istruzione è il suono.


Da esso derivano tre speciali mezzi di insegnamento:
1° lo studio dei suoni ossia il mezzo di educare gli
organi vocali.
2° lo studio della parola ossia il mezzo di imparare a
conoscere i singoli oggetti.
3º lo studio della lingua ossia il mezzo di imparare ad
esprimersi con precisione sovra gli oggetti che ci sono
noti e sulle loro proprietà.

I
Studio dei suoni

Esso si divide a sua volta nello studio dei suoni parlati e


in quello dei suoni cantati
Suoni parlati.
Non si deve abbandonare al caso la decisione se all’o-
recchio del fanciullo questi suoni debbano giungere di
buon’ora o tardi, in grande o in piccolo numero. È ne-
cessario che essi giungano alla sua coscienza il più presto
possibile nella maggior quantità.
Questa immediata conoscenza dei suoni dovrebbe es-
ser già completa prima che in lui sia formata la facoltà
espressiva; invece la capacità di ripeterli tutti e con faci-
lità, dovrebbe essere perfetta prima che gli fossero messe
dinanzi agli occhi le lettere dell’alfabeto e si comincias-
sero con lui i primi esercizi di lettura.
Quindi il sillabario deve comprendere tutti i suoni di
cui si compone la lingua, e in ogni caso il bimbo che co-
mincia a sillabare dovrebbe farlo in presenza del fratel-
lino che giace ancora in culla, affinché questi suoni, per

Storia d’Italia Einaudi 98


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

la ripetizione frequente, si imprimessero profondamente


nella coscienza di quest’ultimo e vi si fissassero indelebil-
mente, prima che egli fosse in grado di pronunciarli.
Chi non ha veduto con i propri occhi non può credere
quanto la ripetizione di questi suoni semplici: ba ba ba,
da da da, ma ma ma, la la la, ecc. tenga desta l’attenzione
e l’interesse dei bambini, e quanto la coscienza formatasi
per tempo di questi suoni giovi allo studio successivo dei
fanciulli.
Seguendo questo principio, del valore che ha per il
bimbo l’aver una chiara coscienza dei suoni, prima an-
cora di pronunciarli e nella convinzione che non è meno
importante decidere quali siano le imagini e gli oggetti
che son presentati agli occhi del bambino, di quello che
sia stabilire quali suoni debbano esser presentati al suo
orecchio, io ho composto un Libro per le madri. In esso
io ho reso intuitivi, per mezzo di incisioni in legno, non
solo gli elementi del numero e della forma, ma anche le
altre proprietà essenziali degli oggetti che i cinque sen-
si ci rivelano. Ancora in esso, con la conoscenza profon-
da e avvivata da un’intuizione complessa di molti nomi,
preparo e facilitò il futuro apprendimento della lettura,
mentre, con l’imprimere nettamente i vari suoni, prima
dell’esercizio del sillabare, preparo e facilito questo eser-
cizio. Infatti io tendo, per mezzo di questo libro, a intro-
durre e, per così dire, a installare nella testa del bambi-
no questi suoni prima ch’egli possa pronunciare una sola
sillaba.
Io voglio aggiungere a queste tavole intuitive per l’in-
fanzia un libro metodico che contenga l’esatta indicazio-
ne delle parole da usarsi per designare ciascun oggetto,
in modo che anche la madre più inesperta può ottenere i
risultati ch’io mi sono prefisso, non dovendo aggiungere
al testo neppure una parola.
Così, preparato per mezzo del Libro delle madri, reso
famigliare a tutti i suoni alfabetici dalla ripetuta loro

Storia d’Italia Einaudi 99


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

pronuncia fatta secondo il Sillabario, il fanciullo, appena


i suoi organi vocali saranno atti all’espressione, dovrà
essere abituato a ripeter più volte ogni giorno alcune
serie di suoni che si trovano sul sillabario, con la stessa
facilità e disinvoltura, con cui ripete a volte suoni senza
scopo.
Questo libro si differenzia da tutti quelli finora pub-
blicati perciò che il suo metodo, comprensibile a tutti,
anche all’alunno stesso, parte dalle vocali e col premet-
tervi e l’aggiungervi graduatamente le diverse consonan-
ti, forma le sillabe in modo completo e tale da facilitarne
evidentemente la pronuncia e la lettura.
Ad ogni vocale, dunque, si aggiungono l’una dopo l’al-
tra tutte le consonanti, dal b sino alla z e così da prima si
formano le sillabe semplici e facili, ab, ad, af, ecc.; poi a
ciascuna di queste sillabe semplici si premettono le con-
sonanti che nell’uso della lingua si congiungono effetti-
vamente a tali sillabe; per esempio, ad ab si premette b
g, sch, st:

b ab
g ab
sch ab
st ab e così via.

In tal modo con ciascuna vocale, aggiungendovi una


per una le consonanti, si compongono dapprima sillabe
facili, poi, invece aggiungendone più, sillabe più difficili.
Ne deriva così necessariamente una ripetizione variata
dei suoni semplici e una serie completa e ordinata delle
sillabe che hanno comune lo stesso suono fondamentale,
il che facilita moltissimo l’imprimersi di questo suono
nell’orecchio e quindi lo studio della lettura.
I vantaggi di questo libro sono in esso così esposti:

Storia d’Italia Einaudi 100


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

1º obbliga i fanciulli a soffermarsi sulla sillabazione


delle singole sillabe, sino a che si siano sufficientemente
addestrati.
2º approfittando delle varie combinazioni dei suoni
rende piacevole ai fanciulli la ripetizione dello stesso
suono, e riesce quindi a imprimerlo saldamente nella
memoria.
3° ottiene che i fanciulli arrivino con grande rapidità a
pronunciare ogni nuova parola, formata dall’aggiungersi
di una consonante ad altre sillabe già precedentemente
apprese, senza doverla sillabare, e quindi anche a sillaba-
re a memoria questa nuova composizione, il che faciliterà
loro grandemente lo scrivere corretto.
Nella breve introduzione sul modo di servirsi di que-
sto libro si esige che le madri pronuncino all’orecchio dei
fanciulli, prima ancora ch’essi possano parlare, parecchie
volte al giorno e in diverso ordine questa serie di suoni.
Questo esercizio deve essere ripreso con doppio zelo e
dal principio, appena i fanciulli apprendono a parlare,
affinché essi imitino quei suoni e imparino perciò rapi-
damente a parlare.
Per facilitare ai fanciulli la conoscenza delle lettere,
che deve precedere la sillabazione, le ho fatte incidere
a grandi caratteri in un’appendice a quel libro, in modo
che i fanciulli ne avvertano più facilmente le differenze.
Queste lettere dovranno essere, ciascuna separata-
mente, ingommata su di un cartone e presentate l’una
dopo l’altra al fanciullo, incominciando dalle vocali che
saranno di color rosso; e bisognerà ch’egli le conosca per-
fettamente e le sappia pronunciate prima di poter proce-
dere oltre. In seguito poi gli si mostreranno le consonan-
ti, ma sempre accompagnate da una vocale, poiché senza
di essa non possono venir pronunciate.
Quando, grazie a questo particolare esercizio e alla
sillabazione propriamente detta, di cui parlerò tra poco,
il fanciullo conosce pienamente le lettere dell’alfabeto,

Storia d’Italia Einaudi 101


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

si può introdurre lo studio della triplice forma delle


lettere, il cui modello si troverà aggiunto in appendice
a questo libro, ove sopra il carattere tedesco stampato,
che qui può essere scritto in proporzioni più piccole,
sta il carattere tedesco calligrafico, e sotto di esso il
carattere latino. Facendo prima sillabare il fanciullo,
seguendo il carattere mediano, e poi facendogli ripetere
la sillabazione sulla scorta degli altri, egli impara, senza
perdita di tempo, a leggere secondo i tre alfabeti.
Secondo la regola fondamentale della sillabazione, che
tutte le sillabe altro non sono che suoni formati dall’ag-
giunta di una consonante ad una vocale, queste devono
essere presentate prima, o meglio introdotte su una ta-
vola appesa alla parete, che deve avere al margine supe-
riore ed inferiore un regolo vuoto in cui si possano col-
locare delle lettere mobili e farle scorrere facilmente in
un senso e nell’altro. Dinanzi e dietro le vocali vengono
poste, secondo la regola già accennata, le consonanti: a
- ab - b ab - g ab, ecc. Ogni sillaba viene ripetuta ad al-
ta voce dal maestro e dagli alunni, sino a tanto che si sia
loro impressa nella memoria. Allora si fanno pronuncia-
re separatamente le singole lettere, fuori d’ordine (la pri-
ma? – la terza? ecc.) e ripetere a memoria le sillabe che
si terranno coperte.
Importa sopra tutto che la prima parte del libro non
sia studiata con troppa fretta, e che si proceda lentamen-
te, senza passare a un esercizio nuovo prima che i fan-
ciulli abbiano bene e pienamente appreso il precedente,
perché qui sta tutta la base dell’insegnamento della lettu-
ra, su cui tutto il resto può esser costruito solo con pic-
cole graduali aggiunte.
Quando i fanciulli sono pervenuti, in tal modo, a sil-
labare con facilità, si possono anche variare ed alterna-
re gli esercizi. Si può, ad esempio, comporre una paro-
la aggiungendo successivamente una lettera all’altra, si-
no a che sia compiuta, e far pronunciare ad ogni aggiun-

Storia d’Italia Einaudi 102


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

ta al fanciullo lettere già segnate; p. es.: s - se - sen - sena


- senat - senato. Si ripete poi lo stesso esercizio in senso
inverso, togliendo ad una ad una le lettere, facendolo ri-
petere tante volte che il bimbo possa sillabare senza er-
rori a memoria la parola. Si può cominciare dall’ultima
lettera invece che dalla prima, come più piace.
Finalmente si divide la parola in sillabe, si fanno con-
tare le sillabe, e, dopo averle contraddistiinte con un nu-
mero, si esige dai fanciulli che le pronuncino e le sillabi-
no secondo o fuori l’ordine.
V’è un grande vantaggio, specie nell’insegnamento
scolastico, se i fanciulli sono, fin dal principio, abituati a
pronunciare tutti insieme, nel medesimo momento, cia-
scun suono che sia stato precedentemente pronunciato
dal maestro o sia stato indicato con un numero contras-
segnante le lettere o le sillabe, giacché in tal modo que-
sto suono sembra risultare da una sola e forte emissio-
ne di voce. Questo artifizio rende tutt’affatto meccani-
co l’insegnamento e agisce con incredibile forza sui sensi
dei fanciulli.
Quando poi questi esercizi di sillabazione sulle tavole
saranno esauriti, si metterà nelle mani del fanciullo il
libro stesso come primo libro di lettura e glielo si lascerà
sino a quando egli sia capace di leggerlo correttamente.
Questo per ciò che riguarda i suoni parlati. Io do-
vrei dire ora qualcosa intorno allo studio dei suoni can-
tati, ma poiché il canto non può essere considerato in
se stesso come uno dei mezzi di cui ora mi occupo, per
salire dalle intuizioni oscure ai concetti chiari e distinti
ed è piuttosto da considerarsi come un’abilità da svilup-
parsi secondo altre direzioni e secondo altri fini, riman-
do la sua trattazione a più tardi, quando avrò a trattare
dell’educazione nel suo complesso, e dirò ora solo che
lo studio del canto deve anch’esso procedere, secondo i
principi generali, dagli elementi semplici, approfondir-
li esaurendone la conoscenza, e solo gradatamente salire

Storia d’Italia Einaudi 103


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

da quegli elementi divenuti ormai sicuri a nuovi eserci-


zi, pur guardandosi dal cadere in una rigidezza eccessiva
che paralizzerebbe l’energia stessa del fanciullo.

II

Il secondo grado d’insegnamento che deriva dalla facoltà


d’emettere i suoni, o, se si voglia, dal suono come primo
elemento, è lo studio della parola, ovvero lo studio dei
nomi del linguaggio.
Io ho già detto che anche a questo proposito il fanciul-
lo dovrà trovare la sua prima guida nel Libro delle madri.
Questo è fatto in modo che passa in rassegna i nomi dei
principali oggetti del mondo e particolarmente di quel-
li che si possono raccogliere sotto una sola specie ed un
solo genere in gran numero, così che la madre li può far
conoscere al fanciullo e renderglieli famigliari. In tal mo-
do i fanciulli, sin dalla prima età, vengono preparati allo
studio dei nomi, cioè al secondo grado d’insegnamento
fondato sulla facoltà d’emettere i suoni.
Questo studio comprende serie di nomi dei più impor-
tanti oggetti tolti dai vari campi dei regni naturali, dalla
storia, dalla geografia, dalle professioni e dalle relazio-
ni umane. Tali serie di parole vengono poste nelle ma-
ni al fanciullo, come vero esercizio di lettura, subito do-
po ch’egli ha terminato di studiare il suo sillabario. L’e-
sperienza mi ha insegnato che è possibile imprimere nel-
la memoria dei fanciulli queste serie di nomi nel tempo
stesso ch’essi imparano a leggere. Il vantaggio che deriva
dalla piena conoscenza fin da questo periodo di serie co-
sì varie ed estese di nomi, è veramente incalcolabile, per
la semplificazione dello studio successivo.

Storia d’Italia Einaudi 104


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

III

Il terzo grado d’insegnamento che deriva dalla, facoltà di


emettere i suoni è lo studio stesso della lingua.
Sono qui giunto al punto dove comincia ad apparire
chiaramente la forma che l’arte didattica, approfittando
della, facoltà della lingua propria al genere umano, de-
ve assumere per seguire passo passo il processo che la
natura tiene nel nostro sviluppo. Ma che dico? Appare
piuttosto il modo per cui l’uomo, secondo la volontà del
suo Creatore, può togliere dalle mani della cieca natura e
della sua sensibilità la formazione intellettuale dei propri
simili, per affidarla alle forze superiori che l’umanità ha
sviluppato in sè attraverso millenni. Appare il modo se-
condo cui l’umanità stessa in piena indipendenza e il sin-
golo uomo possono dare allo sviluppo delle proprie for-
ze l’indirizzo più concreto e più ampio insieme e il più
rapido processo, processo per il quale la natura diede al-
l’uomo forze e mezzi, ma non guida, nè glie l’avrebbe
potuta dare trattandosi appunto di un uomo. Appare in
fine il modo per cui l’uomo può compiere tutto questo
senza turbare la purezza e la semplicità del processo fi-
sico della natura, l’armonia che ha luogo nel nostro svi-
luppo puramente sensibile senza privare le facoltà uma-
ne del soccorso normale che ad esse offre la natura per
ciò che riguarda il lato fisico del loro sviluppo.
Tutto questo deve esser raggiunto per mezzo di una
compiuta didattica dell’insegnamento linguistico e di
una profonda conoscenza psicologica, che sappiano da-
re perfetto compimento al meccanismo del processo na-
turale che ascende dalle intuizioni confuse ai concetti di-
stinti. Io sono certo lontano ancora da questo termine
e mi sento veramente solo come una voce che grida nel
deserto.
Ma l’egiziano che prima legò alle corna del toro un’a-
sta ricurva e gli insegnò ad aiutar l’uomo nel tracciare i

Storia d’Italia Einaudi 105


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

solchi nel terreno preparava così la scoperta dell’aratro,


benché egli non fosse arrivato a dar perfezione alla sua
idea. Io aspiro solo al merito di aver foggiato un nuovo
strumento e di aver scoperto il punto a cui applicare la
sua forza.
Ma perché parlare in metafora? Io posso e devo dire
chiaramente e senza ambiguità ciò ch’io voglio. Io voglio
liberare l’insegnamento scolastico tanto dai metodi or-
mai superati e disprezzati dei vecchi maestri mestieran-
ti, quanto da quelli nuovi che, per la loro debolezza, son
forse peggiori dei primi, ed affidarlo alla indistruttibile
forza della natura, e alla luce che Dio ha acceso e avviva-
to e nei cuori dei padri e delle madri, all’interesse che i
genitori hanno naturalmente di rendere i loro figlioli ag-
gradevoli agli occhi di Dio e degli uomini.
Per poter determinare la forma dello studio della lin-
gua, o piuttosto le differenti forme per cui può raggiun-
gersi lo scopo di tale insegnamento, che consiste appun-
to nel far sì che noi possiamo esprimerci con precisio-
ne su qualunque oggetto a noi noto e su qualunque sua
proprietà, dobbiamo anzitutto chiederci:
1° Qual è per l’uomo il fine ultimo del linguaggio?
2° Quali sono i mezzi, o piuttosto, qual è il corso
progressivo, per cui la natura stessa ci guida a questo fine
con uno sviluppo graduale dell’arte della parola?
1° Il fine ultimo del linguaggio è manifestamente quel-
lo di portare l’uomo dalle intuizioni oscure ai concetti
chiari e distinti.
2° I mezzi secondo cui noi siamo guidati al raggiungi-
mento di tal fine sono, secondo il loro ordine naturale, i
seguenti:
a) Noi riconosciamo un oggetto in generale e lo deno-
miniamo come unità, come oggetto.
b) Noi acquistiamo a poco a poco coscienza delle sue
proprietà ed impariamo a denominarle.

Storia d’Italia Einaudi 106


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

c) Noi acquistiamo per mezzo della lingua la facoltà


di determinare con maggior precisione queste proprietà
degli oggetti per mezzo dei verbi e degli aggettivi, e di
farne risaltare le variazioni, mutando la struttura delle
parole e le loro connessioni.
1° Della cura con cui si deve insegnare a nominare con
precisione gli oggetti ho già detto sopra.
2° Quanto allo studio delle proprietà degli oggetti e
all’insegnamento delle espressioni ad esse convenienti,
due gradi son da distinguere.
a) L’insegnamento rivolto ad apprendere al fanciullo
ad esprimersi con precisione sulle proprietà numeriche e
formali. Numero e forma, come determinazioni elemen-
tari di tutti gli oggetti, sono le due più estese astrazio-
ni generali della natura fisica, e in sè, i due punti a cui
si connettono tutti gli altri mezzi per la chiarificazione e
determinazione dei nostri concetti.
b) L’isegnamento rivolto ad apprendere al fanciullo
ad esprimersi con precisione, oltre che sulle proprietà
numeriche e formali, anche sulle restanti proprietà degli
oggetti, tanto quelle che ci son date direttamente dai
cinque sensi, quanto quelle che non ci son date dalla
mera intuizione sensibile, ma dalla immaginazione e dal
giudizio intellettivo.
Le prime proprietà fisiche universali, che l’uso dei sen-
si ci ha insegnato da secoli ad astrarre dalle altre che ca-
ratterizzano gli oggetti, cioè il numero e la forma devo-
no essere portate di buon’ora alla coscienza del fanciul-
lo, non solo come proprietà appartenenti alle singole co-
se, ma come vere e proprie forme universali della realtà
fisica. Egli non deve solo, sin dalla prima età, imparare a
designare come rotondo o quadrato un oggetto rotondo
e quadrato, ma deve, se è possibile, ancor prima aver im-
presso nella mente il concetto di rotondo, di quadrato di
unità, come un puro Concetto astratto, per poter connet-
tere alla parola determinata che esprime l’universalità di

Storia d’Italia Einaudi 107


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

questo concetto tutto ciò che nella natura gli si presenta


come rotondo, quadrato, unitario, quadruplice e via di-
cendo. È qui evidente la ragione per cui il linguaggio de-
ve essere considerato come mezzo per esprimere le pro-
prietà numeriche e formali, a parte il valore ch’esso ha
come mezzo per esprimere le altre proprietà che i sensi
ci permettono di distinguere negli oggetti della natura.
Perciò io comincio ad avviare i fanciulli a una chia-
ra coscienza di queste proprietà e relazioni universali, si-
no già nel Libro per la infanzia. Questo libro offre infat-
ti una rassegna compiuta delle forme più comuni e ad-
dita il mezzo più semplice per rendere comprensibili al
fanciullo le relazioni numeriche. Ma la continuazione di
questo studio deve andar di pari passo con le esercitazio-
ni linguistiche ed essere rimandata a un tempo più tar-
do, perché si collega con lo studio speciale del numero
e della forma, che, come punti elementari della nostra
conoscenza, devono esser presi in considerazione dopo
compiuto l’insegnamento della lingua.
Nel primo libro di insegnamento, cioè nel Libro delle
madri o per l’infanzia, le immagini, benché disposte sen-
z’ordine, sono scelte in modo che tutte le proprietà fisi-
che a noi note per mezzo dei cinque sensi, trovano ivi la
loro denominazione precisa. Le madri, perciò, possono,
senza alcuna fatica, insegnare ai fanciulli ad esprimersi
con precisione sopra di esse.
Per ciò che riguarda le proprietà delle cose che non ci
sono note immediatamente per mezzo dei cinque sensi,
ma mediatamente, per l’intervento della nostra facoltà
di paragone, di immaginazione e di astrazione, io man-
tengo il principio generale, che non si deve voler otte-
nere un’apparente, precoce maturità di giudizio, e che i
nomi astratti, se pur si devono fare apprendere in que-
sta età al fanciullo, non devono valere che come eserci-
zio di memoria e occasione per l’esercizio della immagi-
nazione e della facoltà rappresentativa. Per quanto inve-

Storia d’Italia Einaudi 108


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

ce concerne gli oggetti che sono conosciuti immediata-


mente per mezzo dei cinque sensi e intorno ai quali è ne-
cessario che il fanciullo impari il più presto possibile ad
esprimersi correttamente, indico qui le regole seguenti.
Estraggo dal vocabolario i sostantivi di oggetti che si
possono facilmente caratterizzare con le proprietà che i
sensi immediatamente ci rivelano, e vi pongo a fianco gli
aggettivi che esprimono queste proprietà. Per esempio:

Anguilla – viscida, vermiforme, cuoiacea;


asse – forte, debole, sudicio;
carogna – morta, puzzolente;
sera – tranquilla, serena, fresca, piovosa;
terreno – sabbioso, cretaceo, seminato, concimato,
fertile, produttivo, improduttivo.

Poi faccio il contrario, cerco nella stessa maniera nel


vocabolario aggettivi che esprimano proprietà facilmente
riconoscibili di oggetti che cadono sotto i nostri sensi, e
aggiungo loro i sostantivi che esprimono gli oggetti di cui
è propria la qualità indicata dagli aggettivi. Ad esempio:

rotondo – palla, cappello, luna, sole;


leggero – piuma, bambagia, aria;
pesante – oro, piombo, legno di quercia;
caldo – stufa, giorno estivo, fiamma;
alto – torre, montagna, gigante, albero;
profondo – mare, lago, cantina, fossa;
molle – carne, cera, forra;
elastico – penna d’acciaio, osso di balena, ecc.

Storia d’Italia Einaudi 109


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Pure, io non voglio affatto restringere il campo della


riflessione del bambino, con offrirgli l’elenco completo
degli oggetti o delle qualità corrispondenti agli aggettivi
o ai sostantivi. Per ognuno di essi io non dò che pochi
esempi, ma tali da essere evidenti per l’esperienza sen-
sibile. E poi chiedo: Non conosci altre cose simili? e
quindi ancora: non conosci altre cose simili? I fanciul-
li, nella maggior parte dei casi, trovano facilmente nuovi
esempi nella cerchia della loro esperienza, a cui il mae-
stro non aveva pensato. Così la cerchia del loro cono-
scere viene insieme allargata e rischiarata, il che non sa-
rebbe stato possibile col metodo catechetico, se non con
una grandissima fatica e complicati artifici.
In ogni insegnamento catechetico lo spirito infantile
vien chiuso entro i limiti del concetto su cui lo si va ca-
techizzando, della forma secondo cui tale insegnamento
è fatto, della cerchia di cognizioni del maestro e soprat-
tutto dell’angosciosa preoccupazione di questo, che esso
non esca dall’artificiosa direzione che gli è stata segna-
ta. Amico, quali spaventose stretture vengono tolte alla
mente infantile per opera del mio metodo.
Ciò fatto, io cerco di facilitare sempre più, con l’uso
del vocabolario, al fanciullo, che già è fornito di una
complessa e multilaterale conoscenza degli oggetti del
mondo, la graduale chiarificazione di tali oggetti.
Per tal riguardo considero il materiale linguistico che
è testimonio dell’esperienza secondo quattro rubriche.

1. Descrizione della terra.


2. Storia.
3. Scienza naturale.
4. Storia naturale.

Ma per impedire l’inutile ripetizione della medesima


parola e rendere l’insegnamento il più breve possibile

Storia d’Italia Einaudi 110


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

divido queste quattro rubriche in quaranta suddivisioni


secondarie e classifico sotto di esse i nomi degli oggetti
che presento al fanciullo.
Fatto questo, io prendo per primo a considerare l’og-
getto più importante della mia intuizione, cioè me stes-
so, o piuttosto tutta la serie dei vocaboli che si riferiscono
all’uomo, riconducendo sotto le seguenti rubriche tutto
ciò che il linguaggio, testimonio dell’esperienza dice a
proposito appunto dell’uomo.
1ª Rubrica.
Quali vocaboli si riferiscono all’uomo considerato co-
me semplice essere fisico, in rapporto al regno animale?
2ª Rubrica.
Quali vocaboli si riferiscono all’uomo in quanto, per
mezzo dello stato sociale, tende ad elevarsi a indipenden-
za fisica?
3ª Rubrica.
Quali vocaboli si riferiscono all’uomo, in quanto, co-
me essere razionale, tende ad elevarsi a libertà interiore,
o alla propria perfezione? Suddivido alla lor volta queste
tre rubriche in circa quaranta suddivisioni secondarie, e
presento così suddivisi i vocaboli al fanciullo.
La prima esposizione di queste serie deve essere fatta,
nell’uno e nell’altro caso, sia per riguardo all’uomo che
per riguardo agli altri oggetti del mondo, in ordine alfa-
betico, senza l’intervento di qualsiasi altra preoccupazio-
ne intellettuale. Essa infatti non deve qui servire ad al-
tro scopo che a raccogliere intuizioni e concetti intuitivi
simili, per renderli gradatamente più chiari.
Quando questo primo grado dell’insegnamento è
compiuto, e il linguaggio ha offerto tutta la ricchezza del-
le sue parole in cui si rispecchia il mondo, nella sempli-
cità dell’ordine alfabetico, mi rivolgo ad un altro proble-
ma: Come deve ordinare l’insegnamento questi ogget-
ti, secondo relazioni e determinazioni più concretamen-
te rilevanti? Comincia allora un nuovo lavoro. Le stesse

Storia d’Italia Einaudi 111


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

parole, che, divise in settanta od ottanta serie, il fanciul-


lo aveva studiato e mandato a memoria secondo l’ordine
alfabetico, vengono a lui presentate nelle stesse suddivi-
sioni, ma, alloro interno, aggruppate secondo una clas-
sificazione di natura diversa; anzi si insegna al fanciullo
stesso a formare queste nuove serie ordinandole secondo
il nuovo punto di vista.
Mi spiego: i diversi campi in cui, per il nuovo crite-
rio, sono divisi gli oggetti, vengono indicati in capo ad
ogni serie, ed ogni campo è contrassegnato da un nume-
ro, una abbreviatura o altro segno qualsiasi. Il fanciullo
deve, sino dalle prime volte che impara a leggere, fissar-
si bene in mente queste suddivisioni fondamentali. Ac-
canto ad ogni parola della serie troverà il segno indicato-
re del campo a cui, secondo il criterio introdotto, si rife-
risce, e, così la nomenclatura semplicemente alfabetica si
trasformerà naturalmente in una nomenclatura scientifi-
ca che abbraccia tutti i campi.
Non so se sia necessario chiarire il procedimento con
un esempio; benché mi sembri superfluo, lo farò in con-
siderazione della sua novità. Per esempio. La Germania
è una parte d’Europa. Si faranno dapprima imparare al
fanciullo le tredici regioni principali in cui la Germania è
divisa; poi gli si faranno leggere le città della Germania,
dapprima in puro ordine alfabetico, notando però che il
nome di ciascuna città è accompagnato dal numero pro-
prio della regione in cui essa si trova. Tosto che la lettu-
ra di questi nomi di città è divenuta corrente, si fa avver-
tire al fanciullo la corrispondenza dei numeri con le sud-
divisioni introdotte nelle rubriche principali. In poche
ore egli riuscirà a indicare per ogni città della Germania
ch’egli trova nella serie alfabetica, la suddivisione delle
rubriche principali, ossia la regione che le corrisponde.
Abbia ad esempio dinanzi agli occhi i seguenti paesi
della Germania:

Storia d’Italia Einaudi 112


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Aachen 8.
Aalen 3.
Abenberg 4.
Aberthan 11.
Aken 10.
Adersbuch 11.
Agler 1.
Ahrbergen 10.
Aigremont 8.
Ala 1.
Allenbach 5.
Allendorf 5.
Allersperg 2.
Alschaufen 3.
Alsleben 10.
Altbunzlau 11.
Altena 8.
Altenau 10.
Altenberg 9.
Altenburg 9.
Altensalza 10.
Altkirchen 8.
Altona 10.
Altorf 1.

Storia d’Italia Einaudi 113


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Altranstädt 9.
Altwasser 13.
Alkerdissen 8.
Amberg 2.
Ambras 1.
Amöneburg 6.
Andernach 6.

Egli li leggerà tutti nel seguente modo:

Aachen si trova nella Westfalia.


Abenberg nella Franconia.
Aken nella Sassonia meridionale ecc.

In tal modo riesce facile al fanciullo, alla vista del nu-


mero o del segno rispondente alle suddivisioni della ru-
brica principale, di determinare a quali di esse, e quindi
quale campo particolare, si deve riferire ciascuna parola
di quelle serie, così che, come già fu detto, la nomencla-
tura alfabetica si trasforma in nomenclatura scientifica.
Qui finisce la mia parte, giacché le forze dei miei
allievi sono ora, come le mie, sufficienti a usare, per
proprio conto, di questi mezzi onde facilitare la loro
propria istruzione in qualsiasi ramo a cui li volge la
loro inclinazione o la loro volontà, mezzi che sono a
disposizione di tutti, ma che, per la loro natura, pochi
fortunati hanno sinora saputo usare. Questo e nessun
altro era il fine a cui io tendevo.
Io infatti non volli mai e non voglio insegnar al mondo
nessun’arte o nessuna scienza, giacché io non ne cono-
sco alcuna, ma voglio solo facilitare in generale al popo-
lo l’apprendimento degli elementi di ogni arte e di ogni

Storia d’Italia Einaudi 114


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

scienza, aprendo così alle forze abbandonate e quasi in-


selvatichite dei poveri e dei miseri della nostra terra, l’a-
dito ad ogni arte e ad ogni lavoro, che è l’adito all’umani-
tà stessa. Io voglio, se mi è possibile, distruggere la bar-
riera che trattiene le classi inferiori d’Europa, per rispet-
to alla coscienza della propria personalità e delle proprie
energie, che è il fondamento di ogni attività reale, ad un
gradino assai inferiore a quello in cui giacciono i barbari
del mezzogiorno e del settentrione giacché in mezzo alle
millanterie della nostra vantata coltura generale nove uo-
mini su dieci sono esclusi dagli elementari diritti dell’uo-
mo come essere sociale, dal diritto cioè di essere istruito,
o almeno dalla possibilità di far uso di questo diritto.
Possa questa barriera cadere incenerita sopra la mia
tomba! Oggi io so bene che non faccio che gettare un
carbone semispento sovra la paglia umida e bagnata, ma
io già sento, ed ormai vicino, un vento che soffierà sul
carbone; la paglia umida si asciugherà attorno a me,
si riscalderà e alla fine prenderà fuoco e leverà gran
fiamma. Sì, o Gessner, benché ora tutto sia umido
attorno a me, prenderà fuoco, arderà!
Ma mi accorgo che, avendo a lungo trattato del secon-
do grado dello studio della lingua, non ho ancora parla-
to del terzo grado, che deve condurre il fanciullo al rag-
giungimento del fine stesso dell’insegnamento che mira
a render chiari e distinti i nostri concetti. Esso consiste
c) nell’insegnare al fanciullo a determinare con esattez-
za per mezzo della lingua le reciproche connessioni degli
oggetti e le loro variazioni secondo il numero, il tempo
e la relazione, o, piuttosto, a chiarir sempre meglio l’es-
senza, le proprietà, le forze di ogni oggetto, che lo stu-
dio dei nomi ci ha fatto conoscere e che le classificazio-
ni sopra accennate hanno già precedentemente in parte
illuminato.
Qui appaiono i fondamenti da cui deve procedere
un insegnamento concreto della grammatica e il corso

Storia d’Italia Einaudi 115


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

progressivo secondo cui questo studio può guidare al


fine ultimo dell’insegnamento, al chiarimento completo
dei concetti.
Anche qui io preparo al primo passo i fanciulli, in-
segnando loro a parlare in modo semplice, ma psicolo-
gicamente studiato. Voglio infatti che la madre, senza
neppure accennare ad alcuna regola o ad alcuna forma
grammaticale, pronunci dinanzi al bambino, come sem-
plice esercizio di esatta espressione, alcune proposizio-
ni ch’egli deve ripetere, sia per l’esercitazione degli orga-
ni vocali, sia per il loro contenuto stesso. Bisogna net-
tamente distinguere due scopi: l’esercizio dell’espressio-
ne fonica, e l’apprendimento delle parole, come elemen-
ti del linguaggio. Tenendo presente questi due punti di
vista, la madre pronuncia innanzi al bambino le seguenti
proposizioni:

Il padre è buono.
La farfalla è variopinta.
Gli animali cornuti sono erbivori.
Il tronco del pino è diritto.

Quando il bimbo ha più volle pronunciato queste pro-


posizioni in modo che il ripeterle gli è diventato facile, la
madre domanda: Chi è buono? Chi è variopinto? e poi
di nuovo: Che cos’è il padre? Che cos’è la farfalla, e via
dicendo.
E continua:

Chi è? – Che cosa sono?


Gli animali rapaci sono carnivori.
I cervi sono agili.
Le radici sono contorte.

Storia d’Italia Einaudi 116


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Chi ha? – Che cosa ha?


Il leone ha forza.
L’uomo ha ragione.
Il cane ha un buon naso.
L’elefante ha una proboscide.
Chi ha? – Che cosa hanno?
Le piante hanno radici.
I pesci hanno pinne.
Gli uccelli hanno ali.
I tori hanno corna.
Chi vuole? – Che cosa vuole?
L’affamato vuol mangiare.
Il creditore vuol essere pagato.
Il prigioniero vuole esser libero.
Chi vuole? – Che cosa vogliono?
Gli uomini ragionevoli vogliono ciò che è giusto.
Gli uomini irragionevoli vogliono ciò che lor piace.
I fanciulli vogliono giocare.
Gli uomini stanchi vogliono riposare.
Chi può? – Che cosa può?
Il pesce può nuotare.
L’uccello può volare.
Il gatto può arrampicarsi.
Lo scoiattolo può saltare.

Storia d’Italia Einaudi 117


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Il bue può cozzare.


Il cavallo può tirar calci.
Chi può? – Che cosa possono?
I sarti possono cucire.
Gli asini possono portare.
I buoi possono tirare.
I porci possono grugnire.
Gli uomini possono parlare.
I cani possono abbaiare.
I leoni possono ruggire.
I cavalli possono nitrire.
Le allodole possono cantare.
Chi deve? – Che cosa deve?
L’animale da tiro deve lasciarsi aggiogare.
Il cavallo deve lasciarsi cavalcare.
L’asino deve lasciarsi caricare.
La vacca deve lasciarsi mungere.
Il porco deve lasciarsi macellare.
La lepre deve lasciarsi cacciare.
Il diritto deve essere rispettato.
Chi deve? – Che cosa devono?
Le goccie di pioggia devono cadere.
I forzati debbono ubbidire.
Gli oppressi devono soggiacere.

Storia d’Italia Einaudi 118


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

I debitori devono pagare.


Le leggi devono essere rispettate2 .

Io procedo a connettere, declinando i notai e coniu-


gando i verbi, il secondo grado di questo esercizio con il
primo. Specialmente rispetto ai verbi ricorro ad un eser-
cizio di cui dò qui qualche esempio:
Verbi semplici:

tendere – al premio del maestro


respirare – coi polmoni
piegare – un albero
legare – i covoni, la paglia ecc.

Segue poi la seconda parte dell’esercizio, riferentesi


ai verbi composti. Per esempio: tendere. Io attendo
alle parole del maestro, al mio dovere, al mio piacere;
io pretendo questo o quest’altro; io intendo che una cosa
sia così o colà, io contendo con l’uomo che mi tradisce,
io distendo la mia anima, la rete.
In quanto l’uomo attende a qualcosa è attento, in
quanto non attende a qualcosa è disattento.
Io devo tendere più che ad altro, a migliorare me
stesso, o attendere prima a me che ad altro.
Spirare: Il vento spira debolmente, fortemente. Io
respiro rapidamente, lentamente. Io sospiro se il giorno
atteso non viene; io inspiro ed espiro continuamente.
Proseguo quindi ed estendo queste esercitazioni com-
ponendo frasi sempre più complesse e di mano in mano
più estese, più precise di significato e più varie di strut-
tura. Ad esempio:

2
Il criterio della divisione è dato: 1) dai verbi essere, avere,
volere, potere, dovere; 2) dal numero singolare e plurale.

Storia d’Italia Einaudi 119


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Io conserverò.
Io non conserverò altrimenti la mia salute.
Dopo quanto ho sofferto io non conserverò altrimenti
la mia salute.
Dopo quanto ho sofferto nella mia malattia io non
conserverò altrimenti la mia salute.
Dopo quanto ho sofferto nella mia malattia io non
conserverò la mia salute se non col riguardo.
Dopo quanto ho sofferto nella mia malattia io non
conserverò altrimenti la mia salute se non col massimo
riguardo.
Dopo quanto ho sofferto nella mia malattia io non
conserverò altrimenti la mia salute se non col massimo
riguardo e temperanza.
Dopo quanto ho sofferto nella mia malattia io non
conserverò altrimenti la mia salute se non col massimo
riguardo e con una generale temperanza.

Tutte queste frasi vengono ripetute variando le perso-


ne, il numero, i modi e i tempi dei verbi; ad esempio:

Io conserverò
tu conserverai, ecc.
Io conserverò la mia salute, ecc.

Ed ancora:

Io ho conservato,
tu hai conservato, ecc.

Storia d’Italia Einaudi 120


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Queste frasi, che devono imprimersi fortemente nella


memoria del fanciullo, vanno scelte in modo che siano
istruttive, morali ed adattate alle condizioni di vita dei
fanciulli.
Ad esse io aggiungo poi esempi di descrizioni di ogget-
ti sensibili, per impiegare e rinvigorire le forze che questi
esercizi hanno sviluppato nello scolaro.

Una campana è un grande vaso conico rovesciato di


metallo resistente, solitamente appeso per l’estremità
superiore e che si va di mano in mano restringendo
dall’imboccatura alla cima in forma di uovo ed ha nel
mezzo un battaglio sospeso, che, per un forte movi-
mento del vaso metallico, va a battere in basso contro
le pareti di questo e produce un suono caratteristico.
Camminare significa muoversi passo passo.
Star ritto significa star sulle proprie gambe con il
corpo in posizione perpendicolare.
Giacere significa stare su qualcosa col corpo in posi-
zione orizzontale.
Sedere significa stare su qualcosa in una posizione in
cui il corpo fa comunemente un doppio angolo.
Inginocchiarsi significa stare sulle gambe piegate ad
angolo.
Piegarsi significa abbassare il corpo curvando i ginoc-
chi.
Inchinarsi significa curvare nella parte superiore il
corpo posto in posizione perpendicolare.
Arrampicarsi, significa muoversi in alto o in basso
attaccandosi con le mani e coi piedi.
Cavalcare, significa farsi portare da un animale su cui
si sta seduti.

Storia d’Italia Einaudi 121


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Cadere, significa muoversi verso il basso senza o con-


tro il proprio volere.
Scavare significa togliere con un badile la terra di là
dove è, rivoltarla o trasportarla altrove.

Io vorrei lasciare ai miei allievi morendo, come dona-


tivo, un libro che servisse di sintesi a questi esercizi lin-
guistici . In esso, servendomi dei verbi principali, vorrei
presentare ai fanciulli i vari punti di vista che, in rappor-
to agli oggetti che vi si riferiscono, mi ha rivelato l’espe-
rienza di tutta la vita, in modo che ad essi appaiano co-
sì come sono apparsi a me, e così collegare, per mezzo di
questa esercitazione linguistica, alle parole che esprimo-
no l’operare degli uomini verità, intuizione esatte e puri
sentimenti.
Ad esempio:
Respirare. La vita è attaccata a un soffio. – Uomo!
Quando sbuffi di collera come un indemoniato, o bevi
col tuo petto l’aria pura della terra come fosse un vele-
no, che fai tu se non affrettare l’ora in cui rimarrai sen-
za respiro e libererai della tua presenza gli uomini che
offendesti con la tua collera?
Accrescere. La terra fu divisa per accrescerne la pro-
duttività. Così sorse la proprietà, il cui diritto può fon-
darsi solo su tal fine e non può opporsi ad esso. Ma se
lo Stato consente a chi possiede la terra o si arroga es-
so stesso poteri contrari a questo fine, le azioni dei ric-
chi e dei potenti che si fondano su tal violazione di di-
ritto ridestano nell’animo dell’oppresso il sentimento in-
distruttibile nel cuore di ogni uomo della sua originaria
uguaglianza di diritto sul possesso della terra, d’onde na-
scono, finché gli uomini sono uomini, le rivoluzioni, il
cui male non può essere mitigato o riparato, fino a che la
proprietà non sia ricondotta nei limiti di quel fine, per il
quale la terra, data liberamente in dono da Dio all’uomo,
è stata da questi divisa in singoli poderi.

Storia d’Italia Einaudi 122


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Esprimere. Ti lamenti di non poterti sempre esprime-


re come vorresti. Non lamentarti, ché un giorno o l’altro
sarai costretto, anche contro la tua volontà, a mostrare
d’esser saggio.
Ma è tempo di finire con questo argomento.
Mi sono trattenuto a lungo sullo studio della lingua,
come del mezzo per la graduale chiarificazione dei no-
stri concetti. Ma devo dire ancora ch’essa è il primo di
tali mezzi. Il mio metodo d’istruzione si contraddistin-
gue appunto da ciò che esso fa un uso assai maggiore
di quanto si sia fatto finora della lingua come del mezzo
per elevare il fanciullo dalle intuizioni oscure ai concet-
ti distinti, ed esclude dall’insegnamento elementare tut-
te quelle complesse combinazioni di parole che presup-
pongono già una effettiva conoscenza della lingua. Chi
ammette che la natura ci guida a una conoscenza distin-
ta dell’intero solo attraverso la conoscenza chiara delle
singole parti, è costretto anche a riconoscere che il fan-
ciullo deve possedere chiaramente le singole parole, pri-
ma di poter concepire con chiarezza e distinzione il sen-
so della loro connessione nel discorso. Ora chi ammet-
te ciò non può non gettar da parte tutti i libri per l’istru-
zione elementare sino ad ora in uso, giacché essi presup-
pongono nel fanciullo la conoscenza della lingua, prima
ancora che essa sia stata loro data. Sì, o Gessner, è ve-
ramente strano che anche il migliore testo scolastico del
secolo passato sembra aver dimenticato che il fanciullo
deve imparare a parlare prima che si possa parlare con
lui; è strana veramente questa dimenticanza, ma è pur
vera, e dopo che io me ne sono accorto non mi sembra
più impossibile che dai fanciulli si possano trarre uomi-
ni diversi da quelli nella cui educazione la pietà e la sag-
gezza dei tempi passati sembrano essersi dimenticate di
se stesse. La lingua è un’arte, un’arte infinita, o piuttosto
il compendio di tutte le arti praticate dall’umanità. Pro-
priamente essa riflette tutte le impressioni che la natura,

Storia d’Italia Einaudi 123


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

in tutti i suoi aspetti, ha esercitato sull’uomo. Per questo


io ne approfitto e cerco, sulla traccia dei suoni che carat-
terizzano l’espressione linguistica, di riprodurre nel fan-
ciullo quelle impressioni che hanno foggiato o prodotto
questi suoni. Il dono della lingua è un gran dono. Essa
dà in un solo istante al fanciullo ciò che la natura hai da-
to al genere umano attraverso secoli. Si dice del toro ag-
giogato: che cosa egli sarebbe se conoscesse la sua forza?
– io dico dell’uomo: che cosa egli sarebbe se conoscesse
la forza del suo linguaggio?
Al centro dell’educazione dell’umanità vi è una gran-
de lacuna: noi non solo siamo stati cosi dimentichi del
nostro dovere, da non insegnare al popolo minuto a par-
lare, ma a lui, che ignorava affatto il linguaggio, abbiamo
fatto imparare a memoria parole isolate ed astratte.
Davvero che gli Indiani non potrebbero far di più per
conservare la classe inferiore del loro popolo interamente
in uno stato di stupidità così da essere la più abbietta
delle genti umane.
Mi si contraddica pure, se si può. Io mi appello agli
ecclesiastici, alle autorità, a tutti gli uomini che hanno
vissuto in mezzo ad un popolo, che, mentre è completa-
mente abbandonato, è oppresso da queste mostruose ap-
parenze di cure fraterne. Chi vive presso un tal popolo si
faccia avanti e testimoni s’egli non ha sperimentato come
sia faticoso di far entrare in quelle povere teste solo un
concetto. Tutti sono d’accordo in proposito. «Sì, sì, di-
cono gli ecclesiastici, quando essi vengono a noi, non ca-
piscono una parola del nostro insegnamento». «Sì, sì, di-
cono i giudici, se anche essi avessero ragione, sarebbe lo-
ro impossibile di persuadere alcuno». La dama dice con
tono di sprezzante pietà: «Essi non sono che a un gra-
dino sopra le bestie; non sono buoni a nulla». I fannul-
loni che non sanno contare neppure sino a cinque li ri-
tengono più stupidi di loro stessi, che pur sono fannullo-
ni; e le canaglie di varie specie esclamano, ciascuno nella

Storia d’Italia Einaudi 124


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

propria maniera: «Fortuna che le cose son così. Se fosse-


ro altrimenti noi non potremmo sul mercato comperare
a così basso prezzo e vendere a prezzo così alto!».
Amico mio, così presso a poco parlano della loro pla-
tea i palchetti del grande teatro comico-cristiano d’Euro-
pa. Nè potrebbero parlare altrimenti, perché proprio es-
si, da circa un secolo, hanno tolto l’anima a questa platea,
così come non avvenne mai presso alcun popolo asiatico
o pagano. Io ripete qui ancora la ragione. Il popolo cri-
stiano del nostro continente è caduto così in basso, per-
chè, da più di un secolo, nelle sue scuole inferiori le vuo-
te parole hanno posto un tal peso sullo spirito umano
che non solo hanno distolta la sua attenzione dalle im-
pressioni della natura, ma hanno distrutto nell’uomo la
capacità stessa di riceverle. Io lo ripeto ancora: mentre
si faceva questo e si riduceva il popolo cristiano d’Euro-
pa a un popolo di retori e di sofisti, non gli si insegna-
va a parlare. Non è quindi meraviglia che la cristianità di
questo secolo e di questa parte del mondo sia quello che
è. Fa meraviglia piuttosto che la natura buona dell’uo-
mo, nell’artificiosità deprimente dell’insegnamento reto-
rico e parolaio proprio delle nostre scuole, abbia mante-
nuto ancora tanta forza interiore, quanta si può ancora
trovare nel popolo nostro. Ma, grazie a Dio, la stupidità
di tutte quelle arti scimiesche trova finalmente nella na-
tura umana il suo contrappeso e, giunta al massimo gra-
do che sia possibile sopportare, comincia già a cessare di
portar danni all’umanità. La stoltezza e l’errore portano
in se stessi il seme della loro propria distruzione; la verità
sola porta, in ogni sua forma, il seme dell’eterna vita.
Il secondo tra gli elementi., da cui derivano tutte le
conoscenze umane e da cui procede e deve procedere
quindi ogni metodo didattico è

Storia d’Italia Einaudi 125


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

La forma

Allo studio della forma deve precedere la coscienza intui-


tiva di oggetti dalle forme caratteristiche, la cui presen-
tazione ai fanciulli dovrà tener conto tanto della natura
della nostra facoltà intuitiva, quanto dello scopo partico-
lare di questo insegnamento.
Il complesso della nostra conoscenza ha origine:
1. dall’impressioni che riceviamo da tutto ciò che il ca-
so mette in relazione coi nostri cinque sensi. Questa for-
ma d’intuizione è disordinata, confusa ed ha uno svilup-
po limitato e lentissimo.
2. da tutte quelle cose che per l’intermediario dell’arte
didattica, sia dei genitori che dei maestri, sono presentate
ai nostri sensi. Questa forma d’intuizione naturalmente
più o meno estesa, organica e psicologicamente ordinata
a seconda dell’attitudine e dell’attività dei genitori o
dei maestri. Da queste anche dipende la maggiore o
minore rapidità e sicurezza del suo sviluppo, verso il fine
ultimo dell’insegnamento, cioè la definizione chiara dei
concetti.
3. dalla nostra volontà di acquistare nuove idee e dal-
la capacità di usare spontaneamente dei mezzi propizi ad
estendere le nostre intuizioni. Queste conoscenze intui-
tive hanno per noi un valore interiore, perché dànno ai
risultati della nostra intuizione una libertà che permet-
te, attraverso di essi, a ciascuno di noi d’acquistare il do-
minio e la direzione morale della formazione del proprio
spirito;
4. dalle conseguenze delle occupazioni e del lavoro
professionale e in genere di ogni attività che non abbia
per semplice scopo di procurarci delle intuizioni. Le in-
tuizioni così acquistate si collegano alle condizioni e alle
relazioni concrete dell’esistenza, e i loro risultati si accor-
dano con quelli degli sforzi compiuti per amore del do-
vere e della virtù. Tanto per la necessità del loro svilup-

Storia d’Italia Einaudi 126


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

po, quanto per la mancanza di un intervento diretto del-


la nostra volontà nei loro risultati, le cognizioni cosi ac-
quistate hanno la massima influenza sull’esattezza, conti-
nuità ed armonia delle idee e conducono perciò diretta-
mente alla chiara definizione dei concetti;
5. infine la conoscenza intuitiva si sviluppa anche per
analogia, poiché essa mi insegna a conoscere anche la
proprietà di quelle cose che non sono ancora giunte alla
mia intuizione, ma di cui io posso ricavare i caratteri da
altri oggetti simili ad esse che mi furon già dati nell’in-
tuizione. Questa forma d’intuizione fa si che lo sviluppo
della mia conoscenza, il quale, in quanto risultato delle
mie intuizioni reali, è solo un prodotto dei miei sensi, di-
venga opera della mia anima e di tutte le sue forze, e che
il campo delle mie intuizioni si allarghi in modo da cor-
rispondere a tutte le mie facoltà spirituali. Ma, intesa in
questo senso, la parola intuizione ha un’estensione mag-
giore di quanto non abbia nell’uso comune, giacché com-
prende tutta la serie di sentimenti che sono strettamente
congiunti alla natura della mia anima.
È essenziale di distinguere queste varie forme d’intui-
zione per poter ricavare le regole che sono proprie a cia-
scuna.
Ritorno di nuovo al mio assunto.
Dalla coscienza riflessa delle intuizioni di oggetti che
possiedono delle forme determninate, deriva l’arte del-
la misura geometrica. Essa prende le mosse da un’arte
dell’intuizione che deve essere radicalmente distinta dal-
la semplice facoltà di conoscere e dalla semplice rappre-
sentazione intuitiva delle cose. Da questa intuizione di-
sciplinata secondo norme didattiche particolari si svilup-
pano gli esercizi della misurazione con tutte le loro con-
seguenze. Ma la facoltà intuitiva, per mezzo del parago-
ne dei vari oggetti, indipendentemente dalle regole del-
l’arte della misura geometrica, ci conduce alla libera imi-

Storia d’Italia Einaudi 127


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

tazione dei loro rapporti, all’arte cioè del disegno, e at-


traverso questa all’arte dello scrivere.

Arte della misura

Essa presuppone un A B C dell’intuizione, cioè un me-


todo che semplifichi e determini le regole della misura-
zione, classificando le differenze di forma che appaiono
immediatamente nell’intuizione.
Io voglio di nuovo ricondurre la tua attenzione, o ami-
co Gessner, al procedimento empirico per cui pervenni
alle idee che ora ti espongo su questo soggetto, e a que-
sto scopo ti trascrivo qui un brano tratto dalla mia Rela-
zione. «Ammesso il principio, io dicevo, che l’intuizione
sia il fondamento di tutte le conoscenze, ne deriva neces-
sariamente che l’esattezza dell’intuizione è il fondamento
dell’esattezza del giudizio.
Ma è evidente che, dall’attuale punto di vista, la per-
fetta esattezza dell’intuizione non può essere se non con-
seguenza della misurazione dell’oggetto da giudicarsi o
di un così esercitato senso della proporzione da render
superflua la misurazione degli oggetti. La facoltà della
misura ha, per lo sviluppo intellettuale dell’uomo, un’im-
portanza appena inferiore a quella dell’intuizione. Il di-
segno è una determinazione lineare della forma, la cui
estensione e la cui struttura sono state con precisione ed
esattezza determinate appunto dalla facoltà della misura.
Il principio che l’esercizio e la capacità di misura-
re ogni cosa devono precedere, o almeno procedere di
egual passo, con l’esercizio nel disegno, è a tutti mani-
festo, eppure da tutti trascurato. L’istruzione in questo
campo suole oggi avvenire in tal modo: Si comincia con
intuizioni prive d ogni precisione; si costruiscono figu-
re sbilenche, le si cancellano, le si tornano a rifare, sino
a che vien formandosi il senso della proporzione. Allora
si giunge a ciò da cui si avrebbe dovuto cominciare; alla

Storia d’Italia Einaudi 128


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

misurazione. Questo è il nostro procedimento didattico,


eppure son passate migliaia d’anni dai tempi degli anti-
chi Egiziani ed Etruschi, i cui disegni erano fondati su
una perfetta capacità di misurazione, o, piuttosto, altro
non erano che queste misurazioni stesse.
Ci si chiede ora con quali mezzi il fanciullo può esse-
re avviato a questa misurazione esatta di tutti gli oggetti
che si offrono ai suoi occhi, in cui consiste il fondamento
d’ogni arte e di ogni tecnica? Il metodo più acconcio sta
necessariamente in una serie di rapporti di misura ricava-
ti dalla divisione in parti del quadrato, e tali da compren-
dere tutte le forme essenziali dell’intuizione e organizzati
secondo regole semplici, sicure e determinate.
I giovani artisti hanno, è vero, supplito spesso alla
mancanza di questi esercizi elementari, procurandosi,
con lunghe esercitazioni nella loro arte, i mezzi per rag-
giungere una più o meno grande abilità di rappresentar-
si gli oggetti e di copiarli, così come essi sono realmente
in natura. È pure innegabile che molti di loro acquista-
rono con pazienti e lunghi sforzi un senso così fine della
proporzione nell’analizzare le intuizioni più complesse,
da render per loro superflua la misurazione degli ogget-
ti. Tuttavia, quanti essi erano, tanti erano i mezzi di cui
si valevano; nessuno sapeva renderne conto, perché nes-
suno ne aveva chiara coscienza; nessuno quindi avrebbe
potuto parteciparli ai propri allievi. Questi, a lor volta,
erano nella stessa condizione dei loro maestri, e doveva-
no crearsi con sforzi faticosi e lunghi esercizi i mezzi a lo-
ro confacenti, o piuttosto, senza alcun mezzo, il fine deli-
berato cioè un senso esatto della proporzione. Così l’arte
rimase nelle mani di pochi fortunati, che avevano tempo
e pazienza di seguire tali vie tortuose per raggiungere la
mèta, e non potè diventare patrimonio di tutti, così che
l’aspirazione alla coltura artistica non si potè mai consi-
derare come un diritto a tutti comune. E che essa sia tale
non negheranno almeno coloro che considerano l’aspira-

Storia d’Italia Einaudi 129


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

zione al leggere e allo scrivere come diritto di ogni uomo


che appartenga ad un popolo civile, giacché l’inclinazio-
ne al disegno e la capacità di misurare si svolgono natu-
ralmente e liberamente nel fanciullo, mentre invece il sil-
labare e il leggere devono essere coltivati con molto sfor-
zo e molta fatica, se non si vuole che portino più danni
che vantaggi. Ora il disegno, in quanto deve contribuire
al fine generale dell’insegnamento, che è quello di forma-
re concetti chiari, è essenzialmente legato alla misurazio-
ne delle forme geometriche. Il fanciullo a cui si presen-
ta un oggetto da disegnare, prima ch’egli possa rappre-
sentarsi le proporzioni della sua figura, e renderne con-
to esatto, non potrà mai far sì che questa arte sia, come
deve essere, un mezzo reale per passare dalle intuizioni
oscure ai concetti chiari, e che nell’insieme della coltu-
ra personale si sviluppi armonicamente col fine superio-
re della coltura stessa, in rapporto al quale solo essa ha
quel valore che può e che deve avere.
Per dare dunque all’arte del disegno un sicuro fonda-
mento, bisogna subordinarla all’arte della misura, e de-
terminare secondo precisi rapporti di misurazione gli ele-
menti geometrici – angoli, archi o segmenti rettilinei –
derivati dalla suddivisione della forma, metodicamente
assunta come primitiva, del quadrato. Ciò è stato fatto,
ed io credo di aver organizzato tutta una serie di que-
ste figure, il cui uso faciliterà al fanciullo l’apprendimen-
to dell’arte della misurazione e la valutazione delle varie
proporzioni di tutte le figure, come l’A B C dei suoni gli
facilita l’apprendimento della lingua.

Storia d’Italia Einaudi 130


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Questo A B C dell’intuizione3 consiste nella divisione


del quadrato in parti uguali, d’onde risulta la determi-
nazione di forme precise che servono di base alla misu-
razione, e richiede una conoscenza esatta del primo ele-
mento del quadrato stesso, cioè della linea retta, nella sua
posizione orizzontale e verticale.
Le divisioni del quadrato per mezzo di linee rette dàn-
no origine a figure che serviranno per determinare con
precisione gli angoli, i cerchi e gli archi. Al complesso di
queste figure e dei loro rapporti dò appunto il nome di
A B C dell’intuizione.
L’insegnamento avviene nel modo seguente: Si fanno
osservare al fanciullo le proprietà della linea retta, con-
siderata isolatamente per sè, nelle sue diverse posizioni,
secondo direzioni differenti, e gli si dà chiara coscien-
za della varietà dei suoi aspetti, indipendentemente dal-
le loro possibili applicazioni alla costruzione delle figure
geometriche. Poi si indicano i nomi che prende la linea
retta: orizzontale, perpendicolare, obliqua e questa a sua
volta ascendente o discendente, e di nuovo ascendente

3
Io devo qui notare che l’A B C dell’intuizione si rivela co-
me il mezzo essenziale ed unico per raggiungere la capacità di
una valutazione esatta della forma di tutte le cose. Esso fu inve-
ce sino ad ora pienamente trascurato, tanto da non averne nep-
pure la più lontana idea. Per la conoscenza dei numeri e della
lingua non mancavano invece taluni di tali mezzi. Ora, la man-
canza di un mezzo di insegnamento elementare relativo alla for-
ma deve essere considerato non solo come una semplice lacuna
nell’istruzione, ma come la lacuna fondamentale che mina tutte
le nostre conoscenze, giacché essa si riferisce ad un campo a cui
le cognizioni numeriche e linguistiche devono essere subordi-
nate. Il mio A B C dell’intuizione deve rimediare a tale lacuna,
assicurando all’istruzione le basi sovra cui devono esser fonda-
ti tutti gli altri mezzi di insegnamento. Io prego tutti i tedeschi
che si sentono chiamati a formulare un giudizio sul mio meto-
do, a considerare queste idee come in esso fondamentali, tali
che dalla loro verità dipenda il valore di tutti i miei tentativi.

Storia d’Italia Einaudi 131


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

e discendente a destra o a sinistra; si distinguono in se-


guito le parallele secondo le loro direzioni in orizzonta-
li, perpendicolari ed oblique. Poi si indica il nome degli
angoli principali che hanno origine dall’incontro di que-
ste linee, cioè angoli retti, acuti ed ottusi. Finalmente gli
si fa conoscere e nominare la figura scelta come base per
tutte le forme di misurazione, cioè il quadrato, prodot-
to dall’unione di due angoli, e le sue divisioni in metà,
quarti, sesti ecc., infine il circolo e le sue parti, nelle di-
verse forme ch’esso viene assumendo quando si schiacci
in un senso allungandosi nell’altro.
Tutte queste indicazioni saranno date al fanciullo co-
me semplici risultati della sua stessa facoltà di misura-
zione, e la denominazione delle figure si limiterà in que-
sto primo corso al quadrato, al quadrilatero orizzonta-
le, al quadrilatero verticale o rettangolo, e alle modifica-
zioni della linea curva, cioè cerchio, semicerchio, quarto
di cerchio, elisse, semi elisse, quarto d’elisse e via dicen-
do. Bisogna quindi iniziare il fanciullo ad usare di queste
forme come di mezzi per la misurazione ed insegnargli a
conoscere la natura dei rapporti da cui sono prodotte. I
mezzi per ottenere questo scopo consistono:
1. Nel far conoscere e denominare al fanciullo i rap-
porti di queste figure.
2. Nel renderlo capace di valersene e di utilizzarle in
nuove applicazioni.
Il fanciullo sarà stato preparato a ciò dal Libro per le
madri, e gli saranno mostrati oggetti di varia forma, qua-
drati, rotondi, ovali, lunghi, larghi, stretti. Appresso gli
si presentano in modelli di cartone le figure dell’A B C
dell’intuizione, e precisamente le varie divisioni del qua-
drato, del cerchio e dell’elissi, per dargli anticipatamen-
te una coscienza, sia pure ancor vaga, dei concetti chiari
che dovranno sorgere in lui per mezzo dello studio geo-
metrico di queste figure e delle sue applicazioni pratiche.
Anche a ciò li prepara il Libro delle Madri, in cui essi tro-

Storia d’Italia Einaudi 132


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

vano i principi del linguaggio tecnico relativo a queste


forme e del calcolo indispensabile allo studio delle misu-
re.
L’A B C dell’intuizione guiderà a questo risultato i
fanciulli, in quanto porterà a piena chiarezza, per ciò
che riguarda lo studio della misura, i mezzi necessari a
quest’arte già noti, sia pure confusamente, per mezzo
del Libro delle Madri, cioè la lingua e il numero, e darà
agli allievi una sicura capacità di esperimenti rispetto alla
misura e al numero di ogni figura.
3. Il terzo mezzo per raggiungere lo scopo sopra in-
dicato consiste nel far copiare col disegno queste figu-
re al fanciullo. Questo esercizio, combinato con gli altri
due, lo conduce a poco a poco a formarsi concetti chia-
ri sulle varie figure e a riprodurle con esattezza. Quin-
di le relazioni costitutive delle figure che nel primo corso
erano state indicate come quadrilatero orizzontale e per-
pendicolare, in questo secondo corso verranno così de-
finite: nel quadrilatero orizzontale 2, la lunghezza è due
volte dell’altezza, nel quadrilatero perpendicolare 2, l’al-
tezza è due volte della larghezza, e via dicendo per tut-
ti i vari casi. Rispetto alla diversa inclinazione delle dia-
gonali, potranno anche costruirsi e mostrarsi agli alunni
dei quadrilateri orizzontali in cui il rapporto tra i lati è 1
1/2 e quadrilateri perpendicolari, in cui il rapporto tra i
lati è 2 1/3, 3 1/4, 1 1/6 ecc. Allo stesso modo si deter-
mineranno le varie direzioni della linea obliqua, gli an-
goli acuti ed ottusi, le divisioni del circolo e delle elissi,
derivate dalle suddivisioni del quadrato.
La conoscenza di queste figure ben definite perfezio-
na il senso delle proporzioni proprio della nostra incerta
intuizione naturale e lo trasforma in un’arte sottomessa
a regole determinate, che ci dà la possibilità di giudicare
dei rapporti di tutte le forme, in cui appunto consiste ciò
che io chiamo l’arte dell’intuizione. Questa è una nuova
arte che dovrebbe esser posta come essenziale ed univer-

Storia d’Italia Einaudi 133


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

sale fondamento allo studio di tutte le arti o attività prati-


che della nostra coltura. Ciascun fanciullo, per mezzo di
essa, arriva nel modo più semplice a giudicare ogni og-
getto naturale secondo la sua interna proporzione. Per
questa via egli arriva in una figura non solo a determi-
nare con precisione il rapporto fra l’altezza e la larghez-
za, ma anche il rapporto di ciascuna deviazione della sua
forma da quella del quadrato, sia nella direzione che nel-
la natura delle linee, e definirla con il nome con cui tale
deviazione è indicata nel nostro A B C dell’intuizione. I
mezzi per raggiungere questa attitudine stanno nell’arte
stessa della misurazione e vengono sviluppati nel fanciul-
lo dal disegno e particolarmente dal disegno lineare, sino
al punto che i metodi per misurare gli oggetti raggiungo-
no in lui una tale naturalezza quasi istintiva da consentir-
gli, dopo un sufficiente numero di esercizi, di fronte an-
che agli oggetti più complessi, di non usar più di tali me-
todi in modo sistematico, ma, anche senza alcun aiuto di
rappresentarsi i reciproci rapporti geometrici delle parti
di tali oggetti e di esprimerli con esattezza.
Non si può dire a quali risultati si può arrivare con
questo procedimento, anche se trattasi di fanciulli poco
dotati. E non permetto che mi si dica che questo è un
sogno. Io ho istruito dei fanciulli secondo questo princi-
pio, e la teoria del metodo non è in me altro che un ri-
sultato di esperienze decisive. Si venga e si veda. I miei
alunni solo da poco tempo sono guidati per questa via,
ma i risultati sono già tanto persuasivi che bisogna esser
uomini diversi dagli altri per non persuadersi solo osser-
vandoli! E ciò è veramente un risultato straordinario.

L’arte del disegno

È l’abilità di rappresentare e di, riprodurre fedelmente,


per mezzo di linee simili, la struttura, il contorno e i
caratteri strutturali di un oggetto dato all’intuizione.

Storia d’Italia Einaudi 134


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Quest’arte è immensamente facilitata dal nuovo meto-


do, per cui essa in tutte le sue parti si rivela come una
facile applicazione delle forme che il fanciullo non so-
lo conosce per mezzo dell’intuizione, ma di cui, per gli
esercizi di riproduzione, può valersi come di criterio per
la misurazione. Il procedimento è il seguente: Appena
il fanciullo disegna esattamente la linea orizzontale, con
la quale comincia l’A B C dell’intuizione, si scelgono dal
caos delle intuizioni delle figure il cui contorno non sia
che l’applicazione della linea orizzontale a lui già nota, o,
almeno, una sua impercettibile deviazione.
Si passa quindi alla linea verticale, poi agli angoli ret-
ti e così di seguito, e quando il fanciullo è impratichito
a sufficienza nell’applicazione di queste figure, si comin-
cia a poco a poco a introdurre in esse delle variazioni.
I risultati di queste regole, rispondenti all’essenza delle
leggi fisico-meccaniche, per l’arte del disegno non sono
per nulla minori di quelli dell’A B C dell’intuizione per
riguardo alla facoltà di misurazione dei fanciulli. Poi-
chè, secondo questo metodo, i fanciulli devono eseguire
a perfezione persino i disegni elementari, prima di pas-
sar oltre, in loro si sviluppa, sin dai primi passi di que-
st’arte, la coscienza dei risultati che potranno ottenere
quando avranno raggiunta una perfetta abilità e con es-
sa una tendenza alla perfezione e una ferma volontà di
perfezionarsi, il che non si ottiene nè con la stoltezza nè
col disordine nell’educazione. Le condizioni necessarie
al progresso di tale studio non sono solamente poste nel-
le nostre mani, ma radicate nelle intime forze della natu-
ra umana e i libri che insegnano l’applicazione delle fi-
gure geometriche offrono una serie di mezzi che, usando
di questa tendenza con arte psicologica e nei limiti delle
leggi fisico-meccaniche, portano i fanciulli al punto, cui
ho già sopra accennato, in cui divien loro superfluo di te-
ner sempre presenti le linee che servono come criteri di

Storia d’Italia Einaudi 135


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

misura, e di tutti i mezzi che guidano all’arte non resta


loro che l’arte stessa.

L’arte dello scrivere

La natura stessa subordina quest’arte al disegno e a tutti


i mezzi con cui s’insegna questo ai fanciulli e lo si perfe-
ziona, quindi essenzialmente all’arte di misurare.
L’arte della scrittura, più ancora del disegno stesso,
deve cominciare da esercizi di tracciamento di linee di
lunghezza determinata, non solo perché essa, in fondo, è
una forma di disegno lineare e non consente alcuna de-
viazione arbitraria dalle forme prescritte, ma anche per-
ché se essa vien insegnata al fanciullo prima del disegno,
gli guasta necessariamente la mano, perché la irrigidisce
in forme particolari, prima che essa abbia raggiunto e
si sia garantita l’elasticità necessaria a tracciare qualsia-
si figura, il che è per il disegno assolutamente necessa-
rio. Ed ancor più il disegno deve precedere all’insegna-
mento della scrittura, perché esso facilita immensamente
al fanciullo l’esatta formazione delle lettere dell’alfabeto
e risparmia a lui la grande perdita di tempo che deriva
dal dover più tardi liberarsi dall’abitudine di una scrittu-
ra irregolare e contorta. Invece col nostro metodo si ha
il grande vantaggio di rendere, sin dal principio, il fan-
ciullo consapevole della sua capacità di riuscire perfetta-
mente in quest’arte, in modo che, sin dal primo momen-
to ch’egli apprende a scrivere, risveglia in sè la volontà
di non lasciar nulla di incompleto o imperfetto nei primi
esercizi.
Come il disegno, così la scrittura devono cominciare
col gesso sulla tavola nera, giacché il fanciullo può scri-
vere perfettamente lettere alfabetiche col gesso in un’età
in cui gli sarebbe ancora assai difficile usar della penna.
Inoltre l’uso del gesso prima della penna è da consi-
gliare tanto per lo scrivere quanto per il disegnare, giac-

Storia d’Italia Einaudi 136


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

ché gli errori si possono così facilmente cancellare, men-


tre di solito sulla carta, per correggere una lettera sba-
gliata, si finiscono a intrecciarvi tratti ancor più difettosi.
E finalmente io considero come un grande vantaggio
anche questo, che il fanciullo cancella continuamente
sulla tavola nera anche ciò che è ben fatto. Non si può
comprendere il valore di questo fatto, se non si tien
presente quanto importi che l’uomo sia educato senza
vanagloria ed impari a non assegnare un eccessivo peso
all’opera delle sue mani.
Io divido lo studio della scrittura in due gradi:
1° quello in cui il fanciullo deve avvezzarsi a tracciare
e a combinare le lettere dell’alfabeto, senza l’uso della
penna.
2° quello in cui egli esercita la sua mano nell’uso del
vero e proprio istrumento della scrittura, cioè la penna.
Fin dal primo periodo metto sotto gli occhi del fan-
ciullo le lettere dell’alfabeto in dimensioni appropriate
ed ho fatto incidere un libro di modelli con cui i fanciul-
li, approfittando di questo metodo, possono da sé soli e
senz’altro aiuto imparare a scrivere. I vantaggi di questo
libro sono:
1° Si sofferma sufficientemente sulle forme elementari
e fondamentali delle lettere.
2° Collega graduatamente le forme più complicate
delle lettere a quelle più semplici.
3º Esercita i fanciulli a combinare più lettere tosto che
abbiano appreso a tracciarle esattamente e progredisce
passo per passo nella composizione delle parole che sono
costituite da solo quelle lettere che egli ha fino allora
appreso a tracciare.
4° Esso ha infine il vantaggio che le sue linee possono
essere intagliate e poste innanzi al fanciullo in modo da
soprastare immediatamente alla linea su cui il fanciullo
deve riprodurre quelle lettere.

Storia d’Italia Einaudi 137


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Nel secondo periodo in cui il fanciullo deve esser av-


viato all’uso del vero e proprio strumento della scrittu-
ra, cioè della penna, esso ha già acquistato una certa abi-
lità nel tracciare le forme delle lettere e nel combinarle
insieme, in modo che il maestro non ha altro da fare se
non trasformare l’abilità al disegno di queste forme ora-
mai perfette, per mezzo dell’uso della penna, in vera e
propria arte della scrittura.
Ma anche qui il fanciullo deve collegare ogni nuovo
progresso alle cognizioni ch’egli possiede di già. Il primo
esemplare per la scrittura a penna è quello che già gli
servì per la scrittura col gesso; e l’uso della penna deve
cominciare con lo scrivere le lettere in dimensioni uguali
a quelle che il fanciullo ha disegnato sulla lavagna. Solo a
poco a poco egli deve essere esercitato a scrivere le lettere
in dimensioni più piccole, secondo l’uso normale.
La psicologia dell’insegnamento esige che ad ogni
campo siano applicati metodi speciali, e che sia netta-
mente determinato quali di questi mezzi metodici possa-
no e debbano convenire ad ogni età. Come in tutte le
altre materie, così io applico questo principio anche alla
scrittura, e, avendolo esattamente seguito nella pratica e
nella composizione dei modelli da copiarsi col gesso per
i fanciulli di quattro o cinque anni, mi sono convinto che
con questo metodo anche un cattivo maestro e una ma-
dre inesperta possono insegnare ai loro fanciulli ascrive-
re con esattezza e bella calligrafia, senza saperlo forse fa-
re essi stessi. In questo caso, come sempre, lo scopo es-
senziale del mio metodo è di render possibile un’istru-
zione domestica al popolo così trascurato, e di dare a po-
co a poco ad ogni madre, il cui cuore batte per i suoi fi-
glioli, la capacità di seguirli senza fatica fino al termine
dei miei esercizi elementari, facendoli in comune con es-
si. Per riuscire a ciò essa non ha bisogno che d’essere di
poco più innanzi dei suoi fanciulli.

Storia d’Italia Einaudi 138


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Amico mio, il cuore s’apre a rinnovate speranze, ma,


appena ch’io accenno a queste speranze, mille voci mi
gridano: Le madri della campagna non lo vorranno! E
sono voci non solo d’uomini del popolo, ma d’uomini
che istruiscono il popolo, che gli insegnano la religione.
Essi mi dicono in tono di derisione: Tu potrai scorrere
i nostri villaggi in lungo e in largo; ma non troverai una
madre che faccia ciò che tu richiedi loro. Ed io rispon-
do loro: Io voglio, con i mezzi che ho a mia disposizio-
ne, riuscire a far compiere ciò ch’io voglio alle madri pa-
gane dell’estreme regioni settentrionali e se è vero che le
madri cristiane della civile Europa, che le madri cristia-
ne della mia patria si rifiutano di fare ciò ch’io son cer-
to di far compiere alle madri pagane del desolato setten-
trione, io voglio invitare questi signori che hanno sinora
istruito e guidato, essi e i loro padri, il popolo della no-
stra patria, e che oggi così lo calunniano, a lavarsi le ma-
ni e a dichiarare: «Noi non siamo colpevoli di questa in-
dicibile inumanità del popolo dell’Europa civile, di que-
sta indicibile inumanità del popolo svizzero, il più amo-
revole, il più docile, il più paziente popolo d’Europa!».
Dicano, se ne hanno il coraggio: «Noi e i padri nostri ab-
biamo compiuto quanto era nostro dovere per allontana-
re dal nostro continente e dalla nostra patria l’indicibile
miseria di questa inumanità e per impedire la totale rovi-
na della moralità e del cristianesimo in Svizzera ed in Eu-
ropa!». A coloro che osano dirmi: «Percorri in lungo e
in largo il paese, le madri del contado non faranno e non
vorranno fare ciò che tu esigi da loro», vorrei rispondere
ch’essi dovrebbero gridare a queste madri contro natu-
ra della patria nostra le parole di Cristo a Gerusalemme:
«Madri, madri, noi vi abbiamo voluto raccogliere sotto
le ali della sapienza, dell’umanità e del cristianesimo ma
voi non l’avete voluto!». Se osassero veramente far que-
sto, io dovrei tacere e credere alla loro parola, alla loro
esperienza, e non alle madri della mia terra, al cuore che

Storia d’Italia Einaudi 139


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Dio ha posto nel loro petto. Ma se quelli non osano pro-


nunciar tali parole, io non crederò loro, ma alle madri
della mia terra e al cuore che Dio ha posto nel loro petto,
e considererò le gravi e tristi parole con cui essi rigettano
da sè il popolo delle campagne, quasi fosse il prodotto
di una creazione meno buona, come un’ingiuria contro
il popolo, contraria alla natura e alla verità. Andrò per
la mia via, come un viandante, che in una selva lontana
ascolta il suono del vento, di cui non sente ancora so-
pra di sè l’alitare Io debbo, nonostante queste voci, pro-
seguire il mio cammino. Nella mia vita ho visto e cono-
sciuto ogni specie di questi retori, che si cullano in siste-
mi ed ideali, senza alcuna conoscenza e rispetto del po-
polo, e tra di essi i peggiori sono certo coloro che ingiu-
riano oggi il popolo chiamandolo indegno delle speranze
in esso riposte per l’educazione. Queste persone si cre-
dono elevate a grande altezza sopra il popolo che pensa-
no giacere in basso sotto i loro piedi, ma errano nell’u-
no come nell’altro giudizio. Incapaci, al pari delle misere
scimmie, per la presunzione dalla loro natura, di valuta-
re esattamente tanto le reali forze animali, quanto le vere
facoltà umane, questi retori illusi dall’artificiosità del lo-
ro passo stesso, non riescono a comprendere ch’essi stan-
no sui trampoli e che, per poter porre i piedi su questa
terra benedetta con sicurezza uguale a quella del popo-
lo, devono discendere dalle loro miserabili gambe di le-
gno. Mi fanno pietà. Io ho spesso sentito questi retori di-
re con un tono misto di innocenza monacale e di sapien-
za rabbinica: «Che cosa può valere meglio per il popo-
lo del catechismo di Heidelberg e del salterio?». Per ve-
ro di un tale atteggiamento bisogna far colpa in genera-
le alla debolezza umana, e considerare con spirito di tol-
leranza le ragioni di questo errore. Sì, amico, io voglio
perdonare a quelli anche questo sviamento dello spirito
umano, giacché avvenne e sempre avverrà così, gli uomi-
ni sono sempre uguali a loro stessi egli scribi e i loro di-

Storia d’Italia Einaudi 140


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

scepoli vi furono un tempo come vi sono oggi. Non vo-


glio aprir bocca contro la vanità delle loro teorie socia-
li contro la pompa delle loro vuote cerimonie, contro la
disposizione dell’animo loro privo di amore di saggezza,
che necessariamente ne risulta. Dirò piuttosto con il più
grande tra gli uomini che abbiano mai difeso vittoriosa-
mente la causa della verità, del popolo e dell’amore con-
tro gli scribi : «Signore, perdona loro perché non sanno
ciò che essi fanno!».
Ritorno al mio proposito. Lo studio della scrittura
appare in terzo luogo come un mezzo per imparare a
parlare. Nella sua essenza, infatti, la scrittura non è se
non una particolarità e una determinazione speciale di
quest’ultima arte.
Se, considerata nel mio metodo, come forma, in rap-
porto con la misurazione e col disegno, la scrittura go-
de di tutti i vantaggi provenienti da un precoce svilup-
po di quella capacità, considerata come una particolarità
dell’insegnamento della parola, partecipa di tutto ciò che
sin dalla culla è stato fatto per lo sviluppo del linguaggio,
secondo il mio metodo, e usufruisce dei vantaggi deri-
vanti dal precedente sviluppo della facoltà di parlare già
ottenuti e garantiti per mezzo del Libro delle madri, del
Sillabario e del Libro di lettura.
Un fanciullo con cui si sia usato questo metodo sa qua-
si a memoria il suo sillabario e il suo primo libro di lettu-
ra. Egli conosce per esteso i fondamenti dell’ortografia
e della lingua ed, essendosi esercitato a sufficienza, per
rispetto alla forma dello scrivere, sulla tavola nera e nei
primi esercizi di scrittura a tracciare le forme semplici
delle lettere e a combinarle insieme, non ha bisogno, per
il suo studio successivo, di alcun altro modello. Le no-
zioni di lingua e di ortografia hanno posto nella sua men-
te stessa tali modelli, così che, sulla guida del Sillabario e
del Libro di lettura può trovare da sè lunghe serie di pa-

Storia d’Italia Einaudi 141


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

role che rinvigoriscano le sue cognizioni linguistiche ed


esercitino la sua memoria e la sua fantasia.
I vantaggi di questi esercizi di scrittura così ordinati
e collegati cogli esercizi di lingua sono essenzialmente i
seguenti:
1º Tali esercizi riconfermano le cognizioni grammati-
cali che furono già precedentemente impartite al fanciul-
lo e rendono stabili i loro fondamenti nel suo spirito. Nè
può essere altrimenti, giacché egli, seguendo il Libro di
lettura in cui sono ordinati in serie separate i nomi, gli ag-
gettivi, i verbi, le congiunzioni ecc., impara a distinguere
e a raggruppare queste parole secondo tali serie, raggiun-
ge la capacità di riconoscere immediatamente a quali di
queste serie una qualsiasi parola appartenga e determina
le regole proprie a ciascun tipo.
2° In tal modo si accresce nel fanciullo la forza, che,
per mezzo della lingua, seguendo il nostro metodo, lo
guida alla formazione di concetti chiari e distinti, giacché
egli può scegliere per esercizi di scrittura le parole del
dizionario seguendo le rubriche e le suddivisioni nelle
serie particolari e procurandosi in tal modo idee ordinate
sulle singole specie delle varie cose.
3° Si rafforzano nel tempo stesso i mezzi per cui,
attraverso le esercitazioni di scrittura, il fanciullo può
arrivare a formarsi concetti chiari. E ciò non solo perchè,
tanto nello scrivere quanto nel parlare, lo si esercita
a comporre frasi risultanti dei principali nomi, verbi
ed aggettivi, ma perché questi esercizi elevano la sua
attività spirituale, spingendolo a ricavare dalla propria
esperienza nuovi concetti e ad ordinarli secondo le serie
il cui contenuto è stato appreso da lui nello studio della
lingua.
Per esempio, negli esercizi di scrittura non si limita
a trascrivere il nome degli oggetti ch’egli ha imparato a
conoscere come alti o acuti, ma esercitandosi, è spinto
dal suo compito stesso a riflettere e ad aggiungere tutti

Storia d’Italia Einaudi 142


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

i nomi degli oggetti che nella sua cerchia dell’esperienza


gli appaiono di tal forma.
Io voglio dare un esempio che provi quale sia lo spi-
rito indagatore dei fanciulli nel determinare queste con-
nessioni.
Proposi loro la parola triangolare, e, con l’aiuto di un
maestro, essi trovarono le seguenti applicazioni: Sono
triangolari il triangolo, il livello, il fazzoletto da collo,
la squadra, una specie di lima, la baionetta, il prisma,
la bacca del faggio, il raschiatoio dell’incisore, la ferita
della puntura della mignatta, lo stocco, il seme del grano
saraceno, il compasso, la parte inferiore del naso, la
foglia degli spinaci, il pericarpio del tulipano e la cifra 4.
Sulla tavola e sulla finestra trovarono molti altri oggetti
della stessa forma ma non seppero denominarli.
Altrettanto dicasi dell’aggiungere aggettivi ai nomi.
Per esempio, essi aggiungono alle parole: anguilla, ca-
rogna, sera, non solo tutti gli aggettivi ch’essi hanno ap-
preso dal libro di lettura come riferentisi a tali nomi, ma
quelli che la esperienza ha loro insegnato convenienti per
tali sostantivi. In tal modo, raccogliendo i caratteri dei
vari oggetti, giungono per la via più facile a conoscerne e
a fissarne la natura, l’essenziale proprietà, secondo diver-
si punti di vista e in corrispondenza con la loro propria
esperienza. Lo stesso dicasi dei verbi. Se, ad esempio,
devono completare il senso del verbo: osservare, aggiun-
gendovi sostantivi od avverbi, non si accontenteranno di
usare quelli che lo accompagnavano nel libro di lettura,
ma ne cercheranno altri, come sopra si è mostrato.
Le conseguenze di questi esercizi sono di grande im-
portanza. Essi fan sì che le definizioni imparate a me-
moria, ad esempio quelle della campana, del cammina-
re, dello stare, del giacere, dell’occhio, dell’orecchio ecc.
divengono per i fanciulli una guida sicura e generale per
esprimersi convenientemente in iscritto o a voce su tutti
gli oggetti di cui conoscono forma e materia. Si capisce

Storia d’Italia Einaudi 143


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

che quest’ultimo risultato non si può ottenere con lo stu-


dio isolato della scrittura, ma collegandolo con il com-
plesso dei mezzi con cui il nostro metodo mira alla gra-
duale chiarificazione dei concetti nella mente degli alun-
ni.
D’altra parte si comprende anche che in questo inse-
gnamento si ha di mira la scrittura non solo come un’ar-
te, ma come una tecnica necessaria, e che il fanciullo de-
ve esser condotto alla capacità di usare di questa artifi-
ciale espressione scritta con la medesima facilità e disin-
voltura con cui egli sa parlare.

Storia d’Italia Einaudi 144


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

VIII

Il terzo elemento della conoscenza è il numero.


Mentre il suono e la forma ci guidano alla formazio-
ne di concetti chiari e all’indipendenza spirituale che ne
consegue, con il sussidio di mezzi particolari, subordina-
ti alla loro elementarità didattica, l’aritmetica manca di
qualsiasi sussidio accessorio. Anche nelle sue più lonta-
ne applicazioni essa ci appare sempre come la manife-
stazione di quella forza elementare per cui noi possiamo
formarci una chiara coscienza dei rapporti del più e del
meno in ogni intuizione, ed arrivare a rappresentarceli
universalmente in forma precisa e definita.
Il suono e la forma portano spesso in sè, sotto diver-
so aspetto, il germe dell’errore e dell’inganno. Il numero
non mai; esso soltanto ci conduce sempre a risultati in-
fallibili, e se l’arte della misurazione si vanta del medesi-
mo privilegio, può farlo solamente per la collaborazione
dell’aritmetica e per la sua connessione con lei; in altre
parole, intanto è infallibile, in quanto calcola.
Se è vero che quell’insegnamento che ci conduce più
sicuramente al fine generale dell’istruzione, cioè alla for-
mazione di concetti chiari, deve essere considerato come
il più importante, esso deve anche esser coltivato uni-
versalmente e con cura ed arte tutte speciali, e, per il fi-
ne stesso generale sopraccennato, impartito in modo da
partecipare a tutti i vantaggi che possono dare all’istru-
zione una profonda psicologia e la conoscenza comple-
ta delle immutabili leggi del meccanismo fisico. Ho per-
ciò posto tutti i miei sforzi a far sì che nell’intuizione del
fanciullo i rapporti aritmetici vengano naturalmente ri-
levandosi come risultati evidenti di queste leggi, cercan-
do non solo dì ridurne gli elementi, nello spirito umano,
a quella semplicità con cui appaiono nell’intuizione rea-

Storia d’Italia Einaudi 145


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

le della natura, ma anche di connettere il processo suc-


cessivo, in tutti i suoi sviluppi, con precisione e continui-
tà a questi primi semplici elementi, convinto che anche
le più lontane applicazioni di quest’arte possono vale e
come mezzi ad una vera istruzione, cioè alla formazione
di concetti chiari e di giudizi esatti, se si sviluppano nel-
lo spirito umano secondo quell’ordine graduale, con cui,
nella natura stessa, derivano dai primi elementi.

Aritmetica

L’aritmetica si svolge dai processi elementari di unione


e separazione di più unità. La forma fondamentale dei
suoi processi, è, come fu detto essenzialmente questa:
uno più uno fa due, due meno uno fa uno. Qualun-
que numero, poi, non è in se stesso null’altro che l’ab-
breviazione di questa essenziale forma primitiva di ogni
numerazione. È però necessario che l’uso di queste ab-
breviazioni aritmetiche non offuschi nello spirito umano
la coscienza della forma primitiva delle relazioni nume-
riche. Questa deve anzi essere impressa con gran cura
nelle menti infantili, seguendo metodi a ciò convenienti,
e tutti i progressi in questa disciplina devono cercare di
fondarsi essenzialmente sulla coscienza di quei rapporti
reali che stanno alla base del calcolo. In caso contrario lo
studio matematico, che è il primo tra i mezzi per giunge-
re a formarsi concetti chiari, si abbasserebbe a un sempli-
ce gioco della memoria e dell’immaginazione, mancando
completamente al suo scopo.
Nè può avvenire diversamente. Se, per esempio, noi
impariamo a memoria: tre più quattro fa sette, e poi ci
volgiamo a considerare le proprietà del sette, come se
realmente sapessimo che tre più quattro fa sette, ingan-
niamo noi stessi, perché ignoriamo l’intima verità di que-
sto sette, giacché ce ne manca la rappresentazione sensi-

Storia d’Italia Einaudi 146


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

bile che solo può dare a quella per sè vuota parola un si-
gnificato di verità. È, del resto, ciò che avviene per ogni
disciplina. Anche il disegno, separato dalla misurazione
d’onde esso deriva, perde l’intima verità della sua essen-
za, che solo lo rende efficace a guidare alla formazione di
concetti chiari.
Io comincio, fino nel Libro delle madri, a cercare di ri-
svegliare nei fanciulli la coscienza delle relazioni numeri-
che, derivandole dalle variazioni reali del più e del meno
che si presentano negli oggetti ch’essi hanno davanti agli
occhi. Le prime tavole di questo libro, infatti, contengo-
no una serie di oggetti che dànno al fanciullo l’idea del-
l’uno, del due, del tre ecc. fino al dieci, sulla base di in-
tuizioni precise. Faccio quindi notare ai fanciulli su que-
ste tavole gli oggetti che sono indicati come unità, poi co-
me doppi, tripli ecc. In seguito faccio riscontrar loro tali
rapporti sulle dita delle mani, con dei piselli, dei sassoli-
ni ed altri oggetti famigliari, e mi sforzo di rinnovare cen-
to e cento volte al giorno la loro coscienza, col domanda-
re, durante i facili esercizi di compitazione e sillabazio-
ne: quante sillabe ha questa parola? Quale è la prima, la
seconda, la terza? e via dicendo. In questo modo s’im-
prime nella mente del fanciullo con perfetta chiarezza la
forma originaria del calcolo, e gli divengono famigliari,
nella loro intima verità, i numeri, come espressione ab-
breviata dei rapporti stessi del calcolo, nè egli imprende
a farne uso prima d’aver posto nell’intuizione sensibile i
loro sicuri fondamenti. Indipendentemente dal vantag-
gio di far così dell’aritmetica la base per la formazione
di concetti chiari, è incredibile quanto questi sicuri fon-
damenti intuitivi facilitino il calcolo al fanciullo, e l’espe-
rienza ci dimostra che i principi dell’aritmetica sono in
generale difficili, perché non vien usato a loro riguardo,
come si dovrebbe, questa regola psicologica. Perciò io
devo estendermi un poco nella esplicazione particolare
del metodo.

Storia d’Italia Einaudi 147


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Oltre i mezzi già indicati e dopo di essi, noi possiamo


usare perla numerazione anche la tavola alfabetica. Ogni
lettera che vi collochiamo rappresenta un’unità, così che
possiamo render note ai fanciulli le relazioni numeriche
nel tempo stesso che noi insegniamo loro le lettere. Po-
niamo dunque una lettera e chiediamo: «Sono molte le
lettere?». Il fanciullo risponde: «No, una sola». Allo-
ra ne aggiungiamo un’altra e chiediamo: «uno più uno,
quanto fa?». Il fanciullo risponde: «uno più uno fa due».
Così si prosegue, prima aggiungendone una per volta,
poi due, tre, ecc.
Quando il fanciullo ha pienamente compreso l’addi-
zione delle unità sino al dieci e ha raggiunto la massima
facilità nell’esprimersi, ricolloco le lettere sulla tavola nel
modo stesso, mutando però l’interrogazione: «Se tu hai
due lettere quante volte hai con esse una lettera?». Il fan-
ciullo, vede, conta e risponde esattamente: «Se io ho due
lettere, io ho due volte una lettera».
Quando poi questi precisi e ripetuti esercizi di nume-
razione gli avranno chiarito quante unità si contengono
nei primi numeri, si trasforma di nuovo la domanda e,
collocando sempre allo stesso modo sulla tavola le lette-
re, si chiede: «Quante volte uno fa due? Quante tre?» e
via dicendo, e poi di nuovo: «Quante volte l’uno sta nel
due? Quante volte nel tre?» e via dicendo. Solo quando
il fanciullo è perfettamente impratichito in questi eser-
cizi elementari di somma, sottrazione e divisione e, gra-
zie all’uso dell’intuizione ha compreso l’essenza di que-
ste operazioni, si deve cercare di fargli apprendere nel
modo stesso, per mezzo dell’intuizione, anche i principi
della sottrazione. Ciò avviene così : Delle dieci lettere
giustapposte sulla tavola se ne toglie una e si chiede: «Se
tu ne togli una da dieci, quante rimangono?». Il fanciul-
lo conta, trova nove e risponde: «Se io da dieci ne tol-
go una, ne rimangono nove». Si toglie allora una secon-
da lettera e si chiede: «Uno meno di nove, quanto è?».

Storia d’Italia Einaudi 148


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Il fanciullo conta di nuovo, trova otto e risponde: «Uno


meno di nove fa otto». Così si continua sino all’ultima.
Questo modo di spiegare i principi del calcolo si può
continuare, secondo le indicazioni precedenti, in queste
serie:

1 11 11 11 ecc.
1 111 111 111 ecc.
1 1111 ecc.

Quando è finita la somma di una serie, si riprende


la sottrazione dei singoli numeri secondo il medesimo
ordine. Se ad esempio, dopo aver sommati 1 + 2 = 3;
3 + 2 = 5; 5 + 2 = 7, si è giunti sino a 21, si cominciano
a togliere da 21 di nuovo 2 lettere, e si chiede: «21 - 2
quanto è?» e così si continua sino a che non rimangono
altre.
La nozione del più e del meno, che fu provocata nel-
la mente dei fanciulli con la presentazione al oggetti rea-
li e mobili, viene in seguito rafforzata in loro per mezzo
delle tavole aritmetiche, in cui in cui le stesse serie di re-
lazioni sono rappresentate con punti e linee. Queste ta-
vole servono di guida alla numerazione degli oggetti rea-
li, come il sillabario alla scrittura delle parole sulla lava-
gna. Quando poi il fanciullo si sarà esercitato nel conteg-
gio di oggetti reali o di punti e linee che li sostituiscono,
sino al punto ove lo guidano queste tavole, fondate es-
senzialmente sull’intuizione, la coscienza delle reali rela-
zioni numeriche sarà divenuta in lui così sicura, che l’u-
so delle abbreviazioni o delle cifre comuni gli diverrà in-
credibilmente facile anche senza intuizione diretta, per-
ché ora la sua energia spirituale sarà sicura da ogni con-
fusione, frammentarietà ed arbitrarietà. Si può dir così
propriamente che un tale studio aritmetico è solamente
un esercizio della ragione e non uno studio mnemonico

Storia d’Italia Einaudi 149


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

o un procedimento meccanico. Esso è infatti risultato di


un’intuizione chiara e determinata e deve condurre alla
formazione di concetti distinti.
Ora, poiché l’aumento o la diminuzione nel campo de-
gli oggetti reali non consiste solamente nell’aumento o
diminuzione di unità intere, ma anche nella suddivisione
delle unità in più parti, ne deriva una nuova forma di cal-
colo, o piuttosto ci si apre una nuova via di studio, in cui
ogni singola unità è posta come il fondamento di un’in-
finita divisione e di un’altrettanto infinita suddivisione
delle nuove unità che ne risultano.
Se per le operazioni precedentemente studiate di som-
ma e sottrazione degli interi, il numero 1 non deve essere
assunto come il punto di partenza del calcolo, e come il
fondamento dello studio intuitivo delle sue diverse com-
binazioni, per il calcolo sulle frazioni occorre trovare una
figura che abbia qui la funzione che l’uno possiede per
il calcolo sugli interi. Questa figura deve essere infinita-
mente divisibile in parti sempre eguali, e deve servire a
rendere intuibile il carattere dei numeri frazionari, come
parti di un tutto e insieme come unità particolari, in mo-
do che ogni frazione appaia al fanciullo, in relazione con
l’intero, altrettanto determinata e precisa quanto, secon-
do il nostro metodo per il calcolo sugli interi, il numero
uno appare compreso tre volte nel tre.
Nessun’altra figura può compiere tale funzione fuori
del quadrato.
Per mezzo di esso noi possiamo rappresentare sensisil-
mente al fanciullo il rapporto di divisione dell’unità, os-
sia la serie frazionaria in tutto il suo sviluppo, partendo
dal numero uno, come principio generale delle operazio-
ni aritmetiche, come già si è fatto per la somma e la sot-
trazione dei numeri interi. Noi abbiamo così composta
una tabella intuitiva delle frazioni, che ha undici serie,
ciascuna delle quali è composta di dieci quadrati.

Storia d’Italia Einaudi 150


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

I quadrati della prima serie sono interi, quelli della


seconda sono divisi in due parti, quelli della terza in tre
e via dicendo sino a dieci.
A questa tavola, suddivisa semplicemente, segue una
seconda tavola, in cui le suddivisioni intuitive hanno
questo ordine progressivo: I quadrati che nella prima
tavola sono divisi in due parti eguali, sono qui divisi in
2, 4, 6, 8, 10, 12, 14, 16, 18, 20 parti; e quelli delle altre
serie in 3, 6, 9, 12 ecc.
Ora, poiché l’A B C dell’intuizione risulta di figure che
hanno come fondamento la decima parte di un quadra-
to, è evidente che noi poniamo come fondamento comu-
ne dell’A B C dell’intuizione e dell’A B C del calcolo il
quadrato, o piuttosto che noi siamo riusciti a condurre i
metodi elementari d’insegnamento relativi alla forma ed
al numero a una tale armonia, che le figure geometriche
vengono usate come base intuitiva delle relazioni nume-
riche, e le basi intuitive delle relazioni numeriche come
figure fondamentali per lo studio geometrico.
In tal modo noi siamo giunti a far sì che i fanciulli,
seguendo il nostro metodo, apprendano il calcolo con
l’uso di questo A B C che dapprima noi abbiamo usato
solo come A B C dell’intuizione in senso stretto, cioè
come fondamento della misurazione e del disegno.
Per mezzo di queste tavole, la conoscenza dei rapporti
reali su cui si fondano le frazioni, diviene così sicura nel
fanciullo, da facilitargli in modo incredibile, corrispon-
dentemente a ciò che vedemmo per gli interi, le opera-
zioni sui numeri frazionari. L’esperienza mostra che i
fanciulli, con questo metodo, raggiungono la perfezione
in questi esercizi, quattro o cinque anni prima che non
coi sistemi comuni d’insegnamento. Lo spirito del fan-
ciullo con questi esercizi, come con quelli sopra indicati,
vien preservato da ogni confusione, frammentarietà ed
arbitrarietà, e anche qui si può dire: Questo studio arit-
metico è solamente un esercizio della ragione e non uno

Storia d’Italia Einaudi 151


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

studio mnemonico o un procedimento meccanico; esso è


il risultato di un’intuizione chiara e precisa e deve perciò
condurre facilmente, attraverso la formazione di concetti
chiari e definiti, alla verità.

Storia d’Italia Einaudi 152


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

IX

Amico, se io volgo indietro lo sguardo e mi chiedo: «Che


cosa ho fatto propriamente di essenziale per l’istruzio-
ne?» trovo di aver stabilito il primo e supremo principio
dell’insegnamento nell’aver riconosciuta l’intuizione co-
me l’assoluto fondamento di ogni conoscenza e di aver
cercato di scoprire la forma originaria secondo cui la
coltura dell’umanità deve esser determinata dalla natu-
ra stessa lo trovo d’aver ricondotto tutta l’istruzione a
tre elementi fondamentali, e d’aver posto alla luce mezzi
particolari per cui è possibile di rendere i risultati dello
studio nei tre campi fondamentali fisicamente necessari.
Trovo finalmente d’aver tra loro armonizzati questi tre
mezzi elementari e, in tal modo d ’aver reso, nei suoi vari
aspetti e nei tre rami, organico l’insegnamento, ma anche
di averlo accordato con l’umana natura e col processo
che la natura segue nello sviluppo del genere umano.
Ma nel far questo io dovevo constatare che l’istruzio-
ne, così come è oggi pubblicamente impartita in Europa
al popolo, non assume affatto l’intuizione come princi-
pio fondamentale dell’insegnamento; che essa non ha al-
cuna cognizione della forma originaria in cui è determi-
nato dall’essenza della nostra stessa natura il processo di
formazione spirituale dell’uomo; che al contrario l’essen-
za di ogni studio è perduta nella confusione degli studi
particolari isolati, che lo spirito della verità è ucciso dal-
l’offerta frammentaria di un sapere disorganico ed isteri-
lita ogni energia spirituale che in quello li fonda. Ho sco-
perto e chiaramente veduto che questa istruzione non ri-
conduce i suoi procedimenti a principi o forme elemen-
tari, ma trascurando, piuttosto, l’intuizione, che è pure il
fondamento assoluto di ogni conoscenza, non riesce con
il suo procedere frammentario a rendere fisicamente ne-

Storia d’Italia Einaudi 153


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

cessari, nè il fine generale di ogni insegnamento, la for-


mazione cioè di concetti chiari, nè i risultati particolari a
cui pure essa mira.
La condizione in cui, grazie a questa istruzione, si tro-
vano nove uomini su dieci in Europa, e la condizione del-
l’istruzione stessa che loro vien impartita, sembra a pri-
ma vista incredibile. Pure essa è un fatto non solo stori-
camente accertato, ma psicologicamente necessario4 . Nè
poteva essere altrimenti; l’Europa doveva, per la natura
della sua istruzione popolare, cadere nell’errore o nella
demenza a cui in realtà soggiacque. Da un lato si innal-
zò gigantesca con le singole arti, dall’altro essa perdette i
fondamenti dell’educazione naturale degli uomini. Nes-
sun’altra parte del mondo raggiunse certo tanta altezza,
ma anche nessuna discese poi così basso. Essa tocca con
l’aureo capo delle sue singole arti le nuvole del cielo, co-
me la figura veduta dal Profeta; ma l’istruzione popola-
re che doveva essere il fondamento di questo capo d’o-
ro non è, come i piedi della figura gigantesca, se non cre-
ta misera, fragile e vile. Questa sproporzione rovinosa
per lo spirito umano tra lo splendore dell’alto e la mise-
ria del basso, o piuttosto l’origine di questa sproporzione
della coltura del nostro continente, risale alla invenzione
della stampa. L’Europa, dapprima stupita dell’immen-
sa e nuova influenza che tale invenzione poteva esercita-
re sullo sviluppo delle conoscenze linguistiche, fu presa
da una cieca e ciarlatanesca fiducia sui suoi effetti in ge-
nerale. Ciò era naturale nei primi tempi che seguirono
questa invenzione; ma solo all’Europa poteva accadere,

4
Anche il buono ed indulgente Lavater, pronto a riconosce-
re come nessun altro ciò che vi è di positivo in ogni condizione
del mondo, lo ammetteva. Alla domanda quali mezzi elementa-
ri per l’insegnamento dell’arte e la esatta determinazione intui-
tiva degli oggetti fossero in uso, egli rispose che non ne cono-
sceva alcuno e che era davvero incredibile come l’educazione
artistica in Europa fosse priva di basi.

Storia d’Italia Einaudi 154


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

di vivere per tanti secoli, sino ad oggi, in questo delirio,


in questa febbre nervosa che le distrugge anima e corpo,
senza sentirsi ammalata. Ci volle certo anche la coope-
razione di altre circostanze e particolarmente dei sistemi
monacale, feudale, gesuitico, della politica di gabinetto,
perché la stampa avesse in Europa i risultati che ha di
fatto. Ora, date queste circostanze collaterali, è non so-
lo comprensibile che si sia riusciti a creare un assoluto
divario tra la situazione positiva delle nostre arti e quel-
la dell’istruzione popolare, ma è evidente che le arti non
avrebbero potuto essere minori, nè l’istruzione migliore
di ciò che in realtà esse siano. È perfettamente chiaro in
che modo si sia giunti al punto di aver limitato al massi-
mo la cerchia e il valore dell’esperienza sensibile e d’aver
svalutato lo strumento più comune dell’intuizione, la vi-
sta, dinanzi alla sacra maestà della nuova conoscenza, al-
le lettere alfabetiche ed ai libri, in modo ch’io potrei di-
re che d’allora in poi gli, occhi, strumento primo di ogni
nostra conoscenza, non servirono che a decifrar sillabe.
La Riforma compì ciò che la stampa aveva iniziato, in
quanto essa diede libero sfogo alla generale stoltezza di
quel mondo fratesco e feudale su questioni astratte che
la stessa progredita sapienza della nostra civiltà liberale
non può risolvere.
Se una corrente impetuosa è arrestata dalla frana di
un monte, devia e d’anno e in anno, di generazione in
generazione, estende la sua devastazione. Così la coltu-
ra popolare europea, dopo che, per l’azione concorren-
te di questi due avvenimenti, abbandonò il piano letto
dell’intuizione e prese un cieco indirizzo, falso sino dal-
le sue origini, aumentò di anno in anno, di generazione
in generazione le sue conseguenze disastrose, sino a rag-
giungere, dopo secoli oramai, per questa via, la cavillosi-
tà del falso sapere che caratterizza il nostro tempo e che
è diventata a noi stessi assolutamente intollerabile.

Storia d’Italia Einaudi 155


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

E, ripeto, non poteva avvenir diversamente. Infatti,


dopo che noi per tanto tempo, con tanta arte raffinata e
con l’uso di mezzi ancor più sottili, avevamo organizzato
i nostri stessi errori, tolto ai metodi di studio e d’insegna-
mento, ogni base intuitiva e a noi stessi la capacità del-
l’intuizione, il barcollante capo d’oro della nostra coltu-
ra non avrebbe potuto riposare su piedi diversi da quel-
li che ora possiede; sarebbe stato impossibile. La fram-
mentarietà della nostra coltura non poteva, in alcun cam-
po, raggiungere il fine dell’istruzione pubblica, la forma-
zione di concetti chiari per ciò la cui conoscenza è essen-
ziale al popolo. Anche i mezzi migliori, quelli partico-
larmente rivolti allo studio dell’aritmetica e della gram-
matica, dovevano, in tale situazione, perdere ogni valo-
re, giacché essi erano privati del sostegno comune di ogni
insegnamento, cioè dell’intuizione. E i due elementi del-
l’istruzione, subordinati al fondamento generale d’ogni
conoscenza, cioè all’intuizione, ossia la parola ed il nu-
mero, per il loro sviluppo superficiale, incoerente e av-
volto nell’oscurità dell’errore e dell’illusione, ci doveva-
no necessariamente condurre a procurarci semplicemen-
te un’abilità unilaterale nel calcolo e nella lingua.
Così fummo necessariamente tratti alla menzogna, alla
stoltezza da quelle forze e dal quel meccanismo per mez-
zo del quale l’arte didattica, seguendo il cammino della
natura, doveva guidare alla verità e alla sapienza, e dive-
nimmo uomini senza energia, senza intuizioni, gonfi di
parole e di luoghi comuni.
Persino le cognizioni intuitive che si riferiscono alla
nostra condizione e al nostro mestiere, che tutta la stol-
tezza della nostra artificiosità organizzata non poteva to-
gliere, giacché nessun errore dell’arte può interamente
strapparle agli uomini, furono in noi isolate e divennero
perciò unilaterali, illusorie, egoisti che e illiberali. Sotto
una simile direzione noi non potevamo ameno di dive-
nire insensibili per ogni verità che fosse fuori dalla cer-

Storia d’Italia Einaudi 156


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

chia della nostra intuizione sensibilmente limitata e con-


trari a tutto ciò che si opponeva a questa concezione uni-
laterale e illiberale. Noi dovevamo, in tal condizione, af-
fondare necessariamente sempre più, di generazione in
generazione nell’innaturalezza di una tale limitazione e
nei sentimenti da essa derivanti di ingenerosità, di egoi-
smo, di prepotenza illegale ed ambiziosa, in cui noi oggi
ci troviamo.
Così soltanto, caro Gessner si può spiegare come nel-
l’ultimo secolo, che, specialmente alla fine, portò all’e-
stremo l’illusione di cui sopra abbiamo parlato, noi sia-
mo precipitati nella condizione di smarrimento o meglio
di pazzia, propria di un vano, furioso delirio ed abbia-
mo avvelenato con l’eccitamento dei sentimenti selvaggi
e ciechi della nostra natura quelle verità e quei principi di
diritto isolati che ancora ci rimanevano. Per questo noi
dovemmo cadere da tante parti e per tante vie nello spi-
rito diffuso, anche per reciproca imposizione, del Sancu-
lottismo, il quale aveva e doveva avere per necessario ri-
sultato l’intima disorganizzazione d’ogni puro sentimen-
to naturale e d’ogni attività rivolta al bene degli uomini
che su di quelli riposa, anzi la dissoluzione dell’umani-
tà stessa nell’ordinamento degli stati, il che doveva bensì
più tardi provocare la dissoluzione di ordinamenti stata-
li non umani, senza però che ciò potesse tornar di bene-
ficio all’umanità.
Questo è, amico, un cenno delle mie opinioni sugli av-
venimenti recenti. Io mi spiego tanto il sistema di Robe-
spierre, quanto quello di Pitt; tanto il procedere del par-
lamento quanto quello del popolo. E al di là d’ogni sin-
golo giudizio, io ritorno sempre al principio, che proprio
le deficienze dell’istruzione del popolo europeo, o piut-
tosto, gli artifici didattici sostituiti al processo naturale
hanno trascinato l’Europa nello stato in cui essa si tro-
va e che nessun mezzo può valere contro la rovina civile,
etica e religiosa, in parte già avvenuta ed in parte prossi-

Storia d’Italia Einaudi 157


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

ma, se non la vittoria sulla superficialità, frammentarie-


tà e arbitrarietà dell’istruzione popolare, per mezzo del
riconoscimento che l’intuizione è il fondamento assolu-
to di ogni conoscenza, o, con altre parole, che ogni co-
noscenza deve partire dall’intuizione per essere di nuovo
ad essa ricondotta.

Storia d’Italia Einaudi 158


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Amico! L’intuizione, considerata come il punto da cui


l’istruzione prende le mosse, deve essere distinta dall’ar-
te dell’intuizione in quanto essa è lo studio dei rappor-
ti delle forme. Come fondamento dei tre insegnamenti
elementari, l’intuizione propriamente detta precede tan-
to l’arte dell’intuizione, quanto l’arte del calcolo e l’arte
della lingua. Se si considera l’intuizione per sè, in antite-
si all’arte dell’intuizione, essa non è altro che l’esser pre-
sente degli oggetti esterni ai nostri sensi e il risveglio del-
la coscienza delle loro impressioni. Con essa la natura
dà principio ad ogni istruzione, fino a quella che il pop-
pante acquista nei suoi rapporti con la madre. Ma l’ar-
te didattica non s’è curata di proceder qui d’accordo con
la natura; il magnifico spettacolo della madre che mostra
al suo piccolo il mondo fu vano per lei, essa non seppe
trarne alcuna ispirazione per l’insegnamento del popolo.
Voglio trascriverti, o caro Gessner, il passo scritto un
anno fa sotto l’impressione del sentimento che destava in
me questa condizione della didattica: «Dal momento in
cui la madre stringe al suo seno il bimbo, essa lo istruisce,
giacché avvicina ai suoi sensi ciò che la natura gli presen-
ta innanzi disperso in grandi lontananze e confuso, e in
tal modo gli rende piacevole l’atto stesso dell’intuizione
e la conoscenza che ne deriva.
Debole, ignorante, la madre segue senza guida e senza
aiuto la natura, ma nella sua ingenuità ignora ciò ch’es-
sa fa. Essa non vuole insegnare, vuol solo acquetare e di-
strarre il suo bimbo; ma inconscia segue il sublime proce-
dimento della natura nella sua massima semplicità, sen-
za sapere ciò che questa fa per opera sua. La natura in-
vero molto compie attraverso l’opera materna: dischiu-
de in questo modo il mondo al fanciullo, lo prepara all’e-

Storia d’Italia Einaudi 159


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

sercizio dei suoi sensi e ad un rapido sviluppo della sua


attenzione e della sua facoltà intuitiva.
Se si seguisse tale sublime procedimento della natura,
se si accordasse con esso ciò che è possibile accordare, se,
con l’aiuto dell’arte, si potesse dare alla madre la possi-
bilità di continuare l’opera ch’essa compie, spinta da un
cieco impulso naturale, per il lattante, anche per il fan-
ciullo più maturo con piena consapevolezza e libertà, se
si potesse servirsi a questo scopo anche del cuore del pa-
dre, dandogli, per mezzo dell’arte, la possibilità di colle-
gare lo sviluppo delle abilità di cui il fanciullo abbisogna
con le sue condizioni e i suoi rapporti reali, affinché con
tale cura previdente egli potesse raggiungere nella sua vi-
ta una piena soddisfazione di se stesso, se tutto ciò fosse
possibile, sarebbe facile operare molto, anzi moltissimo
in pro’ dell’umanità e di ogni singolo uomo, qualunque
sia la sua condizione, facendo in modo che anche nelle
difficoltà di aspre situazioni di vita e nell’affanno di tem-
pi fortunosi, egli potesse assicurarsi una vita tranquilla e
ricca di soddisfazioni.
Mio Dio! quanto guadagnerebbe il genere umano!
Ma noi non siamo qui arrivati neppure al grado a cui
è giunta la donna di Appenzell, che fin dalle prime
settimane di vita del suo bimbo, gli attacca alla culla un
grande uccello di cartone dipinto a vivi colori, e in questo
modo ci mostra quale deve essere il principio dell’arte
didattica, che voglia dare al fanciullo una sicura e chiara
conoscenza degli oggetti naturali.
Caro amico, chi ha visto come il bimbo di due o tre
settimane tende le mani ed i piedini verso quell’uccello,
non può non pensare quanto sarebbe facile all’arte didat-
tica di porre, con una serie di tali rappresentazioni sensi-
bili, il fondamento universale per l’intuizione sensibile di
tutti gli oggetti naturali ed artificiali, che poi, a poco a po-
co, per diverse vie, potrebbe determinarsi ed estendersi
sempre maggiormente. Ora, chi pensa a ciò e non sente

Storia d’Italia Einaudi 160


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

ciò che noi perdiamo con questo nostro sistema educa-


tivo, divenuto ormai insopportabile, perché rappresenta
non il sistema gotico-fratesco, ma la sua corruzione, non
è degno della nostra considerazione.
L’uccello delle donne di Appenzell mi è sacro, come
era sacro il toro agli egiziani, ed il mio studio fu appun-
to di porre il principio del mio insegnamento, là dove è
quello delle madri di Appenzell. Ma io vado più innan-
zi, giacché nè per ciò che riguarda i punti elementari, nè
per ciò che riguarda il procedimento didattico successi-
vo, io abbandono al caso ciò che la natura, le circostan-
ze, l’amore materno presentano ai sensi del fanciullo nel-
la sua prima infanzia. Il mio sforzo fu appunto di pre-
sentare al fanciullo, sin da questa prima età, solo l’essen-
ziale delle cognizioni intuitive, da cui sia stato eliminato
quanto è puramente accidentale e di far sì che la coscien-
za di queste sue prime impressioni divenga stabile e si-
cura. Il primo corso del Libro delle madri, altro non è se
non il tentativo di elevar l’intuizione ad arte e di condur-
re il fanciullo, nei tre campi elementari della sua cono-
scenza, che si riferiscono alla forma, al numero e alla pa-
rola, a una coscienza organica di tutte le sue intuizioni, la
cui conoscenza più determinata servirà di base al futuro
sapere.
Questo libro non deve solo contenere una descrizione
completa degli oggetti più importanti per la nostra co-
noscenza, ma anche il materiale per comporre serie ordi-
nate e continue di oggetti, destinati a suscitare nel bam-
bino, sin dalla prima intuizione, il sentimento dei mol-
teplici rapporti e delle numerose analogie tra gli oggetti
m’essa abbraccia.
A questo riguardo, il Sillabario offre gli stessi vantag-
gi del Libro delle madri. La semplice presentazione all’o-
recchio dei suoni e il risveglio della coscienza delle oro
impressioni per mezzo dell’udito, è per il fanciullo intui-
zione al medesimo titolo che lo è la semplice presenta-

Storia d’Italia Einaudi 161


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

zione agli occhi degli oggetti e il risveglio della coscien-


za delle loro impressioni, per mezzo del senso della vista.
Fondandomi su questo principio io ho composto questo
Sillabario in modo che il suo primo corso non è se non
pura intuizione, cioè si fonda sul puro intento di offrire
all’udito del bimbo, tutta la serie dei suoni che serviran-
no poi come fondamento del linguaggio, e fissarla nella
sua memoria, proprio nella stessa età in cui, per mezzo
del Libro delle madri, io offro alla sua vista gli oggetti sen-
sibili del mondo, la cui precisa conoscenza deve essere il
fondamento del suo sapere futuro.
Il medesimo principio, di elevare cioè l’intuizione ad
arte, ha la sua applicazione anche rispetto al secondo ele-
mento della nostra conoscenza. Anche il numero, in sè
stesso, se la sua conoscenza non si fonda sull’intuizione,
non ha valore alcuno per il nostro spirito. Il fanciullo
dovrebbe in tal caso conoscere la sua forma grafica pri-
ma ancora di essere in grado di concepirlo come una re-
lazione numerica concreta; il che solo può dare fonda-
mento sicuro alla coscienza chiara dei rapporti quantita-
tivi. Perciò nel Libro delle madri io ho presentato al bam-
bino, già in questa prima età, i dieci primi numeri sotto
l’aspetto intuitivo di dita, artigli, foglie, punti e poi trian-
goli, quadrati, ottagoni ecc.
Dopo ch’io ho fatto ciò per tutti e tre i rami dell’istru-
zione elementare ed ho stabilita la semplice intuizione
come fondamento assoluto di ogni conoscenza sensibile,
tendo a trasformare, in ciascuno dei tre campi, l’intuizio-
ne in un’arte dell’intuizione, cioè in un mezzo per giun-
gere a concepire gli oggetti dell’intuizione come oggetti
del mio giudizio e della mia attività pratica.
Per questa via, rispetto al primo elemento del nostro
conoscere, la forma, io conduco il fanciullo, dopo aver-
lo impratichito con l’intuizione e la nomenclatura degli
oggetti, contenuta nel Libro delle madri, all’ABC dell’ar-
te dell’intuizione. Per mezzo di questo egli deve esser

Storia d’Italia Einaudi 162


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

messo in grado di render conto della forma degli oggetti,


ch’egli già conosce particolarmente, ma senza sufficien-
te chiarezza e distinzione, dal Libro delle madri. L’A B
C dell’arte dell’intuizione deve mirare a che il fanciullo
si formi un concetto preciso intorno alla relazione delle
varie forme delle cose con il quadrato, perché in tal mo-
do sarà trovata una serie di nozioni, che abbraccia tut-
ta questa disciplina, e che guida dall’intuizione oscura ai
concetti chiari.
Per riguardo al secondo elemento della nostra cono-
scenza, il numero, non c’è che da seguire la medesima
via. Dopo d’essermi sforzato, per mezzo del Libro delle
madri, di render chiaro al bimbo, sino dai primi anni del-
l’infanzia, il concetto dei dieci primi numeri fondamen-
tali, io cerco (dopo aver chiarito loro le espressioni del
più e del meno, riferibili a tutti gli oggetti, con l’addizio-
ne di un’unità ad un’altra) di far comprendere la natu-
ra del due, poi del tre e via dicendo. Così i fanciulli ar-
rivano sin dal principio ad intuire chiaramente i fonda-
menti di ogni specie di calcolo, e acquistano famigliari-
tà con le espressioni che designano la loro forma, sino a
non dimenticarle più. Nel tempo stesso io svolgo i prin-
cipi dell’aritmetica secondo una serie, che, partendo dai
primi dati elementari, non rappresenta che un processo
psicologicamente sicuro e continuo; il quale, sulla base
di giudizi intuitivi saldamente fissati, avanza lentamen-
te, coll’aggiungersi graduale di nuove intuizioni che per-
mettono il passaggio dall’1 al 2, dal 2 al 3 e via dicendo.
La conseguenza di questo procedimento, garantita dal-
l’esperienza, è che quando i fanciulli hanno ben compre-
so i principi di un calcolo qualsiasi, sono capaci, senz’al-
tro aiuto, di continuare da sè, fino al limite cui li conduce
la serie propria di quel calcolo determinato.
In generale, per rispetto al mio metodo, si deve osser-
vare che esso riesce a rendere così evidente ai fanciul-
li i fondamenti di qualsiasi disciplina, che essi, in ogni

Storia d’Italia Einaudi 163


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

grado del loro studio, s’appropriano con tanta sicurezza


delle nozioni che vi si riferiscono, da poter anche essere
assunti come maestri per i loro fratelli minori.
Ciò che di essenziale io porto, per la semplificazio-
ne e chiarificazione dell’insegnamento aritmetico, con-
siste in ciò, che non solo io dò al fanciullo la coscienza
dell’intima verità di ogni relazione numerica, per mezzo
dell’intuizione, sino a renderla indelebile nella coscienza,
ma fondo insieme la coscienza della verità dell’intuizione
con la verità della teoria aritmetica, e faccio del quadrato
il mlezzo comune dell’intuizione e dell’arte del calcolo.
Il terzo elemento della nostra conoscenza, la lingua, è
quello che più si presta all’applicazione del mio princi-
pio.
Se, da un lato, la conoscenza della forma e del nume-
ro deve precedere la conoscenza della lingua, e questa,
in certo qual modo, attingere da quella, il progresso del-
l’arte del parlare è, d’altro lato, assai più rapido di quel-
lo dell’arte dell’intuizione e del calcolo. Propriamen-
te, l’impressione dell’intuizione in quanto formalmente e
quantitativamente determinata, precede lo sviluppo del-
la facoltà del linguaggio; l’arte dell’intuizione e l’arte del
calcolo, invece, seguono a tale sviluppo. Il grande privi-
legio che contraddistingue la natura e le facoltà superiori
del genere umano, ossia il linguaggio, comincia a svilup-
parsi dopo che s’ è formata la capacità di emettere suo-
ni, e, gradualmente, si svolge passando dal suono artico-
lato alla parola determinata e dalla parola alla lingua nel-
la sua complessa struttura. La natura richiese dei millen-
ni per elevare il genere umano sino all’uso perfetto di un
linguaggio, e noi oggi raggiungiamo questa capacità, che
richiese dei millenni alla natura, in pochi mesi. Ma pure
dobbiamo anche noi seguire il cammino che tenne la na-
tura per educare al linguaggio il genere umano, nè altro
potremmo fare. Anche in questo campo la natura partì
dall’intuizione. Già il suono più semplice, con cui l’uo-

Storia d’Italia Einaudi 164


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

mo cercava di esprimere l’impressione che un oggetto fa-


ceva su di lui, era espressione dell’intuizione. Il linguag-
gio umano, per molto tempo non fu null’altro se non una
capacità di emettere suoni, collegata con una mimica, e
tale da imitare i suoni della natura animata ed inanima-
ta. Dalla mimica e dall’uso di suoni imitativi, esso pro-
cedette ai geroglifici e alle singole parole e diede ai sin-
goli oggetti singoli nomi. Questa condizione della lingua
è espressa perfettamente nel primo Libro di Mosè (Cap.
2, v. 19, 20): «Dio il Signore condusse innanzi ad Ada-
mo, tutti gli animali della terra e tutti gli uccelli del cie-
lo, perché li guardasse e li denominasse. E Adamo diede
a ciascun animale il suo nome».
Da questo punto, il linguaggio procedè oltre lenta-
mente: esso rilevò da prima i caratteri più salienti di di-
stinzione degli oggetti ch’esso denominava; poi giunse a
determinare le proprietà e con esse le differenze d’azio-
ne ed energia degli oggetti. Assai più tardi si svolse l’ar-
te di dare alle singole parole varietà di significato, cioè di
esprimere con sicura precisione l’unità, la molteplicità,
la grandezza del suo contenuto, le determinazioni quan-
titative della sua forma e del suo numero e infine tutte
le variazioni e proprietà di un oggetto che sono prodot-
te in lui dalle differenze di tempo e di spazio, per mezzo
di una mutazione nella forma e nella composizione delle
singole parole.
In tutte queste epoche il linguaggio umano fu sem-
pre un mezzo per rappresentarsi il progresso dell’effetti-
vo chiarirsi delle complesse intuizioni per mezzo della fa-
coltà di emettere i suoni, non solo, ma anche per rendere
incancellabile l’impressione dell’intuizioni stesse.
L’insegnamento della lingua non è, per sua natura, se
non un dar coerenza ai mezzi psicologici che rendono
possibile di esprimere le impressioni intuitive, le qua-
li, altrimenti, sarebbero labili e impartecipabili, il che si
ottiene col connetterle ad una parola, modo questo che

Storia d’Italia Einaudi 165


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

permette di fissarle e comunicarle. Ma essendo la natura


sempre uguale a se stessa, ciò può avvenire solo metten-
do l’insegnamento della lingua in accordo perfetto con il
processo originario con cui la stessa natura eleva la no-
stra innata facoltà di parlare alla forma di un’arte, qua-
le è quella che noi oggi possediamo. Ciò significa pra-
ticamente che ogni insegnamento linguistico deve par-
tire dall’intuizione, deve render superflua la mimica, per
mezzo dell’arte dell’intuizione e dello studio del numero,
deve sostituire all’imitazione dei suoni della natura ani-
mata ed inanimata delle serie di suoni articolati. Quindi
dallo studio dei suoni, o piuttosto dal generale esercizio
dell’organo in tutti i possibili suoni umani, si deve pas-
sare gradualmente allo studio delle parole, alla nomen-
clatura e da questa allo studio della lingua, cioè delle va-
riazioni grammaticali e della composizione delle parole.
Ma anche in questi gradi si deve procedere con lentez-
za, con quella progressione che la natura ci ha mostrato
nello sviluppo del linguaggio per i diversi popoli.
Ma ora si chiede: come è possibile mantenere, in re-
lazione allo studio dei suoni, delle parole e della lingua
questo processo della natura attraverso le tre epoche che
la natura stessa e l’esperienza ci indicano come i tre gradi
di sviluppo della lingua? E come è possibile di accordare
ai caratteri di queste tre epoche le forme dei metodi d’in-
segnamento in questi tre campi? Per ciò che riguarda lo
studio dei suoni, io gli ho dato il massimo possibile svi-
luppo con la determinazione e la designazione delle vo-
cali e con la graduale aggiunta delle consonanti prima e
dopo le vocali. Ho reso così possibile, con tale primo in-
segnamento, di dare ai bimbi, ancora privi della parola,
un’intuizione interna degli elementi fonetici, anteriore a
quella esterna con cui essi percepiranno i segni arbitra-
ri che designano tali elementi, dando così alle impressio-
ni acustiche una prevalenza su quelle visive, il che è per
lo studio dei suoni perfettamente naturale. E ancora ho

Storia d’Italia Einaudi 166


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

reso facile questo insegnamento, ordinando in un libro


apposito le serie dei suoni in modo che ognuno d’essi si
connetta al precedente per una grande affinità, e ne dif-
ferisca solo per l’aggiunta di una sola lettera. Così, rag-
giunta la perfezione nella sillabazione, io passo allo stu-
dio della parola, alla nomenclatura, presentando al bim-
bo la parola nel primo libro di lettura, nel dizionario, di
nuovo in serie, che, per la somiglianza della loro forma,
rendono lo studio della lettura simile ad un semplice gio-
co, perché le parole si compongono con l’aggiunta di so-
lo alcune nuove lettere a sillabe già precedentemente ap-
prese e rese famigliari. Nello stesso tempo, il Libro del-
le madri offre il suo ricco materiale intuitivo come fon-
damento per lo studio linguistico del bimbo e in partico-
lare per la chiara determinazione del senso dei vocaboli
ch’esso deve pronunciare.
L’incommensurabile cerchia delle conoscenze intuiti-
ve che la natura offre alla coscienza del bimbo nella sua
infanzia, è in questo libro psicologicamente ordinata e
concentrata, e quella legge fondamentale di natura per
cui l’impressione di una cosa, pel bimbo, è tanto più
grande quanto più tale cosa è vicina, vien collegata col
principio, così importante per l’insegnamento, secondo
cui occorre che il bambino riceva una impressione assai
più intensa della natura e proprietà essenziali di un og-
getto, di quello che non abbia delle sue qualità acciden-
tali. L’illimitata sfera della lingua e delle conoscenze in-
tuitive vien resa, in questo libro, facilmente determinabi-
le per mezzo del suo concentramento e dell’ordine psico-
logico dato in esso agli oggetti. Solo i singoli oggetti della
natura, infatti, sono innumerevoli, le loro differenze es-
senziali non lo sono; e perciò gli oggetti, in quanto ven-
gono ordinati secondo di quelle, divengono facilmente
determinabili.
A questi principi io sottometto anche il vero e pro-
prio studio della lingua. La mia grammatica non è altro

Storia d’Italia Einaudi 167


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

che una serie di mezzi destinati a guidare il fanciullo dal-


le intuizioni oscure ai concetti chiari per mezzo di conti-
nue mutazioni nella costruzione dei periodi. Io approfit-
to a questo scopo anche dell’arte della scrittura, in quan-
to anch’essa deve venir considerata come parte dello stu-
dio della lingua, ed ho cercato di usare di tutti i mezzi
che la natura e l’esperienza mi hanno offerto per riuscire
alla formazione di concetti chiari. Gli esperimenti empi-
rici, che io ho fatto in questo campo, mi hanno mostra-
to che il nostro metodo fratesco d’insegnamento, con la
sua indifferenza verso le leggi psicologiche, non solo ci
allontana in ogni disciplina dal vero fine dell’istruzione,
ma ci strappa i mezzi stessi che la natura, senza alcun in-
tervento dell’arte didattica, ci offrirebbe per dare chia-
rezza ai nostri concetti, e ce ne rende impossibile l’uso,
per nostra colpa.
Amico, è incredibile quanto le vive forze dell’Europa
siano state infiacchite dalla innaturalezza del nostro me-
todo fratesco d’insegnamento e dalla miseria di uno stu-
dio frammentario e disorganico e sino a qual punto sia-
no andati per noi perduti tutti i mezzi che pur la natura
ci offre per elevarci, attraverso l’intuizione, a conoscen-
ze esatte e siano venuti meno tutti gli incentivi per rag-
giungere questo scopo, per il fatto che questo studio su-
perficiale ci ha illuso con il miraggio di una lingua tale
da potersi parlare senza aver alcuna conoscenza intuiti-
va che determini i concetti, che pur abbiamo appreso ad
esprimere. Io ripeto una volta ancora: ciò che appren-
diamo nelle nostre scuole pubbliche, non solo non ci av-
vantaggia, ma distrugge in noi ciò che qualsiasi parte del-
l’umanità possiede senza bisogno di scuole, ciò che pos-
siede ogni selvaggio e in modo tale da esser quasi per noi
incomprensibile. È questa una verità che si conviene al
nostro continente e alla nostra età, meglio che a qualsia-
si altra. Un uomo avvezzato dalla nostra didattica da fra-
ti, ad un’istruzione parolaia, diviene assai più insensibile

Storia d’Italia Einaudi 168


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

alla verità, di quanto non sia un selvaggio, e perciò inca-


pace, più che qualsiasi altro, di seguire la guida della na-
tura e di far uso di quei mezzi ch’essa richiede alla chia-
rificazione della conoscenza intellettuale. Queste espe-
rienze mi hanno portato a questa convinzione: che il car-
ro dell’istruzione pubblica d’Europa non solo deve esse-
re meglio tirato, ma deve cambiare direzione e procede-
re per tutta un’altra via. Io sono convinto che è neces-
sario uccidere e seppellire il fondamento del suo errore,
il pervertimento cioè della lingua, proprio del nostro se-
colo, e l’eccessiva importanza attribuita alla lingua, se si
voglia portare di nuovo tra gli uomini, per mezzo dell’in-
segnamento e della lingua, la verità e la vita. Sono cer-
to dure parole, ed io penso tra me: «Qual è l’uomo ca-
pace di ascoltarle?». Ma le esperienze su cui si fondano
queste parole mi hanno persuaso della necessità di riget-
tare tutte le regole parziali e porre da parte, per ciò che
riguarda l’insegnamento elementare, tutti i libri fondati
sul presupposto che il fanciullo possa parlare prima d’a-
ver imparato a parlare. E poiché tutti i libri d’istruzione
scritti nella lingua usuale e compiuta si basano su tal pre-
supposto, io sarei, se lo potessi, senza alcuna pietà ver-
so tutte le biblioteche scolastiche, od almeno verso i libri
elementari destinati alla prima infanzia.
Seriamente, amico caro, nel primo periodo di forma-
zione del linguaggio, presso tutti i popoli, la natura igno-
ra assolutamente le complicate ed artificiose costruzio-
ni della lingua giunta già a perfezione, ed il fanciullo non
comprende queste costruzioni più di quanto lo compren-
da un barbaro. Egli infatti può, come questo, riuscire
a comprendere le forme più complesse solo dopo lun-
ghi e graduali esercizi sulle forme più semplici. Perciò
le mie esercitazioni linguistiche procedono, sin dal prin-
cipio, secondo un metodo, che, lasciando da parte ogni
sapere ed ogni cognizione che possano venire acquistate
solo per mezzo di una compiuta arte linguistica, si fon-

Storia d’Italia Einaudi 169


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

da sugli elementi della lingua stessa, in modo che il fan-


ciullo ne viene apprendendo le forme superiori, secon-
do quel processo per cui la natura ha guidato ad esse il
genere umano.
Caro amico, gli uomini mi fraintenderanno ancora?
Saranno pochi, solo quelli che desidereranno con me
ch’io riesca a porre un freno alla stolta fiducia nelle
vuote parole, che priva il nostro secolo di ogni forza, a
togliere valore nella coscienza degli uomini alla parola ed
al suono vano, e a ridare all’intuizione nell’insegnamento
l’importanza che le spetta al di sopra di quelle?
Lo so, amico mio, per lungo tempo io non avrò che
pochi con me. La retorica della nostra età è troppo inti-
mamente legata col bisogno di guadagno e con le abitu-
dini quotidiane di migliaia e migliaia di persone, perché
non occorrano anni ed anni prima che i nostri contem-
poranei accettino con amore le verità che sono in aperta
opposizione con l’indurimento della loro natura sensibi-
le. Pure io vado per la mia via e ripeto ancora: ogni stu-
dio scientifico che venga dettato, spiegato, analizzato da
uomini che non hanno imparato a parlare ed a pensare
secondo le leggi della natura, ogni studio scientifico, le
cui definizioni sono state evocate nell’anima dei fanciul-
li, come un Deus ex machina, o gli sono state soffiate nel-
le orecchie come da un suggeritore di teatro; ogni studio
che procede in un simile modo non ha maggior valore
dello studio destinato a produrre dei miseri commedian-
ti. Quando le forze fondamentali dello spirito umano so-
no addormentate e sul loro sonno non sono versate che
vuote parole, non si possono formare che dei sognato-
ri, i quali sognano ombre tanto più vane, quanto più era-
no grandi e pretensiose le parole che furono versate sul-
la miseria e sulla noia dell’anima loro. Gli allievi educati
a questa scuola non immaginano certamente di sognare
e di dormire, ma coloro che vegliano intorno a loro, sen-

Storia d’Italia Einaudi 170


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

tono la loro vanità, e, alla meno peggio, li considerano


come sonnambuli.
Il processo della natura, nello sviluppo del genere
umano, è immutabile. Non ci sono e non ci possono
essere due buoni metodi d’insegnamento; ve n’è uno
solo, e questo è quello che riposa assolutamente sulle
eterne leggi della natura; metodi cattivi invece ce ne sono
in numero infinito, e tanto peggiori essi sono, quanto più
si allontanano dalle leggi della natura, tanto meno cattivi,
quanto più si avvicinano ad esse. So bene che l’unico
metodo buono non lo possiedo nè io, nè alcun altro
uomo; ma io cerco con tutta la mia forza di avvicinarmi
a quel solo che è veramente buono.
Nel giudicare gli altri metodi, seguo questo solo crite-
rio: li conoscerete dai frutti. Energia umana e senso ma-
terno; energia umana e senso materno, come conseguen-
ze di ciascun metodo, sono per me i soli criteri per giudi-
care il grado del suo interno valore. Ma ogni metodo che
imprima sulla fronte dell’educando il marchio del totale
esaurimento delle sue forze naturali e della mancanza di
senso umano e di senno materno, qualunque vantaggio
possa offrire, è da me recisamente condannato. Non vo-
glio certo negare che un tal metodo non possa produr-
re buoni sarti o calzolai, o mercanti, o soldati; nego so-
lamente che esso possa produrre un sarto o un mercante
che sia un uomo, nel vero senso della parola. Potessero
gli uomini persuadersi che il fine di ogni insegnamento
non è e non può essere altro che lo svolgimento delle no-
stre attitudini e la formazione di concetti chiari! Potesse-
ro, partendo da questo principio, chiedersi, ad ogni pas-
so che fanno nell’istruzione: «mi guida esso veramente
alla meta?».
Io torno alla considerazione di quella parte dell’inse-
gnamento che è qui l’oggetto delle mie riflessioni. Con-
cetti chiari e distinti sono, per il fanciullo, solo quelli al-
la cui chiarezza l’esperienza non può aggiungere nulla di

Storia d’Italia Einaudi 171


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

nuovo. Questo principio determina: primo, l’ordine da


seguirsi nello svolgimento successivo delle forze e del-
le abilità che ci conducono alla chiarificazione di tutti i
concetti; secondo, l’ordine da tenersi nella presentazione
degli oggetti, l’ordine cioè secondo cui devesi dar princi-
pio e poi proseguire negli esercizi relativi alle definizio-
ni; terzo infine, il momento in cui le definizioni di qual-
siasi specie potranno avere per il fanciullo senso effettivo
di verità.
È chiaro che l’istruzione deve cominciare a chiarire i
concetti del fanciullo, prima che sia giunto il tempo in cui
si possa pensare ch’egli abbia la capacità di comprendere
già il risultato di tale insegnamento, cioè il concetto
chiaro, o meglio la sua esposizione verbale.
Il procedimento per cui si possono formare nelle men-
ti dei fanciulli concetti chiari si fonda su un ordine di
chiarificazione degli oggetti di cui si tratta, tale che sia in
accordo col loro intelletto. Ma quest’ordine, a sua vol-
ta, si fonda sul concentramento di tutti i mezzi didatti-
ci con cui il fanciullo può esser condotto ad esprimer-
si con precisione sulle proprietà di ogni cosa e special-
mente sulla misura, il numero e la forma di ogni ogget-
to. Per questa via e non per altra il fanciullo può essere
condotto a definizioni che gli danno i concetti delle co-
se a cui si riferiscono. Poiché le definizioni non sono al-
tro che l’espressione più semplice e più pura di concet-
ti chiari; ma esse hanno per il fanciullo senso effettivo di
verità, solo se questi abbia chiara e completa coscienza
dello sfondo sensibile di tali concetti. Quando invece gli
manca la precisa chiarezza dell’intuizione di un oggetto
sensibile di cui gli sia stata data la definizione, con que-
sta non ha acquistato che un gioco di parole – con cui in-
ganna sè stesso – e una cieca fede nelle parole, il cui suo-
no non risveglia in lui alcun concetto o non provoca al-
tro pensiero, fuori della semplice coscienza di tal suono
stesso.

Storia d’Italia Einaudi 172


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Hinc illae lacrimae.


Dopo la pioggia i funghi crescono rapidamente su
ogni concimaia; allo stesso modo e con più rapidità, le
definizioni, cui manca qualsiasi compimento intuitivo,
producono una sapienza fungosa, che alla luce del so-
le deve presto dissolversi ed a cui, perciò, il cielo sere-
no deve apparire come la forza distruggitrice dell’essere
suo. Il vano sfogo di parole di cui è fatta questa sapienza
priva di base, produce degli uomini che credono in ogni
campo di aver raggiunto il fine propostosi, solo perché la
loro vita è tutta un vano chiacchierare di questo fine. Ma
essi non riusciranno mai a raggiungerlo, giacché in tut-
ta la loro vita essi non hanno mai trovato nell’intuizione
quell’incitamento per cui solo si può sostenere uno sfor-
zo umano. Il nostro tempo è pieno di tali uomini ed è
malato di una sapienza che ci avvia pro forma a raggiun-
gere il fine di ogni sapere, così come si potrebbero avvia-
re alle corse dei paralitici, i quali non potrebbero nean-
che sognare di porsi a tale impresa, prima d’aver acqui-
stato l’uso delle loro gambe. Le descrizioni devono pre-
cedere le definizioni. Se qualcosa è chiaro per me, ciò
non significa che io lo possa definire, ma solo che io lo
posso descrivere; io posso cioè dire con precisione come
è fatto, ma non che cosa è; io conosco solo l’oggetto, l’in-
dividuo, ma non posso ancora indicare il suo genere e la
sua specie. Ma se qualcosa non mi è chiaro, io non pos-
so dire come sia fatto e meno ancora che cosa sia, io non
posso cioè descriverlo e tanto meno definirlo. Se qual-
cuno mi mette sulle labbra le parole, con cui altri, a cui
quella cosa è chiara, la spiega a persone della sua portata,
essa non diventa chiara per me; rimane chiara per altri e
non per me, sino a che le parole di quest’altro non possa-
no essere per me ciò che sono per lui, cioè l’espressione
precisa della piena chiarezza del concetto.
Il fine proprio dell’istruzione, cioè di condurre, con
arte psicologica secondo Le leggi del meccanismo fisico,

Storia d’Italia Einaudi 173


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

gli uomini a concetti chiari e quindi, come ultimo grado


per raggiungere questa condizione, alle definizioni, esi-
ge che queste siano precedute da una serie di descrizioni
del mondo sensibile, che gradualmente proceda dall’in-
tuizione di singoli oggetti alla loro denominazione e da
questa alla determinazione della loro proprietà, cioè alla
capacità della loro descrizione e da questa alla capacità
di formarsene un concetto chiaro, cioè di definirli. Una
saggia direzione nelle intuizioni è così evidentemente il
primo anello da cui può svolgersi questa catena di mezzi
necessaria alla formazione di concetti chiari, ed è mani-
festo che il raggiungimento di questo ultimo fine dell’i-
struzione dipende dall’energia con cui si mosse il primo
passo.
Quando, nell’ampio dominio dell’onnipotente natura,
un oggetto è imperfetto nel suo germe, la natura stessa
non ha forza di portarlo a compimento ed a perfezione.
Tutto ciò che non è perfetto nel suo germe si inaridirà
nella sua crescita, nello sviluppo esteriore delle sue parti.
Ciò vale per i prodotti del tuo spirito, come per quelli del
tuo campo, per la formazione di qualsiasi concetto a base
intuitiva, come per la formazione di un’erba qualsiasi.
Il mezzo migliore, per evitare confusione, frammenta-
rietà e superficialità nella cultura umana, è proprio quel-
lo di curare che le prime impressioni degli oggetti più
importanti del nostro conoscere siano offerte ai sensi del
bambino fin dalle prime intuizioni, quanto più è possibi-
le, precise, esatte e complete.
Già sin dalla culla bisogna cominciare a sottrarre l’e-
ducazione dell’uomo dal cieco gioco della natura, per af-
fidarla alle forze migliori che l’esperienza di millenni sul-
l’essenza delle sue leggi ci ha insegnato a riconoscere.
Tu devi nettamente distinguere le leggi della natura
dal suo processo, cioè dalle particolari operazioni e ma-
nifestazioni delle sue leggi. La natura è verità eterna e
per noi immutabile guida a tutte le verità; ma, nel suo

Storia d’Italia Einaudi 174


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

processo e nelle sue particolari manifestazioni, essa non


offre invece una guida sufficiente ad un individuo del ge-
nere umano e non è nè per quello nè per questo bastante
verità. Consacrata alla totalità degli esseri, essa sembra
incurante della singola creatura e specialmente dell’uo-
mo, di cui non vuole, con una qualsiasi tutela, limitare
l’indipendenza.
Sotto questo rispetto solo può giustificarsi il detto che
la natura è cieca ed incurante e che quindi dobbiamo
toglierle dalle mani l’educazione dell’umanità, detto che
in questo senso ha perfetta verità. Se tu abbandoni al-
la natura la terra, essa produce zizzania e cardi; se tu ab-
bandoni alla natura l’educazione, essa ci conduce ad una
caotica confusione d’intuizioni che manca, sia per il tuo
intelletto, come per quello dei tuoi figli, di quell’ordine
che si richiede nel primo insegnamento. Non è quindi
nella foresta o per i campi che si deve lasciar errare il fan-
ciullo per insegnargli a distinguere alberi ed erbe. Albe-
ri ed erbe non si trovano là ordinati nel modo più conve-
niente per rendere evidente l’essenza di ogni specie per
preparare, sin dalla prima occhiata gettata sull’oggetto,
alla conoscenza generale di quel campo. Per guidare sul-
la via più breve il tuo fanciullo al fine ultimo dell’educa-
zione, alla formazione cioè di concetti chiari, tu gli de-
vi sin da principio, per ogni campo del conoscere, por-
re con cura dinanzi agli occhi quegli oggetti che portano
in sè più visibilmente e distintamente i caratteri essenzia-
li del campo a cui essi appartengono e sono perciò par-
ticolarmente adatti a metterne in evidenza l’essenza, di-
stinguendola dalle proprietà particolari. Ma se trascuri
di far ciò tu poni il fanciullo in condizione, sin dal primo
sguardo, di scambiare le proprietà essenziali con quelle
inessenziali, di ritardare almeno la conoscenza della ve-
rità, avendo trascurato la via più breve che in ogni disci-
plina conduce alla formazione di concetti chiari.

Storia d’Italia Einaudi 175


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Se invece tu eviti questo errore nel tuo insegnamen-


to e se ordini la presentazione intuitiva degli oggetti sin
dal primo inizio, in modo che, sino dalla prima intui-
zione di un oggetto, l’impressione dei suoi caratteri es-
senziali prevalga su quella dei suoi caratteri inessenzia-
li, il fanciullo apprenderà fin da tal prima impressione a
subordinare ciò che in un oggetto è mutevole, alla sua
essenza e camminerà necessariamente per una via sicu-
ra in cui ogni giorno sentirà accrescersi la forza intellet-
tuale di ricondurre le proprietà accidentali degli oggetti,
con la massima semplicità, alla coscienza della loro natu-
ra essenziale, ossia della loro interna verità, così da po-
ter leggere nella natura come in un libro aperto. Come
un fanciullo, abbandonato a sè stesso, si volge, privo di
ogni guida intellettuale, al mondo e, sviato da cognizioni
frammentarie acquistate ciecamente qua e là, s’affonda
di giorno in giorno nell’errore, cosi un fanciullo, che sin
dalla culla sia stato messo sulla buona via, ascende ogni
giorno di verità in verità. Tutto ciò che è, o almeno tut-
to ciò che rientra nella cerchia della sua esperienza, vie-
ne concatenato dalla sua forza intellettuale con limpida
organicità, così che nessun errore rimane nel fondo del-
la sua conoscenza. Sono tolte così le prime cause di erro-
re, quelle che dipendono dal suo modo di vedere e quel-
le che porta in sè stesso. Nel suo interno non è stata fa-
vorita con alcun sistema artificiale, caratteristico dell’uso
scolastico, alcuna tendenza all’errore, e il nihil admirari,
che finora sembrò privilegio esclusivo dei vecchi decre-
piti, diviene, per il nostro metodo, retaggio della inno-
cenza e della fanciullezza. Se un fanciullo è giunto a tal
punto e se è dotato di comuni facoltà, raggiungerà neces-
sariamente il fine ultimo d’ogni insegnamento, la forma-
zione, cioè, di concetti chiari, poco importa se essi ci gui-
dano all’affermazione di non conoscer nulla, od a quella
di conoscer tutto. Allo scopo di render possibile il rag-
giungimento di tal fine e di organizzare e determinare

Storia d’Italia Einaudi 176


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

sicuramente i mezzi e sopratutto di dare alle prime im-


pressioni intuitive degli oggetti sensibili, quella compiu-
tezza e precisione che è essenziale per fondare su di essi
un processo didattico continuo, alieno da ogni errore, si-
curo fondamento di verità, io ho cercato di tener presen-
te, nel Libro delle Madri, le esigenze essenziali di tale fi-
ne. Amico mio, con questo libro io sono veramente riu-
scito a rafforzare la facoltà di conoscenza sensibile pro-
pria della nostra natura, in modo ch’io posso prevedere
che i fanciulli, istruiti secondo il suo indirizzo, getteran-
no da parte il libro e finiranno per trovare nella natura e
in tutto ciò che li circonda, un avviamento al fine ch’io
mi sono proposto, assai migliore di quello che io abbia
potuto dar loro.
Amico, questo libro non esiste ancora ed io già vedo
che la sua efficacia finirà per renderlo inutile!

Storia d’Italia Einaudi 177


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

XI

Caro amico! Le parole che chiudono l’ultima lettera so-


no di grande importanza, ma io sto per dirti qualcosa di
più ancora: Il metodo didattico di cui s’è trattato sino-
ra non è che un raffinamento del naturale processo della
conoscenza sensibile, secondo il fine propostomi. Ma ad
esso è necessario anche un mezzo superiore, un superio-
re compimento di questo processo naturale della sensibi-
lità, sia pure raffinato, il processo cioè e l’educazione del
puro intelletto. È possibile infatti alla mia natura di ele-
vare tutto ciò che è incerto nell’intuizione umana a veri-
tà precisa, è possibile di strappare l’intuizione stessa dai
ceppi della sua mera sensibilità e farne l’opera dell’ener-
gia superiore della mia essenza, l’opera cioè dell’intellet-
to; è possibile ad un’arte didattica che sappia seguire la
natura, non solo di sottomettere la viva forza d’intuizione
propria del selvaggio al meccanismo della mia sensibili-
tà, ma di subordinarla anche alla forza della mia ragione;
è possibile infine di ravvivare questa viva forza d’intui-
zione in perfetto accordo con l’aspirazione più sublime
dell’umanità, con l’aspirazione all’indefettibile verità.
Amico, se la mia vita ha un merito è quello di aver po-
sto il quadrato come base di un insegnamento intuitivo,
che ancor mancava al popolo. Io ho in tal modo prepa-
rato al fondamento stesso di ogni nostra conoscenza un
sistema di mezzi didattici, che sinora non possedevano
che gli insegnamenti elementari ad esso subordinati del-
la lingua e del numero. In tal modo io sono riuscito ad
armonizzare intuizione e giudizio, meccanismo sensibile
e puro processo intellettivo, e a dirigere l’istruzione ver-
so il fine universale della verità, avendo, con questo me-
todo, messo da parte il caos variopinto delle mille verità
particolari.

Storia d’Italia Einaudi 178


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Amico! Vent’anni fa io non sapevo ancora dove ciò mi


avrebbe condotto, quando scrivevo questo brano nella
prefazione a Leonardo e Gertrude: «Io non prendo parte
alcuna al conflitto delle opinioni tra gli uomini; penso
che ciò che li rende più coraggiosi, fedeli ed onesti, ciò
che può introdurre nel loro cuore l’amore di Dio o del
prossimo e nella loro casa la felicità e la benedizione, è
al di sopra di ogni lotta e sta in tutti e per tutti noi nel
nostro cuore».
Oggi il mio metodo dà a questo passo un senso di
verità a cui allora non potevo pensare. Infatti posso
dire con sicurezza: Io non prendo con esso parte alcuna
ai conflitti tra gli uomini. Io non insegno loro nè a
riconoscere una verità nè a riconoscere un errore. Il mio
metodo non si estende al di là di ciò che è inconfutabile,
non ha a che fare con alcuna opinione che sia discutibile
fra gli uomini: giacché esso non è una teoria di verità
particolari, ma la teoria della verità e in esso si unificano
la necessità fisica, che è il fine del meccanismo proprio
della mia didattica, e la perfetta certezza del giudizio.
Amico, io non ho alcuna pretesa. In tutta la mia
vita non volli, ed ora non voglio altro, che la salvezza
del popolo, che io amo e di cui sento la miseria, così
come pochi, giacché io ho sofferto in me stesso, come
nessun altro, i suoi stessi dolori. Quando io dico che vi
è un meccanismo i cui risultati sono una vera e propria
necessità fisica, io non pretendo d’averne sviluppate le
leggi in tutta la loro ampiezza; e quando io dico che
nell’insegnamento vi è un puro processo intellettivo, io
non pretendo d’averne esposte le leggi in tutta la loro
perfezione. Io ho cercato con l’esposizione dell’opera
mia di dimostrare la certezza dei miei principi, non di
porre l’opera imperfetta della mia inquieta personalità
come modello per quanto si potrà e si dovrà fare per
l’umanità sviluppando più ampiamente quei principi.

Storia d’Italia Einaudi 179


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Che cosa questo abbia ad essere io non lo so, e sento


di giorno in giorno sempre più questa mia ignoranza.
Tutto quanto nella mia esposizione è teoria e giudizio,
non è assolutamente altro che il risultato di una empi-
ria limitata e faticosa, e, devo pure aggiungerlo, di una
straordinaria fortuna. Io non posso nè devo tacere che
se quest’uomo, giudicato sin nella sua maturità da tanti
uomini utili agli altri e ricchi di esperienza come un in-
capace, se quest’uomo, caduto da tempo in una profon-
da intima desolazione, non fosse riuscito a divenire mae-
stro di scuola, se Buss, Krüsi e Tobler non fossero ve-
nuti in aiuto alla sua incredibile incapacità in ogni arte
ed in ogni abilità pratica con un’energia ch’io non avrei
mai neppur potuto sperare, tutta la sua teoria dell’edu-
cazione non sarebbe stata che il fuoco interno di un vul-
cano che non trova via d’uscita e che va all’interno stes-
so spegnendosi. Io sarei stato allora come un pazzo so-
gnatore, cui non è destinata sorte migliore dell’essere mi-
sconosciuto dai buoni e disprezzato dai malvagi, seppel-
lito già prima della morte; tutto il mio merito, la mia vo-
lontà, l’indomabile, invitta volontà della salvezza del po-
polo, gli affanni dei miei giorni, i sacrifici della mia vi-
ta, la rovina di me stesso non sarebbero oggi che moti-
vi di scherno per i monelli, nè io avrei un solo amico che
potesse osare di ridar fama alla mia ombra disprezzata.
Del resto io stesso non avrei permesso che mi si rendes-
se giustizia, e sarei disceso nella tomba corrucciato con
me stesso, disperato della miseria sia del popolo che dei
miei amici. In questa desolazione mi sarebbe rimasta so-
lo la triste forza di lamentarmi con me stesso del mio de-
stino; e io l’avrei fatto inevitabilmente; avrei gettato su di
me solo la colpa della mia rovina; la triste imagine della
mia vita mi sarebbe apparsa allora come un’ombra cupa,
senza alcun raggio di luce.
Amico, pensa il mio cuore, la mia disperazione e que-
st’ombra che mi si parava dinanzi e il pensiero insorgente

Storia d’Italia Einaudi 180


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

in tanta rovina: ch’io avessi da me stesso distrutto quello


ch’era il fine della mia vita. Ed era vero, io l’avrei distrut-
to in me stesso. Ma Dio me lo ridiede, quando già io l’a-
vevo perduto. Io mancai sette volte sette, anche quando
sembrava che fossero stati posti a mia disposizione tutti
i mezzi. Oh, per molti anni io ho agito come non agisce
nessuno, e continuai in tal vita come non continuò mai
nessuno. Non solo, sin dalla mia infanzia, si opponeva-
no al raggiungimento del mio scopo la totale mancanza
di qualsiasi compiuta abilità pratica e la disastrosa spro-
porzione tra le aspirazioni della mia volontà e i limiti del-
le mie forze, ma ogni anno io divenni sempre più incapa-
ce di tutto ciò che appariva assolutamente necessario a
raggiungere esternamente il mio fine.
Ma è mia colpa forse se le vicende di una vita con-
tinuamente calpestata mi trassero per lungo tempo fuo-
ri dal cammino che può percorrere chi non ha il cuore
spezzato? È forse mia colpa se da lungo tempo è scom-
parso dalla mia anima il ricordo delle testimonianze d’af-
fetto di coloro che sono felici, o almeno non sventurati,
come scompaiono le traccie di un’isola ingoiata dal ma-
re? È mia colpa se gli uomini che mi circondano, da lun-
go tempo, mi hanno considerato come un cadavere san-
guinante, calpestato, gettato al margine della strada, sen-
za più coscienza alcuna, in cui la forza della vita si sa-
rebbe potuta ridestare solo lentamente e sempre col pe-
ricolo della morte e della corruzione, come una spiga tra
le spine, i cardi e le canne della palude? È mia colpa se
tutta la ragion d’essere della mia vita è ora in me come
un nudo scoglio tra i flutti, da cui l’instancabile violenza
delle onde spumeggianti ha tratto anche l’ultimo vestigio
della bella terra che una volta lo copriva?
Sì, amico, è colpa mia, ed io lo sento profondamente
e mi piego nella polvere, non già davanti al giudizio
dei malvagi che mi ronzano attorno come un inferocito
sciame di vespe, ma dinanzi all’imagine ideale di me

Storia d’Italia Einaudi 181


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

stesso e dell’intima dignità a cui mi sarei potuto elevare


se avessi saputo, pur nella cupa notte della mia vita
desolata vincere il mio destino e l’orrore di quei giorni,
in cui tutto ciò che allieta ed innalza l’umana natura era
svanito attorno a me, e tutto ciò che la sconvolge ed
abbatte stava a me di fronte inflessibile ed invincibile
ed urtava con tale violenza contro il mio debole cuore
che la mia mente non poteva trovare ai suoi colpi mortali
alcun rimedio. Certamente, amico, è mia la colpa. La
mia sventura è tutta mia colpa. Io avrei potuto, io avrei
dovuto e sto per dire io l’ho voluto, ho voluto elevarmi
sopra il mio destino, se pure posso chiamar volere questo
ch’io non seppi condurre a compimento. Ma vero è
che io son diventato vecchio e la miseria dei miei giorni
mi ha trascinato presso alla tomba, prima che il totale
turbamento del mio sistema nervoso distruggesse in me
ogni equilibrio e l’ultima ribellione mi ponesse in lotta
con me stesso e con l’umanità.
Amico, una donna superiore a qualunque uomo, una
donna che attraverso una vita, le cui sventure pareggiano
le mie, seppe non avvilirsi mai, ma nobilitarsi sempre
più, aveva da lungo tempo previsto il giorno della mia
disperazione, e alle parole del mio profondo scoramento:
«Che importa, dunque?» rispose: «O Pestalozzi, quando
l’uomo arriva al punto di pronunciare queste parole,
solo Dio lo può aiutare; neppur egli può più salvare se
stesso».
Io vidi in lei che mi ammoniva uno sguardo di com-
passione e di ansietà, E se non avessi altra colpa dell’av-
vilimento in cui caddi, quella di aver ascoltato e poi di-
menticato tali parole, la mia colpa sarebbe maggiore di
quella di qualsiasi uomo che non abbia mai conosciuto
una tale virtù, nè udita una tale parola.
Amico, lascia che per un istante io dimentichi l’opera
mia ed il mio fine e mi abbandoni alla tristezza che mi
avvolge, giacché io vivo ancora e non son più me stesso.

Storia d’Italia Einaudi 182


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Io ho perduto tutto; io ho perduto me stesso; pure,


o Signore, tu hai salvato in me le aspirazioni della mia
vita, tu non hai oscurato dinanzi ai miei occhi il fine
di tanto mio dolore, come tu lo oscurasti agli occhi di
tanti uomini che, per propria colpa, smarrirono il loro
cammino. Nella mia rovina tu hai salvato l’opera della
mia vita, e nella vecchiaia incerta e senza speranza mi
lasci intravedere un fulgore di tramonto, la cui amabile
luce tempera le sofferenze della mia vita. Signore, io
non son degno della misericordia e dell’amore che tu
mi dimostrasti. Tu, tu solo hai avuto pietà del verme
calpestato. Tu solo non hai schiantato il giunco percosso;
tu solo non hai spenta la tremula fiamma del lucignolo
e non hai distolto il viso, sino all’ora della mia morte,
dal sacrificio che io, sin da giovane, ho voluto e non ho
potuto offrire agli abbandonati su questa terra.

Storia d’Italia Einaudi 183


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

XII

Amico mio, la commozione non mi lasciò proseguire


nell’ultima lettera; lasciai la penna e feci bene. Che cosa
valgono le parole quando il cuore si piega nell’oscura
disperazione o si eleva fino alle nubi della gioia?
Amico, che cosa valgono le parole, anche nelle comuni
circostanze?
Nella parola dell’uomo, nel contrasto tra la nullità di
questo sublime privilegio dell’umanità, e la forza subli-
me di questa nullità, io scorgo l’impronta della estrema
strettezza del carcere in cui langue schiavo lo spirito; io
scorgo in essa l’immagine della perduta innocenza del-
l’uomo, ma insieme l’immagine della vergogna che risve-
glia in me l’ombra di questa santità perduta, fino a che
io ne sia degno. Sino allora, vive in me una forza che mi
spinge a cercare il fine perduto e a rialzarmi dalla rovi-
na. Amico, finché l’uomo è degno del suo sublime privi-
legio, della lingua, finché egli porta in sè la pura volon-
tà di nobilitarsi per suo mezzo, essa è per l’uomo una di-
vina prerogativa della sua natura; ma quando egli cessa
di esserne degno, quando non l’usa come un mezzo al-
la sua elevazione, essa diviene per lui il primo strumen-
to della sua corruzione, un miserabile appoggio a tutte
le sue miserie, un’inesauribile fonte di innumerevoli illu-
sioni, un triste mantello gettato sulla sua vergogna. Ami-
co, questa è bene una terribile verità. Nell’uomo corrot-
to la corruzione cresce proprio per mezzo del linguag-
gio. In causa sua la miseria del miserabile diviene anco-
ra maggiore, l’oscurità degli errori ancora più oscura, i
delitti dei malvagi ancora più gravi. Amico, oggi anco-
ra la corruzione dell’Europa sta crescendo per colpa del-
la vana retorica; non è prevedibile dove il numero sem-
pre crescente di opuscoli trascinerà un’età la cui debo-

Storia d’Italia Einaudi 184


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

lezza, i cui smarrimenti, le cui prepotenze son quelle che


noi oggi vediamo.
Ma ritorno all’argomento. Nelle ricerche empiriche
sull’istruzione io non partii da alcun definito sistema
pedagogico e, d’altra parte, non ne conoscevo alcuno.
Mi chiesi solo: che cosa faresti se tu volessi dare ad un
fanciullo tutte quelle conoscenze e abilità, di cui egli
necessita per raggiungere, con una savia cura delle sue
facoltà essenziali, l’interna soddisfazione di se stesso?
Ma ora vedo che in tutte le mie lettere ho trattato fi-
nora solo il primo punto: l’avviamento cioè del fanciul-
lo al sapere e non il suo avviamento alle abilità, almeno
in quanto esse non riguardano direttamente le varie di-
scipline di studio. Pure l’uomo per raggiungere, col loro
possesso, un’interna soddisfazione di se stesso ha biso-
gno di abilità pratiche che non si limitano a quelle rela-
tive alle singole discipline, che la natura stessa dell’istru-
zione mi ha fatto sin ora considerare.
Io non posso lasciare questa lacuna; è infatti forse il
più terribile dono che un genio nemico abbia dato ad
un secolo, quello di conoscenze disgiunte dalle abilità
pratiche.
O uomo affondato nella sensibilità, essere infinita-
mente bisognoso e incontentabile, tu devi, a causa dei
tuoi desideri e dei tuoi bisogni, sapere e pensare, ma in-
sieme anche agire. Pensare ed agire devono star tra loro
nella stessa relazione che la sorgente e il ruscello, in mo-
do che al cessare dell’uno cessi anche l’altro e vicever-
sa. Ma ciò non può avvenire se le abilità, senza di cui è
impossibile raggiungere l’appagamento dei bisogni e dei
desideri, non sono in te sviluppate come metodo, sino a
raggiungere una forza corrispondente all’idea che tu pos-
siedi dell’oggetto dei tuoi bisogni e dei tuoi desideri. Ora
l’educazione di queste abilità pratiche riposa sulle stesse
leggi meccaniche che noi abbiamo posto a fondamento
delle nostre conoscenze.

Storia d’Italia Einaudi 185


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Il meccanismo della natura è il medesimo nella pian-


ta vivente, nell’animale puramente sensibile e nell’uomo
considerato come essere sensibile e volitivo. Esso è sem-
pre uguale a se stesso nel triplice effetto che può produr-
re in noi. Le tue leggi possono anzitutto agire solo fisica-
mente, sulla mia natura fisica, al modo stesso che agisco-
no su ogni natura animale. In secondo luogo esse posso-
no agire su di me in quanto determinano le cause sensibi-
li del mio giudizio e del mio volere. Sotto questo aspetto
esse sono i fondamenti sensibili dei miei concetti, delle
mie tendenze e delle mie decisioni. Esse agiscono in ter-
zo luogo su me in quanto mi rendono atto ad abilità fi-
siche, la cui necessità è da me sentita per istinto, ricono-
sciuta col pensiero, e il cui apprendimento è reso possi-
bile dalla mia volontà. Ma sotto questo rispetto l’arte di-
dattica deve togliere l’educazione dell’uomo dalle mani
della natura sensibile, o piuttosto dall’influsso delle con-
dizioni accidentali di vita sensibile d’ogni individuo, per
affidarla alle mani di pensieri, forze e direttive che l’u-
manità ha da millenni imparato a conoscere per il suo
vantaggio.
Il singolo uomo non ha perduto il senso di queste fon-
damentali esigenze della sua educazione. L’istinto natu-
rale, insieme alle cognizioni ch’egli ha, lo conduce per
questa via. Il padre non abbandona il figlio totalmente
alla natura, e tanto meno il maestro il suo scolaro, ma i
governi errano sempre e assai più gravemente del singo-
lo uomo. Giacché una comunità non è guidata da alcun
istinto, e là dove questo tace, ogni verità possiede solo un
mezzo diritto.
E veramente ciò, di cui nessun padre si rende colpe-
vole verso il proprio figlio e nessun maestro verso il pro-
prio alunno, ciò appunto il governo commette contro il
popolo. Il popolo d’Europa, per ciò che riguarda la sua
educazione all’attività pratica, – di cui l’uomo ha biso-
gno per raggiungere, con savia cura delle sue facoltà es-

Storia d’Italia Einaudi 186


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

senziali, l’intima soddisfazione di se stesso, – non riceve


nessun appoggio dai suoi governi; esso non riceve alcu-
na educazione pubblica all’attività pratica, se non all’o-
micidio, che, sotto la forma dell’organizzazione militare,
abbraccia ed ispira tutto quanto è dovuto al popolo e il
popolo deve a se stesso. Tale organizzazione assorbe tut-
to quello che vien estorto al popolo e che deve essergli
estorto in quantità sempre maggiore, giacché non gli si
mantiene mai ciò che gli è stato promesso in vista di que-
ste estorsioni. E ciò che non gli si mantiene è di natura
tale, che se gli si mantenesse, l’oppressione si mutereb-
be in giustizia, nella tranquillità e felicità pubblica. Ma
ora si strappa alla vedova il pane che essa si toglieva dal-
la bocca per sfamare il suo figliolo, senza alcuna utilità e
vantaggio per il popolo, anzi, contro il suo stesso bene,
per rendere legale e giustificabile legalmente tanta illega-
lità e indegnità, proprio con lo stesso spirito con cui si
strappava alla vedova e all’orfano il pane, per dare al ne-
potismo una giustificazione ecclesiastica e canonica. In
questi due casi si usava dello stesso mezzo: per il nepo-
tismo di imposizioni ecclesiastiche, per l’illegalità di im-
posizioni politiche sul popolo, e sempre con la giustifi-
cazione del bene pubblico, le une, per la salute dell’ani-
ma sua, le altre per il suo bene terreno, quando era chia-
ro che le une e le altre erano rivolte a danno tanto del-
la salute dell’anima, quanto del benessere temporale del
popolo.
Il popolo d’Europa è orfano e misero; la maggior par-
te di coloro che gli stanno vicino e potrebbero aiutarlo,
hanno ben altro da pensare che non alla sua salute. Nel-
la stalla o tra i cani e i gatti tu li potresti trovare e crede-
re dotati di sentimenti umani; ma tali non sono verso il
popolo. Verso il popolo molti di essi non sono uomini,
non hanno cuore per lui. Vivono dei prodotti della ter-
ra, in un’assoluta ignoranza delle condizioni necessarie
alla produzione stessa. Essi non sanno sino a qual grado

Storia d’Italia Einaudi 187


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

il popolo è avvilito, sviato, privato d’ogni bene e d’ogni


senso di umanità dal crescere continuo delle forme e dei
modi errati di esazione, dalla diminuzione di onestà nel-
l’applicazione delle leggi, dalla sempre maggiore assenza
di responsabilità nell’abuso del bene pubblico, e dal cor-
rispondente aumento consecutivo dell’indebolimento fi-
sico di quegli uomini e di quelle classi prive, non è de iu-
re, ma de facto, d’ogni responsabilità che in questi pro-
venti vogliono lavarsi le mani macchiate. Essi non sanno
sino a qual punto crescano ogni giorno; e difficoltà per
vivere in accordo con Dio e con la virtù e per lasciare al-
la propria morte, i figli sufficientemente provvisti, secon-
do le proprie condizioni; tanto più essi ignorano la spro-
porzione tra ciò che la loro prepotenza toglie ai poveri
della campagne e ciò che a loro vien lasciato come mez-
zo per produrre ciò che di nuovo verrà loro tolto. Ma
dove, o caro amico, mi lascio trascinare nella mia santa
semplicità?
L’educazione alle abilità fisiche che, al pari dell’istru-
zione elementare, lo Stato dovrebbe assolutamente e po-
trebbe facilmente dare al popolo, si fonda, come ogni
educazione rivolta a creare un vasto e perfetto meccani-
smo, su di un A B C dell’arte, cioè su regole generali di
attività pratica, seguendo le quali i fanciulli potrebbero
essere guidati ad una serie di esercizi, che, procedendo
da forme semplicissime di attività pratica a forme sem-
pre più complesse, assicurassero ai fanciulli una facilità
progressiva in ogni abilità pratica di cui avessero biso-
gno. Ma anche questo A B C non fu trovato. Ed è affat-
to naturale che non si riesca a trovare ciò che non si cer-
ca. Eppure era facile scoprirlo, giacché esso doveva trar
le sue origini dalle più semplici manifestazioni delle for-
ze fisiche che contengono i fondamenti anche delle più
complicate attività pratiche.
Battere, portare, gettare, spingere, tirare, voltare, tor-
cere, afferrare ecc. sono le precipue semplici manifesta-

Storia d’Italia Einaudi 188


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

zioni delle nostre forze fisiche. Differenti le une dalle al-


tre, contengono tutte insieme e ciascuna per sè le forme
elementari di ogni attività pratica possibile, anche delle
più complicate, su cui si fondano i mestieri degli uomi-
ni. È chiaro quindi che l’A B C delle attività pratiche de-
ve procedere da esercitazioni ordinate psicologicamen-
te sin dalla prima età, in queste attività particolari, pre-
se ciascuna per sè. Ma come già nell’A B C dell’istruzio-
ne noi siamo inferiori alle donne di Appenzell e all’arte
di un uccello di carta, così anche nell’A B C delle attivi-
tà pratiche siamo inferiori ai più miseri selvaggi e alla lo-
ro arte nel battere, nel gettare, nello spingere, nel tirare
ecc.
È certo però che l’idea di una serie di tali esercitazio-
ni sino al raggiungimento di una perfetta abilità tecni-
ca, cioè di un’elasticità nervosa e muscolare che ci ren-
da capaci di variare in mille forme il battere e lo spinge-
re, l’afferrare e il gettare, e faccia la mano e il piede sicu-
ri nei movimenti opposti o concordi, non è, per noi, che
ci vogliamo dar l’aria di educatori del popolo, se non un
sogno fantastico. E la ragione è chiara: noi non abbia-
mo che scuole di sillabazione, scuole di scrittura, scuo-
le di catechismo, mentre noi avremmo bisogno di scuo-
le d’umanità. Ma queste non favorirebbero i principi del
nepotismo e dell’illegalità, che costituiscono le basi del-
l’amministrazione pubblica, e non sono conciliabili con
le disposizioni nervose di coloro che con questo nepoti-
smo e con questa illegalità, dominanti in Europa, riesco-
no a trarre per sè grande profitto.
Il meccanismo delle attività pratiche ha il medesimo
sviluppo di quello della conoscenza, anzi i suoi fonda-
menti, rispetto alla naturale tendenza all’autoeducazio-
ne, sono assai più attivi di quelli da cui deriva il conosce-
re. Per poter fare, tu devi, in ogni caso, fare; per sape-
re, invece, tu puoi spesso rimaner passivo, e in molti casi
non far altro che vedere ed ascoltare. Invece, rispetto alle

Storia d’Italia Einaudi 189


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

tue attività pratiche, tu non sei solo il centro del loro svi-
luppo, tu determini, in molti casi, anche la forma ester-
na delle loro manifestazioni, ma sempre nei limiti che le
leggi del meccanismo fisico ti hanno posti. Come nel-
l’oceano infinito della natura inanimata la condizione, la
necessità, le circostanze determinano il nostro particola-
re modo di vedere, così nell’infinito oceano della natura
animata, che produce lo sviluppo delle tue forze, la con-
dizione, la necessità e le circostanze determinano il carat-
tere specifico di queste attività di cui tu particolarmente
ed unicamente hai bisogno.
Secondo questi particolari punti di vista deve appunto
esser determinata l’applicazione pratica delle nostre atti-
vità e ogni educazione che allontani l’applicazione del-
le nostre forze e attività pratiche dal centro individua-
le a cui si riferisce tutto ciò che l’uomo nel corso del-
la sua vita deve fare, sopportare, disporre e procurare, e
in tal modo tolga alle attività pratiche che ci son neces-
sarie l’essenziale impronta di individualità, che le con-
dizioni d’ambiente e la situazione personale esigono da
noi, ci mette in contraddizione con queste o ci rende ad
esse in un modo o nell’altro disadatti. Una tale educa-
zione deve essere considerata, in contrasto con una buo-
na ed umana educazione pratica, come una deviazione
dalle leggi della natura, dall’armonia di me con me stes-
so e con tutto ciò che è, e, conseguentemente, come un
impedimento alla formazione di me stesso, alla mia pre-
parazione professionale, all’educazione al dovere, come
una rinuncia, pericolosa alla mia essenza stessa, alla pura
e generosa coerenza delle mie condizioni positive di vita
con l’intima realtà della mia individualità. E ogni forma
d’insegnamento che porti in sè il germe di tanto male per
la vita umana, già così limitata, deve incutere ai genito-
ri, a cui sta a cuore la futura felicità dei propri figli, tanto
maggior timore, in quanto il danno incalcolabile prodot-
to dalla nostra apparente e superficiale coltura, ed anche

Storia d’Italia Einaudi 190


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

la desolazione portata dalla miserabile mascherata rivo-


luzionaria hanno la loro fonte principalmente in errori di
questa specie, che trovaron luogo, da generazioni, nell’i-
struzione e nella non istruzione del nostro popolo.
Come il metodo psicologico per lo sviluppo della no-
stra facoltà di conoscere deve essere fondato su di un A
B C dell’intuizione e deve tendere a far si che il fanciul-
lo, partendo da questo fondamento, venga elevandosi si-
no a raggiungere un chiaro sapere concettuale, così an-
che l’educazione delle attività pratiche, in cui sta il fon-
damento delle nostre virtù, richiede un A B C del loro
sviluppo, secondo la cui traccia proceda la preparazione
sensibile a quella attitudine fisica che anche la saggezza e
la virtù umana esigono e che noi dobbiamo considerare
come un avviamento necessario all’acquisto delle virtù,
sino a che la nostra sensibilità, nobilitatasi per tale edu-
cazione, possa farne ameno, e noi possiamo liberamen-
te raggiungere l’indipendenza di una virtù in sè sicura e
perfetta.
Questa è l’unica direzione in cui può svilupparsi una
forma di educazione alla virtù, degna dell’uomo. Essa
va dalla perfezione della attività pratica al riconoscimen-
to delle sue regole, come l’educazione del conoscere va
da intuizioni perfette a concetti chiari, e da questi alla lo-
ro espressione verbale, cioè alle definizioni. Da ciò de-
riva che, come il far precedere all’intuizione le definizio-
ni produce degli sciocchi presuntuosi, così il far prece-
dere all’attività pratica le dissertazioni sulle virtù produ-
ce dei viziosi pieni di presunzione. Io non credo che l’e-
sperienza mi possa smentire. Le deficienze nella prima
educazione sensibile alla virtù non possono aver risulta-
ti diversi da quelli che hanno le deficienze nella prima
educazione sensibile alla scienza.
Pure io mi trovo dinanzi ad un problema assai più
arduo di quello che io credo d’aver risolto, cioè: Come
può il fanciullo esser educato, tanto per rispetto alla sorte

Storia d’Italia Einaudi 191


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

cui è destinato, quanto per rispetto alle condizioni e


situazioni mutevoli della sua vita, in modo che egli possa
compiere nel corso della sua esistenza con facilità, quasi
seguendo una seconda natura, ciò che gli impongono
la necessità e il dovere? Io mi vedo qui portato al
problema fondamentale del come fare della bambina
dalle vesti svolazzanti la sicura compagna dell’uomo, la
madre forte, degna del suo ufficio, e del bambino dalle
vesti svolazzanti il sicuro compagno della donna, il padre
forte, degno del suo ufficio.
Quale compito, o amico mio, quello di trasfondere nel
figlio dell’uomo lo spirito della sua professione futura,
come una seconda natura! E quale compito più arduo
ancora quello di infondere nel sangue e nelle vene degli
uomini i mezzi sensibili che favoriscano l’inclinazione
alla bontà e alla saggezza, prima che l’impetuoso turbine
dei piaceri sensuali abbia trasfuso nel loro sangue e nelle
loro vene una profonda corruzione che ostacoli ogni
saggezza ed ogni virtù.
Amico! Anche questo problema è risolto. Le leggi del
meccanismo fisico, che sviluppano in me i fondamenti
sensibili del sapere, sviluppano anche i mezzi atti a favo-
rire la mia virtù.
Ma ora, amico mio, non posso entrare nei particolari
di questa soluzione; li rimando ad un’altra volta.

Storia d’Italia Einaudi 192


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

XIII

Amico! Io avrei dovuto, come già dissi, dilungarmi trop-


po se avessi dovuto entrare nei particolari dei principii e
delle regole su cui deve fondarsi l’educazione delle no-
stre essenziali attività pratiche. Ma non voglio por termi-
ne alle mie lettere senza toccare la pietra angolare di tut-
to il mio sistema, cioè il problema: In che rapporto sta
l’essenza della religione con i principi che io ho assunto
come veri per riguardo allo sviluppo dell’umanità?
Anche qui io cerco in me stesso la soluzione di questo
problema e mi chiedo: come nasce nella mia anima il
concetto di Dio? Come avviene che io credo in un Dio,
che io mi getto nelle sue braccia e mi sento felice se lo
amo, se mi affido a lui, se lo ringrazio e lo seguo?
M’accorgo tosto che in me devono essere già sviluppa-
ti i sentimenti dell’amore, della fiducia, della gratitudine
e la disposizione all’obbedienza, prima che io li possa ri-
volgere a Dio. Io devo amare gli uomini, confidare negli
uomini, esser riconoscente agli uomini, ubbidire agli uo-
mini, prima di poter amar Dio, esser riconoscente a Dio,
confidare in Dio, ubbidire a Dio, «poiché chi non ama il
padre che vede, come potrà amare il padre suo nel cielo,
ch’egli non vede?».
Io mi chiedo dunque: come può avvenire che io ami
gli uomini, mi confidi negli uomini, sia grato agli uomi-
ni, ubbidisca agli uomini? Come può avvenire che sor-
gano in me i sentimenti da cui dipendono l’amore, la ri-
conoscenza, la fiducia negli uomini, e le disposizioni al-
l’ubbidienza verso gli uomini? Io trovo che essi hanno
principalmente origine dalle relazioni che esistono tra la
madre e il suo bambino.
La madre deve necessariamente aver cura del figlio,
nutrirlo, custodirlo ed allietarlo; non potrebbe fare altri-

Storia d’Italia Einaudi 193


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

menti, spinta come è da un istinto puramente sensibile.


Ed essa lo segue; soddisfa i bisogni del bimbo, allontana
da lui ciò che gli spiace, corre in aiuto della sua impoten-
za: il fanciullo è curato, è allietato e il germe dell’amore è
nato in lui. Ora ai presenta ai suoi occhi un oggetto che
egli vede per la prima volta: si meraviglia, si spaventa e
piange; la madre lo serra forte al suo petto, lo accarezza,
lo distrae; il suo pianto cessa, ma i suoi occhi rimanga-
no per un po’ di tempo umidi di lacrime. Poi l’oggetto
riappare; la madre accoglie ancora il bimbo tra le brac-
cia e gli sorride; ora egli non piange più, risponde al sor-
riso della madre con occhi limpidi sereni: il germe della
fiducia è nato in lui.
Ad ogni suo bisogno la madre corre presso la culla;
essa è là pronta quando ha fame, gli dà a bere se ha
sete. Quand’egli ode i suoi passi si acqueta; quando
la vede tende le mani; i suoi sguardi si fissano sul seno
materno; egli è saziato; l’immagine della madre e il senso
di benessere della sazietà sono inscindibilmente uniti;
per lui; egli è riconoscente.
I germi dell’amore, della fiducia, della riconoscenza si
sviluppano rapidamente. Il bimbo riconosce il passo del-
la madre, sorride alla sua ombra, ama chi le somiglia; una
creatura che è simile alla sua madre è certamente buona
per lui. Egli sorride all’immagine della madre, sorride ad
ogni anima umana. Chi è caro alla madre è caro anche
a lui; abbraccia quegli che sua madre abbraccia, bacia
quegli che sua madre bacia. Il germe dell’amore verso gli
uomini, il germe dell’amore fraterno è nato in lui.
L’ubbidienza è, nella sua origine, una disposizione
dell’animo i cui moventi sono in antitesi con le prime
tendenza della natura sensibile. La sua formazione esi-
ge l’opera dell’educazione. Non è una semplice conse-
guenza dell’istinto naturale, tuttavia il suo sviluppo se-
gue il medesimo processo. Come all’amore precede il bi-
sogno, alla gratitudine la protezione, alla fiducia la sol-

Storia d’Italia Einaudi 194


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

lecitudine, così all’ubbidienza precede un desiderio vio-


lento. Il fanciullo strilla prima di imparare ad attendere;
è impaziente prima di saper ubbidire. La pazienza nasce
prima dell’ubbidienza; solo attraverso quella il fanciullo
diviene ubbidiente. Le prime disposizioni psicologiche
in cui si realizza tale virtù sono puramente passive, de-
rivano essenzialmente dal sentimento di una dura neces-
sità. Ma anche questo si sviluppa dapprima sulle ginoc-
chia della madre: il fanciullo deve attendere prima che
essa gli offra il seno, deve attendere prima che lo accol-
ga tra le braccia. Molto più tardi si sviluppa nel bimbo
l’ubbidienza attiva, ed ancor più tardi la coscienza che
l’ubbidire alla madre è cosa buona.
Lo sviluppo dell’umanità ha la sua prima origine in
un forte, potente desiderio di soddisfare ai bisogni sen-
sibili. Il seno materno calma la prima foga degli appetiti
sensibili e genera l’amore; in seguito, ben tosto, nasce la
paura: le braccia materne calmano la paura. Queste cu-
re materne fanno sì che si fondono insieme i sentimen-
ti dell’amore e della fiducia, e nasce così il primo germe
della riconoscenza.
La natura si mostra inflessibile di fronte alle violenze
del bambino; egli batte sul legno e sulla pietra; la natura
non cede e il bimbo cessa dal battere sul legno e sulla
pietra. Ora è la madre inflessibile contro i suoi desideri
disordinati; egli infuria e grida: ma quella non cede, e
il bimbo cessa dal gridare; egli si abitua a sottomettere il
suo volere a quello materno; i primi germi della pazienza,
i primi germi dell’ubbidienza son nati in lui.
Ubbidienza ed amore, riconoscenza e fiducia fonden-
dosi insieme dànno origine alla coscienza, alle prime lie-
vi traccie del sentimento che non è bene ribellarsi alla
madre che lo ama, alle prime lievi traccie del sentimento
che la madre non è al mondo solo per lui, alle prime lie-
vi traccie del sentimento, che egli stesso non è al mondo

Storia d’Italia Einaudi 195


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

esclusivamente per sè: appaiono così le prime traccie del


senso del dovere e del diritto.
Questi sono i tratti essenziali dello sviluppo interiore
derivante dalla relazione naturale tra il bimbo e la madre.
Ma in essi sta già completo e totale, nella sua essenza,
il germe sensibile del sentimento di dipendenza che ha
l’uomo verso il suo Creatore. Ossia, il germe di tutti i
sentimenti di dipendenza da Dio, che si assommano nella
fede, è essenzialmente lo stesso germe del sentimento di
dipendenza che lega il bimbo alla madre. E la forma con
cui questo sentimento si sviluppa è, nei due casi, sempre
la medesima.
In ambo i casi il fanciullo ascolta, crede ed ubbidisce,
pur non sapendo ancora ciò che egli crede e ciò che
fa. Frattanto i primi motivi della sua fede e dei suoi
atti, cominciano a scomparire. Lo sviluppo dell’energia
individuale spinge il fanciullo a lasciare la mano della
madre; egli comincia ad aver coscienza di sè e nasce in
lui silenziosamente il pensiero: «Io non ho più bisogno
della mamma». Questa gli legge negli occhi il pensiero
al suo nascere, stringe con più forza il suo piccolo al
cuore e gli dice con una voce ch’egli non ha ancora
udito: «Figlio mio, c’è un Dio di cui avrai bisogno,
quando non avrai più bisogno di me; c’è un Dio che
ti prenderà tra le braccia, quando io non ti potrò più
proteggere; c’è un Dio che ti darà gioia e felicità quando
io non potrò più darti nè gioia nè felicità». Allora
qualcosa d’inesprimibile si agita nel cuore del bimbo; un
sentimento sacro, uno slancio di fede che lo eleva sopra
sè stesso; egli s’allieta del suo Dio quando la madre glie
ne parla. I sentimenti dell’amore, della riconoscenza,
della fiducia, nati in grembo alla madre, s’estendono e
abbracciano ora Dio ed il padre, Dio e la madre. La
disposizione all’ubbidienza trova qui un più largo campo
di manifestazione; il bimbo che ora crede all’occhio di

Storia d’Italia Einaudi 196


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Dio, come all’occhio della madre, fa ora il bene per amor


di Dio, come prima lo faceva per amor della madre.
In questo primo tentativo della semplicità e dell’amore
materno di conciliare i primi sentimenti d’indipendenza
personale con quelli già sviluppati di moralità, per mezzo
della inclinazione alla fede religiosa, ci appaiono i punti
fondamentali a cui l’insegnamento e l’educazione devo-
no tener fisso lo sguardo, se vogliono mirare alla nostra
elevazione spirituale.
Come il primo sbocciare dell’amore della riconoscen-
za, della fiducia e dell’ubbidienza è il risultato di un con-
centramento di sentimenti istintivi tra madre e figlio, ca-
si il successivo sviluppo di questo germe è opera dell’arte
educativa dell’uomo, di un’arte però di cui tu smarrirai
ineluttabilmente le fila, se perderai di vista, sia pure per
un solo istante, quei punti da cui si svolge tutto l’ordi-
to. Il pericolo di questo smarrimento è grande per il tuo
bimbo e sorge presto. Egli balbetta il nome della madre,
egli ama, è riconoscente, fiducioso, ubbidiente. Egli bal-
betta il nome di Dio, egli ama, è riconoscente, fiducio-
so, ubbidiente. Ma i motivi determinanti della ricono-
scenza, dell’amore, della fiducia scompaiono dopo il pri-
mo sbocciare di questi sentimenti; egli dice di non aver
più bisogno della mamma; il mondo che lo circonda lo
chiama a sè con l’allettamento sensibile di forme ancora
ignote e gli mormora: «Ora tu sei mio».
Il fanciullo ascolta necessariamente la nuova voce che
lo chiama a sè. L’istinto infantile è in lui scomparso
e ne ha preso il posto l’istinto della nuova forza che
in lui si sviluppa. Perciò il germe della moralità, in
quanto si connetteva ai sentimenti infantili, s’estingue
improvvisamente e deve estinguersi se in quell’istante
nessuno sa collegare i primi accenni dei sentimenti alla
sua natura morale, come le fila della vita all’aureo fuso
della creazione. O madre, o madre; il mondo comincia
ora ad allontanare il tuo bimbo dal tuo cuore, e se in

Storia d’Italia Einaudi 197


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

questo momento nessuno collega i sentimenti suoi più


nobili all’apparenza del mondo sensibile che ora gli sta
dinanzi, non vi sarà rimedio; o madre, o madre, il tuo
bimbo ti è strappato dal cuore. Il mondo, nuovo per
lui, diviene per lui madre, diviene per lui Dio. Il piacere
sensibile diviene Dio per lui; il capriccio diviene il suo
Dio.
O madre, o madre! Egli ha perduto te, ha perduto
Dio, ha perduto se stesso; la fiamma dell’amore s’è spen-
ta in lui. Dio non è più in lui; il germe del rispetto di sè è
soffocato; egli si avvia verso la corruzione di una tenden-
za incondizionata al piacere dei sensi. Umanità! Umani-
tà! Qui è il momento in cui i sentimenti infantili scom-
paiono dando luogo alle prime seduzioni del mondo, in-
dipendenti dalla madre; qui è il momento in cui il terre-
no, sovra il quale sbocciarono i sentimenti più nobili del-
la nostra natura, comincia a cedere sotto i piedi del fan-
ciullo e in cui la madre si accorge di non esser più per lui
ciò che essa era prima, mentre all’opposto si sviluppa nel
fanciullo il germe della fiducia in questa nuova vivente
imagine del mondo e la sua seduzione già soffoca ed ina-
ridisce la fiducia nella madre, che non è più per lui ciò
ch’era un tempo, e con essa la fiducia nell’invisibile ed
ignoto Iddio, così come l’intreccio selvaggio delle radici
strettamente connesse della gramigna soffoca ed uccide
l’intreccio sottile delle radici di erbe più nobili. Umani-
tà! Umanità! in questo momento in cui i sentimenti del-
la fiducia nella madre ed in Dio si separano da quelli del-
la fiducia nella nuova immagine del mondo ed in tutto
ciò che vi è compreso, qui a questo bivio tu devi usare di
tutta la tua arte, di tutta la tua forza per mantenere puri
nel fanciullo i sentimenti della riconoscenza, dell’amore,
della fiducia, dell’ubbidienza.
Dio vive in questi sentimenti e dalla loro conservazio-
ne dipende tutta la forza della tua vita morale.

Storia d’Italia Einaudi 198


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Umanità! Ora che sono cessate le cause fisiche che


hanno prodotto il sorgere di questi sentimenti nel fan-
ciullo, tu devi impiegare ogni arte per trovare nuovi mez-
zi onde avvivarli e non permettere che la seduzione del-
la nuova immagine del mondo penetri nel tuo bimbo di-
sgiunta da quelli.
Qui è il punto dove tu per la prima volta non devi più
affidarti alla natura, ma operare da te, togliere alla cecità
di quella l’educazione del fanciullo per affidarlo alla for-
za ed ai metodi che ti hanno insegnato l’esperienza dei
secoli. Il mondo che ora appare agli occhi del fanciul-
lo non è la prima creazione di Dio; è un mondo corrot-
to tanto per rispetto all’innocenza del godimento sensi-
bile, quanto per rispetto ai sentimenti dell’intima supe-
riore natura: un mondo pieno di guerra scatenata dall’e-
goismo, pieno di assurdità, di violenza, di vanità, di men-
zogna, di inganno.
Questo mondo che non è la prima creazione di Dio,
trascina il tuo fanciullo nella precipitosa danza del vorti-
ce tumultuoso, nel cui fondo giacciono l’insensibilità e la
morte morale. Ciò che questo mondo pone innanzi agli
occhi del tuo fanciullo non è la creazione di Dio, ma la
forza e l’arte della sua propria corruzione.
Povero fanciullo! La tua camera è il tuo mondo; ma
tuo padre è costretto alla sua officina; tua madre oggi
ha il malumore, domani una visita, dopo domani i nervi.
Tu ti annoi, tu chiedi, la domestica non ti risponde. Tu
vorresti correre in istrada, ma non puoi. Ora ti bisticci
con la sorellina per un giocattolo. Povero fanciullo, che
cosa miserabile, desolata e rovinata è questo tuo mondo!
Ma forse sarebbe migliore se ti facessi portare in una
carrozza dorata per viali ombrosi? La tua governante
inganna tua madre: tu soffri meno, ma diventi peggiore
di tutti coloro che soffrono. Che cosa hai guadagnato?
Che la tua vita ti è più pesante della vita di tutti coloro
che soffrono.

Storia d’Italia Einaudi 199


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

Questo mondo è così corrotto dall’educazione contro


natura e dalla costrizione contro natura, che esso non ha
più alcuna idea dei mezzi che possono conservare puro
il cuore nel petto dell’uomo. Anzi esso lascia l’innocen-
za infantile in un abbandono simile a quello in cui la ma-
trigna lascia il suo figliastro, abbandono che, novantano-
ve volte su cento, è e deve essere decisivo per il fallimen-
to delle aspirazioni superiori dell’uomo, giacché la nuo-
va immagine del mondo, in questo momento, appare agli
occhi del fanciullo senza che nulla valga di contrappeso
alla unilateralità delle sue forme sensibili e alla seduzione
di tale unilateralità. La sua rappresentazione così, per ta-
le unilateralità e vivacità, acquista nel fanciullo una for-
za che supera decisamente l’efficacia delle esperienze e
dei sentimenti che stanno alla base della nostra educa-
zione intellettuale e morale. Perciò all’egoismo ed all’av-
vilimento morale si apre allora un campo infinito e ric-
co di vita. Al contrario, va dissolvendosi la disposizione
d’animo che, pur essendo d’origine sensibile, costituiva
la base su cui s’elevavano le forze superiori della sua mo-
ralità e del suo ingegno; le porte, già per sè strette del-
la moralità, vengono ostruite e la natura sensibile pren-
de necessariamente nell’uomo una direzione che separa
la ragione e l’amore, l’educazione dell’intelletto dalla fe-
de in Dio, e fa dell’egoismo, in maggiore o minor grado,
il solo motore d’ogni attività, guidando così sicuramente
l’uomo alla rovina.
È incomprensibile che l’umanità non riconosca questa
fonte universale della sua depravazione; è incomprensi-
bile che essa non abbia volto tutta la sua arte a soffocar-
la, a sottomettere l’educazione a quei principi che non di-
struggono nel fanciullo l’opera di Dio, i sentimenti del-
l’amore, della riconoscenza e della fiducia, ma giovano al
contrario a sviluppare i mezzi posti da Dio stesso nella
nostra natura per armonizzare la nostra elevazione intel-
lettuale e morale, in questo momento che tanto la minac-

Storia d’Italia Einaudi 200


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

cia e ad accordare l’istruzione e l’educazione in genera-


le, da un lato, con le leggi del meccanismo fisico, secon-
do cui il nostro spirito si eleva dalle intuizioni oscure ai
concetti chiari, dall’altro, coi sentimenti della mia interna
natura, per il cui graduale sviluppo il mio spirito si eleva
al riconoscimento e al rispetto della legge morale. È in-
comprensibile che l’umanità non sia giunta ancora a sta-
bilire una serie graduata ed ininterrotta di mezzi atti ad
educare l’intelletto e il sentimento ed il cui scopo essen-
ziale dovrebbe esser questo : di porre la perfezione mo-
rale alla base dell’educazione intellettuale e del suo me-
todo, di preservare la ragione dallo smarrimento in cui la
fa cadere la sua unilateralità, col conservare la purità del
cuore, e, sopra tutto, di sottomettere le impressioni sen-
sibili al giudizio, il desiderio cieco alla benevolenza, e la
benevolenza alla volontà retta.
Le ragioni che esigono questa subordinazione si con-
nettono alla mia stessa profonda natura. A mano a mano
che le mie forze sensibili si sviluppano, la loro prepon-
deranza deve venir meno, se devono compirsi le esigen-
ze superiori del mio spirito, cioè esse devono venir sotto-
messe ad una legge più alta. Ma ogni grado dello svilup-
po della mia personalità deve esser compiuto, prima che
lo si possa subordinare a fini più alti. E questa subordi-
nazione di ciò che è già compiuto a ciò che deve ancora
svilupparsi, esige anzitutto che siano tenuti fermi i primi
elementi di ogni conoscenza, e che da questi si proceda
gradatamente, senza interruzione, verso il fine proposto-
ci. La prima legge che caratterizza questa discontinuità
à appunto che la prima istruzione del bimbo non si ba-
si sull’intelletto o sulla ragione, ma solamente sui sensi e
sul cuore e sia opera essenzialmente della madre.
La seconda legge, che segue alla prima, è questa: L’i-
struzione deve procedere solo lentamente dall’esercizio
dei sensi a quello del giudizio; essa deve a lungo basarsi
sul cuore, prima che sulla ragione, essere a lungo opera

Storia d’Italia Einaudi 201


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

della donna, prima che cominci a divenir opera dell’uo-


mo.
Che devo dire di più? Con queste parole le eterne leg-
gi della natura mi riconducono a te, o madre. Solo a fian-
co a te io posso conservare, nonostante la seduzione del
mondo, la mia innocenza, il mio amore, la mia ubbidien-
za e tutti i pregi della mia più alta natura. O madre, o
madre! Se tu hai ancora una mano, se tu hai ancora un
cuore per me, non lasciare che io mi allontani da te; se
nessuno ti ha fatto conoscere il mondo, così come de-
vo io ora conoscerlo, vieni, lo conosceremo insieme, così
come tu avresti dovuto conoscerlo e come io pure debbo
conoscerlo. O madre, o madre! Nel momento del peri-
colo quando sembra che la nuova immagine del mondo
mi abbia a staccar da te, da Dio e da me stesso, noi non ci
allontaneremo, l’uno dall’altro. O madre, o madre, con-
sacra per me, con la vicinanza del tuo cuore, il passaggio
dall’intimità con questo all’esperienza del mondo.
Amico mio, non posso parlare più oltre; il mio cuore
è commosso ed io vedo le lacrime nei tuoi occhi. Addio!

Storia d’Italia Einaudi 202


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

XIV

Amico! proseguo e mi domando: che cosa ho fatto, an-


che dal punto di vista religioso, per combattere i mali di
cui feci esperienza nella vita? Amico! se il mio metodo
soddisfacesse ai bisogni dell’umanità, il suo valore supe-
rerebbe le speranze che io ho concepito; a così è in effet-
to.
Il germe da cui nascono i sentimenti che sono alla base
della religione e della moralità, è il medesimo da cui deri-
va l’essenza del mio metodo. Questo parte dalla relazio-
ne naturale che intercede tra il bimbo e la madre e ripo-
sa essenzialmente sull’arte di connettere, sin dalla culla,
l’insegnamento a questa relazione naturale e di fondar-
lo, con cura ininterrotta, su di una disposizione d’animo
che è identica con quella che ci pone in immediato rap-
porto di dipendenza col Creatore della nostra natura. Il
mio metodo cerca in ogni modo di impedire che, al pri-
mo svanire del rapporto fisico tra madre e bimbo, si iste-
rilisca il germe di più alti sentimenti, sbocciati appunto
da questo rapporto ed offre, quando stiano per cessare
le loro cause fisiche, nuovi mezzi per avvivarli. Nel mo-
mento in cui vengono separandosi dai sentimenti di fi-
ducia nella madre ed in Dio i sentimenti che nel bimbo
si destano a contatto con i fenomeni della realtà, il mio
metodo volge ogni forza ed ogni arte a far sì che la sedu-
zione del mondo dalle mille parvenza giunga all’anima
del fanciullo solo accordandosi coi sentimenti superiori
della sua natura. Esso rivolge tutta la forza e tutta l’arte a
presentargli questa imagine del mondo come prima crea-
zione di Dio e non come un mondo pieno di menzogna e
d’inganno; esso vien togliendo a tale immagine il caratte-
re di unilateralità e ciò che in esso v’è di seducente, con
l’avvivare il senso di dipendenza del fanciullo dalla ma-

Storia d’Italia Einaudi 203


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dre e da Dio; esso limita il campo infinito d’azione del-


l’egoismo, a cui la vista della corruzione del mondo invi-
ta la mia natura sensibile e non permette che il proces-
so della mia ragione si separi da quello del mio cuore e
che l’educazione del mio spirito si allontani dalla fede in
Dio.
L’essenza del mio metodo sta in ciò, che quando le
cause fisiche dell’unione tra madre e bimbo vengono a
mancare, io cerco non solo di ridare al bimbo la sua ma-
dre, ma di offrire a questa una serie di mezzi particolari
con cui essa possa far durare l’unione del suo cuore con
quello del suo figliolo, sino a che i mezzi sensibili che
facilitano l’acquisto della virtù abbiano a fondersi con
quelli che facilitano l’acquisto del sapere, ed il fanciullo,
con sforzi graduali e successivi, raggiunga indipendenza
assoluta in tutto ciò che è diritto e dovere.
Il mio metodo ha reso facile ad ogni madre che ama
veramente il suo bimbo non solo di preservarlo nel mo-
mento opportuno dal pericolo di essere allontanato da
Dio e dall’amore ed abbandonato nel suo intimo stesso
alla più spaventosa desolazione, al più triste abbrutimen-
to, ma di guidarlo, col suo amore e coi più nobili senti-
menti dell’anima sua, a riconoscere nel mondo la trac-
cia della divina creazione, prima che il suo cuore sia cor-
rotto e distolto dalla innocenza dalla verità e dall’amore,
per l’influsso della menzogna e dell’inganno che domi-
nano nel mondo.
Quando una madre s’è appropriata il mio metodo, la
cerchia delle conoscenze a cui è destinato il suo bambi-
no non è più limitata all’orizzonte ristretto che caratteriz-
za la sua bassa condizione economica. Il Libro delle ma-
dri, dischiude a lei, per suo figlio, il mondo, che è mon-
do di Dio; e le dà la parola del purissimo amore per tut-
to ciò ch’essa mostra al bambino. Essa gli ha insegna-
to, stringendolo al suo seno, a balbettare il nome di Dio,
ora gli mostra l’infinito amore divino nel sole che sorge,

Storia d’Italia Einaudi 204


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

nel ruscello che scorre, nel frondeggiare degli alberi, nel-


lo splendore dei fiori, nelle stille di rugiada; gli mostra la
sua presenza in lui stesso, nella luce dei suoi occhi, nel-
l’elasticità delle sue membra, nei suoni della sua bocca;
in tutto essa gli mostra Dio, e quando egli lo intravede il
suo cuore si eleva; quando egli intravede Dio nel mon-
do egli ama il mondo; la gioia che questo mondo di Dio
gli ispira, si intreccia in lui con la gioia della presenza di
Dio. Così il bimbo abbraccia in un medesimo sentimen-
to Dio, il mondo e la madre; il legame spezzato è rianno-
dato di nuovo: il bimbo ama ora la madre come l’amava
quando essa lo teneva sulle sue ginocchia. Ma ora egli è
giunto a un grado più alto. Da questo mondo stesso, da
cui egli sarebbe abbrutito, se non lo avesse conosciuto
con la guida dell’amore materno, è invece spiritualmen-
te elevato. La bocca che, dal giorno della sua nascita, co-
sì spesso gli sorrise, la voce che, dal giorno della sua na-
scita, così spesso gli annunciò la gioia, questa stessa boc-
ca insegna al bimbo a parlare; la mano che tanto spes-
so lo strinse al seno amoroso, ora gli mostra le immagi-
ni il cui nome egli ha già sentito; un nuovo sentimento
nasce nel suo petto: ora egli ha acquistato, nell’uso del-
la parola, una concreta coscienza di ciò che vede. Così il
primo passo nel processo che deve conciliare la sua edu-
cazione intellettuale e la sua educazione morale è com-
piuto, compiuto sotto la guida della madre; il bimbo ap-
prende, conosce, denomina, vuol conoscere ancor più e
possedere un maggior numero di vocaboli. Perciò chie-
de alla madre di studiare con lui ed essa studia effettiva-
mente con lui, l’uno e l’altra acquistano ogni giorno nuo-
ve cognizioni, nuova forza e nuovo amore. Essa cerca
ora con lui di determinare gli elementi dell’arte, le linee
rette e curve; il fanciullo rapidamente le impara; gran-
de è la contentezza di ambedue; nuove forze si sviluppa-
no nello spirito del bimbo; egli disegna, misura, calcola.
La madre gli ha mostrato Dio nello spettacolo del mon-

Storia d’Italia Einaudi 205


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

do; ora gli mostra Dio nel suo disegnare, nel suo misura-
re, nel suo calcolare; gli mostra Dio in ogni sua forza, ed
egli vede Dio nella perfezione di sè stesso; la legge del-
la perfezione è la legge della sua formazione; egli la rico-
nosce nei primi tratti disegnati con esattezza, in una li-
nea retta o curva. Sì, amico! nei primi tratti di una li-
nea tracciata con esattezza, nella prima espressione esat-
ta di una parola, nel suo petto si dischiude la prima com-
mossa coscienza della legge sublime: Siate perfetti come
è perfetto il padre vostro nei cieli. E poiché il mio meto-
do tende con tutte le energie alla perfezione di ogni sin-
golo atto, comincia sin dalla culla a imprimere con forza
e profondità nel petto del bambino lo spirito di questa
legge.
A questa prima legge della sua interna elevazione spiri-
tuale, se ne collega una seconda, con cui la prima è stret-
tamente intrecciata, quella cioè per cui l’uomo non è a
questo mondo per se stesso, ma può raggiungere la sua
propria perfezione solo per la perfezione dei suoi fratel-
li. Il mio metodo può veramente fare dell’unità di queste
due leggi sublimi una seconda natura nel fanciullo prima
ancora ch’egli distingua la destra dalla sinistra. Il fan-
ciullo educato secondo il mio metodo sa appena parla-
re che egli è già maestro dei suoi fratellini minori e aiuto
efficace per la mamma.
Amico, non è possibile di stringere in più salda unità
i sentimenti su cui si fonda la vera religione, di quello
che fa il mio metodo. Per suo mezzo io ho conservato
al fanciullo la sua madre e resa durevole l’influenza del
suo amore, per suo mezzo io ho collegato la religione
con la natura umana e assicurati i suoi fondamenti con
l’avvivare i sentimenti da cui sboccia la fede nel nostro
cuore. La madre e il Creatore, la madre e la Provvidenza
divina sono abbracciati dal fanciullo in un medesimo
sentimento. Per questo metodo il bimbo rimane per più
lungo tempo il figlio di sua madre e perciò il figlio di Dio;

Storia d’Italia Einaudi 206


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lo sviluppo unitario del suo intelletto e del suo cuore,


riposa e si ronda con sicurezza sul fondamento d’onde
esso ha principio; la vita dell’amore per gli uomini e della
saggezza è agevole ed aperta al fanciullo. Io divengo
per tal metodo il padre del povero, la protezione del
misero. Come la madre trascura i figlioli sani e si dedica
a quello malato e prodiga al suo male tutte le cure e
compie con ciò il suo stretto dovere, in quanto essa è
madre e tiene per il figlio suo il luogo di Dio, così io pure
sapendo come la madre tien luogo di Dio e come Dio ha
risvegliato per le madri il mio cuore, io pure devo seguir
tale esempio. Un sentimento simile all’amore materno mi
domina; l’uomo è fratello per me; il mio amore abbraccia
tutta l’umanità; ma io mi dedico al misero a cui sono due
volte padre; agire secondo l’amore divino diviene per me
una seconda natura; io sono figlio di Dio; io credo in
mia madre, ché il suo cuore mi mostrò Dio; Dio è il Dio
di mia madre, egli è il Dio del mio cuore, il Dio del suo
cuore. Io non conosco altro Dio; il Dio della mia mente è
un vano fantasma; io non conosco altro Dio che il Dio del
mio cuore e mi sento uomo solo nella fede al Dio del mio
cuore. Il Dio della mia mente è un idolo e adorandolo
l’anima mia si corrompe; il Dio del mio cuore è il mio
Dio, e nel suo amore l’anima mia si nobilita. O madre,
o madre, tu mi mostrasti Dio nei tuoi comandi, ed io
ritrovai Dio nella mia ubbedienza. O madre, o madre, se
io dimentico Dio, dimentico te, se io amo Dio, faccio le
tue veci presso il tuo bimbo, io mi do tutto al tuo piccolo
che ha bisogno di vita, e il suo pianto s’acqueta tra le mie
braccia, come tra le tue braccia materne.
O madre, o madre, se io ti amo, amo Dio, e il mio do-
vere è la mia più alta felicità. O madre, se io mi dimenti-
co di te, dimentico Dio, e l’infelice non riposa più tra le
mie braccia, ed io non tengo più luogo di Dio per il mi-
sero; se io ti dimentico, dimentico Iddio, e vivo come un
animale selvaggio per me solo, e, fidandomi di me solo,

Storia d’Italia Einaudi 207


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

uso di tutte le mie forze per me, contro tutta l’umanità;


allora non v’è più nella mia anima alcun sentimento pa-
terno, nessun senso divino santifica la mia ubbidienza, e
il senso del dovere non è in me che apparenza ed ingan-
no. O madre, o madre, se io ti amo, amo Dio. Madre
ed obbedienza, Dio e dovere sono per me una cosa so-
la. La volontà di Dio e la perfezione di tutte le mie azio-
ni sono una sola cosa per me; io mi perdo nella cerchia
dei miei fratelli, i figli del mio Dio, io non vivo più per
me stesso, io vivo per colui che mi accolse nelle braccia
materne e con patema mano mi guidò dalla polvere della
mia vita terrena al suo amore. E tanto più io amo lui, l’E-
terno, quanto più io onoro i suoi comandamenti, quan-
to più io mi stringo a lui; quanto più io mi perdo a me
stesso e divengo suo, tanto più la mia natura si identifi-
ca a quella divina ed io mi sento in accordo con me stes-
so e con tutta l’umanità. Quanto più lo amo, quanto più
lo seguo, tanto più io ascolto da ogni parte la voce del-
l’Eterno: Non temere, io sono il tuo Dio, io non ti voglio
abbandonare e se tu segui i miei comandamenti, la mia
volontà è la tua salute. E quanto più io lo seguo, quanto
più lo amo ed ho gratitudine per lui, quanto più m’ affi-
do a lui, all’Eterno, tanto più io lo riconosco come Que-
gli che è, fu e sarà eternamente, causa della sua esistenza,
da essa indipendente.
Io ho riconosciuto in me stesso l’Eterno; ho viste le
vie del Signore, ho letto nella polvere le leggi della sua
potenza, ho scoperto nel mio cuore le leggi del Suo
amore. Io so oramai a chi credo. La mia fiducia in
Dio diviene illimitata per la conoscenza di me stesso e
per la comprensione che da essa risulta delle leggi del
mondo morale. Il concetto dell’infinito s’intreccia nella
mia natura al concetto dell’eterno, io sento nascere in
me la speranza di una vita eterna. E quanto più io
amo lui, l’Eterno, tanto più io spero una vita eterna;
quanto più io mi affido a lui, quanto più gli sono grato,

Storia d’Italia Einaudi 208


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

quanto più lo seguo, tanto più la fede nella sua eterna


bontà si trasforma per me in verità, tanto più la fede
nella sua eterna bontà diviene convinzione della mia
immortalità. E qui taccio amico! che cosa valgono le
parole quando esse devono esprimere una certezza che
sorge dal cuore? Che cosa valgono le parole quando si
tratta di un argomento, che faceva dire ad un uomo ch’io
rispetto sia per il suo ingegno che per il suo cuore: «Non
v’è alcuna conoscenza di Dio che nasca dal puro sapere;
il vero Dio vive solo nella fede, nella fede infantile.

Ciò che l’intelligenza del saggio non vede


vede nella sua semplicità il cuore del fanciullo.

Quindi solo il cuore conosce Dio, il cuore che, libe-


ratosi dalla cura della sua propria limitata esistenza, ab-
braccia in tutta la sua estensione o solo in parte l’umani-
tà.
Questo puro cuore umano esige e crea per il suo amo-
re, per la sua obbedienza, per la sua fiducia, perla sua
adorazione un’immagine divina, sublime, sacro Volere,
che sia l’anima dell’universale comunione degli spiriti.
Domandate all’uomo onesto: Perché tu rispetti sovra
ogni altra cosa il dovere? Perché credi in Dio? Se egli
adduce delle prove, è la scuola che parla in lui. Ma una
ragione più alta supera queste prove; egli trema per un
istante, ma il suo cuore non può negare il divino, egli vi
ritorna con ansia ed amore come al petto di sua madre.
D’onde viene dunque all’uomo onesto la convinzione
dell’esistenza di Dio? Non dall’intelletto, ma dall’impul-
so, da quello inesplicabile, indefinibile in qualsiasi paro-
la o concetto, che lo spinge a rendersi ragione della sua
esistenza in rapporto all’essere divino ed immutabile del
tutto, e a sublimarla in esso. Non per me, ma per i miei
fratelli; non per la mia individualità, ma per tutto il gene-
re umano; questa è la voce divina nell’interno dell’uomo

Storia d’Italia Einaudi 209


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

e tutta la nobiltà della natura umana sta nell’ascoltarla e


nel seguirla».
A questo passo che spiega l’origine intima e sacra del
sentimento religioso, ne devo aggiungere un altro, in cui
un uomo ch’io stimo per cuore e per ingegno, descrive
l’origine esterna della religione come prodotto della vi-
ta dei popoli e in genere di comunità sociali. Il dottor
Schnell di Burgdorf mi scriveva alcuni giorni addietro:
«L’uomo riflette assai più presto su ciò che vede e tocca
con mano di quello che rifletta sui sentimenti che stanno
ancora nascosti nell’intimo dell’anima sua e solo di trat-
to in tratto compaiono nello sfondo della sua coscienza,
come ombre incerte; egli deve quindi conoscere il mon-
do fisico prima di riuscire alla conoscenza del mondo in-
tellettuale.
Appena l’uomo ebbe coscienza di sè, la sua riflessio-
ne fu attratta dagli aspetti straordinari della natura, co-
me i terremoti, le inondazioni, il tuono e via dicendo, e
la sua tendenza a voler tutto spiegare lo spinse a ricerca-
re le cause di questi fenomeni, prima ancora di conosce-
re la loro essenza. Ma questa riflessione non lo condusse
se non alla personificazione di quelle cause: se lampeggia
è per volontà di Zeus. In questo modo ogni specie di fe-
nomeni ebbe il suo particolare creatore che ad essa pre-
siede, ossia un Dio, e queste divinità, parte pacificamen-
te, parte con lotta violenta, si divisero nel mito il regno
delle cause naturali.
Ma lo spirito umano, che per sua natura tende a ri-
condurre il molteplice ad unità, non trovò a lungo sod-
disfazione in quella concezione politeistica e cominciò a
considerare questo Olimpo numeroso come il risultato di
un’eccessiva baldanza di operai subordinati nella grande
officina della natura, e si chiese chi fosse il loro Diret-
tore. La fantasia che l’aveva guidato sin qui, lo sorresse
anche in questo punto: essa gli mostrò un’immagine che
poteva rappresentare questo potere supremo, e lo chia-

Storia d’Italia Einaudi 210


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

mò Destino, concetto questo che non designa altro che


una somma, cieca volontà, la personificazione dell’arbi-
trio, che non sa dare alcun altro motivo alle sue decisio-
ni se non quello della propria autorità: «Questo è la mia
volontà assoluta e il mio ordine».
Tale è appunto la causa suprema, l’unico Iddio a
cui rimanda l’intelletto umano, e là dove l’intelletto ha
raggiunto il suo termine, la fantasia deve chiudere le
sue ali, poiché essa non può dipingere alcuna immagine
senza trarne i colori dalla tavolozza dell’esperienza; già il
mescolar colori diversi da quelli che questa offre è al di
là d’ogni sua arte.
L’uomo rimane a questo grado della sua evoluzione
spirituale, sino a che l’osservazione attenta e l’assidua
ricerca non gli rivelò che tutti i processi naturali sono
tra di loro in rapporto più o meno diretto, e che, perciò
appunto, dipendono più o meno strettamente gli uni
dagli altri. Egli vide scendere un peso, mentre l’altro, ad
esso congiunto, saliva, e cominciò a scoprire ordine ed
armonia là dove sino allora non aveva visto che disordine
e confusione. Da questo momento, egli non potè più
considerare i fenomeni e le mutazioni naturali come un
gioco del caso o come effetti di un ’arbitraria decisione
di una onnipotente natura, ma come movimenti regolari
di una macchina, che, secondo regole determinate, son
diretti a un fine determinato, benché ignoto ancora.È
allora che egli conobbe l’intero congegno, dalle molle al
quadrante, conobbe cioè cause e scopo del movimento.
Il concetto di regola, di legge a cui il suo intelletto
lo aveva condotto, gli parve anche corrispondere ad un
oscuro interno sentimento che spesso lo aveva turbato,
ma che egli, mancandogliene la parola, non aveva potuto
esprimere. Ora egli aveva chiarito questo sentimento ri-
portandolo ad un’entità del mondo sensibile, il simbolo
gli aveva definito il sentimento stesso, così ch’egli pote-
va osare di applicare a un mondo ancora ignoto ed appe-

Storia d’Italia Einaudi 211


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

na presentito ciò ch’egli aveva scoperto nel mondo a lui


noto. Per precisare, se egli voleva agire od aveva agito,
sentiva quasi sempre che nel suo interno veniva pronun-
ciato un inderogabile giudizio sulla sua azione, giudizio
che non sempre corrispondeva con quello formulato dal
suo intelletto in rapporto al raggiungimento o al non rag-
giungimento del fine che con quell’azione si era propo-
sto. Egli sentiva bensì che questo sentimento era impo-
tente a determinarlo contro il suo volere e ad impedirgli
il compimento di un’azione; pure, nonostante ciò, avver-
tiva che la disubbidienza alla parola di questa voce inte-
riore risvegliava nel suo cuore stesso un nemico, che l’a-
micizia del mondo intero non valeva a placare. Egli allo-
ra applicò il concetto appena scoperto di una regola, di
una legge a questo qualcosa d’ignoto, e vide di non es-
sersi ingannato, perché l’imperativo di questa voce inter-
na era tanto incondizionato, quanto la legge ch’egli ave-
va trovato nel processo dei fenomeni naturali. Ma sco-
perse nel tempo stesso che le sue passioni non erano così
sottomesse a questo imperativo, come la natura alle sue
leggi. Egli disse dunque a se stesso: La natura deve ob-
bedire ciecamente alle sue leggi, perché essa non ha una
volontà. Ma io non devo ubbidire ciecamente alla leg-
ge che risuona nel mio petto, devo piuttosto farne la mia
stessa volontà. Perciò io sono giudice di me stesso e la
mia essenza spirituale è superiore a tutta la natura.
Con questa coscienza s’illuminò per l’uomo un nuovo
sole su un nuovo mondo. Egli si trovò al confine tra il
mondo sensibile e il mondo spirituale e sentì di apparte-
nere tanto all’uno che all’altro, al primo per il suo cor-
po, all’altro per il suo volere. Comprese che le leggi che
governano questi due mondi sono nella loro essenza una
sola ed identica legge, poiché le une e le altre non gene-
rano se non ordine ed armonia e la loro diffidenza ap-
parente deriva solo dalla differenza delle nature che es-
se dominano. Le nature fornite di conoscenza devono –

Storia d’Italia Einaudi 212


Enrico Pestalozzi - Come Geltrude istruisce i suoi figli

in senso morale – ubbidire alla legge, anzi, vorranno es-


se stesse ubbidire alla legge, giacché devono riconosce-
re che solo tale ubbidienza può dar loro, con la soddisfa-
zione interiore, la certezza del raggiungimento dei fini a
cui sono chiamate. Le nature, invece, che non sono dota-
te di ragione devono – in senso fisico – ubbidire alla leg-
ge, perché esse non possono avere alcun fine proprio e,
se non fossero rette da quella, giacerebbero nell’inerzia.
... Ed ora la tua creatura può sollevare gli occhi dalla
terra, nutrice di uomini, al cielo eterno, e scoprir te, Ente
noto ed ignoto ad un tempo, le cui opere sono in eterno
perfette... E con gioia Tu, da cui dipendono le leggi del
mondo sensibile e le leggi del mondo spirituale, in questa
aspirazione della tua creatura, hai potuto riconoscere che
anch’essa, come opera tua, era buona, giacchè, proprio
in quanto essa si sollevava dalla polvere della terra ed
aspirava alla libertà ed a Te, si riconosceva come il fine
di tutto il mondo sensibile e come mezzo ai tuoi fini nel
mondo morale, ecc...».

Storia d’Italia Einaudi 213

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