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Genio e follia
Scritti scelti

di Cesare Lombroso

Storia d’Italia Einaudi


a

Edizione di riferimento:
Delitto, genio, follia. Scritti scelti, a cura di Delia
Frigessi, Ferruccio Giacanelli, Luisa Mangoni, Bollati
Boringhieri, Torino 1995

Storia d’Italia Einaudi II


.

Sommario

Il medico, l’alienista 1
1. Etnografia e medicina sociale in Italia 1
1. Cretinismo 1
2. Per una geografia medica dell’Italia unita: 25
le Calabrie, il Napoletano, la Lombardia
3. Una statistica uniforme 67
2. «... quella triste piaga e vergogna nostra 72
della pellagra»
1. Eziologia, sintomi, profilassi 72
2. Istruzione popolare 114
3. Un appello accorato 134
3. Psichiatria 140
l. Psichiatria sperimentale e tecniche 140
manicomiali
2. Il manicomio criminale 155
3. L’influenza delle meteore 175
4. Claustrofobia e claustrofilia 184
5. Nuove conquiste 189
4. Personaggi criminali 196
1. Verzeni strangolatore di donne 197
2. Gasparone 211
3. Il brigante Tiburzi 220
4. Luccheni e l’antropologia criminale 230
5. L’ultimo brigante: Giuseppe Musolino 238
6. Enrico Ballor detto il martellatore 252

Storia d’Italia Einaudi III


7. Gaetano Bresci regicida 264
La scienza della devianza 272
1. Forme e caratteri della devianza 272
1. Lo studio dell’uomo 272
2. Anomalie e atavismo nei delinquenti 287
3. Genio e follia 313
2. Ritorno al primitivo 339
1. Come i selvaggi 339
2. Il lievito sublime 361
3. Eziologia del genio e del delitto 380
1. L’azione della civiltà 380
2. Influssi naturali ed etnici 398
3. Influssi sociali 420
4. Uguali e diversi 437
1. Una razza che si trasforma 437
2. Razza e delitto 444
3. Il soffio dell’antisemitismo 454
5. Tipi e modelli 467
1. L’anello di passaggio: mattoidi letterari, 467
politici, religiosi
2. Pazzo morale e delinquente nato 494
3. Epilettici ed epilettoidi nel delitto e nel 513
genio
4. Delinquente alcolista e isterico 545
5. Delinquente d’impeto 551
6. Delinquente d’occasione 554
7. Rei d’abitudine, latenti e protetti 566
8. L’uomo perfetto 569
6. Una variante: la donna prostituta e 571
delinquente

Storia d’Italia Einaudi IV


1. La «schiavitù rosata» 571
2. La forma della criminalità femminile 583
3. Criminali, epilettiche, isteriche 589
4. Ree d’occasione e per passione 599
5. A nostro vantaggio 606
7. Devianza e leggi sociali 610
1. Natura e funzione del delitto 610
2. Le rivoluzioni e il delitto 631
3. Gli anarchici 649
4. Folla e follia 659

Storia d’Italia Einaudi V


IL MEDICO, L’ALIENISTA

1
Etnografia e medicina sociale in Italia

1
Cretinismo

Parlare e lagrimar vedraim insieme

L’osservatore cui s’affacci il cretinesimo, non nel quieto


soggiorno di un Ospizio, ma nell’umile suo nido fra le
catapecchie delle città e dei villaggi remoti, si sente col-
pire da una singolare ambascia. L’occhio angustiato da
quell’aria oscura, da quelle vie sucide, da quei volti squa-
lidi e torvi degli abitanti, da quell’umida e bigia mise-
ria, che traspira dovunque, s’arresta ancor più tristamen-
te su quella nuova specie di uomini bruti, che barbuglia-
no, grugniscono e s’accosciano sbadati fra li apatici con-
giunti, su ’i quali l’affinità del sangue e del morbo sta di-
pinta a brutti caratteri nel volto e nella gola. – Che è poi
quando ti metti a interrogare quegli esseri, e al meschi-
no raggio d’intelligenza, che luce ancor su quelle poco
umane membra, ti è dato scorgere le forme più ignobili
dell’egoismo e della cattivezza?
Non è di quei spettacoli, che dalla spigliata acerbità
del dolore ti sollevino co’l senso della compassione, ne
che t’acquietano con l’indifferenza –; un senso ti nasce
ad un tempo ed uggioso, ed avvilente, e confuso, a cui
non poca parte hanno le cause stesse, che ingenerano il
cretinesimo; senso che ti s’appiccica quasi, e ti accompa-
gna nelle ricerche scientifiche, sicché i fatti più chiari si

Storia d’Italia Einaudi 1


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contradicono fra loro, e sfugono alla sintesi, e snatura-


no e rabbujano non solo l’essenza e le cause, ma e la for-
ma del morbo, – talché spesso non ingrata soltanto, ma
inutile riescì la fatica.
Che morbo sia il cretinesimo, risulterà sufficientemen-
te dal seguito del lavoro senza che ora mi metta in quelle
poco giovevoli pastoje della definizione; – solo preven-
go considerarlo come un effetto di una discrasia specia-
le, che si manifesta da prima con anomalie del corpo e
della glandula tiroidea, e da ultimo con la stupidità.
Morbo antichissimo ed esteso per ogni parte del glo-
bo (vedi Appendice), gode anche fra i dialetti lombardi
di una larga sinonimia, attestatrice della troppa sua di-
fusione. – Su ’l Pavese si chiamano i cretini Sor, Beli-
no, Libidock (Mirabello); a Cassano, Goj, Tamacol, Sgep,
Fat. – A Chiari e in Valcamonica Totola, Toltola, Ma-
gotu. – In Valsassina Manan (analogo al francese), Pa-
lie. – In Valsabbia Macabri, Maghi1 in generale Cristia-
nei, Martorot, Innocent, epiteti questi, come osservava il
Verga, che confermano la parallela etimologia di cretini,
e rammentano la strana considerazione in cui erano te-
nuti nei secoli scorsi, quando il superbo castellano man-
dava i suoi bimbi alla capanna dell’ebete onde, conviven-
do insieme contraessero della sua santa innocenza. – La
difusione dei lumi e forse del male fece succedere ora al-
l’ammirazione, od all’orrore (v. Appendice) una strana
indifferenza – ma non sì però che non rimangano e vi-
ve ed ostinate le tracce degli antichi pregiudizj; nella po-
polosa Treviglio, poco lungi dalla strada ferrata, mostra-
vami una madre, con una tal qual’aria di compiacenza, il
figliulo suo, brutto di tutto il cretinesimo ad ultimo sta-
dio – «Gli è proprio un angelo, dicevami, un innocen-
te che non ha mai peccato» – e peggio, innanzi alla porta
della Università di Pavia, un’altra madre interrogata su la
causa del cretinesimo dei suoi tre figlioli mi accennò mi-

Storia d’Italia Einaudi 2


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steriosamente ch’era l’opera di una vecchia maliarda sua


rivale
Il numero di questi infelici è più grande, che non si
pensi communemente. Io non credo errare di molto cal-
colandolo a 5000 – un quattro volte meno dei pellagrosi.
Ve n’hanno nelle contrade remote della stessa Milano,
a Porta Tosa principalmente –; molti ve n’hanno a Cer-
nusco, a Verdello; nella riva destra inferiore del Lago di
Como e su le vette dei monti, che mirano il Lago Maggio-
re; e a Malpago, e Casto, e Pezasa, e Ludrino, su la Bre-
sciana; ma i più si può dire, si aggruppano su la linea del-
l’Adda, dalle sue origini nella Valtellina, e nel mezzo del
suo cammino su quella ubertosa pianura, ove giacciono
Cassano, Rivolta e Treviglio; fino al suo finire in quella
specie di delta formato dai vari rami con cui sbocca nel
Po, a Camairago, Cavacurta, Bocche d’Adda.
Le contrade assolutamente immuni dal cretinesimo
sono la Valle Seriana, in cui secondo le ricerche del gen-
tile dott. Pietro Lussana, non si rinvennero che due creti-
nosi – e la provincia di Mantova su cui diligenti informa-
zioni diresse in proposito il carissimo e dottissimo amico
dott. Scarenzio.
Su molti punti della Lombardia feci personalmente ri-
cerche, che ora pubblico in questa tabella – ma, appunto
perché personali, le riescono più che incomplete, e se ba-
stano per le deduzioni patologiche, sono insufficientissi-
me per lo statista.
Non così posso dire della Valtellina, le cui notizie
aggiungo a quelle raccolte da me. Qui note officiali,
passando per le mani del Verga, non lasciano pressoché
nulla a desiderare allo statista ed al medico a un tempo2 .
Su una popolazione di 207721 abitanti si annoverano
1306 cretini e cretinosi – o sia 1 cretino su 159 abitanti, e
più particolarmente 1 su 135 abitanti in Valtellina; – 1 su
189 nelle varie altre province; ma variano singolarmente
le proporzioni da paese a paese vicino. – Così nella Val-

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sassina ad Introbbio abbiamo 1 cretino su 30 abitanti. –


A Pasturo pochi metri distante, 1 su 200. – In Valcamo-
nica, Artogne ne ha 1 ogni 40; Piano, che ne è quasi una
frazione, 1 su 175. – A Bagolino 1 su 40, a Vobarno 1
su 133. – A Collio 1 su 68, ed a Bovegno 1 su 120. – In
Valtellina, Sondrio, 1 su 91, Chiavenna 1 su 448.
È strano, che quando si voglia con tutta la potenza del-
la critica sceverare le vere cause del cretinesimo si viene
a concludere che la causa più vicina e potente, è quella
che ci sfugge – mentre dell’altre, non possiamo vedere,
che la negativa influenza, e ciò con la più sconfortante
chiarezza.
a) È impossibile p. es. che le condizioni geologiche
sieno fra i fattori diretti dell’endemia retinica.
b) Quanto poco influiscano i cibi su ’l cretinesimo
risulta dal trovarsene e dove si abusa di maiz (Chiari), e
dove di castagne (Introbbio), e segale (Valtellina), e dove
di latticini (Collio, Bagolino).
c) Io attribuiva all’abuso di matrimoni fra consangui-
nei il cretinesimo di Cassano, popolato da una dirama-
zione delle sorelle Tavola, come anche d’Introbbio, do-
ve il nucleo della popolazione è dato dalle famiglie an-
tichissime Arrigoni e Tantardini; – ma Quistello, borga-
ta del Mantovano i cui abitatori son tutti di famiglia Val-
vassini, non mostra segni di cretinesimo, e grandi inve-
ce ne dà Artogne, che è in Valcamonica, l’unico villag-
gio, in cui s’usi condurre mogli dalle lontane Valli Ber-
gamasche – ed anzi mi diceano là tutti ad una voce, esser
quelle famiglie più infette, che più s’imparentavano al di
fuori.
d) Questi fatti mettono anco in forse l’influenza dell’e-
redità su ’l cretinesimo; la quale è certamente nulla nel
cretinesimo in ultimo stadio, stante l’impotenza degli or-
gani riproduttori.
e) I medici più distinti dei paesi infetti, il dott. Zura-
delli di Bagolino, e il dott. Riva di Chiari, e il dott. Cerri

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di Cassano, e il dottore di Collio mi asserivano con stra-


na insistenza, che credevano il cretinesimo originato dal-
la pellagra – mi mostravano che quasi tutti i cretini sono
figli di pellagrosi o pellagrosi essi medesimi – e noi anno-
verammo 84 cretini pellagrosi e quel che è più 45 fra i ge-
nitori – ma il triste fatto dell’infierire il cretinesimo nel-
la Valtellina, dove pochissimo domina la pellagra, basta
a distruggere quest’opinione. ...
f) Accagionare la scrofola del cretinesimo è confonde-
re per lo meno la causa con la natura del morbo; oltre
ciò v’hanno paesi in cui la scrofola domina sovranamen-
te, per es. Vienna, e pochissimo il cretinesimo.
g) Una congettura, che a primo tratto parrebbe più
che logica, e naturale, attribuiva all’ignoranza e alla sel-
vatichezza una grande influenza su ’l cretinesimo. – Co-
me un occhio nelle tenebre si atrofizza per mancanza del-
lo stimolo naturale – così il cervello, cui non alimenti la
corrente del pensiero. Ma né meno questa congettura,
pur tanto verisimile, mi par fondata su ’l vero.
Io dimostrerò in seguito che la questione di cretinesi-
mo si riduce a questione di gozzo – ora quanto al gozzo
l’ignoranza non ci può né molto né poco.
h) La miseria non è direttamente causa di cretinesimo,
ma ne è un elemento favoritore, incubatore. È certo
che la Valtellina è il paese più misero di Lombardia;
il Jacini lo ha dimostrato con parole, e più, con cifre
eloquenti. Collio è nella Valtrompia, il paese più misero.
Vi allignano solo, e malamente le patate; le miniere,
fonte di lucro immenso per pochi, lo sono di miseria
per tutti li abitanti, i quali tutti ragazzi, femine, adulti, si
assoldano per lire 1,1/2, 2 al giorno per li scavi e trasporti
del ferro; e questa sarebbe lauta mercede, ma la è tutta
ritenuta ed assorbita dagli stessi padroni delle miniere,
che si tengono (miniera forse più ricca) il monopolio
dell’approvigionamento del vitto e del vestito – il quale
di qual maniera sia distribuito, ben lo mostra lo scarno

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e tristo volto dei minatori. Ciò pure succede a Bagolino


per i fornifusori – ma uguali tragedie finanziarie non si
ripetono pure nelle nostre floride città, senza produrre il
cretinesimo?
Ma è certo tuttavia che l’agiatezza più limitata esclu-
de il cretinesimo – non perché la miseria ne sia una cau-
sa diretta – ma perché lo seconda, o non si oppone all’a-
zione della vera causa endemica – come succede di tut-
te l’epidemie in genere e di tutti i contagi – e non è ulti-
ma ragione della brevità della vita media del povero, in
confronto del ricco.
i) Quando si riduce la quistione di cretinesimo a que-
stione di gozzo e si pensa che il gozzo dispare e ritorna
secondo che si allontani l’individuo dal paese infetto, –
si viene alla persuasione che non vi può essere che una
causa inerente al suolo che lo produca e riproduca. – E
pure la geologia si rifiuta a quest’ipotesi. – Allora il dot-
to come il volgo e come l’antichità deve ricorrere subi-
to, co ’l pensiero, all’aque. Plinio e Strabone non solo ci-
tano fontane che producono e guariscono gozzi, ma fi-
no che generano stupidità. Lo stesso pure i cronisti del
Medio Evo – (V. Appendice storica). – E tutti li abitanti
dei paesi infetti in Savoja (Niepce. Traité du goître, I, p.
385) in Boemia, [a] Radkersburg (V. Kost. Endem cre-
tinism.); in America (forte Mohawk); in India (V. Clel-
land. Rise, ecc.), al Mar Polare (Franklin) ripetono ad
una voce dall’aque l’origine del gozzo.
L’instabilità delle forme è uno anzi dei caratteri veri
del cretinesimo. Non solo il tipo varia singolarmente da
individuo ad individuo, ma da paese a paese.
Cretini, Galeotti o Calibani Tutte le forme di cretine-
simo che infieriscono in Lombardia si ponno ridurre a
quelle tre principali, – del cretinesimo atrofico, che è il
meno difuso, – del cretinesimo rachitico, che lo è ben
più, – e del cretinesimo idrocefalico, che poche volte iso-
lato (97 su 1000) quasi sempre si complica ai due primi.

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Pure nello studio dei molti individui mi pare avere tro-


vata una varietà di cretini, che non può ridursi ad uno dei
tre caratteri accennati – e che forma un singolare anel-
lo fra l’imbecillità, e l’idiozia, ed il cretinesimo, propria-
mente detto.
I caratteri di questa varietà sarebbero – cranio micro-
cefalico – statura alta, che sorpassa i 2 metri, – barba svi-
luppata, – motilità più libera, – istinti e tendenze crude-
li e feroci, – espressi da una fisionomia non così stupi-
da come si riscontra nei cretini, ma truce, e torva ben
più, – caratteri questi per cui darei loro il nome di cretini
galeotti o meglio di cretini calibani, in memoria di quel-
l’immortale psicologo, il quale se nel Re Lear ci ha dipin-
ti tutti li aspetti della mania, nel Tempesta ci diede l’ima-
gine più netta e più vera dell’idiozia primitiva. – L’ulti-
mo carattere è la mancanza assoluta così di anomalie del-
l’ossa che a glandula tiroidea, le quali invece ricorrono
nei consanguinei della famiglia. – Eccone alcuni casi.
A Maleo, paese vicino all’Adda, vive con sufficienti
mezzi di fortuna una famiglia composta di 8 fratelli; di
questi, tre sono sani di mente, ma affetti dal gozzo, e d’un
ingegno finissimo, ma misto a molta bizzarria e malizia –
tengono un caffè e coltivano i campi. – La loro madre
era donna molto maliziosa, anzi cattiva, ed era con tutta
la sua famiglia affetta da gozzo. – Il padre non lo aveva,
ma era molto bizzarro, e morì apoplettico come l’avo, il
quale, [a] quanto si ricordano quei del paese, era anche
microcefalo.
Giovannino è il primo dei fratelli cretini ed il tipo
più completo dei miei Calibani, – ha 35 anni, è alto
2 m. 59; la testa nella sua circonferenza misura solo
0,411, – la curva longitudinale (dalla glab. del naso al
tubercolo occipitale) 0,200, – la curva trasversale media
superiore 0,151, – la curva occipitale media 0,200, –
l’altezza del frontale non arriva i 0,025, – la fisionomia
non ha quella mancanza d’espressione che è propria ai

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cretini, ma invece ha quel muso sporgente, e solcato di


rughe, tipo ignobile e torvo che è proprio dei galeotti.
La memoria e l’abitudine lo facea condurre di nuo-
vo alle case ove era solito trovare cibo, mai la gratitudi-
ne. Domandato se volea bene a suo fratello Augustino,
rispose: «Mi Autin, mi ben, mi baton, mi pan». Feroce
epigramma storico del governo popolare. Imperocché
pigro ed inerte al lavoro, era il bastone e la paura che in-
cutevagli il fratello Augustino, che lo faceva lavorare; egli
covava odio profondo contro costui, ma odio cui frena-
va paura. –Un sentimento di vanità si mescea insieme a
quello dell’odio. – Ei funziona nel paese come portato-
re della bara dei morti, e niuno più di lui fortunato, se
muore alcuno del paese; ora ei desiderava e pregava che
si facesse morire il suo collega d’officio, onde essere il so-
lo in carica; – egli spesso domandava ai vecchi se volea-
no morire e che facessero presto, e collocatasi alle porte
dei moribondi per timore che gli scappasse la preda. – In
ciò si fa chiaro quell’istinto particolare cannibalesco pro-
prio di questi infelici, imperocché ei si godeva avidamen-
te della vista del sangue, e correva le miglia per assiste-
re agli accoppamenti degli animali, e cercava maltrattare
i ragazzi e le bestie quando il poteva impunemente3 .
Aveva strane idee di religione, la religione era per lui
un seguito di esequie e di messe – Dio non esiste per
lui; ma sì bene ha idee molto chiare e molto paurose
di Satanasso, e dell’inferno, del luogo, mi dicea, cattivo,
dove non c’è polenta.
Franceschino, suo fratello, ha 40 anni circa, alto 2 1/2
metri, la testa ha di circonferenza 42 centim. Misura tra-
svers. 22, occipitale 9 cent., ha una vera faccia batracia-
na. Mangia altretanto che il fratello, e quello che non
può mangiare cerca distruggere perché altri non ne go-
da. – Odia e serve come il fratello, ma è più taciturno, e
più terribile nel suo odio, – lo si sospettò già di un omi-
cidio.

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Rosa di 35 anni, alta 3 1/2 metri, microcefala (cranio


circonf. 45 cent.), ha un viso egualmente batraciano,
mangia fino alle 9 libbre di polenta ed odia i fratelli tutti.
Maddalena, alta 1 metro 1/2 ed ugualmente microce-
fala. – La testa misura 40 centim. di circonferenza, 20 di
curva trasversale, 1 1/2 di altezza frontale, – forma l’an-
nello co ’i veri cretini. Ella non mangia più tanto come
i suoi fratelli, e non ha quegli istinti feroci, è rachitica e
leggermente gozzuta, mestruata. – Se la sua fosse favel-
la, più che grugnito di suoni automatici, si potrebbe dirla
una ciarlona. Ella è imitatrice più che una scimmia; nel
tempo stesso che parla ad uno, imita involontariamente
i gesti dell’altro, così che fra molti individui è una vera
machina in moto. – Ha anch’essa vanità, ma la più mal
collocata; è capace di mettersi del fieno per ornamento
del capo, e delle foglie per vezzo su ’l vestito. Del resto
così corta di senno, che prende un calamajo dipinto per
un ritratto.
Colombina, di 44 anni, microcefala, mangia moltissi-
mo, non vuol vedere nessuno, e quando alcuno dei suoi
entra nella stanza dà grida feroci; a 5 anni divenne epi-
lettica nel vedere (si dice) un accesso di un altro. – A 40
anni dietro accessi di epilessia le si sviluppò un’osteoma-
lacia, prima della clavicola, poi delle coste e degli arti.
Uno dei fratelli sani, Pietro, calzolajo, con gozzo trilo-
bato, bizzarrissimo, uomo su ’i 39 anni, ha già un figlio
di 8 anni gozzuto, stupido e pigmeo.
Mi sono difuso a lungo su questa famiglia, perché of-
fre un curioso esempio della stretta analogia del cretine-
simo con l’idiozia e l’imbecillità – tanto che la diagno-
si differenziale non viene data dall’individuo stesso, ma
dai suoi consanguinei. – Essa offrivami anche un’impor-
tanza filosofica, perché osservando quanto co’l pane, co’l
bastone e con la paura giungesse il fratello sano a domi-
nare e ad utilizzare quelle incerte e reluttanti creature mi
pareva di ritornare ai primi tempi delle umane società, e

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alle ferocie luttuose ma pure necessarie dei primi tesmo-


fori.
Io ritrovai altri undici individui, 8 maschi e 3 femine,
simigliantissimi a Cassano, ad Artogne ad Abbiategrasso,
e non potrei dire se nella Valtellina abondino di più,
e pare probabile che ad Albosaggio. Questa varietà
di cretini merita particolare attenzione medico-legale a
differenza degli altri per il danno ed il pericolo che
arrecano nel seno della loro famiglia e del paese, e sono
specialmente meritevoli di sequestro.
In generale le osservazioni necroscopiche così contra-
dicenti fra loro riguardo al cretinesimo, parrebbe ci do-
vessero ridurre allo sconforto quanto ad avere un lume
su la natura di esso – ma pure una cosa ci indicano, e
chiarissimamente, che non ha il cretinesimo causa o se-
de in uno degli organi o tessuti presi di mira da prevenu-
ti autori (cervello, osso basilare, ventricoli cerebrali, cer-
velletto, ecc.), ma piglia partenza da un punto che su tut-
ti li altri domina e sovrastai solo punto in cui può in mille
guise metamorfosarsi e mostrarsi ed in vari organi depo-
sitarsi dal sangue e dalla linfa, e che quindi il cretinesimo
è una discrasia.
E di quale natura sarà questa discrasia? La scrofola,
la rachitide, la sifilide, la pellagra invadono egualmente
ed i paesi infetti e li immuni dal cretinesimo. Niuna ma-
lattia, niuna anomalia speciale distingue quelli dagli altri
abitanti fuorché la tumefazione della glandola tiroidea.
Il carattere, dunque, saliente di questa discrasia, quel-
lo che ne congiunge tutte le varietà, è il gozzo. Come nel-
la sifilide il primo sintomo e il vero carattere patognomo-
nico è l’ulcera, e l’ultimo esito è la sifilide terziaria; come
nella discrasia scrofolosa il primo sintomo è l’ingrossa-
mento delle glandole abdominali, e l’ultimo esito è la tu-
bercolosi, così in questa discrasia il primo sintomo è il
gozzo e l’ultimo è il cretinesimo. E come vi ha una der-
matite, un’iritide sifilitica, come v’ha un idrocefalo, un’o-

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tite, un’oftalmia scrofolosa, così vi ha una rachitide, un


idrocefalo, un’idiozia broncocelica o cretinosa.
Quando dopo il molto discorso su le forme, su le
cause e su la natura del morbo noi vediamo quanto poco
ci resti a dire su quell’unico argomento, che veramente
interessi l’umanità, su la cura, abbiamo di che raumiliarci
di questa così pomposa e pure così poco utile potenza
d’analisi. Imperocché il cretinesimo propriamente detto
non sia suscettibile di cura veruna radicale – come non
è curabile nessuno degli effetti discrasici arrivati al loro
apogeo (tubercolosi, sifilide terziaria, cancro molle, ecc.)
Cura palliativa L’unica cura palliativa del cretinesimo
sarebbe l’educazione. Se non che per quanto sieno gran-
di i risultati ottenuti dal Seguin, dall’Itard e (a quanto
dicevasi) dal Guggenbuhl, noi non possiamo lusingarce-
ne molto in confronto delle grandi masse d i cretini, di
più di quanto i miracoli ottenuti dall’educabilità di alcu-
ni bruti ci dieno a sperare per l’intera rigenerazione di
essi.
E la Lombardia fino ad un certo punto non ha di che
vergognarsi della Svizzera e della Francia per tentativi
operati. Ad Abbiategrasso si stanno prendendo per
questo riguardo eccellenti disposizioni. E finora la carità
di una povera donna ricoverata rinovò sotto un limite
più angusto i tentativi di Svizzera. È un fatto questo
che mostra la potenza della mente sana. Una povera
vecchietta, rachitica, pigmea è giunta a disciplinare con
la sola forza della intelligenza un’intera sala di cretine le
più bestiali del mondo.
Era cosa pur dolce e comica insieme a vedersi quando
ella non era contenta della garbatezza di un granatierone
di cretinaccia alta 6 piedi, e detta per antonomasia la ca-
valla, prendere una sedia e salitavi sopra arrivare al mu-
so di quella infelice e schiaffeggiarla a riprese; e l’altra tre
volte più grande e più forte di lei pur mansuefatta o, co-

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me direbbesi ora, magnetizzata dalla potenza della ragio-


ne starsene immobile a riceverne i positivi rimproveri.
A Pavia la casa d’Industria, specialmente nell’inverno,
conta fra più che 500 ricoverati un 40 cretini e cretine.
Vi vanno machinalmente per ripararsi dall’umido e dal
freddo, e ricevono una mercede tenue sì, ma grande in
proporzione del lavoro che vi giungono a produrre; in-
trecciare della paglia, filare lana e sminuzzare bastoncel-
lini – sono già operazioni molto elevate per essi.
Per completare questa cura palliativa non resterebbe
dunque che fondare uno stabilimento per non più che 50
ricoverati, ove sequestrare i cretini (che io dissi galeotti)
pericolosi al bene publico o alla publica morale.
Sarebbe poi utile in ciascuna delle valli o dei punti più
affetti dal cretinesimo promovere delle case d’industria
rusticana, dove si potesse, con una carità meno impu-
dente e più economica ricoverare per parte della giorna-
ta ed iniziare a qualche rozzo lavoro i cretinosi, che resta-
no oziando a puro carico delle famiglie o del commune.
Si potrebbe fino ad un certo punto giovarsi delle circo-
stanze locali e rendere così moltissimo bene con pochis-
sima spesa, per esempio, a Chiari e Cassano ed a Trevi-
glio vi hanno molte filande, e fabriche di majolica, ecc.
In Valsabbia v’hanno fucine di ferro, ecc., e miniere, si
potrebbe con un tenue ajuto ai padroni di quegli stabi-
limenti incaricarli di servirsi un certo numero di creti-
ni che stanno in quelli e nei paesi vicini. I cretini per la
regolarità delle loro abitudini, per l’ignoranza lor stessa
potrebbero supplire a molte piccole bisogne, non poco
profittevoli al benessere generale. – L’esempio che rac-
colsi a Maleo su la famiglia di cretini galeotti mi convinse
che una certa intimidazione può rendere docili al lavoro
anche i più reluttanti.
Cura profilattica Ma se non si può curare il cretinesi-
mo, si può bene prevenirlo.

Storia d’Italia Einaudi 12


Cesare Lombroso - Genio e follia

Questo è l’unico risultato confortante, che ci venga


offerto dalle molte osservazioni raccolte.
Il cretinesimo ed il sordo-mutismo non si manifestano
quasi mai negli individui, mai nell’intere popolazioni
senz’essere preceduti dal gozzo.
Ora questo è l’andamento commune di tutte le discra-
sie che elle sieno curabili nei primi sintomi (ulcera della
sifilide, scrofola del tubercolo, ecc.); incurabili negli ul-
timi effetti. Quanto al gozzo, non abbiamo dubio su la
sua curabilità. L’uso di un’altra aqua, il respiro d’un’al-
tra aria e sopra tutto l’iodio fanno sparire il gozzo. Se
dunque si sottopongano li individui affetti dal gozzo ad
una cura continua di iodio noi vedremo mano amano nei
figli disparire il cretinesimo e il sordo-mutismo.
Si dovrebbe ordinare che niuno parroco o sacerdote
lasci maritare gozzuti se non abbiano fatto la cura del jo-
dio. Bisognerebbe importare nei paesi affetti grandi dosi
di spongia bruciata e difonderne l’uso con gratuite distri-
buzioni. Bisognerebbe nei paesi che si nutrono di lattici-
ni, come in Val Sabbia, trasportare una certa quantità di
piante marine onde iodurare il latte del bestiame bovino.
Converrebbe promovere delle piccole industrie, cui non
ripugnano i montanari, con oggetti marini (come coralli,
ossi di seppie, lavori di conchiglie marine). Questi due
ultimi provedimenti non sembreranno più favolosi, ora
che con le strade ferrate, e con le vaporiere si resero così
vicini i punti lontani, ed i mari ed i laghi s’affrattellarono
co ’i monti.
Una commissione di medici e di chimici dovrebbe esa-
minare minutamente le aque sospette di produrre gozzo
ed otturarle, per es., a Cavacurta, Artogne, Chiari, Ri-
volta, ecc. In quei luoghi medesimi converrebbe scava-
re dei pozzi artesiani, o meglio con aquidotti condurre
fili di aque dai paesi che le vantino buone (così condur-
re l’aqua da Piano ad Artogne). Nelle valli ove si hanno
aque ferruginose p. es. Val Sassina, Val Sabbia, Valtel-

Storia d’Italia Einaudi 13


Cesare Lombroso - Genio e follia

lina converrebbe renderne l’uso gratuito a tutti li affetti,


essendoché dall’esperienza di Chatin e di Niepce risulta
che quando si trova ferro nell’aque vi si trova pure iodio.
Io non parlai finora di cura morale. È certo che Pavia
che pure abbonda di cretini non manca d’istruzione, ne
pe ’l volgo, ne per la classe eletta, e quando si osservi che
l’ultima classe della popolazione vi è forse più lenta e me-
no svegliata dagli abitanti di Val Sabbia e Val Trompia si
resta profondamente persuasi, che non è la mancanza di
istruzione che generi cretinesimo. Pure sarà sempre gio-
vevole di promoverne l’istruzione e lo sviluppo intellet-
tuale. E per agire su le masse converrebbe facilitare l’in-
vio di compagnie comiche, introdurre fiere e feste fra va-
ri villaggi e anche moltiplicare vale a dire compensare un
po’ più degnamente i maestri delle scuole communali4 .
Un’altra causa di questo come di tanti mali è certo la mi-
seria, ma qui il soccorso venire ci può più da statisti che
da medici. E v’hanno infatti circostanze locali che bene
esaminate dall’agronomo e dallo statista ponno suggeri-
re i facili e pronti rimedi. Così un torrente utilizzato per
una fabrica, un rivo per un prato può moltiplicare i mez-
zi di sussistenza che vengono sempre meno nelle valli re-
mote. Ma dopo converrebbe trovare il rimedio del rime-
dio, perché anche le fabriche e le miniere ci apparvero
anch’esse fonti di cretinesimo, ed il rimedio è nella faci-
lità delle communicazioni. Le strade novelle introdotte
in Val Sabbia scemeranno ai padroni delle fucine e del-
le miniere il monopolio illimitato su ’i grani di cui sono
consumatori forzosi i poveri opera.
Un grande e supremo giovamento a me parrebbe poi
l’introdurre uno spirito accorto, sì, ma disciplinato di as-
sociazioni fra li operai delle valli, onde si provedessero a
spese communi e non communi, e da loro eletti appalta-
tori per la propria sussistenza, paralizzando così il mono-
polio dei padroni e rendendoli così forzatamente miti.

Storia d’Italia Einaudi 14


Cesare Lombroso - Genio e follia

Appendice prima. Storia, geografia e sinonimia dei cre-


tinesimo Fino dall’epoche più antiche si conobbe il goz-
zo, e fino d’allora se n’accagionarono le aque. Accenna
Vitruvio al gozzo degli alpigiani propter genus aqua quam
bibunt efficiuntur tumidis guttutribus, VIII, 3 – Plinio pu-
re Il, 37, 68, e Ulpiano, 21, Eoque (gutture) laborant al-
pium incolæ propter aquarum qualitatem.
I nomi che si diedero ai fatui accennano qualche de-
formità e molta voracità; bienni, gurdi, buccones, fungi,
moriones (nani) – mucci, bardi e bienni mi pajono nomi
d’origine celtica, e bardi specialmente più che di origine
greca mi pare sia una ironica o superstiziosa applicazio-
ne del nome dei vati celti venerati dai cittadini e sprezzati
dai vincitori.
In greco sono i fatui chiamati blax, nennos, margos,
sannos e kofos, che vuol dire sordo, muto e fatuo.
Nel Medio Evo il gozzo era considerato come punizio-
ne celeste come ora in Lombardia si direbbe, segnat de
Dio.
Nella vita di Santa Gudila, santa del Brabante vissu-
ta circa il 664, si legge, che alcuni empi profanatori del-
la sua tomba vennero scomunicati da S. Emeberto e pu-
niti dal cielo nella posterità, essendoché tutti i loro figli
rimasero zoppi e le loro donne di più gozzute – super
haec faeminae gutterium obscenet – e così rimangono, di-
ce il buono Uberto, pure ai dì nostri – et manent hodie-
que multati, p. 519. Questo passo curiosissimo accenna
già alla parentela fino d’allora contratta del gozzo con la
rachitide e all’eredità del morbo, la quale è rammentata
anche nella vita di S. Remigio di Hinemann. Vi si legge
di alcuni altri colpiti per decreto divino dal gozzo «om-
nes qui hoc egerunt et qui de eorum germine nati sunt viri
ponderosi (??) et faemine gutturosae».
Ma nella vita stessa di Santa Gudila si trova un passo
che accenna al cretinesimo propriamente detto: «Ella
guarì un figlio di 12 anni, contratto, incurvo, chiragroso,

Storia d’Italia Einaudi 15


Cesare Lombroso - Genio e follia

che non potea vedere la terra, che era muto e che non
potea o sapea mangiare» Huberti, cap. IV, S. Gudila V.
Servio Tilleberiensis ( de Imp. Otio, III, 4) accenna
a fonte sanatrice di gozzo «Est in provincia Ebredunen-
si, quae pars est Arelatensis, castrum de Bartas, in eo ter-
ritorio fons scaturit a cujus aquae potu ac iavacro curantur
gutturosi».
La stessa nostra parola gosso, come si usa in Lombar-
dia e Venezia, si trova usata fino da allora; ipsa babebat
gossum et gutturem grossum (Miracuia S. Simonis, p. 9).
Nel 1500 cretini e gozzi sono notati dettagliatamente
dal Simlero nel Vallese, da Munster e da Agricola nella
Stiria e Tirolo (Malacame, p. 11: Su ’i gozzi e la stupidità,
Torino, 1789, Stamperia Reale).
Nazioni Gozzuti e cretini si trovano in tutte le nazioni
del mondo.
Nei Pirenei i cretini si chiamano caffre, fol.
Nel Vallese tressel, tschingen, tscelling, schaatten, trif-
fe’n e Goich5 .
In Stiria totteln, gacken.
In Savoja marrons, goze, frulitre, o coutou, cretines.
In Svezia tropfe, lalle, krallen.
In Scozia innocents.
Nel Würtemberg si annoverano 4944 cretini. In Stiria
5992. In Francia 7406. In Savoja 7084. In Danimarca
2000. A Baden 490, e fino in Islanda 225 (dott. Schropf.
Die krankh. in hohen nord, p. 229).
Nella Valachia e nei Monti Carpazi il celebre R. Wel-
sh, addetto all’ambasciata inglese, trovò molti gozzuti
(gunscka) ed insieme molti cretini pigmei specialmente
a Repora ( Voyage en Turquie, tom. 2, pag. 52); e l’uno e
l’altro male si attribuisce alle aque tolte dallo scioglimen-
to delle nevi.
In Lituania le lamie trasformano i bimbi, loro fanno
venire la testa grossa e i piedi storti ( Legendes lith, 1858).

Storia d’Italia Einaudi 16


Cesare Lombroso - Genio e follia

Augusto di Saint Hilaire trovò frequente il gozzo nel


piano di Villa Ricca, in America, e quivi chi sorte dal
paese si libera dal gozzo. I gozzuti di Jundihay del Rio
Magdalena sono già proverbiali. Paw trovò gozzuti a
Panama, Humboldt nel piano di Quito ed al piede delle
Novade. Fu osservato a Nuova York e al forte Moawak,
dove fino le greggie ne sarebbero affette ( Med. and
Philosoph. Journal, Londra, 1828), e ne sono accagionate
le aque.
Ma su la stessa America Meridionale il dottor Mante-
gazza, con quella bontà che è in lui pari all’ingegno, mi
communica ora le seguenti notizie che più diffusamen-
te saranno da lui dilucidate in una di quelle sue sapori-
te e feconde Lettere Mediche, che sono modello di studj
antropologici.
A Salta vi hanno quartieri intieri pieni di gozzuti e di
cretini. Ne sono affetti così li europei, come i meticci ed
indiani, non però i negri.
I gozzi vi sono detti cotos; i cretini opas, tontos, bovos.
È notabile che il gozzo e cretinesimo non si manifestò
colà che da 40 anni circa, cioè da quando il fiume Gacipa
corrodendo una roccia giunse a mescere le sue aque a
quelle del fiume Arias, delle cui aque usano i Salteni.
Proverbiati in tutta l’America sono i cretini e gozzu-
ti di Jujui, coto jujueno, come pure los Lules, nella pro-
vincia di Tucuman, ove le aque sono torbide e non sciol-
gono il sapone. Invece nella Bolivia e nel Paraguay ove
sonovi aque salse non v’hanno gozzuti né cretini.
Il capitano Franklin vide ad Edmonston, molti gozzi,
e notò che n’erano privi quelli che spesso scendevano
al mare. Forster ed i suoi compagni osservarono che la
bibita dell’aqua tolta dal discioglimento dei ghiacci del
polo provocava il gozzo.
Ida Pfeiffer trovò gozzuti tra i principi e i rajah di
Singtang. Jacquemont trovò gozzuti e cretini nelle valli

Storia d’Italia Einaudi 17


Cesare Lombroso - Genio e follia

dell’Hymalaya, a Dhun (4000 miglia su ’l mare) e a


Sotlidje. Clelland ne trovava al Bengal e in China.
In chinese, infatti, vi sono molti vocaboli sinonimi di
gozzo, e che rimontano ad epoche antichissime; bien,
kien, jeu, choei, son sinonimi di gozzo. Il suo segno im
sopratutto è antichissimo; decomposto nelle chiavi pri-
mitive – dà lu (carne), niù (femina), pei (conchiglie). Sa-
rebbe come una broche di carne attaccata al collo, riguar-
dando i chinesi antichi la conchiglia come una gemma
preziosa. Nello modo il segno di im (s. 6571) – dà lu car-
ne, e im collana, e ci, morbo. Nel 3° dà collana e carne. E
notabile che anche nel fonetico, collana e gozzo sono si-
nonimi, il che attesterebbe che fino da antichissimo tem-
po vi dominasse e divenisse abituale il gozzo e che forse
non vi fosse considerato come deformità.
Fom ’x (morbo vento; come il folle dei latini). Chi,
Van sono sinonimi di stupidità in chinese. Tien che
significa morbo articolare e stupidità (n. 6411) accenna
probabilmente al cretinesimo (V. Dict. Sinico-Latinum
Hongkong. Mongieri, 1858).
Cretinismo ligure Assistendo, nel 1860, alla leva della
provincia di Genova mi venne fatto d’osservare non po-
chi gozzuti, e qualche cretino; datomi allora d’attorno ad
investigare per vari pii istituti, di cui quella città va de-
gnamente superba, e quindi per le vicine vallate m’avvi-
di, con non poca maraviglia, esistervi epidemico il goz-
zo ed il cretinismo; con maraviglia, io dissi, perché niuno
autore ne accenna punto l’esistenza, anzi quell’eruditissi-
mo geografo-medico, che è I’Hirsch, formalmente mette
la Liguria fra le provincie esenti da quei due morbi, e ta-
le dovea renderla quella somma d’ottime condizioni igie-
niche, industriali ed intellettive che con raro, invidiabile
esempio, ci è dato d’osservarvi.
Ognuno sa come la bella Genova sieda quasi a caval-
cione del golfo, appoggiata nei fianchi al declivo di quel-
la serie di monti, che si congiungono coll’Apennino, sur

Storia d’Italia Einaudi 18


Cesare Lombroso - Genio e follia

un suolo in cui predomina il calcare fucoide, il grunste-


no, gli schisti, le ardesie e in cui, malgrado la poca fer-
tilità delle terre, verdeggiano le acacie, gli olivi, i lauri e
gli aranci; la temperatura vi è sempre dolce, i giorni sere-
ni vi sommano a 165 in media, a 125 i mezzo sereni; solo
ella è funestata, di quando in quando, da venti di sciroc-
co, e di Nord-O., cui le vicine vette alpine rendono aspri
e violenti.
Le acque vi sono eccellenti, benché scarse, come quel-
le che per lunghissimi acquidotti vi sono tratte per varie
cadute ed ascese dalle valli del Bisagno e della Polcevera.
La luce non vi scarseggia in nessun luogo, meno in certi
vicoli, meglio che vie, avanzi storici dell’antica Genova,
come Prè, Sant’Andrea, via Ravecca, Santa Maria di Ca-
stello; in cui alla foggia delle antiche città nostre, mari-
nare in ispecie, le case a moltissimi piani, sono addossa-
te l’una a petto dell’altra a distanza di pochi metri, ed in
cui, pur troppo, s’agglomera una pane della popolazione
operaia di quell’industre città.
Gli abitanti intelligenti, sobrii, attivissimi, amanti della
libertà, e più, del guadagno, dediti alla navigazione,
ed al commercio, si cibano di pane poco lievitato, di
farina impastata con uova, taglierini, cipolle, pesci, e di
verdura.
I monti che fanno letto e corona alla Ligure metropoli,
mano mano che s’allontanano da essa, per le due opposte
rive, occidentale ed orientale, e verso il nord, formano
intrecciandosi in moltiformi spire, una vera rete di valli,
ora apriche e liete di verzura, e di luce, ora umide, oscure
e ristrette, che per lo più prendono il nome del fiume, o
rivo, o torrentello, che le percorre, prima di gettarsi nel
mare.
In tutte queste vallate, l’abbondanza delle ardesie,
usufruttate per tettoie e pavimenti delle case, diminui-
va, anzi scansava i danni della troppa umidità, che è pro-
pria di tutte le valli; e l’attività industriale, lo sfogo dell’e-

Storia d’Italia Einaudi 19


Cesare Lombroso - Genio e follia

migrazione in America compensava largamente la steri-


lità della terra; sicché sarebbe difficile il trovare altre re-
gioni d’Italia, che, per ogni verso, possano vantare circo-
stanze igieniche e domestiche più favorevoli.
Un fatto topografico importantissimo va pur qui ricor-
dato; cioè che le montagne Liguri non giungono mai a
quell’altezza, cui toccano le Piemontesi e Savoiarde. Ché
mentre il Rosa, ed il monte Bianco passano i 4600 metri
e il monte Cenisio il 3400, il Varco dei Giovi non giunge
a 469 m; e quello donde sorge la Bormida, appena passa
1100 metri, e quello della Bocchetta tocca i 1061 metri.
Tutti conoscono il fiero tipo Ligure, dalla statura
mediocre, dal cranio dolicocefalo6 dal capello biondo-
scuro, dal naso arcuato od aquilino, e dai sopraccigli fol-
ti, spesso avvicinati, e dal viso leggermente prognato; dal
carattere morale che unisce la attività e la sobrietà del-
l’allobrogo, alla scaltrezza, all’eloquenza ed alla vivacità
del meridionale, e da tutte si distingue per una sua tutta
propria fierezza e personale indipendenza.
Or bene nelle valli più remote, come ad Altare, a Ba-
vari, a Campomarrone, a Cravasco, il tipo degli abitanti
s’altera affatto; il cranio diventa brachicefalo, i capelli, la
barba radi e biondi, la statura piccola e spesso pigmea,
il naso camuso, le sopracciglia poco arcuate e divergen-
ti. All’antica e tipica fierezza e attività Ligure sottentra
una singolare servilità, un torpore nei movimenti e nelle
idee; e con esso la più crassa superstizione, e’ conduco-
no ai frati la moglie sterile; accagionano le anime dei se-
polti nelle stalle delle morti dei loro animali e temono la
sbrazoa, befana proteiforme che susurra al predestinato
l’annunzio della morte.
Quanto alle malattie predominanti nella Liguria le
scrofolose prendono il primo posto; seguono le rachitidi,
le dermatiti, le tisi, le pleuriti, i cancri, l’erisipela (vento
servino – da serpere) e nella marina raramente l’elefantia-
si e le piaghe scorbutiche, poca gravità v’assumono le in-

Storia d’Italia Einaudi 20


Cesare Lombroso - Genio e follia

termittenti, meno alcuni paeselli e sezioni vicine alla Fo-


ce; poco, anzi nulla v’infierisce la pellagra7 .
Già altrove notai, come il gozzo faccia mostra di sé,
sporadicamente anche nell’interno della città, special-
mente nelle vie di Prè, di Sant’Andrea e di Santa Ma-
ria di Castello, fra le donne principalmente. Su 307 figlie
della carità di Genova si contarono fino al 3 gozzute.
Ed annotai pure due fatti principalissimi, per questo
argomento. In tre soldati del 3° reggimento, ivi stanziati,
due dei quali Lombardi ed uno Toscano, si sviluppò
senza causa apparente il gozzo, durante il loro soggiorno
in Genova.
Ma il gozzo infierisce ben più nelle vallate, e vi riesce
quasi caratteristico, endemico.
A Campomarrone, il farmacista m’asseriva, come per
la sola cura dei ricchi gozzuti di quella valle andava ogni
anno consumato un chilogramma di spugna bruciata, e
mezzo di idrojodato potassico.
Il gozzo endemico domina, senza alcun dubbio ad Al-
tare, a Millesimo, a Staglieno, Bavari, Torriglia, Pontede-
cimo e Cravasco, ove è divenuto proverbiale8 .
Ma qui meglio gioveranno i seguenti dati statistici
inediti e tolti dai rapporti officiali sulla leva del 1863.
Nel 1863 Genova contava 130 riformati per gozzo
ogni 10000 coscritti, Chiavari ne contava 100, Alberga
130.
Sull’eziologia del gozzo e del cretinismo La poca dif-
fusione ed intensità della cretinica endemia nella Ligu-
ria, mentre non mi dava luogo ad accurate cliniche ricer-
che, pure doppiamente mi parve renderne interessante lo
studio, per le ricerche eziologiche, essendoci dato di sor-
prendere la malattia in elementi molto differenti che ne-
gli altri paesi e porre a serio cimento alcune teorie ezio-
logiche ch’ebbero già tempo moltissimo grido.
Si è detto, e sostenuto, da dottissimi ingegni, dal
Chatin, dal Nadler9 , da Von Ankum, come la mancanza

Storia d’Italia Einaudi 21


Cesare Lombroso - Genio e follia

di jodio nell’aria e nell’acqua molto contribuisse alla


genesi del broncocele e forse del cretinismo.
Ora il ritrovarsi gozzuti moltissimi e non pochi cretini
in queste regioni marine o almeno certo percorse da
correnti di venti marini, invalida in gran parte queste pur
serie opinioni.
Ma v’ha di più. Nelle spiaggie della Calabria, a Bova
paese abitato da coloni Greco-Siculi, giacente in terreni
granitici sabbiosi, cinti da ripidi monti, ultima dirama-
zione degli Apennini, trovai diffusissimo il gozzo, di cui
s’accagionavano le acque del Dario e del Piscopio, due
poveri fiumicelli che bagnano quelle terre, e non solo vi
è diffuso il gozzo, ma la rachitide pure ed il cretinismo.
Questi fatti mostrano ad evidenza che gozzo e creti-
nesimo può comparire, anche dove il iodio predomina
nell’aria e nelle acque.
Il dott. Verga mi narrava egli pure aver osservato
parecchi gozzuti vicino alle saline di Salisburgo.
Parrebbe da ciò anzi che il troppo abbondare dell’jo-
dio riesca dannoso come la eccessiva scarsezza.
È curioso che la stessa osservazione potrebbe esten-
dersi ai sali magnesiaci e calcari la cui troppa abbondan-
za (come in Savoia e nel Derbyshire) pare favorevole al-
lo sviluppo del gozzo, quanto la totale mancanza come
nell’acque delle nevi disciolte o dei ghiacci Polari cui Fi-
scher, Foderé e Richter accertano come produttrici di
gozzo e cretinismo.
Ma quale che siane la causa, il gozzo pare delicato ter-
mometro, come assai bene presentiva il nostro dotto Mo-
riggia, che indichi il primo accennare delle degenerazio-
ni, ed anzi il primo affievolirsi dell’animale economia; e
si vede comparire dopo gravi malattie, dopo l’abuso di
coito, dopo il parto, dopo febbri intermittenti, nei gran-
di accumuli di genti in piccolo spazio, come nelle caser-
me (Lebert); ne’ luoghi umidi ed oscuri; fra i nati da pa-
renti consanguinei, o vecchi; e negli animali prediligere

Storia d’Italia Einaudi 22


Cesare Lombroso - Genio e follia

il mulo, che è l’espressione della vera ed ultima degene-


razione della specie. Ora nelle vallate si riuniscono qua-
si tutte quelle cause che pur bastano da sole a produr-
re gravi degenerazioni, come il freddo, l’umidità, la man-
canza di luce, di ossigeno, di elettricità positiva, di ac-
qua buona, di correnti d’aria, al che s’aggiunge, non rare
volte, (nelle valli specialmente remote) l’ignoranza, l’al-
coolismo, i matrimoni di consanguinei, la fame e la mise-
ria; che maraviglia dunque se la degenerazione, proceda
nelle vallate, sino all’ultima sua espressione, il cretino?
Anche nelle valli Genovesi specialmente nelle più
oscure, remote ed umide per le medesime ragioni do-
mina il gozzo e con esso fa capolino il cretinesimo. – Ma
quest’ultimo vi si accenna appena appena con tanta ra-
rezza da potersi a stento chiamare epidemico. E perché?
perché varie cause arrestano la diffusione ed i progressi
della discrasia broncocelica – l’abbondanza delle ardesie
– l’agiatezza indotta dall’emigrazione – la sobrietà degli
alcoolici – e, notisi specialmente, la poca elevatezza dei
suoi monti che non giungono mai a 2000 metri come il
Rosa, il Bianco, ecc. – per cui non vi sono ghiacciai – per
cui l’acque vi sono più scarse che cattive e per cui le valli
sono meno oscure ed umide delle Savoiarde ed Aostane.
Se in medicina a grandi errori conduce la sintesi pre-
cipitata e violenta dei fatti, a non minori ci trascina l’a-
nalisi cieca, esagerata, miserabile, così da voler disdegna-
re e misconoscere certi punti salienti, direi, d’ancorag-
gio, che nel pelago immenso e buio del vero, pare sian-
ci lasciati dalla natura appunto per guida e per filo: se
col voler raggruppare troppo, si strozza, col disgiungere
troppo, si dissolve e si sfrantuma.
L’associarsi del cretinismo endemico al gozzo perfino
negli animali, in tutte le parti del globo, ed in date
circostanze cosmotelluriche, il suo collegarsi con varie
altre infermità, ed in varie gradazioni d’intensità, è un
fatto saliente, netto e preciso; e per quanto sia difficile

Storia d’Italia Einaudi 23


Cesare Lombroso - Genio e follia

il trovarne la causa, noi dobbiamo, intanto, ammetterlo


come sicuro, e anzi partire da esso per rimontare alle
ignote sue scaturigini.
Ammesso che il gozzo sia il primo od uno dei primi
indizi o dei punti di partenza di una discrasia, che termi-
na poi colla rachitide, sordo-mutismo e cretinismo, ver-
rà da ciò solo spiegato perché in molti paesi non siasi no-
tato che gozzo, ed in altri tutte le altre forme della infer-
mità si dispieghino. Dato che l’inquinamento, miasma-
tico, secondo Virchow, Dagonet e Reichenhall, secondo
me minerale, agisca in debole grado, e non associato al-
la mancanza di luce, di ozono, di ossigeno e di buoni ali-
menti, esso si limita a produrre gozzo, come la scrofola
si arresta alle prime tumefazioni glandulari. Se quelle al-
tre cause si aggiungono ad aggravarlo, allora la discrasia
percorre fino al cretinesimo vero, passando nello stesso
paese per tutti i gradi intermedi, del semicretinoso, del-
l’osteomalacico, del sordo, ecc., fino al vero cretino.
Ciò osservasi nelle valli genovesi, dove appena le con-
dizioni d’aria e di luce si fanno peggiori, al gozzo si asso-
ciano subito le forme cretinose.
Probabilissimo adunque è: che il cretinismo sia un’ul-
teriore evoluzione dell’affezione broncocelica favorita
dall’imperversare sempre maggiore delle cause che pro-
dussero quest’ultima – (mancanza di luce, ozono, ossige-
no e abbondanza o scarsezza eccessiva di sali nell’acque).
– Le vallate e le spiaggie liguri presentano appunto il fe-
nomeno di un germe di endemia broncocelica-cretinica
– strozzato nel nascere appunto dalle condizioni topo-
grafiche in parte favorevoli – come la poca elevatezza dei
monti – la loro posizione parallela e non trasversale. –
Un’ultima deduzione che si trae da queste osservazioni
è: che nei paesi ove temesi o fa capolino il cretinesimo
(in seguito all’endemia broncocelica) curando il gozzo o
migliorando le condizioni topografiche ed igieniche noi
potremo arrestare e prevenire il cretinesimo – e le infini-

Storia d’Italia Einaudi 24


Cesare Lombroso - Genio e follia

te infermità che gli fanno triste corona, come la rachitide,


il sordo-mutismo e la osteomalacia.

2
Per una geografia medica dell’Italia unita: le Calabrie, il
Napoletano, la Lombardia

Ai medici militari d’Italia Molte e belle monografie par-


ziali sulle varie malattie che dominano nella nostra terra
sono sparse in effemeridi mediche od in memoriette vo-
lanti, come i cenni del Corradi e del Colletti; come le no-
te di Torchio, di Timmermann, di Garbiglietti su Tori-
no; di Du-Jardin, Granara, ecc., su Genova; di Verga su
Milano; di Castelli su Verona; di Berti, Namias su Vene-
zia; di Coletti, di Argenti su Padova; di Facen su Bellu-
no e Treviso; di Soresina su Mantova; di Pignacca e di
Tommasi su Pavia; di De Renzi, Postiglione, Flaiani su
Napoli; di De Antonio, di Pecco su Alessandria; di Bu-
falini su Fucecchio; di Poletti su Catania; di Moris sul-
la Sardegna; di Trompeo, Biffi, Verga, ecc., sui cretini di
Piemonte e Lombardia; di Ballardini e Lussana, ecc., sui
pellagrosi lombardi; di Barbi-Soncin, Zambelli e Bene-
venti sui Veneti; di Capsoni, Puccinotti, ecc., sulle febbri
miasmatiche; del commendatore Commissetti sulla tifoi-
de; di Verga, Amegno sulla lebbra ligure e romagnola; di
Bonacossa, Castiglione, Bini, Girolami, Miraglia, Bonuc-
ci sui matti di Piemonte, Lombardia, Umbria, Toscana,
Napoli, ecc. ecc.
Ma, essendosi compiuta da sì poco tempo la nostra so-
spirata unità, un trattato completo di geografia medica di
tutta Italia, una vera ed intera forma patologica di que-
sta penisola, ch’è finalmente nostra, ci manca del tutto.
– A me sembra che spetti ai medici militari il compito di
darvi principio e fondamento. Disseminati per ogni più
remoto angolo della penisola, animati da uguali sistemi

Storia d’Italia Einaudi 25


Cesare Lombroso - Genio e follia

o almeno da analoghi metodi di studio, potendo alle le-


ve minutamente ripassare le forme ed anomalie patolo-
giche delle popolazioni eseguirle più accuratamente ne-
gli ospedali e nei reggimenti in cui si hanno esemplari di
ogni regione, essi posseggono certo i migliori mezzi di
analisi e di sintesi, essi sono i soli che possano distingue-
re nelle malattie l’influenza del clima da quella della raz-
za,. e cogliere le modificazioni assunte da un morbo nel
passaggio dall’una all’altra regione.
Questo studio sarebbe, a mio credere, di una grande
importanza pratica, perché potrebbe tracciare basi stabi-
li, statistiche comparative per le leve e per le riforme, ser-
vire di regola per la fondazione e soppressione di ospita-
li, anzi potrebbe giovare direttamente alla cura degli am-
malati.
Per esempio, se riesciremo con dati precisi a prova-
re l’aggravarsi delle piaghe nelle regioni marine, si potrà
provvedere perché gli affetti da queste sieno entro terra
trasportati. Se in alcune regioni, come nelle coste sicule
per esempio, sembra venire meno o almeno ammansar-
si d’assai la fierezza dei polmonari tubercoli, non avrem-
mo noi un valido mezzo terapeutico, preventivo contro
questo male, su cui finora si spuntò l’efficacia dell’arte,
trasportando in quei paesi l’individuo a quel fatalissimo
morbo predisposto o che ne fu tocco e colpito?
Così dicasi della lebbra, che sembra al contrario pre-
ferire la marina e migliorare entro terra; così del gozzo e
del cretinismo, che alligna ostinato nelle valli, ne fa quasi
mai capolino nelle apriche pianure o nelle vette dei mon-
ti.
Non si potrebbe per ognuna di queste specialità mor-
bose fondare appositi stabilimenti nei siti più confacien-
ti, come si fece per gli ottalmici, pei sifilitici e per gli scro-
folosi delle città e diminuire così quelle schiere di croni-
ci, che, non morti ne vivi, agonizzano sì pietosamente nel
fondo dei nostri civili ospitali?

Storia d’Italia Einaudi 26


Cesare Lombroso - Genio e follia

So bene che in mezzo al turbinio delle vicende politi-


che la gracile voce del medico echeggia ben poco nelle
regioni dei potenti, ma in un’epoca ed in un paese dove
l’opinione pubblica ha tanto dominio, finiremo bene per
farci sentire; e la massa dei fatti raccolti resta lì muta ed
eterna ad attendere quell’ora fortunata.
E che tesori non potremo noi rinvenire di fatti in que-
sta terra dove tutte, si può dire, riscontransi le varietà
climateriche, dalle nevi del Cenisio ai vulcani delle Lipa-
ri; dove si trovano e commisti ed isolati, modelli purissi-
mi della razza latina, della greca, della germanica, della
slava, dell’albanese e della semitica!
Per dare principio ad un simile lavoro a me pare si
dovrebbero posare alcune larghe divisioni, le quali poi
ciascuno degli osservatori riporterebbe in più piccola
scala nella zona che gli fosse dato percorrere ed istudiare.
La prima, grande sezione, dovrebbe abbracciare le
variazioni che subisce la patologia a seconda del suolo
e dell’aria, e sarebbe la zona meteorologico-tellurica.
La seconda, o la sezione alimentare, comprenderebbe
le malattie sviluppate sotto l’influenza degli alimenti o
bevande speciali di ciascuna regione.
La terza, o la sezione etnica, tratterebbe delle forme e
specie che assumono i morbi secondo le varie razze che
popolano la nostra terra.
La sezione meteorologico-tellurica abbraccierebbe va-
rie sotto-sezioni o zone, cioè:
Zona delle vallate o zona calcare. – In questa predo-
minano il temperamento venoso, il gozzo ed il cretinesi-
mo colla triste sequela delle rachitidi, delle anemie, epi-
lessie, ottalmie, ecc., osteomalacie e del sordomutismo.
– Alcune mie ricerche nelle valli lombarde, liguri, e nel-
le Calabrie m’inducono a credere che tutte queste for-
me morbose, in apparenza sì diverse fra loro, si ripetono
con singolare uniformità, in tutte le profonde vallate, sie-
no esse costituite di terreni giurassici, o terziarii, o mar-

Storia d’Italia Einaudi 27


Cesare Lombroso - Genio e follia

nocalcari, ecc., ché molto vi contribuisce la qualità e la


quantità dell’acqua, ma più la mancanza di luce, di calo-
re, d’ossigeno e di elettricità positiva, e l’umido eccessi-
vo, difetti non compensati da un vitto sostanziale ed azo-
tato. In Lombardia contai 1306 cretini, di cui 464 era-
no sordo-muti; 332 rachitici; 270 gozzuti; 96 dei loro ge-
nitori erano gozzuti. – Ad Introbbio in Val Sassina v’e-
ra 1 cretino ogni 30 abitanti. – A Bagolino in Val Sab-
bia uno ve n’era ogni 40. – A Collio 1 ogni 30. Ad Arto-
gne in Val Camonica uno ogni 40 abitanti. – A Sondrio
in Valtellina 1 ogni 91 abitanti.
In tutti questi paesi il sordomutismo semplice, l’epiles-
sia, le coree, le rachitidi, l’arresto di sviluppo ed il gozzo
sono diffusissimi.
Nella valle d’Aosta si trovarono 2180 cretini e 3554
gozzuti su 78,110 abitanti; e moltissimi sonvi i pigmei,
i rachitici ed i sordo-muti. – A Saluzzo 4485 erano i
gozzuti e 325 i cretini. – A Susa 82 i gozzuti e 32 i cretini.
In Sardegna pare che il gozzo ed il cretinesimo sieno
affatto sconosciuti, anche nelle profonde vallate.
Ignoro se nelle complicate catene de’ monti modenesi,
umbri e toscani abbianvi, ed è probabilissimo, casi di
gozzo e cretinesimo endemico; – a voi il confermarlo.
Un’altra zona nettamente disegnata è la miasmatica,
costituita di boschi, risaie, paludi, maremme, tonnare.
Le maremme di Toscana, le lagune venete e quelle di
Comacchio; le paludi ed i boschi calabresi, siciliani,
sardi, del piano di Spagna, in Lombardia, le risaie della
Lomellina, del Polesine, del Modenese e del Pavese e
specialmente le terre di Roma, in cui la ieratica mano
funesta fino l’atmosfera, sono le regioni sciaguratamente
predilette da quell’X che si disse miasma paludoso.
Se la febbre a tipo terzanario e quartanario, o quo-
tidiano, e la perniciosa, è il carattere saliente di questa
zona, conviene aggiungervi, però anche o come sequela,
o come concomitanza, la discrasia scrofolosa, strumosa,

Storia d’Italia Einaudi 28


Cesare Lombroso - Genio e follia

spesso anche il gozzo ed il cretinismo; e le tifoidee, le mi-


gliari, le idropi, le anemie, gli infarti addominali; e spesso
anche certe strane affezioni nervose, ripetute e raggrup-
pate con tanta insistenza da essere assai probabile la loro
relazione e, forse, la loro identità coll’infezione miasma-
tica; tali, per esempio, la corea elettrica, così localizzata
a Pavia e che pare una vera perniciosa epilettica; tali le
febbri tetaniche illustrate dal Manayra, dal Nicolis e dal
Giudici, nei Sardi specialmente, e che sembrano forme
di perniciosa tetanica.
A Mantova, terra cinta d’ogni lato da paludi, su 342
coscritti 43 furono esentati per infarti addominali; 28 per
rachitismo; 67 per gracilità. All’ospitale vennero nel 185
5 accolti 98 malati di febbri perniciose; 114 di periodiche
(91 nell’autunno); 102 di malattie dell’addome e solo 122
per malattie di petto. V’ebbe un morto su 41 abitanti
(Soresina).
A Pavia, ove le risaie e le marcite predominano, s’ac-
colsero nel 1856 all’ospitale 224 malati di febbri periodi-
che; 108 idropici; 416 infarti addominali e solo 59 tisici.
Su 1156 autopsie il professore Sangalli notò 148 tisi e 48
cancri. Le periodiche costituirono l’1/11 delle affezioni.
Si contò un morto su 29 abitanti. Queste cifre darebbero
un risultato palese a favore delle risaie in confronto del-
le paludi, e chiaramente mostrerebbero la minore quan-
tità delle affezioni di petto in confronto a quelle dell’ad-
dome.
E qui prima di confermare come si sta per fare in Par-
lamento delle leggi che favoriscano la diffusione delle ri-
saie e impediscano la distruzione dei boschi bisognereb-
be con cifre esattissime della vita media, delle malattie e
della mortalità media rilevare se le paludi siano veramen-
te più dannose delle risaie e delle marcite, come pare; e
se le terre coperte da boschi rechino altrettanto danno al-
la salute quanto le paludose, il che a me, da osservazioni
fatte in Calabria, quasi con sicurezza risulterebbe.

Storia d’Italia Einaudi 29


Cesare Lombroso - Genio e follia

La zona marittima è contraddistinta dalle malattie


glandulari e dermiche, dalla frequenza dell’albinismo,
dalla scarsità delle tisi e delle pneumoniti; ed in alcu-
ni punti della Liguria (Oneglia, Varazze, Arquata), delle
coste calabro-sicule (palme e Messina) e romagnole (Co-
macchio), dall’elefantiasi, quest’ultimo retaggio del me-
dio evo che predilige ancora le coste e spare e migliora
entro terra.
Forse a questa ultima tendenza si collega quel fenome-
no a cui accenna un curioso proverbio popolare comu-
ne alla Liguria, alla Sicilia ed alla Calabria dell’incipri-
gnire e peggiorare le piaghe degli arti nei paesi di mare.
Fatto è che non vidi mai tanti cronici di piaghe alle gam-
be quanto negli ospedali di Genova. Le fasciature bain-
toniane, il nitrato d’argento, la cura interna appena fan-
no tacere il male per qualche giorno che dopo si ravvi-
va in breve tempo e peggiore. Né è raro il caso, a Pam-
matone, che una eresipola od una cancrena nosocomiale
ti venga a rendere grave una pure lievissima lesione del
vescicante e fino della lancetta. Nelle coste calabre vidi
alcune piaghe non solo resistere a tutti i mezzi dell’arte,
ma spesso degenerare tutto intorno nei margini in par-
ziali ipertrofie ed indurimenti del tessuto cellulare, quasi
primi rudimenti d’incompleta elefantiasi.
Se queste osservazioni si confermassero, se si potrà
asserire poi con certezza che l’aria del mare danneggi
queste infermità, non sarebbe egli il caso di trasportare
questi pazienti nei paesi più interni e lungi dalle coste?
La zona vulcanica è contraddistinta da malattie di pet-
to e di cuore. Quasi tutte le guide del Vesuvio patisco-
no di asma. Il dottor Poletti descrive a tratti maestri una
specie d’ortopnea preceduta da stanchezza generale, che
suole cogliere nell’inverno i contadini dei villaggi ai pie-
di dell’Etna, e che dura da tre ad otto giorni, ribelle alle
cure, recidiva anzi di spesso.

Storia d’Italia Einaudi 30


Cesare Lombroso - Genio e follia

La zona delle montagne vanta polmoni rossi di sangue


ossigenato; muscoli erculei, stomachi che ignorano i ga-
stricismi – appena è se v’abbondano le malattie di cuore,
le pneulmoniti genuine e le apoplessie; frequente questa
ultima sotto alle grandi variazioni barometriche.
Nella sezione alimentare prima d’ogni altra vorrei di-
stinguere:
La zona pellagrosa o del granturco – che mano mano
più si disegna ed estende che dall’Emilia e dalla Toscana
si passi al Piemonte ed alla Lombardia in cui assume le
più terribili proporzioni.
La Liguria, che si ciba di farina di grano, di segala, di
castagne e cipolle, non ha che casi sporadici di pellagra; e
non la conoscono neppure di nome i Siculi e i Calabresi,
mangiatori di fichi d’India, di pesce e di pane. A Padova
morirono in due anni 245 pellagrosi; a Verona 38 in
un anno. A Firenze da 6 che erano salirono a 150 nel
Mugello ove si abusa di maiz.
La Commissione sarda notò su 626 pellagrosi del Pie-
monte 522 mangiatori di polenta; e Garbiglietti contò nel
1846 ben 200 pellagrosi in Alessandria, 403 a Ivrea, 280
a Saluzzo, 25 a Cuneo e 40 ad Acqui.
In Lombardia in 10 anni il numero dei pellagrosi
raddoppiò; Ballardini ne calcolò il numero a 38,777; la
sola Valtellina, che in luogo di maiz usa grano saraceno
e segala, ha pochi pellagrosi, 1 su 300 abitanti; mentre a
Brescia e Bergamo si conta 1 ogni 30.
Nella Comarca di Roma a Palestrine nel 1861 insieme
col maiz comparve la pellagra. A Bologna dal 1842 al
1852 si curarono in S. Orsola 269 pellagrosi.
Ma uno studio tutto speciale meriterebbe, a mio cre-
dere, la zona ch’io direi minerale. Nell’occasione di alcu-
ne escursioni nei monti lombardi e liguri per studiarvi i
cretini, un fenomeno singolarmente mi colpiva. – Molti
abitanti dei paesi dov’erano fonti minerali rinomate per
virtù mediche, ferruginose, arsenicali, iodate, ecc., erano

Storia d’Italia Einaudi 31


Cesare Lombroso - Genio e follia

preda di quelle malattie su cui quelle acque avrebbero


dovuto avere più o meno benefica influenza. Così formi-
colavano gli anemici, gli scrofolosi, i rachitici nei paesi di
Taceno e Tartavalle, ov’erano fonti ferruginose e iodate.
Così gli erpetici e gli scrofolosi brulicavano a Trescore,
dove trovansi buone fonti sulfuree, e molti sono gli ane-
mici e scrofolosi, rachitici nelle valli di Reco aro. Nella
Liguria la fonte magnesiaco-ferruginosa di Montesigna-
no (vicino a Bavari) rende anemiche ed amenorroiche le
donne povere, mentre le ricche, che si servono delle ac-
que del vicino acquedotto, non soffrono alcun male.
La sezione etnica finalmente si potrebbe in due grandi
zone dividere:
La zona italica e la zona straniera. – Opera difficilissi-
ma ella è, ma tanto più curiosa ed utile quella di sceve-
rare nello andamento e nello sviluppo dei mali degl’indi-
vidui di ciascuna nostra regione la parte d’influenza che
vi apporta la razza da quella del clima e dell’alimento, e
questo tutto può farsi dai medici militari negli ospedali.
Su 50 pneumonici lombardi e 50 siciliani, trattati con
ugual metodo, in uno stesso ospedale, quanti ne muo-
iono, quanti guariscono, ecc., in quanto tempo, quanti
passano alla febbre tifoidea, alla migliarosa, ecc.?
Che andamento, che decorso prende una piaga, una
ferita, ecc., della stessa natura, nei differenti abitanti
della nostra penisola?
Da alcuni studi fatti nel 1859 risulterebbe per esempio
che i feriti sardi offrivano le suppurazioni più profuse e
le guarigioni più tardive.
Così dicasi delle sifilidi: alcuni, a dir vero, insufficienti
dati racimolati nel 1862 all’ospitale di Genova, mi indur-
rebbero ad asserire che i Napoletani offrono il maggior
numero di blennorragie e il minore di bubboni, e che i
Toscani offrivano più spesso le ulcere fagedeniche.

Storia d’Italia Einaudi 32


Cesare Lombroso - Genio e follia

La tendenza alle tifoidee è maggiore nei Sardi e nei


Siciliani, o non è che la conseguenza delle influenze
miasmatiche, dei salassi, ecc.?
La tendenza alla migliare e la sua gravità, è maggiore
nell’alta Italia e specialmente nella Venezia. A Padova in
due anni morirono 106 migliarosi; a Verona 20.
Curiosissimo poi dev’essere lo studio delle malattie cui
vanno a preferenza soggetti quegl’individui che, stranie-
ri d’origine, ma italianizzati dal clima e dal tempo, for-
mano delle specialità etniche nella penisola; tali sono gli
Albanesi che più di 10,000 di numero occupano molte
terre dei distretti di Bisignano, Rossano, Matera, Taran-
to, Otranto, Girgenti, ecc., e serbano abitudini, istinti,
vestiario e linguaggio così diverso dal resto d’Italia; tali
i Greci di Sicilia, di Bova, di Lecce, di Brindisi, in alcu-
ni dei quali potei notare qualche caso di bulimia, che es-
si curano con degli scongiuri magici a foggia di Catone
(Bova).
E i Tedeschi, dei sette e tredici comuni nel Veneto,
e quelli della valle di Gressoney; gli Slavi di Rovigno e
dell’isola di Veglia; i Catalani di Alghero; i Francesi di
Aosta; gli Arabi di Malta, certo differiranno anche nella
forma patologica come nel vernacolo e nelle abitudini e
nell’aspetto. Lo stesso dicasi degli Ebrei i quali, alcune
mie ricerche fatte nel Veneto, m’inducono a credere es-
sere meno esposti alla tisi, alle perniciose, alle pneumo-
niti, alle tifoidi; più invece alle scrofole, alle malattie del-
la pelle, all’apoplessia, al cancro e alle manie epilettiche
e religiose in ispecie, caratterizzate in essi spessissimo da
totale mancanza di allucinazioni.
E qui converrebbe aggiungere un’altra zona, quella
delle città in cui le ragioni di clima, di razza, sono dal
contatto degli stranieri, dal tumulto delle passioni, dalle
artifiziate abitudini e da vizii così fuse e confuse, da
dar luogo a veri gruppi patologici speciali. E sarebbe
a notare nelle varie professioni la diversa mortalità e vita

Storia d’Italia Einaudi 33


Cesare Lombroso - Genio e follia

media, che si eleva per es. in Genova da 72 a 87 anni nei


contadini e nei preti; a 62 nei commercianti, e discende
a 36 nei fabbri, nei braccianti, nelle cucitrici, e 46 nei
medici! poveri medici! Vi ha un tisico ogni 12 morti a
Mantova; uno ogni 12 a Napoli; uno ogni 9 a Cuneo; uno
ogni 13 a Genova; uno ogni 14 a Verona.
Vi ha un matto ogni 1267 abitanti a Milano; 1 ogni
1999 a Pavia; 1 ogni 1000 a Verona, ecc.; nell’Umbria 1
ogni 1947 (Castiglioni, Bonucci).
E qui m’interrompo; che tutto il fin qui detto è trop-
po, ed insieme troppo poco per un lavoro a cui non isfu-
mature e colpi d’occhio, ma cifre si vogliono e linee pre-
cise e geometriche; – a voi, o colleghi, sta il tracciarle;
solo che lo vogliate.
Io non so se possa esservi argomento più atto ad in-
fiammare d’ardore un medico italiano quanto questo di
rianimare e riunire le sparse membra della patologia ita-
liana; gettando le basi di una etnografia e d’una più adat-
ta legislazione igienico-preventiva. Io confesso che per
poter compire o solo iniziare una opera simile, sacrifi-
cherei le più care dolcezze della vita.
Ebbene, il compire questo disegno sta tutto, o colle-
ghi, nelle vostre mani, né con grande fatica; solo che d’o-
gni parte della nostra terra voi spediate l’obolo di qual-
che breve notizia geografica-medica, l’opera esce fuori da
sé come dai lapilli coloriti il mosaico; e l’Italia vi dovrà
così un benefizio di più.
E qui, se non temessi d’essere tacciato d’impudenza,
proporrei di riassumere così alcuni dei più salienti quesiti
di geografia medica italiana, a cui manca ancora una
vostra risposta.
Nelle vallate dei monti X, ecc., quanti furono riformati
su 100 per gozzo, cretinesimo, corea, sordomutismo,
rachitide, arresto di sviluppo, ecc.?
Nel paese X di 1000 abitanti circondato da risaie; nel
paese R di 1000 abitanti circondato da boschi; nel pae-

Storia d’Italia Einaudi 34


Cesare Lombroso - Genio e follia

se P di 1000 abitanti circondato da paludi; nel paese T


di 1000 abitanti circondato da marcite, quanti muoiono
in seguito a perniciose; quanti si ammalano di periodi-
che; quanti sono riformati per gozzo, scrofola, epilessia,
infarti addominali, edemi?
Che tipo assume a X, a P, a R, a T la periodica, e che
genere di perniciose dominanvi nella stagione tale, ecc.?
Ove dominano le febbri, dominano pure sempre le
tifoidi, le coree, le epilessie e le migliari?
Nell’isola R, nel villaggio P in riva al mare, nella città
G situata a mare, quanti furono riformati per lebbra
su 1000 coscritti; quanti per scrofola, erpete; quanti
muoiono di tisi; quanti albini vi sono?
Le piaghe erpetiche, scorbutiche, varicose, guariscono
più o men facilmente in paesi di mare? – Data una piaga
di ugual indole in due individui della stessa tempra, l’uno
curato in riva al mare, l’altro entro a terra, chi guarisce
prima?
Vi son molti casi di tisi nelle terre di Sicilia, di Sarde-
gna, di Capri, ecc.?
Che malattie speciali appaiono, o che indole prendono
le comuni a Stromboli, a Pozzuoli, a Bosco Tre Case,
Torre del Greco e nei villaggi vicini all’Etna?
Vi sono casi di pellagra in Sicilia, negli Abruzzi, nelle
Marche, nella Sardegna?
Che influenza ha sullo sviluppo e sull’andamento dei
mali l’uso smodato dell’aglio, delle cipolle, delle tomate
e della lattuga in Genova, Palermo, Reggio, ecc.?
Che malattie dominano nei paesi vignicoli, ad Asti per
es.?
Che malattie, che discrasie si osservano negli abitanti
dei paesi ove trovansi acque salsoiodiche, sulfuree, ma-
gnesiache, ecc., come per esempio ad Acqui, Sales, Giri-
falco, Gerace, Peio, Recoaro, ecc.?
Vi sono casi di vero gozzo, di scrofola nei paesi di...
sul mare?

Storia d’Italia Einaudi 35


Cesare Lombroso - Genio e follia

Su 50 pneumoniti, ecc., in Lombardi, ecc., e 50 pneu-


moniti, ecc., in Sardi trattati nello stesso paese e col-
l’eguale metodo di cura, ecc., quante guarigioni, quan-
ti morti si notano?
La sifilide predilige alcune forme nei Napoletani, nei
Siciliani, nei Toscani?
La tendenza al tifo è maggiore nei Sardi, nei Napole-
tani, od è solo conseguenza delle influenze miasmatiche
e dei salassi?
La tendenza migliarosa è circoscritta ai Veneti, all’alta
Italia, ecc.?
Gli Albanesi, i Greci, gli Ebrei, i Tedeschi, ecc., sparsi
in antiche colonie in Italia, vanno soggetti a speciali ma-
lattie? – Che indole assumono in loro le malattie comuni,
loro mortalità a confronto degli altri concittadini, ecc.?
Nella città X, qual è la media della mortalità secondo
le varie professioni? – Che malattie dominano; quanti
furono riformati su 1000 per scrofola, gracilità, epilessia,
ecc.?
A quali malattie soccombono p. e. i Sardi, ecc., curati
in Lombardia, ecc., i Lombardi, ecc., curati in Sardegna,
ecc.?
Cento feriti ad uno stesso grado, arto, ecc., nati in
Sardegna, e cento altri feriti, ecc., nati in Lombardia
curati e trattati con egual metodo nel tal paese, p. es.
a Firenze, guariscono tutti circa nella tale epoca od in
epoca e con esiti differenti, ecc., ecc.?
l. Giacciono le Calabrie in quel lembo estremo ed ac-
cidentato della nostra terra, che per la sua singolare for-
ma merita tutto solo il titolo di stivale. Pescano da un la-
to nel Jonio, nel Tirreno dall’altro; per tutta la loro lun-
ghezza, fino all’estremo punto del fatale Aspromonte, le
attraversano gli Apennini, che le limitano in alto; e dei
quali, si può dire, le due popolose marine formano i ver-
santi; versanti irrorati da piccoli fiumi e torrenti; acque
non utili al commercio, dannose all’igiene, come quelle

Storia d’Italia Einaudi 36


Cesare Lombroso - Genio e follia

che spesso impaludano o si asciugano, o ingrossano im-


provvisamente. – I terreni marno-calcari, o granitici, o
sabbiosi sotto gli Apennini, sono ricchi di galene argen-
tifere e rame a Reggio; di ligniti e carbone fossile a Ge-
race ed a S. Eufemia; di piombo a Longobuco; di ferro
a Pazzano. – I porti mal sicuri, inetti al grande commer-
cio; il mare spesso infido per pericolose e contrarie cor-
renti, più che avvicinare (come altrove) isola le Calabrie
dal mondo civile.
Eccellenti acque ferruginose si trovano al Pizzo, a
Girifalco, a Gasperino, a Cotrone; e buone fonti sulfuree
a Gerace, a Cassano, a Melissa, a Pellagona, Sambiase,
Verzia, Cerisano, Fagnano e Palestrine.
Questa ricca terra, che misura l’estensione di 5066 mi-
glia quadrate, ne conta pur troppo 490 d’incolte o bo-
schive; ma quasi a compenso della trascuranza umana
nei luoghi coltivati la natura sembra superare se stessa, e
là cresce il grasso e spinoso cactus o fico d’India (per 18
miglia quadrate nella sola Calabria Ultra I.ª) inerpican-
dosi sulle rive più deserte e scogliose; là il lucido olivo,
specialmente a Gioja, verdeggia, e l’arancio ed il berga-
motto, ed il gelso a Reggio, e il canape a Monteleone, ed
il cotone a Cotrone, e l’uva zibibba e le uve tutte a S. Eu-
femia e a Mileto; nei monti crescono giganti il castagno,
la quercia, il noce, il frassino; nelle marine verdeggiano
bellissime le palme, l’aloe ed il limone.
Ivi s’allevano robusti il capro, il porco, l’asino ed il
mulo – male vi allignano il cavallo ed il cane. Eccellenti
pesci nuotano nelle onde dei suoi mari, fra cui il tonno
ed il pesce spada, fedeli a quell’acque fino dai tempi di
Polibio e che si pescano ancora col metodo antichissimo
dei primi aborigeni.
La massima altezza termometrica nella Calabria Citra
è, almeno secondo il Del Re, di gradi 28,10; la minima è
di 2,6 sotto lo zero; nella Calabria Ultra prima 28,8 era la
massima 2,3 la minima.

Storia d’Italia Einaudi 37


Cesare Lombroso - Genio e follia

Il barometro dava 28,5,7 (pollici) al massimo; e 27,6,9


al minimo d’altezza nella Calabria Citra; 29,3,9 era il
massimo dell’Ultra prima; e 27,8,0 il minimo.
La media della pioggia caduta nell’anno 1834, secon-
do il Del Re, era di 28 pollici e tre linee nella Calabria
Citra; di 27,7 nell’Ultra prima.
Gli abitanti sommano ad 1 224 24310 . Sono dunque
sparsi a 244 per miglio quadrato; povera cosa se si pensi
che nella vicina terra di Lavoro ve ne hanno 322 per
miglio quadrato, e da noi fino a 400, ma è pure un
incremento notevole dagli scorsi anni. – Le femmine
superano i maschi; i nati superano i morti. – Si calcolano
ad 8000 i marinaj, o meglio i pescatori; a 540000 i
contadini; a 6000, pur troppo, i preti.
2. È un fatto pieno di grande interesse per l’etnogra-
fo l’esistenza in questo estremo lembo, di due colonie
straniere alla favella ed ai costumi dai Calabresi. Erano
popoli, i quali ripeterono per uguali vicende e posizione
geografica, quella stessa emigrazione che già ne apporta-
va i loro antenati Elleni e Pelasgi; – vo’ dire dei Greci e
degli Albanesi.
I Greci, che per un ben singolare sbaglio si confondo-
no anche dai Napolitani stessi, cogli Albanesi, occupano
quell’estremo punto della nostra terra, ch’è l’ultima Tule
dell’Italia continentale.
Sono sparsi, in numero di 8531 circa, a Bovi, a Roc-
caforte, Roccudi, Cardetu, Pondofuri, Galigo, Korio,
Amenda ed in un sobborgo di S. Lorenzo.
Essi conservano perfettamente parte della lingua e
l’antico tipo dei Greci; fronte alta, spazio interoculare
largo, naso aquilino, occhi grandi e lucidi, labbro supe-
riore corto, bocca piccola, cranio e mento arrotondati,
tutte le linee del corpo dolci ed aggraziate.
Il loro temperamento è linfatico o nervoso – finezza ed
astuzia, lascivia, tendenza al furto e al procaccio, grande

Storia d’Italia Einaudi 38


Cesare Lombroso - Genio e follia

motilità di idee e facilità al canto11 ; tale è il loro carattere


morale.
Confinati nell’estremo lembo dell’Italia, su aride roc-
cie, a cui s’accede per una sola straduzza; divisi da un ma-
re inospitale, non è da meravigliare se si conservarono,
come vennero, barbari, sui tristi loro tuguri di legno e di
paglia. Essi hanno quattro chiesette ed un povero ospita-
le. Osservano tutti i riti della religione cattolico-romana;
tengono a pastura capre e porci – ed affatto trascurano la
pesca, che pur potrebbe assai loro giovare – e ciò mi dà
a sospettare che non venissero dalle coste, ma dalle terre
interne della Grecia.
I più intelligenti emigrano e coll’antica finezza, e col
naturale ingegno cui stimola povertà, arricchiscono e si
fanno avarissimi.
Vivono di latte, di grano, di fichi d’India, e qualche
volta di carne di capro e di porco; usano certe ciambelle
che a modo antico fanno cuocere sotto le pietre arroven-
tate; si servono ancora per lumi, dei pezzi d’abete (pin-
ne), appunto come i nostri antenati, che ce ne lasciarono
la traccia nell’invisciar ed impizzare dei nostri vernacoli.
Sogliono piangere, ed era costume di tutta la Calabria,
i loro morti con formole prestabilite; e sei giorni festeg-
giano con pranzi e conviti le nozze, dette perciò prandia.
Le malattie più comuni sono le febbri periodiche, le
tifoidee ed una specie di bulimia che coglie i ragazzi,
e ch’essi curano con degli scongiuri cantati in coro dai
bimbi del villaggio armati ciascuno d’una ciambella.
Osservai qua e là sparse nei loro villaggi, traccie di
rachitide, di gozzo e di cretinismo, ch’essi attribuiscono
alle acque del Dario e del Piscopio.
Tutti gli autori che io consultai, ed essi medesimi
sopratutto, asseriscono essere questa colonia un avanzo
dei Locresi Zefiri; – ma l’esame della loro lingua mi
convinse, a mio malgrado, (perché l’origine antica suona

Storia d’Italia Einaudi 39


Cesare Lombroso - Genio e follia

più curiosa) che gran parte di quelli venne in tempi assai


posteriori e quasi moderni.
Tuttociò mi fa inclinare a credere che ad antiche colo-
nie greche e romane, quali erano Tropea, Taureana, ecc.,
si fossero in varie epoche sovrapposte delle popolazioni
appunto d’origine ellenica – e così s’accorderebbero i fat-
ti linguistici colla tenace tradizione, e colla completa or-
todossia del loro rituale liturgico che non si riscontra più
nelle colonie Albanesi.
3. Gli Albanesi, che già popolarono tante altre terre
dell’Italia del sud, tengono in Calabria, Maida, Longo-
buco, Celso, San Mauro, S. Agata, S. Giorgio, Alpizzato.
È strano che qualche autore li abbia potuto confonde-
re coi Greci, coi quali non hanno forse di comune che le
sventure e l’origine aria; e dai quali la loro lingua differi-
sce più che tutte le altre di Europa.
La fisionomia s’avvicina assai alla slava e più propria-
mente alla serba; hanno statura cioè elevata; contorno
della testa più alto che largo; direzione della mascella
orizzontale; naso diritto, occhi piccoli e poca barba. –
Il temperamento linfatico o muscolare. – Vestono anco-
ra alla poetica maniera dell’Epiro, e fino le donne porta-
no alla cintura l’inseparabile bedsaq o pugnale. Si ciba-
no di fagiuoli, ceci, fave, latte, grano bollito od arrosti-
to e di capre – i montanari si preparano pane di grano
turco (crocomil). I più sono pastori, ovvero insofferenti
dell’inerzia emigrano come muratori e mercanti di pan-
no. Un’intiera colonia di essi è trapiantata in Napoli e vi
primeggia per le doti dei costumi e dell’ingegno. Han-
no tutti indole assai differente dall’italiana; animo fiero,
anzi feroce; tengono la vendetta come dovere; non ille-
cito l’omicidio. Sono taciturni, pazienti, tenaci, implaca-
bili. – Milano era Albanese e il Borbone bene sel sapea,
che assai diffidandone tenne i suoi compaesani quasi sot-
to sequestro fino al 1860. Essi hanno ancora e rispetta-
no assai i loro ottimati (bugliar), già principi, ora solo ric-

Storia d’Italia Einaudi 40


Cesare Lombroso - Genio e follia

chi. – Le donne vi son trattate con un misto di venera-


zione e di rispetto; la sposa cinge la fronte di un diadema
(chesa), quasi divenisse regina, il dì che comprato lo spo-
so colla sua dote, entra nella nuova famiglia, ma pure è
tenuta lungi dai conviti e dalle danze, e deve lavorare per
l’uomo, anche nei campi.
I loro preti si maritano, e sono fra i più onesti sacerdoti
del mezzogiorno. La loro religione è ortodossa in appa-
renza, e per la tema, ancora non ispenta, dell’intolleran-
za borbonica, ma nel fondo essi appartengono alla chie-
sa greca. – Alcuni riti speciali rammentano la fragrante
e nitida purezza di cui splendeva davvero il cristianesi-
mo nelle sue prime epoche. – Nel giorno dell’Ascensio-
ne, i proprietarj di greggie dividono il latte fra la gente
del paese; a memoria della Leggenda della Vergine. Nel-
l’alba del giorno dei Morti i poveri di quei paeselli per-
corrono le vie gridando: «ude zott, perdona, o Dio» e le
porte delle case si aprono e n’escono le vergini recando
a ciascuno un piatto di grano bollito ed un pane bianco.
– L’amore di patria, vivissimo in loro, le tradizioni e le
memorie giammai spente delle antiche prodezze, e que-
sta così semplice ed ingenua religione, mantenne in loro
il profumo di quella inimitabile poesia che è propria dei
popoli primitivi; e favorì un nuovo genere di letteratura
pur troppo ignoto in Italia, ch’assomiglia molto alla sla-
va, e di cui sono campioni viventi il De Rada, il Basile ed
il Bardari.
4. Ma venendo alle popolazioni proprie delle Cala-
brie, m’è sembrato dovervi distinguere due tipi principa-
li. L’uno il semitico ha il cranio dolicocefalo, compresso
alle tempie, rigonfio al centro dei parietali, le palpebre
ravvicinate, il naso arcuato, la statura alta, i capelli neri
o castani, l’occhio nero (questo ultimo carattere che pa-
rebbe in contraddizione colle osservazioni tue [di Man-
tegazza] e di Retzius, si può spiegare dalla mistione con
le razze africane o [ca] mitiche). – Questo tipo si mostra

Storia d’Italia Einaudi 41


Cesare Lombroso - Genio e follia

più frequente nella marina, ma non così però che spesso


non si mescoli e non sia soprafatto dal muso prognato,
dai capelli ricciuti e derma bronzino dell’africano o dal
purissimo ovale dei Greci e meglio ancora dal maschio
e nobile tipo misto greco-romano, che è il prevalente; il
solo anzi nell’interno.
È il tipo dalla fronte alta, ampia, dal cranio brachicefa-
lico, direi quasi quadrato, dal naso aquilino, dal capello
lucidissimo e nero, dall’occhio vivace e prominente.
La statura è alta, il temperamento bilioso. Ad onta
adunque della tanta mescolanza coi popoli Semiti (Fe-
nici, Cartaginesi, Arabi) e Berberi, e Nordici (Norman-
ni), il tipo greco-romano prevalse forse perché impronta-
to dai primi popoli abitatori di quelle terre, Osci ed Opi-
sci. E tanto ciò è vero che anche nel dialetto di quei paesi
se ne possono trovare prove curiose; per esempio, dico-
no ciclope al brutto, ultimo vestigio della Leggenda d’O-
mero; malapanta – per tutti i mali (π αντα), bestem-
mia in cui si conserva la ricordanza della fusione dei co-
loni romani coi primi indigeni greci; tede alle torcie d’a-
bete; mancupatu per meschino; ancille (αγγoς ) chia-
mano i vasi da portare acqua, che sono fatti alla medesi-
ma foggia come quelli di Pompeja; e romane sembrano
le abitazioni cui non distrusse il terremoto.
A questa influenza greco-romana essi devono certa-
mente quella stupenda finitezza di modi che tu trovi an-
che nel contadino, la quale assai contrasta colla poca sua
educazione, e che ti fa credere alle volte di parlare a sena-
tori romani, direbbe Heine, mascherati alla villana. – Ad
essa van debitori di quella maschia fierezza, e di quel-
l’amore alla libertà, per cui tante volte si ribellarono, e
di quello stupendo senso estetico che si rivela nelle lo-
ro canzoni popolari, nei loro proverbi, ed in quelle co-
sì poco note e così finite poesie vernacole, di cui vanno
celebri colà il Cipriani, il Conia e lo Spanò-Bolani.

Storia d’Italia Einaudi 42


Cesare Lombroso - Genio e follia

Alla molta mescolanza semitica io crederei porre a


carico la troppa lascivia, e la conseguente bassa gelosia
della donna, che v’è, si può dire, sequestrata dai rapporti
sociali12 , e le molte superstizioni che improntano d’uno
strano carattere tutti i loro costumi.
Al mal seme degli Spagnuoli devono invece le abitudi-
ni anti-igieniche, di cui parleremo; e la tendenza all’ozio
per cui lasciano le migliori e più produttive loro industrie
in mano ai Genovesi o agli Inglesi – ozio che mal si sod-
disfa colla lascivia, colla caccia, e colla chiesa nei ricchi,
e col furto, e coll’accattonaggio nei poveri, e nei maestri
d’arte. Spagnuolo certamente è quel ridicolo vezzo dei
titoli per cui il merciajo abbandona la lucrosa industria
per poter carpire il suo Don – per cui nella proverbiale
Tropea v’hanno tanti cavalieri quanti uomini vivi. Iberi-
co è pure quello sfoggio d’abiti a cui spesso molti sacrifi-
cano le più strette necessità della vita.
Ma il danno peggiore fu loro portato dai Borboni. –
Non contenti d’isolarli coi passaporti e colle pessime vie,
aizzavano essi il loro odio antico coi vicini Siculi con cui
pure hanno comune l’indole, il vivere, le origini e la lin-
gua; – spedivano nei tempi di rivoluzione i galeotti, nei
tempi di pace i peggiori impiegati dell’un paese nell’al-
tro. – L’odio ne restò così radicato, che per molti anni
non successe fra loro alcun matrimonio; e una donna ca-
labrese ridotta a secco d’ogni altro argomento contro i
suoi poveri vicini osò porre a loro carico gli eroici loro
vespri. – Che direbbero i democratici?
Caduto il feudalismo i Borboni ne crearono un altro
peggiore, come più ignobile, in ogni villaggio o città, nei
loro favoriti, capi urbani, ora mutati pur troppo spesso in
sotto prefetti, od in capi di guardia nazionale; sicché agli
abitanti delle vallate la politica non è già di principj, ma
di persone. – Essi, col permettere e quasi col promovere
la venalità negli impiegati, fecero smarrire il senso della
giustizia, sicché ora spesso i ricchi negano la mercede agli

Storia d’Italia Einaudi 43


Cesare Lombroso - Genio e follia

artieri od ai coloro; e questi credono loro diritto alla lor


volta il rubarli. – Uccidere uno a fucilate, come altrove
a coltello, è uno scherzo assai poco inconveniente; – ed
ognuno perciò porta il fucile, quando esce di casa, e chi
l’ha a due canne è più rispettato, è più giusto. Vidi due
sindaci e due eletti ed ahi! un cancelliere di pubblica
sicurezza, che erano stati già condannati per omicidio!
– Il gergo dei ladri (lingua amasca) si parla in Calabria
anche da persone colte. Le scuole poche, insufficienti.
Unico pascolo che lasciassero alla mobile fantasia, e alla
naturale vivacità di quei popoli erano le pompe e le
pratiche di religione. – Un giovine assai istrutto di quei
paesi mi disse un giorno, che i liberali veri del paese
erano inscritti nella Confraternita di S. Paolo; e lì aveano
congiurato fino dal 1848!! Questo, e non è tutto, era il
retaggio borbonico.
5. Puoi dunque immaginarti in quale stato sia l’igiene
fra quei poveri nostri fratelli!
Già ti narrai come un decimo quasi del suolo (490 mi-
glia quadrate) giaccia paludoso ed incolto. Questi terre-
ni pur troppo apportano un danno gravissimo alla pub-
blica igiene, e da questo lato, non saprei se peggiori le
paludi od i boschi. Il bosco di Rosarno, per es., e quello
del Pizzo producono le febbri quanto le paludi di Gioja.
– Nella ricchissima Gioja, l’aria è così infestata dal mia-
sma, che tutti i ricchi emigrano per sei mesi dell’anno, né
vi stanno il giorno che poche ore, ritirandosi la sera in
Palme. – Ora l’asciugare quelle paludi che la contorna-
no costerebbe poco e renderebbe molto; alcune lo furo-
no già, e ridotte a frutteti e vigneti da un francese, rese-
ro il 25 per 100; e diminuirono l’intensità delle febbri. –
E perché non si deve trovare uno che l’imiti fra quei ric-
chissimi commercianti di olio, padroni di più milioni di
franchi, e che vi troverebbero triplo vantaggio commer-
ciale, igienico e domestico?

Storia d’Italia Einaudi 44


Cesare Lombroso - Genio e follia

La poca conoscenza del drenaggio fa che le pioggie


riescano a danno più che vantaggio del suolo e degli
abitanti.
Le abitazioni dei ricchi sono abbastanza comode e
bene aereate nei paesi dove la lunga serie di terremoti che
infestò le Calabrie costrinse a rifabbricare ed in larghi
piazzali, a cui poter rifuggire al bisogno. – Ma v’hanno
paesi, come Scilla, p. e., in cui le case hanno ancora
il tipo delle Romane, anzi dell’Osche; agglomerate in
piccolo spazio tra la roccia ed il mare, senz’aria né luce
– altre ve n’hanno ad un solo piano come a Laureana.
Dappertutto luride sono quelle dei poveri e dei coloni –
il pian terreno è la terra umida, nuda; le scale a piuoli;
gli altri piani sono impalcature di assi e di paglia, dove
a strati successivi come nelle stuoje dei nostri bozzoli o
nelle cabine delle navi, stanno accasciate intere famiglie.
Spesso visitando un infermo, poi che ti eri abituato al
bujo e al lezzo di quelle umide mura, vedevi sorgere
come dai sepolcri, una dopo l’altra, le numerose testoline
del suo prolifico parentado; – e si noti di più che le bestie
di casa il majale ed il pollo, vi occupano sempre il posto
migliore. – Spesso mancano anche quei compartimenti,
e v’ha un letto solo di assito per tutta la famiglia siano
pure giovinette o spose, o vegliardi.
Il contadino laggiù non è sparso nelle campagne, dove
almeno godrebbe d’un’aria ossigenata e di libero spazio
e di una certa nettezza, – ma si raccoglie e si agglomera
nelle grosse borgate anche alla distanza di molte miglia
dal suo campo, e così aumenta il sudiciume e la ristret-
tezza delle abitazioni.
Certo dalla triste atmosfera di questi giacigli sorse così
potente e diffusa la scrofola; da essa trassero l’inusato
rigore i contagi che colà infierivano negli anni scorsi,
la peste, il cholera, ecc.; essa più che non il clima e la
barbarie, promuove le precoci lascivie, portate alle volte
fino all’incesto.

Storia d’Italia Einaudi 45


Cesare Lombroso - Genio e follia

Latrine, propriamente dette, non esistono, nemmeno


negli alberghi della Calabria, e vi suppliscono ignobili
vasi.
La pulizia stradale, che perciò tu puoi immaginare
quanto difettosa, è affidata in molti paesi alla pioggia del
cielo, ed in sua assenza alla voracità dei majali; e v’hanno
di questi pubblici funzionari di nuovo genere, che sono
mantenuti e rilasciati a ciò dai municipj.
La troppa abbondanza e libertà delle bestie è appun-
to uno dei caratteri che spiccano nell’igiene pubblica di
quei paesi. Ad ogni passo tu intoppi in un coniglio, in
un pollo, in un asino od in un majale. – L’asino ed il mu-
lo; i soli che vi s’incarichino dei trasporti, vi sono mol-
to in onore, quasi quanto il majale; poco v’allignano in-
vece il cavallo ed il cane. – Quest’ultimo, anzi, il più
antico e fedele compagno dell’uomo, costretto a guada-
gnarsi il vitto per le immonde vie ed il ricovero pei bo-
schi, vi degenerava del tutto. Giammai mi venne fatto
di osservare in altre regioni un numero sì grande di ca-
ni malati13 , scabbiosi, mocciosi, tisici, idrofobi; come ne
vidi colà. Brutti, scodati, e quasi senza voce, guardava-
no timidamente i pochi e nobili levrieri, che soli godeva-
no qualche cura dall’uomo; e s’affezionavano assai al sol-
dato, che li compativa, s’attruppavano nelle sue caserme
nelle ore del rancio e mestamente seguivanlo nella par-
tenza. Molte bestie muojono di fame e di malattie per
le strade, senza che i molto azzimati e corteggiati agen-
ti di pubblica sicurezza pensino punto a levarli. – Certo
è conseguenza di tanto brulichio ed agglomero di bestie,
vive e morte, l’infestare grandissimo delle mosche, delle
pulci, e d’altri animali, anche del genere Afide ed Acarus.
Gli alimenti sono appropriati al clima; gli alimenti
nervosi, come tu [Mantegazza] primo bene li chiamasti,
vi sono in singolare onore, tali sono la cipolla, la lattuga,
il pepe e fino il caffè. Poco le carni di capra e bue,
moltissimo v’è ricercato il pesce spada ed il tonno. Il

Storia d’Italia Einaudi 46


Cesare Lombroso - Genio e follia

pane è buono, e dai ricchi si cuoce nelle case. – Assai


poco in onore vi è il riso, che pur tanto bene potrebbe
allignarvi nelle paludi. – Invece enorme è il consumo
che vi si fa dei fichi d’India (cactus) e dei poponi. – Del
resto il piatto più comune, così alla mensa del ricco, che
a quella del povero, è il proverbiale maccherone col sugo.
Il formaggio caprino, il lardo, il pomo d’oro e il cece
arrostito, completano la cucina calabrese.
I vini molto alcoolici, e mal fermentati, producono
ai noli avvezzi, fierissime gastralgie, e congiurano colla
luce solare all’eziologia delle meningiti negli stranieri che
debban affaticare troppo all’aria aperta.
Bello e generale è l’uso della neve e delle granite,
che ti riesce trovare a tuo grande conforto, fino nei più
meschini paeselli di montagna.
L’occupazione della maggior parte dei Calabresi è la
coltivazione delle terre e la pastorizia. È notevole che
molti possedono del proprio un piccolo campicello, che
essi coltivano. Questa eccessiva divisione delle proprietà
è forse più dannosa che no all’incivilimento. – Molti
si danno alla pesca del pesce spada, che vi si fa per
tutta la costa coi metodi descritti già da Polibio e con
grandissimo lucro. Pochi si danno all’industria dell’olio,
dell’essenza di bergamotto e del cotone.
Gli abitanti del villaggio di Serra emigrano ogni anno
quali cesellatori e fabbri. – Quelli di Mormanno invece
quali mercanti girovaghi.
Il costume di maritare da 9 a 12 anni le donne, fu sug-
gerito dal clima, benché alle volte io ne scorgessi pessi-
mi frutti in una prole intristita ed atrofica. Bene gli è uso
immorale e poco igienico quello di promettere in matri-
monio bimbi da 5 a 6 anni come sio pratica ancora fra la
rustica, ma non meno tenace, aristocrazia di alcune val-
late. Dannoso è pur anco quell’isolamento, per non dir
sequestro, in cui si lascia la donna, perché priva gli uo-
mini d’un centro sociale e d’un mezzo tanto più poten-

Storia d’Italia Einaudi 47


Cesare Lombroso - Genio e follia

te perché inavvertito, a mitigare e arrotondare le risenti-


te angolature e le passioni implacabili dell’animo virile –
toglie al bel sesso una fonte d’istruzione, e il rispetto di
sé medesimo, e l’influenza e l’attività; e nei lunghi e mal
soddisfatti ozj promuove le forme più svariate dell’isteri-
smo.
Forse ad equilibrio e compenso di questo costume vi
crebbe l’istituzione delle monache di casa, che vere for-
miche neutre, godono, meno i soavi piaceri del sesso, tut-
te le solerzie della maternità, e quasi tutta la attività degli
uomini; e sono sempre pressate, affaccendate, viventi.
L’uso della siesta dalle 12 alle 3 del giorno, comune a
tutta la Calabria, è certamente igienico; ed io so di mol-
ti non indigeni che nella state risentirono il bisogno di
ubbidirvi che prima ne ridevano come di infingarda biz-
zarria; e certo mi è forza di attribuire molte delle malat-
tie cui soccombevano i soldati Calabresi colà a preferen-
za degli altri, allo aver essi dovuto privarsi di quell’abitu-
dine, rifattasi forse più potente nel paese nativo.
Se non che conseguenza poco igienica della siesta si
è l’abuso della vita nelle ore notturne, quasi al paro e
peggio, che nelle grandi città; – v’hanno moltissimi che
pranzano a mezzanotte.
6. Ma ogni lamento sarebbe poco a deplorare lo stato
in cui vi giace l’educazione della mente e del cuore del
popolo.
L’ozio vi è eretto a merito e l’odio a sistema; l’accat-
tonaggio a mestiere. Io mi sentiva stringere il cuore al
vedere tanti vispi ragazzi (nei cui cervelli poteva celarsi
il genio di un Vico o di un Pagano) scorazzare seminudi
limosinando, e accoccolandosi ai raggi ardenti del sole.
Da noi sogliono i ragazzi giocare ai soldatini ed è buon
presagio d’una vita maschia ed ambiziosa; lì giocano a
fare i preti.
L’educazione ivi è nulla. A pochi uomini, a pochissi-
me donne è dato sapere leggere. Le scuole che esisteva-

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Cesare Lombroso - Genio e follia

no prima del 1860 vennero soppresse o trascurate; per


esempio, Palmi che ha 10 000 abitanti non conta che 20
scolari. Gli ispettori scolastici di quei luoghi, pedantis-
sima e burbanzosa genia, vanno d’accordo coi comuni, i
quali prevalgonsi della troppa libertà loro concessa, per
sottrarre il denaro destinato ai maestri a proprio profit-
to o per impiegarlo, il che loro cattiva maggior popolari-
tà, nelle grandi feste, che si danno nel Ramadan Calabro,
nel mese di agosto, ad onore dei Santi Patroni del paese.
Queste feste che consistono in colpi di migliaja di morta-
retti, in illuminazioni ad olio o a pezzi d’abete; in fuochi
mirabili d’artificio, in distribuzioni di ceci arrostiti, du-
rano quindici a venti giorni e costano dai 4 ai 6 ai 10 000
ducati all’anno; e sono le sole occasioni per cui tutte le
genti del paese si raccolgano in un sito a danzare e canta-
re ad onore del Santo e al suono della ciaramella. Da ciò
si comprende l’importanza che v’annettono i capi dei co-
muni, che abbisognano della popolarità; anche l’igieni-
sta, pure scrollando il capo, deve benedire queste occa-
sioni che offrono, almeno, sensazioni energiche e gaje, ed
un pretesto ai ritrovi sociali, il primo bisogno dell’uomo
civile. Ma non pertanto quando si pensi, che non v’è co-
sa ch’ecciti più alla venerazione quanto il venerare, e che
queste sono le sole impressioni nuove ed energiche, che
si offrano al popolo, si comprenderà come pure gravis-
simi ne siano i danni, restandone così la mente dell’uo-
mo informata e preoccupata, da non badare più in segui-
to alle altre più serie ed utili vicende, come quelle della
politica, e da non poterne più cancellare l’impressione.
– La superstizione allora diventa un istinto, che si eredi-
ta, e che si fa sovrano sugli altri. – Gli è perciò che ti è
dato trovare persone sensatissime, che pure non posso-
no, del tutto, spogliarsene; e vedi i ladri offrire la camor-
ra dei loro furti a S. Pasquale ed esser sicuri di ottenere
il perdono. – A Laureana i popolani adoravano una mo-

Storia d’Italia Einaudi 49


Cesare Lombroso - Genio e follia

naca di casa, che riceveva ogni notte in sogno rivelazioni


a favore dei Borboni dall’Arcangelo S. Michele.
I giornali penetrano raramente nei paesi delle coste,
ancora meno nell’interno. Sorsero qua e là dei giorna-
letti (Fata Morgana, Imparziale provinciali); ed il gover-
no avrebbe fatto assai bene a sostenerli, qualunque fos-
se il loro colore; se non per ragioni politiche, almeno per
ragioni di igiene mentale; onde scuotere i torpidi sensi e
gettare i semi di una sana discussione.
7. L’igiene degli ammalati è assai male interpretata dai
Calabresi; v’hanno distinti medici, ma sono soprafatti dai
popolari pregiudizj e dai vecchi polifarmacisti infatuati
di galenismo. E sonvi paesi assai ricchi e popolosi come
Palme, Scilla, Bagnara, ecc., senza il più magro ospitale
ove ricoverare gli infermi poveri. Altri ne hanno, ma si
riducono a luride e umide stanze con pochi pagliaricci e
una coperta di lana, in cui si porgono rimedi o guasti o
di poco prezzo, e poche paste per alimento. Chi sa come
giacciano da noi le opere pie, ed in che mani, faccia le
proporzioni e toccherà giusto.
Molti dei pregiudizj medici, che tu [Mantegazza] ri-
trovavi fra i gauchos dell’America del sud, si ripetono in
Calabria e forse con maggiore insistenza.
L’abuso sopratutto del salasso, che è comune in tutti
i popoli su cui passò la bufera degli Arabi14 o degli
Spagnuoli vi è portato ad una favolosa esagerazione.
Un giorno io vidi nel cortile di un carcere di quei luo-
ghi tutti i prigionieri schierati in corona, intorno al bar-
biere che li salassava per turno, e se ne partivano soddi-
sfatti come chi avesse ricevuto un dono prezioso. I bar-
bieri, che sono gli esecutori di questa fatale operazione,
tengono abbonamenti colle famiglie ricche, che si fanno
salassare a periodi di mesi e fino di settimane; – ma il
maggiore guadagno essi carpiscono dal povero popolo,
che trae dall’avaro borsello un carlino (40 centesimi) per
farsi cavare il sangue arrabbiato o troppo caldo – al mi-

Storia d’Italia Einaudi 50


Cesare Lombroso - Genio e follia

nimo malessere che provi, e se non le sono sedici once,


non parte contento e non li paga. – Né le febbri perio-
diche sono controindicazioni per loro, anzi sempre dopo
un accesso sogliono sfogare il male, cioè aprire la vena.
Usano per lo più salassare alla mano, e colla lancet-
ta. – Una volta adoperavano l’archetto, specie di mac-
chinetta che posta sul vaso vi fa scattare sopra una lama
tagliente – ma ora non se ne servono se non coi secchio-
ni che si rifiutano alle novazioni, anche a rischio di una
scorticatura.
Da questo enorme abuso provengono le molte anemie
e le idropi, e forse l’infingardaggine e l’inerzia, che gua-
stano quella nobile progenie.
Per un analogo pregiudizio antiflogistico essi negano il
brodo ai loro malati, dicendolo riscaldante, e danno loro
invece la pasta cotta nell’acqua, e peggio, la lattuga, i fi-
chi d’India, i melloni ed i poponi15 , della cui virtù rinfre-
scante hanno tanta fiducia, che se li serbano nelle cantine
per l’inverno a esclusivo uso degli infermi. Forse questo
bizzarro metodo dietetico, che è adottato anche dai me-
dici, si appoggia all’avversione dei cibi azotati, comune
anche nei sani, e che è legge di clima; pure il genio delle
malattie dominanti, le periodiche16 esigerebbe una dieta
del tutto opposta; ed io diedi ai miei malati, riso, brodo
e carne, e neve, e me ne trovai contento.
Inesplicabile poi mi riescì quel pregiudizio, che vi
corre, essere l’acqua gelata o la neve, anzi l’acqua in
genere, dannosa agli ammalati.
Abusano anche i Calabri degli ammollienti locali nel-
le piaghe e nelle ottalmie, se non che invece del lino lom-
bardo e della mela cotta dei Liguri essi venerano la lattu-
ga, e con esiti uguali!
Bello invece v’è l’uso dei bagni di mare, a cui acccor-
rono dalle più remote provincie, e dai quali quelle nature
eminentemente epatiche, guaste dalla scrofola e dagli an-

Storia d’Italia Einaudi 51


Cesare Lombroso - Genio e follia

tiflogistici, ritraggono grandissimo giovamento, special-


mente le donne.
8. Delle malattie cui vanno soggetti i Calabri, io non
potrei discorrere con precisione se non limitandomi a
quelle che osservai nel breve periodo di pochi mesi di
estate, e nella Calabria ultra prima.
Trovai il gozzo ed il cretinismo diffuso nella remota
vallata di Pedavoli, ove anche i cani ne erano affetti; ne
trovai traccie nelle montagne di Bovi e lì se ne accagio-
nano le acque del Dario. Ma dove mi riuscì di sorpresa il
trovarne vestigia fu nelle marine di Scilla, ove n’era col-
ta una intiera famiglia (Fara); eppure il jodio vi deve ab-
bondare, che il mare vi batte da ogni lato, e la pesca è la
sola occupazione ed è il solo alimento del popolo.
L’endemia dominante è quella delle febbri ad accessi;
tutti gli abitanti dei paesi vicini alle paludi ed ai boschi
vi sono soggetti, come pure i viaggiatori che trascurino,
nell’attraversare quel paese, di tenersi ben desti. Questa
maggior facilità di contrarre le febbri nell’ora del sonno
è conosciutissima da quegli abitanti, e bene si spiega da
quel fenomeno fisiologico che la quantità dell’acido car-
bonico eliminato è minore nel sonno; ed in conseguenza
l’energia dei nervi assai più depressa può resistere meno
alle nocive influenze, per cui anche il cholera e la peste
colgono a preferenza, nelle ore notturne le loro vittime (
Combc. The princ. of phisiol. Edimb., 1860, p. 66).
Le perniciose, rare volte vi si complicano con fenome-
ni gastrici, ma più spesso invece con fenomeni toracici o
cerebrali; vidi due casi di pleurite e pneumonite, ed uno
di febbre tetanica, guarire col solo chinino.
I vecchi pratici preferiscono il citrato al solfato nelle
febbri; e la corteccia nelle perniciose. In queste ultime
però, pur sacrificando a Galeno con salassi e sanguisu-
ghe, somministrano il chinino per uso esterno e per cli-
stere.

Storia d’Italia Einaudi 52


Cesare Lombroso - Genio e follia

In genere vanno soggetti alle febbri più gli stranieri,


che gli indigeni; perciò mi riesce bizzarro il fatto che
delle truppe che io v’ebbi in cura, più facilmente n’erano
colti i nativi delle Calabrie, che non quelli delle altre
provincie.
Molti degli individui, già da tempo guariti col chinino,
benché si tenessero lontani dalle cause occasionali, pure
venivano presi da leggieri brividi e febbricciuole a perio-
di non bene determinati, su cui nulla più poteva la chi-
na. In questi casi mi trovai contento dell’acido arsenio-
so ad un trentesimo di grano, anzi alcuni guarirono dopo
un sessantesimo.
Ma molti hanno in orrore il chinino e l’arsenico, e
non credono che alla lancetta, sicché finiscono, coll’avere
le febbri tutti i mesi dell’anno, o col morire sotto una
perniciosa, o col ridursi idropici ed edematosi.
La rachitide non si mostra che a Bovi e a Pedavoli;
ma la scrofola con tutto il suo triste seguito di adeniti,
ascessi, ulceri ed idiozie vi fa capolino per tutto.
L’ottalmia granulosa, sua prediletta congiunta, è dif-
fusa in ogni classe di persone, e trattata colla lattuga lo-
calmente o peggio intempestivamente col nitrato, perdu-
ra o degenera in stafilomi che sono i più, in ulceri e mac-
chie della cornea, in ectropi ed entropi, in trichiasi, atro-
fie del bulbo, o indurimento e raggrinzamento del tar-
so. La causa di tanta diffusione è certamente da ascri-
versi alla scrofola, e più ancora a quell’influenza clima-
terica e genetica, per cui là abbondano di tanto le blen-
norragie uretrali, che cioè tende ad attaccare le mucose;
– la causa occasionale vien fornita dall’eredità di queste,
dai molti affetti dell’esercito borbonico, che vi si trova-
no sparsi per i paesi come congedati o veterani, e dalle
ristrette e sucide abitazioni. Molto diffuso nelle coste è
l’albinismo, anche nelle bestie domestiche.
Udii da molti medici lamentare la diffusione e la gra-
vità delle sifilidi; né potrebbe essere altrimenti, quando

Storia d’Italia Einaudi 53


Cesare Lombroso - Genio e follia

si pensi che visite mediche e sifilicomi appena esistono a


Reggio; eppure il meretricio dovunque serpeggia. A me
però non accadde osservare che tre casi di sifilide terzia-
ria con periostiti, ecc., e due di secondarie; – moltissi-
me invece erano le blennorree e le blennorragie e diffi-
cilmente domabili.
La pustola maligna vi infierisce invece d’assai, e se non
a tempo limitata col ferro rovente, vi conduce alla morte;
l’osservai quasi sempre alla guancia destra, in vicinanza
alla pinna del naso. Ne attribuirei la frequenza alle molte
mosche e agli altri insetti che ronzano sui corpi morti e
lasciati putrefare sulle strade.
Trovai molto frequente l’elefantiasi e ribelle al mercu-
rio, al iodio, agli acidi vegetali, alle cure locali meccani-
che; quattro volte la notai in pescatori, due in mendican-
ti, una volta sola in una donna agiata, la quale asseriva di
sentirsi assai sollevare quando dalla marina poteva recar-
si nell’interno dei boscosi suoi monti. Tutto ciò mi in-
dusse il sospetto, che l’abuso dei cibi salati e della pesca
abbia una grande parte nell’eziologia di questa singolare
affezione, che pare sia diffusa anche nelle spiaggie sicule,
per esempio, a Messina. Questo mio giudizio forse col-
lima con quell’asserzione che corre nelle bocche di tutti
gli abitatori delle coste calabresi, cui i medici pure fan-
no eco, che cioè l’aria marina non favorisca la guarigio-
ne delle piaghe degli arti inferiori, e che invece assai gio-
vi nelle ferite del capo, le quali per gravi che siano, ven-
gono sempre a bene; mentre quelle degli arti vegetano
inerti e fungose.
I Calabresi, di temperamento bilioso i più, sono assai
soggetti all’emorroidi, all’itterizia, alle epatiti, ai calcoli
biliari e alle ostruzioni viscerali, che finiscono poi cogli
edemi e colle idropi.
Nelle donne, anche della plebe, anche vecchissime,
l’isterismo è frequente e assume le più strane forme, e
pur troppo trattato coi salassi e coi purganti degenera in

Storia d’Italia Einaudi 54


Cesare Lombroso - Genio e follia

amenorree, in stitichezze o diaree ostinate, o in anemie e


clorosi.
Il fico d’India, di cui si fa un immenso consumo e
che gode immeritata lode di aperitivo, vi produce inve-
ce spesso costipazioni ostinate con tenesmo, pneumato-
si e indebolimento dei polsi, le quali passano non di ra-
do in enteriti o ileocechiti ad aspetto tifoideo. In altri
meno frequenti casi specialmente di bambini l’accumu-
lo meccanico dei semi del frutto nel retto provoca mor-
tale proctite, se, a tempo avvertito, il medico non riesce a
vuotarlo.
Il cancro è rarissimo.
Un carattere negativo, ma importantissimo della pato-
logia calabra, è la scarsezza delle tisi e delle pneumonie
genuine. Eppure la scrofola vi imperversa, né vi manca-
no i tempi variabili, i cibi inadattati, la miseria e gli abusi
della vita.
Sarebbe il caso di quell’antagonismo che pretendeva
trovare il Rokitanski tra le febbri periodiche e la tisi? Tra
le malattie a sangue eminentemente fibrinoso, e quelle da
sangue ad eccesso venoso, ipinotico?
Certo è che quegli stessi Calabresi giunti fra noi come
soldati, vanno a preferenza degli altri soggetti a quelle
due infermità forse per la privazione della siesta e dei
preferiti alimenti vegetabili.
9. Ma perché tutto il detto fin qui non riesca ad una
vana cicalata accademica, io mi fo ardito di suggerire
quei mezzi, che, secondo me, più sarebbero adatti a
modificare le condizioni dell’igiene pubblica in quelle
contrade.
Niuno più di me rispetta quel sano e santo principio
di lasciar fare, di lasciare che gli errori inducano ai rime-
dj, i quali suggeriti e risuggellati dall’esperienza tornano
alfine più efficaci e duraturi. Ma pure qui dove una lun-
ga e volpina tirannide riescì a viziare quel nascosto seme
di buon senso pratico, che alligna dovunque, e scemò l’a-

Storia d’Italia Einaudi 55


Cesare Lombroso - Genio e follia

bitudine d’una volontà propria; qui dove tutta l’energia


degli individui e dei comuni è traviata in quistioni di per-
sone o di sagrestie; la cosa è ben diversa. Il lasciar fare è
delitto e pericolo.
Converrebbe, dunque, stringere dei contratti con del-
le compagnie commerciali, o fornire appositi prestiti ai
comuni, onde asciugare le paludi, od almeno ridurle alle
meno malefiche risaje; inalveare i fiumi, ridurre a coltivo
le molte terre non tocche ancora che dalle capre, e dibo-
scare le selve in vicinanza alle vie maestre e agli abitati.
La Calabria ha seni e non porti, per cui la lunghissima
linea delle sue coste è più percorsa da pescatori che
da naviganti; – quindi la civiltà ed il commercio non
hanno uno sbocco, ne una via d’entrata. Si dovrebbe
por mano a fondare un ampio porto per ambo i lati della
Calabria; molti mi indicarono sarebbe facile ed utilissimo
il costruirne uno nell’antico e già frequentatissimo dai
Greci, porto d’Oreste tra Sant’Eufemia e Palme.
I sotto prefetti dovrebbero invitare i grandi proprietarj
dei comuni a migliorare le abitazioni dei loro coloni e
spingerli a stabilirsi fuori della cerchia del villaggio o
delle città, all’aria aperta e salubre delle loro ubertose
campagne.
Severe leggi municipali dovrebbero proibire la circo-
lazione delle capre e dei porci per le vie, distruggere i ca-
ni vaganti senza padrone, e adottare un sistema unifor-
me per le latrine, e incaricare uomini e non quadrupedi,
della pulizia stradale.
Urgentissimo provvedimento parrebbemi quello di in-
vitare i comuni, che abbiano più di 10000 anime e si tro-
vino lontani dai centri maggiori, a fondare un Ospitale
pei poveri infermi, che spesso son costretti a portare per
le pubbliche vie il marchio deforme dei loro mali, o a rin-
tanarsi affamati e morenti nei loro giacigli. Basterebbe vi
spendessero un quarto delle somme che vanno in non ri-
chiesti onori ai loro Santi prediletti; – e così si comincie-

Storia d’Italia Einaudi 56


Cesare Lombroso - Genio e follia

rebbe anche a divezzare, senza troppo irritarla, da quelle


pompe pagane, la mobile fantasia popolare; in ogni mo-
do è indispensabile che vengano tolte alle non pie ma-
ni direttrici le amministrazioni di quei magri ospitali che
ancora vi reggono in piedi; e vengano affidate a persone
oneste, ricche, sicure – possibilmente a medici.
Le molte acque ferruginose e solforose, che già notai
possedere le Calabrie, sono ignorate dalla maggior parte
dei suoi abitanti, e non si esportano mai; cosicché anche
nelle migliori farmacie non t’è dato trovarne. Sarebbe
utilissima cosa, il popolarizzarne l’uso a vantaggio dei
tanti anemici e scrofolosi, che vi brulicano, e cui uccide
il salasso.
Io penso che il molto abuso di questo ultimo mezzo di
cura, tanto più malefico in paesi infestati dalle febbri, e
in temperamenti venosi, finirà col degenerare la nobile e
antica razza dei Calabri; né credo troppo ardito afferma-
re che esso, al paro della polizia borbonica e della società
Lojolesca, contribuì a tenerla tanti anni prona e paziente
all’ignobile giogo; – per ciò non ti sembri ridicola ed esa-
gerata la proposta che si prendano severe misure contro
i barbieri, p. es., una tassa per ogni salasso, – proibizio-
ne assoluta, e sotto comminatorie di multe, di eseguirne
senza il permesso del medico. Io proporrei, perfino, si
tentasse la graduata abolizione di quel fatale mestiere.
Converrebbe estendere colla solita severità precisione
le leggi in vigore sulla visita delle meretrici e sui sifilico-
mi, che già portarono così buon frutto nelle nuove pro-
vincie.
Un’analoga serie di misure converrebbe poi adottare
per le ottalmie granulose. Anzi per la grande estensione
del male, io crederei migliore partito l’organizzare dei di-
spensari ambulanti un mese nell’anno per ogni comune,
ove provvedere ai casi più gravi, apprendere ai cronici
od ai loro genitori i metodi più savj di cura, distribuendo
loro i pochi medicamenti riconosciuti utili, la pietra di-

Storia d’Italia Einaudi 57


Cesare Lombroso - Genio e follia

vina, quella del Desmarres, ecc.; in ogni modo porre in


guardia contro il metodo assurdo degli ammollienti e sul
pericolo del contagio.
Toccai già prima della necessità grandissima, che si
trovino e si adottino mezzi potenti a migliorare l’igiene
mentale di quelle popolazioni. Una implacabile e impar-
ziale giustizia è necessaria per riformare il senso morale,
il senso del giusto in quelle popolazioni, e forse anco il
disarmo; e insieme la distribuzione di premj e di ricom-
pense onorifiche agli atti di virtù cittadina e famigliare.
Ma per l’igiene della mente converrebbe introdurre a
pubbliche spese, diffondere e sostenere i giornaletti di
provincia, meglio ancora se scritti in dialetto; affiggere
nei caffè principali o alle porte del Municipio, i dispac-
ci telegrafici politici, che, se non erro, vengono spediti ai
sotto-prefetti; e sarebbe ottima misura anche per preve-
nire le strane ed assurde novelle fatte circolare dal clero.
Utile mi parrebbe l’introdurre dei teatri nei paesi che ne
manchino – e il favorire, cedendo loro, per es., pubbli-
ci locali; i casini di lettura, le società agrarie, le politiche
anche se avverse per esagerato, ed ignorante liberalismo;
essendo più utile avere alcuni nemici, che tutti indiffe-
renti. – Sarebbe pure assai giovevole, che si celebrasse-
ro, con gran pompa e specialmente con fuochi d’artifi-
cio, le poche nostre feste politiche. Tutto ciò onde scuo-
tere ed alimentare della nuova vita politica, l’inerte cer-
vello del popolo, tutto preoccupato dalle cerimonie di
chiesa o dalle querimonie di campanile.
Dove assolutamente è d’uopo che il Governo riprenda
del tutto l’iniziativa è nel grave argomento dell’istruzione
elementare, che affidata ad un clero avverso ed ignoran-
te da sindaci spesso reazionari, è in peggiore condizio-
ne che non fosse nel 1858, sicché tutta una seconda ge-
nerazione minaccia d’andare perduta per noi. Qui si de-
ve esigere che le scuole non figurino solo nei registri, ma
che esistano, e affidate ai laici, ed in numero proporzio-

Storia d’Italia Einaudi 58


Cesare Lombroso - Genio e follia

nale alla popolazione giovanile del comune, e questa poi


si dovrebbe allettare con premj straordinari, con regali
che dalla minestra di maccheroni e dal fico d’India vada-
no fino alle promesse d’impieghi; l’eterno sogno dei Ca-
labresi che hanno a proverbio: Dammi ufficiu che mi ve-
stu. – L’agglomero della popolazione agricola nelle pic-
cole città avrebbe il vantaggio che l’istruzione elementa-
re serale si potrebbe loro assai più facilmente, che non
da noi, compartire.
Nell’organamento delle scuole s’abbia sempre presen-
te la grande vivacità di sensi, che predomina nel popolo.
Si gettino nozioni storiche e politiche in mezzo ad aned-
doti piccanti, e le più necessarie idee della geografia ita-
liana si accompagnino con figure in rilievo e colorate. Si
allettino insieme e si colpiscano i sensi. E siccome non vi
abbonda né vi eccelle quel principale organo dell’istru-
zione, che è il maestro, converrebbe adottare quel par-
tito, che già fece buona prova in Savoja ed in Sardegna,
delle scuole normali ambulanti, le quali si portassero di
paese in paese a formare od a perfezionare i maestri.
Ma per la esecuzione di queste misure non basta af-
fidarsi alle autorità locali. I sindaci sono o borbonici, o
timidi, o soprafatti dall’opinione pubblica di campanile
che sospetta ed odia quanto viene dal governo. Le auto-
rità di pubblica sicurezza sono spesso conniventi, timide,
o di una singolare pigrizia.
Ogni altra autorità, se non si vende (e molti degli
amministrati lamentano ora di non poter più sedurre)
si lascia intimidire, o ingannare, o sotto alla continua e
nojosa lotta si irrita e poi si stanca.
Non si può d’altra parte esigere che i ministri sieno
dappertutto, come si dice accadere della provvidenza
divina; ma essi potrebbero stimolare e sorvegliare lo zelo
degli impiegati locali con visite improvvise e continue
di ispettori intelligenti, e severi che godessero, in via

Storia d’Italia Einaudi 59


Cesare Lombroso - Genio e follia

straordinaria, tutte le facoltà di un ministro, e che non


fossero avvinti da nessun legame né da alcun timore.
Solo con ciò si potrebbe ovviare ai danni della neces-
saria centralizzazione e immobilità del governo, e ridurre
salubre e fecondo un terreno, entro cui germina nasco-
sto il seme di assai nobili intelletti, e di cuori magnanimi,
antichi.
In un periodo politico com’è questo, in cui tutta l’at-
tenzione e la forza morale del popolo d’Italia si concen-
tra in quelle provincie infestate dal brigantaggio – non
sarebbe egli opportuno che il medico pure alzasse la sua
voce a pro’ dell’igiene morale e più della fisica di quelle
terre? La questione del brigantaggio è per chi sa vederci
dentro, una questione simile a quella degli entozoi uma-
ni, una questione di generazione spontanea – da risolver-
si assai più con una ben condotta cura generale, che non
con violenza e con drastici.
V’hanno molti paesi della Capitanata e del Molise che
scarseggiano singolarmente di acqua. – V’hanno paesi
specialmente in collina, con poche cisterne, od una sol-
tanto – la quale deve provvedere bisogni di più miglia-
ja di laringi; ora occupata od otturata che sia questa fon-
te, i poveri abitanti devono provvedersene a molte mi-
glia di distanza, o morire di sete – e questo caso succes-
se, se non erro, qualche volta nei tempi presenti, e più
nei tempi passati, in cui imperversava ben più fiero e ter-
ribile il brigantaggio. Questa scarsità d’acqua è pure una
delle cause predisponenti della poca nettezza dei coloni
di quelle terre.
Un uso pure biasimevole e singolare, corre, nella se-
poltura e nei funerali dei morti – e che diffuso già pri-
ma anche in Calabria, ora si limita, solo, per quanto io
sappia, al Molise ed alla Terra di Lavoro.
Morto che sia un abitante di quelle terre, specialmente
se ricco, – donne pagate, a ciò, dette tenderedde – si rac-
colgono nella sua casa a farne gli elogi, a benedirlo ed a

Storia d’Italia Einaudi 60


Cesare Lombroso - Genio e follia

piangerlo con fortissime strida – indi lo trasportano sco-


perto e vestito pomposamente, e se nubile, tutto festona-
to di lacciuoli colorati alla chiesa ove rinnovano le ceri-
monie ed i baci. Fin qui non v’è che antica e fragrante
poesia. Ma in molti di questi paeselli il cimitero non esi-
ste propriamente. V’hanno, ad uso etrusco, delle grandi
caverne, o camere sotto terra, murate a volta, in cui i bec-
chini scaraventano, datogli un ultimo bacio d’addio, il
cadavere come si farebbe di una secchia d’acqua. Quan-
do la camera, rimpinza dell’infelice carico, non cape altri
ospiti, allora separati i corpi da poco tempo morti, dagli
avanzi dei vecchi, raccolgono questi ultimi in orribili ca-
taste, cui danno il fuoco, conservando solo in lunghe fi-
liere quei teschi e quelle ossa, che il tempo benignamen-
te inaridisce. Questa operazione dura parecchie settima-
ne; nel qual periodo di tempo da quel funebre luogo si
esala tanta copia di fumo e di puzzo che infetta l’aria del
villaggio vicino e perfino i casolari più distanti. Nel 1862
nell’aprile a Rocca Mandolfi, alcuni giorni dopo, che si
era dato principio a questa misura, così poco igienica, si
sviluppò un tifo petecchiale, che in breve tempo produs-
se terribili stragi; – siccome nessun altro dei paesi circon-
vicini venne tocco del morbo né prima né poi – così è as-
sai probabile, se non certo, che lo sviluppo della malattia
lì circoscritta, si dovesse a quella barbara usanza.
Peggio è poi se per uno strano privilegio concedono
di seppellire nel sacrato della chiesa o sotto la chiesa
stessa – i morti che in vita ebbero vanto di prepotenza,
di ricchezza o di virtù.
Sepino, l’antica capitale del Sannio, ha il triste privile-
gio, di fornire essa sola, a tutte quelle provincie, i becchi-
ni, i quali sono spesati con larghissimi salari, tanto peri-
colosa è creduta la loro opera.
Una grande riforma dovrebbe introdursi nelle carceri
delle provincie, quasi tutte amministrate con norme as-
sai poco ben intese. Situate in luoghi umidi, e bassi, pri-

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Cesare Lombroso - Genio e follia

ve sempre di ventilatoj, di latrine, o di tavolati, con in-


sufficienti alimenti, sono zeppe più che le stive dei ne-
grieri, di abitatori tanto più esposti ai mali, che erano av-
vezzi alla libera e forte atmosfera dei boschi e dei mon-
ti; vi si sviluppava, non poche volte, in questi due anni,
il tifo petecchiale e castrense. I prefetti male consigliati
dalle commissioni sanitarie, invece di migliorarne le con-
dizioni igieniche, facevano vuotare le prigioni infette per
riempirne altre vicine, non peranco mal famate, ma al pa-
ro malsane, e così propagavano il male invece d’isolarlo,
a rischio pure di infettare i paesi, e ad ogni modo, au-
mentando d’assai la mortalità dei carcerati. Una disposi-
zione architettonica di quelle carceri è altamente danno-
sa e alle discipline e alla morale di que’ luoghi e che ne
spiega le frequenti evasioni dovrebbe subito essere rime-
diata.
Voglio dire che molte di quelle carceri sono terrene e
s’aprono sulla via con delle ferriate, – le quali permetto-
no la comunicazione al di fuori – per quanto severe ed at-
tente pur vigilino le sentinelle. Non è raro vedervi i pri-
gionieri invitare i passeggianti a colloquio, intrattener-
li con lazzi indecenti, chiedere e spesso esigere la carità
pubblica come se fossero innocenti o pacifici abitatori di
un pio ospizio.
Ognuno comprenderà quanto poco da simili esempj
resti vantaggiata l’igiene morale.
Un’altra pratica assai contraria all’igiene è quella dei
matrimonj precoci con ragazze di 9 e 10 anni – pratica
provocata in parte dal clima, ma più da mali intesi inte-
ressi di famiglia, – e che sfrutta l’albero alla radice dando
luogo ad una atrofica prole.
Una fonte gravissima di mortalità è poi nell’emigra-
zione, o, a meglio dire, vagabondaggio dei valliggiani. –
Molti dei Calabresi e degli Albanesi, moltissimi Abruz-
zesi (circa 20 000) e molti Pugliesi (40 000) emigrano,
o meglio girovagano nelle vicine provincie, come ferraj,

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suonatori, pastori o manuali e braccianti – e mal vesti-


ti, spesso mal pagati, in climi meno benigni, pochi ritor-
nano sani e vivi alle loro vallate, e sono facile preda delle
pneumoniti, delle tisi e delle epidemie tifose e morbillose
che fra loro singolarmente infieriscono.
Pur troppo il mondo invecchia, ma non rinsavisce;
gli errori vecchi del dotto passano a scienza nuova del
volgo. Gli è così che la panacea cavolesca di Catone era
restata ai poveri schiavi in Roma do o la diffusione dei
medici greci. – Gli è così che quella famosa teoria Araba
dell’influenza dell’aria, del caldo e del frigido, sui mali e
sui rimedj, abbandonata da molti anni, per non meno
assurde teorie, è creduta e sostenuta da tutto il volgo
d’Europa dell’India e della China.
Ed ora che si corre dietro alle scoperte di Köliker e
Wirchow, ed alla severa critica terapeutica di Skoda e
di Vunderlich, ora aspettando, che le cellule e le polveri
del Dower sieno messe fra le carte antiche, il nostro
buon popolo ha adottato per suo conto, e con maggiore
fanatismo, tutto il vecchio ciarpame delle viete teorie, e
dei relativi rimedi sovrani – i cataplasmi – i purganti –
i salassi e le mignatte – con quanto vantaggio, Dio e la
statistica vera, lo sanno!
Dei salassi non parlo. – I flebotomi di professione,
non ci sono più che nell’Italia Meridionale; e, spero, pre-
sto, anche là cesseranno. Bene è vero, che anche in Lom-
bardia il contadino palleggia molto bene quel sacramen-
tale termine di infiammazione – e reclama a viva forza il
salasso dal medico. Ma questi sa resistere, forte dei suoi
studj e della sua coscienza, e così impedisce, che agli altri
danni s’aggiunga quello tristissimo della lancetta, a gua-
stare la nostra povera razza. Il medico si direbbe che
espii in queste lotte, spesso eroe, vittima spesso, il colpe-
vole fanatismo degli avi.
Ma così non va la cosa pei purganti. – Una mezz’on-
cia di sale inglese, o di olio di ricino – è rimedio innocuo

Storia d’Italia Einaudi 63


Cesare Lombroso - Genio e follia

che qualunque buona massaja sa prescrivere e a tempo!!!


Purgare – sbarrazzare le prime vie – sono parolone e ima-
gini così chiare; le si adattano sì bene al cervello più gros-
solano, che molte menti del volgo, anche medico, ne re-
stano facilmente sedotte e preoccupate. – Non si pensa,
che dall’intestino alla strada rotabile, od alla fogna, corre
gran tratto – che la natura dei mali è cosa meno palpabi-
le, che non sieno le feci, non si pensa, che se effetto si ot-
tiene da quei beveraggi non gli è che indiretto per contro
irritazione, per derivazione, ed anche quì c’è molto del
metaforico e dell’ipotetico. – Ma intanto ad ogni picco-
lo male si regala una purga, si intacca la sottile e delica-
ta tonaca mucosa degli intestini, si fanno irritazioni vere
e pur troppo croniche, stringimenti intestinali, dispepsie
incurabili, stitichezze ostinate, anemie, ernie, prolassi del
retto, ecc. – A tutto questo non si pensa, perché l’effet-
to non si vede che tardi, mentre invece quella beata sca-
rica si vede subito e se ne sognano miracoli che finisco-
no a pericoli. – Non sarebbe egli, dunque, da proibire lo
spaccio di questi lenti veleni, se non sieno espressamente
richiesti da medica ricetta?
E delle mignatte non si fa egli un inutile, un tristissimo
scempio ed abuso? – Non è egli, in grande parte, ideale
il vantaggio che ci ripromettiamo dalle morsicature di
quegli anellidi, e certo completamente sostituibile dalle
coppette scarificate.
Il volgo dei non medici, crede che attraggano il sangue
cattivo e quindi l’applicano all’epigastrio, alle tempia, al-
l’ano, ecc., ma sapessero pure quelle povere bestioline di
patologia chimica e microscopica, non so come le riesci-
rebbero a sceverare, lì, i globuli malati dai sani!!! Ben
è vero che io le vidi propagatrici di infezioni sifilitiche,
di flemmoni gravi, dolorosissimi, specialmente alle tem-
pie nei meningitici e ai malleoli negli artritici; ma quando
mai, il volgo tien conto di queste miserie se può soddisfa-
re il suo ideale di un essere che si occupi a cavargli fuo-

Storia d’Italia Einaudi 64


Cesare Lombroso - Genio e follia

ri con tutta grazia, il male, materializzato, lì, in un punto


del suo corpo; come il N. Zelandese e l’Indiano dal sof-
fio, dalle formole, dai maneggi del suo stregone medico
attende, che il male gli venga esportato ed ispento – sotto
forma d’una mosca e d’un tafano.
Non sarebbe egli, dunque tempo, se non di impedirne
lo spaccio, certo di premunire contro l’abuso, che non
sia autorizzato da medici?
Lo stesso dicasi dei pappini di linseme, di malva, di
patate, ecc., questo genere di specifico chirurgico, di cui
tanto abusa il nostro povero popolo e con tanto danno.
Il cataplasma non ha la virtù attrattiva ed antiflogisti-
ca, se non nella mente romanzesca del volgo; egli non
agisce che rammollendo e macerando l’epidermide o ri-
scaldando per la sua temperatura, od affogando col suo
volume, le parti già irritate, con cui è a contatto; evapo-
rato l’umor acqueo, e seccato, agisce poi irritando, come
qualunque corpo ruvido; nelle piaghe è sopratutto dan-
noso, perché l’ammalato vi s’avvezza, così che provatolo
una volta non può sopportarne la rimozione, e perché ne
promuove la vegetazione, la fungosità, e le mantiene in
continuo insudiciamento. Nelle ferite di palla poi, nel-
le fratture, quei cuscini umidi, vegetanti, molli, rendono
impossibile od inutile un apparecchio; dappertutto, co-
me sollievo illusorio, che sono, cullano la naturale iner-
zia degli uomini, e quindi dei medici, che prescritto il
cataplasmo, credono aver fatto qualcosa, e invece fecero
nulla, o male; mentre con più adatto e speciale rimedio,
come ghiaccio, jodio, sublimato, ecc., avrebbero potuto
portare vantaggio reale.
Non sarebbe egli dunque necessario, limitarne, e proi-
birne la vendita a chi non ne abbia prescrizione apposita
– e persuadere il popolo a spendere meglio quei preziosi
suoi risparmi di cui pur troppo fa un inutile spreco?
Meglio sarebbe che invece direttamente si provvedes-
se con igieniche misure all’abuso dello zea-maiz e alla

Storia d’Italia Einaudi 65


Cesare Lombroso - Genio e follia

mancanza degli alcoolici che minacciano di guastare nel-


la lor prole e nella lor vita istessa i nostri poveri coloni.
Io odio le teorie dei comunisti a stomaco pieno – ed a fe-
gato ipertrofico – io venero la libertà di commercio, ma
non posso a meno di gemere notando che se la bisogna
alimentare del nostro popolo di Lombardia continua di
questo passo, noi tra cretini e pellagrosi ci troveremo de-
generata la razza peggio che nol sieno gli Otomachi e i
Boschimani. Noi abbiamo un 3000 cretini e un 40 000
pellagrosi in Lombardia. Queste cifre parlano. – Io pro-
porrei che si obbligasse, con leggi comunali, ad una se-
conda cottura e ad una mescolanza con farina di casta-
gne, di segala o anche crusca, la panificazione così bar-
bara e anti-igienica del maiz – che si popolarizzasse mag-
giormente l’uso di cibi animali di poco prezzo, per es.
di porco, di porcelli d’India, di cavallo; che si tenesse in
serbo il sangue che si getta nei macelli, e che sarebbe uti-
lissimo, e il latte che relativamente nutre assai più e co-
stando meno, forse il quinto del maiz, è singolarmente
appetito dai pellagrosi.
Si dovrebbe veder modo di distribuire, a minor prez-
zo, gli alcoolici ora tanto rincarati fra noi, o almeno so-
stituirli con una di quelle tante sostanze, che presso al-
tre nazioni ne fanno le veci, come l’oppio, la chica, la co-
ca, lo non intenderei, che queste misure si prendessero a
tamburo battente, e facendo giuocare quei famosi, e vo-
ti paroloni di quegli egoisti retrogradi di Francia, che as-
sunsero l’eredità degli Adamiti e dei Picardisti – sotto il
titolo di comunismo. – No; bisogna mostrare, ed è faci-
le, perché è vero, ai padroni ed ai fattori delle campagne,
come il soprapiù in salario od in cibo che eglino conce-
dano al contadino lor viene ad essere compensato in au-
mento di lavoro – in risparmio di medicine, di gite e di
dimore all’Ospitale. Al postutto il sangue delle macelle-
rie, il latte vaccino viene a costare meno, e nutrendo di
più, si può vendere a maggior prezzo, e quindi così com-

Storia d’Italia Einaudi 66


Cesare Lombroso - Genio e follia

pensare l’inesorabile cupidigia dei distributori padroni e


fattorie con vantaggio delle vittime. – E la beneficenza,
poi, si risolve in ben inteso interesse.
Un esempio, praticato da qualche filantropo, o provo-
cato segretamente dal governo finirebbe per convincere
cui non bastassero le tante chiare ragioni.
I Municipj, i Comuni, e specialmente i possessori di
grandi fattorie dovrebbero prendere l’iniziativa di que-
ste misure, precisamente come praticasi in Inghilterra!
Altrimenti non si parli di progresso, di civiltà, se non per
ironia. – Non è un epigramma, è una verità fisiologica;
che perché un uomo pensi, e quindi s’istruisca – convie-
ne si nutra bene. – La prima base di una buona istruzio-
ne, dev’essere un buon alimento.

3
Una statistica uniforme

I. – Perché ci manca una statistica Oh! la è pure sciagu-


rata la condizione del medico onesto in Italia. – Abusati
dal volgo, incompresi dal potente non godiamo nemme-
no pei molti sacrifizi, del tepido conforto della gratitudi-
ne. Avessimo almeno quello della sicurezza della nostra
scienza! E non l’abbiamo; ed impastojati in un linguag-
gio sempre più oscuro, in sistemi contraddittorii, discor-
di perché infelici, convergiamo contro noi stessi le fitte
crudeli che ci scaglia addosso la baldanzosa ignoranza.
Colpa nostra di certo, che dovendo essere, per troppe
cause, i più tolleranti, il siamo il meno, ma colpa ell’è pu-
ranco di quei tanti che non giunsero a comprendere co-
me l’efficacia maggiore del medico che è la preventiva, si
sfrutta ignobilmente, quando non gli si lasci libera mano
al tempo opportuno. Nelle famiglie invece bene spesso
e nella nazione quasi sempre il medico viene consultato
sol quando ormai non è uopo dell’opera sua né del suo

Storia d’Italia Einaudi 67


Cesare Lombroso - Genio e follia

consiglio, quando il male è irreparabile. E a lui non resta


che a dividerne il carico, il dolore, e peggio gli ingiusti
rimproveri.
Questa è la principalissima causa per cui si riscontrò in
molte delle nostre regioni la mortalità così grave come in
pochissime delle nazioni europee17 ; questa è la causa per
cui l’igiene in alcune provincie arieggia molto a quella
delle finitime coste barbaresche.
E questa è pure la causa per cui noi non abbiamo una
buona statistica medica18 , non che generale, parziale. A
che avrebbe dovuto affaticarsi il medico, quando nessu-
no già gli avrebbe dato ascolto. Appena è se allo zelo iso-
lato e modesto di alcuni generosi fu dato raccorre qual-
che parziale monografia, frammento spezzato del grande
edificio.
III. – Distinzione in zone – zone del maiz – del lathirus
– zone cosmotelluriche (delle vallate – miasmatica), zona
delle città Tante e sì diligenti ricerche nostre e straniere
non bastanci, tuttavia, non che a segnare una carta noso-
grafica d’Italia, nemmeno a tracciarne le prime linee.
E ciò non tanto perché le cifre difettino; comeché lo
statista che s’accontenta alla sola mostra simmetrica di al-
cune cifre schierate in colonna farebbe come il pseudo-
filologo che per l’amore dell’astruso ribobolo tradisca il
pensiero; ma gli è che spesso le espressioni annesse a
quelle cifre mancano di un significato uniforme, passan-
do da una all’altra di quelle provincie e pochi anni sono
erano anche in iscienza separate come nazioni. E volere
comporre in un fascio quelle cifre sarebbe un ingannare
gli altri e sé stessi.
Tuttavia da questo bujo caos di materiali che attendo-
no per divenir cosa viva una mano plasmatrice, noi pos-
siamo, alla meglio, intravvedere alcuni fatti, che se saran-
no di poca levatura per lo statista aritmetico, nol saranno
per l’igienista.

Storia d’Italia Einaudi 68


Cesare Lombroso - Genio e follia

Noi vediamo, per esempio, assai nettamente risaltare


da quei materiali la divisione d’Italia in due grandi zone;
la settentrionale che comprende il Piemonte, una parte
di Liguria, il Lombardo, il Veneto, l’Emilia e Romagna
e una parte della Toscana, e si distingue per malattie
speciali, come la corea elettrica, il gozzo, il cretinesimo,
la pellagra. Queste due ultime infermità, anzi, nella
Toscana disegnano appena leggerissime traccie.
La parte meridionale, o meglio la seconda zona, com-
prende le isole tutte e parte della Toscana, per esempio,
Grosseto, il territorio di Roma e tutto l’ex-regno di Na-
poli, e si distingue per la mancanza del gozzo, cretinesi-
mo e delle migliari, e pel predominio delle febbri inter-
mittenti, perniciose e tifoidee.
Si potrebbe designare intorno alle due zone una sot-
tilissima linea costituita dalle marine Ligure, di Comac-
chio, di Scilla, di Trapani, distinte per l’abbondare della
scrofola, delle malattie cutanee e della lebbra dei Greci.
Ma meglio ancora, forse, ci gioverà il distinguere le
speciali zone morbose che si organano nelle varie nostre
regioni sotto l’influenza di alcune cause costanti.
Tali sarebbero le zone alimentari, come io le direi
le zone che comprendono le molteplici malattie che si
ingenerano dall’abuso di speciali alimenti, come dello
zea maiz, del cactus opuntia e del latyrus sativus.
Tali sarebbero le zone cosmotelluriche divise in zone
delle vallate, zone vulcaniche, zone alpine e zone mia-
smatiche.
Ma una zona importantissima, e che nettamente ci si
disegna dinanzi, è quella delle città.
Nelle grandi nostre città le ragioni di clima, di razza
e di alimenti ci sono dal contatto degli stranieri, dal
tumulto delle passioni, dalle artifiziate abitudini – così
fuse e confuse da dare luogo a dei veri gruppi patologici
speciali.

Storia d’Italia Einaudi 69


Cesare Lombroso - Genio e follia

E qui noi dobbiamo soltanto lasciar parlare le cifre, le


quali per l’Italia settentrionale non ci difettano e noi da-
remo nei seguenti prospettini un sunto dei diligenti lavo-
ri redatti per la statistica medica di Torino dal Rizzetti,
per quella di Genova dal Du Jardin, per quella di Pavia
dal Pignacca, per quella di Milano dal Verga, per quel-
la di Brescia dal Menis, per quella di Mantova dal Sore-
sina, per quella di Verona dal prof. Castelli, per quella
di Padova dall’Argenti, per quella di Venezia dal Berti e
Namias, per quella di Treviso dal Liberali, per quella di
Napoli dal De Renzi, per quella di Sassari dal Manca.
V. – Proposta per la redazione d’una statistica uniforme
Chi avrà percorsi questi sunti delle statistiche mediche
delle nostre città, avrà subito compreso, come veramente
le città costituiscano delle zone speciali, in cui le malattie
e la mortalità prendono le tinte più fosche per l’accumulo
dei vecchi e malati che vengono a morirvi nei suoi Pii
Istituti, e per i figli del vizio e del delitto che vi finiscono
nelle carceri o nelle case, e nei brefotrofi spontaneamente
od immaturamente la misera vita.
Ma già in alcuni di questi prospetti la distinzione dei
morti urbani e suburbani avrà mostrato il prevalere in
questi ultimi di speciali malattie come la pellagra e la
febbre intermittente, per esempio in Padova, Genova e
Treviso.
Se non che quello che più di tutto deve aver colpito
l’attenzione del lettore nel percorrere questi quadretti
è la poca o meglio la nessuna armonia fra di loro, la
disparatezza nei titoli e nei gruppi patologici, e nelle
distinzioni loro, per cui sarebbe non difficile solo, ma
impossibile il cavarne conclusioni comparative sincere.
È necessario, adunque, che non una città soltanto, ma
tutte pubblichino le loro statistiche mediche, anzi non
solo le città, ma anche i comuni rurali.
È necessario che tutte adottino un sistema semplice,
uniforme di classazioni.

Storia d’Italia Einaudi 70


Cesare Lombroso - Genio e follia

E perciò parmi sopratutto utile che si elidano certi


termini imprecisi che non corrispondono ad una entità
patologica, come tabe, consunzione, inanizione, dolore,
ecc., sostituendovi altre parole che corrispondano a le-
sioni anatomo-patologiche, come ulcera intestinale, ecc.
È necessario ommettere certe malattie che la scienza
ci insegna ormai essere rarissime fra noi, come epatite,
cardite, ecc.
È d’uopo elidere le malattie dei bimbi, neonati o do-
dicimestri, le cui diagnosi non riescono pressoche mai
precise, e di cui la principalissima causa è l’entrata stessa
nel brefotrofio sì malamente detto pio. Volendo calcola-
re le malattie dei bambini, converrebbe almeno sempre
aggiungere l’epiteto infantile alla intitolazione del morbo
per poterle calcolare a parte.
Finalmente per aver un ufficio coscienzioso ordinato
ed uniforme di statistica medica converrebbe e’ fosse af-
fidato gerarchicamente, come lo è quello del vaccino, a
medici necroscopi di prefettura, di circondario e di co-
mune, gli uni dipendenti dagli altri, e tutti facienti ca-
po al medico della città capitale e questo alla giunta sta-
tistica. – In calce ai rapporti statistici medici mensili ed
annuali redatti su un solo modello (come sarebbe quel-
lo che segue) il medico necroscopo-statista dovrebbe ag-
giungere le cause generali influenti sul numero dei mor-
ti, e proporre i rimedj più adatti e più semplici per dimi-
nuirli; senza di che tutte queste cifre non riescirebbero
che ad un trastullo, aritmetico o burocratico.
Le proposte di questi medici mano a mano che venis-
sero trasmesse nei centri comunali, municipali, provin-
ciali dovrebbero esservi discusse ed attivate.
Ogni anno la giunta di statistica, raccogliendo dal me-
dico centrale i sunti e le proposte statistico-igieniche le
pubblicherebbe tenendo nota dei provvedimenti adotta-
ti o da adottarsi.

Storia d’Italia Einaudi 71


Cesare Lombroso - Genio e follia

Tutto ciò porterà qualche piccolo dispendio. Ma a


questo parecchi municipj già da gran tempo sottostaro-
no come Torino e le città lombarde, ed or ora Genova,
che hanno i medici comunali, i medici ispettori, necro-
scopici, ecc.
Il dispendio riescirebbe ad ogni modo lievissimo
quando si riescisse ad addossare ed ingranare questa ge-
rarchia necroscopico-statistica a quella già esistente pel
vaccino o per la sifilide.
Ad ogni modo una spesa che permette di stabilire
solidamente la cura preventiva a favore di uomini validi e
utili al paese, servirebbe a decremento di quella ben più
grande che si sperpera bugiardamente nelle così dette
opere pie, in cui non si fa quasi sempre che ospitare degli
eterni ed impotenti recidivi, i quali, ove fosse stato in uso
una cura preventiva, per esempio, ove si praticasse pel
cretinesimo, pel miasma palustre quanto si fa pel vajolo
ed ora coi bagni marini per la scrofola, non vi sarebbero
entrati giammai.

2
«... quella triste piaga e vergogna nostra della pellagra»

1
Eziologia, sintomi, profilassi

Ma mi conforta e m’accieca l’amore grande di questa


scienza medico-psicologica, a cui, se fortuna mi arrida,
tutta desidero consacrare la vita.
E qui io vorrei presentarvene dinanzi e spiegarvene i
non lievi pregi e l’alta importanza.
Non dirò come sia utile, anzi necessaria cosa, che ogni
specialità clinica, sia in questo Ateneo rappresentata e
preferita alle vaste, ma vane teorie; né come fra tutte

Storia d’Italia Einaudi 72


Cesare Lombroso - Genio e follia

le umane infermità, questa delle alienazioni per il suo


decorso, a prima apparenza, così dalle altre differente,
per la difficoltà della diagnosi, a cui vengono meno i
fisici mezzi d’analisi, e per la molta oscurità ed incertezza
nei metodi curativi – esiga ancor di più studi attenti e
speciali.
Ma noi qui in Lombardia abbiamo un’altra ragione.
Negli umili casolari delle nostre vallate, nei popolosi vil-
laggi delle nostre verdi pianure, serpeggiano, non abba-
stanza studiati ne combattuti, due tristi flagelli; la pella-
gra, vo’ dire, ed il cretinismo.
Non sono meno di 38 777 i pellagrosi e di 2000 i cre-
tini che la statistica ci rivelava nelle terre lombarde – ma
molti più sfuggirono ai non sempre solerti indagatori, e
molti furono colpiti da alcune altre crudeli infermità, che
sono con quelle due prime in diretta ed affine sequela,
come rachitide, l’osteomalacia, il gozzo, la corea, l’epi-
lessia, il tifo, il marasmo e la paralisi, ecc.
Tutti questi infelici non figurano ne’ nostri stabilimen-
ti, che per una picciola quota – i più s’accasciano mise-
ramente negli abituri delle nostre campagne, preda agli
schemi od alla fame, atti a null’altro che a propagarvi ed
eternarvi il lurido seme dei loro mali, guastando alla radi-
ce la prole robusta dei nostri coloni. Ora io confido che
studiate che siensi a fondo, e nell’eziologia, e nella lor
natura, e nelle lor conseguenze, coteste piaghe, non so-
lo riuscirebbesi a moderarne nei colpiti la bruttezza e la
ferocia, ma, con bene adatte igieniche misure, si giunge-
rebbe ad impedirne, nella nuova generazione, la propa-
gine e lo sviluppo, e quindi a farle pressoché sparire dal-
la nostra terra, come grazie all’igiene ben intesa cessava-
no le coree epidemiche e la lebra, triste retaggio dell’evo
antico e del medio.

Storia d’Italia Einaudi 73


Cesare Lombroso - Genio e follia

Diffusione della pellagra in Italia

Passeggiando sulle colline della Brianza e del Canavese,


vi sarà certo avvenuto incontrarvi in certi infelici simu-
lacri di uomini macilenti, dall’occhio immobile e vitreo,
dalle guancie gialle allibite, dalle braccia screpolate e pia-
gate quasi da scottatura o per larga ferita. Ecco voi li ve-
dete farvisi innanzi, crollando la testa e barcollando le
gambe come ubbriachi, o quasi spinti da una invisibile
forza, cadere da un lato, rialzarsi, correr in linea retta,
come il cane alla preda, e ricader ancora, dando in un ri-
so sgangherato che vi fende il cuore, od in un pianto che
vi par di bambino; pochi giorni dopo quel doloroso in-
contro sentite buccinare dagli oziosi del caffè rusticano,
fra le notizie di una campana che si rimette a novo, e di
una contadina che va a marito, come quel poveretto siasi
affogato entro una magra pozza d’acqua che non pareva
sufficiente ad annegare un pulcino; può essere invece, e
sarebbe ancor peggio, che vi sussurrino come egli abbia
freddato, senza alcuna ragione, i figli e la moglie...; senza
ragione, ho sbagliato, la causa ve la trovano subito, ben-
ché non vi comprendiate granché sulle prime. – Era un
pellagroso! E ve lo dicono colla massima indifferenza,
come se si trattasse, che so io, di un’infreddatura; – tan-
to poco anche fra noi, l’una casta si commuove alla sor-
te dell’altra e tanto facilmente il nostro cuore s’indurisce
alle vecchie sventure.
Eppure quel male è dei meno sopportabili, è dei più
atroci; che, non s’accontenta di guastare le viscere più
delicate dell’uomo, di offendere la pelle e l’intestino, il
cervello ed i muscoli, di spegnere, colla forza, la bellezza
e l’intelligenza; va oltre ancora, va fino a falciare, nel
germe, la prole.
Né si creda, come dai troppo felici abitatori delle città
nostre può sospettarsi, che si tratti di un fenomeno raro,
di uno spèttacolo doloroso, ma circoscritto a poche pla-

Storia d’Italia Einaudi 74


Cesare Lombroso - Genio e follia

ghe remote; – esso è tanto diffuso, che pure sommando


insieme i cittadini ed i ricchi borghigiani, che ne vanno
scevri, coi poveri agricoltori, che soli ne sono decimati,
se ne contavano, pochi anni sono (nel 1856),1 ogni 107
abitanti a Bergamo, 1 ogni 154 a Milano, 1 ogni 41 a Bre-
scia, 1 ogni 24 a Cremona, e d’allora in poi, fatta eccezio-
ne degli ultimi anni il male si vi estendeva sempre più,
diffondendo nella Valtellina, nell’Umbria, negli Abruzzi,
nel territorio stesso che attornia la nostra capitale. Era-
no nel 1839, infatti, 20282 pellagrosi di Lombardia; ora,
nel 1856 salivano a 38777; e nel 1869 a 40838. Il Veneto
da 20000 che ne dava nel 1853 e 1856, ne contava 29830
nel 1879.

La pellagra e l’alimentazione maidica

Tutte queste cifre, che controllano e completano quelle


raccolte nell’Inchiesta Ufficiale per opera del Miraglia,
messe a confronto colla carta della coltivazione del maiz
in Italia, pubblicata pure per cura del Ministero di Agri-
coltura, basterebbero di per se a dimostrare, oltre al suo
incremento, quello che già la storia della pellagra e la sua
patologia geografica19 così mirabilmente messa in luce da
Roussel nel suo grande Trattato sulla pellagra aveano ab-
bondantemente già fatto sospettare: essere la diffusione
sua in istretto rapporto e dipendenza col maggior uso del
maiz, specie sotto forma di pani o quando alterato, per-
ché le due quote vanno esattamente parallele20 .
Se si volessero avere novi dati in proposito a quelli ag-
giunti già, confrontasi la tavola grafica della pellagra in
Italia con quella sulla rendita del macinato del 2° pal-
mento 1877, quasi tutto (salvo l’Italia insulare e meridio-
nale) costituito dal maiz21 .
Si vede da questo che, tranne gli Abruzzi dove è
cominciato già l’uso del maiz, e pochissima è la pellagra,
e tranne Firenze, Arezzo e Siena, ove il consumo del

Storia d’Italia Einaudi 75


Cesare Lombroso - Genio e follia

maiz è scarsissimo, tutte le altre provincie in cui grande


è il numero dei pellagrosi, sono appunto quelle in cui
era forte il consumo del 2° palmento; completa è la
corrispondenza in Padova, Brescia, Cremona, Rovigo,
Ferrara, Novara, Lucca, Venezia, Bergamo e in tutta
l’Italia insulare.
Se non che nessun vero scienziato dubita più che un
rapporto tra maiz e pellagra vi sia; e perciò non vogliamo
insistervi.
Scarsezza d’azoto, ecc. Ma basandosi appunto su questi
dati, si crede da non pochi che la pellagra derivi dalla
scarsezza appunto di azoto in quel cereale, scarsezza
tanto più perniciosa per chi come il contadino (in cui
da tutti si ammette la maggior frequenza della pellagra)
è soggetto a maggiori sforzi muscolari.
Questa ipotesi si vuole giustificata dalla minore inten-
sità del male in coloro che più si alimentano di carne, i
cittadini ed i ricchi, e dalla preferenza non ancora scom-
parsa fra i fisiologi per le sostanze azotate in confronto
alle carboniose, che fa credere la loro scarsezza pericolo-
sa per l’umana salute. Io ho già dimostrato altre volte (
La pellagra e la pretesa insufficienza alimentare in Italia,
1880) come quasi tutti i proletari e tutti i contadini d’Eu-
ropa vivano di vegetali e senza danno, e così le plebi di
molti popoli assai laboriosi, come i Chinesi e i Giavanesi.
Si è parlato dell’uso esclusivo di un alimento come
causa della malattia; ma oltre che questa assoluta esclu-
sione in popoli che vivono in mezzo a frutteti, a lattici-
ni è un erroneo effetto o della mancanza di osservazio-
ne odi logica nella deduzione delle osservazioni stesse; io
l’ho mostrato erroneo in una serie d’inchieste sul conta-
do stesso nei punti più colpiti (C. Lombroso, Sulle con-
dizioni economico-igieniche dei contadini dell’alta e me-
dia Italia, Milano, Bernardoni, 1877, e meglio il Bodio in
quel suo bello studio Sui contratti agrari e sulle condizioni
materiali di vita dei contadini d’Italia, (1879).

Storia d’Italia Einaudi 76


Cesare Lombroso - Genio e follia

Che se oltre che della bontà chimica si voglia tener


conto della fisiologica, dell’assimilabilità, il maiz conti-
nua ad eccellere.
Né, del resto, è punto provato che un alimento che
contiene, come il maiz, in notevole quantità, non solo so-
stanze carboniose ma azotate e saline debba riesci re dan-
noso, anche se dato, per molto tempo esclusivamente.
Le esperienze agronomiche hanno dimostrato che ani-
mali nutriti di solo maiz ingrassarono e crebbero di pe-
so.
Insistiamo su questo, perché preoccupandosi di que-
ste influenze non vere si prendono delle false vie, le quali
impediscono di raggiungere lo scopo. È evidente, infat-
ti, che cogli scarsi mezzi di cui ponno disporre i governi
se si annette la stessa importanza profilattica a diffonde-
re l’uso di carne, fosse pure di coniglio, che ad impedire
l’ammuffimento del maiz si troveranno minori fondi di-
sponibili quando vogliasi provvedere di forni, di essica-
toi e di magazzini meccanici i paesi colpiti.
Solo, del resto, chimici male addottrinati possono so-
stenere una scarsezza eccessiva degli elementi più utili al-
la nutrizione quali gli idrocarburi e gli azotati nel maiz in
confronto ad altri cereali, mentre anzi è il contrario che
dovrebbe credersi solo che si esaminino le analisi date da
Konig, da Letheby, da Gühring.22
Una volta dimostrato che il maiz è un alimento tutt’al-
tro che insufficiente per sé23 , e che d’altronde le sostanze
azotate vi sono più digeribili che negli altri cereali, non
resta altra ipotesi se non che il maiz sia dannoso, perché
troppo facile a guastarsi. E questo emerge da tale serie di
documenti da parere fino superfluo il diffondervisi, spe-
cialmente nei paesi in cui la malattia è in istato nascente
od in recrudimento, o che sono contornati da paesi im-
muni ciò che rende più spiccato il confronto e più facile
l’induzione.

Storia d’Italia Einaudi 77


Cesare Lombroso - Genio e follia

Così in Udine dove una relazione attestava niun rap-


porto correre fra la pellagra ed il maiz guasto, succede
nel 1883 un’enorme recrudescenza della malattia; il nuo-
vo relatore, che se ne occupa sul sito, lo Zilli, trova che
l’innondazione del 1882 costrinse i contadini a mangiare
maiz putrefatto.
Così in Sissa, paese dove una Commissione officiale
dichiarava non usarsi maiz, malgrado infierisse la pella-
gra, io ho rinvenuto non usarsi che la meliga così det-
ta americana, mista cioè di quarantina nostrale e di este-
ra guasta dal mare, che si vendeva L. 5 lo staio invece di
L. 9 che costava la buona, venuta per cabotaggio; più il
paese, essendo esposto alle continue inondazioni del Po,
ha le poche sue raccolte di maiz quasi sempre guaste dal-
le inondazioni o dall’umidità che domina il paese (e che
predispone colla malaria e la scrofola all’altra infezione),
a cui si aggiunge l’uso di raccoglierlo immaturo; ed un ta-
le ivi mi dicea24 che invece di indagare chi ne abbia man-
giato di guasto si farebbe meglio a cercarvi chi non ne usi
o non ne abbia usato.
Il maggior numero dei pazzi pellagrosi osservato da
Ariani25 nell’Umbria dal 1854 al 1879 fu dato da Peru-
gia, 278, mentre eran pochi a Foligno, 11, a Orvieto, 9, 4
a Spoleto, 4 a Terni, nessuno a Rieti. Adriani trova una
delle cause del divario nel disboscamento avveratosi di
più nel circondario di Perugia, e che contribuiva all’umi-
dità e quindi all’ammuffimento del maiz; vi esclude affat-
to l’insalubrità delle abitazioni, essendo le più sucide nei
luoghi dove la pellagra non è insorta, e viceversa, e così
la qualità delle acque: di 148 sorgenti dei luoghi infesti,
9 sole essendoglisi offerte non buone, e così pure il vi-
no; che negli anni 1875-6, malgrado il suo buon prezzo,
la pellagra aumentò; e nemmeno vi può la miseria.
La pellagra non vi si trova in rapporto colla minore
quantità di ricolto. Nel 1860 e 1861, dopo 4 anni d’ab-
bondante ricolto di granturco e 2 di copiosissima produ-

Storia d’Italia Einaudi 78


Cesare Lombroso - Genio e follia

zione d’ogni genere, il numero dei pellagrosi fu maggiore


che nei precedenti, e nel 1862 in cui il prezzo dei gene-
ri, massime quello del granturco, era nuovamente accre-
sciuto. Però non v’ha dubbio che, dove la malattia esiste,
la miseria è l’occasione del suo sviluppo. Che se si svolge
anche fra i non miserabili, e perfino fra ricchi, più pre-
sto però si mostra nei poveri. Ma perché, si chiede l’A-
driani, la pellagra si ha nei poveri della campagna e non
in quelli della città? La fatica non strema forse del pari
le infralite forze del povero, quale che sia la terra che ei
trascina?
Resta unica e sola ragione della pellagra l’abuso nel
Perugino del maiz guasto.
Secondo persone meritevoli di fede, sarebbe questo da
certi padroni appositamente guastato, perché, diventan-
do di cattivo gusto, i contadini ne mangino meno. Cer-
ti altri, quando si guasta, lo danno ai contadini mescola-
to con del buono; più spesso lo fanno i fattori per altro
scopo, ed i mugnai sostituirebbero la qualità cattiva alla
buona (Cildroni).
I più poveri si cibano oltracciò di granturco in focaccia
molto erta e poco cotta in quantità di 1200 gr. di farina
che presto si guasta se anche sana, oltre che di legumi,
fave o di erbe ed in alcuni di ghiande. Non pochi nella
stagione calda usano minestra e pane misto di grano e di
granturco.
Così dall’inchiesta del Miraglia appare che molti co-
muni hanno tentato, ma non riescono ad impedire l’uso
del maiz guasto. Alcuni lo dichiarano apertamente: ad
Ivrea, per esempio, dicono: «Come impedire ai contadi-
ni, che non hanno altro raccolto che il maiz, di mangiar-
selo? Sarebbe sostituire la fame alla pellagra». E a Polo-
sella: «Per impedire l’uso del maiz guasto non basta il re-
golamento d’igiene, esso è venduto alle famiglie povere;
come inipedire vi si mangi?». E così a Candia.

Storia d’Italia Einaudi 79


Cesare Lombroso - Genio e follia

A Roma si accenna che i lavoratori dell’Agro romano


usano sempre maiz di scarto nell’inverno. A Cremona il
melicotto avariato, ne è la causa non piccola; a Ferrara
i contadini di Cento mangiano maiz per solito guasto;
a Rovigo (a Rosolina) mangiano maiz cattivo, avariato,
che viene dall’estero, e così a Badia Polesine, a Guardia
Veneta ed a Polesella.
A Sant’Apollinare si accusano (inchiesta Miraglia
1885) i signori di cambiare il maiz buono in cattivo; a
Piacenza si accusa il cattivo maiz che viene dall’Unghe-
ria, specialmente a Fiorenzuola d’Arda ed altrettanto ad
Arezzo ed a Siena, per quanto le notizie ne sieno po-
co abbondanti. A Città della Pieve, a Lucca, a Chiog-
gia, i proprietari separano il maiz buono dal cattivo, e
quest’ultimo lo dànno ai coloni in conto di roba buona
(Idem).
Una nuova prova indiretta e pure gravissima è lo sce-
mare improvviso della diffusione della pellagra in parec-
chie delle regioni più infette, in contrasto al suo diffon-
dersi nelle regioni meno colpite, e ciò per i provvedimen-
ti efficaci, specialmente per gli essiccatoi che il governo e
il paese seppero applicare nei primi dopoché la cognizio-
ne di questa causa specifica venne assodata, come meglio
vedremo nella parte ultima.
Perché si guasti il maiz Per intendere perché si guasti sì
facilmente questo cereale basta ricordare che la quantità
di grasso (63% del proprio peso, più dei 2/3 del grasso
tutto il grano) raccolto nella porzione embrionale del
maiz, porzione la più esposta all’aria, perché sprovvista
di perisperma, predispone più degli altri cereali il maiz
all’irrancidimento, quando sia esposto all’umidità; ora
questo grano venutoci dalle terre calde ed asciutte del
Messico, in molte piaghe matura tardi e male, e non si
può coglierlo se non a stagione inoltrata, da quando la
pioggia autunnale si rovescia in gran copia sui campi
e sulle aie; oppure si guasta venendo per cabotaggio

Storia d’Italia Einaudi 80


Cesare Lombroso - Genio e follia

esposto all’acque del cielo e del mare. Talvolta poi i


nostri magazzini sono di così triste fattura, che la pioggia
spesso vi s’infiltra e li bagna eziandio assai tempo dopo il
raccolto; ed ecco venire l’estate, l’epoca della bollitura
del grano, e questo allora se non viene a sufficienza
ventato, bolle e poi putrefà. Qualche volta il marcio è
nella farina, e ne è la causa non rara il mugnaio, che fa
scorrere vapore acqueo sulla turbina in movimento, così
egli ne aumenta il peso, ma ne facilita e provoca sempre
più l’ammuffimento.
Peggiore è il danno che viene dalla confezione di
quelle poco sane farine in pani grossi (pan giallo) come
tonde di formaggi sì che la cottura non vi passa la crosta,
e la parte interna restatane tutta umida, in pochi giorni
va a male. S’aggiungano le frodi del fornaio, ahi! molte
volte più tutelate che impedite dal sindaco rusticano, e
le avare angherie di certi padroni; ma bisogna sopratutto
ritenere causa principale l’umidità.
Ma si domanderà perché in Italia sono così poco dif-
fuse anche nelle alte classi queste cognizioni sulla cau-
sa della pellagra, e solo per ultima ipotesi sia ammessa
quella del maiz guasto?
Molte ne sono le ragioni:
l) Il pubblico non è vero che afferri sempre subito la
verità: è il contrario che si potrebbe dire; quando gli
si presenti una ipotesi che abbia un aspetto di serietà,
che lusinghi le sue passioni, e la cupidigia ne è una
principalissima, egli la preferisce a tutte le altre.
2) I clinici più discinti risiedono in città e non nelle
campagne e non possono farsi un’idea giusta del morbo
e delle sue cause.
3) Anche i buoni osservatori delle campagne sono
deviati dal vero da molte cause: la pellagra in alcuni
casi è ereditaria e non ha più rapporti col maiz, altre
volte essa infierisce in chi è predisposto dalla mal’aria,
dall’alcoolismo, dal puerperio, dai dispiaceri morali, ed

Storia d’Italia Einaudi 81


Cesare Lombroso - Genio e follia

è allora facile il prendere una causa concomitante per la


determinante.
E già nei nostri casi si vede che nei paesi in cui la
pellagra è comparsa da poco e non invade le intere
popolazioni, come p. es. ad Asti e poco tempo fa a
Roma ed a Perugia, e come ora in Calabria, si afferrava la
causa assai più recisamente, limitandola al maiz guasto,
che non nei paesi, come Milano, Bergamo, ecc., dove
la malattia infierisce da secoli e vi si è così complicata e
mascherata da tante altre malattie.
Ma si chiederà: Se il maiz ammorbato è causa della
pellagra, perché non ce l’accennano mai i colpiti e perché
v’è tanta difficoltà a rinvenirne? La causa è, da una par-
te la vanità e l’ignoranza e l’eccessiva docilità dei poveri
consumatori, dall’altra la tristizia dei venditori. Di maiz
ammorbato se ne trova per tutto, nei fondachi di ogni
grosso mercato di grano, anzi anche nei fondachi muni-
cipali; ma voi nol troverete che quando ivi siete presen-
tato da tali raccomandazioni, che assicurano voi non an-
darvi per indagini officiali od officiose, altrimenti i pro-
prietari ed i custodi vi negano ostinatamente di averne,
per tema che non indagini scientifiche, ma poliziesche, vi
spingano alla ricerca.
Così mi avvenne quando io faceva le mie prime espe-
rienze sugli olii egli estratti del maiz guasto; avendo sa-
puto che ad Ancona n’era arrivata una grossa partita dai
Principati [danubiani], feci richiesta per averne due sac-
chi e mi fu risposto, sospettando forse che potessero ser-
vire per indagini sanitarie, che due non ne davano, ma
che ne avrebbero venduto 50; così a Sissa la Commissio-
ne Ufficiale della pellagra e il Consiglio Sanitario Provin-
ciale avevano dichiarato non essere la pellagra in relazio-
ne coll’uso del maiz, essendovi anzi i contadini di tanta
delicatezza che non mangiavano del frumento se non so-
praffino. Ora io andando sul luogo trovai per tutto usa-
ta una certa meliga americana o meglio danubiana, com-

Storia d’Italia Einaudi 82


Cesare Lombroso - Genio e follia

pletamente guasta, e che vendevasi a minimo prezzo, lo


rivelai ai Consiglieri sanitari di Parma, e negandolo essi
recisamente li condussi io, ivi, dai due granaioli princi-
pali, dove, appena ci declinammo negozianti, ci furono
offerte centinaia di sacchi; ma fino a che ci eravamo pre-
sentati come Consiglieri sanitari non fu possibile trovar-
ne un chicco.<7p> Qualche volta il grano introdotto in
commercio pare sano e non lo è, avendo appreso non so-
lo i mercanti all’ingrosso, ma gli stessi massari a dissimu-
larne la malattia col farlo ventare e poi passare sul gesso,
onde resti ricoperta la punta sbocciata o verdognola del
grano.
Altri, senza altra preparazione, lo mettono in vendita,
mescolandolo al buono, e nascondendo il peggiore al
fondo del sacco.
Qualche volta il maiz ammorbato viene in sì piccola
copia introdotto nell’alimento generale, sopratutto frodi
dei mugnai, che il contadino non se ne accorge, e quindi
è nell’impossibilità di attribuire i suoi mali a questa cau-
sa. – L’ignoranza sua, su questo riguardo, non farà, del
resto, maraviglia al pratico, che sa quanto [in] rapporto
alle cause anche più patenti del proprio male, l’uomo, e
specialmente l’uomo dei campi, sia inclinato ad inganna-
re se ed i medici. Quanti sifilitici non parlano di ferite
che sarebbero cagione dei loro mali, quante mamme di
scrofolosi accennano i pretesi traumi a paure come a sola
causa degli ascessi dei loro bimbi? – Che sarà poi qui do-
ve la questione è controversa anche fra i dotti, e dove a
diffondere l’errore molti medici sono spinti alla comoda
scusa che ritrovanvisi alla loro colpevole inerzia?
Gli errori de’ secoli passati formano il peculio dei
pregiudizi del popolo; così ora il popolo inneggia al
defunto metodo antiflogistico. Che maraviglia, se esso,
ugualmente, abbia adottato la teoria dei vecchi medici
sull’origine erpetica o solare o scorbutica della pellagra. –
A Verona, a S. Michele i contadini credono che la causa

Storia d’Italia Einaudi 83


Cesare Lombroso - Genio e follia

della pellagra sia nei raggi del sole, che ardono la pelle; a
Parma che sia nell’umido; a Vicenza che sia nell’erpete. –
Sono le vecchie teorie scientifiche ora divenute retaggio
delle plebi.
Dissi della vanità come causa delle nostre dubbiezze,
e ne ho ben donde. – Nel Cremonese, p. es., guai al
medico che osi dire al contadino, che egli ha la pellagra
– egli potrebbe riceverne qualche brutta risposta. Egli
ha il salso, un erpete accidentale, non mai la pellagra.
Esso certo non si metterà sulla strada di fare la diagnosi
giusta26 – Certo questo dipende perché, ivi, la pellagra
passa per sinonimo di pazzia, male che nessuno vuol
ammettere di avere, nemmeno in famiglia, e meno ancora
quando non esistono ancora i sintomi.
Di più, dappertutto il misero, che è vano come qua-
lunque altro mortale, vorrebbe figurare di mangiarselo
sano, almeno quel maiz, che è l’unico suo piatto; ed egli
dissimula spesso al richiedente di averlo dovuto mangia-
re guasto, per vergogna dell’estrema povertà, di cui quel
fatto è indizio: tanto più che qualche volta la malattia del
maiz o da trascuranza ed imperizia nel raccolto e nell’a-
sciugamento, o, che è peggio, da qualche sua frode.
Molti contadini, siccome non ne furono posti in av-
vertenza dal medico, e siccome relativamente i disturbi
prodotti, sulle prime, dal maiz malato non sono gravissi-
mi, ne presentano analogia stretta coi fenomeni della ve-
ra pellagra, non possono accorgersi della correlazione tra
il male della pellagra e il maiz guasto, e quindi non gliene
fanno accusa.
Ma v’ha di peggio. – Da alcuni, ignoranti affatto dei
suoi effetti, il grano malato è preferito al sano non so-
lo per la minore spesa, ma pel gusto piccante, aromatico
che dà, quando è in piccola quota, al pane, ed è mesco-
lato perciò deliberatamente al sano. Un altro mi diceva
che esso facilitava la digestione. Un fatto simile avvenne
della segale cornuta nelle Landes, ove Costallat dice che

Storia d’Italia Einaudi 84


Cesare Lombroso - Genio e follia

era preferita dai contadini per il sapore forte, piccante


che comunica al cibo.
Altre volte è vero che la pellagra non infesta un paese
malgrado l’uso continuato del maiz, ma le circostanze
locali, che influirono sulla integrità di questo, non furono
abbastanza messe in rilievo. E giova metterle in chiaro.
Perché, si chiede Jacini27 , la pellagra, in Lombardia,
non si manifestò che tardissima e scarsa nei paesi di
montagna? Perché i mezzi di trasporto dalla pianura
erano, un tempo, molto costosi; e quando una merce
costa non si vende cattiva.
Allora non aveva luogo l’importazione del gran turco
dal mar Nero, che si può dare tutt’al più ai maiali.
Posteriormente, la facilità dei mezzi di trasporto indusse
i valligiani più disagiati a far ricerca di granturco di basso
prezzo, e quindi degli scarti del granturco non maturato
del mar Nero.
Col granturco avariato fu così introdotta in quelle
valli anche la pellagra, che sin allora non aveva potuto
penetrarvi.
Quanto alla bassa pianura lombarda una principalis-
sima causa sta nel granturco quarantino, che quando la
stagione autunnale non riesce straordinariamente sere-
na, non giunge a maturare, e, quand’anche maturi, non
ha modo di asciugare.
E siccome diviene più facile vendere merce sana che
non avariata, così, se di questa ce n’è, si procura di con-
sumarla in casa, distribuendola ai contadini disobbliga-
ti, a cui una parte del salario si corrisponde in natura.
I contadini obbligaci poi ricevono, in natura, una parte
aliquota di granturco per diritto di zappa. Se una certa
quantità di quarantino non è ne maturata, né stagionata,
essa cade egualmente nella ripartizione, e i contadini so-
no troppo poveri per far gli schifiltosi davanti ad una so-
stanza alimentare, che da essi si conosce essere scadente,
ma che né da loro, né dai conduttori si crede venefica.

Storia d’Italia Einaudi 85


Cesare Lombroso - Genio e follia

Anche Biella, citata giustamente dalla Commissione


Piemontese come esente dalla Pellagra, si ciba, è vero,
di maiz, ma la emigrazione, l’industria di quella vera
Manchester del Nord vi hanno introdotto anche nel più
basso ceto una relativa agiatezza, quindi il maiz malato si
rifiuta, né si mangia in pani.

Indagini chimiche sul maiz guasto

Osservando i grani di maiz guasto che proveniva dai


Principati, per cabotaggio, posti in digestione nell’alcool
a 90°, trovasi che da biancastri che erano assumono un
color rosso tanto più intenso, quanto più lunga era la
durata dell’immersione; e così pure che l’alcool diventa
sempre più rosso.
Trattando in egual modo dei granelli di maiz sano28 ,
io e Dupré osservammo che questi non presentavano,
anche dopo due mesi, alcuna diversità di colorazione, e
che l’alcool si era solo tinto in giallo-citrino.
Dalla tintura del maiz guasto abbiamo potuto29 sepa-
rare tre sostanze diverse:
La prima, liquida alla temperatura ordinaria, di un
colore rosso rubino, di un sapore estremamente acre ed
amaro, di un odore pronunciatissimo di maiz guasto, [...]
noi siamo portati a credere non essere altro senonché
la parte oleosa del maiz modificata e colorata da una
materia rossa che si può separare dalla soluzione eterea
colla potassa caustica.
Quest’olio per maggiore brevità e chiarezza lo deno-
mineremo in seguito olio rosso di maiz guasto.
La seconda sostanza, anch’essa di colore rosso bruno,
di consistenza vischiosa, di sapore amarognolo nausean-
te, è neutra alle carte di tornasole; è solubile nell’alcool
diluito, insolubile nell’alcool assoluto

Storia d’Italia Einaudi 86


Cesare Lombroso - Genio e follia

Chiamammo questa sostanza, pelagrozeina o sostanza


tossica del maiz guasto, perché, come vedremo, è attivis-
sima.
La terza sostanza da noi isolata, sotto l’azione dell’e-
tere si rapprende in massa, che diviene di una durezza
cornea, quando rimanga a contatto dell’aria.
Questa, per la solita ragione, chiameremo sostanza
glutinosa del maiz guasto.

Esperienze bacteriologiche

Per quanto ancora incomplete già le ricerche crittogami-


che, ma sopratutto le chimiche, facevano già sospettare
che non stesse nella serie numerosa, ma quasi tutta in-
nocua, di rnicrorganismi che infettano il maiz se non la
causa indiretta e lontana del morbo pellagroso mentre la
causa immediata era nella trasformazione chimica, mole-
colare, del maiz che avveniva sotto la loro influenza.
È inutile indugiarsi sull’innocuità del frequentissimo
penicillum.
Infatti fin dal 1871 avendo somministrato mezzo
grammo di sporidi del penicillum glaucum del maiz a
3 persone non ne osservai nessuna azione meno sapore
metallico e bruciore alla faringe. Io stesso essendomene
fatto fare una iniezione sottocutanea di 20 cg. non eb-
bi che una infiammazione locale. Due topi nutriti per 20
giorni di penicillum glaucum tolto dal pane di maiz, di-
magrirono, ma non ebbero nessun sintomo della pella-
gra.

Tintura di maiz guasto

Una volta appurato che non era dell’uno più dell’altro


bacterio al cui sviluppo nell’organismo animale si potes-
se far rimontare l’intossicamento pellagroso, ma sì alle
trasformazioni chimiche del parenchima del grano, ed

Storia d’Italia Einaudi 87


Cesare Lombroso - Genio e follia

una volta osservato che la sostanza tossica più importan-


te, e anche l’olio che è pure quasi altrettanto nocivo, si
contengono nella tintura di maiz, mi parve che la miglior
via di studiare l’azione di questi ultimi era quella di espe-
rimentare la tintura stessa, tanto più che era quella che
più si addattava alla somministrazione ad uomini.
Somministrai la tintura di maiz guasto da penicillum
glaucum per bocca per una lunga serie di giorni a 12
individui abbastanza robusti e sani, che vivevano in città
e dovevano affaticarsi, come operai e soldati, per tutta la
giornata e non godevano di lauto, ma di sufficiente vitto.
In queste esperienze noi vidimo predominare dopo i
fenomeni delle prime vie, diarrea, voracità, schifo del
cibo, inappetenza, enteralgia, rutti, feci molli, anche
sintomi cutanei, come il prurito, le punzecchiature alla
cute, il senso d’acqua calda, lo scottore, l’eritema, la
desquamazione delle parti esposte al sole, la comparsa di
efelidi, foruncoli, acne e la scomparsa di vecchia psoriasi.
Vengono poi dietro i fenomeni del sistema nervoso e
muscolare – sonnolenza, piacere vivo al veder l’acqua, e
voglia d’immergervisi, dilatazione della pupilla, cefalea,
fracasso agli orecchi, stanchezza straordinaria, diminu-
zione della forza muscolare, ptosi della palpebra supe-
riore, nebbia negli occhi; e perfino i fenomeni psichici –
diminuzione dell’affettività, melanconia senza causa.
Ma due altre serie di effetti mi colpiscono nello studio
di questi casi, l’azione sul cuore e quella sui reni.
Si notarono pure degli effetti sulla congiuntiva palpe-
brale.
Si notò infine quale rapida denutrizione sia prodotta
dal maiz ammorbato, posciaché si trovasse, dopo pochi
giorni, diminuzione sì grande del peso del corpo.
Si sarà osservato pure che, benché le esperienze vol-
gessero in così piccolo cerchio d’individui, pure svilup-
parono in essi una grande varietà di fenomeni, negli uni
predominando l’azione sul cuore, negli altri sulla cute,

Storia d’Italia Einaudi 88


Cesare Lombroso - Genio e follia

negli altri sul sistema nervoso; e come negli uni i sinto-


mi sieno stati tardissimi a svilupparsi, negli altri si svol-
gessero con spaventevole rapidità; – come in due, infine,
fossevi completa immunità dal veleno.
La diminuzione del peso variò dai 2 ai 7 e ai 10
chilogrammi, e l’aumento dai 3 ai 4. In un individuo
l’aumento del peso si giustificò colla guarigione di antica
psoriasi, in altro colla grande voracità, che l’obbligava a
divorarsi un mezzo chilo di pane di più al giorno.
I fenomeni gravi, nervosi o cutanei, comparvero in
alcuni alla quarta dose, in alcuni alla settima, in alcuni
dopo due mesi; due individui si mostrarono insensibili
al veleno. In un individuo invece, robusto del resto,
si mostrò una vera intossicazione acuta, con dilatazione
della pupilla, sincope e profusa diarrea. In un altro si
notò un catarro acuto dello stomaco.
Alcuni disturbi perdurarono dopo due mesi e mezzo,
e in uno perfino 9 mesi dopo che si era sospeso il rime-
dio, e si dissiparono dopo alcune dosi arsenicali.
Sopra 6 individui, grandi bevitori, che presero la tin-
tura, 2 restarono quasi insensibili al veleno, e 2 perdura-
rono più a lungo degli altri prima di risentirne l’azione.
Avendo, per un caso fortunato e troppo raro nelle ri-
cerche scientifiche, trovato che uno delli 12 esperimen-
tati migliorava, sotto l’uso della tintura, da una vecchia
psoriasi, ho potuto completare queste esperienze con 45
altre, somministrando la medesima tintura o l’olio diret-
tamente cavatone – internamente od esternamente, – ad
individui affetti da malattie cutanee, aiutato in ciò da
Tizzoni, Benasti, Poiteaux, Scarenzi, Husemann, Cortes,
Gamberini, Zambon, Generali, Bergonzoli.
Questi casi [...] ci mostrarono la guarigione di 4 [...]
e il miglioramento di 6 su 13 psoriasi, la guarigione di
una pitiriasi [...], di 7 su 7 eczemi [...], di due ectimi
[...] e di una scrofulide eritematosa [...]; e ciò assai più
sollecitamente nei ragazzi e nei giovani [...], ma pure

Storia d’Italia Einaudi 89


Cesare Lombroso - Genio e follia

ancora in quell’età senile [...] in cui le malattie croniche


per solito più non guariscono.
Ma quello che più importa nel nostro caso è di consta-
tare l’analogia dei fenomeni pellagrosi con quelli offerti
dai nostri esperimentati. poiché in questi ultimi si ripro-
ducono, non solo, come nei primi e negli animali, alcu-
ni fra i molti sintomi della pellagra, ma, sì bene, i sintomi
tutti più caratteristici di quel terribile morbo.

Sintomi patologici del morbo pellagroso

Non abbiamo il còmpito di descrivere qui tutti i fenome-


ni sintomatologici della pellagra, ma però, potendo na-
scere il dubbio che alcuni dei fenomeni ottenuti speri-
mentalmente non coincidano con quelli della pellagra,
faremo brevemente notare alcuni dei caratteri, che un
esame attento dei pellagrosi ci fece rilevare e che hanno
una esatta coincidenza con quelli sperimentalmente ot-
tenuti non che con quelli annotati dai grandi pelagrologi
dei tempi scorsi.
Varietà topografiche della pellagra Un fatto assai singo-
lare mi balzò subito all’occhio, nello studio di 600 pel-
lagrosi, ed è che parecchi dei sintomi della pellagra, che
si notano con insistenza in alcuni paesi, mancano, quasi
affatto, in alcuni altri.
Così, nella Provincia Pavese abbondano le contratture
degli arti e la tendenza al mutismo.
Nella provincia di Verona sono frequentissime le ano-
malie della pupilla; invece le complicazioni maniache vi
sono meno frequenti. Certo la pellagra, detta pelandria
o salso, non ha mai assunto tra il popolo quel significato
di pazzia, che ha nelle terre Pavesi, Cremonesi e Brescia-
ne; anche il sapor salso della bocca ho trovato esser più
frequente nel Veneto e nel Tirolo che non nella Lombar-
dia, ove pure ai tempi di Strambio era comunissimo; più

Storia d’Italia Einaudi 90


Cesare Lombroso - Genio e follia

comune ivi è anche il dolore infradorsale, e la dilatazione


dei vasi capillari della cute, e più raro lo scorbuto.
Nel Trentino ho trovato rare le alienazioni, e invece
frequentissime le albuminurie, e sopratutto le tisi, che
si rinvengono invece per eccezioni nelle altre regioni; e
da questo lato mi par si possa ravvicinare la pellagra del
Tirolo a quella dei tempi addietro, in ci i nostri vecchi
trovavanla così frequentemente associata alla tisi.
Nel Mantovano mi ha colpito a frequenza delle ano-
malie craniche, che non si riscontrano invece nelle al re
regioni.
Nell’Agro Milanese il pellagro va soggetto ad accessi
epilettiformi, che sono rarissimi nel vicino Agro Pavese,
e non si osservarono mai nel Tirolo.
Nel Reggiano lo scorbuto è la complicazione più co-
mune dei pellagrosi.
In Toscana invece è frequentissimo fra essi il pterigio.
Il numero delle mie osservazioni, però, è ancora co-
sì limitato, che vorrebbe essere un grave errore quello di
precipitare, da queste soltanto, un giudizio deciso. Tut-
tavia i fatti annunciati metteranno altri più fortunati sul-
la via per accertare definitivamente, se esistano anche in
grande scala queste curiose differenze, che fino ad un
ceno punto potrebbero spiegarsi per la varia qualità del
grano o del companatico, di cui si cibano i contadini,
e per le influenze del clima e della razza. Così per es.
una razza esposta a cause, che indeboliscono l’innerva-
zione del gran simpatico, è facile che, divenendo pella-
grosa, presenti la dilatazione e l’ineguaglianza della pu-
pilla. Una razza esposta per la malaria alla leucemia, alla
dissenteria, presenterà più facili le diarree e le anemie.
Varietà individuali della pellagra Come vi hanno dif-
ferenze tra paese e paese, ve ne hanno anche tra indivi-
duo e individuo, cosicché in nessun altro morbo si po-
trebbe meglio dire che in questo: – non esservi malattie,
ma malati.

Storia d’Italia Einaudi 91


Cesare Lombroso - Genio e follia

Un proverbio, assai curioso, ho potuto raccogliere su


questo proposito nella capanna di un povero pellagroso,
in vicinanza della Chiusa Trentina, proverbio che nello
stesso tempo mostra, come questa verità sia già ricono-
sciuta dal popolo, ceno purtroppo per una assai lunga
esperienza.
«Dela pellagra – sentenzia il proverbio Veneto – che
ne xe de sette sorte:

Quella che tirà matt


Quella che tira all’acqua
Quella che tira indrè
Quella che fa scavezzo (andar curvo)
Quella che fa fare i pirli (vertigini)
Quella che fa mangiare
Quella che fa pellar e c...».

Vi sono pellagrosi, in cui nullo è il disordine della


pelle e degli organi digerenti, grandissimo quello della
motilità, – che soffrono solo di continue vertigini, – e di
indebolimento generale.
Ve n’hanno, in cui tutta la fenomenologia consiste in
gravi alterazioni psichiche, della motilità o della sensibi-
lità, per cui soffrono punture, pizzicore – pellagra cere-
brale, gangliare o spinale.
Ve n’hanno, che si distinguono per un rapido e straor-
dinario dimagrimento – pellagra atrofica.
V’ha la gastrica, con ribrezzo del cibo, indigestioni,
diarree, o stitichezza, o voracità accessiva, – e la cuta-
nea, con coloramento per tutta la pelle, con eritema o
foruncoli od erpeti.
Ve n’ha una, che si distingue per un singolare eccita-
mento dei genitali.

Storia d’Italia Einaudi 92


Cesare Lombroso - Genio e follia

Pessima, fra tutte, e fortunatamente più rara, quella a


decorso florido, precipitoso, e che si potrebbe chiamare
– pellagra florida, o meglio tetanica.
Ed anche nell’esperienze fisiologiche noi vedemmo
comparire la forma paralitica, ora la tetanica nelle stesse
specie di animali, nutriti o meglio intossicati collo stesso
alimento guasto.
Fenomeni psichici, idromania e sitofobia pellagrosa È
difficile, nello studio dei fenomeni psichici dei pellagrosi,
lo scernere le anomalie prodotte direttamente dal morbo,
e quelle che vengono da accidentali complicazioni, e
specialmente dalla pazzia; e peggio quelle, che sono
prodotte dalle tristi condizioni di quegli infelici, i paria
delle terre Lombarde, in cui la melanconia non ha, pur
troppo, d’uopo di cause morbose per isvilupparsi.
Mi pare che un carattere di molti pellagrosi anche ra-
gionanti, e più alienati, è una maggiore impressionabili-
tà morale; una maggiore eccitabilità psichica che corri-
sponde alla maggior motoria già sopra notata; un picco-
lo insulto, una minaccia di lieve pericolo, li fa trascende-
re, benché, apparentemente, prima serbassero mente sa-
na. – Così una si crede dannata, perché perdette messa;
– un altro si dispera, perché un amico, cui prestò una pi-
stola, non volle più restituirgliela, e la disse sua, ed im-
pazza; – una sente le compagne, che la burlano per il ve-
stito, e ne impazza di dolore; un’altra, solo che il marito
pescatore ritardi di pochi minuti, dà in grandi smanie.
Questo è un carattere comune agli alcoolisti e ai para-
litici in primo stadio, e risponde a quella legge, che vuole
che un organo debole più facilmente soffra e si irriti. E
questa, forse, è una delle cause, per cui il volgo, che sta
sempre alle prime parvenze dei fenomeni, crede spesso
la pellagra prodotta da cause morali.
In genere negli alienati pellagrosi raro è il perverti-
mento degli affetti; più spesso anzi notai l’esagerazione;

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sicché anche da questo lato si accostano ai paralitici, qua-


si sempre affettuosissimi verso i loro parenti.
Molti si lagnano di perdita della memoria, e di debo-
lezza di mente, che cessa nel letto o stando supini. In al-
cuni pochi invece (e ciò mi rammentò la lucidità psichi-
ca, che accusarono alcuni esperimentati col maiz awele-
nato) osservai, che il morbo stesso, come suolsi qualche
volta notare nei pazzi, esaltava le facoltà psichiche.
Qualche volta i sintomi del delirio sembrano prendere
le forme vere della melanconia, e più raramente della
monomania. Così ho incontrato una donna, figlia e
nipote di pazzi pellagrosi, che essendo stata derubata,
e avendone accusato non troppo giustamente un tale,
temeva di doverne essere perseguitata; impazzì, e corse a
nascondersi entro un tombino, stando nell’acqua per tre
giorni, senza mangiare e senza moversi; ripresa, fuggi con
un suo fedele cane in un bosco, dove visse 20 giorni come
una selvaggia, facendo capanne colle frasche, mangiando
ghiande, e fuggendo a tutta gamba alla vista della gente.
Ma queste sono eccezioni, e che ben potrebbero, co-
me sospetta Verga, esser casi di monomania innestata in
pellagrosi. In genere anche quando la mania pellagrosa
assume un tipo, coglie più quello del delirio sistematiz-
zato, che non della paranoja; [...]
Un carattere assai più comune della mania pellagrosa è
una reale e, più spesso apparente, stupidità, un mutismo
ostinato. Ei stanno raggomitolati, immobili, quasi cer-
cando sfuggire, il più possibile, non solo i contatti socia-
li, ma quasi la vista della luce; sol che, se quel letargo per
qualche circostanza venga interrotto, noi siamo fatti ac-
corti, non essere quella un’abolizione, ma solo un irrigi-
dimento delle facoltà, che pur essendo integre, non pon-
no esplicarsi: ed essi vi confidano, allora, che stan così ta-
citi, perché non ponno far altrimenti, – che li perdonia-
te; – che capiscono che vi adoperate per loro. Ovvero in-

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terrompono i lunghi accessi di questa catalessi psichica,


con una verbosità senza fine.
In alcuni poi invece di mutismo, di tristezza, vi è una
gaiezza continua, senza causa, o una attività esagerata;
e’ seguitano a ripetere cene frasi, certe grida, certi canti,
con un’insistenza alle volte insopportabile, e che li fa, in
questo, simili agli alcoolisti.
Molti avvertono allucinazioni, soprattutto chenesteti-
che, e che dipendono ceno dalle condizioni anormali dei
loro visceri: abbruciano; – hanno nello stomaco dei cani;
– vedono acqua per tutto, e sentono voci, che loro dicono
di annegarsi; – sono morti. Ma in genere il delirio loro ha
un carattere sfumato, contraddittorio, come nelle manie
senili ed anemiche, e in questo poi differiscono dagli al-
tri pazzi, che non hanno quasi mai lunghi parossismi, che
durino molti giorni di seguito, ma sì bene temporarie e
deboli recrudescenze.
Due caratteri particolari alla pellagra sono la sitofobia
e l’idromania.
Sitofobia La sitofobia è in alcuni causata dalla perver-
tita innervazione del ventricolo, di cui l’inappetenza e
la voracità esagerate sono indizio chiarissimo; e diffatti
molti vi dicono, nel rifiutare il cibo, che si sentono come
un gruppo all’epigastrio, e che [non] ponno mandar giù
il cibo.
Idromania Un fenomeno caratteristico della pellagra è
la così detta idromania. Io l’ho studiata in molti indivi-
dui, e parmi poter asserire, che parta da cause più com-
plesse e contradditorie, che non paia sulle prime.
1) In alcuni la passione per l’acqua esiste veramente,
ed è giustificata dal senso di scottore generale della cute,
che si allevia coll’uso dell’acqua fredda.
2) In altri l’idromania non ha un rapporto col senso di
scottore, ma parebbe dipendere quasi direttamente dal
vivo piacere che provano alla sensazione dello specchio
lucido dell’acqua, certo per qualche particolare modifi-

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cazione della retina, che li fa simili in questo ai ragazzi,


ed ai dementi paralitici; è un’impressione forte, che rie-
sce forse a scuotere più vivamente e quindi più piacevol-
mente un organo indebolito.
3) In altri l’acqua non solo non è desiderata, ma eser-
cita un profondo ribrezzo, perché la sua vista determi-
na la vertigine, già così facile nei pellagrosi. Se non che,
quest’avversione è mal compresa dal più degli osserva-
tori, e perché ei vedono effetti così contrari, come quel-
li dell’annegamento; e perché gli infelici esprimono col-
la frase «l’acqua mi tira» quella specie di vertigine, che
l’acqua cagiona loro.
Per convincersene, però, bisogna analizzare meglio le
loro espressioni. Uno mi diceva per es.: «Quando ve-
do l’acqua, mi vengono foschi gli occhi, mi viene nau-
sea; quando sono sul ponte, cerco di chiudere gli occhi
e camminare nel mezzo, perché altrimenti cadrei». Un
altro mi diceva: «Quando vedo l’acqua, cerco di chiu-
dere gli occhi ed aggrapparmi ad un albero o ad un pi-
lastro, perché se no, mi sento tirare verso l’acqua stessa
e cadere». – Un altro mi confessava: «Se al veder l’ac-
qua non chiudo gli occhi, essa mi fa piegare il capo verso
lei, e non posso più sbrigarmene. Qualche cosa di simi-
le provo delle volte, quando sono pei campi, dove se non
posso aggrapparmi ad un albero, spesso sono costretto
ad andare in direzione opposta al mio intento». Eviden-
temente non è un’attrazione per l’acqua, che fa annega-
re questi individui, è un effetto opposto. È l’impressione
troppo viva dell’acqua, che, come lo specchio, in alcune
donne delicate, desta nausea, abbarbaglio e vertigine, e
le fa quindi cadere.
4) In alcuni il suicidio per annegamento non accade
già per odio della vita, ma per obbedire ad allucinazioni,
le quali presero radice probabilmente in reminiscenze
piacevoli idromaniache.

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5) Alle volte il suicidio per annegamento accade per


una specie di moto automatico, d’impulso istintivo, co-
me negli epilettici sotto l’accesso. Essi non sanno per-
ché lo facciano, e sottratti all’occasione, non rinnovano
in nessun altro modo il tentativo di suicidio.
6) Alcuni si gettano nell’acqua non per sommergervi-
si, ma per mitigar alcuni sintomi paresici, ed intanto pre-
si da vertigine vi affogano. Io conobbi un robusto pel-
lagroso, che non potea escreare, né mingere, se non en-
trava nell’acqua della roggia, che sola riesciva ad eccitare
gl’indeboli[ti] moti reflessi.
7) Finalmente in alcuni il suicidio accade per ferrea
determinazione della volontà, per isfuggire a sensazioni
dolorose, che li tormentano crudelmente; e nell’esecu-
zione sonovi aiutati da un profondo pervertimento del-
la chenestesi, che mentre li rende fin troppo sensibili al-
le impressioni dolorose, che partono dallo stomaco e dal
cuore, li rende invece [in]sensibili ai traumi i più doloro-
si.
Per tutte queste ragioni, si capisce come debba spes-
seggiare l’annegamento, sia per accidente sia per suici-
dio, nei pellagrosi.
E una prova di questa frequenza, si è che nei paesi
ove domina la pellagra gli annegamenti, sia accidentali
che volontari, sono più numerosi che non in quelle terre,
i cui abitanti, per essere in rapporti continui coll’acqua
per ubicazione, e per mestiere, per es. quelli delle isole e
coste di Sardegna, Napoli e Liguria, dovrebbero esservi
ben più esposti.
Un carattere della pellagra è quello di complicarsi
a molte malattie, le quali spesse volte la mascherano
completamente.
Alcoolismo La più comune complicazione è quella del-
l’alcoolismo. Io ne vidi parecchi casi, in cui era difficile
distinguere fino a qual punto il morbo era prodotto dal-
l’alcool o dal maiz ammorbato. E ciò perché alcuni af-

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fetti da incipiente pellagra cercano, come i paralitici, un


momentaneo rinforzo negli alcoolici. Altri per soddisfa-
re il vizio dell’alcool consumano il denaro necessario agli
alimenti, e sono costretti a comprare maiz ammorbato,
perché più a buon mercato. In altri pochissima quanti-
tà d’alcool, trovando un corpo già predisposto dall’avve-
lenamento del maiz malato, precipita lo scoppio del ma-
le, come lo produrrebbe una qualunque causa seconda-
ria. Molte volte è difficile farsi un criterio30 giusto, del-
la vera fra le due cause, sì perché le due cause decorro-
no parallele, e sì perché il paziente, non volendo confes-
sare dovere al vizio il suo male, vi trae forzatamente in
inganno.
Pellagra ereditaria Ma v’hanno forme pellagrose o
pseudo-pellagrose ancor più difficili a diagnosticare, per-
ché la pellagra, pure esistendo, non ha potuto manife-
starsi in tutta l’interezza dei suoi tristi sintomi. Questa è
una forma, che io chiamerei di pellagra ereditaria.
Ve n’hanno due specie, una gravissima, l’altra assai
mite.
La prima si manifesta fino dal second’anno di vita;
rare volte con desquammazione, più spesso con dolori
all’epigastrio, pirosi, voracità, camminare incerto, facile
paurosità, diarrea, aspetto giallognolo, come nelle febbri
di malaria, mancanza e tardanza nello sviluppo; ma solo
più tardi tutti i fenomeni della pellagra, che resistono con
singolare tenacia ad ogni cura. In alcuni ho osservato
una mala conformazione del cranio, una straordinaria
brachicefalia, o dolicocefalia, fronte sfuggente, orecchie
male impiantate, assimetrie nel volto, anomalie negli
organi genitali.
Ma nelle stesse terre, ove predomina questa forma,
se ne osserva un’altra, se in apparenza assai più mite,
certo, nel fondo, più degna di studio, dal lato dell’igiene
profilattica. Essa è una vera pellagra senza pellagra.
Sono individui che hanno or l’uno or l’altro dei sintomi

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della pellagra, ma non li presentano mai così completi


come nei veri pellagrosi.
Nei paesi di Pazzone nel Veneto e Favrio nel Trenti-
no, ho veduto centinaia di questi infelici, anche di clas-
se agiata, che accusavano: gli uomini, scotture ai piedi,
dolor dorsale, pirosi; le donne, leucorree, peso all’utero,
menopause, rutti, vertigini, stitichezze, diarree, colorito
giallo della pelle, eppure non avevano avuto desquama-
zione, né delirio.
Queste complicazioni mi movevano compassione più
che non la vera pellagra, perché indicavano come il male
si fosse per eredità infiltrato nel germe di tutta la popola-
zione, e quindi men facilmente riescisse sradicabile. Suc-
cede, allora, della pellagra, come del cretinesimo, che,
una volta sparso in un gruppo di famiglie, predisposte
dalla località, miseria ecc., getta degli sprazzi anche nel-
le famiglie che più ne dovrebbero essere esenti, lascian-
dovi, se non il corpo, almeno la livrea, come ben diceva
il Verga, del morbo endemico.

Profilassi della pellagra

Dati questi fatti che così completamente si accordano


a dimostrarci le origini della pellagra nell’uso del maiz
guasto, facile scaturisce una sicura profilassi.
Dire, infatti, come si pretese da molti, al colono che, se
vuol premunirsi dalla pellagra, bisogna che mangi bene
e beva meglio, è un affermare una verità, certamente,
ma verità inutile, dannosa anzi, e che piuttosto potrebbe
dirsi una crudele ironia. Il poveretto, a cui noi dal
comodo seggiolone diamo questo consiglio, non può
metterlo in pratica, e, se lo potesse, non aspetterebbe,
no certo, il nostro suggerimento.
Se non che, intanto, da questa idea preconcetta e dif-
fusa nasce un grandissimo detrimento; ed è, che quegli
infelici smarriscono l’unica via attuabile per premunir-

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si dal male, e quando una volta ne sono colpiti, abban-


donano ogni pensiero di cura, sapendo che quella uni-
ca, della buona dieta, non è alla loro portata, cosicché
in molti paesi, dov’io sono andato a studiare i pellagrosi,
ho trovato i medici condotti ignorare, perfino, l’esisten-
za dei pellagrosi del loro villaggio, i quali si rivolgevano,
per soccorso, non più all’arte medica, ma alla limosina
del pubblico e del sacerdote.
Fortunatamente l’esperimento e la clinica e l’anatomia
patologica ci dimostrano che la pellagra non proviene già
dall’uso di sostanze troppo scarse di azoto, ma dall’inge-
stione del maiz affetto da varii microrganismi; e per que-
gli incrociamenti che non mancano mai quando si cam-
mina nel vero, questa nozione ci venne or ora ribadita
dalle analisi chimiche. S’aggiunga che, come già toccam-
mo; a condizioni pari il maiz fornisce all’uomo, in rap-
porto al prezzo, una quantità d’azoto maggiore di tut-
ti gli altri alimenti, il fagiuolo eccettuato e con un prez-
zo minore. La stessa quantità d’azoto che l’avena, l’or-
zo e la segale forniscono all’uomo ad it. lire 1,90, il pa-
ne a 2,21, il riso a 3,80, le patate a 2, 77, il latte a 7,39, il
porco a 8,87, il maiz la fornisce a 1,08, [...]
Ora impedire al contadino di mangiare questo maiz,
solo quando sia ammorbato, e consigliargli di immagaz-
zinarlo e raccoglierlo in modo che non ammorbi, questo
non esce punto dalla linea del possibile.
Norme Generali Ecco quali sarebbero i provvedimenti
da consigliarsi in proposito:
1) Variare o sopprimere le colture secondo le con-
dizioni dei vari paesi, sopprimere p. es. la coltivazio-
ne del maiz quarantino, laddove non possa maturare, o,
raccolto immaturo, non possa seccare, oppure sostituir-
vi la coltivazione del grano nano o da polli, che meglio
maturai nei terreni sabbiosi impedire la coltivazione del
maiz-bianco, che vi riesce male; tanto più che non dan-
neggia punto l’economia.

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2) Nei paesi ove le pioggie sopravvengono all’epoca


dei raccolti, converrà istituire oltre gli essiccatoi, di cui
parlerò, aje di buone pietre, o di cemento idraulico,
circondate da larghi portici, in cui ritirato il grano al
sopravvenire dell’acqua, più facilmente poterlo riesporre
al sole.
E, circa questa operazione, imitare l’esempio del Mes-
sico, dove si espone il maiz al sole, e alla sera, sparito il
sole, lo si ritira; e ve lo si espone e prima e dopo la span-
nocchiatura.
3) Gioverà introdurre nei grandi possedimenti le mac-
chine sgranatrici31 , e nei piccoli il grattugione, il quale
non è che una grattugia in grandi dimensioni, che per-
mette di operare la sgranatura, senza esporsi agli acci-
denti meteorici. Si aggiunga, che, come dicevanmi due
grossi proprietari, questo sistema, permettendo di impie-
gare a questa operazione le donne, può riescire di rispar-
mio non lieve.
Nelle piccole proprietà gioverà la istituzione dei telai
mobili, a cui appendere le pannocchie, per essere soleg-
giate nei giorni sereni, come si usa in alcune vallate del
Tirolo e della Toscana e Liguria.
4) Devesi poi cambiare completamente il sistema di
magazzinaggio. Io ho percorso quasi tutti i principali de-
positi di grano, pubblici e privati, dell’alta Italia, ne mi
riuscì di vedere (fatta eccezione di un magazzino istitui-
to dagli Austriaci in Verona, e, sia detto a poca lode no-
stra, trascurato esso pure dalle nostre autorità); né, di-
co mi riuscì di vedere uno solo di quei congegni, che pu-
re hanno ottenuto l’approvazione di tutta Europa, e che
non solo proteggono il grano dall’umidità, dalla fermen-
tazione, dalle offese dei sorci, dei curculj32 , e degli alluci-
ti, ma diminuiscono in proporzione straordinaria il prez-
zo della manutenzione: io non vi ho visto in opera nem-
meno quei grossolani apparecchi, che si usano dalle po-
polazioni semiselvaggie del Messico. – Ho veduto, qua e

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là, delle eleganti tettoie di vetro, dei granai che potevano


servire da salone o da teatro, spesso non foderati nemme-
no di legno; ma in concambio non v’era in estate alcun
grosso cumulo di granturco, che non fosse in fermenta-
zione, cui invano i custodi tentavano limitare colla venta-
tura e rivoltatura, quando pure vi era spazio per l’opera-
zione. E noi osiamo vantarci un popolo eminentemente
agricolo!
Quando l’igiene s’accoppia all’economia, e ad un’eco-
nomia di tanto rilievo, il vantaggio mi par troppo gran-
de, perché non si debba passar sopra a quella libertà eco-
nomica, che qui si potrebbe chiamare libertà di star ma-
le. Io credo che farebbe bene il governo se, prenden-
do un’iniziativa troppo giustificata dalle necessità igieni-
che, obbligasse almeno tutti i municipi, che hanno gran-
di depositi di ano, ad adottare qualcuno di questi con-
gegni. Noi in questo modo potremmo offrire il maiz a
più buon mercato per due ragioni, per minori spese di
magazzinaggio, e per la minore dispersione di sostanza,
che, in luogo di essere divorata dai curculj, dai sorci e dal
penicillum, andrà tutta nei ventricoli umani.
Poter ribassare i prezzi del grano da 2 a 3 franchi
per ettolitro, chi non vede quanto non gioverebbe, ol-
treché direttamente, anche indirettamente al pellagroso,
fornendogli modo di procacciarsi una più ricca copia di
alimento?
5) Nelle terre asciutte, rocciose, ove predomini la
silice, gioverà introdurre perfezionato quel sistema dei
sili, che fa buona prova in Sicilia e Romagna.
6) Conviene introdurre nuove industrie col maiz; per
esempio, diffondere maggiormente l’applicazione del
maiz alla fabbrica degli spiriti, delle birre, e soprattutto
all’alimentazione degli animali; e introdurre quelle nuove
confezioni alimentari col maiz, che tanto son gustate nel-
l’America meridionale, come l’atola, la chica. Un’appli-
cazione nuova sarebbe, quando nuovi fatti ne confermas-

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sero l’opportunità, quella del maiz marcito alla terapia


di alcune affezioni cutanee ribelli: questa applicazione
avrebbe il vantaggio di inculcare e di rendere più diffu-
sa la nozione della influenza, che può avere il maiz mar-
cito nel produrre la pellagra, e gioverebbe, così, a dis-
suadere il volgo dal nutrirsene; perciocché è ovvio com-
prendere, come una sostanza, che serve da medicamen-
to, debba possedere proprietà buone solo pei casi di ma-
lattia, e dannose nei casi di salute, così come successe,
per esempio, della segale cornuta.
7) Gioverà proporre premi per chi trovi modo di ren-
dere utile all’alimentazione o all’industria il mais quaran-
tino immaturo, guasto, od ammuffito in modo di rag-
giungere davvicino il prezzo dello stesso mais quando sia
sano, o da essere utilizzato per l’alimentazione senza dan-
no e con una spesa non grave, che non richieda cioè ec-
cesso di combustibili.
E propongasi un premio a chi trovi il modo di panifi-
care il mais e di fame pani che resistano all’ammuffimen-
to per 8 o 10 giorni senza una spesa maggiore di combu-
stibile di quello che si spenda nel pane normale: premi
per coloro che abbiano introdotto in larga scala la tera-
pia della pellagra in campagna, a domicilio, senza mutar
notevolmente il regime dei contadini medesimi.
8) Necessarissima cosa sarà formulare leggi contro la
vendita e la macinatura di maiz ammuffito. La sorve-
glianza dovrebbe limitarsi all’epoca dei raccolti, nelle
campagne, e all’epoca dei grandi calori nei grossi magaz-
zini di grano dei capo-luoghi e delle città. I grani ricono-
sciuti non risanabili dalle macchine essicatrici, dovrebbe-
ro immediatamente essere spediti alle fabbriche di spiri-
to, o distrutti. Gravi pene dovrebbero colpire i proprie-
tari, che obbligassero i contadini ad alimentarsi di maiz
guasto, anche se frutto dei propri raccolti, ammenoché
non gli facessero subire quell’unico processo, che già ve-
demmo poter neutralizzare il veleno. E queste commi-

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natorie dovrebbero pubblicarsi per ogni villaggio, ed ap-


pendersi alle mura della chiesa. Così si fece nel Veneto
sino dal 1700; così si fa in Austria. Né vale il citare le leg-
gi sugli alimenti guasti, perché i pregiudizi che si aveva-
no sull’argomento si tradussero già più volte in assoluto-
rie dei Tribunali che restano per caposaldo di altre sen-
tenze se una legge apposita non vi fa argine. Anche la
propagazione della sifilide troverebbe nelle leggi una pe-
na come di chi inferisce una grave ferita, ma questa infe-
zione era troppo pericolosa e troppo diffusa perché non
si vedesse la necessità di provvedervi con apposite leggi
che facilitassero la repressione governativa.
L’onorevole Caccianiga e lo Zanelli mi oppongono la
piena libertà dell’alcoolismo. Rispondo. Non è vero che
non si possa e debba proibire l’abuso degli alcoolici, i
quali, anch’io l’ammetto, sono veri veleni; tutti i popo-
li veramente liberi, veramente democratici (non noi che
pretendiamo di esserlo e in fondo non facciamo che il
vantaggio di pochi tribuni) vi hanno provveduto sul se-
rio; veda l’Inghilterra con Gladstone alla testa; veda l’A-
merica del Nord che giunge fino ad ordinare il seque-
stro, nelle case, degli alcoolici, venendo meno perfino
a quel rispetto del domicilio, che è la base della libertà
anglo-sassone.
9) Converrebbe istituire panifizi economici cooperati-
vi tra i contadini, onde salvarli dalla rapacità dei fornai e
dei mugnai.
Ma per prevenire le frodi dei mugnai e sopra tutto
quelle dei fornai, credo che il miglior metodo sarebbe
quello di far adottare un processo di confezione del
maiz, il quale sottraesse l’infelice colono alle loro ingorde
speculazioni. Il metodo che si usa nel Messico, di far
cuocere per 24 ore colla calce viva il grano, non mi è
parso applicabile se non nei casi di maiz guasto, perché il
consumo del combustibile è grande, e un nuovo processo
alimentare riesce applicabile solo se presenti dei vantaggi

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economici al confronto di quello già in uso. Io ho


tentato un metodo misto, imitando in parte solo quello
del Messico, e questo meglio parmi convenire anche alle
scarse risorse economiche del nostro popolo.
10) Ma pur troppo bisogna prevedere il caso che tutte
le misure profilattiche proposte non approdino, e che
sia impossibile impedire l’uso della polenta ammuffita.
In questi casi si deve imitare il processo Messicano già
descritto sopra, e dopo aver bollito il grano colla calce
viva, per 24 ore, a 120°R., conviene arrostirlo nel forno,
triturarlo, e la polvere, sciolta nell’acqua o impastata
come pane, non riuscirà più di nocumento; [...]
11) Appena si sviluppino i primi sintomi gastrici e ner-
vosi della pellagra nel contadino, immediatamente il me-
dico dovrà sottoporlo all’uso di quelle sostanze che me-
glio corrispondono alla cura della pellagra, e sono, co-
me vedremo poi, l’acido arsenioso se adulto, il cloruro di
sodio se bambino, ecc., comeché nei primordi i sintomi
pellagrosi sieno facilissimamente domabili, come lo so-
no quasi tutti gli avvelenamenti cronici, e diventino restii
alle cure solo quando la infezione sia lasciata invadere,
senza ostacolo, per troppo tempo.
Sarà forse troppo pretesa la nostra di esigere che si
pratichi per la pellagra come per il vaiuolo e per la sifi-
lide? Nell’interesse economico dei Comuni non giove-
rà, egli, lo stabilire delle piccole ambulanze, dei piccoli
ospedali provvisori, per arrestare il male ne’ suoi primor-
di, per impedirne la diffusione e l’eredità? Questi indi-
vidui, che la spesa di poche lire, qualche volta di centesi-
mi, può rendere alla società e al lavoro, non riuscirebbe-
ro poi a carico per centinaia di lire al Comune, quando il
loro male sia diventato incurabile?
E qui ricordo un progetto del governo austriaco, che
meriterebbe esser preso in considerazione dal nostro,
quello delle Giunte comunali per soccorrere i pellagrosi
a domicilio, dipendenti dalle Delegazioni provinciali.

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12) Quando la miseria costringa, ad ogni modo, a ri-


correre al maiz ammuffito per vivere, come, per esempio,
dopo inondazioni che abbiano guastato enormi provvi-
ste, se i metodi profilattici sopraddescritti non abbiano
potuto, ancora, popolarizzarsi o attuarsi, non ci resta al-
tro che a promuovere l’emigrazione nelle terre più fortu-
nate del sud, ed anche in America. Questa misura, sol-
tanto, può eguagliare le condizioni del contadino lom-
bardo a quelle del ligure, che in una terra sì povera, pu-
re campa tanto meglio. Così, si premuniscono dagli ef-
fetti della miseria gli emigranti, e facilitando il rialzo del
prezzo del bracciante, si migliora la condizione di coloro
che restano.
13) I figli dei pellagrosi ed i pellagrosi guariti siano
di preferenza incorporati nella milizia, o consigliati ad
emigrare nei siti immuni dalla pellagra, ed a premunir-
si soprattutto dall’alimentazione di maiz ammuffito, al-
loggiandosi, per esempio, come servi presso persone di
città.
14) Si cerchi di diffondere, il più presto, queste no-
zioni profilattiche e terapeutiche nelle popolazioni agri-
cole. È una proposta questa non nuova, e già il Colet-
ti, anzi prima assai di lui il Fanzago, aveva consigliato e
tentato attivarla, e non vi è mancato in ultimo il Ballardi-
ni colla sua bellissima Igiene dell’agricoltore. Se non che,
pur troppo, tutti questi egregi hanno dimenticato che i
libri nostri, per quanto si cerchino di rendere popolari,
non sono pane pei contadini. Molti forse ignorano che il
mondo del popolo, del contado in ispecie, ha una lettera-
tura sua particolare, a cui solo s’affida, diffidando di tut-
te le altre; è una letteratura che tiene ancora della canzo-
ne selvaggia, della tradizione illetterata, a cui, solo da al-
cuni anni, si concede l’onore della stampa in certi fogliet-
ti magri, sconci, e che pure formano le delizie del popo-
lo; letteratura che ha nel Guerrino Meschino il suo Orlan-
do e nel Bertoldino il suo Dante. – È questa la forma che

Storia d’Italia Einaudi 106


Cesare Lombroso - Genio e follia

bisogna sciegliere per propagare queste nozioni, quando


non si voglia ricorrere ad un’influenza ancora più poten-
te, alla parola venerata del sacerdote. – Io ho tentato ap-
punto questa forma, e non so poi se vi riescii; certo però
ne diffusi fra le plebi agricole 10000 esemplari33 .

Terapia della pellagra

Ad ogni modo, una volta scoppiato il male, si tratta di


guarirlo. E qui di nuovo ritorna in campo la quistione
della lauta nutrizione. – Io, pel primo, convengo che la
lauta nutrizione, carnea specialmente, giovi al pellagro-
so; che molte volte, non sempre, lo conduca a momen-
tanea guarigione. Questa guarigione molto bene si spie-
ga pel marasma di alcuni visceri, del cardiaco in ispecie,
prodotto dal veleno; e che il vitto carneo arresta o fa ces-
sare; ma, sopratutto, perché il vitto carneo e l’alcooli-
co diventa per esso un vero metodo del training, meto-
do che giova in quasi tutte le malattie croniche; un orga-
nismo, sottoposto ad una completa mutazione degli ele-
menti dell’alimentazione, e alle volte anche del respiro,
deve, naturalmente, subire una trasformazione, che qui
tanto più è benefica, inquantoché esso, per la molta mi-
seria, spesso fu sottoposto ad una vera inanizione, e co-
me che, molte volte, il veleno maidico induce l’atrofia di
alcuni organi.
Ma questa cura non può attivarsi, altrimenti, che ne-
gli ospedali, e quindi appena in un ventesimo, ali volte in
un centesimo dei casi, – anche in questi casi non sempre
trionfa; comeché vi siano pellagrosi che si alimentarono,
prima, sufficientemente bene; ed a questi la buona ali-
mentazione non giova più; ed altri pellagrosi vi sieno ro-
busti, ben nutriti, e a cui quindi non giova a nulla la lau-
ta dieta, e sono forse i casi i più ribelli al trattamento. –
D’altronde, io chiamo a testimoni tutti i medici condot-
ti ed anche gli ospedalieri. Quanto tempo perdurano in

Storia d’Italia Einaudi 107


Cesare Lombroso - Genio e follia

buono stato nelle loro case questi pellagrosi guariti colla


buona carne degli ospedali? Spesso non più di una set-
timana, di un mese, e se ne possono leggere appunto qui
le prove nelle storie dei pellagrosi curati dal Marenghi e
dal Cambieri in campagna.
Lo stesso dicasi dei bagni, della doccia fredda, che ho
veduto migliorare, bensì, le condizioni paresiche, le cu-
tanee, le sensazioni dolorose di scottare dei pellagrosi;
giovare a prolungarne, o a renderne più tollerabile, l’esi-
stenza, ma non mai guarirli radicalmente.
In alcuni pellagrosi, poi, per quella contraddizione che
si nota in tutta la sintomatologia della pellagra, esiste una
vera avversione al bagno, e non è possibile applicarlo, ed,
applicato, punto loro non giova.
Io volli esperimentare, colla tenacia ispiratami dalla
convinzione di essere nel vero, se si poteva trovare, al
di fuori della dieta lauta, un presidio contro alla pella-
gra, un presidio veramente farmacologico; e tanto più mi
vi ostinai, dopo che acquistai la convinzione, che essa era
l’effetto di una intossicazione, e non di una insufficiente
alimentazione, e che quindi potea trovarsene un antido-
to, come dell’intossicazione alcoolica lo si trova nell’op-
pio, della sifilitica nel mercurio, della mercuriale nello
iodio.
Procedetti, nelle esperienze, partendo dall’idea, che
in tutte le malattie, anche in quelle per intossicazione,
non vi sono malattie tipi, ma sì bene malati, e che si deve
cercare, nella terapia, quel rimedio, che giova non tanto a
curare la radice del male, che è come la causa prima, non
troppo facile a cogliersi, ma, sì bene, il maggior numero
dei sintomi.
Ferro Mi rivolsi al ferro, sia ridotto coll’idrogeno,
sia nell’acqua di Recoaro, di Peio, sia sotto forma di
malato e di percloruro; e notai molte volte esacerbazioni
intestinali, palpitazione cardiaca aumentata, ma nessun
miglioramento, [...]

Storia d’Italia Einaudi 108


Cesare Lombroso - Genio e follia

Cloruro di sodio In quella forma di pellagra, che già


descrissi col nome di pellagra con arresto di sviluppo del
corpo e del sistema genitale, e nella pellagra che colpisce
i bambini, ebbi stupendi risultati dalla semplice cura
delle frizioni di cloruro di sodio.
Devo però aggiungere ad onore del vero, che un gran-
de coadiuvante del cloruro di sodio è la giovinezza dei
pazienti, comeché anche le altre malattie croniche, non
esclusa la pazzia, assai facilmente si vincano nella gioven-
tù, sia perché più rapido è lo scambio dei tessuti a quel-
l’età, sia perché il morbo non poté prendere ancora salde
radici.
Acetato di piombo Io aveva sentito vantare l’acetato di
piombo nella pellagra; l’esperimentai in larga scala, ma
finora mi parve riescire utile solo nei pellagrosi molto
vecchi, ed in quelli che si lagnavano di dolori vivi alle
articolazioni, e nei casi di paresi incipiente, odi tremolio
generale.
Solfito di calce e soda ecc. I tifi pellagrosi per quanto ne
variassi le cure, bagni ghiacciati, vino chinato, aromatici,
unguenti mercuriali, belladonna, rhus, aconito, solfito di
calce, ecc., percorsero sempre il loro stadio letale e se
guarirono in nulla vi pote il farmaco.
Acido arsenioso La maggior parte dei casi di pellagra
degli adulti, sopratutto dei complicati con marasma, ga-
stralgie, paresi, resisteva però a qualunque tentativo di
cura.
Avendo io letto in un lavoro del Coletti e in altro
del Perugini, come i pellagrosi molto si giovassero delle
acque di Levico, [...]
Per gli studi precedenti avendo eliminato, che dei tre
minerali predominanti nell’acqua di Levico l’elemento
terapeutico utile fosse il ferro, venni nel 1867 nella ri-
soluzione di tentare l’acido arsenioso nella cura di quei
casi, che finora aveano resistito ad ogni trattamento far-
macologico.

Storia d’Italia Einaudi 109


Cesare Lombroso - Genio e follia

Il farmaco venne somministrato sotto la forma di goc-


cie del Fowler, da 5 a 10 a 15 a 20 a 30 goccie, oppu-
re sotto forma di acido arsenioso puro, sciolto nell’ac-
qua leggermente alcoolizzata, nella dose di 1/40 a 1/20
di milligrammo, salendo secondo la tolleranza fino ala 2
a 3 milligr., rarissime volte ad 1 centigrammo, sempre in-
terrompendone per tre a sei giorni la somministrazione;
il risultato superò di gran lunga la mia aspettazione.
Io non darò statistiche, perché quando uno pretende
aver guarito 9000 pellagrosi colla dieta carnea, e un al-
tro 10000 col metodo antiflogistico, poco peso parmi ab-
biano le statistiche. Sì bene darò, quanto più in dettaglio
potrò, le storie cliniche.
I casi di guarigione coll’acido arsenioso non mi sem-
brano privi di importanza, perché avvennero in individui
nei quali non potevasi attribuire la guarigione al decorso
intermittente del male; [...]
I miei risultati d’altronde non erano isolati, concios-
siaché il Namias a Venezia, il Prof. Tebaldi a Padova,
il Dott. Vielmi a Bergamo, il Ceccarel a Treviso, Bot-
tagisio a Verona e il Dott. Manzini a Brescia ottennero
altrettanti risultati nei loro comparti ospitalieri.
Tuttavia io sono ben lungi dal pretendere aver otte-
nute guarigioni stabili, o di aver conseguito, sempre, col
metodo arsenicale quel trionfo, che era mancato agli altri
metodi. Non pochi furono i casi che resistettero a que-
sta cura, o malgrado questa ebbero a soccombere. E pri-
mi annovero i 10 casi di pellagra con arresto di svilup-
po, che sotto la cura arsenicale parvero aggravarsi, dima-
grire, esser presi da sincopi, palpitazioni, vomiturizioni,
bronchiti, mentre migliorarono col cloruro di sodio.
Dall’insieme di queste osservazioni mi pare si possa
dedurre giovare l’arsenico:

1)Nei pellagrosi che presentano grande marasmo


2) Nei pellagrosi con paresi incipiente

Storia d’Italia Einaudi 110


Cesare Lombroso - Genio e follia

3) Nei sitofobi, gastralgici


4) Nelle manie vaghe, senza, cioè, delirio sistematizza-
to
5) Nei vecchi, quando però non abbiano toccato il
limite della decrepitezza.

Non giova, pare, negli impuberi e nei troppo giovani,


non giova negli individui ben robusti e grassi (Riboldi,
Mezzabarba), né a quelli con delirio sistematizzato, né a
quelli, in cui la malattia complicata con alienazione data
da 20 o 30 anni; né giova, pare, a quelli, che soffrono di
pneumonite cruposa, né ai tubercolosi (Anselmi), né agli
albuminurici, né agli affetti da vertigine.
Cura della pellagra coll’acido arsenioso in contado senza
cambiamento di regime Dunque, malgrado le molte ecce-
zioni, fra tutti i rimedi tentati per curare la pellagra, quel-
li che hanno corrisposto al maggior numero dei casi furo-
no il cloruro di sodio negli impuberi e l’acido arsenioso
negli adulti.
Se non che per quanto evidenti mi paressero i fatti rac-
colti nella mia sala e in quelle del Tebaldi, Namias, del
Manzini e del Ceccarel, io non rimaneva senza scrupo-
lo e dubbio, che in alcuni casi, se non in tutti, la lauta
dieta ospitaliera influisce esclusivamente sulle guarigio-
ni. Mancavami, d’altronde, coraggio di esperimentare il
rimedio, tenendo gli ammalati nella scarsa dieta loro abi-
tuale.
Mi decisi, allora, ad esperimentare il rimedio nelle
campagne, laddove la scarsa dieta era non che attuabile,
dettata dalla necessità. Ed eccone alcuni risultati:
Maggi, d’anni 47, di Costa dei Nobili, alto, macilento,
con orecchie mal conformate, soffre di vertigini, rumori
agli orecchi, voracità, peso allo stomaco, prurito, e come
una sensazione di punture d’aghi alla pelle. Da 9 anni ha
desquammazione alle mani, e tale indebolimento musco-
lare, che deve interrompere due o tre volte alla settima-

Storia d’Italia Einaudi 111


Cesare Lombroso - Genio e follia

na il lavoro: ha il figlio e la moglie pellagrosa. Sottoposto


in campagna alla cura arsenicale nell’aprile 1868 alla do-
se di 1/20 di milligr. al giorno, crescendo dopo una set-
timana la dose fino ad un milligr. al giorno, nel giugno
non soffre più le gastralgie, cessa la fame, il prurito; con-
tinuano la vertigine e l’indebolimento muscolare, il qual
ultimo scompariva del tutto nel luglio, né più recidivava.
Rovati, di Verrua, d’anni 46, con parenti sani, da tre
anni soffre degli arti, di diarrea, eritema, ed edema, vora-
cità, e difficoltà di digerire, ed una singolare confusione
di idee, per cui quando vuol porsi ad un lavoro agricolo,
pensa ad un altro che dovrebbe eseguire, e non fa l’uno
ne l’altro; ha alle volte cefalea, bisogno di vociare, mo-
stra magrezza. – Al 1° giugno 1870 intraprende la cura,
all’ultimo di luglio è guarito.
In tutti i casi di gravi vertigini che l’arsenico (v. s.)
non migliorava mi sono giovato del cocculus orientalis
che io presi a prestito dagli omeopatici come molti altri
rimedi di cui mi giovo nelle cure delle malattie nervose
reputando delitto di non approfittare delle osservazioni
altrui solo perché appartengono ad una scuola diversa
dalla mia.
Il caso più caratteristico mi si offerse nel Reg... (anni
40) ch’era nato in campagna da contadini e che soffriva
di gastralgia, eritemi e sopratutto vertigini che datavano
dall’infanzia e che accortissimi medici curarono invano
col bromuro e col ferro, finche accortomi che era di
natura pellagrosa curai colla tintura di cocculus 5-10
centigrammi al giorno e guarì in 25 giorni crescendo di 8
chili di peso.
Dunque noi a buon diritto possiamo dire che l’acido
arsenioso e il cloruro di sodio giovano nella pellagra a
preferenza di tutti gli altri rimedi, anche con regime im-
mutato e se si dovesse usare una parola, di cui alcuni abu-
sano, ma che altri usano troppo poco, noi potremmo di-

Storia d’Italia Einaudi 112


Cesare Lombroso - Genio e follia

re, che essi possono chiamarsi uno specifico della pella-


gra.
Risposta ad alcune obbiezioni su questo metodo Se non
che si obbietterà da alcuni avversari: – Voi dite di curare
la pellagra coll’acido arsenioso, col cloruro di sodio, ma
voi non fate che arrestarne il decorso, che curarne i sin-
tomi, ne impedire le recidive. D’altronde, è fino ridicolo
il dire che un dato rimedio giovi per tutte le varietà di un
dato male; come non vi è mai un vero morbo tipo, così
non può esistervi uno specifico. Perfino negli stessi av-
velenamenti, come di oppio, di belladonna, di stricnina,
benché chiaramente una sola sia la causa, pure, secon-
do che vedrete predominare i sintomi narcotici o di ec-
citamento, spinali o cerebrali, voi dovrete diversamente
curarli.
Queste obbiezioni sono giustissime.
Ma io pel primo noto, che non tutti i pellagrosi si
curano coll’acido arsenioso e col cloruro sodico; che
i vertiginosi hanno d’uopo d’altri soccorsi (cocculus)
come anche quelli in cui prevalga la panofobia (oppio),
e la diarrea (doccia, calomelano, bismuto).
Siete anzi voi, miei avversari, quelli che cadete nell’er-
rore, che ingiustamente mi rimproverate, quando pre-
tendete guarire i pellagrosi tutti col solo soccorso della
dieta, non avvertendo poi, che vi sono pellagrosi che so-
no assai ben nutriti, e a cui la dieta in nulla può quindi
giovare.
Ma d’altronde, potrete voi dire che la dieta carnea è
un rimedio più radicale? Non dovete voi, se onesti, con-
fessare che la dieta carnea giova al momento, fa cioè ces-
sare alcuni sintomi, la denutrizione in ispecie, ma che es-
sa spesso è impotente, e che anche quando giova non
mai riesce a tanto da prevenire le recidive, se il pellagro-
so rientra nel suo triste regime ordinario? D’altra parte
per il suo costo essa è impraticabile al di fuori della cer-
chia della carità ospitaliera che va pur troppo, per le con-

Storia d’Italia Einaudi 113


Cesare Lombroso - Genio e follia

dizioni economiche, sempre più restringendosi addosso


alla falange numerosa dei pellagrosi. Ora, ammesso an-
che che dei due soccorsi quello della dieta carnea e quel-
lo della somministrazione dell’acido arsenioso, ambedue
servano a non altro che ad arrestare per qualche tempo
alcuni sintomi, che l’uno valga come l’altro, non dovreb-
besi ad ogni modo preferire quello che, essendo di poco
prezzo, riesce applicabile anche nelle campagne, e non
solo durante la malattia ma anche dopo, e può quindi
riuscire a prevenire la recidiva.
Ma direte: «Le vostre cure sono sintomatiche». Sì,
questo è vero. Ma, pur troppo, quante volte il medico
può pretendere di far altro nella terapia che una cura
sintomatica? Forse che noi sappiamo veramente le cause
prime di ogni male e la loro natura patologica? E in quei
casi (li ignoro) in cui le conosciamo, forse che questa
conoscenza basta per saperci additare una cura radicale?
Oh! confessiamolo una buona volta! No. Se non che,
questo è poi verissimo, che per una felice combinazione,
di cui facile è il divinare la causa, i rimedi utili alla cura
dei sintomi più gravi giovano spesso pure alla cura del
male, di cui i sintomi sono solo i segnali od i compagni,
e quindi quanti più sono i sintomi che noi possiamo
alleviare, tanto più ci avviciniamo a curare radicalmente
i mali.

2
Istruzione popolare

Dialogo primo
La pellagra si cura

Tonia(contadina) E così che le pare a lei, signor medi-


co, del mi’ uomo?

Storia d’Italia Einaudi 114


Cesare Lombroso - Genio e follia

Medico Che me ne pare? Pur troppo gli è preso da


una di quelle malattie che noi nominiamo tifo pellagroso,
il che vuol dire essere fuori di ogni speranza. Mah! Se ci
avesse pensato prima, quell’uomo sarebbe, ancora, colla
sua zappa sul campo, uno dei più forti lavoratori del
villaggio. Oh che almeno la sua triste sorte giovasse a
voi, che cominciaste, a tempo, a curarvi della pellagra
che avete indosso voi e il vostro figliuolo e non aspettaste
poi a chiedere il mio soccorso quando è diventato inutile.
Tonia Oh sor dottore, lei vuol scherzare; per un po’
di rutti che mi prendono dopo il cibo, per un po’ di
prudore (smangiazon) alla schiena, per un po’ di scottore
alle mani ed ai piedi, io dovrò andare a disturbare lo
speziale e vossioria; e poi gli è che io ho da fare e di
buono. Il mio bimbo, poi; che ha? Gli è un po’ gialletto,
ha un po’ di fame lupina, e, qualche volta, grida per
qualche doloruccio di stomaco, ma tutto poi finisce lì.
Medico Oh! la mia buona donna, ma non vi ricordate
che il discorso stesso faceva vostro marito, quando io gli
diceva: Pietro, quel vostro occhio invetrato, quelle vo-
stre vertigini (stordisca, balordone), quelle diarree (fluss),
quelle spelature delle mani e de’ piedi, sono più serie as-
sai che non credete... Ed egli scrollava le spalle, pove-
retto! Oh! credetemelo; curarsi fin da principio vuol
dir guarire e presto: non curarsi subito, vuol dire: non
guarire mai, vuol dire, pur troppo: morire.
Tonia Curarsi, curarsi! Lei ha un bel dirlo; ma come
posso farlo io? Mi piovono forse i salami dal granajo, o il
Barbera e il Chianti vanno a riempire il mio fosso? Come
vuol, ella, che mi trovi io, se non la mi vien giù dal cielo,
quella benedetta carne e vino, e latte, con cui loro dottori
suggeriscono che debbo curarla? Oh gli è proprio, che
lei vuol scherzare con me, e intanto che sua moglie è in
sul cuocerle un buon pollo e forse delle pernici, la non
pensa che i polli noi li teniamo solo per venderli, – e di

Storia d’Italia Einaudi 115


Cesare Lombroso - Genio e follia

grazia. O che forse pretenderebbe, lei, che io andassi a


mendicare dall’un o dall’altro dei meno poveri del paese
un ajuto che mi farebbe venir rossa la faccia, senza per
questo farmi star meglio; perché la carità quella buona
gente là non la san fare che una volta tanto, e il mio male
invece dura sempre, e sempre dura il bisogno di rimedio.
Medico No la mia Tonia, non ho voglia di scherzare;
e chi potrebbe averne il coraggio, alla vista di tante
disgrazie! Gli è, mia cara, gli è, che adesso in seguito
a certe esperienze fatte a Pavia, a Cremona e a Brescia i
miei colleghi, hanno trovato un altro modo per guarir
la pellagra, che è assai meno costoso e più adattato
alla tua sdegnosa e gènerosa povertà. Tu puoi tentarlo
senza domandare la limosina a nessuno, e senza che i
tuoi mezzi t’impediscano di continuarlo; insomma è un
rimedio al di fuori della cucina e che non ti guasterà
quindi il borsellino.
Tonia Oh quale? mi dica.
Medico Pel tuo bambino tu non hai da prendere
che una manata di sale, di quel sale che tu dài agli
animali, e facendola stemperare nell’acqua vi immolli
una spugnetta o due stracci di lino, con cui fai tutti
i giorni due o tre fregagioni intorno alla schiena, alle
ascelle, al petto e al ventre del tuo piccolino e, dopo
due mesi, vedrai il tuo Nanetto ridiventato il bel figliolo
di prima, né il rimedio non ti sarà costato un gran che,
perché il sale, che t’avanza, puoi darlo al tuo majale che
se n’ingrasserà anch’egli. Quanto a te gli è un altro
pajo di maniche; io ti darò una cartolina che contiene
una piccolissima quantità (un centigrammo) di acido
arsenioso: tu la scioglierai in un mezzo litro d’acqua
bollita con un po’ di spirito di vino, e ne berrai tre
cucchiai al giorno; vedi che non la è cosa che ti costi
troppo, anzi proprio non ti costerà nulla.

Storia d’Italia Einaudi 116


Cesare Lombroso - Genio e follia

Tonia Ma, signor dottore, la mi dica un po’: la cosa


m’anderebbe bene per un verso, solo che ho paura,
io, de’ veleni; L’arsenico, misericordia! È quello che
ammazza i ratti, e non vorrei poi fare la fine dei ratti,
oh no! se lo tenga lei, quel rimedio lì, che per me mi
pare peggiore del male.
Medico Che! Che! La mia Tonia, e puoi credere
che io abbia il coraggio di darti una cosa che ti faccia
male? Gli è un veleno, e te lo ammetto io pel primo, ma
in piccola quantità egli fa tanto bene, quanto in grande
fa male. Vedi: il santonico anch’egli è un veleno se tu
ne prendi molto, eppure tu lo dai in piccola quantità al
tuo bimbo, e non gli fa male. Eppoi, vuoi una prova,
proprio palpabile, che così in piccola dose male ei non
fa? Prendi il miccino di casa e dagliene a bere una
scodella di quell’acqua, e vedrai che non se ne sentirà
punto male, a rivederci te poi che sei grande e grossa e
ne prendi soli due a tre cucchiai. Se tutte le sostanze che
in piccola dose sono velenose si dovessero bandire dalla
farmacia, allora potremmo chiuder bottega.
Tonia Va bene, sor dottore, la cosa mi va, e doma-
ni vengo io a prendere il rimedio; ma, di grazia, non po-
trebbe esso giovare un poco pel mio marito? Quello lì,
sì, che sarebbe il miracolo.
Medico Oh la mia Tonia! Quanto mi duole doverti
dire di no. In quel caso lì non giova più, gli è la mia
donna che i miracoli non succedono più, ma sopratutto
non succedono e non successero mai in medicina; e c’è di
che ringraziare tutti i santi, se a furia di fatica s’è trovato
quel poco che t’ho detto, e va che te ne puoi contentare.
Tonia La mi dica un poco: Quella mia povera vicina
di nonna Paola: quella buona vecchia che trema tutta
della persona, che si lagna di quel foro dolori alle gambe,
alle braccia e alla schiena, se ne prendesse di quella sua
polvere, la guarirebbe lei?

Storia d’Italia Einaudi 117


Cesare Lombroso - Genio e follia

Medico Anche per lei mia cara, gli è un altro pajo di


maniche. Lì c’è di più, l’età, che ci fa guerra; e poi, a
quella forma lì del male non giova più l’arsenico, gio-
va un altro rimedio che anche esso costa assai poco, il
piombo (acetato cinque centigrammi), se non che l’effet-
to non è così sicuro né così pronto. Come ad ogni terra,
secondo che e grassa o magra, si conviene un dato mo-
do di concimazione, e all’una va bene la calce e all’altra il
concime ordinario e all’altra il guano, così anche a voi al-
tri poveri pellagrosi secondo l’età, secondo la forma del
male, conviene l’uno o l’altro rimedio.
Tonia E quando ci viene la diarrea che cosa dobbiamo
fare?
Medico Giusto appunto veh! Mel dimenticavo: la
prima cosa per guarire dalla diarrea è di non bevere
acqua o il meno che puoi, poi se ne hai degli spiccioli,
lascia un po’ la polenta da un lato e comprati un quattro
oncie di carne cruda di vacca e pestala, tagliuzzala bene
e poi inzuccheratala mangiatene un due volte al giorno...
Ma tu dei denari non ne hai pur troppo, abbastanza,
per queste cure, perciò gli è meglio che tu ti tenga alla
farmacia, che per quanto la sia lesta di mano la non
ti toserà tanto come fa la cucina. Dunque mandati a
comperare un grano di mercurio dolce (calomelano) e ti
costerà meno di un soldo; fatti dividere questa piccola
quantità in cinque parti, prendine una ogni due ore
finche tu vedi che ti cessa il flusso, oppure se gli è estate
fatti cadere dall’adacquatojo a una certa distanza una
corrente d’acqua sul ventre, e finalmente se tutto ciò non
ti giova, prendi un po’ d’olio di trementina ed ungitene
il ventre una o due volte al giorno, e se tuttociò non
bastasse prendi un po’ di simaruba e fattene un decotto.
A rivederci.

Storia d’Italia Einaudi 118


Cesare Lombroso - Genio e follia

Dialogo secondo
La pellagra si previene

Il Parroco Don Rebo e Luigi contadino


Don Rebo Oh! Luigi, la sai tu la novella, che mi ha
raccontato, testè, il dottore Marenghi? E pensare che io
era le mille miglia lontano da quella idea!
Luigi Mi dica, mi dica, don Rebo.
Don Rebo La novità eh? È che i dottori di lassù pare
che abbiano trovato la causa della pellagra.
Luigi E dove l’hanno trovata?
Don Rebo Nel grano turco.
Luigi Oh la bella nuova che lei mi racconta. E’
son mill’anni che l’hanno detto. Ma ci venissero pure
a dirmelo tutti i dottori di Bologna e Pavia a ripetermelo,
io per me non ci credo un’acca. Quanti e quanti non
v’hanno che mangian polenta tutto il giorno e non hanno
pellagra. Eppoi, anche, se fosse vero, e che me ne
farebbe? Dove trovare un piatto che costi meno per la
nostra povera gente di campagna? Oh se quei signori
lassù non sanno scoprir altro farebbero meglio invece di
inzaccherare le carte col loro inchiostro di venirci a dare
una mano loro alla nostra vanga.
Don Rebo Ma, mio caro Luigi, se tu mi smezzi la
parola in bocca avrai certo ragione tu; lasciami finire un
po’.
Io voleva dirti come quei signori hanno trovato che la
malattia è causata dalla polenta, quando questa sia gua-
sta, sia perché la tempesta l’abbia tocca prima del raccol-
to, sia perché stando nell’aja abbia sentito gli effetti della
pioggia, sia perché nei granai poco ben riparati o troppo
caldi abbia sofferto di bolliture nell’estate. Ora se è im-
possibile impedire al nostro povero popolo di mangiare
della polenta, perché bisognerebbe anche dargli dei gran

Storia d’Italia Einaudi 119


Cesare Lombroso - Genio e follia

denari, ed i dotti ne hanno pochi e più poca voglia di re-


galarne, tu vedi che a impedirgli di mangiare della po-
lenta marcia, solo che il Sindaco ci metta un po’ le mani,
non sarebbe difficile.
Luigi Ho una difficoltà, don Rebo, io vedo la mia
buona Rosina che mantiene i suoi pollastri allegramente,
colla polenta marcita e non mi risulta che se ne siano mai
trovati male.
Don Rebo Prima di tutto la tua Rosina non dà loro
sempre polenta guasta e fa loro regalo di scorze di frutta,
di verze, e poi senza il suo ajuto e’ sanno trovare de’
vermi e ne fanno delle corpacciate, e poi li mangi, tu,
tutti i pollastri della tua Rosina?
Luigi Eh! per me non ne mangio nemmen uno, ed
essa meno di me.
Don Rebo Ebbene, quando tu li venditi togli il modo
di verificare come e’ finiscano e che pro’ i faccia loro
quel tuo cattivo grano; anzi mi diceva giusto il dottore,
che per provare come il granoturco cattivo faccia venire
la pellagra l’hanno dato appunto ai pollastri per molto
tempo: e dopo due mesi, al più, erano divenuti magri,
spiumati, colla cresta bianca e bassa e beccolavano colla
testa da un lato, e s’inceppavano nelle gambe che era una
compassione a vederli.
Luigi Bene, don Rebo, lei ha ragione. Ma, mi dica
un po’ di grazia, lei sa che buone lane sono il fornajo
Rampigni e il mugnajo Sgraffotti: come vuole impedire,
lei, che e’ mescolino del grano marcito in mezzo al sano,
quando noi portiamo loro il nostro raccolto per ridurlo
in farina o in pane. Ella sa che essi hanno l’uso di pagarsi
tenendosene per se una porzione, e fin qui han ragione;
– ma il grosso del guadagno poi lo cavano dal mescolare
la farina cattiva colla buona, e peggio nel restituire farina
cattiva per farina buona.

Storia d’Italia Einaudi 120


Cesare Lombroso - Genio e follia

Don Rebo Te l’ho già detto, che per una parte ci


provvederà il Sindaco, ma poi m’hanno detto che han
trovato un segreto di fare un pane colla polenta che ci
salverà dalle frodi del mugnajo e del fornajo quando il
Sindaco non ci sappia o voglia metter lo zampino. – Ecco
come si fa –.
Tu prendi, oggi, il grano che occorre per il pranzo
del domani, mettiamo due chili; lo lasci macerare per
un diciotto ore nell’acqua, con uno spizzico di calce
viva, quindi lo lavi ben bene e il pesti sopra una polvere
simile a quella dei cioccolattieri, ma più piccola della
metà e senza strie, e che costa al più 4 lire, la pesti
con un cilindro o bastone pure di pietra: il grano che è
già rammollito dalla concia della calce, dopo una simile
pestata si riduce in una pasta: con questa tu farai delle
sfogliate che si mettono a riscaldare sopra una lamina di
ferro o un tegame con della brace sotto, e ti vien fuori
un piatto che è molto migliore del pan giallo poiché ha
il sapore delle nostre chicche di maiz o fioreu. Ecco che
così facciamo a meno di fornajo e di mugnajo e rendiamo
impossibili i loro inganni perché potremo lavorare colla
nostra farina. Nota bene che pare anche che con questa
preparazione, se il maiz è d’un qualche poco guasto, non
produce più i brutti effetti di prima e che la spesa è
minore anche perché così di legna ne brucieresti meno.
Luigi E una bella novità quella che mi racconta, ma
a me piacerebbe più che ella m’insegnasse il segreto,
perché il granoturco non si guastasse.
Don Rebo Oh si conosce già da un pezzo. Bisogna far
sì che non entri ne’ granai, se non bene essiccato; quindi
se tu puoi far fare dei forni essicatori dal padrone, nien-
te di meglio; se no, lascia una volta da banda quel maiz
quarantino che dà più danni che non porti vantaggi e
che non finisce mai di maturare. Di più fatti fare un’a-
ja proprio di pietra e intorno dei porticati ove ritirare il

Storia d’Italia Einaudi 121


Cesare Lombroso - Genio e follia

maiz quando la stagione si metta sul piovere. Ritirato-


lo in casa sgranalo, non più coi bastoni, ma coi gratug-
gioni o con qualche macchina, se denari ne hai di pren-
derla; che se piccolo è il tuo raccolto e su quello sia pio-
vuto puoi esporre le pannocchie al sole in tanti telai fin-
che siano asciuttate. Nei granai guarda che non filtri ac-
qua, che non vi sia troppo caldo in estate ad ogni mo-
do quando è gran caldo facci prender aria al tuo grano,
ventalo. Un certo Valery ha inventato una certa cassa o
cilindro per mantenere e ventilare il grano che si ridur-
rebbe di 560 volte, la spesa di ventarlo e mantenrlo nei
magazzini. Ma il padrone è avaro e non vorrà comprar-
la, e intanto tu potresti, quando temi che il tuo maiz bol-
la o sia per guastarsi per l’umidità prenderla a nolo come
si fa coi brillatòj del riso. E nota che con questo otter-
resti di snidare quelle migliaja di bestioline (curculii) che
divorano il grano a man salva.
Luigi Ma come si fa egli ad accorgersene sul principio
che il maiz stia per guastarsi?
Don Rebo Al naso, agli occhi, al tatto. Quando co-
mincia a fermentare si sente un umido e caldo da non
dire, mettendo la mano nei cumuli; poi, quando ha già
fermentato si vede uscir fuori dal grano una radichetta
e comparire una macchiuzza o verde o azzurra e il maiz
perdere il suo bel colore d’oro e tutto raggrinzarsi e di-
venire meno pesante e dare un odore che non è più quel-
lo della polenta cotta. In questo caso bisogna venderlo
a quelli che fanno gli spiriti, oppure mescolato a molto
sano darlo agli animali, e in ogni modo averne paura di
mangiarlo, come se fosse proprio (e tale egli è davvero)
un veleno.
Luigi Ora ho capito. Eh! per me, a mangiarne, non mi
ci colgono più! anzi, le dirò il vero, che non mi sento più
il coraggio di darne nemmeno alle bestie, perché sebbene

Storia d’Italia Einaudi 122


Cesare Lombroso - Genio e follia

non sieno cristiane io ci voglio bene a loro, poverette,


come se fossero di casa mia.

Molti al leggere sì grosse cifre si saranno detto: Per certo


di un male così atroce, che ha messo radici sì salde e
numerose per entro alle viscere dei nostri popoli, gli
scienziati avranno ormai approfondito per bene le cause,
ed un Governo nazionale come il nostro avrà fatto ogni
sforzo possibile per torle di mezzo.
Nemmeno per sogno! Il Governo ha ben altro pel
capo; e quanto agli scienziati, per questi la bisogna è
ancora più difficile.
Infatti il male data dall’epoca dell’introduzione del
maiz, come ordinario alimento; esso si osserva limitato
non già a quei soli paesi dove questo cereale più abbon-
dantemente si coltiva e si usa, anzi si abusa (Messico, Pe-
rù, ecc.), ma a quelli dove per le pioggie, inondazioni,
umidità, esso più facilmente si guasta34 .
Gli uomini, che non hanno la ventura di andare per la
maggiore, concluderebbero, subito, che dunque è il maiz
guasto il padre vero della pellagra. E così dissero quegli
osservatori che assistevano, vergini di ogni teoria più o
meno fantastica, alla sua prima comparsa, come il Guer-
reschi, il Chiarugi, il Sette, il Sachero, ecc.; così s’ingegnò
dimostrare il Ballardini, fino dal 184035 , facendo amma-
lare dei polli, cui nutriva di maiz guasto, e che si fecero
tristi, spennacchiati, paralitici.
Questo illustre esperimentatore, anzi, avendo col Ce-
sati osservato un certo fungo nuovo, cui chiamarono lo
sporisorio, vegetare di frequente in quel grano tanto fa-
tale, credette, propriamente, che solo da quel fungo si
derivasse la pellagra.
Ma simili spiegazioni erano troppo semplici e chiare,
perché vi si acconciassero le sottili e vanitose cervella dei
falsi eruditi; per essi ci volevano di quelle ragioni astru-

Storia d’Italia Einaudi 123


Cesare Lombroso - Genio e follia

se, recondite, tali, che il volgo non ci raccapezzasse nul-


la, e meno ancor se ne potesse giovare. – Non si ha no-
mea di scienziati per poco! – Ed eccoli all’opera, costo-
ro, e abbandonando la sicura ed unica strada dell’espe-
rimento e delle osservazioni, inaugurata dal grande Bre-
sciano, si danno a spigolare, fra le pagine polverose del-
le biblioteche, pochi casi studiati senza metodo, ed anzi
con quello guasto dalla prevenzione o dalla fantasia, di
malattie simili alla pellagra, e vergini da uso del maiz, e
quindi ad arzigogolare le più strane e ridicole spiegazioni
sulle cause di quel morbo, dallo scottore del sole (pove-
ra Sicilia!), all’onanismo (poveri seminari!), all’inanizio-
ne (collo stomaco e intestino dilatati e colle urine alcaline
e scarse di urea, poveri fisiologi!), all’abuso del vino (po-
veri osti!), fino alla sifilide, alla lebbra, fino a certe muffe
crittogame che piovono, giù, giù, dall’alto delle capanne
sul desco dei contadini!! Vi ebbero, perfino, degli spiri-
ti bizzarri, i quali dopo molti e lunghi studi riescirono a
scoprire che la pellagra non esistette mai.
In mezzo a tanta confusione, non saprei o vorrei dire,
se originata dalla troppa scienza, o dalla troppa ignoran-
za, un partito prevalse per qualche tempo in Italia, gra-
zia alla temperanza ed dottrina non comune de’ suoi ca-
pi, il Morelli in Toscana, il Lussana in Lombardia36 ; essi
non negavano più che un rapporto ci corresse tra la agra
ed il maiz, ma se lo spiegavano con una certa loro analisi
quantitativa del maiz, per cui questo appariva più scarso
di azoto di tutti gli altri cereali, scarsezza tanto più per-
niciosa perché l’abuso degli esercizi muscolari richiede-
va, secondo loro, più consumo di azoto nei contadini che
negli altri uomini meno accalorati dai lavori.
Se non che la verità, per quanto si infreni e imbavagli,
finisce poi sempre per farsi strada dovunque; e più tardi
Roussel, Typaldos, Costallat, Hebra37 fra gli stranieri, e
quello che più monta Manassei, Maggiorani, Michelacci,
Pelizzari, Cipriani, fra noi, constatarono che quella teoria

Storia d’Italia Einaudi 124


Cesare Lombroso - Genio e follia

tanto auspicata era più ingegnosa che giusta, comeché di


azoto scarseggino assai più le patate ed il riso; e del maiz
sano ed asciutto si usasse ed abusasse impunemente dai
coloni d’America e dai Borgognoni e Rumeni, tutelati
da opportune precauzioni igieniche; aggiungevasi che
quella famosa divisione Liebighiana degli alimenti, su
cui tanto poggiavansi gli avversarii, era stata in gran
parte abbattuta da Moleschott, e ad ogni modo l’analisi
chimica quantitativa del maiz38 non confermava quella
tanta sua scarsezza in azoto di cui l’accusavano e che
finalmente dagli esperimenti di Voit e Pettenkoffer e
Rank riescì dimostrato per gli esercizi muscolari esser
necessari quasi altrettanto i carburi del sangue (onde va
così ricco il maiz) quanto gli azotati.
Doppoiché venne così appianato il terreno, facile riu-
scì al dottore Lombroso di fare un passo più innanzi39 .
Il Lombroso fece ricerca per le campagne dell’alta Ita-
lia di maiz guasto, ne comparò la frequenza a quella del-
la pellagra; ne compose una tintura che somministrò in
piccola dose a ben quaranta individui, a dodici dei quali
per varii mesi di seguito, ed ecco manifestarsi nella mag-
gior parte di essi (alcuni rimasero indifferenti), ad uno
ad uno, i tristi sintomi della pellagra; era, ora una voraci-
tà incessante, che costringeva i poveretti a mangiare del-
le dozzine di pani in più, ora un ribrezzo del cibo, e bru-
ciori di ventricolo, scottore e prurito agli arti; in pochi,
anche, disquammazione, stizzosità senza causa, dimagri-
mento, profluvio, e tale debolezza da strascinarsi le gam-
be, e non potere sollevare i soliti pesi, e un piacere sì vivo
a tuffarsi nell’acqua, ed a contemplarla, da spiegare trop-
po bene quell’idromania, che è veramente il più spicca-
to sintomo dei pellagrosi. Né l’arrostitura né la mistione
coll’alcool, né una superficiale bollitura giovavano pun-
to a spogliare il maiz guasto dei suoi malefici effetti; non
vi si riusciva che facendolo bollire a 120° con calce viva,
e poi riarrostendolo nel forno.

Storia d’Italia Einaudi 125


Cesare Lombroso - Genio e follia

Voi sarete certo curiosi di conoscere a quali mutazio-


ni dell’interno del maiz si debbano tante sventure. L’uo-
mo che ha bisogno, quando si trova dinanzi a una se-
rie di fatti, di riattaccarli al più presto a qualche cosa di
concreto, in mancanza d’altro, si appiccica al più appa-
riscente fenomeno che gli si para dinanzi; perciò aven-
do il Lombroso rinvenuto, di frequente, nei grani esperi-
mentati, quelle macchiuzze verdi, o bluastre, che il Bal-
lardini attribuiva allo sporisorio, crede anche egli sulle
prime si trattasse di questo fungo; ma uno studio accura-
to gli mostrò come quelle tali macchiuzze eran prodotte
da certe muffe comuni, che crescono su tutte le sostan-
ze organiche irrancidite, che noi ingoiamo le mille volte
in un anno, senza provarne noia, cioè al penicillum glau-
cum; per maggiore sicurezza ne raschiava dai grani i pul-
viscoli fungosi, e se li iniettava sotto la cute senza aver-
ne alcun danno. Qui dunque il fungo era solo l’indizio,
forse l’effetto della malattia del grano, ma non la malat-
tia stessa, la quale meglio si distingue da un certo color
bigiastro, dal sapore amaro, da un odore vinoso, e dalla
presenza frequente di cellule di fermento, [...]
Anche coll’olio di maiz del commercio, ottenuto da
cereali poco sani, si provocò nei cani diarrea, rifiuto dei
cibi, vomito, sbalordimento; e nei pulcini sonnolenza,
diarrea, rifiuto del cibo, e quello che più riescì curioso, a
tre galli, dopo 51 dosi, desquamazione della cresta e dei
bargigli, apatia, tempellamento, calore aumentato (44°),
schifo del cibo e convulsioni cloniche o coree del capo
con tendenza ad andare a ritroso e difficoltà notevole al
salto, sicché parean ubbriachi.
Dalla distillazione della tintura si ottenne, oltre ad un
corpo resinoso, affatto inerte, che esiste benché più scar-
so nel maiz sano, una certa sostanza rossa, venefica, con
caratteri alcaloidei40 , che somministrata ai pulcini pro-
dusse diarrea, dispnea, paralisi degli arti inferiori, con-
vulsioni toniche e morte; nei galli adulti, dispnea, immo-

Storia d’Italia Einaudi 126


Cesare Lombroso - Genio e follia

bilità, diarrea, paresi dell’ali; nei cani, sonno, diarrea, se-


te, rifiuto dei cibi, diminuzione del peso; in un uomo,
stordimento, nevralgie, nausee, diarree, schifo del cibo,
fenomeni che passarono coll’uso del vino; in un altro, un
senso di peso al basso ventre, bruciore alla gola, perdita
dell’appetito, prurito, tristezza, onde fu chiamata sostan-
za tossica del maiz guasto.
Tanto l’olio irrancidito, esternamente, ma più ancora
la tintura, internamente, mostrarono un’efficacia notevo-
le in alcune malattie della pelle. Sopra 15 affezioni cuta-
nee (psoriasi, eczema) curate colla tintura, 8 guarirono,
5 notevolmente migliorarono e due resistettero.
La pubblicazione di questi fatti ha destato nel mondo
scientifico di alcune provincie d’Italia, dove non si cre-
dette mai alla perniciosità del maiz guasto, una specie
di reazione, quasi si trattasse di una vera eresia scienti-
fica. E perfino un corpo scientifico di una cena rilevan-
za, avendo fatto rinnovare quelle esperienze41 , conclude-
va in senso precisamente opposto. Anche un fisiologo,
molto in fama fra i più, le ripete ad una ad una e con
tutta certezza le dichiarava falsate.
Tuttavia pensando che un tanto divario non poteva
esplicarsi senza una qualche differenza nelle preparazio-
ni del veleno, il Lombroso ritentò le prove con mezzi più
perfezionati, associandosi l’Erba, uno dei chimici più va-
lenti della Lombardia, e ne ottenne preparati, che ben-
ché ancor differenti nell’azione a seconda delle condizio-
ni atmosferiche, pure erano così potenti da rendere im-
possibile ogni obbiezione ulteriore42 .
Ma voi direte: Se il maiz guasto è causa della pellagra,
perché non ce l’accennano mai i colpiti; e perché vi è
tanta difficoltà a rintracciarne? La causa del silenzio
si deve cercare nella vanità, nell’ignoranza, nella troppa
docilità dei consumatori, e nella tristizia dei venditori;
di maiz ammorbato se ne trova per ogni fondaco, ma
il triste mercante o custode non ne rivela facilmente il

Storia d’Italia Einaudi 127


Cesare Lombroso - Genio e follia

segreto, perché altrimenti mal riuscirebbe a rivenderlo


per buono mescolandolo col sano o facendolo passare
sul gesso.
L’ignoranza, del resto, del contadino a questo riguar-
do non desterà meraviglia ai medici che sanno quanto
sulle cause dei proprii guai l’uomo sia inclinato ad in-
gannare sé ed altri; quante mamme di scrofolosi non ci
accennano a certe pretese cadute o paure come a sola
causa delle piaghe dei loro bambini!! – Che sarà qui ove
la causa era controversa anche fra i dotti; e dove a dif-
fondere l’errore molti medici erano spinti dalla comoda
scusa che vi trovavano alla loro colpevole inerzia!
Ciò malgrado, Lombroso trovò 42 pellagrosi su 472
che accusavano il maiz guasto come causa del loro male;
e non è raro sentire i contadini della bassa Lombardia
chiamare il maiz col funereo appellativo di grano della
pellagra, ed anche solo di pellagra, e nella Relazione della
Commissione Mantovana si accennano a 14 Comuni ove
il maiz guasto si accusa dai Sindaci come causa della
pellagra.
Ma come accade egli, se i popolani se n’accorgono,
che seguitano a mangiarne?
È troppo facile il rispondere! Per suprema necessità;
per mancanza di altro alimento, per la docilità singola-
re, troppa, dei nostri coloni, che credono non aver dirit-
to a rifiutare il maiz guasto loro distribuito per dispensa
dai padroni; e quando ci si provano, vi rimettono il fia-
to; per es. in Albignola il carrettiere Binasco andava, nel
1861, in giro a comperare maiz guasto che poi distribui-
va ai suoi lavoratori, certi Bindolini, Essi protestarono
che l’avrebbero mangiato se l’avessero colto loro a quel
modo, ma che essi avendolo raccolto sano volevano usa-
re solo di quello là! Ma fu fiato gittato; che egli disse loro
(io ripeto, frasario di quei poveri contadini): «O mangia-
re questa minestra o saltare questa finestra, cioè andar-
sene via». Ed essi tutto l’inverno mangiarono maiz gua-

Storia d’Italia Einaudi 128


Cesare Lombroso - Genio e follia

sto, ed ora sono pellagrosi. Peggio ancora poi va la biso-


gna pei mendicanti, ai quali una carità crudele, venendo
a patti coll’avarizia, fornisce il maiz più guasto che abbia
la prudente massaia43 .
Cura Se non che tutti questi dati sull’origine della
pellagra non risolvono, per nulla, il problema, che più
deve starvi a cuore, quello della cura. Si affermava
dai vecchi pellagrologhi, ed era in parte vero, il miglior
rimedio per quegli infelici essere l’uso della carne e del
vino, ma questo era più facile a dirsi che ad eseguirsi; il
poveretto, a cui, dal comodo seggiolone, si davano questi
consigli, non poteva metterli in pratica, e se l’avesse
potuto non avrebbe aspettato chi glieli suggerisse.
Ma, intanto, poggiandosi su quelle idee esclusive, il
medico del villaggio, che non aveva a sua disposizione le
cucine di Lucullo, o di Talleyrand, scoteva tristamente
le spalle a chi nel richiedeva di aiuto, e lo rimetteva al-
la mercé di una pietà, problematica spesso, e provviso-
ria sempre. Il malato medesimo, ben sapendo che quella
tal cura non era alla sua portata, lasciava, con disperata
apatia, percorrere il morbo fino all’ultimo stadio, e tra-
piantarsi nell’infelice sua prole. Il Lombroso, dopo lun-
ghe prove, giunse a trovare alcune sostanze che avevano
virtù d’arrestare il morbo nei suoi primordi, senza aver
ricorso agli amminicoli troppo dispendiosi della cucina.
Fra queste mostrarono maggior efficacia l’arsenico ne-
gli adulti; il sal di cucina negli impuberi, l’acetato di
piombo nei vecchi, il cocculo nelle vertigini, l’amica ed il
calomelano nelle diarree.
Ma qui non è tutto color di rosa, come parrebbe
sulle prime; gli è che una parte di questi, guariti appena
da un veleno, non acquistavano punto l’immunità da
un secondo avvelenamento; come un bevone a cui una
buona dose di oppio abbia levato le fisime del vino, non
resta meno esposto a subirne gli effetti, appena ritorni
alla bottiglia.

Storia d’Italia Einaudi 129


Cesare Lombroso - Genio e follia

L’istituire, adunque, semplicemente, la cura farmaco-


logica, senza associarvi la preventiva, è un rinnovare la
triste impresa delle Danaidi. Per fare una vera cura radi-
cale bisogna salire più in alto. E qui forse cadrà in mente
a qualcuno il vecchio ritornello dell’abolizione della col-
tura del maiz! – Ohibò! – Voler impedire quella coltiva-
zione non sarebbe solamente inutile; ma assurdo; arieg-
gierebbe uno di quei consigli, che a mo’ delle grida spa-
gnuole, ed anche di certi decreti moderni governativi, co-
minciano e finiscono la loro parabola su quel foglio di
carta su cui furono dettati.
Il maiz, per la facilità di propagarsi con pochi semi,
per la copia di foraggi e combustibili, che fornisce col-
le sue foglie e col suo stelo, per la ricchezza di sostanze
grasse ed azotate che contiene, è un vero tesoro pel con-
tadino, il quale deve ad esso, se, da mezzo secolo in qua,
non subì più quelle terribili carestie, che lo decimavano
nei tempi trascorsi.
E poi, se tuttociò non fosse, già, non baderebbesi,
punto egualmente, ad un tale consiglio; tanto lontano e
discrepante suol essere l’umile pratica dalla troppo aulica
dottrina dei libri.
Ben più facilmente vi si riescirebbe attuando certe
misure che non turbano ma temperano e migliorano le
condizioni della coltivazione maidica; adattandole, per
es., alle varie specie di terreno; sopprimendo il sessantino
in tutti, e il cinquantino pei montanini; introducendo in
questi il maiz eliplicum aureum ed il umilio; nei paesi
freddi, quando il maiz non sia maturato, al tempo del
raccolto, lasciandolo in pannocchia, e non adoperandolo
che per foraggi, e sempre sgranando le pannocchie al
coperto (e cogli sgranatoi meccanici o col grattugione),
essiccandole al sole, o coll’aeroterme, ecc.
Sopratutto convien provvedere all’acquisto di buoni
magazzini meccanici, laddove il terreno umido non per-
metta l’uso dei sili; i migliori magazzini sono quelli del

Storia d’Italia Einaudi 130


Cesare Lombroso - Genio e follia

Valery, di Demaux, i quali non solo proteggono il maiz


dalla umidità, dalle offese dei sorci, degli uccelli, e degli
alluciti, ma permettono la ventilazione continua, il tutto
con un risparmio che può stare in confronto con quel-
lo dell’ordinario magazzinaggio, come 1 a 560, se si usi il
vapore, e come uno a 56 senza il vapore.
Quando l’igiene s’accoppia ad una economia di tan-
to rilievo, il vantaggio mi par troppo perché non si deb-
ba passar sopra a quella libertà economica, che qui si po-
trebbe chiamare libertà di far male. Se il Governo dun-
que trovasse modo di obbligare e incoraggiare i Comu-
ni più colpiti dal morbo a provvedersi di questi appa-
recchi per subaffittarli ai proprietarii, gioverebbe nello
stesso tempo all’igiene e alle finanze della Nazione, co-
me gioverebbe a se stesso ed al paese impedendo con se-
vere misure la vendita al minuto della polenta ammuffi-
ta, vendita spesso protetta, alle volte perfino eseguita dai
suoi diretti rappresentanti, dai Sindaci.
E converrebbe ancora favorire l’erezione di molini e
di panifizi cooperativi per salvare i contadini dalla frode
dei fornai e dei mugnai, e proibire l’uso dei pani troppo
grossi e popolarizzare quelle nuove confezioni alimenta-
rie col maiz ancor immaturo, che tanto son gustate nel-
l’America del Sud, come pure le industrie che possono
trarsi col maiz immaturo, specialmente quelle degli spi-
riti e dell’olio; quest’ultime sopratutto sarebbero di ra-
dicali giovamenti, perché nella grande quantità raccolta
nella porzione embrionale del grano sta certo una del-
le precipue ragioni del facile infracidamento, e spogliata
dell’olio, la farina si può conservare assai più a lungo sen-
za guastarsi. – Ed ecco perché io vo altero di aver sco-
perto le proprietà antierpetiche e cosmetiche dell’olio e
della tintura di maiz guasto44 , che una volta applicati in
grande scala spero potranno deviare dai commerci molte
partite di maiz putrefatto.

Storia d’Italia Einaudi 131


Cesare Lombroso - Genio e follia

Nel caso in cui tutte queste misure non approdino, e


che sia impossibile, o meglio che non si voglia impedire
l’uso del maiz ammuffito, si faccia esso bollire nella calce
viva a 120°, e rilavatolo lo si arrostisca del forno.
E appena si sviluppano gli effetti di quel tristo cibo,
a spese del Comune il malato sia sottoposto all’uso delle
sostanze trovate utili nella cura della pellagra; come l’a-
cido arsenioso negli adulti, il cloruro sodico nei fanciulli,
l’acetato di piombo nei vecchi, il cocculo nei vertigino-
si; l’arnica ed il calomelano nei diarreici. Il Comune fini-
rà per trovarvi un vantaggio economico, poiché moltissi-
mi che la spesa di pochi centesimi può rendere alla sani-
tà ed al lavoro, resterebbero poi a suo carico, per miglia-
ia di lire, quando il loro male fosse divenuto cronico ed
incurabile.
Pur troppo, però, chi è pratico delle nostre condizioni
non può sperare di veder mettere in opera neppure una
di queste misure; la indifferenza governativa, per quan-
to non sia questione politica, il poco ascolto concesso ai
consiglieri di sanità pubblica, la cocciutaggine del conta-
dino, la complicità dei proprietari, l’impotenza dei me-
dici della campagna, sono ostacoli innanzi a cui l’uomo
più tenace deve crollare la testa, deplorando fra sé e sé la
colpevole negligenza di tutti, e sopratutto di quelli che si
proclamano gli amici del popolo. Mi si permetta di dir-
lo! Quando io visitava le campagne di Lombardia e del-
le Romagne e del Veneto guaste dalla pellagra fino nelle
nascenti generazioni, quando vi vedeva i colpiti rifiutarsi
ai miei consigli, e sospettarne come di un malefizio, e gli
ospedali intanto respingerne l’accettazione, e gli uomini
di governo sorridere alle mie proposte profilattiche, io
mi ricordava e non senza dolore come un secolo fa, non
già dei governi nazionali e liberi come il nostro, ma stra-
nieri e dispotici, avevano piantato nel centro della Lom-
bardia un ospizio per la sola cura dei pellagrosi, e come
fino agli ultimi anni del loro dominio essi esigessero ac-

Storia d’Italia Einaudi 132


Cesare Lombroso - Genio e follia

curate statistiche dei pellagrosi, e istituirono Giunte co-


munali che dipendevano direttamente dalle Delegazioni
provinciali per soccorrere i pellagrosi a domicilio; ricor-
dando tutto ciò molte volte mi sentii scoppiar dal petto
un senso di sdegno contro certi declamatori che si camuf-
fano da filantropi, affaccendati a proteggere gli sbraitan-
ti lazzaroni delle bettole cittadine, quasiché costituissero
solo essi tutto il popolo, e che nulla fanno per sollevare
dalla triste endemia, che le guasta nelle midolle, le ben
più laboriose ed oneste falangi delle campagne.
Nulla di strano che queste classi, dimenticate tanto da
noi, ci sconoscano alla lor volta; esse che non videro
mai rivolti a loro i nostri sguardi. Bisogna adunque,
per persuadere a curarsi il contadino, riuscire, meritare
di conquiderne l’animo colle opere buone, colle cure a
domicilio, colla vigilanza sullo spaccio del maiz guasto.
Una volta che è dimostrato esser questo un veleno,
il Governo è in diritto, in dovere, di agire, rapporto a
questo, come per la segala cornuta, come per le carni
guaste e trichinate, di cui tutti convengono si debba
vietare lo spaccio e a cui pur si provvede con zelo perché
chi ne usa di più non è la plebe muta dei campi, ma la
oziosa e ricca e turbolenta delle città.
D’altra parte, una volta che all’avido proprietario non
riesca più così facile di smerciare il suo maiz guasto, si
darà attorno per impedirne l’ammuffimento, e introdur-
re aie di pietra, e forni, e magazzini, e macchine di Vale-
ry.
L’avarizia, la docilità, l’ignoranza del contadino, quan-
do egli sia posto in avvertenza, saranno vinte, alla fine,
dalla paura della morte e della malattia, sicché finirà col
provvedere alla propria salute rifiutando il grano ammor-
bato, denunziandone all’Autorità gli offerenti, e quando
in altro modo non possa, emigrando in terre più ben go-
vernate o più ospitali, ultima, benché tristissima, questa,
valvola di sicurezza tra l’igiene ed il libero scambio.

Storia d’Italia Einaudi 133


Cesare Lombroso - Genio e follia

3
Un appello accorato

Dopoché una poco lusinghiera esperienza mi ha dimo-


strato che i miei pesanti volumi sulla pellagra non sono
letti da alcuno, nemmeno da quelli che vogliono combat-
terli o riassumerli, mentre gli articoletti critici, o, polemi-
ci, adattandosi alle svogliate intelligenze dei più e solle-
ticandone, per il lato più triste, l’acre curiosità, riescono
a farsi strada e scuoterne la triste apatia, io mi sono fatto
una legge che, in cuor loro, devono maledire tutti i diret-
tori di giornali e riviste, ma che seguo colla irremovibi-
le tenacia del monomane inglese: quella di rispondere a
tutte le obbiezioni che vengono fatte alla mia scuola pel-
lagrologica, e criticare tutte le memorie che abbiano ap-
parenza di serietà e s’allontanino, anche di qualche linea,
da quella carreggiata che l’esperienza antica o la vanità il-
lusa che sia mi fan credere l’unica buona per domare fra
noi quel triste flagello.
Non è a credere quindi che io possa tacere quando mi
trovo dinanzi una memoria come la sua redatta, in un
giornale così diffuso e rispettato, con tanta erudizione e
con tanta disparità dalla meta che mi sono prefissa.
E cominciando dalla quistione più vitale che ci divide,
Ella crede che il mio concetto (secondo cui le forze
del governo debbano concentrarsi solo sulla proibizione
dell’uso del maiz guasto) sia troppo ristretto e troppo
poco applicabile in linea amministrativa.
Ella pur reputando, come parmi, la melica guasta, la
causa principale del morbo, non vuole se ne dimenti-
chino le cause secondarie, predisponenti, che se non er-
ro, a Lei paiono più facilmente redimibili, tanto più che
con ciò si migliorano le condizioni generali, igieniche, del
paese.

Storia d’Italia Einaudi 134


Cesare Lombroso - Genio e follia

Ora io non disconosco la ragionevolezza delle sue con-


clusioni; ma non perciò meno persisto nelle mie perché
una sperienza oramai inveterata mi prova che in tutti i
morbi influiscono è vero delle cause indirette oltre alle
dirette specifiche; ma che appunto quando si riesce a to-
gliere codeste ultime si giunge molto più presto e più si-
curamente alla meta.
Così, per esempio, accadde per lo ergotismo, di cui
è vera e sola causa la segala cornuta; e pel cretinesimo
in cui la vera causa è nell’acqua, e per la malaria, le cui
cause sono le putrefazioni vegetali!!
Quante volte, non se ne vollero eliminare solo le cause
indirette, la miseria, le abitazioni e per la malaria, in
ispecie, la mancanza del vino, delle carni, osservando
come i ricchi ne andavano esenti! – Ma se eliminando
le cause indirette si ottenne qualche parziale trionfo mai
vi si riuscì come quando si seppe attaccare il male alla
radice, togliendo cioè la segala cornuta, sopprimendo
le fonti malefiche, calcari, ecc., essiccando le paludi, o
costruendo le abitazioni per modo che meno vi potessero
nuocere.
Ed ancora mi accomoderei di buon grado a queste
misure se non avessero a mio giudizio, il doppio torto di
deviare l’attenzione dallo scopo non solo, ma di sottrarre
i mezzi necessari a raggiungerlo.
Come si può sperare che il padrone onesto, ma ava-
ro, il quale somministra melica guasta ai propri conta-
dini e così li avvelena, possa ritrarsi dalla triste impre-
sa, con danno dei propri interessi, quando nessuna pro-
va palpante gli si somministri che quella è la sola vera
causa del morbo? E come sperare che i privati e i cor-
pi morali e il governo stesso possano provvedere sul se-
rio alla pellagra quando invece di limitarsi ad una misura
così semplice e così eseguibile come quella di far scema-
re l’uso dei cereali guasti debbano pensare a migliorare
le abitazioni e le acque, ad introdurre tutta una serqua di

Storia d’Italia Einaudi 135


Cesare Lombroso - Genio e follia

nuovi alimenti e condimenti; quando debba provvedere


non ad una ma alle centinaia di concause che veramen-
te contribuiscono a rendere più dannoso l’uso delle me-
lighe avariate, come la malaria, l’abuso dei salassi, l’abu-
so dell’acquavite, dei cibi salati, la miseria, la scarsezza
del vino?
E notisi poi (e questo è l’essenziale), che alcuni di tali
provvedimenti, precisamente quelli in cui più insistono
certi comuni e provincie, ed anche pur troppo m’è forza
il dirlo, certi uomini di Stato, come di cambiare le acque
e le abitazioni, mentre hanno un rapporto ben scarso e
qualche volta affatto nullo, il primo, colla pellagra, sono
poi d’una esecuzione così difficile in realtà, che quando
si volessero attuare finirebbero per spossare i bilanci na-
zionali, e far nascere, dopo verificatane la impossibilità,
un completo e disperato abbandono della vera cura della
pellagra.
Come filantropo e statista, Ella illustre signore, ha pie-
na ragione di dire: «Ma intanto però se ciò si facesse, sa-
rebbe assai bene anche per l’igiene dei più», ma quando
il farlo non è possibile e quando il tentare di farlo intan-
to mi distoglie dai provvedimenti più pratici non devo
credere il suggerimento un errore?
Ella però soggiunge che qualche consiglio provinciale
o qualche corpo morale ha già fatto delle pratiche in
proposito. Ma sa cosa? Essi hanno fatto, sì, molte
e molte ciarle; hanno nominato delle commissioni le
quali non si sono coperte di ridicolo che per una sola
causa, perché nessuno vi ha badato tranne il sottoscritto
nell’umile ed ignorato suo Archivio45 .
Ed infatti come, Ella così pratico e saggio uomo, può
credere che sia una bagattella il cambiare le acque non
dico di una regione ma anche di un solo distretto? Io
le potrei in prova addurre questo solo aneddoto. In una
grande provincia che ha molte vallate infette da cretinesi-
mo e gozzo, mali di cui veramente la causa principale è la

Storia d’Italia Einaudi 136


Cesare Lombroso - Genio e follia

condizione delle acque, in cui dunque il mutare le acque


è essenziale, io feci la proposta di introdurre dei pozzi; e
la non si accolse nemmeno per uno dei centri più infetti
e più popolati. Tanto ne parve spaventevole la spesa!
E poi mettiamo la impossibile ipotesi che queste acque
fossero tutte mutate, che le case fossero divenute tanti
modelli di nitidezza igienica, consumando perciò nel bi-
lancio il ventuplo di quanto occorrerebbe per mutare i
cereali avariati in cereali sani, siccome tuttociò non po-
trebbe che lenire le apparenze del male e non togliere la
sostanza, non pensa Ella quanto griderebbero poi quei
comuni e provincie che fossero venute in tali risoluzioni
senza vedere risultati corrispondenti agli enormi dispen-
di?
E come riescirebbe Ella poi ad indurle a fare l’altra
spesa che è la più necessaria per la soppressione delle
meliche guaste, per gli essiccatoi, pei forni cooperativi,
per la cura arsenicale?
Che se queste misure le appaiono difficili ad attuare,
cosa non dev’essere se invece di queste volesse attuare
quelle altre, la cui spesa non è nemmeno prevedibile e i
cui risultati lo sono ancor meno?
Ella mi dirà: «Ma le difficoltà di proibire il maiz gua-
sto non sono elle gravissime, peggiori ancora di queste?»
No. Esse sono gravi, gravissime, ma non di impossibi-
le esecuzione. Quando si vede che la differenza di prez-
zo tra la melica sana e la guasta non sorpassa le tre lire al
sacco vi è da meravigliare come tra i provvedimenti così
inconsultamente suggeriti dalle provincie, non figuri mai
una volta quello del cambio di codeste meliche. Eppure
esso è più facile che l’aprire un pozzo artesiano o il rifare
un migliaio di case46 .
«Noi non possiamo entrare nella casa privata del con-
tadino per impedirgli che ne consumi, Ella dice, ed io
ammetto che per ignoranza o per avarizia molte volte egli
ne faccia uso». Ma quali, replico io, provvedimenti, non

Storia d’Italia Einaudi 137


Cesare Lombroso - Genio e follia

dico il ministro di agricoltura che ha appunto per sua


ispirazione molto fatto per ciò, ma altri ministeri hanno
mai adottato in proposito?
Il senatore Bargoni, che prefetto, tentò inutilmente
aiutarmi nella guerra alla pellagra, pochi mesi fa vide
offerto alla Società Adriatica di sicurtà una grossa partita
di melica così putrefatta che un solo campione di essa
gli infettava l’ufficio per parecchi giorni di seguito. E
nel 1881 tutto il raccolto di Mazzè venne colpito dalla
tempesta. Io ordinai che di quell’orribile gran turco mi
si mandassero tre sacca; ma non ne potei avere che due
perché in breve tempo quel raccolto era stato divorato
dagli abitanti. – Io aveva proposto alla provincia che
mutasse quel cibo a quegli infelici in uno più sano, ma
si rise della proposta, la quale ad ogni modo sarebbe
venuta troppo tardi.
Questi esempi provano quanto si potrebbe ottenere
senza grandi spese e con sicuro risultato, solo che gli al-
tri ministeri non facessero lo gnorri ma cospirassero con
quello dell’Agricoltura a strappare questo veleno dalla
bocca dei poveri coloni, per esempio, ordinando che la
sanità marittima vieti e sequestri sul serio le grandi par-
tite di meliche che vengono guaste dai Principati; ese-
guendone il sequestro nei mercati pubblici e nei mon-
ti frumentari. – Questo si può ottenere non con un mi-
gliaio di ufficiali, come pare ch’Ella tema, ma con pochi
ispettori di buona voglia. Ma sopra tutto occorre, dopo
avvisati e padroni e coloni che la melica guasta si deve
considerare un veleno, occorre ottenere che dai procura-
tori del re si proceda contro coloro che n’usano, a guisa
di stipendio, contro i loro contadini. Io ho già narrato al
pubblico che un dottore Fallerone fu cacciato dalla sua
condotta medica per aver denunziato come avvelenatori
coloro che distribuivano tali sostanze. Né so che questi
fossero mai puniti né so che mai le mie istanze presso i
prefetti e ministri di grazia e giustizia abbiano raggiunto

Storia d’Italia Einaudi 138


Cesare Lombroso - Genio e follia

lo scopo47 . E che difficoltà vi è a ordinare che il quaran-


tino non possa coltivarsi là dove non può dare frutti eco-
nomici buoni, almeno quando non sianvi quegli essicca-
toi la cui introduzione può accordarsi con le borse le più
meschine? – Oh! me lo lasci dire, egregio Miraglia, Ella
che ha fatto tanto perché qualcuna di queste misure fos-
se attuata; se non si parla mai di codeste applicazioni le
quali esigono la cooperazione anzi l’iniziativa non già del
Ministero di agricoltura ma di quello dell’interno, ecc., e
se piuttosto si parla di quelle misure vaghe ed impratica-
bili, dell’acqua potabile, delle carni ecc. gli è che coll’at-
tuare quella proposta si ledono interessi colpevoli sì ma
potenti; gli è che la plebe muta dei campi non ha parte
nei suffragi politici mentre l’hanno e grandissima coloro
che così l’avvelenano; gli è che nel parlamento siedono
molti di coloro che si fanno complici di tali tristizie; gli
è che non vi ha un governo che sappia e possa spezza-
re codeste pastoje o piuttosto gli è che non vi ha un vero
governo. – E baloccandosi colle statistiche, proponendo
ora una or un’altra misura, la quale sia lontana da quella
radicale si ha il modo di non inimicarsi gli uni e mostrar-
si, se non essere, amici degli altri. – Badi bene che non
alludo a lei egregio comm. a cui solo devo se almeno una
parte delle mie proposte ebbe un principio di esecuzione
e che solo fra gli uomini politici d’Italia col Jacini, Massa-
rani, Bertani e Luzzatti, qui lo dichiaro solennemente, ha
intravveduto, a tempo, la gravità del problema e tentato
provvedervi48 .

Storia d’Italia Einaudi 139


Cesare Lombroso - Genio e follia

3
Psichiatria

l
Psichiatria sperimentale e tecniche manicomiali

Qualunque volta ci si affaccia un’opera od un problema


di medicina legale delle alienazioni mentali, ci sentiamo
involontariamente sorpresi da un senso di sconforto e di
ribrezzo. Gli è che ai termini misurati, precisi, a cui la
medicina moderna ci ha abituati, noi vediamo sostitui-
te delle espressioni vaghe, indeterminate, mal comprese
da quegli stessi che le hanno inventate, e che non han-
no nessuno di quei riscontri obiettivi a cui tutta la edu-
cazione medica ci ha abituati, e per i quali soltanto il giu-
dice intende interrogarci. E così accade che, o per ec-
cessiva precauzione, o per una non ingiusta reazione alla
diffidenza dei giudici, gli uni non vogliono trovare pazzo
nessun criminale anche alienato, come qualche volta in-
cappa a fare il Casper, egli altri abbondano in senso con-
trario così da convertire in manicomio tutte le prigioni.
Memore ed allievo della vera scuola italiana, di quel-
la che mise a stemma il gran motto: provando e riprovan-
do, io volli darmi d’attorno a vedere se potessi sostitui-
re a que’ termini vaghi ed indecisi, e così spesso oppu-
gnabili, di ragione umana, di libero arbitrio, di passioni
focose, di istinto prepotente ecc. ecc., delle espressioni
più concrete che rispondessero a fatti obiettivi di facile e
di sicura constatazione. Sono solo le cifre egli istromenti
di precisione quelli che hanno fatto fare alla scienza quei
passi da gigante che noi tutti ammiriamo, che ci hanno
dato in mano sì larga parte di dominio nella natura. E
perché non si dovrebbe egli applicare questo meraviglio-
so metodo anche alla scienza psichiatrica, postoché l’a-

Storia d’Italia Einaudi 140


Cesare Lombroso - Genio e follia

lienato, oltreché di spirito, è composto anche di corpo; e


postoché alle variazioni della forza psichica e quindi del-
lo spirito deve accompagnarsi anche quella della forma?
Io mi son messo quindi a studiare gli alienati che avea
sott’occhio come un oggetto di storia naturale, ed ho
tentato di descriverne e riassumerne in quadri statistici
i caratteri principali, omettendo quelli che vennero già
prima d’ora minutamente descritti.
Peso degli alienati Cominciando dal peso, il quale con
una formola grossolana riassume lo stato di nutrizione
generale dell’individuo, noi abbiamo rilevato che, men-
tre il peso di venti maschi sani, bene alimentati, della sta-
tura media di metri 1,59 cent. risultava di 64 chil. e 580
grammi, invece:
La media di 15 maniaci della statura media di metri
1,61 e bene alimentati, era di chil. 56,140.
La media di sei pellagrosi uomini, della statura media
di metri 1,58 era di chil. 48,483.
La media di due idioti, della statura media di metri
1,55, era di chil. 53,370.
Il peso medio di 20 donne popolane, sane, della statu-
ra media di 1,55, era di chil. 60,100.
Invece il peso di 29 maniache della statura di metri
1,52, risultò di chil. 45,280.
Quello di 12 idiote e dementi della statura media di
metri 1,47, risultò di chil. 46,600.
Quello di 10 pellagrose della statura media di m. 1,52
è risultato di chil. 42,230.
La pellagra più di tutti; la demenza poi, e finalmente
la mania scemano il peso del corpo.
In complesso, nessun alienato, per quanto da lungo e
lautamente sia stato alimentato, ci ha offerto il peso de-
gli uomini sani. Devo però soggiungere che in genere gli
alienati ricchi, comparativamente ai poveri, diedero un
peso assai maggiore, il che deve corrispondere probabil-
mente ad un fatto fisiologico49 .

Storia d’Italia Einaudi 141


Cesare Lombroso - Genio e follia

Fino qui però i dati sarebbero troppo vaghi per una


deduzione medico-legale; ma un fatto caratteristico re-
lativo al peso degli alienati si è la singolare diminuzione
di peso del loro corpo, dopo qualche giorno di parossi-
smo furioso, e lo straordinario aumento nel ritorno della
calma e nella definitiva convalescenza.
Una variazione di peso, indipendente quasi assoluta-
mente dalle circostanze esterne di alimentazione e di re-
spirazione, è un carattere impossibile a simularsi e che
può divenire prezioso pel medico-legale.
Capelli, denti ecc. ecc. Varii autori asserirono molto
giustamente che il capello degli alienati ha qualche cosa
di speciale per un certo suo riflesso rossastro, per la facile
sua fragilità e per la poca sua plasticità.
Tre altri caratteri però ci colpirono specialmente nel-
l’esame dei nostri alienati, cioè le chiazze pigmentali, la
precoce canizie, e l’assenza frequente di barba sul mento
negli uomini e la sua presenza nelle donne.
Si direbbe, insomma, che questo tessuto corneo subi-
sce la influenza della mala nutrizione di quel prezioso or-
gano che serve a coprire.
Meno importanti sono certi altri caratteri notati nei
107 alienati, dei quali, maniaci erano 30, pellagrosi 11;
maniache erano 24, pellagrose 22; idioti e dementi ma-
schi 3; idiote e dementi femine 9 (idiote 3).
Cinque volte notammo nelle maniache e tre volte nel-
le dementi una forma oblunga e quasi tubolare dell’un-
ghia; in un pellagroso notammo l’ipertrofia del tessuto
unghiale che rendeva l’unghia del pollice simile ad un
artiglio d’uccello.
Più comuni assai sono le irregolarità e i difetti della
dentatura; [ ...]
L’occhio, questa vera fenestra dell’animo, offre più
spesso ancora appariscenti anomalie. In 2 maniache si
notò il singolare bagliore dell’occhio all’avvicinarsi degli
accessi; in 6 maniaci maschi e in 2 femine si notò il

Storia d’Italia Einaudi 142


Cesare Lombroso - Genio e follia

nictitamento del globo, e in 2 maniaci con tendenza alla


demenza, si notò il suo movimento laterale dall’alto al
basso.
In 9 maniaci, 2 donne, 7 uomini, di cui uno lipemania-
co, l’iride si mostrò dilatata; in 2 epilettiche, e in 3 ma-
niaci furiosi l’iride si conservò ristretta durante gli accessi
furiosi.
Le leucorree erano quasi fisiologiche nelle nostre alie-
nate, cinque volte notavasi nelle dementi, e diciassette
volte nelle maniache; questa frequenza delle leucorree
bene ci spiega come l’erotismo fosse così frequente nelle
donne e sì raro negli uomini.
Le menstruazioni mancavano sei volte nelle maniache
giovani, fra cui quattro pellagrose, e otto volte nelle
idiote e dementi.
La anemia si è notata in cinque maniache, di cui una
epilettica e tre pellagrose, e in quattro maniaci di cui uno
pellagroso ed un melancolico.
Craniometria dei sani e degli alienati Ma un criterio
più costante e più caratteristico di tutti i sopra accenna-
ti deve rinvenirsi nell’organo stesso, centro precipuo del-
l’intelligenza e quindi più specialmente affetto dalla alie-
nazione di essa. E qui l’argomento si fa davvero spino-
so, comeché tutti comprendano doversi trovare queste
lesioni di forma, essendovi lesioni di funzione, ma all’at-
to pratico spesso ogni aspettativa venga frustrata.
La prima causa sta in ciò, che la lesione della funzione
avviene quando tutta la evoluzione del cervello è com-
pleta, quando le suture sono più o meno saldate. Be-
ne ha luogo, (come noi verificammo in quasi tutti i ca-
si di morte), l’atrofia del cervello stesso, ma questa atro-
fia non risalta abbastanza agli occhi, perché ad essa qua-
si sempre corrisponde un’ipertrofia concentrica delle os-
sa craniche, che crescono in ispessezza internamente, re-
stando eguali nella forma esterna.

Storia d’Italia Einaudi 143


Cesare Lombroso - Genio e follia

Pure molte volte, per non dir sempre, la differenza


c’è, e noi non la sappiamo ritrovare, perché non ci siamo
formati un tipo preciso e fisiologico delle linee esterne
del capo ad uomo vivo e sano, e siamo abituati a non
vedere nelle differenze che puri effetti d’accidentalità.
Un esame accurato di più migliaja di teste, mi ha reso
sicuro del fatto, che le differenze dei diametri cranici
hanno una causa principalissima nelle diversità di razza
e di regione. Nell’esame di più di due mille teste non
mi riuscì mai di trovare differenze notevoli in individui
della stessa regione. Vi ha adunque un tipo costante
per ogni nostra regione, un tipo così invariabile da poter
servire di criterio per le deduzioni medico-legali, così
nelle quistioni d’identità, che di capacità intellettuale –.
Studiamolo adunque.
Per fissare un punto di paragone sufficientemente ap-
prossimativo fra le teste sane e quelle degli alienati, per
fissare specialmente il tipo cranico regionale, io mi die-
di a raccogliere misure sopra i soldati ventenni delle va-
rie provincie, come quelli che, per avere uniformità di
età e di condizione intellettuale, mi parvero offrire il ti-
po più approssimativo della media intelligenza normale
delle masse. Scelsi individui viventi, perché appunto la
medicina legale opera in gran parte anch’essa su indivi-
dui vivi; e perché così mi era dato di fare gli studii su lar-
ga scala, e sopra individui di cui poteva indagare il gra-
do di intelligenza. La seguente tabella riassume il risulta-
to delle mie indagini fatte sopra venticinque individui di
ciascuna delle nostre provincie.
Gli è con un senso di non ingiusto conforto che io
dò uno sguardo a questa tabella, che mi pare riassuma
in poche cifre fatti gravidi di molta importanza. Forse
queste cifre, maneggiate da mente più esperta e più
dotta, riveleranno un giorno la storia etnografica d’Italia,
il segreto del genio dominante in ciascuna regione, e

Storia d’Italia Einaudi 144


Cesare Lombroso - Genio e follia

quello delle vicende che il tipo nostro ebbe a subire dalle


varie mistioni di razza e dalle trasformazioni telluriche.
Ma noi dobbiamo ritornare alla severa carreggiata del-
la medicina legale, la quale indaga i fatti come tali e
non bada alle induzioni più remote. È evidente, a chi
dia un’attenta occhiata a questa tabella e specialmente al
quoziente dei diametri, che ogni regione non solo, ma
quasi ogni provincia ha un tipo cranico a se, tutto spe-
ciale. Così la Liguria, la Sicilia e il Napoletano presenta-
no tre tipi doligocefalici, ma nella Sardegna stessa, nella
Sicilia ecc. ciascuna provincia ha poi un quoziente diffe-
rente, per es., Girgenti ha 720 per indice cefalico, e Ca-
tania ne ha 760, e Caltanisetta 777.
Invece, quando dalla provincia passiamo agli individui
di ciascun comune, queste differenze proporzionali dei
diametri non si riscontrano più affatto. Individui di
molta o poca cultura, di città o di campagna, alti o
bassi, potranno variare di circonferenza, di curve, ma
non variano quasi mai nel rapporto dei diametri, purché,
almeno, appartengano alla medesima razza.
Anche le circonferenze e le curve hanno una media
speciale per ogni regione e provincia, così la Sardegna
avrebbe dato 1165 mill., il Napoletano 1190; gli Abruzzi
1186; mentre il Veneto invece avrebbe oscillato dal 1190
al 1210.
Ma queste cifre non hanno un valore rigoroso se non
per individui della stessa età, sesso, statura, o profes-
sione, od almeno grado di coltura, poiché gli individui
che esercitarono l’intelligenza presentaronmi quasi sem-
pre una media d’assai superiore, che può sorpassare nella
somma complessiva più di 70 a 90 mill.
La misura della fronte in larghezza ed in lunghezza
non ha un’importanza scientifica appunto per questa
grande variabilità, a seconda dello sviluppo intellettuale.
Una volta che abbiamo fissata (come ci sembra esservi
riesciti) la media dei diametri e delle circonferenze dei

Storia d’Italia Einaudi 145


Cesare Lombroso - Genio e follia

cranii delle varie parti d’Italia, si fornisce un dato nuovo


e preciso al medico-legale per le quistioni d’identità,
dappoiché trovandosi un cranio o una testa doligocefala
d’individuo sconosciuto, noi avremo già una grandissima
probabilità che appartenga ad una di quelle provincie in
cui domina la doligocefalia ad esclusione di tutte le altre.
Ma l’importanza massima di queste misure è per la ca-
pacità civile; le deformità craniche che prima non conta-
vano se non come casuali coincidenze, qui prendono as-
setto di leggi fisiologiche, quindi possono avere un lar-
go significato nelle questioni della capacità intellettuale.
Veniamo ad un esempio. Un’idiota pellagrosa presenta-
va la strana doligocefalia di 63, e la capacità cranica di
1080; se questa donna fosse nata in Calabria ultra prima,
o in Sardegna meridionale, essa avrebbe presentato una
leggiera esagerazione del tipo regionale; ma nella Lom-
bardia, dove il quoziente è 81 invece di 63, questa donna
aveva già nella sua forma cranica la ragione e la giustifi-
cazione della sua deficienza intellettuale.
Orine degli alienati Un carattere fisico più costante
di tutti, e più difficilmente simulabile è fornito dalla
secrezione renale. Se nelle ceneri il chimico ritrova i
precipui elementi dell’essere che fu vivo, nelle orine ei
può rinvenire, i principii di riduzione e sorprenderli
ed arrestarli durante il loro circolare turbinoso per la
roteante carriera della vita. E l’acido fosforico, e il peso
specifico aumentato delle orine segnano con caratteri
speciali perfino le anomalie del pensiero.
Disordini della motilità Un carattere comune a presso-
ché tutti gli alienati e che potrebbe bastare a distinguerli
a prima vista dagli uomini di mente e corpo sano, è quel-
lo dell’eccessiva o deficiente sinergia muscolare. E un ca-
rattere così saliente da fare sospettare ( Prelezione al cor-
so di Clinica di mali mentali 1863 pag. 10) esistere tra i
nervi di senso e di moto relazioni e analogie più strette
che l’antica scuola di Bell non ammettesse.

Storia d’Italia Einaudi 146


Cesare Lombroso - Genio e follia

E sensazione e movimenti e forza sono modificazioni


della stessa materia.
Ma lasciamo le teorie e torniamo alle cifre, le sole che
abbiano attualmente il diritto di concludere e di parlare.
Sopra 107 alienati esaminati, 29 erano in preda a mo-
ti clonici, coreici od epilettici. 19 femine, fra cui 2 epi-
lettiche 2 pellagrose 15 maniache, 10 maschi 3 epilettici
2 alcoolici e 5 maniaci.
Sensibilità tattile, dolorifica, cenestetica ecc. Sensibili-
tà ai rimedii Benché le parvenze della sensibilità tocchi-
no troppo le regioni di quel campo subbiettivo così pe-
ricoloso pel medico-legale, pure non tutte sottraggonsi a
quei mezzi di osservazione ed esperimento che possono
offrire sincero argomento a solido giudizio.
La sensibilità tattile esperimentata coll’estesiometro
non ci diede alcun risultato ben chiaro.
La precisione dei colori apparve alterata in due soli
individui, un pellagroso ed un alcoolista; [...]
La sensibilità sessuale ci apparve quasi abolita [ne]gli
uomini, avendo notato anomalie per eccesso solo in un
giovane maniaco, in un vecchio alcoolista, ed in un pel-
lagroso.
Le donne invece mostrarono pervertimento in più del-
la sensibilità sessuale, forse per la maggiore quantità di
cripte mucose sparse negli organi sessuali, o forse per la
notata frequenza di leucorrea. Undici alienate offersero,
benché vecchie, tendenze genetiche, fra le quali due de-
menti una mania acuta, ed una cronica sessantenne, af-
fetta però da cancro ovarico.
Tutti dementi e maniaci si mostravano singolarmen-
te sensibili alle variazioni ozonometriche e dell’elettrici-
tà atmosferica, per cui all’avvicinarsi degli uragani nelle
prime ore dell’alba (ozono in più) e in un giorno di ter-
remoto, le manie croniche e fin le demenze sembrarono
acutizzarsi. Quasi tutti i dementi sembrano affetti da una

Storia d’Italia Einaudi 147


Cesare Lombroso - Genio e follia

maggiore sensibilità pel freddo per cui tentano di porsi


nei punti più esposti ai raggi solari e più vicini alla stufa.
Ma un carattere tutto proprio degli alienati è la insen-
sibilità alle sostanze medicamentose, agli alcoolici ed ai
caffeici. Sopra 95 individui, appena quattro, cioè due
isteriche e due alcoolisti, mi parvero sentire gli effetti del-
l’opio, della belladonna, dell’hashish, alle dosi che sono
avvertite dai sani. Tutti gli altri non li avvertivano che ad
enormi dosi quali sarebbero state capaci d’avvelenare un
sano.
Sensibilità affettiva ed intelligenza Fra tutte le forme di
sensibilità, quella che più lesa si addimostrava fu la sen-
sibilità affettiva; la vista d’un parente, d’un antico amico,
bastava per rendere furiosi non rare volte individui calmi
e che prima avevano parlato dei loro parenti coll’espres-
sioni più tenere.
Sopra 117 alienati 77 volte si ebbe a notare questa
avversione, vale a dire in 6 dementi, 3 idioti e 68 maniaci;
sommando si ha 77 e tutti i 33 pellagrosi meno 2 uomini
e 4 donne giovani ed un alcoolismo.
L’intelligenza era abolita in
= 12 dementi e 21 maniaci (f. e m.) e in 4 epilettici;
era normale in
= 26 maniaci, in 1 alcoolista, 6 pellagrosi ed 1 epiletti-
co
era esagerata in
= 6 monomaniaci, 1 isterica, 2 pellagrosi, 2 maniaci
Un giovane maniaco impubere improvisava delle stu-
pende arie musicali; un maniaco alcoolista, della classe
volgare, suonava varii stromenti, scriveva in bellissima
prosa, ed in versi non malamente rimati. Un pellagro-
so vicino alla demenza, due maniaci cronici ed una pella-
grosa rompevano i lunghi silenzii con epigrammi di una
singolare vivacità. Un monomaniaco, ambizioso, vecchio
birro in ritiro, scrive rapporti polizieschi, ed alcune volte
racconti pieni di fantasia. Un monomaniaco suona pu-

Storia d’Italia Einaudi 148


Cesare Lombroso - Genio e follia

re al clavicembalo concerti difficilissimi, e compone lon-


tano dal pianoforte pezzi musicali degni di qualunque
grande maestro. Un maniaco fabrica senz’averlo mai ap-
preso delle graziosissime statuette di creta. Un altro mo-
nomaniaco inventò degli strumenti d’ottone ingegnosis-
simi. Un’isterica sembra il vero genio della cartoleria.
Tutti però questi genii parziali accennano negli atti
stessi alla triste malattia che li preoccupa e paralizza. Co-
sì uno nel comporre tradisce un bel pensiero nascente
per far delle rime. Un altro sottoscrive sempre con una
formola identica le sue lettere per es. la data manca ma
la metterò in altra mia. Altri si preoccupano d’atti o fatti
insignificanti e vi danno grande importanza, per es. alla
collocazione di una tal sedia, all’iscrizione della tal boc-
cetta, alla raccolta di brandelli di carta, o si godono a far
delle cassettine e suddividerle infinitamente o disfanno
tele per procurarsi che potrebbero aver altrove più facil-
mente.
I furiosi si potrebbero confondere a primo tratto coi
dementi pel rotto e disordinato frantumarsi e succedersi
delle idee e delle parole. Ma una forte improvisa scossa
interrompe e spesso fa rientrare in sé stesso il maniaco,
non già il demente; il primo ogni tratto ragiona bene,
anche troppo, forse, non mai il secondo o almeno per
brevissimo tratto.
Eziologia Se le manie scoppiassero tutto ad un tratto o
sempre per causa morale come i non pratici imaginano,
certo l’eziologia sfuggirebbe del tutto al criterio medico-
legale. Ma non è così; e sopra 95 casi, o più propriamente
84, dei quali si poté scrutare l’eziologia, un solo caso ci
avvenne incontrare di mania istantanea, senza influenze
ereditarie e senza cause, ma anche questo portava già
chiara l’eziologia nella mala conformazione del cranio.
Le cause morali [...] furono pochissime e furono po-
che anche le morali associate alle fisiche; mentre inve-
ce le cause fisiche, il puerperio specialmente e l’eredità,

Storia d’Italia Einaudi 149


Cesare Lombroso - Genio e follia

furono così predominanti da formare più che sei ottavi


delle cause medesime.
In complesso è cosa più difficilissima il poter racco-
gliere e scemere in tutta l’interezza il vero, ma quando lo
si può si trova che le cause non solo non iscarseggiano
ma abbondano di troppo ed imbarazzano nella scelta.
Fra tutte le cause l’influenzi ereditaria spicca in un
modo saliente così che credo poter affermare che otto
volte su dieci la si possa riscontrare; e notisi bene, non
solo nei genitori, ma anche nei più lontani congiunti, nei
quali ti vien fatto a poco a poco rilevare tutta la protei-
forme schiera delle nevrosi e di quelle modificazioni ed
aberrazioni della mente sana, come la bizzarria, la ten-
denza a crimini ed alle bevande spiritose, che formano
delle varie gradazioni dell’alienazione stessa.
Della mania criminale La questione più capitale e più
difficile nello stesso tempo a risolversi nella medicina
legale degli alienati, non istà tanto nella distinzione dei
tipi maniaci o dementi, quanto in quelle tali vie di mezzo,
in quelle panneggiature che tengono della mente sana
e della alienata, specialmente poi in quanto siano esse
portate al crimine.
Fino a qual punto il delitto è pazzia e la pazzia è un
delitto?
Rifacciamoci anche quì all’amminicolo delle osserva-
zioni.
Noi, come risulta dalla seguente tabella, abbiamo,
sopra 107 alienati 10 con tendenze al furto
Abbiamo 13 individui con tendenze libidinose
Abbiamo 19 individui con tendenze all’omicidio, spe-
cialmente della moglie, del fratello e dei bambini
Abbiamo 16 individui con tendenze al suicidio
Né queste tendenze, già sì gravi per sé, erano isolate,
ma associavansi bene spesso tutte nello stesso individuo.
Tuttavia è desiderabile ad ogni modo che sorga da
noi, pei casi più difficili, quella stupenda istituzione dei

Storia d’Italia Einaudi 150


Cesare Lombroso - Genio e follia

manicomii criminali, la quale può torre alla società, al


giudice ed anche al perito, il pericolo, il rimorso, di
condannare un malato o di assolvere un colpevole. Ivi si
manderebbero tutti i casi meno accertabili di rei maniaci
e maniaci rei, si terrebbero custoditi tutta la vita; e la
società ne resterebbe molto meglio guardata che nol
sia dagli ergastoli, dai quali esce il reo punito, ma non
guarito, con la tendenza irresistibile alla recidiva ed anzi
all’impeggioramento.
La moda ispirata dalla mansuetudine dei tempi, e for-
s’anche da quello smodato andazzo per le antitesi che
predomina in coloro che non sapendo fare e nemmeno
trafare cercano almeno disfare, ha proclamato come ulti-
mo e nuovo farmaco delle alienazioni, la dolcezza, la per-
suasione, l’astinenza da ogni mezzo contentivo e perfino,
che Dio li perdoni, l’assoluta libertà. Illusione ben singo-
lare, quando si pensi come questo supremo bene riesca
dannoso anche pei sani quando non sieno squisitamen-
te educati ed onesti; e noi ben ce ’l sapiamo! E si tesso-
no, intanto, delle tele di Penelope che si disfaranno poi
fra pochi giorni, ma intanto hanno giovato a so disfare
quegli eterni proci che sono la vanità e credulità umana.
Per parte mia io credo che pei pazzi occorre tanta se-
verità quanta dolcezza, e forse più della prima che del-
la seconda; massime quando si tratti di alienati ricchi,
avvezzi, prima, ad usare ed abusare della loro volontà,
cosicché imbizziti poi, di sopraggiunta dall’alienazione e
dal vedersi obedire ad ogni minimo cenno, finiscono per
trasmodare in modo spaventevole, mentre invece per il
solo fatto di trovare una ferrea volontà opporsi recisa-
mente alla loro, essi qualche volta risanano od almeno
mitigano nel delirio, e sempre riescono poi a diventare
ossequiosi alle cure del medico, e più facili quindi a con-
durre a guarigione col mezzo dei farmaci.

Storia d’Italia Einaudi 151


Cesare Lombroso - Genio e follia

Fortunatamente pei partigiani della non restraint esi-


ste un mezzo commune agli avversari, e che ne tempera i
danni – la doccia ed bagno freddo.
La doccia è, come la chiama l’egregio mio maestro,
il Verga, nient’altro che una bastonata liquida, che ma-
schera però ogni intenzione repressiva con una vernice
terapeutica così densa da restare quasi velata ai profani,
e qualche volta anche alla trepida coscienza del medico;
essa, ammessa anche dai partigiani della non restraint,
pei pretesi suoi effetti terapeutici, finisce per temperarne
molto saviamente li abusi.
Se non che un ostacolo s’oppone, in molti manicomi,
all’uso della doccia; è quello di dovere per porla in opera
non solo maltrattare l’ammalato, ma anche li infermieri, i
quali partecipano, loro malgrado, alla liquida sferzata, e
così ripugnano ad eseguirla o la eseguiscono co’ modi
violenti che lasciano trasparire di troppo l’intenzione
punitrice.
Per ovviare a questi inconvenienti, ho adottato nella
mia clinica uno speciale apparecchio, la cui prima idea
mi venne suggerita dai bagni di Charenton, ma che do-
vrei perfezionare in grazia agli abilissimi consigli dell’e-
gregio ingegnere Dagna, a cui comunicai il mio progetto.
Esso consiste in una vasca commune di marmo inca-
strata da u lato nelle pareti della stanza e che porta un
coperchio di robusto larice.
Questo coperchio è composto di quattro pezzi; un
pezzo consistente in una striscia o travicello è aderente
ed incastrato in parte nel muro, e si articola col secondo
pezzo che costituisce propriamente il coperchio, e che si
può alzare ed abbassare come il coperchio di qualunque
cassa, e quando è alzato si può tener fisso con apposita
serratura al muro.
Questo coperchio finisce, all’uno dei capi con una lar-
ga apertura quadrata di tal larghezza da passarvi commo-
damente un uomo, apertura la quale è limitata ai lati da

Storia d’Italia Einaudi 152


Cesare Lombroso - Genio e follia

due robuste braccia o guide di legno le quali nella loro


parte interna presentano una scanalatura.
Entro questa scorre il 3° pezzo che è una paratoja,
che si può, a volontà, con un congegno praticato nel
coperchio grande fissare a quel punto che si desideri.
Questa paratoja finisce con una apertura semicircolare.
Il 4° pezzo consiste in una robusta asta di ferro o gancio,
che si articola con un anello nel mezzo del coperchio,
e quando il coperchio è abbassato fissandosi coll’altra
estremità nel muro lo tiene completamente immobile.
Pei casi di grandi e robusti individui capaci di gran-
di sforzi ho aggiunto una cinghia, le cui estremità esco-
no fuori dalle pareti della vasca in alto, e si restringono
appena vi si è collocato per entro l’ammalato. – Per co-
loro che fossero troppo piccoli e quindi non giungessero
col collo all’apertura semicircolare, fo collocare un pic-
colo sgabello al fondo della vasca. Per lasciare poi libe-
ro sfogo all’aqua della doccia, feci praticare parecchi fo-
ri imbutiformi colla base all’esterno – nel coperchio suc-
citato.
Prima del bagno si lascia scoperchiata la vasca o alme-
no si tira indietro la paratoja; quando il paziente vi è ada-
giato, si abbassa il coperchio, lo si fissa coll’asta di ferro,
si fa scorrere la paratoja in modo da circondare come con
un collare il collo del paziente, il quale si trova framez-
zo al margine della paratoja semilunare, e della estremità
pure semicircolare della vasca.
Tirata la paratoja, immediatamente la si fissa col con-
gegno praticato nel coperchio. L’ammalato, posto in tali
condizioni, si può lasciare solo a bagnarsi senza alcun ti-
more, si può assoggettare alla doccia senza che possa fa-
re la più piccola resistenza, e il medico può assistervi sen-
za mancare a quei dilicati riguardi del pudore che devo-
no rispettarsi anche nel triste recinto dei pazzi; si può ri-
sparmiare l’ajuto di parecchi infermieri, ma quello che è

Storia d’Italia Einaudi 153


Cesare Lombroso - Genio e follia

più, questo metodo rende assai più facile e più semplice


l’alimentazione forzata.
Infatti l’ostacolo più grande che s’incontra nell’ali-
mentazione forzata è nella straordinaria resistenza che
presenta il malato, che può fin rendere qualche volta pe-
ricolosa e crudele l’operazione ed obliga ad ogni modo
ad uno sviluppo di forza contentiva, con lacci e braccia
d’uomini tale da rendere più odiosa l’operazione al pa-
ziente e più incommoda agli altri.
Ora, collocato in questo bagno ove è già solito ad
entrare l’ammalato, non devia dalle abitudini, non esce
dalla solita prescrizione terapeutica ed è sottoposto ad
una contenzione così completa che basta ad impedirne
li sforzi, senza che si renda però più evidente la violenza
esterna.
Ma io non voglio finire queste linee senza dire due pa-
role a favore dell’alimentazione forzata. Io posso com-
prendere anche l’abolizione della doccia, non quella del-
l’alimentazione forzata.
Prima di tutto si hanno alienazioni che dipendono
da anemia, da mancanza di alimentazione, ed io non
comprendo come l’alienato se non si alimenti possa, non
che guarire, vivere. Poi anche quelli la cui mania è
scevra da anemia peggiorano ugualmente coll’astinenza
e peggiorano soprattutto le tonache gastriche che una
volta accatarrate ed atrofizzate non riescono più atte alla
buona digestione.
Ma quello che è più, il rifiuto dell’alimento spesso si
aumenta e si eterna quando non lo si contrasti coll’ali-
mentazione forzata. Io lo posso affermare recisamente:
sopra 290 alienati io applicai a 37 individui l’alimenta-
zione forzata col catetere esofageo e non l’ebbi a replicar
mai più di sei volte, anzi raramente più di tre. Gli è che
anche il pazzo ha sempre un barlume di logica, e quan-
do si accorge che la manifestazione della sua volontà rie-
sce sterile, che è vinta ad ogni modo, e con qualche do-

Storia d’Italia Einaudi 154


Cesare Lombroso - Genio e follia

lore per giunta, egli cede e non rinnova più in seguito la


sua opposizione.
E non solo io non ebbi a notare alcun danno dall’uso
del cateterismo esofageo negli alienati, non solo io con
questo vinsi la sitofobia e impedii il progresso delle ane-
mie cerebrali o generali, ma in un caso ho potuto osser-
vare dietro il cateterismo stesso perfino la guarigione del-
l’alienazione.

2
Il manicomio criminale

Si può discutere a lungo da un lato e dall’altro sulla teoria


della pena; ma in un punto ormai tutti convengono: che
fra i delinquenti e quelli creduti tali, ve n’ha molti che,
o sono, o furono sempre alienati, per cui la prigione
è un’ingiustizia, la libertà un pericolo, e a cui mal si
provvede da noi con mezze misure, che violano ad un
tempo la morale e la sicurezza.
Gli Inglesi, cui la pratica della vera libertà non rese,
come noi, cavillosi e ideologi, ma condusse alle riforme
per la via più pratica e più corta, hanno già da un seco-
lo tentato, e da sessantasei anni, quasi riuscito, a colma-
re dal lato più spinoso questa sociale lacuna coll’istitu-
zione dei manicomj criminali. Forse a questo passo s’in-
dussero più facilmente anche grazie alla speciale struttu-
ra del loro governo. Un paese che è monarchico ad un
tempo ed oligarchico; che ama il suo re come un sim-
bolo, e che, come l’antica Roma, ha ne’ suoi Lordi un
vero senato di re; un paese in cui la libertà ha un cam-
po sconfinato d’azione, e la giustizia preventiva uno as-
sai limitato, offre ai colpi degli alienati omicidi, religio-
si, ambiziosi, che mirano sempre a chi è più in grido, un
fianco troppo aperto perché non si dovesse provvedervi:
quando non solo il re, ma quasi tutti coloro che più in-

Storia d’Italia Einaudi 155


Cesare Lombroso - Genio e follia

fluivano sui destini e sulle fantasie popolari, Drummond,


Peel, Palmerston, furono spenti od assaliti da pazzi, com-
prese che grande pericolo incontratasi lasciando questi
fantastici amici in piena libertà o solo reclusi in manico-
mj, donde avrebbero potuto uscire tanto più facilmente
che dai processi stessi risultava come, quando si astraes-
se dal delirio politico od omicida, quegli sciagurati ra-
gionavano fin troppo lucidamente. Si venne quindi pri-
ma (nel 1786) al mezzo termine di confinarli in un ap-
posito comparto di Bedlam, donde non potevano usci-
re senza il beneplacito50 del gran cancelliere, che annual-
mente pagava per soli 140 di questi la non lieve somma di
tremila sterline a quell’istituto. Né questa misura poi ba-
stando, nel 1844 lo Stato si assunse di mantenerne 235 in
uno stabilimento privato a Fisherton-House, dove, dap-
prima completamente reclusi, negli ultimi anni finirono
a godere dei comodi, ed in pane della libertà concessa
agli altri alienati.
Ma crescendo sempre più la triste schiera di quegli
infelici, si finì coll’erigere dei manicomj speciali a Dun-
drum in Irlanda nel 1850, a Perth per la Scozia nel 1858,
a Broadmoor nel 1863 per l’Inghilterra; e l’accoglienza vi
fu regolarizzata da nuovi e minuziosi decreti51 , ordinan-
dosi di ricevervi non solo coloro che avessero commes-
so un delitto in istato di pazzia, o che fossero impazziti
durante il processo, ma anche tutti quei carcerati che, o
per alienazione o per imbecillità, fossero incapaci di sot-
tostare alla disciplina carceraria; questi ultimi sono divi-
si dagli altri in apposite sezioni; tutti hanno a guardia-
ni uomini fidatissimi, riccamente retribuiti, militarmen-
te disciplinati, e sono dimessi, in genere, soltanto dopo
un anno di prova, dietro proposta del medico, e con de-
creto del segretario di Stato, godendo però, salve le pre-
cauzioni maggiori per prevenire le evasioni, di quasi tut-
ti quegli agi di cui sono larghi gli Inglesi agli alienati: la-
voro nei campi e nei giardini, biblioteche, biliardi. Il nu-

Storia d’Italia Einaudi 156


Cesare Lombroso - Genio e follia

mero di questi maniaci criminali e pericolosi andò sem-


pre più crescendo; da 257 che erano nel 1844, a 924 nel
1864, a 1244 nel 1868.
In America, l’omogeneità della razza e degli studj, l’u-
guale tendenza alle riforme pratiche fece sorgere da po-
chi anni simili istituzioni; un grandioso manicomio cri-
minale è annesso al celebre penitenziario di Auburn, un
altro sorse nel Massachusetts, un altro nella Pensilvania.
Ora io mi chieggo: è egli possibile che un’istituzione
che fu trovata utile dalla nazione più oligarchica e dalla
più democratica; un’istituzione la quale, una volta fonda-
ta, si andò ampliando per modo da sestuplicare in ven-
tiquattro anni, senza che perciò abbia sembrato colma-
re appieno la triste lacuna; è possibile, dico, che una tale
istituzione sia un puro oggetto di lusso, un capriccio an-
glosassone; e non risponda invece ad un bisogno sociale,
così che noi dobbiamo desiderare che venga trapiantata
e diffusa fra di noi? E impossibile, parmi, il tentennare
nella risposta.
Ben è vero, sì, che la cifra ufficiale degli alienali cri-
minali impazziti nelle nostre carceri è molto scarsa; ma
la stessa sua eccessiva esiguità indica appunto quanta la-
cuna nasconda. È egli possibile, infatti, che un fenome-
no sociale in un popolo di numero inferiore. al nostro si
esplichi colla cifra di 1244, e da noi si arresti a quella di
55? E possibile, che mentre Thompson trova un aliena-
to ogni 150 nelle carceri inglesi, e Glower il 35 per 100, e
Delbruck e Scholz in Germania tra il 3 ed il 5 per 100, da
noi siano sì scarsi da discendere alla misera proporzione
di 0, 38/100?
I fenomeni sociali, in popoli di civiltà pressoché uguali
ed in climi poco differenti52 , si manifestano sempre con
una costante proporzionalità.
Ben più adunque che in Inghilterra, in Italia, deve dir-
si rappresentare la statistica ufficiale solo una parte de-
gli alienati criminali. E come ciò accada, ben si capisce:

Storia d’Italia Einaudi 157


Cesare Lombroso - Genio e follia

non essendosi fatta strada nel pubblico l’idea che una


gran parte delle azioni criminose muovano da un impul-
so morboso, molti di quelli passano per pigri, riottosi,
cattivi, e non per alienati; che se la pazzia fu riconosciu-
ta per movente solo del reato e annulli ogni procedimen-
to, l’autorità non se ne preoccupa e non ne tiene conto,
cosicché questo dato manca nella pur sì bella e recentis-
sima Statistica giudiziaria penale del Regno; alcuni, poi,
di questi infelici manifestando, come è loro proprio, del-
le forme miste di alienazione e di mente sana, sono pre-
si per simulatori; non pochi altri, anche essendo creduti
pazzi, non sono denunciati, sulla lusinga che possano in
breve guarire; più che tutto, perché non è facile ne eco-
nomico il loro collocamento; rifiutandosi molti manico-
mj a riceverli, o esigendo rette triplici delle carcerarie, e
che sono per gli impresarj e pei direttori un vero spaurac-
chio. Io infatti, nell’esame di sole sei case di pena, ne ho
potuto trovare una cifra rilevante. Notai un microcefalo
(0,50 di circonferenza) che stando a G. si lagna di esse-
re continuamente magnetizzato dai carcerieri di Brindisi
che gli rubano il fiato. Un tal P. credeva che il direttore
lo volesse far morire con macchine; un R. si diceva affa-
mato ed avvelenato da lui; un altro era preso da tale un
terrore, od odio che fosse, de’ suoi carcerieri, che cadeva
in convulsioni ogni volta che entrassero nella sua cella.
Un Romagnolo si rifiuta ad ogni lavoro, si dice parente
del re, capo di tutti i repubblicani romagnoli, e tratta con
profondo disprezzo i più alti impiegati del penitenziario.
Tutti ricordano in A... quel terribile V. che un giorno,
collocatosi dietro una latrina, si mise a ferire con un ferro
aguzzo quanti gli capitassero fra mano, e che, incatenato
nel fondo d’una segreta, cantava allegramente: «Non è
ver che sia la morte il peggior di tutti i mali»; e con quello
strano canto andava al patibolo.
A P. E., oste, processato per furto, e già due altre
volte alienato, si dà all’improvviso a gridare contro i

Storia d’Italia Einaudi 158


Cesare Lombroso - Genio e follia

giudici, protesta che è amico del re, cui scrive stranissime


lettere, si appiccica al berretto delle fascie di carte che lo
designano, a suo dire, colonnello; un giorno asserraglia
l’entrata del camerotto coi banchi e colletto, e ce ne volle
a poter farsi strada fino a lui!
A., un omicida, col capo aguzzo, oxicefalico, che ha
padre e fratello alienati, fu preso due volte da accessi
furiosi che si credettero simulati!
La stessa relazione ufficiale parla di sei suicidi che die-
dero segno di pazzia; d’uno fra gli altri condannato per
furto, unione in banda armata ed evasione, che era affet-
to da un vero furore ogni volta vedesse i guardiani, che
pretendeva causa della ruina di un suo fratello, anch’es-
so, si noti, demente e pur detenuto nella casa di pena.
E la stessa relazione ufficiale accenna a un 7 per 100 di
uomini e 12 per 100 di donne criminali incapaci di istru-
zione alcuna, che da sole basterebbero a far presumere
una proporzione ben più grande di alienazione fra essi.
Ora, pur lasciando da parte l’offesa che reca al senso
morale la dimora di questi infelici nella casa di pena, la
non vi è d’altronde scevra di danni e per la disciplina e
per la sicurezza; essi non vi si ponno curare perbene, per-
ché mancano gli opportuni locali, l’apposita disciplina,
gli specialisti: rimanendo in mezzo agli altri, questi scia-
gurati che hanno perduto, grazie alla alienazione, quel
pudore del vizio che è l’ipocrisia, si abbandonano ad at-
ti violenti ed osceni, tanto più pericolosi perché scoppia-
no improvvisi, e spesso o per futili cause o ragioni, come
quello di A. che uccise un compagno perché non gli vol-
le lucidare le scarpe, e quell’altro... che si dié a ferire due
o tre della sua cella perché erano nati in Ferrara, paese
a lui antipatico; e sempre resistono con tenacia ostina-
ta alle discipline carcerarie, mostrandosi indifferenti al-
le punizioni, scontenti di tutto, diffidenti degl’impiega-
ti, che credono i proprj nemici, e su cui gittano spesso le
colpe da loro stessi commesse e che annojano con conti-

Storia d’Italia Einaudi 159


Cesare Lombroso - Genio e follia

nue istanze e reclami; in breve, si fanno centro e pretesto


di continue ribellioni. Che se, come pur troppo si usa53 ,
tengansi isolati e incatenati nelle celle, non riescono più
di noja ad alcuno, ma per l’inerzia, pel vitto che s’assotti-
glia a chi non lavora, per la scarsa luce, si fanno idremici,
scorbutici, quando colla violenza non abbreviino, ancor
più presto, la triste loro vita.
D’altra parte, l’invio loro ai manicomj è seguito da altri
malanni. Essi vi portano tutti i vizi e le abitudini delle
classi immorali d’onde sortirono; continui vociferatori ed
attaccabrighe, pieni di una morbosa idea di sé medesimi,
si mostrano scontenti sempre del trattamento dell’asilo,
e reclamano come un favore il ritorno alla prigione; si
fanno apostoli di sodomie, di fughe, di ribellioni, di
furti, a danno dello stabilimento e degli ammalati stessi,
a cui coi loro modi osceni e selvaggi e colla triste nomea,
che li precede, destano spesso paura e ribrezzo, come il
desta nei congiunti il sapere accomunati con essi i proprj
cari; chi non sentirebbe orrore di avere avuto un figlio
compagno nel dormitorio con Boggia?
Quegli altri, poi, alienati che non hanno ne ebbero le
prave tendenze abituali di questi, che non passarono nei
delitti la vita, ma che furono o sono vittime di un impul-
so delittuoso isolato, spuntato in una data epoca dell’e-
sistenza, benché non destino il ribrezzo dei primi, non
ne sono meno pericolosi; essi non possono, spesso, con-
tenersi dal compiere quegli atti feroci, cui li spinge una
crudele natura; feriscono, incendiano; superano, per la
maggior lucidezza di mente, quanti ostacoli voi loro frap-
poniate. Altri fingono la calma più completa, ma solo per
poter persuadervi a porli in libertà, o per combinare alla
sordina un’evasione, un complotto, poiché questo han-
no di speciale i pazzi criminali e molti di quegli istintivi
o pericolosi, che non rifuggono, come altri alienati, dalla
società, cui pure tormentano colle loro violenze, ma ten-
dono ad associarsi fra loro, e siccome conservano quel-

Storia d’Italia Einaudi 160


Cesare Lombroso - Genio e follia

lo spirito di continua irrequietudine e di incontentabili-


tà che li animava prima d’essere pazzi o delinquenti, co-
sì credono che voi siate sempre sul maltrattarli, insultar-
li; riecono quindi a istillare queste idee false negli altri,
e dare a poco a poco corpo alle idee di fughe, di ribel-
lione, ai cui sarebbero incapaci i comuni alienati, isola-
ti nel proprio mondo come sonnambuli: in questo s’ac-
cordano appieno tutti gli alienisti, il Roller, il Boismont,
il Delbruck, il Reich, il Solbrig, ed io n’ebbi delle prove
palpanti nel mio manicomio.
R..., monomaniaco omicida, dal fronte sfuggente al-
l’indietro, dalla fisionomia dolce e dilicata, aveva strozza-
to colle proprie mani, quando ancora si credeva di men-
te sana, una tenera nipotina. Siccome erano molte le ra-
gioni che ci adduceva per mostrarsene innocente, ed egli
ci appariva docile, laborioso ed innocuo, noi, scorsi alcu-
ni mesi, credendolo guarito, lo rimandammo. Due giorni
dopo tentava di strozzare il sindaco che lo aveva spedito
al manicomio, e minacciava nella vita la moglie. Ritorna-
toci di nuovo, si rifaceva l’uomo più quieto del mondo,
ma noi, fatti accorti dall’avvenuto, non ce ne fidammo, e
facendolo sorvegliare più minutamente, si venne a sape-
re che tutta quella mansuetudine era una lustra allo sco-
po di meglio soddisfare il bisogno di nuocere, per poter
far man bassa sui vecchi e i malaticci, o sui deboli, e aiz-
zare i forti fra loro, od istigarli ed ajutarli alla fuga: un dì,
per es., egli finse ajutare un infermiere al trasporto di un
epilettico col quale avea vecchie ruggini, e appena si vide
solo, sbalestrò sopra lui, inerme e legato, un pugno sì for-
te che gli franse le reni; tanto era poi il terrore ch’egli sa-
peva inspirare ai compagni ed anche agli infermieri, che
l’orribile fatto non si venne a sapere se non dopo molto
tempo da un convalescente che, uscendo, non avea più a
temere della sua vendetta. Ebbene, questo alienato, che
aveva nelle viscere incarnato l’odio dell’uomo, non pote-
va far senza della società umana; e quando io, temendo-

Storia d’Italia Einaudi 161


Cesare Lombroso - Genio e follia

ne nuovi misfatti, volli isolarlo in una cella, e anche so-


lo in un cortile, prima minacciò e poi tentò strangolarsi,
finche m’adattai a lasciarlo ancora cogli altri, sotto rad-
doppiata guardia.
Di tutto ciò, però, poco avrebbero a soffrire quei
fortunati che non mettono mai il piede in quei tristi
recinti; ben peggio va la bisogna per tutta la società, in
grazia dei molti pazzi inclini a mal fare, che (mancando
una legge od un istituto apposito che li riguardi) passano
i loro giorni in mezzo ad essa, sempre attendendo a’ suoi
danni, e senza che alcuno sospetti, pure da lontano, delle
bieche loro intenzioni.
Sono, in genere, monomaniaci che sanno assai accor-
tamente dissimulare il delirio per modo che a mala pena
ne sospetta la stessa famiglia, ovvero, sono pazzi preco-
cemente dimessi dai direttori dei manicomj, spesso per
non incorrere in accuse di violata libertà personale, op-
pure sciagurati, che avendo commesso, in un primo de-
lirio, azioni criminose, furono condannati, e scontata la
immeritata pena, tornando in mezzo agli altri più amma-
lati di prima, o riconosciutasi la loro pazzia, furono pro-
sciolti da ogni accusa emessi in libertà. Gli è che, consta-
tata anche, che siasi, in un accusato l’alienazione come
causa del reato, non ne segue che esso debba essere spe-
dito ai manicomj, o quando ve lo sia, niuna legge impo-
ne che vi abbia ad essere ritenuto indefinitamente e sot-
to speciale responsabilità dei direttori; sicché questi fini-
scono col dimetterlo, cedendo alla continuità della calma
apparente, alle replicate richieste dei malati e delle illuse
famiglie, non mai abbastanza persuase della realtà della
propria sventura.
Accade sì che quando la pazzia si palesi durante il pro-
cedimento (819 Cod. Proced. Penale), esso viene sospe-
so, e il reo sia spedito al manicomio; ma molte volte e’
ne approfitta per evadere, come ne vedremo fra poco un
esempio; più spesso ne perturba, come già dimostram-

Storia d’Italia Einaudi 162


Cesare Lombroso - Genio e follia

mo, l’andamento, e ad ogni modo, se perduri indefinita-


mente l’alienazione, il procedimento non ha alcuna so-
luzione, e come la giustizia rimane insoddisfatta e sem-
pre sulla ricerca di un problema, con danno dell’impu-
tato o della sua vittima, così ne rimane scontenta la pub-
blica coscienza, ed eccitatane la malignità umana a falsi
e tristi sospetti, che, certo, non si incorrerebbero per un
invio ai manicomj criminali così, paralleli ad un carcere.
Il più sovente, però, essi si trovano liberi in mezzo a
noi, e tanto più pericolosi perché, sotto l’apparenza della
più perfetta calma, della più lucida intelligenza, tenace-
mente conservano gli impulsi morbosi, dandone, quan-
do meno si sospetta o alla più lieve occasione, irrepara-
bili prove. Esempj di questa facile recidività della ten-
denza morbosa si trovano in tutti gli autori, nel Gianel-
li, nel Brierre, nel Delbrück, nel Solbrig, nel Poli, nel
Miraglia, nel Verga, nel Biffi; in tutti quanti, insomma,
ebbero a trattare questo argomento: poco sopra io stes-
so vi confessai come, ingannato dalla apparente docilità
d’un alienato, ebbi a dimetterlo con gravissimo pericolo
altrui. Or ora, i fogli raccontarono che il borgomastro di
Gratz fu vittima d’un monomaniaco religioso che alcuni
anni prima aveva minacciato un’altra esistenza. – Haltd-
field, prima di attentare a re Giorgio III, aveva cercato di
uccidere la moglie e i suoi tre figli; rinchiuso in Bedlam
ammazzava un alienato.
Il danno di questa libertà sconfinata lasciata ai pazzi
ragionanti finisce coll’estendersi, in dati momenti, all’in-
tera nazione.
E ciò non solo perché (come abbiamo veduto per gli
assassini di Lincoln e di Giorgio III) quegl’infelici volgo-
no il pensiero omicida verso i maggiorenti della nazione,
ma anche perché, dotati come sono d’una lucida mente e
d’una grande tendenza all’associazione, quando trovino
il momento favorevole, riescono a formare un nucleo set-
tario, tanto più terribile, che non avendo a moderatore la

Storia d’Italia Einaudi 163


Cesare Lombroso - Genio e follia

mente sana, non è capace d’arrestarsi nel suo cammino e


di temperarsi, ed agendo sulle menti dei volghi per il fa-
scino stesso della sua stranezza, riesce a trascinarli cieca-
mente dietro di sé; sono, direi, molecole di fermento, im-
potenti per sé, ma terribili negli effetti quando possano
raggrupparsi ed agire in una data temperatura, entro un
predisposto organismo. Noi n’ebbimo un esempio nelle
storiche pazzie epidemiche del medio evo, che si ripeto-
no nei Nichilisti di Russia, nei Mormoni e nei Metodisti
d’America, negli incendiarj di Normandia del 1830, e or
ora in quelli della così detta Comune parigina.
Poiche è ormai dimostrato che, toltane l’influenza di
pochi furbi e più pochi ideologhi, essa fu l’effetto d’una
pazzia epidemica a cui prestarono mano le passioni con-
citate dalla sconfitta (così come la paura nelle follie dei
contagi), l’abuso dell’assenzio, ma più di tutto il gran-
de numero di alienati ambiziosi, omicidi e fino paraliti-
ci, liberati troppo presto dai manicomj, e che rinvenendo
in quella popolazione commossa, un terreno propizio, si
associarono e posero in atto gli sciagurati loro sogni.
Laborde ( Les hommes de l’insurrection de Paris devant
fa Psychologie, 1872) enumera ben otto membri della
Comune, notoriamente alienati o figli di alienati.
Anche gli orrori dell’89 ebbero spesso a movente delirj
di monomaniaci e omicidi, come Marat e La Terroigne.
Certo noi Italiani non siamo ancora guasti dall’alcool
e dalla superbia, e sapremmo colla temperanza latina
opporre maggior resistenza alla sventura. Ma tuttavia,
quando pensiamo agli orrori che la paura del colera pro-
vocò nell’Italia del sud, e ai torbidi suscitati nell’Emilia
dal macinato, nei quali, secondo uno studio accuratissi-
mo dello Zani, appunto presero parte sette alienati54 , do-
vremmo dubitare, anche noi, che, continuando a lasciare
in libertà certe specie di alienati, potremmo vedere per
opera loro turbata la nostra ammirabile calma, quando si
presentasse uno di quegli avvenimenti atti a commuove-

Storia d’Italia Einaudi 164


Cesare Lombroso - Genio e follia

re le fantasie popolari e a dar corpo a quelle molecole di


sedizioso fermento, che sono i pazzi criminali.
Ma solo l’istituzione di un manicomio criminale mi pa-
re capace di far cessare quell’eterno conflitto colla giu-
stizia e colla sicurezza sociale, che si rinnova quasi ogni
giorno, quando si tratta di giudicare quegli infelici, che
non si può o non si sa precisare se veramente furono
spinti al delinquere da un impulso morboso o da per-
versità dell’animo loro.
Posti nel dubbio, in simili casi, i giudici, cui la leg-
ge non offre una via di mezzo con qualche istituzione,
e nemmeno con qualche articolo di codice, se ne cava-
no ora con una ingiustizia, ora con una imprudenza, as-
solvendo quando la follia appaja loro evidente, e quan-
do meno, diminuendo di qualche grado la pena... ed ahi,
bene spesso anche condannando, e condannando perfi-
no a morte, quando la follia appare chiara soltanto agli
occhi dei medici55 . Voi ricordate quella Jeanneret, au-
trice di nove avvelenamenti, commessi senz’alcun lucro,
senz’altro movente che il piacere maniaco di sommini-
strare agli altri, come a sé stessa, delle sostanze medica-
mentose, e poterne predire i terribili effetti: era un mo-
dello di monomania impulsiva, come ben la chiamò Po-
li, jatroliptica: – eppure fu condannata; e quasi contem-
poraneamente era condannato il Chorinzki come avve-
lenatore, un uomo che, epilettico fin dalla fanciullezza,
avea dovuto segregarsi dai parenti, perché tentava mor-
dere e colpire i primi venuti, e fino i fratelli, e che, po-
co tempo dopo la condanna, morì con accessi furiosi e
paralitici; ed erano pur condannati il Jeanson, che sen-
za alcun chiaro movente colpiva il proprio intimo ami-
co e dava fuoco al seminario, e contava padre, zii, fratel-
li alienati, e quel Jobard che, per morire coi benefizj del-
la religione, uccide la prima persona che trova in teatro,
e contava sette parenti impazziti; e ben era alienato quel
Verger, fratello e figlio di un suicida, che uccideva l’arci-

Storia d’Italia Einaudi 165


Cesare Lombroso - Genio e follia

vescovo di Parigi, da cui avea ricevuto continui benefizj,


mentre risparmiava il superiore che solo l’ebbe a punire;
quel Verger, che, poco tempo prima, si era mostrato sul-
le pubbliche piazze con un cartello bizzarro, appiccica-
to alle spalle, e che, dopo compito l’orrido fatto, si era
messo a gridare: Anatema! Anatema! Ed alienato è pu-
re quel nostro Costa, parricida a 18 anni, con nonno e zii
pazzi, e semipazzi i fratelli e la madre, che, colpito dal-
la lettura d’un certo testo greco, uccide a colpi di martel-
lo suo padre dormente, lo mette in una cassa, cui, senza
una ragione al mondo, spedisce ad un prete suo amico,
e poi, invece di fuggire, passa la notte a ballare ed a suo-
nare il violino. E quell’altro, osservato da Delbrück, che
ammazzava a colpi d’accetta la moglie ed i suoi cinque fi-
gli, perché potessero godere delle delizie del paradiso, e
sentiva in prigione le voci di loro che lo ringraziavano.
Forse anche dovrebbero imbrancarsi tra costoro an-
che que’ sciagurati la cui vita fu tutta un seguito di de-
litti, ma in cui rivelaronsi profonde anomalie dell’organi-
smo, cerebrali, in ispecie. I cranj di Benoist, di Lemai-
re, di Freemann, di Preedy56 presentavano, dopo morte,
le suture saldate precocemente, e le meningi così ispessi-
te e aderenti alla sostanza cerebrale, come solo si trovano
negli ammalati da cronica meningite. Io non credo che
il più fanatico giurista della vecchia scuola avrebbe cuo-
re di condannare a morte un uomo, di cui avesse avu-
to la certezza che nel commettere il crimine era affetto
da infiammazione della meninge. E quel Villella, puni-
to quattro volte per furto e per incendio, avrebbe potuto
condannarsi, senza esitanza, da giudici che avessero rile-
vata in vita quella straordinaria anomalia che io rinvenni
nel suo cadavere, d’un cervelletto mediano, d’un organo
cerebellare che non esiste nemmeno negli antropomorfi,
che l’abbassava al di sotto dei pitechi?
Io so che da molti si objetta, che, lasciandosi trascina-
re da simili dubbj, si finirebbe col non punire nessuno:

Storia d’Italia Einaudi 166


Cesare Lombroso - Genio e follia

ma ricordo che analoghe objezioni si alzarono, un tem-


po, a chi s’opponeva alla bruciatura di quegli altri alie-
nati che si chiamavano stregoni. Mi pare anche che per
essi potrebbe ancora ripetersi l’arguta sentenza di Mon-
taigne, che, «ad ogni modo, è un pagare a troppo caro
prezzo un dubbio, col farne arrostire degli uomini vivi».
D’altronde, qui, non si tratta d’una pietà sentimenta-
le e pericolosa all’altrui salute, si tratta anzi d’una misura
più di precauzione che umanitaria, poiché, se son mol-
ti i condannati, sono anche molti gli imprudentemen-
te prosciolti; equi si tratta invece di disporre in modo
che non possano ritornare, se non quando sieno perfet-
tamente innocui, frammezzo a quella società a cui sono
di tanto pericolo.
Si opporrà che molte volte si confonderanno insieme
coi veri alienati molti simulatori; il numero infatti di co-
storo fra i delinquenti è grandissimo; ma gli ultimi stu-
dj vanno sempre più rivelandoci che tale soltanto ci ap-
pare per la ignoranza in cui sono i più sui rapporti della
pazzia col delitto, e per la difficoltà di fare una diagno-
si giusta; che una gran parte dei creduti simulatori sono,
o predisposti alla pazzia, sicché in breve vi ricadono sul
serio; o veri e proprj pazzi che, ignorando la propria ma-
lattia, ne simulano una artificiale, al che, com’è naturale,
riescono mirabilmente; o più spesso, ammalati che, pre-
sentando forme affatto nuove o rarissime di frenopatia,
destano ingiustamente la diffidenza del medico.
Il Wiedemeister57 oppone che, coll’istituzione dei ma-
nicomj criminali, si verrebbe a ledere la giustizia, poten-
dosi dare dei casi di pazzi delinquenti che guariscono del
tutto, e cui sarebbe ingiustizia tenere reclusi; se non che
questi casi (salvo le forme acute) sono assai rari, la stati-
stica di Broadmoor dandoci la povera cifra di 39 guari-
ti su 770 ricoverati, in cinque anni; e ad ogni modo poi,
a questo inconveniente si può rimediare, concedendo la
libertà a quei pochi, cui una lunga osservazione dimostri

Storia d’Italia Einaudi 167


Cesare Lombroso - Genio e follia

completamente guariti. Che se nell’intervallo qualcuno


di questi abbia a soffrire, la è ben povera cosa in con-
fronto ai moltissimi che potrebbero patirne per sempre,
e in confronto alle molte e non temporanee e spesso ir-
reparabili ingiustizie che con queste nuove istituzioni si
riuscirebbe a prevenire.
Il Wiedemeister objetta, ancora, che i manicomj crimi-
nali d’Inghilterra offrono tristissime scene di sangue, ed
esigono pel mantenimento dei ricoverati una spesa tripla
degli altri. Ed è vero: infatti, nel 1868 a Broadmoor 72
furono i ferimenti degli infermieri, di cui due gravissimi,
e la diaria vi si elevava, specialmente per i grassi stipen-
dj degli infermieri, a cinque lire per alienato. Ma ciò non
desta alcuna meraviglia, né può provocare una seria op-
posizione. È naturale che l’accumulo di tanti individui
pericolosi, con tendenza ad associarsi nel mal fare, ge-
neri un vero fermento malefico, e dia luogo a gravi acci-
denti, specialmente a spese dei poveri guardiani, i qua-
li, malgrado la ricompensa più elevata, vi abbandonano
presto il servizio58 . Ma se questi sono gravi inconvenien-
ti, essi ne riparano molti e molti altri, che accadrebbero
nei singoli manicomj se quella istituzione non esistesse.
Le evasioni, le ferite che si deploravano tanto nel ma-
nicomio criminale, si osserverebbero, allora, un po’ dap-
pertutto negli altri manicomj, evi renderebbero impossi-
bile la nonrestraint, come ho potuto dimostrare più so-
pra; invece, insomma, di uno, avremmo avuto cinquan-
ta manicomj contristati da scene di sangue, nessuno dei
quali provveduto di guarentigie speciali per le evasioni.
Ma va pur contemplato a questo proposito il fatto singo-
lare, rivelato dallo studio statistico dei manicomj crimi-
nali, che dappertutto la mortalità vi è minore della me-
tà circa di quello che nei manicomj comuni, così in In-
ghilterra come in America – il che è uno stimolo non lie-
ve alla loro istituzione, e insieme una prova che le brutte

Storia d’Italia Einaudi 168


Cesare Lombroso - Genio e follia

scene che pur vi si lamentano, non sono così gravi negli


ultimi effetti, come si vorrebbero dipingere.
Coloro cui nulla sa di buono che non porti il bollo
francese o prussiano, potranno objettare: che nulla di si-
mile sia mai stato fatto nel Belgio, in Francia od in Ger-
mania; noi potremmo ben rispondere come quelle nazio-
ni, più innanzi di noi in alcuni lati della vita intellettua-
le, siano più indietro in alcuni della sociale, la Germa-
nia in ispecie; e che, ad ogni modo, il bene, quando sia
evidente, si deve adottare anche se non sia stato accol-
to dagli altri. Ma, del resto, quasi tutti questi popoli, se
non hanno un vero manicomio criminale, hanno leggi o
istituzioni che in parte vi suppliscono.
Noi invece, non solo non abbiamo alcuno stabilimento
speciale, ma nemmeno un rigo di legge in proposito;
noi ebbimo finora, come ben dimostrò già da tempo il
Gianelli, alcuni articoli del codice, che sono l’espressione
della più strana contraddizione umana; in uno (94) si
ammette non esservi reato quando siavi pazzia, ecc.;
nell’altro (95) si ordina di scemare di qualche grado la
pena, ma di punire quando la pazzia, l’imbecillità, il
morboso furore non siano in tal grado da rendere non
imputabile! frase che, se non fosse assurda, almeno pei
psichiatri, sarebbe, ad ogni modo, pericolosissima nelle
applicazioni pratiche, come tutte le astrazioni che, per
la loro elasticità e imprecisione, sfuggono al criterio dei
molti.
Or io credo si debba chiedere, in nome del progresso
umano, che si modifichi quel fatale paragrafo nel senso
del paragrafo 28 (paragrafo restato quasi sempre lettera
morta), che commina la custodia ai criminali minori di
14 anni e di poco discernimento, perché appunto i paz-
zi delinquenti sono presso a poco altrettanto responsabi-
li quanto costoro, e si ordini «la custodia fino a completa
guarigione, in case apposite di salute, di coloro che com-
misero reati in istato di pazzia o di altra infermità, che

Storia d’Italia Einaudi 169


Cesare Lombroso - Genio e follia

possa anche in leggier grado impedire l’uso della ragione


e della volontà, come pure di quei condannati che diven-
tino pazzi durante la loro detenzione, e che non abbiano
potuto guarire dopo tre mesi di cura prestata in apposite
infermerie nelle case di pena».
E alla legge dovrebbe seguire dappresso la fondazione
di un manicomio criminale, capace di almeno 300 letti.
In questo dovrebbero essere ricevuti:
1.º Tutti i servi di pena impazziti, e con tendenze pe-
ricolose, incendiarie, omicide od oscene, dopo trascorso
lo stadio acuto del male.
2.º Tutti gli alienati che, per tendenze omicide, incen-
diarie, pederastiche, ecc., vennero sottoposti a inquisi-
zione giudiziaria, restata sospesa per la riconosciuta alie-
nazione.
3.º Tutti quelli imputati di crimini strani, atroci, senza
un movente chiaro, o con un movente sproporzionato al
delitto.
4.º Quelli che furono spinti al delitto da un’abituale,
evidente, infermità, come: pellagra, alcoolismo, isteri-
smo, malattie puerperali, epilessia, massime quando ab-
biano parentele con alienati o con epilettici, e presentino
una mala costruzione del cranio.
5.º Gli alienati provenienti dalle carceri, che notoria-
mente passarono una parte della loro esistenza nei vizi,
nei delitti, dovranno essere segregati in appositi compar-
ti. Gli altri alienati non saranno riuniti che a piccoli grup-
pi, a seconda dei ceti e delle abitudini; dormiranno cia-
scuno in una cella; la disciplina dovrà essere severa, la vi-
gilanza maggiore che nei manicomj comuni, e analoga a
quella delle case penali, ma il lavoro proporzionato alle
forze, all’aria aperta, alternato da lunghi riposi, da diver-
timenti, biliardi, ecc.
La direzione dovrebb’essere medica, il personale car-
cerario.

Storia d’Italia Einaudi 170


Cesare Lombroso - Genio e follia

Gli individui riconosciuti abitualmente pericolosi, e


già sottoposti a varj processi, non potranno essere dimes-
si mai; gli alienati a follia istantanea, od intermittente,
che offrano segni di perfetta guarigione, saranno segna-
lati per la dimissione dopo uno o due anni di osservazio-
ne, ma sottoposti, dopo la loro uscita, a visite mediche
mensili per molti anni di seguito.
Ma la lentezza, con cui in Italia s’accolgono tutte le se-
rie riforme, e la indifferenza della stampa per tutto che
non si infanghi nelle questioni personali o di partito, e
sopratutto la grettezza o la strettezza delle nostre finan-
ze, saranno ostacoli grandissimi all’impianto degli appo-
siti manicomj criminali, che certamente esigerebbero una
spesa maggiore degli altri manicomj. Lo chiederei che,
almeno fino a quel giorno in cui si possano fondare, si
stabiliscano nelle grandi case di pena dei comparti pei
condannati impazziti, in cui la sorveglianza esteriore pur
restando uguale, mutasse la disciplina, il metodo del vit-
to, di convivenza, di lavoro; e che nei manicomj provin-
ciali dei grossi centri, regionali almeno, si aprissero dei
comparti speciali per le forme intermedie di pazzie cri-
minali, sorvegliati da un apposito personale, e in cui la
dimissione non possa aver luogo se non con istraordina-
rie cautele.
Queste ultime proposte, d’assai facile attuazione, sa-
rebbero utili ad ogni modo, anche se si fondasse il ma-
nicomio criminale, onde evitarvi l’affluenza dei ricovera-
ti, e ridurla alla pura necessità; onde impedire l’odiosa e
pericolosa mescolanza degli onesti ed innocui coi vizio-
si: ma da sole non raggiungerebbero però quell’altissimo
scopo a cui un giorno è destinato a toccare il manicomio
criminale, quello di gettare alla chetichella la base d’una
riforma penale, in cui la pena non sia più una vendetta,
ma una necessità di difesa.
Io non saprei abbastanza ringraziare l’egregio dott.
Biffi, per il potente ajuto che porge colla sua Memoria

Storia d’Italia Einaudi 171


Cesare Lombroso - Genio e follia

a quel progetto, che tanto mi sta a cuore, dei manicomj


criminali in Italia. Ma per quanto grande sia la mia
gratitudine, non posso però tacere su alcune discrepanze
che ci dividono.
Egli dubita che vi siano tanti alienati delinquenti,
quanti io ne suppongo, e si fa forte delle indagini di pa-
recchi manicomi che ne scarseggiano; ma egli non pensa
che così, inconscio, si aggira in una petizione di princi-
pio; scarseggiando gl’individui riconosciuti alienati nel-
le carceri, è naturale che essi debbano scarseggiare negli
ospedali; ma resta sempre probabile che individui vera-
mente maniaci non sieno riconosciuti tali, e quindi non
vi vengano spediti. E giustissimo quanto egli dice, che
molti sono gli individui i quali dovrebbero accorgersene;
medico, direttore, cappellano, guardiano, ecc.; ma il me-
dico non specialista, non si capacita se non delle forme
le più grossolane di alterazione mentale; il direttore è in
contatto co’ suoi condannati, tanto poco, come un co-
lonnello coi suoi soldati; i guardiani che soli lo sono ve-
ramente tendonono sempre a credere cattiveria, malizia
la pazzia, come del resto tutte le persone del volgo. D’al-
tronde vi è un personaggio, misterioso, che spiega anche
la rarità degl’invii nei manicomj; è l’impresario, alle cui
spalle ricade la manutenzione del condannato divenuto
alienato, e che in luogo di 60 centesimi deve spenderci
dai 2 ai 3 franchi al giorno. Se l’egregio dott. Biffi, in-
vece di un manicomio privato, dirigesse un manicomio
pubblico, si sarebbe accorto delle noje che danno que-
sti messeri, degl’intrighi che tessono per ritirare presto
gli alienati dal manicomio, o per fare che essi non v’en-
trino. [...] Oltre a ciò, l’idea del manicomio criminale si
deve fecondare, non tanto per provvedere ai delinquen-
ti divenuti pazzi, i quali, finché sono in prigione, in qual-
che modo sono tutelati essi stessi e poco pericolosi; ma
sibbene per collocare quella specie intermedia tra il de-
litto e la pazzia, di cui Agnoletti, la Jeanneret, Verger,

Storia d’Italia Einaudi 172


Cesare Lombroso - Genio e follia

Jeanson sono terribili esempj, e che si vedono raramen-


te nei bagni, ma che pur troppo folleggiano liberi e fatali
in mezzo a noi, quando con un’ingiustizia troppo giusti-
ficabile non si condannino a pene da cui come ammalati
dovrebbero essere esenti, violando così l’umanità o tur-
bando la sicurezza sociale. Egli crede che i delinquenti
italiani non sieno di natura feroce e inclinati a pazzia, co-
me quelli degli altri paesi, e lo deduce dalla propria espe-
rienza; ma io reputo che appunto questa l’abbia tratto in
errore, perché egli non ebbe a bazzicare se non coi de-
linquenti minori dei riformatorj e delle carceri giudizia-
rie. Se avesse avuto a trattare coi condannati delle gale-
re o dei bagni, egli, così sagace e fino osservatore, avreb-
be tenuto ben altro giudizio. Sopra un esame di 835 de-
linquenti dei bagni, ho trovato

90 individui con la testa di cent. 53 di circonferenza


42 individui con la testa di cent. 52 di circonferenza
15 individui con la testa di cent. 51 di circonferenza
7 individui con la testa di cent. 50 di circonferenza
1 individui con la testa di cent. 49 di circonferenza

Sono in tutto 155 microcefali o submicrocefali sopra


835. Ciò mi dimostra che uno dei caratteri fisici più sa-
lienti, la microcefalia, osservata dagli Inglesi nei delin-
quenti così spesso, si osserva pure da noi con eguale fre-
quenza: e il dott. Biffi converrà che con testa piccola è
facile avere intelligenza sbagliata.
Né io posso ammettere, com’egli propenderebbe, che
il carattere morale di questi immoralissimi uomini sia mi-
gliore da noi che non altrove. In genere, i fenomeni psi-
cologici si presentano, come i fisici, con una sorprenden-
te uniformità da per tutto, e se vi è qualche carattere dif-
ferenziale, per esempio nel delirio degli alienati, è solo
nella parvenza, nella forma, ed è spiegato dall’indole spe-

Storia d’Italia Einaudi 173


Cesare Lombroso - Genio e follia

ciale del popolo; per es., dalla docilità e disciplinatezza e


servilità del popolo russo si spiega la tranquillità che do-
mina in alcuni manicomj di Russia; ma noi non abbiamo
nemmeno da questo lato di che sperare: non siamo né
un popolo troppo disciplinato o servile, e neanche, a dir
vero, troppo morale.
Era italiano quell’Orsolato che stuprava le ragazze, e
poi ne faceva salcicce; quel Soldati che stuprava, deruba-
va, e poi abbruciava le sue vittime; quel Dacosta che ta-
gliava a fette il proprio padre, per pochi soldi che gli ne-
gava. E pur troppo è in una delle capitali italiane che si
vendette a rotoli sulle piazze la carne dei carabinieri.
Io non posso ricordare senza terrore, come, riuscito
a infingere dimestichezza con un tal S., dimorante nel
bagno di P., e chiestogli se egli od i suoi compagni
avessero mangiato orecchie umane: «Oh io, rispose, non
ci trovava gusto, perché eran troppo salate».
Quanto al progetto del dottor Biffi, di erigere delle in-
fermerie alienistiche per ogni carcere giudiziario, invece
di fare un grande manicomio criminale, esso sembra pre-
sentare qualche difetto, poiché le carceri giudiziarie so-
no più di 71, e ad esse conviene unire le 33 case di pe-
na: che certo anche in queste, anzi più in queste che nel-
l’altre, occorrerebbero simili infermerie; ora, quando egli
mi avrà fatto 104 stanzine da bagni e doccie, e 104 cor-
tiletti, 104 infermerie, esso avrà moltiplicato almeno 20
volte la spesa di costruzione che esigerebbe un solo ma-
nicomio. [...] Ora, le nostre condizioni economiche so-
no tali che, davanti ad una grave spesa, il governo smette
ogni più vitale proposta di riforma, anche di quelle che
son richieste dalle esigenze della politica. Si immagini
poi una istituzione come questa dei manicomj criminali,
la quale non può essere apprezzata nella sua importan-
za se non da uomini specialisti o di profondo istudio, e
che non farà battere le palme a nessun partito politico.
Gli è per questo che, secondo me ci dovremmo adattare

Storia d’Italia Einaudi 174


Cesare Lombroso - Genio e follia

in sulle prime ad un manicomio costrutto così alla buo-


na e di poca spesa, tanto per gettare la prima pietra e per
provvedere all’urgenza; se no, pur troppo io temo che,
per avere il meglio, non si otterrà nemmeno il bene.

3
L’influenza delle meteore

Molte volte mi balenò nella mente un dubbio assai triste;


se, cioè, quell’indefinito progresso scientifico, di cui me-
niamo tanto scalpore, non sia spesso una vana illusione;
se noi, in luogo di percorrere una linea ascendente, non
riesciamo spesso che a tornare per una linea ricurva al
punto, donde baldanzosi ci dipartimmo; e ciò soprattut-
to in grazia alla boria dei dotti (come bene la chiamava
Vico), ai quali non pare mai di accogliere nel sacro grem-
bo quello che è ammesso da secoli e popoli meno civili;
a cui non pare credibile una dottrina, per ciò solo che è
o fu troppo creduta.
Così è che da molti si discute ancora sull’influenza
dell’eredità nei malati e nei sani, sull’azione specifica dei
farmachi, sull’importanza del cervello per l’evoluzione
del pensiero, sull’erpetismo ecc., tutte questioni passate
in giudicato, e da un pezzo risolte non solo dai dotti dei
tempi addietro, ma puranco dal popolano, a cui non v’è
dimostrazione scientifica, per ricca di fiori di rettorica e
di lacci di logica, che gli tolga dal capo e dal labbro le
frasi di salso per erpete, di bella testa per uomo di bella
mente ecc. Così pure non s’ebbero astronomi ai dì nostri,
ne psichiatri di tanto potere, da torgli dal capo le ubbie
sull’azione della luna sulle meteore, e quella che a me più
interessa sulle alienazioni mentali.
A questa ultima relazione, pure sì singolare, credono
con istrana unanimità i popoli più disparati, arii e semi-
tici, e qui le prove non solo sarebbero molte, ma troppe.

Storia d’Italia Einaudi 175


Cesare Lombroso - Genio e follia

In Europa vediamo lo Spagnolo e l’Italiano dare al


pazzo del lunatico59 , che corrisponde al mondsuchtig
e mondig dei Tedeschi e al lunatique dei Francesi e al
lunatic degli Inglesi; il nostro patir la luna od i quarti di
luna corrisponde all’avoir ses lunes e avoir un quart de
lune dans la tête, senza dire del Napoletano mal de la luna
per epilessia, che ha il suo omologo nelle lingue finniche,
ungheresi ed armene.
Che gli antichi Indostani partecipassero a queste cre-
denze bene ce lo rivela il Sushrata, l’Ippocrate sanscri-
to; esso nota come caratteristica di molte specie di fol-
lie il subire l’influenza delle fasi lunari; per es. la mania
religiosa o devagraha recidiverebbe al plenilunio, la ma-
nia furiosa o psihagraha invece 15 giorni dopo dei sizigi,
e 5 dopo il novilunio la mania paralitica: la mania omici-
da scoppierebbe solo di notte. (Whyse. Hindu System of
Medic. 1846. Calcutta).
Nell’arabo hilal – novilunio, è molto affine all’halal
ebreo – insanì; anzi l’halal stesso ebreo congiunge il
significato di demenza e di luna.
Secondo il singolare sistema comune agli Egizi e ai
Caldei (ed in parte agli attuali Chinesi) il pianeta Marte
presiede all’udito, Mercurio all’epilessia, e la luna alla
parola, al cervello, e non so poi perché, anche ai lombrici
ed al fegato.
Quanto poi i nostri vecchi padri Romani e Gre-
ci credessero alle relazioni tra la luna e le alienazioni,
ce ne fanno fede la parola lunaticus dei Latini, e me-
glio il σ λην óβλητoς e il βχχσ  ´λην óς e il
σ ληνιαχ óς dei Greci, anzi secondo il Nonno la
stessa parola µ ήνη per luna deriverebbe da mania, co-
meché egli facesse dire in un monologo alla medesima lu-
na «Sono la luna furente, e ciò son detta non solo perché
impero sui mesi, ma perché anche presiedo alle pazzie,
ed eccito i furori» ´αλλ’ óτι χαί µανίης µδ´ ω
χαί λύσ σ αν γίρω (Dyonis. XLIV).

Storia d’Italia Einaudi 176


Cesare Lombroso - Genio e follia

Areteo ci dice che molti credono l’epilessia essere


inflitta dalla luna agli uomini tristi, e perciò dirsi morbo
sacro ( De morb. comit., cap. IV).
Anche i nostri santi padri attinsero alquanto a questa
generale e tradizionale credenza, e S. Matteo e S. Tom-
maso affermano, che i demoni scegliono i giorni delle fa-
si lunari per colpire gli alienati od epilettici, onde ne ri-
dondi odio al creatore delle cose terrene e celesti; curiosa
e fina interpretazione, che è poi riprodotta e largamente
commentata nei consulti di Zacchia e Apollonio. Gli al-
chimisti invece spiegavano la relazione tra gli accessi ma-
niaci ed epilettici e le fasi lunari per lo influsso specia-
le, che, eredi delle teorie caldee, credevano possedesse la
luna sul cervello umano.
Ma per venire propriamente all’evo moderno, il Pla-
ter, così spoglio del resto dei pregiudizi volgari, anno-
ta un caso di una amenorroica soggetta ad epilessia, che
recidivava più spesso ai noviluni ( Opera, lib. I).
Bartholon, questo fortunato copiatore del nostro
grande Toaldo, nella sua opera premiata ( De l’électri-
cité du corps humain. Lyon 1780) porta le osservazioni
fatte giorno per giorno sopra gli accessi di un vecchio
soggetto a follia intermittente; egli notò nei 194 giorni
della quadratura una completa calma, un’ostinata diu-
turnità ed accessi furiosi in 184 giorni corrispondenti al-
le sizigie.
Sauvages credeva tanto a questa influenza, che creò
una così detta mania lunare recidivante ai pleniluni. (
Nos. méthod. Vol. VIII).
Daquin dopo aver registrato il caso di un alienato,
il quale soffriva accessi epilettici ai primi quarti e ai
pleniluni, ed i maniaci ai noviluni ed ai secondi quarti;
dopo aver citati casi di apoplessie e paralisie recidivate
ai sizigi, finisce perfino col dire: «I fatti che io allego
sono certi; e non vi sarebbe nulla di certo in fisica, se tali

Storia d’Italia Einaudi 177


Cesare Lombroso - Genio e follia

osservazioni fossero tenute per chimere» ( Philos. de la


Folie, 2ª ediz. p. 207).
Chiarugi, il Pinel dell’Italia, più volte ritorna su queste
influenze lunari. «Non pochi pazzi, egli scrive, osservai
esacerbarsi alla prima quadratura, altri all’apogeo o pe-
rigeo, benché questi siano più rari» ( Della pazzia, 1793,
p. 108), e segue narrando di un sacerdote, che impazziva
soltanto ai noviluni.
Lanzonius nell’Ephemerides Germanicae narra il caso
di una donna soggetta a mania solo nei pleniluni, e
finalmente Engelken, Portal, Cullen e Frank portano
anche essi fatti simili.
Ma se veniamo però all’epoca non solo moderna, ma
recente, contemporanea, l’accordo su questo proposito
si rompe; gli è che alla fede troppo cieca era sottentra-
ta per reazione una tendenza al dubbio tanto tenace, da
condurre all’errore per troppo amore del vero; gli è an-
che che mano mano fra i medici, agli studi più o meno
esatti, ma attenti, sulle circostanze esterne, cause sì fre-
quenti di malattie, eranvi sottentrati studi fisici accura-
tissimi sulle condizioni proprie interne dell’uomo mala-
to; studi molto più fecondi, ma che sgraziatamente non si
vollero associare ma fare eccellere, con totale esclusione
dei primi; cosicché in molte scuole germaniche si giunse
ad escludere quasi l’eziologia dall’esame del malato, ed a
migliore ragione quindi l’astronomia, che putiva, quan-
do si fosse voluta rimescolare a cose mediche, di eresia
paracelsiana e galenica.
Bacone da Verulamio aveva detto che non bisogna
abolire l’astronomia applicata alla medicina, ma purgar-
la. Il Gatt, aveva tentato l’astro meteorologia sana, ma,
come vedemmo, i tentativi d’avvicinare la meteorologia
e l’astronomia alla medicina abortirono nel nascere o non
riescirono almeno agli effetti se ne attendevano. La cau-
sa certo ne fu il dominio di pregiudizj astrologici da cui
non potevano spastojarsi nemmeno più spregiudicati, e

Storia d’Italia Einaudi 178


Cesare Lombroso - Genio e follia

poi il cattivo ed imperfetto uso delle cifre, conciossiaché


si raccogliessero da una parte i dati barometrici, termo-
metrici, ecc., ma senza porli a confronto cogli altri dati
statistici e patologici, accontentandosi, invece, di vedu-
te generali, che erano poi facilmente contraddette da più
esatte osservazioni.
Ma tutti questi egregi scrittori si occuparono delle in-
fluenze meteorologiche, prese, dirò così, all’ingrosso, a
grandi masse; nessun volle seguire, se si eccettui il Ber-
tholon, passo passo, ora per ora, le variazioni metereolo-
giche e le frenopatiche. Ora io credo che questo studio
era strettamente necessario a chi voleva far passare, col
rigore che esigono le moderne discipline, dallo stato di
verosimiglianza, di probabilità, a quello di legge e di fat-
to – la opinione, pur tanto comune, dell’influenza delle
meteore sull’alienazione.
Questo studio io l’ho potuto eseguire, sì per avere
avuto nel prof. Golgi, dott. Sergenti, dott. Stefanino
e nel prof. Tamburini una serie di zelanti, come acuti
cooperatori.
Quanto più andai completando queste parallele osser-
vazioni metereologiche e psichiatriche, mi andai convin-
cendo che potevano riuscire giovevoli alla scienza teorica
ed alla pratica.
Le modificazioni singolari, che subisce il cervello ma-
lato sotto le meteore, confermano, sempre più, essere l’a-
lienazione una malattia del corpo, essere il pensiero sog-
getto come tutto il corpo, come tutta la materia viva, al-
l’esterne influenze e quindi emanare dalla materia – an-
zi essi ci offrono il solo mezzo diretto, incontrovertibi-
le, per afferrare la vera influenza della natura sulla men-
te umana, influenza di cui ogni buon osservatore, ogni
uomo, anzi, poteva esibire una qualche prova individua-
le, come la maggior svogliatezza in giorni asciutti o, tem-
poraleschi, ma inesatta appunto perché individuale, in-
fluenza di cui le recenti statistiche, sui suicidj, omicidi

Storia d’Italia Einaudi 179


Cesare Lombroso - Genio e follia

ecc. davano un’idea ancora incompleta, perché essi rap-


presentano li effetti di una sola nostra facoltà, che non è
forse la più nobile.
Quanto alla pratica, mi parvero utili queste osserva-
zioni per le cure profilattiche e terapeutiche dell’aliena-
zione, per servire di norma alla fondazione dei manico-
mj, il supremo fra i soccorsi psichiatrici.
Conoscendo, infatti, che nelle rapide variazioni baro-
metriche si esacerbano li epilettici, noi tenteremo render-
ne, costoro, più che sia possibile indipendenti e tutelati,
certo ne aumenteremo la vigilanza in quelle epoche.
Vedendo, invece, che dopo le grandi variazioni ba-
rometriche guariscono molti maniaci cronici, noi ne ca-
veremo il corollario di collocare questi ultimi in siti, in
cui la pressione atmosferica sia il più possibile soggetta
a queste alterazioni. Sapendo che li alienati muoiono so-
pratutto nei giorni in cui la temperatura è molto bassa,
ne caveremo per corollario di fornire, più che sia possi-
bile, di caloriferi i manicomj, di raddoppiare di vigilanza
sugli ammalati nella stagione fredda, e sopratutto di non
esporli in quell’epoca all’aria aperta dei campi, che pure
nelle altre stagioni è loro tanto benefica.
Toltone dunque i maniaci, gli alienati in genere anche
gli epilettici, presenterebbero un numero molto maggio-
re di accessi a luna calante e qui amo ricordare quel fat-
to, sfuggito ai molti biografi del Tasso, che Costante, l’a-
mico intimo suo, nello scusarlo per un pessimo sonet-
to, dichiarava ciò dipendere dall’essere stato composto
dal Tasso a luna calante, epoca in cui nulla gli riesciva
fatto di buono ( Lettere di Costante. Pisa, Tip. Nistri
1872), e devo soggiungere conoscere io un valente poeta
ed un profondo pensatore, ai quali le ispirazioni più ro-
buste vennero, sempre e solo, nei plenilunii e che a luna
calante si sentono impotenti ai lavori psichici intensi.
Tuttociò potrebbe essere un’accidentalità fortuita,
uno scherzo di casi e di cifre! e certo ci vogliono per ac-

Storia d’Italia Einaudi 180


Cesare Lombroso - Genio e follia

certarlo molti e molti anni di analoghe osservazioni fat-


te con metodo uniforme. – Ma quando all’ipotesi, ormai
abbastanza assodata per non parere assurda, si sostituis-
se la certezza, il dotto dovrebbe confessare d’essere sta-
to vinto dal volgo, non perché il volgo fosse più sapiente,
ma perché in lui il tempo tenne luogo del senno; e le se-
colari, ripetute, osservazioni, tramandate colla tradizio-
ne, colle favole e colle canzoni, di padre in figlio, tennero
luogo dei meditati calcoli del genio; e perché se il popolo
ha dei pregiudizi che gli fanno nebbia allo sguardo, an-
che il dotto, pur troppo, ne è impastoiato, come quando,
per abuso di critica, smarrisce le traccie giuste del vero;
come quando ingolfatosi nei nuovi e fecondi studi sulle
cause interne dei morbi, ne rinnega e disdegna lo studio,
pure tanto necessario, delle cause esterne.
Tuttavia una ricerca, condotta per pochi anni, non po-
teva dare ancora delle conclusioni accertate; essa baste-
rà, appena, a dimostrarci la opportunità e la giustizia del
metodo, e a farci da lontano intravvedere timide e riser-
vate induzioni.
E’ si pare, per esempio, dallo spoglio delle cifre mie e
da quelle del Tamburini, affatto nulla, l’azione dell’elet-
tricità positiva e negativa, dell’ozono e del magnetismo,
nulla od impossibile a cogliersi quella dell’umidità o dei
forti venti, salvo il dubbio che l’Est abbia una benigna
influenza ed il Sud una maligna.
Poco chiara è l’azione dell’eclisse, degli solstizii e dei
terremoti, o certo in questi, più retroattiva che diretta.
Spiccata, invece, è l’influenza dei vari mesi dell’anno,
crescendo gli accessi in ragione del corso solare, essen-
do scarsi nei primi freddi, più frequenti nei primaverili,
e più negli estivi, per ritornare un po’ più scarsi nell’au-
tunno, riescendo più spesso il Marzo dannoso ai mania-
ci; l’Agosto ai melanconici; Settembre e Ottobre ai para-
litici; Luglio ai pellagrosi.

Storia d’Italia Einaudi 181


Cesare Lombroso - Genio e follia

La proverbiale azione lunare, benché ancora sia assai


discutibile, pure comincia ad intravvedersi, con un au-
mento degli accessi a luna calante, specie nei dementi,
epilettici e monomaniaci; ma quest’azione, se pure è si-
cura, si risolverebbe in un’influenza barometrica delica-
tissima, coincidendo colla prevalenza dei tempi nuvolosi
e burrascosi.
Ancor meno di preciso e di sicuro ci offersero le dif-
ferenze delle pressioni atmosferiche. Bene spiccata, in-
vece, risulta, per quanto mal comprensibile, l’influenza,
che dirò retroattiva, delle loro variazioni.
Quando il barometro offre notevoli oscillazioni sia
d’elevazione che di abbassamento, si osservarono 1, 2,
3 giorni prima e alcuni giorni, dopo, un numero di
recrudescenze maniache, tanto più grande quanto più
spiccata e più improvvisa fu l’oscillazione; più sovente,
pare, prima dell’elevazione che dell’abbassamento.
Questo fenomeno che più emerge nei dementi e ne-
gli epilettici ben si congiunge e forse si spiega con quel-
la speciale sensibilità meteorologica, che sembra in anta-
gonismo colla vigoria delle funzioni cerebrali, comeché
essa non si rinvenga squisita che negli animali inferiori e
negli uomini meno eccellenti per facoltà cerebrale, non
ultima, forse, questa fra le cause di quelle bizzarre adora-
zioni in cui vennero gli idioti e gli animali e i loro visce-
ri, presso i popoli rozzi e negli antichi, i quali suppone-
vano una sapienza riposta e rivelata là dove era proprio
effetto di causa contraria.
Queste grandi variazioni barometriche esercitano
un’influenza benefica sul decorso delle alienazioni men-
tali, probabilmente, acutizzando le croniche, il che ci
spiega le guarigioni più numerose dell’autunno e della
primavera.
Un’azione, altrettanto sicura, è quella del calore.
I suicidi come li accessi maniaci sono in maggior fre-
quenza nelle ore mattutine, nei giorni e mesi più caldi,

Storia d’Italia Einaudi 182


Cesare Lombroso - Genio e follia

e nei mesi caldi; i crimini che sono più in rapporto col-


le passioni umane, accadono con frequenza maggiore nei
mesi caldi, e probabilmente analoghe ragioni fanno spes-
seggiare in questi mesi le rivoluzioni popolari, sicché la
meteorologia apparrebbe un amminicolo prezioso della
umana storia.
Coloro, che sono predisposti allo sviluppo e alla reci-
diva di una alienazione mentale, devono guardarsi, so-
pratutto, dai grandi calori, come pure dalle grandi varia-
zioni barometriche.
I dementi incurabili, e forse anche gli epilettici devo-
no, collocarsi nella stagione calda in siti freschi, e dove
meno risentano le variazioni della pressione atmosferica.
L’applicazione più ardita di questi studi dovrebbe ca-
varsi dal fatto da noi osservato delle maggiori guarigioni
dei pazzi nei mesi delle grandi mutazioni barometriche,
guarigione dovuta, con grande probabilità, all’esacerbar-
si della forma cronica; comeché si parrebbe che l’espor-
veli, ripetutamente, possa giovare a guarirli.
Il metodo più semplice, perciò, sarebbe il sottoporli,
alternativamente, agli apparecchi ad aria compressa e ad
aria rarefatta od almeno ai primi; e ciò tanto più, dacché,
ora è noto come questi siansi mostrati utili in malattie
gravissime dei centri nervosi.
Certo questi tentativi non devono disdegnarsi in una
malattia che resiste tanto ai rimedi più disparati; sopra-
tutto non dovranno rifiutarsi da coloro, che, con una im-
prudenza non giustificata pur dal bisogno, tentano, an-
che oggidì, di curare le pazzie col vecchio e sciupato me-
todo della trasfusione che in null’altro può agire, fuor-
ché producendo avvelenamenti infettivi60 dannosi sem-
pre e non di raro mortali – mentre l’innocuità di questi
apparecchi almeno sino a 2 atmosfere (quando preceda e
segua l’opportuna graduazione) è incontrovertibilmente
accertata.

Storia d’Italia Einaudi 183


Cesare Lombroso - Genio e follia

4
Claustrofobia e claustrofilia

L’egregio professore Raggi ci ha rivelato una forma nuo-


va di malattie mentali, il cui speciale carattere consiste
nell’orrore del riposo e nel bisogno del movimento.
Da alcuni fu messa in dubbio quella bella scoperta; ma
per parte mia io non posso che riconfermarla, con tutta
esattezza, estendendone, anzi, a più larga meta i confini;
ecco riassunti i casi che riconfermano l’esistenza di quella
nuova specie:
1° Rasa...mi Maria, levatrice, d’anni 48, di Torino, che
perdette i genitori di malattie polmonari e che conta solo
uno zio materno e tre nipoti rachitici, patì da giovane di
exsema al capo, che si rinnovò dopo il secondo parto,
mentre nel primo sofferse di mastite e di eruzioni alle
grandi labbra che si rinnovavano ogni anno, e, dopo il
terzo, di paralisi vescicale e dolore alla clavicola.
Ora questa donna, la quale in tutto il resto non aveva
nulla di singolare, pesava 75 chili, essendo alta 1,62, pre-
sentava la circonferenza cranica di 560, l’indice cefalico
di 84, dinamometria di 28 e 1012 di urometria, da quel-
l’epoca in poi cominciò a sentire un senso di soffocamen-
to stando nella stanza, tanto da dover aprire le finestre in
pieno inverno per dormire; questo senso degenerò a po-
co a poco nella impossibilità di star ferma nella stanza
e di camminare di continuo, cosicché non dormiva due
ore per notte dovendo scendere e ascendere dal letto, o
vestirsi, e in piena notte fare 8 volte la piazza d’armi, op-
pure andare direttamente a Superga, oppure salire dalle
clienti che stavano più lontano ed in alto e che ricevevan
così visite inaspettate e spesso inopportune; qualche vol-
ta di queste visite era io stesso regalato e non era anco-
ra entrata nel mio studio che pregavami di aprire le fine-

Storia d’Italia Einaudi 184


Cesare Lombroso - Genio e follia

stre, e dopo pochi lagni, senza quasi aspettare la risposta,


ripartiva.
«Quando cammino, diceva, sto bene; quando mi fer-
mo sto male. Se devo sedermi anche ora, per freddo che
sia, bisogna che apra le finestre», e nello stesso tempo
accusava un dolore nel capezzolo che, a suo dire, si ri-
gonfiava, e mi narrava come un medico a quegli strani
suoi lagni, credette portar giovamento traforandole il se-
no con un grosso setone!!
Dopo 5 o 6 visite questa donna non mi comparve più,
sicché non saprei se la cura incominciata di muschio e
noce vomica abbia giovato.
2° X. Y..., uno dei più autorevoli personaggi d’Italia
che stabilì primo una speciale amministrazione e n’eb-
be gloria e dolori, è un uomo sui 45 anni, magro, giallo-
gnolo, alquanto rachitico, bruno, dal cranio dolicocefa-
lo, dalla scarsa barba e dalla voce alquanto esile e qua-
si soprana; entra dentro nella stanza, pregando che subi-
to si apra la finestra, e parlando si muove continuamen-
te e quasi quasi corre per la stanza. Indi racconta come
da alcuni mesi esso provasse una oppressione allo sterno
che diveniva angoscia insopportabile quando stava fer-
mo e miglioravasi quando movevasi e più ancora quando
stava in carrozza scoperta e messa a gran velocità.
Perciò s’era accaparrata una vettura con un povero
ronzino che lo trascinava tutto il giorno dall’uno ad un
altro paese del Lago Maggiore; ma solo che il povero
ronzino si fermasse alquanto l’angoscia ritornava violen-
ta, ed in uno di questi accessi tentò il suicidio. Siccome
si sentiva in continuo pericolo di rinnovarne i tentativi,
perché gli era impossibile trovare cavalli che resistesse-
ro a quella corsa infernale, egli si faceva guardare da una
donna. Consultava continuamente medici, ma poi non
parmi che ne seguisse i consigli.
Questi due casi mi sembrano sufficienti per dimostra-
re come la nuova specie creata dal Raggi esista, per quan-

Storia d’Italia Einaudi 185


Cesare Lombroso - Genio e follia

to almeno possano esistere le specie che sono labili come


tutte le opere umane e come quindi le classificazioni.
A questi casi, assai probabilmente, si collega quella
specie d’inquietudine che succede a certi forti dolori, e
che spinge a muoversi perché il variare delle sensazioni,
e l’esercizio forzato dei muscoli scema l’intensità del
dolore. E su questo rapporto allora i casi di claustrofobia
diventano frequentissimi.
Qualche volta questo del camminare è una necessità
in chi soffre, perché il dolore diminuendo l’ossidazione
del sangue l’organismo prova una specie di bisogno di
supplirvi con una respirazione artificiale quale si ha mo-
vendosi rapidamente, e questo può notarsi già in coloro
che sono oppressi da un dispiacere, che immediatamen-
te sentono il bisogno di andare all’aria aperta e di muo-
versi, senza di che, dicono essi, si sentirebbero soffocare
dal dolore.
Dalle esperienze infatti del Mantegazza ( Fisiologia del
dolore, pag. 117) risulta che sotto l’azione del dolore si
ha una diminuzione dell’acido carbonico espirato che va
sino al 67 per 100 negli animali, e nell’uomo il dolore im-
provviso arresta il movimento respiratorio; quando però
i moti muscolari sono molto forti, l’azione del dolore è
vinta dall’influenza del moto.
Alcune volte questo della corsa e del vagabondaggio è
una vera specie di scelotirbe come nel caso seguente:
Maria G., figlia di una cretinosa e di un apopletico,
con cranio mal conformato, faccia assimetrica, cretino-
sa, d’anni 30, affetta già nella giovinezza di corea mino-
re, venne presa da una corea generale che non le lascia-
va tregua un sol minuto e per la quale fu mandata all’o-
spedale. Essa vi venne presa da una irascibilità contro le
compagne che la indusse ad atti di furore, dopo i quali si
sentì spinta ad esci re dalla porta e camminare, e cammi-
nò tanto che dall’ospedale di Pavia si trovò nella piazza

Storia d’Italia Einaudi 186


Cesare Lombroso - Genio e follia

del Duomo di Milano senza ricordarsi quanto le avvenis-


se durante la strada.
Arm., d’anni 21, figlio di un padre bevitore, di madre
isterica, cranio piccolo, ben conformato, 51, con este-
siometria normale, è ora affetto da incipiente demenza,
che segue ad una mania acuta suicida; giovinetto, salvo
alquanta apatia ed eccentricità, s’era mostrato di coltu-
ra più che ordinaria, ma il primo sintomo della malattia
fu quello di correre da Torino a Cuneo a piedi, abbando-
nando il vapore alla prima stazione ferroviaria. Scompar-
so il ticchio di vagabondaggio, insorse la tendenza suici-
da e la mania acuta, che ora ancora lo domina.
In questi casi non si può dire fossevi claustrofobia,
ma scelotirbe, bisogno irresistibile di muovere le gambe
come in altri di vociare.
Meno ancora può confondersi questa claustrofobia
colla nuova specie descritta da Koster di pazzia dei va-
gabondi, che insorgerebbe quasi sempre ereditariamen-
te in tre quarti dei casi, e nella pubertà o fanciullezza, o
più tardi solo dopo cause traumatiche, dispiaceri, e che
consisterebbe nella mancanza del senso, dell’onore, del-
la moralità, dell’amore di famiglia, tendenze agli eccessi
sessuali e alle bibite, idee ipocondriache miste ad orgo-
gliose, a sprezzi, a insulti verso altrui, esagerata facondia,
non di rado simulazione con tendenza all’intrigo, e so-
pratutto a girare da un paese all’altro senza posa. ( Allg.
Zeits. F. Psich., xxx. 21)
Qui si tratta piuttosto di una follia morale comune,
la quale s’innesta però in un gruppo d’uomini speciali
che formano il primo anello della delinquenza e forse
insieme il punto di congiunzione con la follia, e che sono
i vagabondi.
Quelli che studiano l’uomo criminale conoscono come
il primo sustrato e il primo gradino della delinquenza è
il vagabondaggio, il quale raggiunge una quota enorme,
circa il decimo dei delinquenti comuni. La statistica degli

Storia d’Italia Einaudi 187


Cesare Lombroso - Genio e follia

ammoniti c’insegna ora, che, mentre una piccola parte


di questi è un prodotto di necessità sociali o politiche,
di mancanza di lavoro, scioperi, mala salute; la maggior
parte, invece, è costituita da uomini tutt’altro che male in
salute ed incapaci, anche, di veri delitti, che avrebbero,
anzi, orrore del sangue e perfino dei grandi furti, ma non
forse del manutengolismo, del meretricio, ma che sono,
sopratutto, incapaci di un lavoro continuato; si sentono
le braccia molli e perciò non possono trovarsi d’accordo
colla società normale, che vuole uno stabile lavoro, e
quindi sono insensibilmente spinti verso ai criminali che
sono i loro amici naturali. Essi ne adottarono, anzi ne
crearono il gergo e qualche volta ne aiutarono l’impresa
e sempre ne allettarono le brigate, essendo i giullari di
questi eroi del delitto.
Una parte poi di costoro non è tanto spinta all’ozio e al
vagabondaggio da questa mollezza dei muscoli, da que-
sta inerzia al lavoro, quanto da una specie di bisogno ir-
resistibile di continua locomozione che non permette lo-
ro di star a lungo in un dato sito, per cui appena appre-
sa un’arte e toccata una data posizione sociale, nella qua-
le molte volte anche emergono, senza causa, alcuna l’ab-
bandonano; essi provano il sentimento inverso della no-
stalgia, per cui un dato luogo, una data serie di persone
e di operazioni diventa loro uggiosa e per cui un officio,
se non dà loro agio a muoversi e a mutare di sito, diventa
insopportabile.
Siccome poi molti dei veri delinquenti cominciano a
questo modo la loro carriera61 , e siccome in alcuni alie-
nati la pazzia appunto comincia, come nell’Arm... succi-
tato, in questo modo, anzi, in alcuni, come vedemmo, in
nessun’altra manifestazione che in questa consiste; così
abbiamo, possiamo dire, nella claustrofobia uno di quei
punti singolari di passaggio tra l’uomo delinquente e l’a-
lienato e perfino coll’uomo normale colpito da passione
dolorosa, che giovano a mostrare quanto spesso, anche

Storia d’Italia Einaudi 188


Cesare Lombroso - Genio e follia

nei fenomeni psichici, la fisiologia e la patologia si fon-


dano insieme.
Forse un punto di contatto storico ed affatto normale
con queste tendenze si avrebbe nella antica vita nomade
della prima umanità, di cui l’emigrazione dei popoli nor-
dici nel medio evo e le crociate e i pellegrinaggi, e final-
mente l’attuale emigrazione irlandese e cinese, potrebbe-
ro essere nuove manifestazioni; così le sette ed i riti nei
coribanti antichi e, poi, nei flagellanti e in quei contadini
del medio evo che percorrevano il mezzogiorno d’Euro-
pa vagabondando in onor di Dio, in quei veri alienati epi-
demici che postosi a capo un’oca, una pecora, ecc. la se-
guivano per migliaia di miglia gridando e cantando, nella
sicurezza ch’essa li condurrebbe in terra santa; e così pu-
re in quella specie di frati vagabondi che nel v secolo do-
po Cristo infestarono l’Oriente e qualche parte d’Euro-
pa sotto nome di Rhemobot, Gyrovagi, Sarabanti, in cui
la religione e la delinquenza e forse la pazzia si fondeva-
no insieme, che correvano di qua e di là senza arrestarsi
in nessun luogo, e che sotto pretesto di cercare una vita
perfetta, obbedendo al Vangelo62 , si facevano mantene-
re in ozio e in lussuria mescolandosi agli uomini più tristi
col pretesto di convertirli.

5
Nuove conquiste

Vi è un argomento che più mi sta a cuore e che attira


l’attenzione, se non la simpatia generale – quello delle
conquiste recenti della Psichiatria.
Sì! – Questa scienza, da umile ancella, da Cenerentola
delle discipline mediche, si è infiltrata in tanti rami dello
scibile, che poche le possono stare d’appresso per abuso
d’inframmettenza. – Essa diede alla medicina tutta una
nuova e perfetta classificazione dell’isterismo; allargò la

Storia d’Italia Einaudi 189


Cesare Lombroso - Genio e follia

cerchia dell’epilessia; additò all’igiene nella pellagra, nel-


l’alcoolismo, nell’ergotismo e nel cretinesimo tutta una
serie di endemie, centro di ignorate, estese degenerazio-
ni, e il modo di prevenirle e curarle. – Essa diede alla
letteratura, con Daudet, Dostoyewski, Tolstoj e Zola, un
campo ubertoso, dove per la prima volta l’estetica si spo-
sava legittimamente alla scienza; spiegò alla storia la for-
mazione di molti genii, di molte sêtte, di molti fantasmi
epidemici; rivelò all’uomo di Stato ed al giurista esser gli
indemoniati e le streghe, ch’ei curavano con le fiamme e
i flagelli, dei poveri pazzi, e i pazzi non essere rei ma ma-
lati: come ora appunto, continuando, per una via inver-
sa, l’orbita iniziata, cerca dimostrare malati molti dei cre-
duti colpevoli, cui bisogna la cura più che la pena. – Es-
sa, novello Prometeo, tenta, infine, strappare un segre-
to che pareva negato agli umani, quello della natura del
pensiero.
Non v’è dunque, da meravigliarsi se molti, fra i meno
arditi o più miopi studiosi, bisbiglino ogni tratto: Guar-
datevi da questi alienisti, che sconfinano e invadono i no-
stri campi! – Potrebbero invero questi ultimi, a loro vol-
ta, rispondere: Che male vi ha se applichiamo una scien-
za, tutta desunta dai fatti, a spiegare dei fatti che ma-
le prima si comprendevano? Chi si lagna, ora, per l’in-
trusione della chimica, della meccanica nei congegni del-
la nostra vita, se non sono i nemici di ogni movimen-
to civile? Chi non ricorda con gioia i nuovi lumi porta-
ti dal Darwinismo alla linguistica, dalla geologia alla sto-
ria antica, e le glorie mietute, qui, da alcuni di voi inne-
stando la zoologia all’economia politica, la sociologia al
diritto?63 E non si direbbe, anzi, che da questi connubi,
come dall’incrociamento delle razze meno omogenee, si
ottengano frutti più robusti e più rigogliosi?
Ma giova meglio loro soggiungere: «Se noi invadiamo,
gli è che siamo forti». – Né sarebbe spavalderia: che,
essi si prepararono alle nuove conquiste, spogliandosi

Storia d’Italia Einaudi 190


Cesare Lombroso - Genio e follia

d’ogni tendenza aprioristica, corazzandosi coll’anatomia,


colla patologia, colla fine istologia dei centri nervosi, di
cui un italiano fu il sommo perfezionatore64 , e nonché
cacciarsi impazienti e invadenti pei sentieri altrui, vi
vennero condotti, trascinati dalla forza (direi) di gravità
delle ricerche spassionate cui s’abbandonavano.
Vediamo, per esempio, come vennero le applicazioni
al diritto penale ed alla psicologia.
Alcuni alienisti, avendo inspirato a pieni polmoni
l’atmosfera dello sperimentalismo clinico, compresero
quanto fossero disadatti i vecchi metodi, fin allora in
onore, in Psichiatria, capirono che, come nella clinica,
essi dovevano studiare più il malato che la malattia, e nel
malato le alterazioni corporee e funzionali quasi tanto e
più che le psichiche. Da qui nacque una vera e nuova
scienza psichiatrica sperimentale, che per quanto com-
battuta sulle prime dagli eterni avversari d’ogni novazio-
ne (ci chiamavano i medici della stadera e ci irridevano se
misuravamo la temperatura di un pazzo) finì per essere
accolta dovunque65 . Forti dei primi passi ei continuaro-
no nell’iniziata carriera, sperando trovare delle linee fis-
se atte a distinguere il pazzo dal delinquente. Quelle li-
nee, invero, non furono trovate; scomparvero, anzi, quel-
le che prima parevano più chiare; – ma intanto si trovò
ciò, cui meno si pensava: un nuovo metodo per gli stu-
di penali. S’intravvide, cioè, che alla ricerca aprioristi-
ca, fino allora condotta con singolare acume dai giuristi,
specie in Italia, sul reato in astratto, dovea preferirsi lo
studio analitico, diretto, dei rei confrontati agli uomini
normali ed agli alienati.
Quella sintesi, che potenti ingegni spesso riescivano
a creare di un balzo, ma non senza pericolo d’errore,
perché il genio è pur sempre un uomo ed un uomo spesso
più degli altri fallace, essi la dedussero a poco a poco
dalla anatomia, dall’esame del selvaggio e del fanciullo,
che, riducendo i problemi penali alla espressione più

Storia d’Italia Einaudi 191


Cesare Lombroso - Genio e follia

semplice, ne facilitava la soluzione, così come lo studio


dell’embriologia ha sciolto in gran parte il quesito, in
apparenza misterioso e bizzarro, della teratologia.
Essendo ormai sbandita l’ipotesi di forze ed energie
indipendenti dalla materia, si volle col microscopio alla
mano strappare dal cervello l’enigma del pensiero uma-
no sano o malato, spiegare l’eterno mistero dell’umana
coscienza. Ma questi sforzi non furono coronati da una
completa vittoria. Però Deiters, Gerlach, e sopratutto
Golgi, Cajal, Flechsig e Weigert, illuminandoci su tut-
ta la trama del sistema nervoso; Nissl, Schultze, Luga-
ro, Donaggio, sull’intima struttura della cellula nervosa
ci hanno portato ben avanti. Ci hanno mostrato che es-
sa, a cui fan capo tutte le funzioni sensorie, psichiche e
motorie, appare, salvo lievi differenze, uguale dall’ultimo
al più nobile degli animali; fornita cioè sempre di una so-
stanza colorabile, cromatica, e di una non colorabile, am-
masso di fibrille intrecciate, e di un nucleo; e tutta rive-
stita ed anche compenetrata da una e forse più reticel-
le sottilissime. Essa irradia una doppia specie di prolun-
gamenti; di questi: gli uni, i protoplasmatici, o dendriti,
sua diretta continuazione, si biforcano e intrecciano e in
mille diramazioni, arboriformi, pare trasmettano gli ecci-
tamenti nervosi dalla periferia alla cellula, mentre un al-
tro prolungamento, il cilindrasse, provvisto di pochissi-
me ramificazioni, invece, propaga gli stimoli dalla cellu-
la alla periferia; quanto più si innalzano le energie della
psiche più aumenta il numero di questi elementi nervo-
si, delle loro connessioni, e soprattutto delle loro ramifi-
cazioni terminali.
Ma se un qualche progresso si è fatto dal lato fisiolo-
gico, troppo più scarso è il patologico.
Nella idiozia il Pellizzi, come nei criminali ed epiletti-
ci Roncoroni, scopersero il disordine degli strati cortica-
li, la scarsità, l’obliquità, le forme embrionali delle cellu-
le piramidali; e nella prima l’aggrovigliamento o l’isola-

Storia d’Italia Einaudi 192


Cesare Lombroso - Genio e follia

mento dei dendriti ne paralizza, assai probabilmente, le


funzioni: raro se non unico reperto in cui l’istologia com-
bini completamente coll’osservazione psicopatologica.
Però questi risultati faticosamente ottenuti sono an-
cora poca cosa innanzi alla grandezza del problema. In
molti si nota una strana contraddizione ed antitesi; per
esempio, nelle cellule dei gangli spinali grandi del coni-
glio vediamo seguire al taglio dei nervi le cromatolisi cen-
trali e la lateralizzazione del nucleo, e nelle vorticose in-
vece il contrario. E ora si va intravvedendo che molte
delle alterazioni cellulari che si credevano caratteristiche
delle malattie più gravi, o successive al taglio dei nervi,
sono ritorni atavici od embrionali.
Così tra le cellule in via di sviluppo embrionale e quel-
le in reazione pel taglio del cilindrasse vi è completo pa-
rallelismo, così l’eccentricità del nucleo si riscontra in pe-
sci e batraci, la sua depressione nel centro della cellu-
la con accumulo cromatico si riscontra pure nei pesci,
l’addensamento cromatico perinucleare nei gangli spina-
li delle testuggini; sicché paiono l’indice di un proces-
so di rimbambinimento, d’infantilismo cioè della cellula
paralizzata nella propria funzione specifica (Lugaro).
Gli studi isto-patologici insomma ci apprendono as-
sai meno di quanto ci apprenda lo studio del cranio nel
microcefalo, della faccia nel criminale e nel cretino e del
cervello in tutti. Gli è che pel cranio e pel cervello il
metodo d’analisi era perfetto, passato al crogiolo del-
l’embriologia, dell’anatomia comparata, dello studio del-
le razze, mentre qui ci venivano meno, molte delle nozio-
ni in proposito e soprattutto sulla istochimica, della qua-
le questo solo sappiamo – che tutto abbiamo da appren-
dere.
Ma nel campo del sentimento e dell’idea restavano
ancora, ad ogni modo, innumerevoli abissi.
Il primo passo a colmarli fu il parallelismo che la
psichiatria ci additava tra il fenomeno dell’ideazione, il

Storia d’Italia Einaudi 193


Cesare Lombroso - Genio e follia

più elevato e più lontano dal controllo e dai contatti


della materia, e quello più umile e più controllabile della
sensazione.
È noto, per esempio, il fenomeno della persistenza
delle impressioni sensorie troppo energiche, o troppo
continuate, anche lungo tempo dopo che ne cessava la
causa; chi ha fissato, per un istante, i vivi raggi del sole
ne serba l’immagine subbiettiva, per vari minuti.
Ebbene: questa legge della durata delle impressioni
troppo energiche o troppo continuate si ripete pure nel
campo intellettuale nei pazzi.
Così un mio malato, impazzito dallo spavento che
gl’incusse uno scoppio subitaneo di polvere, delirava di
essere in mezzo alle vampe di un incendio.
Un’altra alienata vedeva tante maschere in coloro che
le si avvicinavano: era impazzita, ad un tratto, ad un
ballo.
Un soldato in una rissa fu ferito ad un occhio; guariva,
ma d’allora in poi aveva sempre dinnanzi alla mente il
feritore, e ne udiva le feroci minaccie.
Codesti fatti attestano succedere nella cellula corticale
che pensa, un movimento perfettamente analogo a quel-
lo che succede nella cellula retinica ed acustica, suggel-
lando l’analogia che il microscopio ci rivelava tra cellula
che pensa e che sente.
La lentezza, la difficoltà con cui percepiamo le sen-
sazioni nuove, aiutandoci sempre sulle precedenti, rifiu-
tando con ribrezzo quelle che di precedenti difettano,
ci era fatta presagire in nube dal linguaggio infantile, e
da alcune antiche etimologie (elefante, che corrisponde
a bue coi denti, in fenicio: cavallo che corrisponde a gran
cane, in chinese), e dalle persecuzioni a cui vanno sogget-
ti sempre gl’inventori. Ora essa ci viene stupendamente
illustrata da quanto accade nei dementi. Così io ne co-
nobbi uno che quando usciva di casa restava così colpito
dalla prima persona che gli si parava davanti, che l’imagi-

Storia d’Italia Einaudi 194


Cesare Lombroso - Genio e follia

ne sua subito si sostituiva e innestava a quante gli appari-


vano poi; < la confusione diventava ancora più comple-
ta e si trasformava in supplizio, quando la seconda per-
sona gli fosse affatto ignota. Quando si doveva recare in
una regione nuova, provava tale un ribrezzo, da cerca-
re la morte. E da questo fatto io ho cavato la legge del
misoneismo, compreso, cioè, come l’uomo, eternamente
conservatore, non sarebbe progredito mai se circostanze
straordinarie non l’aiutavano a superare il dolore della
novazione.
Così gli studi psicologici, precisamente come quelli
istologici, ci rivelarono una meravigliosa unità nel pia-
no della organizzazione psichica umana e degli animali,
fornendoci così il modo di spiegare con l’atavismo tutta
una serie di anomalie mentali.
Così molte delle idee deliranti dei monomani, dei
paranoici riproducono i sentimenti speciali ai selvaggi ed
ai bambini, nella personificazione, per esempio, di cose
inanimate, nella adorazione dei pianeti e degli elementi,
nelle persecuzioni diaboliche o nelle rivelazioni ultra
terrene (Tanzi).
Così pure le strane aberrazioni nel linguaggio come
nella scrittura degl’idioti e dei dementi, ricevono facile
spiegazione nel glossario dei selvaggi e dei fanciulli, e
nella scrittura di questi.
Ed il simbolismo così speciale alla paranoia, trova una
completa analogia e spiegazione nell’uso dei popoli pri-
mitivi, di esprimersi con simboli che finiscono per dive-
nire i loro idoli, grazie a quell’arresto ideomotore dei di-
versi atti psichici che è speciale ai deboli ed ai degenera-
ti. E quando questo arresto avviene nella rappresentazio-
ne dei diversi atti con cui s’inizia e si compie il fenomeno
della generazione, ne nascono gli strani feticismi cui van
soggetti i degenerati. Il tatuaggio è pure così frequente
nel selvaggio come nel pazzo morale, nel criminale, per-
ché effetto delle medesime cause, come l’imitazione, la

Storia d’Italia Einaudi 195


Cesare Lombroso - Genio e follia

vanità, lo spirito di setta, l’erotismo e la ottusità dolorifi-


ca; esso si riproduce, insomma, nel criminale, perché co-
stui è un primitivo che vive in mezzo al mondo moderno
coi gusti, le tendenze e le passioni dell’uomo selvaggio.
Queste analogie trovano la loro interpretazione imme-
diata nella disintegrazione che provoca la malattia nelle
funzioni, che ultime vennero in luce nell’autogenia psi-
chica, facendo ripullulare i vecchi strati mentali caduti in
dissuetudine (Tanzi).

4
Personaggi criminali

Classificazione dei delinquenti adulti Prima di studiare i


caratteri della delinquenza negli adulti dobbiamo ben ri-
cordare che sarebbe un grandissimo errore il confonde-
re in uno stesso quadro le varie specie di delinquenti,
le quali notevolmente differiscono l’una dall’altra. Non
avendo, come già abbiamo detto, in mira il reato ma i
rei, noi non li distinguiamo come fa la legge a seconda,
semplicemente, dell’entità e della sorta di reato che han-
no commesso: ma invece a seconda dell’intima natura lo-
ro, e quindi del grado di temibilità che ne dipende, a se-
conda del modo con cui l’hanno compiuto e degli stimo-
li da cui furono spinti. Dobbiamo, dunque, distingue-
re anzitutto: 1º il delinquente, che diremo antropologi-
co, ossia quello che è nato con cattivi istinti (il Garofalo
li chiama delinquenti naturali) o delinquente-nato; 2° dal
delinquente occasionale; 3° da colui che commise azio-
ni perniciose in istato di pazzia cioè dal delinquente paz-
zo; 4° dal delinquente per passione; 5° dal delinquente
d’abitudine, che per la costanza nella criminalità s’avvici-
na al delinquente-nato, senza averne però le stigmate fi-
siche né la corruzione profonda, ma che è spinto e man-

Storia d’Italia Einaudi 196


Cesare Lombroso - Genio e follia

tenuto nel delitto piuttosto dalle condizioni esterne della


sua vita.

1
Verzeni strangolatore di donne

Verzeni Vincenzo del vivente Giacomo, nato a Bottanu-


co l’11 aprile 1849, ed ivi domiciliato, contadino, dete-
nuto dall’11 gennaio 1872, fu accusato dei seguenti rea-
ti, che nel corso del dibattimento si affermarono eviden-
temente.
«1. Di tentato strangolamento di sua cugina Marian-
na Verzeni, or son quattr’anni, mentre essa, appena do-
dicenne, era in letto ammalata, ed abitava nel piano su-
periore a quello di dimora del medesimo Verzeni.
2. Di tentato strangolamento di Barbara Bravi marita-
ta Arsuffi di anni 27.
3. Di tentato strangolamento di Margherita Esposito
maritata Gala, da lui afferrata con ambe le mani pel collo
e rovesciatala mentre le comprimeva il ventre con un
ginocchio. – Una lunga lotta dell’energica donna la salvò
da morte sicura.
Questi fatti avvennero sul finire del 1869.
Nel dicembre 1870 Giovanna Motta, dell’età di circa
quattordici anni, tenuta per le ottime sue qualità dai co-
niugi Giovanni Battista Ravasio e Maria Elisabetta Lec-
chi al Cascinone Previtali in Comune di Bottanuco, più
qual figlia che come servente, fra le 7 e le 8 antimeridia-
ne del giovedì 8 dicembre 1870 (giorno della Madonna
Immacolata) avuto il loro permesso, dirigevasi al vicino
paese di Suisio per visitarvi i propri congiunti.
Niuno però la vide colà, dove il Ravasio credeva si
fosse fermata: per ciò inquieto ne andò in traccia la sera
del sabbato 10 dicembre.

Storia d’Italia Einaudi 197


Cesare Lombroso - Genio e follia

E arrivato insieme con altri ad una tettoia comune-


mente detta Tabiotto, esistente su di un fondo lungo una
stradella campestre a cinquanta passi circa dalla via che
dal cascinone Previtali conduce a Suisio, orribile spetta-
colo presentavasi alla loro vista. L’infelice giovinetta ivi
giaceva sul terreno affatto nuda, avendo soltanto coper-
ta da calza la gamba sinistra, e del di lei corpo erasi fatto
il più miserando scempio. Deformato da moltitudine di
ferite, quasi spaccato a mezzo pel lungo; mancante di al-
cune parti, ed in specie dei visceri. Questi erano stati nel
dì precedente trovati entro il cavo di un gelso da Battista
Mazza che al momento non sospettò nulla di male. An-
tonio Sala aveva nel giorno 8 rinvenuto entro una capan-
na di paglia, sempre in quei dintorni, un’effigie del Pa-
pa Pio IX appartenente alla sventurata Motta. – Sotto la
stessa capanna Giacomo Previtali reperiva nel 13 un bra-
no di polpaccio della gamba destra dell’infelice fanciulla.
– E finalmente la sera di quel medesimo dì Luigi e Gio-
vanni Albani ne scoprivano sotto un mucchio di gambi
di frumento i vestiti, meno un fazzoletto che Emilia Bif-
fi aveva già la mattina dell’8 dicembre circa le 8 e mez-
za, tornando dalla seconda messa detta nella Chiesa Par-
rocchiale di Bottanuco, raccolto dalla strada sulla neve a
una settantina di metri dalla porta di detta Chiesa.
Singolare è inoltre a notarsi, che su di un sasso presso
il cadavere scorgevansi dieci spilli quasi sistematicamente
disposti.
Se per quanto fin qui si disse è indubitato, che la
povera Giovanna Motta fu vittima dell’altrui ferocia, la
quantità e la natura delle lesioni non lasciarono campo
ai periti di giudicare con sicurezza, quali siano state
recate a corpo vivo, e quali dopo morte; per cui incerta
rimase la precisa e diretta causa della stessa, non essendo
escluso il dubbio, che quella giovinetta sia stata anzi tutto
soffocata, vieppiù che le si trovò piena di terra la bocca.
Così pure, per la mancanza degli organi sessuali non

Storia d’Italia Einaudi 198


Cesare Lombroso - Genio e follia

fu possibile constatare se dalla fanciulla siasi abusato,


solo avendone i periti tratta induzione, troppo incerta
però, da alcune graffiature alle coscie, e dalla frattura del
cubito destro.
... Ancor viva ne era la memoria negli abitanti di Bot-
tanuco, quando altro terribile avvenimento sopraggiun-
geva a vieppiù conturbare gli animi.
Elisabetta Pagnoncelli, moglie di Giovanni Antonio
Frigeni, d’anni 28, nella mattina della domenica 27 ago-
sto 1871, dopo essere stata alla Chiesa parrocchiale, si
dipartì poco oltre le 6 dalla sua casa posta nell’interno
di Bottanuco per andare a riporre alcuni pulcini, che se-
co portava entro due cesti, nel fondo Campazzo lavora-
to dalla sua famiglia alla distanza di circa 35 minuti dal
paese. Siccome verso le 8 non aveva ancora fatto ritor-
no, il marito, temendo qualche disgrazia, ne andò in cer-
ca. E pur troppo quell’infelice donna fu trovata già cada-
vere, completamente nuda, in mezzo ad un campo colti-
vato a frumento detto Zamnino poco lontano da quello
ove aveva posto i pulcini, a circa cinquecento metri della
strada comunale per Madone. Mostrava alla regione del
collo una echimosi lunga 26 centimetri e larga uno, con
lacerazione e depressione della cute prodotta dallo strin-
gimento di una corda rinvenuta sul luogo stesso, che le
deve essere stata gittata per di dietro ad uso laccio, cau-
sando l’altra echimosi riscontrata sotto la mammella de-
stra, e ch’ella indarno sarebbesi sforzata di allentare co-
me additarono le graffiature ad ambedue i lati del collo.
E la soffocazione infatti fu la causa unica della di lei mor-
te, a giudizio dei periti. Ma spirata appena, non rispar-
miavasi la salma della sventurata. E invero si rilevarono
ampie ferite al braccio destro, alla regione lombare, alla
nuca, al ventre, dalla qual ultima usciron fuori gli intesti-
ni ed il ventricolo, recisi dopo estinta con robusto stru-
mento da punta e taglio, qual sarebbe un falcetto. Nel
dorso le si trovarono infissi tre spilli egli altri si rinven-

Storia d’Italia Einaudi 199


Cesare Lombroso - Genio e follia

nero a breve distanza nel formentone. Del resto non si


poté stabilire se di lei si fosse abusato.
... Ma ancor meglio spirano le tendenze del Verzeni
nel fatto seguente:
Maria Previtali, d’anni 19, filatrice, intorno al mezzodì
del sabbato 26 agosto 1871 (festa di S. Alessandro patro-
no della Diocesi) partiva dalla sua dimora in Cerro diret-
ta a Suisio, passando per Bottanuco. Arrivata che fu cir-
ca mezz’ora dopo in principio dello stradale per Suisio
alla distanza di 700 metri dal centro di Bottanuco, sentì
dietro di sé le pedate di una persona, che a passo piutto-
sto accelerato la seguiva. Allorché detta persona la rag-
giunse, e le si portò a fianco, s’accorse che era suo cu-
gino in secondo grado Vincenzo Verzeni, a lei ben no-
to, quantunque non avesse con lui alcune relazioni. Né
il Verzeni certamente deve averla conosciuta, poiché le
domandò, s’era di Suisio, e a quale famiglia appartenes-
se. Al che dessa pensò bene rispondere, che dei Crip-
pa di Suisio. Appena ebbe ciò detto, il Verzeni la afferrò
per la vita, e la condusse a forza in un sentiero esistente
presso lo stradale, e precisamente in un fondo coltivato
a frumentone, alto a quell’epoca, denominato Gerone, e
tenuto a mezzadria dalla famiglia di esso Verzeni.
Tostoché la Maria Previtali venne atterrata, cominciò
a gridare e lamentarsi; ei la gittò a terra, per modo
che le si sollevarono le gonne e il suo corpo rimaneva
per intiero entro il grano turco, soltanto coll’estremità
delle gambe toccando il sentiero. Persistendo ella nel
gridare, il Verzeni con una mano le chiudeva la bocca, e
coll’altra la stringeva al collo talmente forte, che a stento
poteva tirare il fiato. Per circa tre minuti la tenne in
quella posizione; ma poi, allontanatosi recavasi sul vicino
stradale probabilmente per vedere se sopraggiungeva
qualcuno. Tornava poco dopo presso di lei, che, appena
libera, si era rialzata, ma stava là ferma perché non
sapeva da qual parte fuggire: le prese ambedue le mani,

Storia d’Italia Einaudi 200


Cesare Lombroso - Genio e follia

che tenne qualche tempo strette fra le sue senza mai


proferir parola; indi, alle sue preghiere, la lasciò andare;
ed essa, non avendo più coraggio di recarsi a Suisio,
retrocesse a Bottanuco, dove si trattenne alle funzioni del
vespro in quella Chiesa Parrocchiale.
... Per questi fatti la Corte d’Assise di Bergamo nel
dì 9 aprile p. p. al seguito di verdetto dei Giurati,
condannò Vincenzo Verzeni alla pena dei lavori forzati
in vita, salvandolo dalla morte un solo voto».
1.º Il Verzeni che a prima vista dai suoi atti dovreb-
be giudicarsi un feroce monomaniaco, offre alle indagi-
ni antropologiche molti dei caratteri dell’uomo sano di
Bergamo.
Ha 22 anni, alto m. 166, pesa 68,300 gr., più della
media dei lombardi della stessa statura. Ha fina e rosea
la cute, scarsa ma non deficiente la barba; biondo-scuri,
abbondanti e finissimi i capelli (i pazzi invece ne scar-
seggiano). Il cranio presenta una capacità maggiore del-
la media, tolta da 100 soldati ventenni di Bergamo, cioè
1577.
I dati craniometrici sono i seguenti:

Circonferenza 561 mm.


Curva longitudinale 360 mm.
Curva biauricolare 315 mm.
Fronte larga 130 mm.
Fronte alta 62 mm.
Semicurva anteriore 316 mm.
Semicurva posteriore 251 mm.
Linea facciale 180 mm.
Diametro longitudinale 192 mm.
Diametro trasversale 151 mm.
Diametro frontale 116 mm.

Storia d’Italia Einaudi 201


Cesare Lombroso - Genio e follia

Diametro frontomenton. 191 mm.


L’angolo facciale è di 80.

L’indice cefalico 780 differisce di 9 soli mm. dalla


media di 100 bergamaschi, d’anni 20.
Tre sole anomalie si rinvengono in questo cranio; la
gobba frontale a sinistra è bene sviluppata, mentre è ap-
pena accennata a destra; e a destra pure si scorge una cre-
sta ossea, che dal mezzo del sopraccigio sale verso l’alto
della fronte e si unisce alla linea arcuata del temporale
qui molto più pronunciata che non a sinistra. Tutto il
frontale destro è molto più basso e più piccolo del sini-
stro. Le orecchie partecipano di questa anomalia; più
lunga (36) e larga (35) la sinistra della destra (35-32) e
mancanti ambedue della metà inferiore dell’elice; di più
nella tempia destra si nota leggera ateromasia dell’arte-
ria. Robustissima la muscolatura della nuca e rilevate le
creste occipitali: enormi gli zigomi (140); e la mascella
inferiore sviluppata in modo singolare, i canini superiori
molto appuntati; poco lungo il naso (50); lunghe e robu-
ste le braccia (83); le gambe invece più corte, misurando
93 cent. dalla cresta alla pianta dei piedi, e mostrando-
si più accorciato il destro del sinistro; la pianta del piede
lunga 28 e larga 11 centimetri; larghe ed allungate le ma-
ni (lunghe 200 e larghe 170); pene ben sviluppato e fog-
giato a becco di flauto; prepuzio leggermente arrossato
e libero da frenulo, il che prova l’uso ed anche l’abuso
dell’organo. La forza muscolare risultò al dinamometro
scarsa (solo 105 a destra, 80 a sinistra): la sensibilità tatti-
le, esplorata coll’estesiometro, è normale dappertutto: la
sensibilità al dolore, esplorata con una macchina d’indu-
zione, in cui la distanza di due rocchetti ne dava in mil-
limetri la misura, risultò squisita alla fronte (29), alla lin-
gua (31), al mento (41); solo manchevole nel dorso delle
mani.

Storia d’Italia Einaudi 202


Cesare Lombroso - Genio e follia

L’oftalmoscopia eseguita dal collega prof. Quaglino


diede i seguenti risultati:
Leggero strabismo alternante divergente, che pare do-
vuto ad una insufficienza dei muscoli retti interni, come
si nota nei miopi, specialmente quando fissano oggetti vi-
cinissimi qualche tempo: infatti gli occhi sono ambedue
miopi, in grado però leggero.
I raggi diottrici e la papilla sono normali e trasparenti.
L’acutezza visiva è pressoché normale, e così la esten-
sione periferica del campo visivo. Non sono palesi i fo-
sfeni, anzi mancano i superiori, e nel destro si presenta-
no come una linea nera, e come una linea bianca nel si-
nistro. Questo fatto è eccezionale e non si accorda colla
integrità del campo periferico esaminato funzionalmen-
te.
In complesso adunque qui si troverebbe un’anomalia
in una porzione circoscritta del lobo destro frontale, il
quale ha probabilmente sofferto al pari delle orecchie
e dell’occhio, nella vita intrauterina, ed è attualmente
anche mal nutrito, come conferma l’ateromasia dei vasi
temporali ed anche l’esame oftalmoscopico: – ma queste
anomalie possono avere solo un limitato valore perché
compensate dal largo sviluppo del capo e dell’altro lobo
frontale, maggiore che non negli altri contadini della
stessa età: tanto più che anche i diametri cranici sono
quasi fisiologici.
Lo stesso dicasi dell’eredità: esso ha veramente due zii
cretinosi. Uno zio, specialmente il Battista, ha un ango-
lo facciale di 72, il cranio a pan di zucchero, schiacciato
ai lati e alla fronte e piccolissimo di volume (52 circon-
ferenza), ha enormi zigomi, è mancante di barba e di un
testicolo, e atrofico ha l’altro. Ma la madre e la nonna
non offrono malattie di rilievo, e nessuna ne offrono gli
avi e i bisavoli paterni e materni. Il padre solo ha alcune
leggiere traccie di pellagra, la quale non giunse che per
pochi giorni e nel 1871 a produrre una lieve tinta di de-

Storia d’Italia Einaudi 203


Cesare Lombroso - Genio e follia

lirio o meglio d’ipocondriasi. I matti non fan soldi, dice-


va molto bene un testimone a proposito di questa fami-
glia. Si aggiunga, però, un cugino che patì d’iperemia ce-
rebrale ed un altro recidivo nei furti. Consta, oltrecciò,
che tanto i genitori quanto il reo mangiarono per avarizia
per tutto il 1866 polenta di maiz marcito.
D’ingegno l’accusato ne mostra più che non il comu-
ne dei delinquenti, quantunque risulti che non approfit-
tasse alla scuola. E difatti, benché solitario e taciturno,
nessuno ha mai affibiato a lui ne ai suoi, quegli epiteti di
matto o di strambo, che con tanta facilità il mondo ap-
piccica a chiunque paia inclinato alla pazzia, ne ha sof-
ferto, mai, che si sappia, in modo sicuro, di cefalee e di
vertigini: pare, solo, di leggiere diarree, in estate. Tace
e parla a proposito, inventa menzogne da uomo provet-
to, sta fermo solo nel diniego di quelle parti d’accusa, in
cui gli pare d’essere più compromesso, accusa l’alibi, at-
tribuisce altrui le proprie colpe: combina i misfatti con
arte così infernale che passano mesi ed anni pria di sco-
prirne l’autore: studia lo strumento e il metodo più adat-
to per colpire ciascuna vittima, la corda per la Pagnon-
celli, la terra per la Motta. E gli affetti pure non sem-
bra abbia alterati pei suoi. Si caverebbe, dice egli, il pa-
ne di bocca pei suoi nipotini; rispetta il padre e gli zii fi-
no a lasciarsene battere senza reagire. Rotta una relazio-
ne amorosa, ne riannoda subito un’altra; è taciturno, è
vero, con quei del villaggio, ma nelle carceri, cogli omi-
cidi e stupratori pari suoi, s’apre, dice egli stesso, rom-
pendo l’usata prudenza, come a fratelli, perché realmen-
te trova in quelli per la prima volta un eco alla sua tem-
pra. Ora i matti non sono espansivi né fuori, né dentro
del manicomio.
Benché pochi assai siano i dati che parlino per un’alte-
razione mentale, pure io sarei costretto ad ammetterla se
non trovassi una ragione dei feroci e strani delitti di cui si
rese colpevole. Ma lo sviluppo del processo e le indagini

Storia d’Italia Einaudi 204


Cesare Lombroso - Genio e follia

finissime dell’Alborghetti e Previtali, l’esame delle parti


genitali, le testimonianze del capoguardia e dei condete-
nuti, il denudamento delle due vittime, e, orribile a dirsi,
il ripulimento, dopo morte, di una di quelle, l’accusa che
egli mosse altrui di avere stuprato la C... e in cui sfoga-
va, addossandolo altrui, il bisogno di parlare del proprio
delitto, che stimola tutti i delinquenti, dimostrano assai
bene quale fosse il movente.
Si hanno attestazioni che esso si masturba, che è incli-
nato alle donne al punto da farsi punire in prigione per
solo vederle, e che ebbe rapporti sessuali precoci perfino
con bambine.
Ora a Bottanuco, e più nella famiglia Verzeni, oltre il
cretinesimo e la pellagra, domina sovrana la bigotteria e
l’avarizia. La morale vi si fa consistere nelle pratiche re-
ligiose e nell’astinenza giovanile. Una copula non legit-
tima v’è considerata come un delitto quasi grande al pa-
ri della strangolazione, tanto che la madre rabbrividiva
quando io le chiedeva se il figlio avesse polluzioni invo-
lontarie; e le ragazze dal Verzeni assoggettate ai, chia-
miamoli pure, tentativi, ne tacquero, perché trovavano
più necessario il nasconderli che impedirli e il vendicarli.
Si aggiunga la sordida avarizia della famiglia che non
gli lasciava tempo né danaro per soddisfare gli istinti la-
scivi egli vietava il matrimonio, ed irritava coll’assoluto
impedimento una precoce e prepotente libidine. Que-
st’uomo, a cui era stata insegnata la sola morale del fre-
quentare la chiesa e di lavorare, messo nel bivio tra il
comprimere un violento prepotente appetito od il com-
mettere un crimine, scelse questa via senza d’altro pre-
occuparsi che di tenerlo celato. Dallo stupro fu condot-
to allo strangolamento, anche, pel bisogno, doppiamen-
te forte, in quel paese, di tener nascosti i rapporti sessua-
li, ma più ancora pel pervertimento delle facoltà genitali
e insieme affettive, a cui certo contribuiva quello attossi-
camento cretinoso e pellagroso che si riscontrò nei suoi

Storia d’Italia Einaudi 205


Cesare Lombroso - Genio e follia

parenti, e che lasciava impronte nel suo lobo frontale de-


stro, e che rompeva l’equilibrio delle facoltà affettive.
Vi contribuiva, poi certo, una influenza che è stata
osservata da molti medico-legali, vale a dire la facilità che
ha di associarsi la libidine del sangue a quella di Venere,
massime nei troppo o troppo poco continenti.
Mantegazza sentì confessarsi da un amico che si tro-
vò ad uccidere parecchi polli; che dopo la prima uccisio-
ne provava una barbara gioia a palpare avidamente le vi-
scere calde e fumanti, e che di mezzo a quel furore era
stato assalito da un accesso di libidine. Questo fatto ha
una grande importanza perché fa prevedere che l’istinto
dell’assassinio e la facoltà di generare, devono avere nel
cervello un rapporto anatomico o fisiologico. La storia,
d’altronde ci mostra come fra gli orrori del saccheggio,
la crudeltà si associ sempre ali: più sfrenata libidine, e
come dal sangue delle vittime sorgano fumi che accieca-
no la mente, cambiando l’uomo in un bruto, che fa pau-
ra e ribrezzo. ( Fisiologia del Piacere, p. 394-395, quinta
edizione).
Il primo e più grande descrittore della natura, Lu-
crezio, aveva osservato come anche nei casi ordinari di
copula può sorprendersi un germe di ferocia contro la
donna, che ci spinge a ferire quanto si oppone al nostro
soddisfacimento66 .
Questa ferocia si nota, certo, negli animali all’epoca
degli amori, dove il rivale più forte uccide o colpisce il
più debole, e resta padrone del campo.
Qualche cosa di simile avveniva all’epoca preistorica
anche nell’uomo, sia per domare le renitenze della don-
na, a cui il matrimonio era una nuova forma di schiavi-
tù, sia per vincere i rivali in amore: una traccia ne restò
nelle feste dei selvaggi. Sappiamo che in molte tribù del-
l’Australia si usa dall’amante aspettare in agguato la spo-
sa dietro le siepi, colpirla con un colpo di clava, e così
tramortita trasportarla nella casa nuziale. Di questi usi

Storia d’Italia Einaudi 206


Cesare Lombroso - Genio e follia

una traccia restò nei riti nuziali di molti popoli anche da


noi; è certo poi che una traccia ne restò nell’orribile festa
del Jagraate nelle Indie e nei baccanali Romani, ove chi,
anche maschio, resisteva allo stupro, era tagliato in pez-
zi così piccoli da non potersi rinvenire il cadavere. (Tito
Livio, XXXIX, cap. VIII).
Ora gli istinti primitivi, scancellati dalla civiltà, posso-
no ripullulare anche in un solo individuo, quando in lui
è deficiente il senso morale per l’ambiente in cui vive, ed
è pervertito il senso carnale per l’eccessiva continenza. I
casi o isolati o epidemici, di bestialità e di carnalità, sfo-
gate sui cadaveri umani, casi accompagnati da atti san-
guinari, si sono notati, diceva il Lunier, sempre in mili-
tari ed in sacerdoti; p. e., il prete Mingratche a 27 an-
ni uccise due ragazze, e le tagliò a pezzi per nasconderle
nei boschi; e quell’altro frate che violò una donna credu-
ta cadavere, mentre poi era viva e divenne madre. Solda-
to era il Bertrand, di cui è nota l’orribile istoria. È noto
come i soldati nei saccheggi associno stupri ai delitti di
sangue.
Era pastore ed isolato nelle rupi, e da lungo tempo
continente quel feroce Legier, che tutto ad un tratto si
sente spinto a strappare le viscere di un bambino, che
passava pel bosco, stuprarlo, beverne il sangue.
Soldato (caso comunicatomi da Tarchini-Bonfanti)
quel feroce, che dopo stuprate tre donne, strappò loro
il perineo colle dita facendo una cloaca della vagina e del
retto.
Tardieu narra di una donna sessantenne a cui il bestial
stupratore, inviperito della resistenza, strappò colle mani
cacciate in vagina porzione di intestino che si rinvenne
nella strada.
Qualche volta questa associazione delle libidine e fe-
rocia si manifesta per una specie di vera pazzia.
Mainardi descrive il caso (era però semi-imbecille) di
quel Grassi, che accesosi una notte di una povera cugina,

Storia d’Italia Einaudi 207


Cesare Lombroso - Genio e follia

e questa resistendo alle sue voglie, le cacciò più volte un


coltello nel ventre, e con quello successivamente subito
dopo uccise il padre suo e lo zio che tentavano fermarlo;
ricoperti indi i caldi cadaveri, si diede in braccio alla
moglie di un bifolco ch’era sua ganza; ma non calmato
nel furore omicida, colpiva il proprio padre e perfino
alcuni buoi nella stalla.
E Philippe che godeva, indi strangolava le meretrici
per derubarle, un giorno ebbe ad esprimersi. «Io le don-
ne le amo, solo mi piace dopo godute di strangolarle».
Gille di Rays, già maresciallo di Francia, uccise per
soddisfare infami libidini più di 800 giovani – associando
alla lussuria una tinta strana di religione.
Il Sade godeva fare spogliar nude le meretrici, batterle
a sangue e medicarne le piaghe, e delle libidini miste a
ferocia s’era fatto una specie di ideale, avrebbe voluto
farne un apostolato.
Brierre de Boismont narra di un capitano che obbliga-
va l’amante ad appiccarsi sanguisughe alla pudende ogni
volta voleva procedere ai replicati concubiti, finche que-
sta cadde in profonda anemia e fu condotta al manico-
mio. E così accadde al marchese S... che facea legare da’
suoi una meretrice e dopo fattile molti tagli pel corpo e
per la pudende e svenatala nuda, si apprestava a violarla.
Questa specie di furore sanguinario che s’associa alla
libidine del casto o del pazzo, insieme alla atrofia di una
porzione del cervello e all’influenza ereditaria indiretta,
spiegherebbe alcuni fatti che restano inesplicabili.
1.º Come questa ferocia sanguinaria si sia sviluppata
in lui dopo la pubertà e tutta ad un tratto, essendo quasi
provato come prima fosse di carattere docile e avesse
mostrato ribrezzo all’uccisione degli animali domestici,
tanto da uscir di casa quando si eseguiva.
2.º Come sparpagliasse i brani dei cadaveri, e special-
mente il polpaccio della Motta, e come non si curasse di
distruggere il ritratto di Pio IX, in modo contrario al suo

Storia d’Italia Einaudi 208


Cesare Lombroso - Genio e follia

interesse, e ponesse quei tre aghi tanto misteriosi sull’ul-


tima vittima, probabilmente senza saper che si facesse.
3.º Come compisse gli atti feroci così complicati, in
così breve tempo (non più di 3/4 d’ora).
4.º Come gli atti si ripetessero su molti individui, a
brevi intervalli ed in alcune epoche, e precisamente nei
mesi più freddi e più caldi dell’anno. (Dicembre 1869-70
e agosto 1871).
5.º Come sciegliesse a vittime sempre donne è vero,
ma disparate, e alle volte ributtanti, dall’impubere e gra-
cilissima cugina che tuttora convalescente del colera do-
veva essere ancora più deforme, alla troppo matura ac-
quavitaia, conciossiaché quella libidine furiosa dei conti-
nenti non guardi che al sesso senza badare all’età e alla
bellezza.
6.º Come sviluppasse nell’esecuzione degli omicidi
una forza muscolare (frattura di radio della Motta) la
quale non si riscontra punto col dinamometro.
7.º La precocia speciale nelle esagerate tendenze ses-
suali si può spiegare per la pellagra e cretinesimo dei pa-
renti; che da questi spesso provengono appunto le due
tendenze opposte ora alla anafrodisia, ora all’erotismo.
Io concludo, quindi, ad una diminuzione di responsa-
bilità pel Verzeni per quanto concerne, almeno, l’ultima
parte dell’atto.
Che vi sia stato qualcosa di morboso nella insolita fe-
rocia in questo atto si ammette e si spiega colle anomalie
craniche e coll’eredità, ma che l’ebbrezza spermatica e la
influenza pellagrosa e cretinosa abbiano potuto comple-
tamente renderlo inconscio di se prima e dopo quell’at-
to, troppo bene lo confutano la nessuna fama di bizzar-
ro o di matto, la capacità cranica, la ricchezza di capel-
li, le poche alterazioni della sensibilità al dolore, l’affet-
tività ben conservata, la calma e l’astuzia con cui subito
dopo l’atto comincia a preparare un alibi, la perspicacia
nelle negative, ecc.

Storia d’Italia Einaudi 209


Cesare Lombroso - Genio e follia

Questa perizia era stata già pronunziata e la sentenza


da vari giorni emanata; sentenza che, per un solo voto,
non fu di morte, quando io potei intrattenermi, parec-
chie ore, collo sciagurato, e coglierne l’intera rivelazione
del movente dei suoi misfatti.
«Io ho, disse, veramente uccise quelle donne e tentato
di strangolare quell’altre – perché provava in quell’atto
un immenso piacere in quantoché appena metteva loro
le mani addosso sul collo avea l’erezione e ne sentiva
un gran gusto (un vero piacere venereo); – la prima (la
piccola cugina Verzeni) non la strozzai del tutto perché
il piacere lo gustai subito appena toccatole il collo; per
la stessa ragione restarono salve le cinque altre assaltate;
invece le due M. e P. restarono soffocate perché il piacere
tardando a manifestarsi io le stringeva sempre di più
ed esse morivano. [...] La Motta la spaccai non colla
falcetta ma con in rasoio (??), con cui il giorno prima
m’ero sbarbato, provai nello spaccarla un gran piacere;
le graffiature che si trovavano sulle coscie non erano
prodotte colle unghie ma coi denti, perché io, dopo
strozzata, la morsi (piar) – e ne succiai il sangue ch’era
salato, con che godei moltissimo. – Esportai il polpaccio
della Motta dopo averlo succiato per poter continuare a
gustarlo a casa e arrostirmelo, perciò me lo misi in tasca
dentro il fazzoletto – ma poi, temendo che la madre me lo
trovase, lo nascosi entro la paglia del tabiotto onde venire
a riprendervelo. Le spadine od aghi di capo disposti
a cerchio sulle pietre le disposi io, estraendoli dal capo
della morta, il che mi dava pure un gran diletto; – le
vesti, le viscere le esportai perché godeva nel fiutarle
e palparle. La forza che mi veniva in quei momenti
di immenso piacere, era così grande, che io sarei stato
capace si sollevare una casa (e nessuno avrebbe potuto
resistermi. – Anche la Pagnoncelli io non la strozzai colla
corda (??) ma colle mani; colla corda io non feci che

Storia d’Italia Einaudi 210


Cesare Lombroso - Genio e follia

strascinare su e giù per la melica il cadavere con gran


piacere. [...]»
Qui mi studiai ad indagare per qual modo avesse
trasceso a tali atroci libidini; (egli mi disse che nessuno
ebbe ad accennargliene o ad istradarvelo; che però da 12
anni in su (all’iniziarsi della pubertà) avvertì che mentre
strangolava i pollo provava un gran piacere, sicché molte
volte ne faceva degli strazi, dando poi ad intendere ai
suoi che la faina era penetrata nel pollaio e li aveva uccisi;
colle due amanti non provò il piacere che provò colle
vittime, né mai pensò di saltar loro al collo, si contentava
di vederle – senza stringere loro la mano.
Quello che vi è di straordinario in questo caso, e che
giustifica, fino ad un certo punto, la sentenza ed anche la
perizia mia, è la perfetta lucidità di mente dell’accusato,
la sua tenacia a nascondere anche al confessore il delitto
fin dopo emanata la sentenza; la coscienza, quindi, del-
la sua gravità – ma nello stesso tempo l’irresistibilità del-
l’atto. – Se il racconto una volta che fosse accertato, non
riuscirebbe a cancellare del tutto la sua responsabilità,
certo gioverebbe a diminuirla notevolmente, e non solo
dopo l’atto, ma anche prima di esso, perché rientrereb-
be in quei cinque o sei casi che si possedono nella scien-
za della necrofilomania o pazzia per amori mostruosi o
sanguinari – e sarebbe un esempio di più della necessità
dei manicomi criminali in cui collocare questi esseri, in
cui non esiste più quasi una linea di confine fra il delitto
e la pazzia.

2
Gasparone

Devo alla cortesia dell’illustre collega prof. Golgi, a cui


la fama e la dottrina non scemò la gentilezza dell’ani-
mo, di possedere il cranio e la fotografia del Gasparone,

Storia d’Italia Einaudi 211


Cesare Lombroso - Genio e follia

morto in Abbiategrasso ad 88 anni per broncoalveolite,


ateroma diffuso dell’aorta, insufficienza valvolare, fegato
nocemoscato67 , insomma per fenomeni dovuti probabil-
mente solo all’età.
Il cranio di Gasparone presenta i caratteri di una avan-
zata senilità nella faccia per l’usura completa degli alveo-
li, ma non chiaramente nel cranio se non forse nella ipe-
rostosi (non però avanzatissima – spessore massimo mill.
9 – peso del cranio grammi 845), specialmente alla vol-
ta e nell’assottigliamento delle pareti orbitali: però, gio-
va ricordare che in tutta la vôlta cranica si notava anco-
ra la presenza della diploe e che vi era traccia di avanzo
di sutura medio-frontale, e ben persistenti la sutura co-
ronaria esterna – la sagittale e la lambdoide. – Nella nor-
ma facialis notavasi lo sporgere degli allontanati zigomi
(mill. 112); la grande capacità delle orbite, le quali pre-
sentavano nel margine esterno un cercine e molto spic-
cato il foro sottorbitale. – Seni frontali ed archi sopraci-
gliari molto pronunciati – fronte notevolmente fuggente
e ristretta con sviluppo enorme dell’angolo orbitale del-
l’osso frontale, così come notasi nei microcefali.
Lo sfuggire della fronte riesciva più appariscente per
la singolare salienza del parietale che formava una specie
di cupola, costituendosi così una vera oxicefalia, che
meglio si rileva alla norma lateralis.
L’occipitale, dopo aver descritto una sporgenza spic-
cata e presentato una vera spina al tubercolo occipitale
superiore, scendeva bruscamente al basso.
Fra le anomalie notevoli vi ha la traccia di un osso vor-
miano corrispondente alla fontanella anteriore, leggeris-
sima asimmetria più saliente all’occipitale, ed il rilievo
mediano del fronte a schiena di mulo.
Notevole è l’allungamento del cranio, indice cefalico
mill. 72,8, che però può dirsi in parte corrispondente al
tipo del paese.

Storia d’Italia Einaudi 212


Cesare Lombroso - Genio e follia

Sarebbe al più un’esagerazione del tipo etnico. Im-


portante è l’altezza dando un’indice verticale di 72, e il
diametro verticale di 137; nell’isola del Liri trovo 88, 87,
80, 79, 75, 73, 70, 66, (media 77) che non mi porgono in
proposito alcun confronto.
La lunghezza del parietale è piuttosto notevole, non
però nelle proporzioni che si pretendono da alcuni.
In complesso adunque si tratterebbe di una doligoce-
falia esagerata con oxicefalia e con submicrocefalia fron-
tale, la quale, se spiega molto bene le attitudini feroci68 ,
la criminalità, di cui è carattere così frequente, non gio-
va certo a darci ragione della grande sua intelligenza,
tanto più che anche la capacità cranica, 1450 cc., non
era straordinaria, era anzi di poco inferiore alla comune,
(tanto più trattandosi d’uomo alto 1,80), anche ammet-
tendo che alquanto prima della sclerosi senile (vedi Lom-
broso, Cranio di Volta) quella capacità fosse maggiore69 .
Forse quella sua fu, più che grande intelligenza, gran-
de astuzia, la quale spesso è in antagonismo col genio e
colla continuata attività psichica. Infatti l’avversione al
lavoro egli l’ebbe fino all’estrema vecchiaia, come vedre-
mo.
L’egregio dott. Storti gli osservò una cicatrice di ferita
al collo, ed il tatuaggio all’avambraccio di un [A], con
altri geroglifici poco chiari.
Quanto alla fisonomia, essa ci dà assai più del cranio
un’idea dell’astuzia straordinaria e della ferocia del vec-
chio masnadiere, che ha potuto lottare tanti anni col Go-
verno pontificio, e che solo la malafede pretina poté co-
gliere – nelle orbite incavate, negli occhi sopracigliari e
sopraciglie spiccatissime, nello sviluppo del naso, non
osservandosi del tipo criminale, oltre a ciò, che l’orec-
chio più voluminoso del normale.
Secondo la storia70 , Gasparone era vaccaro e commer-
ciante di Sonnino, ove nacque nel 1794; educato dal fra-
tello Gennaro, che anch’egli si era fatto brigante per

Storia d’Italia Einaudi 213


Cesare Lombroso - Genio e follia

sfuggire alla leva, poiché il padre gli era morto da gio-


vanissimo, durante il brigantaggio del fratello s’innamo-
rava di Maria, contadinella, che era anche amata da un
tale Claudio. Dopo lunga contesa, Antonio strappò un
coltello di mano al rivale e glielo piantò in corpo. Al mo-
mento che egli rientrava in casa, la madre, inferma da
molto tempo, spirava.
Rimproverato, da un certo Giuseppe, della morte di
Claudio, lo uccise. Fuggì ai monti, e stava per consegnar-
si alla giustizia, quando le lusinghe del brigante Massoc-
co lo decisero a gettarsi fra i briganti. Non molto do-
po era capo di una banda, invece del Massocco divenuto
capo-arciere e da lui per tradimento, poscia, ammazzato.
«Gasparone (è pregio dell’opera citare il testo) fece al-
lora ricerche di Maria, la sua amante; la trovò, la invitò
a recarsi secolui, e questa accondiscese. Così gli amo-
reggiamenti fra Maria e Antonio furono ripresi e non in-
terrotti che dalle milizie, che ogni anno disturbavano la
banda. Ma una sera insorse litigio fra i due amanti. Do-
po molte parole irritanti, Maria si lasciò sfuggire il grido:
– Assassino di Claudio!... – Il nome del suo rivale, ram-
mentato in quel punto, riempì di furore il bandito, che
brandì uno stile e più volte lo immerse nel suo seno. Rag-
giunti i compagni, li pregò di darle sepoltura. Essi scava-
rono una fossa e vi deposero l’infelice». Nel 1815 il gene-
rale austriaco avendo concessa un’amnistia, egli ne pro-
fittò, e fu incaricato di approvvigionare l’armata, o me-
glio di trovare, o, a dir meglio, rubare per essa le vacche
che occorrevano.
Sono famose le burle che fece ai gendarmi mandati
contro di lui; le vendette che prese dei denunziatori al-
lettati dalla taglia di 400 scudi posta sul suo capo; i ri-
catti che impose al convento di Velletri, al colonnello au-
striaco Cotenofer, ai frati del monte Duchessa, al cardi-
nale Lante, al figlio di Ruinetti colonnello dei gendarmi.
Aveva una polizia destra, numerosa, attivissima, la qua-

Storia d’Italia Einaudi 214


Cesare Lombroso - Genio e follia

le trovava amici e protettori nelle stesse file della sbirra-


glia: per essa scampò molte volte da insidie tese con la
più grande accortezza.
Con astuzia rara, finge di essere in collera col bandito
Massocco onde ottenere che il Pontefice liberasse il fra-
tello e cognato per aiutarlo ad ucciderlo, ed invece così
ingrossò di due potenti reclute la banda; quando quattro
gendarmi s’infinsero birbe, (e grassarono un passegge-
ro appositamente) per entrare nella sua masnada, egli dà
ordine di non fidarsene, e dopo quattro giorni li uccide.
Per vendicarsi della spia Domenico, fa una spedizione
apposita, e sorpresolo lo taglia a pezzi e obbliga i suoi
garzoni a mangiarli... Più volte ricattò interi conventi di
frati.
Si racconta che il cardinale Ippolito Cappello fu ob-
bligato da lui a restituire casa e campo a una famiglia
di poveri contadini, debitori insolvibili, con l’aggiunta di
cento scudi d’oro. Un giovane pastore abruzzese pagò
il cambio della leva coi danari che Gasparone tolse a un
prete usuraio di Rocca Massima. Due eccentrici ingle-
si, che desideravano conoscerlo, furono accolti gentilis-
simamente e trattati da gran signori per cinque giorni.
Un infelice sarto era caduto nella più grande miseria:

Una sera si vide in casa entrare


Un uom con un sacchetto sul groppone,
Che nel posarlo fece risuonare
Il tintinnìo dell’oro, e a Simeone
Disse: Questo vi prega d’accettare
Il famoso bandito Gasparone,
Onde possiate migliorar gli affari,
Riaprir bottega e guadagnar danari71 .

Egli molto rispettò braccianti e contadini, profuse


tesori fra essi, pigliandosela solamente con «ricchi, preti
e frati», e punendo i poveri solo quando «tradivano».

Storia d’Italia Einaudi 215


Cesare Lombroso - Genio e follia

Alla fine Gasparone e i suoi compagni si lasciarono


adescare dalle promesse di monsignor Pellegrini, che
prometteva loro salvi la vita e gli averi, purché abban-
donassero lo Stato romano. Il brigante si piegò per le
insistenze della leggiadra Geltrude, sua amante, la qua-
le era rimasta abbagliata dalla speranza di sposarlo e vi-
vere con lui vita tranquilla. Le trattative furono condot-
te innanzi solennemente, come tra due potenze. Ma il
Governo pontificio mancò alla promessa: dopo quindi-
ci giorni di penitenza in Castel Sant’Angiolo, la banda,
invece di ottenere la libertà, fu chiusa nella fortezza di
Civitavecchia.
E non curarono di processarli almeno per figura! (Leg-
genda).
Nel 1849 Gasparone ebbe a nuova residenza Spoleto,
e dopo due anni Civita Castellana, dove gli giunse, nel
1870, la notizia della caduta del papato temporale. Chie-
se la libertà.
Di 22, dopo 46 anni di prigionia, erano rimasti sette.
Gasparone, venuto nella capitale, vi trovò le più clamo-
rose accoglienze. Certo era uno scandalo, e tale parve
alle autorità, che lo mandarono nel ricovero di Abbiate-
grasso, dove morì.
Riassunto Gasparone ci porge il vero tipo del delin-
quente nato, anatomicamente nella microcefalia frontale
e nell’anomalia dell’o. vormiano, nell’eurignatismo, nel-
la maggior capacità orbitale, nell’oxicefalia, e fors’anche
nella esagerazione della doligocefalia; psicologicamente
nella mancanza d’emozioni, di sensibilità, nell’eccessiva
libidine, ferocia, incapacità al lavoro continuato.
Senza dubbio egli per intelligenza superava la media
comune; è impossibile non meravigliarsi del colpo d’oc-
chio con cui indovinava chi stava per tradirlo; ed è gari-
baldesco il tratto quando, veduto che i 20000 soldati au-
striaci e napoletani che lo circondavano, per non ferir-
si mutuamente s’erano cinti di un fazzoletto bianco sul

Storia d’Italia Einaudi 216


Cesare Lombroso - Genio e follia

cappello, egli faceva adottare ai suoi quel segnale e pas-


sava per alleato. – Ma pure il più delle volte questi segni
di genio sono piuttosto tratti di astuzia resi potenti dallo
straordinario sangue freddo, che è speciale a coloro che
mancano di sensibilità emotiva.
Come tutti gli uomini sanguinarî, era libidinosissimo,
il che gli fece commettere eccessi a Gaeta e a Monticello
per mantenere le numerose sue drude.
Una donna trovata da lui sulla strada opponendosi
ai suoi desiderî, promesse, minaccie, e dichiarandogli
che preferiva la morte ai suoi baci, egli la pugnalava
d’un colpo. – Una donna fu prima causa della sua vita
brigantesca, ed un’altra della sua resa.
Non comprese mai cosa fosse rimorso ne colpa; il suo
segretario vanta la sua delicatezza nel respingere un par-
ricida che si faceva forte dell’enorme delitto, rincarato
poco dopo dal matricidio, per entrare nella sua banda;
ma egli stesso spiega troppo bene che lì non agì se non
per un concetto giusto ma affatto utilitario – l’idea, che
fu provata poi troppo vera dal fatto «che un uomo simile
non baderebbe più ad uccidere e tradire i compagni».
Generosissimo era coi pastori, è vero, ma per bene
inteso interesse, ed infatti, e per la stessa causa, egli
ne era pure implacabile uccisore quando li sospettava
contrarî.
Dopo 40 anni di prigionia non modificava il carattere
ne i sentimenti del brigante.
Cause fisiche e sociologiche Che la sua tendenza vizio-
sa fosse ereditaria e congenita, il dimostrano le alterazio-
ni craniche e l’aver avuto un fratello maggiore pure bri-
gante; ma che oltre all’eredità, alla cattiva organizzazio-
ne che ora verificammo, vi potesse l’occasione, è indubi-
tato. Anche lasciando a parte i tradimenti amorosi e la
circostanza che mentre stava per costituirsi gli si presen-
ta un brigante celebre che lo trascina seco e lo arruola, vi

Storia d’Italia Einaudi 217


Cesare Lombroso - Genio e follia

poté molto l’essere nato in una terra sacra dalla natura,


può dirsi, al brigantaggio.
La valle di Sacco che attraversa il Frosinonese fu il
punto di passaggio delle invasioni straniere: è chiusa
da due catene di monti Lepini ed Appennini, ricchi
di boschi e roccie, di difficile accesso, e con acque e
pastorizie sufficienti da alimentarvi le popolazioni che
ivi sfuggivano ai barbari, come pure chi ivi ora ricoverasi
per sfuggire alla giustizia. Ivi, fin quasi ai giorni nostri, la
giustizia legale non aveva presa; nessuna polizia, un sol
codice, quello della vendetta72 : ivi prendere un fucile e
vivere di rapina, era il solito modo di sfuggire ai tribunali,
e chi riesciva, era un eroe, e se preso, un disgraziato, su
cui si riversavano le lagrime delle donne e i canti dei poeti
popolari.
Ogni crisi politica era potente occasione per rinforza-
re i briganti ed estenderne l’azione fin nelle regioni uffi-
ciali. A Frosinone nel 1799 si divisero in papisti e repub-
blicani, ma eran ladri tutti: un dì l’uno saccheggiava le
case dei preti e un altro questi le case dei ricchi; badan-
do piuttosto alle proprie vendette che alla patria. Torna-
to l’ordine, i più tristi sfuggiti alle pene si fusero insieme
ed esercitarono il brigantaggio quasi impunemente (Ma-
si, pag. 56).
Quando Terracina volle difendersi dai Napoleonici,
aveva affidato una porta al capo brigante Bernabò e a 23
dei suoi, che, contro promesse subito violate tradirono
ed apersero le porte ai Francesi.
A sua volta, nel 1815, Gasparone ha l’indulto e diventa
il provveditore dell’armata austriaca. Nel 1820 egli e
Massaroni diventano veri alleati militari di Carrascosa
e poi dell’Austria sicché a Monticello, di cui Massaroni
vien fatto ufficialmente il comandante, si accumularono
in poco tempo 150 briganti.
Più ancora li favoriva l’ambiente sociale: onde molti
abitanti se n’eran fatti complici od istigatori – così l’ucci-

Storia d’Italia Einaudi 218


Cesare Lombroso - Genio e follia

sione di Cerboni, governatore di Pisterzo, eragli stata ri-


chiesta e preparata dai Pistorzesi irritati dalla sua onesta
austerità; eppure nessuno di costoro venne punito, men-
tre invece fu impiccata una guardia campestre che non
ne aveva colpa.
Gasparone, da quanto racconta Masi, era, sotto il
governo del Palotta, festeggiato da tutti i gentiluomini
di campagna. A ciò contribuiva non solo la debolezza
dell’armi, ma la mancata giustizia, che è una delle cause
dell’attuale mafia e camorra. Il debole che non poteva
trovare giustizia contro al potente, si voltava al brigante
per ottenerla o almeno non vedeva di mal occhio questa
ingiustizia popolare volta contro gli oppressori.
Il brigantaggio vi era così antico che vi si codificava,
come ora la camorra: avevano un ricco e speciale unifor-
me, le treccie pendenti all’orecchio, grandi bottoni d’ar-
gento, galloni, cappello conico. Si era ammesso alla ban-
da quando si era più giovane di trent’anni, con tempra
robusta, quando non si aveva alcuna educazione fina (te-
mendosi un tradimento nei più inciviliti), e quando non
si era parenti di birri o spie, non si aveva fatto l’arciere,
gendarme o spia o poliziotto, e si era commesso un reato.
Il bottino non toccava: al novizio che in minima parte,
il resto entrava in gran pane nelle tasche del capo. Quan-
do il capo voleva eseguire qualche ricatto sottometteva il
progetto agli anziani, senza fissare il giorno e l’ora, ma
solo i mezzi e il nome; se il progetto dispiaceva ai più,
era messo da parte. Non si marciava che di notte prece-
duti dal capo che ad ogni minimo rumore metteva il gi-
nocchio a terra e il fucile inarcato. Passandosi un ponte
od un guado, il capo s’impadroniva d’un contadino che
era costretto a passare prima e restare con lui in osserva-
zione sulla riva opposta. Si marciava di notte in modo di
raggiungere il luogo di dimora per lo più in boschi eleva-
ti. Le donne parenti dei briganti erano rispettate, ma le
altre passavano in preda a tutta la banda. Se uno cade-

Storia d’Italia Einaudi 219


Cesare Lombroso - Genio e follia

va ammalato veniva deposto in luogo recondito in guar-


dia a tre compagni (ma i mali erano rarissimi e in 25 anni
solo 2 morirono di febbre); i manutengoli poveri erano
conosciuti da tutti, ma quelli dell’alta società, come pure
gli armaiuoli e i sani, erano noti al capo solamente.
Evidentemente a formare di Gasparone il masnadiere
tipo, concorsero, oltre all’eredità e alla speciale organiz-
zazione, l’ambiente topografico sociologico e l’occasio-
ne; quell’ambiente che, lui spento, fecevi rinnovare fino
ai nostri giorni il triste flagello e ne lasciò una leggenda
piena di venerazione nei canti e nelle favole di quei po-
poli. Nato ai nostri tempi, forse Gasparone non sarebbe
riescito un masnadiere, forse sarebbe stato uno di quei
faccendieri politici, che, egualmente dannosi alla giusti-
zia ed alla patria, pure non hanno a che fare col codice
penale. Tutt’altro!

3
Il brigante Tiburzi

L’uomo Pochi giorni fa un telegramma del dottor Mat-


teini, uno di quegli ignoti amici, lontani, che sono il più
grande conforto dello scienziato in un paese come il no-
stro dov’è quasi delitto l’uscire dalle vie battute, mi av-
vertiva che potendo fare qualche ricerca sul cadavere di
Tiburzi si metteva a mia disposizione, e mi richiedeva su
quali punti procedere nelle indagini.
I consigli furono dati subito; e per parte del Matteini si
tentò di eseguirli in tutti i modi; ma in circostanze troppo
poco favorevoli, per cui non posso dire che tutta la cu-
riosità dello scienziato fosse appieno appagata. Le pra-
tiche dell’egregio collega, però, furono sufficenti perché
almeno quello che più importava – il cervello di Tiburzi
– potesse venire diligentemente studiato secondo le nor-

Storia d’Italia Einaudi 220


Cesare Lombroso - Genio e follia

me scientifiche; e perché si potesse escludere la presenza


di importanti anomalie somatiche.
Dall’esame infatti che l’egregio dottor Matteini ha
portato sui visceri di Tiburzi non risultò alcuna anorma-
lità, salvo la polilobulazione dei reni e della milza, feno-
meno atavico, ma che pur si riscontra in molti cadave-
ri di galantuomini; si notava pure la saldatura delle sutu-
re craniane che però si spiega coll’età; non v’eran rughe
al fronte ne alle tempie; la capigliatura era fine e ondeg-
giante per quanto grigia. Il cranio era ultra-brachicefalo
– 91 d’indice, e con un’enorme circonferenza – 61 cm.
e col mento sfuggente. La fronte era altissima, 80 mm.,
assai più della media normale. Il piede era piatto.
Il cervello era assai voluminoso, e più specialmente il
vermis del cervelletto; il che pure notai più frequente-
mente nei criminali emisi in rapporto colla grande agilità
muscolare che era invero grandissima in Tiburzi.
Le caratteristiche principali del cervello di Tiburzi so-
no insomma il lobo frontale con cinque circonvoluzioni,
e le molte anomale anastomosi che hanno fra loro le scis-
sure cerebrali, caratteri che, per quanto criticati dagli uni
(Giacomini), esagerati dagli altri (Benedikt), pure si ve-
dono ripullular con grande insistenza ed in proporzioni
maggiori nei delinquenti che nei normali73 .
Ma se qualche anormalità trovavasi nella forma ma-
croscopica grossolana del cervello, mancava però quel-
la più importante che la mia scuola, grazie al dot-
tor Roncoroni74 , ha scoperto nella fine struttura del-
la corteccia cerebrale, in una proporzione massima nei
delinquenti-nati; mancavano, cioè, l’atrofia degli strati
granulari, la esagerazione delle cellule piramidali, e l’ab-
bondanza di cellule nervose nella sostanza bianca: fatti
questi completamente atavici e che segnalano una gran-
de inferiorità nei centri nervosi umani.
Né può non mettersi in colleganza questa assenza di
anomalie istologiche con quella che al pubblico dev’es-

Storia d’Italia Einaudi 221


Cesare Lombroso - Genio e follia

ser apparsa ancora più importante, quella del tipo fisio-


nomico criminale.
Dalle fotografie speditemi, infatti, dal dottor Matteini
e dal fotografo Ulivi, e dalla descrizione che mi inviava
pure l’egregio collega risulta sicuro che il Tiburzi avesse
non solo un grande sviluppo scheletrico e muscolare
come di atleta, ma bella proporzione in tutte le parti
del corpo, nelle mani in ispecie, ed una fisonomia che
nulla presentava di anormale, sicché molto arieggiava (e
parrebbe una triste ironia) a quell’illustre e mite statista
italiano che fu Cesare Correnti.
Questo fatto che parrebbe a molti inforsare una delle
più importanti affermazioni della nuova scuola, quella
del tipo, può spiegarsi, non difficilmente, dopo altre
ricerche fatte in casi analoghi.
Prima di tutto: il Tiburzi, da quanto si possiede in
proposito, e confesso il vero che non ho se non i dati
comunicatimi dal Matteini, e le belle e minute ricerche
del Rossi Adolfo ( Nel regno di Tiburzi) e qualche pagina
di Sighele (Il mondo criminale italiano), pare non fosse
un delinquente-nato, ma un criminaloide.
Infatti è vero che del nonno di Tiburzi nulla si cono-
sce; ma del padre e della madre si sa che certamente era-
no brave persone, per cui mancherebbegli l’eredità diret-
ta; vero è che due fratelli ed uno dei figli furono condan-
nati, ma per delitti più sorti per istigazione sua che per
istinti propri; e così dicasi dei suoi generi e nipoti. So-
lo in un figlio, Nicola, e in un fratello, Paolo, pare che
degli istinti almeno prepotenti esistessero precocemente;
tanto che pascolavano il bestiame gratis solo perché suoi
parenti, e il figlio Nicola con dannato per una lieve con-
travvenzione a poche lire di multa, gittò spavaldamente i
denari sul tavolo del pretore dicendo: Pagatevi (Rossi).
Da giovinetto si buccina che Tiburzi avesse indole per-
versa, il che parlerebbe per un delinquente-nato; tuttavia
non risulta, all’esame più diretto della sua vita, altro se

Storia d’Italia Einaudi 222


Cesare Lombroso - Genio e follia

non che da giovane era violento, ed era pronto a reagire


contro chi lo urtasse o gli facesse qualche malestro.
Ma questi sono dati poco assodati; il fatto certo è che
fino a trent’anni egli non aveva commesso alcun delitto
e nemmeno alcuno di quegli atti feroci in cui incappa-
no sempre, e precocemente, i rei-nati; fu a trentun’an-
no, nel ’67, che egli perla prima volta uccise un guardia-
no con cui aveva litigato; e pare che per quelle tristi abi-
tudini del Governo pontificio non venisse arrestato che
molto più tardi e condannato solo nel ’69 a diciotto an-
ni di galera. Ma nel ’72 fuggiva e si imbrancava in una
banda brigantesca. Da allora in poi commise due assassi-
ni, cinque omicidi o tentativi di omicidi, tre grassazioni,
due furti, due ferimenti, quattro incendi; sopratutto le
sue erano estorsioni, ventiquattro circa; ne mai commet-
teva, almeno negli ultimi anni, grassazioni nella pubblica
via; perciò sdegnò, dopo i primi anni della triste carriera,
di associarsi a briganti di professione come Menichetti e
Ansuini. In genere tutti i suoi delitti di sangue non furo-
no effetto di quella libidine di ferocia di cui sono affet-
ti i rei-nati, ma di quelle vendette e di quelle rivendica-
zioni che rappresentano la giustizia nei paesi barbari, e
senza cui la triste professione brigantesca non potrebbe
esercitarsi.
Uccise, per esempio, un pastore, il Pecorelli, perché
aveva ammazzato un maiale al figlio Nicola, ma prima ne
verificò, contando i chiodi delle scarpe e confrontando-
li colle orme lasciate nel terreno, la sua identità, come
avrebbe fatto un giudice qualunque; uccise il collega Pa-
storini in una specie di vero grossolano duello provoca-
to da insulto; uccise il Becchinelli per metter fine agli ec-
cessi che commetteva e che lo avrebbero compromesso;
uccise il Gabrielli perché lo credette una spia. Insomma,
i delitti suoi non erano a scopo di rapina, ma esecuzioni
di spie e di neobanditi che pretendevano invadere il suo

Storia d’Italia Einaudi 223


Cesare Lombroso - Genio e follia

dominio e che turbavano la tranquillità dei suoi feudatari


– vulgo mantenitori.
Più volte, potendo uccidere impunemente nella mac-
chia guardie e carabinieri, se ne astenne e mandò ad av-
visameli poi (Rossi).
«Egli», dice bene Sighele, «trasformò il crimine in un
contratto, il furto in una tassa. Metamorfosi strana, in
cui non sai se più ammirare l’astuzia di chi la compie o
la vigliaccheria di chi vi si presta». Ed un procuratore
del Re confessava a Sighele che, «dopo che c’è Tiburzi, i
crimini nel comune di Viterbo sono notevolmente dimi-
nuiti, perché i malfattori hanno più paura di lui di quello
che non ne avessero per la giustizia» (Sighele, Il mondo
criminale italiano).
Ed al processo di Viterbo un delegato di pubblica si-
curezza di Acquapendente disse che i proprietari consi-
deravano il Tiburzi come un male necessario, e gli paga-
vano le tasse sia per non essere molestati, sia perché era-
no i briganti che facevano realmente il servizio di pubblica
sicurezza – confessione che equivale a dire che il brigan-
taggio adempieva una vera missione sociale o politica.
E non solo purgava le macchie dai banditi e vi teneva
una relativa giustizia, ma esercitava perfino la polizia ne-
gli scioperi, obbligando i mietitori scioperanti a tornare
al lavoro, col solo dispiegamento delle forze sue proprie.
Coi castellani, coi cacciatori viterbesi conversava da
gentiluomo, del più e del meno, senza che alcun tratto
indicasse l’uomo sanguinario (Rossi, Nel regno di Tibur-
zi). Come i land-lords inglesi, molti mesi dell’anno s’as-
sentava egli dai suoi domini e viveva a Roma, a Parigi da
gran signore, senza che mai atto alcuno vanitoso o im-
pulsivo (come è proprio dei rei-nati) lo tradisse, il che è
prova di quella forza di inibizione che si vede solo fra i
criminaloidi, e non nei delinquenti-nati.
Per tutto ciò, per esercitare per più di ventiquattr’anni
un dominio incontrastato, occorse anche una singolare

Storia d’Italia Einaudi 224


Cesare Lombroso - Genio e follia

intelligenza, una abilità amministrativa e strategica, ed


una temperanza, una facoltà di inibizione, come non
hanno certo i criminali nati; ed anche una relativa, forse
un’assoluta genialità d’azione; è il secolo propizio che gli
mancò per divenire uno Sforza, un Piccinino, un Medici
delle Bande Nere; ma quanto all’abilità personale l’aveva
tutta, e forse era già pronta la dinastia.
E son tratti veramente Sforzeschi quelli in cui egli, solo
accompagnato da Fioravanti, si presenta in un cascinale
ove son cinquanta (il Rossi dice anzi ottanta) mietitori,
certo armati di falci o di flagelli, e intima loro di farsi da
parte e lasciargli uccidere il Gabrielli.
L’assenza del tipo fisionomico in Tiburzi si spiega ap-
punto anche per questa relativa genialità; perche io ho
già dimostrato e più volte nel mio Delitto politico (vol. I)
e meglio nel mio Uomo delinquente (vol. II) che quando
il genio si innesta alla criminalità, ne spegne in gran parte
i caratteri esterni, sostituendovi i propri anzi, non sono
io che ho trovato questo fatto, ma un grafologo di genio,
il Michon, che, dopo aver osservato come le scritture di
certi criminali assai intelligenti (Lacenaire, per esempio)
non avevano alcuno dei soliti caratteri criminali, conclu-
se «che la genialità scancella od offusca i caratteri grafo-
logici criminosi» (Le graphologue, 1859).
Gli è che il tipo criminale si nota sopratutto fra quel-
li che commettono dei delitti atavici in cui si risvegliano
tutti i feroci istinti degli uomini primitivi e perciò ne han-
no molti dei caratteri fisionomici i quali mano a mano si
esagerano coll’esercizio delle tristi imprese, sommando-
sene allora il carattere professionale al congenito. E ciò
bene si spiega.
Tutto il loro mondo psichico si riduce a poche note
di postribolo e d’osteria, mondo per cui una intelligenza,
e quindi una capacità craniana limitatissima possono ba-
stare e in cui, quindi, è maggiore lo sviluppo della faccia
che del cranio. Gli altri rei, invece, in cui l’intelligenza

Storia d’Italia Einaudi 225


Cesare Lombroso - Genio e follia

raggiunge un grado elevato, come presentano una larga


capacità cerebrale, così una forma regolare del capo, poi-
che esercitandosi attivamente l’ingegno, impedisce quel-
l’enorme sproporzione che esiste negli uomini primitivi
tra lo sviluppo del frontale e lo sviluppo della faccia, e
mettendosi l’individuo a contatto con molti uomini e co-
se e con pensieri e abitudini non tutte crudeli e immora-
li, non si formano molti dei caratteri che insorgono dal-
l’abito di atti feroci e dalla vista di cose lugubri e tristi:
l’occhio feroce, le rughe, ecc.
Ma se mancavano in costoro i caratteri esterni fisiono-
mici, non mancavano molti almeno dei caratteri interni.
Così in Gasparone, che aveva fisionomia normale rego-
larissima, abbondanza di barba e capelli, trovammo un
osso vormiano nel bregma, che è uno dei fatti più atavici
che esista, e molte anomalie delle circonvoluzioni.
E nel nostro Tiburzi le anomalie ataviche dei reni e
milza e della circonvoluzione frontale e sopratutto la
ricchezza di anastomosi delle scissure cerebrali segnano
l’anomalia, che manca affatto nella fisionomia: perché
è ben inteso che se il Tiburzi non è un reo-nato, non è
però un uomo normale, è un criminaloide – specie questa
di rei che ha assai minori, ma pure ha ancora alcuni dei
caratteri del reo-nato.
L’ambiente Ma v’hanno altre ragioni che spiegano me-
glio così la sua impunità come la regolarità della sua fi-
sionomia: è che egli in gran parte riproduceva il color
locale e l’indole degli abitanti del suo paese.
Le strade in quel di Lamone sono letti di torrenti spes-
so impermeabili in cui il cavallo rifiuta di procedere;
s’immagini una estensione montuosa (la sola parte bo-
schiva nel Viterbese è di 16435 ettari), in cui le eruzioni
vulcaniche gettarono a mucchi dei massi enormi, scuri,
ricoperti di muschio, e su quei mucchi piante rampican-
ti ed ogni specie di spine e qua e là tronchi di vecchi cer-
ri, e sotto di essi buche, caverne, conosciute dai brigan-

Storia d’Italia Einaudi 226


Cesare Lombroso - Genio e follia

ti, ignote alla forza. «Mettete un uomo pratico qua den-


tro», dicevano al Rossi i guardiani, «e poi ditemi chi può
andare a scovarlo?»
Ma peggiore dell’ambiente climatico era l’ambiente ci-
vile. In quelle terre che furono chiamate «il regno di Ti-
burii» regna ancora la civiltà, come la chiama giustamen-
te Guglielmo Ferrero, primitiva, a tipo di violenza, do-
ve la lotta per la vita si combatte colla forza75 . Il potere
politico e la ricchezza sono conquistati e mantenuti col-
l’armi a danno dei deboli, e come la concorrenza fra un
popolo antico e l’altro era combattuta cogli eserciti, così
qui coll’espulsione violenta degli antagonisti dai mercati,
e le liti giudiziarie sono prevenute o risolute col coltello.
Il brigantaggio è una specie di adattamento naturale al-
le condizioni infelici di un popolo mal governato. Quan-
do la polizia non riesce a difendervi dai briganti, quando
la giustizia, pesando sui deboli, chiude gli occhi sui for-
ti, allora il brigantaggio, come la camorra, sono una spe-
cie di adattamento alla vita, consono alle tristi condizio-
ni; il brigantaggio diventa una specie di selvaggia giusti-
zia, di selvaggia polizia che si sostituisce alla polizia e alla
giustizia civile mancante.
Così al tempo della servitù in Russia, il mugik non ave-
va altra difesa dalle sofferenze continue dei suoi padroni
che l’omicidio, sicché non v’era famiglia grande di Rus-
sia che non contasse un assassinato fra i suoi membri. –
«I cafoni», diceva il Govone alla Commissione d’inchie-
sta dell’Italia del Sud, «veggono nei briganti dei vindici
dei torti che la società loro infligge».
«Abbiamo», scriveva il Franchetti, «una classe di con-
tadini quasi servi della gleba e un gruppo di persone che
si ritiene superiore alla legge, cosicché l’altra che ritie-
ne la legge inefficace, ha preso la consuetudine di farsi
giustizia da sé».
E dove la maestà della legge non è rispettata, come
possono rispettarsi i suoi rappresentanti? Essi sono blan-

Storia d’Italia Einaudi 227


Cesare Lombroso - Genio e follia

diti finche si spera averli conniventi; insidiati, avversati,


se pretendono fare il proprio dovere. (Rossi Adolfo, op.
cit.).
S’aggiungano i pregiudizi selvaggi, per cui chi non si
vendica di un insulto non è uomo, e per cui la dignità
virile impone di farsi giustizia da se e non mai col mezzo
del Governo; e per cui la violenza è una virtù. E pochi
anni fa, una popolana romana non avrebbe sposato uno
a cui non fosse mai uscito di tasca il coltello; né lo sposo
avrebbe aiutato mai il Governo a mettere le mani su un
ladro, su un assassino; l’ucciderà egli stesso o lo lascerà
andare, come cosa che non lo tocca, ma non vorrà mai
attestare se l’avrà veduto assassinare un altro (Gabelli).
Mancando il concetto vero della morale ed essendo
scemata la distanza fra lo strato equivoco del popolo e
quello onesto, è naturale che il malandrino trovi facil-
mente un complice tra i contadini e anche fra i proprie-
tari, che riguardano il delitto come una nuova specie di
speculazione e il brigante come uno strumento per im-
porre ricatti, falsare testamenti, acquistare predominio
sui cittadini, impedire scioperi (il caso, come accennam-
mo, si avverava in Tiburzi); e la denuncia appare più
immorale che l’omicidio; sicché si son veduti moribon-
di dissimulare il nome dei loro feritori. Non è insomma
l’omicidio, il brigante che destan ribrezzo, ma bensì la
giustizia.
Cellere, infatti, dove Tiburzi nacque, è una terra cele-
bre per antica criminalità (Rossi); fu popolata, pare, da
Albanesi, che diedero, e in grande e in piccolo, in tutte
le sfere, nelle alte, ministeriali perfino, e nelle basse, una
quota fortissima alla criminalità italiana; ed è in un borgo
di Cellere, a Paniano, che pullularono altri criminali fa-
mosi, il famoso Veleno, per esempio, ucciso, notisi, assai
poco divotamente ma molto opportunamente dal viven-
te curato di Cellere, che si accorse, per caso, di avere in
saccoccia un pugnale, e consigliando l’assalitore a ben-

Storia d’Italia Einaudi 228


Cesare Lombroso - Genio e follia

dargli egli stesso gli occhi, approfittava del momento op-


portuno per freddarlo; ed egli, il Tiburzi, che molto sen-
tiva il patriottismo celleriano, mai o quasi mai toccò un
capello ai cittadini del suo paese. S’aggiunga, a spiegare
il potere e il prestigio suo, che appunto perché quelle ter-
re avevano tendenze assai più primitive, la giustizia colle
sue proverbi ali lentezze, l’amministrazione colle sue bu-
rocrazie corrotte e impotenti, non potevano nulla contro
lui; mentre la prepotenza materiale, brusca, ma adatta al
luogo, perché energico, di un uomo solo vi aveva una in-
fluenza più diretta e più efficace, e da questa a sua vol-
ta ritraeva tanto prestigio, da adempiere veramente una
funzione sociale.
Aggiungasi ancora che mentre le autorità mostravano
una taccagneria incredibile nel pagare le spie (e il sotto-
prefetto di Viterbo si vantava al tribunale di Viterbo di
non aver dato che quindici lire una volta e dieci un’al-
tra per fare una buona spia del segretario comunale di
Farnese), egli, il Tiburzi, regalava somme a chi gli tra-
sportava un solo bariletto d’acqua e distribuiva scudi ai
poveri. E per di più, oltre ad essere taccagna, l’autorità
era imprevidente, e non si curava di garantire la vita dei
confidenti quando il colpo era fallito; così, per quanto
si fosse raccomandata la famiglia del confidente Vestri,
che per la delazione mal riuscita era designato alle ven-
dette tiburziane, ve lo lasciò esposto senza far nulla per
salvarlo. Senza dire dell’errore di avere esclusi dal bene-
ficio della taglia i reali carabinieri, così che questi aveva-
no, nel perseguitare Tiburzi, tutto da perdere e nulla da
guadagnare – senza dire che colà si eran mandati più vol-
te non i migliori ma i peggiori – quelli in punizione – e
sempre in numero troppo scarso e quasi mai stabiliti in
stazioni speciali nei luoghi della macchia più opportuni
alle sorprese.
Se poi tenete conto del fascino personale, che sale ad
una straordinaria potenza così nel bene come nel male, in

Storia d’Italia Einaudi 229


Cesare Lombroso - Genio e follia

quelle terre, e tanto più se giustificato, come nel Tiburzi,


da un corpo robustissimo, da un ingegno non comune,
la lunga impunità sua vi sarà largamente spiegata.
Non voglio finire questi cenni senza un’anticipata di-
fesa contro coloro i quali, non comprendendo nulla del
movimento che si è fatto negli ultimi trent’anni su que-
sti studi, e dando tutta l’importanza al delitto e non al
delinquente, troveranno scorretto e, che Dio li perdo-
ni, immorale che un uomo così coperto di delitti co-
me il Tiburzi non sia stato addirittura battezzato per
un criminale-nato invece che per un criminaloide. Sono
quelli stessi che m’avevano fatto, con quella giustizia che
tutti sanno, un delitto di giudicare Passanante un mattoi-
de. Ora, per chi studia il reo più che il reato, non sem-
pre la gravità o la molteplicità del delitto corrispondono
a quella congenita o precoce e continuata ferocia che co-
stituisce il delinquente nato. Se si stesse al numero delle
vittime, chi più delinquente di Napoleone, le cui vittime
non son più ventisette come quelle d’Holmes odi Tibur-
zi, ma milioni? E se si stesse al danno portato dalla no-
biltà della persona offesa, chi più delinquente di Ravail-
lac e di Damiens, i quali malgrado ciò non erano che paz-
zi? – Ma guai, anche ai nostri tempi, a quel povero alie-
nista che avesse l’idea di voler affermare simili conclu-
sioni! – Ora è questo andazzo che si deve modificare, se
non si vuol sostituire l’apriorismo ed il sentimentalismo
alla ricerca del vero.

4
Luccheni e l’antropologia criminale

Non v’è anima eletta nel mondo che non deplori il nuovo
delitto anarchico compiuto dal Luccheni in Ginevra sulla
povera Imperatrice d’Austria. Ma insieme al dolore
si associa il bisogno di chiedersi quale origine abbia

Storia d’Italia Einaudi 230


Cesare Lombroso - Genio e follia

un misfatto che, oltre ad essere crudele, ha il torto di


essere assurdo, trattandosi di una povera donna vicina
alla tomba, desiderosa di morte, che non aveva alcuna
influenza politica, per mano d’uno che non aveva subìto
alcuna offesa, né da questa, né dal suo Governo, e che
pure ha l’impudenza di vantarsi del proprio delitto come
d’una opera eroica.
Cominciamo a cercarne la spiegazione nello studio
della persona del reo in conformità alle norme della
Scuola antropologica.
Luccheni Luigi nacque da un connubio illegittimo di
una serva parmigiana, vivente ora in America, col suo
padrone, pure vivente sul Parmense, prete, squilibrato
e beone, che mandò lei, incinta, a sgravarsi a Parigi,
dove la madre abbandonò il neonato ai Trovatelli. Da
qui venne mandato nel nativo paese e affidato fino a
9 anni ad una famiglia povera del Parmense, a certi
Monici, calzolaio il padre, poverissimo e ubbriacone,
immoralissima la madre.
Dopo i 9 anni fu affidato a certi Nicasi, buona gente,
ma poverissima, contadini, o meglio mendicanti, sicché
visse anch’egli mendicando, girando per le strade e ru-
bacchiando frutta coi compagni fino a 13 anni. Pare, co-
sì mi scrive il dott. Guerini di Parma, che in quel tempo
avesse accessi epilettici.
A 12 anni andò a scuola, dove si mostrò svogliato, ma
anche impulsivo, avendo rotto una volta per dispetto il
ritratto del re.
Dai 14 anni fino ai 19 fu servitore presso due padroni
e girovagò in Liguria, in Isvizzera, in Austria, dove fu ar-
restato e rimpatriato e ritardò a presentarsi alla leva. Pe-
rò, una volta entrato al servizio militare, vi si comportò
benissimo, non avendo avuto che leggiere punizioni per
aver graffiato un compagno e per aver aiutato un sergen-
te a uscir di notte dalla caserma. Era tanto amato dai su-
periori e dai compagni che quando, tre anni dopo, nel

Storia d’Italia Einaudi 231


Cesare Lombroso - Genio e follia

1897, uscì dalla milizia, lo pigliò al suo servizio il capi-


tano Principe di Vera; vi si mostrò affezionatissimo ver-
so i bimbi; e, ciò che è più strano, tanto buon monarchi-
co, da scandalizzarsi che, commemorandosi in Napoli il
defunto Cavallotti, lo si fosse lasciato lodare in pubblico
come uomo politico, senza che il Delegato interrompesse
l’oratore.
Un giorno, però, irritatosi per un permesso che gli
era stato negato, si licenziò bruscamente, dichiarando di
non esser nato per fare il servitore, e ritornò in Isvizzera
a fare il pulito re di marmi; ma anche dalla Svizzera,
seguitò fino agli ultimi tempi a pregare ripetutamente
l’antico padrone perché lo riprendesse, dichiarandogli in
una lettera, che accenna ad un delirio persecutivo, «che
probabilmente non l’accettava più perché egli non andava
a messa», il che indica in fondo che non aveva per la vita
così anti-anarchica del servitore quella ripugnanza che
egli stesso manifestò e prima e poi76 .
Se non che all’improvviso divenne un’anarchico esage-
rato: firmò e compose inni anarchici: sospettato dai com-
pagni di non aver abbastanza zelo e forse anche di esse-
re spia, si decise a fare un colpo contro qualche Princi-
pe; mancatogli con Orléans scelse l’Imperatrice, proba-
bilmente solo perché nell’Austria ebbe i primi dispiace-
ri. Egli, che non aveva mai ucciso una mosca, fece prepa-
rare un rozzo strumento, una lima, si esercitò per lungo
tempo al colpo, quasi per un mese, e, commesso il reato,
tentò di fuggire. Fermato da due cittadini non resistet-
te, e si comportò in modo ben diverso dai comuni crimi-
nali, presentando anzi qualche tinta pazzesca: pretende-
va, per esempio di avere negli interrogatori un interpre-
te, egli che sapeva benissimo il francese, e poi vi rinunciò:
cantava e rideva continuamente, contento di aver colpi-
ta bene la vittima e d’esser penetrato con lo strumento
ben addentro nelle carni; e dichiarando d’aver adopera-
to una lima e non il pugnale; si preoccupava inoltre della

Storia d’Italia Einaudi 232


Cesare Lombroso - Genio e follia

pubblicità, dichiarando ai reporters e ai giudici che ave-


va fatto tutto da solo, che aveva lasciato il suo capita-
no per servire l’idea, che era anarchico fino dai 13 anni,
ecc. In due lettere sgrammaticate e prolisse, a un giorna-
le di Napoli, il Don Marzio, scelto ceno per averlo vedu-
to presso il suo padrone, dichiara: «che egli non era un
delinquente-nato, come vuole Lombroso, ne un pazzo, e
che non era spinto da miseria, ma da convinzione, per-
ché, se tutti facessero come lui, la società borghese sareb-
be presto scomparsa; sapeva che questo assassinio isola-
to non serviva a nulla, ma intanto l’aveva commesso per
esempio».
Al Presidente della Confederazione scriveva che vo-
leva essere giudicato a Lucerna perché là vi è la pena
di morte, e così ripeteva ai giudici; al padrone scriveva
che era più che mai degno di lui; ai reporters e ai giudici
che gli opponevano aver egli ucciso una povera vecchia:
«Che cosa monta», rispondeva, «se fosse stato un bimbo,
ma principe, l’avrei ucciso ugualmente». Un’altra volta
disse pazzescamente: «L’ho uccisa perché non lavorava;
chi non lavora non deve mangiare, e io non volevo lavo-
rare per lei», ragione che potrebbe valere per ammazzare
parecchi milioni di persone.
E curioso e importante poi che abbia detto: «Cri-
spi non l’avrei ucciso perché era un ladro»; evidente
prova della completa mancanza di senso morale negli
anarchici77 , i quali come gli uomini primitivi confondono
il delitto coll’azione e trovano che l’essere delinquenti sia
quasi un merito, un suggello di confraternita: il che di-
mostra essere la pratica, se non la teoria, anarchica, una
equivalenza del delitto.
Richiesto se egli non avesse mai commesso reati di
sangue, rispose che mai aveva avuto a fare colla giustizia,
nemmeno come testimonio (il che risultò poi vero): «Ma
stavolta trattavasi dell’idea, e per l’idea ha agito».

Storia d’Italia Einaudi 233


Cesare Lombroso - Genio e follia

Esame diagnostico E un uomo di media statura, m.


1,63, di capelli castagni chiari, foltissimi, tarchiato, con
occhio grigio velato, mobile, orecchie un poco ad ansa,
arcate sopracigliari voluminose, zigomi e mandibola vo-
luminosi, prognatismo, fronte bassa, esagerata brachice-
falia (indice cefalico 88). Ha dunque molti caratteri de-
generativi comuni agli epilettici e ai criminali pazzi. Vi-
ceversa però la grafologia ci indica, coi caratteri picco-
lissimi, specialmente negli scritti degli anni passati, una
tempra mite, femminea, con scarsa energia di carattere,
come si vede da questo autografo del 1896 procuratomi
dal dott. Guerini e avuto dal suo fratellastro. Questa
scrittura, salvo la firma sproporzionata, non solo contra-
sta colla sua fisonomia, col suo reato e colla sua condotta
dopo il reato, ma con l’altra lettera spedita al Don Mar-
zio, a cui accennammo, scritta dopo il delitto con caratte-
ri cubitali e con una vanità eccessiva del delitto, proprio
in contrasto con la mitezza e con l’umiltà della lettera qui
riprodotta.
Ora questo carattere, che abbiamo veduto straordina-
riamente spiccato anche in Caserio nel momento che si
avvicinava al delitto, si vide anche nel ferito re del gene-
rale Rocha.
Ed io l’ho veduto pure spiccatissimo negli epilettici
e negli isterici, e corrisponde, a seconda che sono nel-
l’accesso psichico o fuori dell’accesso, a una vera dop-
pia personalità provocata dalla malattia. Nell’una, come
io ho mostrato nell’Uomo Delinquente, essi giungono a
tracciare firme che occupano una pagina intera nel suo
diametro maggiore, mentre la firma allo stato normale è
spesso inferiore alla media.
La stessa doppia personalità che si trova nella scrit-
tura si verifica anche nella psicologia. Abbiamo veduto
che egli era buono coi bimbi, che era un buon servito-
re, carattere, questo, affatto opposto all’indole anarchi-
ca, buono coi compagni, e che, come mostrano la lettera

Storia d’Italia Einaudi 234


Cesare Lombroso - Genio e follia

e la fotografia coll’uniforme e medaglia d’Africa, era en-


tusiasta della vita militare: e che finalmente poco tempo
prima, quando era al servizio del capitano, provava sen-
timenti monarchici eccessivi; e finalmente che, anche di-
ventato anarchico, domandava ancora al suo padrone di
ritornare al suo servizio: questa doppia personalità è un
altro dei caratteri essenziali dell’isterismo e dell’epilessia.
Abbiamo dunque nel Luccheni un individuo degene-
rato e probabilmente epilettico discendente da padre al-
coolista; egli ha un bel affermare non essere pazzo ne
delinquente-nato, ma è un po’ dell’uno e dell’altro, per-
ché è epilettico od isterico: anzi il suo negare è già un
principio di prova del morbo. Anche il Luccheni con-
ferma quanto ho tentato dimostrare nel Crime Politi-
que, che la causa organica più frequente di simili impul-
si morbosi a carattere politico è l’istero-epilessia; perché
non solo le dichiarazioni di alcuni compaesani accenna-
no all’epilessia, e lo confermano i caratteri degenerativi
del cranio, ma sopratutto l’eredità da padre alcoolista, e
quella impulsività e quella doppia personalità, che lo fa
passare dal più mite degli uomini al più crudele, e che si
rispecchia nella macrografia alternantesi colla microgra-
fia fuor degli accessi.
Io dimostrai il fondo epilettico od isterico negli anar-
chici e regicidi, Felicot, Monges, Caserio, e specialmen-
te in un anarchico vagabondo, pieno di anomalie crania-
ne, che mi diceva, quando io lo interrogavo sulle sue ri-
forme politiche: «Non me ne parli, perché appena mi
vi caccio dentro a pensarvi sono preso da vertigini e ca-
do per terra»; sicché mi parve di poter fissare un equiva-
lente psichico-epilettico negli esagerati novatori politici,
equivalente dimostrato anche dalla loro vanità, anzi me-
galomania, dalla genialità intermittente e sopratutto dal-
la grande impulsività. Covava poi anche in Luccheni il
suicidio indiretto, che ho trovato in tanti criminali poli-
tici, come nell’Oliva, nel Nobiling, nel Passanante78 , che

Storia d’Italia Einaudi 235


Cesare Lombroso - Genio e follia

attentò al re essendogli venuta in uggia la vita; [...] anche


Luccheni credeva infatti di essere condannato a morte, e
quando sentì che nel Cantone in cui egli aveva commesso
il reato non v’era la pena capitale, assai se ne dolse.
Vi poté la vanità morbosa, per cui fu sentito dire:
«Vorrei uccidere qualche pezzo grosso per andar nella
stampa nominato» (Gautier, o. c.).
Ma se nel delitto del Luccheni agì per un buon ter-
zo una causa organica, individuale, molto più vi influì
l’ambiente in cui visse. Figlio illegittimo, lasciato in quei
Brefotrofi che sono il vero nido dei delitti e dei morbi
più gravi, affidato poi a famiglie poverissime e non sem-
pre morali, quasi mendicanti, non avendo appreso che a
mendicare e a vagabondare, se trovò poi un qualche mo-
do di sussistenza (si notino l’incertezza e la pluralità del-
le occupazioni che indicano scarsa assiduità: fu servito-
re, soldato, pulito re di marmi e prima contadino); trovò,
si può dire, più costante l’infelicità che gli s’irradiava in-
torno da oni parte e che spiega il pessimismo che lo spin-
se a questa sorta di suicidio. Ricordiamo anche qui che
il Fratti diceva: «E la fame chi me la levava?»; e l’anar-
chico di cui parla Hamon: «Quando mi posi a interro-
gare gli infelici dell’ospedale ne ebbi un effetto spaven-
toso, compresi i bisogni della solidarietà e divenni anar-
chico»; e come un altro dicesse allo stesso Hamon: «Di-
venni anarchico, vedendo i compagni mendicare lavoro
col volto bagnato di lagrime e sentirselo respingere»; Ca-
serio piangeva pensando alla Sorte dei suoi compagni di
miseria di Lombardia: questi criminali per passione, per
altruismo, sono, come scriveva Burdeau, dei veri assassi-
ni filantropi. È per amore degli uomini che essi li ucci-
dono all’impazzata.
L’epilessia o l’isteria spiegano perché egli sia passato
all’improvviso dall’uno all’altro partito e perché la pas-
sione di setta in lui si sia convertita in un atto crimino-
so. Ma di epilettici e di criminali ve ne sono dappertutto,

Storia d’Italia Einaudi 236


Cesare Lombroso - Genio e follia

e questi malati in Norvegia e Svezia non si trasformano


in anarchici, e nemmeno in Isvizzera e in Inghilterra, do-
ve ne accorrono tanti da tutte le parti del mondo, e do-
ve pure, se l’anarchico agisce, è come un bolide che cade
dalle regioni extraplanetarie sulla terra, completamente
isolato e in contraddizione col mondo che lo circonda.
La causa più grande di questa trasformazione è l’infe-
licità che incombe sul nostro triste paese e che si irradia
da ogni parte anche su chi non è per sé stesso infelice.
Anche se negli ultimi tempi il Luccheni avesse avuto
qualche cosa per vivere, coll’eccessivo altruismo morbo-
so che lo dominava, non poteva non sentire quest’infeli-
cità così profonda e generale in Italia.
Non c’è bisogno di molta erudizione per dimostrare
l’immensa difficoltà economica d’Italia in confronto de-
gli altri paesi, quando si sa che noi paghiamo il sale cir-
ca 500 volte il suo prezzo, ed il pane ogni giorno più ca-
ro, e che i consumi vanno restringendosi ogni anno da
un decennio a questa parte.
Giustamente diceva dunque lo Scarfoglio spiegando
l’origine dell’anarchismo: «Un buon quinto della popo-
lazione d’Italia vive ancora allo stato selvaggio, abita in
tuguri a cui non si rassegnerebbero i Papuas, si adatta
a un cibo che i Scillucchi rifiuterebbero, ha del mondo
una visione e una nozione non molto più ampia che quel-
la dei Cafri e corre la terra desiderando e ricercando la
schiavitù».
Si aggiunga che appunto per questo, per la mancanza
cioè di coltura che ne deriva, si ha dappertutto una minor
reazione e un minore orrore dei reati di sangue, tanto che
si hanno 96 omicidi ogni 100 mila abitanti.
Di qui si capisce quali sono i veri rimedi. Il credere
di vincere l’anarchia uccidendo gli anarchici non serve,
perché ad ogni individuo epilettico se ne sostituisce ben
presto un altro, e più perché i delitti anarchici non sono
in gran parte che suicidi indiretti e perché gli anarchici

Storia d’Italia Einaudi 237


Cesare Lombroso - Genio e follia

calcolano poco la propria come la vita altrui. Bisogna


invece mutare la direzione del morbo mutando le tristi
condizioni in cui esso sorge.
Dunque, non per umanità, non per elevate teorie so-
ciali, ma nell’interesse nostro diretto dobbiamo cambiare
rotta una buona volta: il sopprimere una dozzina di anar-
chici è come uccidere un migliaio di microbi senza disin-
fettare l’ambiente che ne contenga dei migliardi; è a que-
sto che dobbiamo provvedere se vogliamo star meglio,
spezzando il latifondo, migliorando le condizioni gene-
rali dell’agricoltore e dell’operaio industriale, e ciò nel-
l’interesse stesso delle classi dirigenti.
Il tifo, il colèra, la peste attaccano veramente assai più
i più poveri, ma da questi il contagio si estende anche
ai ricchi: e dalle abitazioni malsane in cui il ricco lascia
accalcarsi e agonizzare il mendico, il miasma quasi per
vendetta si propaga ai palazzi marmorei.
Quanto poi a quell’imbecille idea di alcune nazioni
europee che, invece di disinfettare l’ambiente, trovano
meglio sopprimere i medici che propongono i rimedi,
essa non può annidarsi che fra popoli destinati a perire79 .

5
L’ultimo brigante: Giuseppe Musolino

È noto in qual modo sia stato arrestato il già troppo ce-


lebre brigante Musolino, pel quale era indetta una taglia
di 50000 lire e furon messi in 1902 moto fin 1000 tra sol-
dati e carabinieri; ed eransi esauriti tutti gli espedienti –
dell’agguato, del ricatto, della donna ammaliatrice, per-
fino dell’oppio – e speso più di un milione. E stato colto
proprio quando le ricerche cominciavano ormai a rilas-
sarsi, quando ormai erano state rimandate le guardie e la
truppa, tranne i carabinieri.

Storia d’Italia Einaudi 238


Cesare Lombroso - Genio e follia

Il merito dell’arresto non si dovette invero ad alcuna


delle armi della pubblica sicurezza, poiché fu preso dai
carabinieri in iscambio di non so qual malvivente nei
dintorni di Cagli, a quasi mille chilometri dal suo paese
e, sopratutto, grazie ad un filo di ferro da cui erano
sostenute delle viti, il quale impedì al bandito di sfuggire
loro a tempo con la sua solita velocità.
Un merito solo, però, ebbe l’autorità: quello di aver
perseguitato senza tregua parenti, amici, favoreggiatori
di tutti i gradi, per modo da rendergli impossibile la di-
mora nel vecchio nido. Finché era difeso dalle roccie, dai
boschi e sopratutto dalle simpatie vivissime dei compae-
sani, egli era assolutamente imprendibile.
Dalle fotografie che ho di lui e dalle osservazioni che
raccolse il prof. Patrizi, non mi pare che abbia il com-
pleto tipo criminale; ha esagerato, però, il tipo della sua
regione, dolicocefalia, prognatismo, robustezza grande
della mascella inferiore; presentando dei caratteri dege-
nerativi, solo la fronte sfuggente, l’esagerazione delle ar-
cate sopraciliari e l’asimetria facciale, fatto questo che
diventa però importante, perché si somma a quella del
tronco e degli arti, così frequente negli epilettici. Appun-
to in relazione con questa scarsezza di caratteri criminali,
che si potrebbe anche spiegare, secondo alcuni miei stu-
di, con la sua maggiore intelligenza, avendo trovato80 che
nei forti ingegni criminali il tipo vien meno, io ne farei
la diagnosi, non di un puro criminale-nato, ma di un che
di mezzo fra il criminaloide ed il criminale-nato, tenendo
però più del primo che del secondo.
Più del primo:
1° Perché nacque in un paese dove l’omicidio non è
considerato così grave reato come negli altri paesi e la
vendetta è creduta un dovere;
2° Perché non percorse tutta la gamma del crimine
(furti, per esempio, ecc.): ne sempre faceva il male per il
male, come è proprio del reo-nato, ma solo per vendetta;

Storia d’Italia Einaudi 239


Cesare Lombroso - Genio e follia

3° Perché, nella sua barbara giustizia poneva spesso


una certa proporzionalità: per esempio, feriva nelle gam-
be, invece di uccidere coloro che gli parevano meno col-
pevoli verso lui;
4° Perché mostrò qualche raggio di affetto verso la
madre e la zia;
5° Perché, avendo pur qualche spiccato carattere de-
generativo (asimetria, fronte sfuggente), non ha il tipo
completo criminale.
Ma è pure un delinquente-nato, per quanto attenuato;
lo è per aver mostrato l’istinto feritore e vendicativo, fino
dalla prima giovinezza; dagli 11 anni ai 21, commise vio-
lazione di domicilio, porto d’armi e reati di violenza, e fe-
rimento persino contro il proprio padre, che lo fecero se-
veramente ammonire e che l’avevano messo a capo della
maffia del suo paese; lo è per l’inettitudine a continuato
lavoro, mentre con la sua agilità e forza avrebbe potuto
guadagnar molto come boscaiuolo; lo è per l’incoscien-
za completa, ch’egli mette nei reati, spesso da lui anzi
considerati come un dovere; e che mescolandosi a quella
specie di megalomania, così frequente nei criminali-nati,
giungeva al punto di fargli chiedere al prefetto, prima di
consegnarsi, il permesso di freddare due nemici che gli
erano fuggiti di mano.
È ancora un delinquente-nato per l’eredità, avendo
criminali lo zio e tre cugini materni, nonno e zio materni
apoplettici. Annunziata Romea, figlia della zia Filasto, è
epilettica; il nonno paterno alcoolista; il padre di Muso-
lino ha vertigini, che costituiscono la forma embrionale
della epilessia; delle tre sorelle di Musolino, Vincenza ed
Ippolita soffersero in carcere l’accesso epilettico classico,
ed Anna gravi fenomeni nervosi.
Anche la sorella Ippolita è proclive alle risse, carattere
che si mostra ancor più spiccatamente nel fratellino,
sì che lo si doveva tempo addietro rinchiudere in una
casa di correzione. Giorni or sono, giocava con un

Storia d’Italia Einaudi 240


Cesare Lombroso - Genio e follia

suo coetaneo, il quale gli vinse un soldo; egli glielo


consegnò, ma dopo un po’ lo costrinse a restituirglielo,
minacciando... di tagliargli la testa!
E criminale-nato, sopratutto perché, come mi risul-
ta da relazioni mediche, va soggetto ad insulti epiletti-
ci, malattia che è, come ho dimostrato81 , la base della
criminalità-nata e i cui accessi sofferse sei mesi prima
di commettere i due mancati omicidi pei quali fu con-
dannato; epilessia che in forma motoria si manifestò più
spiccata dal 12° al 15° anno, epoca in cui divenne in-
correggibile e crudele contro il padre e così attaccabriga
che ne acquistò il nomignolo di Peddicchia; e che, essen-
do quasi sempre preceduta per otto o dieci ore da aura,
gli diede modo di nascondersi a tempo durante l’epoca
dell’incoscienza82 .
Dell’epilessia ha anche, oltre l’agilità straordinaria per
cui superava i precipizi più spaventevoli, l’eccessiva im-
pulsività e il carattere contraddittorio, ora eccessivamen-
te agitato e verboso, ora muto e istupidito come un idio-
ta, notava il tenente Lovreno; ora sospettoso, diffidente,
ora fanciullescamente ingenuo, e l’intermittente, bestiale
ferocia sanguinaria alternante con una certa bonarietà.
È criminale-nato, perché la nota più sicura della sua
personalità psichica è la vanità morbosa (Renda). È sma-
nioso di sapere se la stampa si occupa di lui; si atteg-
gia a personaggio di grande importanza, vuole che l’u-
niverso lo giudichi; pensava persino di farsi eleggere de-
putato; pretendeva di essere protetto da un santo spe-
ciale, san Giuseppe, anche in grazia di una allucinazio-
ne in cui questi gli sarebbe apparso, nei primordi della
sua carriera carceraria, promettendogli assistenza, salvo
poi a dispregiarlo, quando si vide arrestato; intende par-
lare al Re; esclama talvolta con profondo orgoglio: «So-
no Mugolino»; saluta la folla con dignità regale, dicendo:
«Addio, popolo». Si paragona al conte di Montecristo.
Scendendo dal cellulare a Catanzaro, non vuole metter-

Storia d’Italia Einaudi 241


Cesare Lombroso - Genio e follia

si un cappello sciupato, e, costretto, male vi si rassegna,


perché indegno di lui.
Fu detto che egli non era un vero delinquente perché
aveva risparmiato parecchi carabinieri – che egli avrebbe
potuto colpire in agguato – e perché qualcuno dei prete-
si suoi nemici non colpiva mortalmente, ma alle gambe,
misurando, si potrebbe dire, con una giustizia barbarica,
ma misurando la pena; se non che ciò si spiega per quella
intermittenza e contraddizione degli istinti, che è specia-
le appunto agli epilettici; e così, mentre conservava amo-
rosamente un ciuffo dei capelli della zia Filasto e mentre
pare così amoroso dei suoi, specie delle sorelle, quando
il Raffo tentò persuaderlo a presentarsi per poter libera-
re i suoi parenti per causa sua incarcerati: «Lasciateveli
marcire – rispose – io voglio essere libero».
Il fatto, però, è che uccise anche delle donne, solo per-
ché erano vicine ad uno dei pretesi suoi nemici, come la
Crea, che nulla gli aveva fatto di male; e ammazzò Marte
dinanzi ai suoi parenti, incrudelendo, in compagnia di al-
tri due banditi, su lui agonizzante, dopo avergli promes-
so di perdonare un tentativo di tradimento e dopo aver
mangiato insieme delle frutta; e non solo uccise il fratello
dello Zoccolo pel solo fatto di essere suo fratello, ma spa-
rò più volte sul suo cadavere, messo a bersaglio contro al
muro, e immerse le mani nelle sue viscere sanguinanti.
Il fatto è che di 24 fra omicidi o tentati omicidi, non
una volta egli sentì rimorso; e che se egli beneficò di
10 lire una povera ragazza che gli aveva parlato bene di
lui non conoscendolo, sono di quei tratti di generosità
che usano sempre tutti i banditi – Buffaleri, per esempio
– per farsi perdonare dagli uni i delitti contro gli altri,
regalando sempre del danaro che non costa loro nulla.
La sua grande intelligenza è dimostrata dall’abilità per
cui, ancora giovanetto, seppe emergere su tutta la maffia
del circondario e divenirne il capo, con cui poté evadere
dal carcere e con cui poté sfuggire a tutte le insidie,

Storia d’Italia Einaudi 242


Cesare Lombroso - Genio e follia

subodorando a minimi indizi il traditore; cosi quando


la polizia gli fece dare un appuntamento da una delle sue
amanti, egli vi andò, ma la notte prima, e portò via la
donna per tre giorni sui monti. E quando due agenti
di emigrazione gli proposero un piano di fuga sopra
una nave ancorata al Capo Bruzzano, egli subodorò il
tradimento e tutto ad un tratto ruppe le trattative; da
un mese soltanto, comprendendo, dopo l’arresto dei suoi
più intimi favoreggiatori e della sua famiglia, non poter
più sperare aiuto, si decise ad abbandonare i suoi monti.
L’intelligenza si vede anche in certi suoi versi non peg-
giori di quelli di molti poetastri d’Italia, versi che rifletto-
no, come quasi tutti i poemi criminali, l’egocentrismo ec-
cessivo, l’eccesso di sentimento della propria personali-
tà, e, in questo, spesso riescono di una singolare energia,
come nel verso:

Pe tia la libertà, per autri la morte.


(Per te la libertà, la morte agli altri).

La sua intelligenza si vede anche nell’arte con cui ave-


va organizzata la propria difesa. Pare, per esempio, che
dormisse coi piedi appoggiati ad un albero, in modo che
i più piccoli rumori venivangli subito trasmessi nel sonno
dal terreno; adoperava pure due cani, uno vicino a se ed
uno a grande distanza dal covo che aveva adottato, molte
volte nella cavità degli alberi, qualche volta perfino nelle
tombe dei cimiteri, così che, avvisandosi l’un l’altro coi
latrati, gli permettevano di dormire intanto tranquillo.
Spesso, per rifocillarsi e riposarsi, entrava in una ca-
panna a notte alta, si faceva dare un po’ di formaggio, di
pane e d’acqua, si sdraiava a terra con le spalle all’uscio
e il fucile tra le gambe, dormiva così due o tre ore senza
che solo uno degli astanti avesse a fiatare, e poi via di fu-
ga, verso altra cresta del monte ed in altra capanna per
altre due o tre ore. Mai nella prediletta capanna, provvi-

Storia d’Italia Einaudi 243


Cesare Lombroso - Genio e follia

sta di tutto quanto si potesse desiderare, egli riceveva gli


amici, ma in luoghi lontani ed ignorati, nelle radure della
montagna. – «Quando qualcuno – scrive Lorenzo Bena-
rola – sequestrato da lui per farne il suo storiografo – do-
veva abboccarsi con lui, era accompagnato da una gui-
da fidata del bandito, il quale, lasciando alla distanza di
mezzo chilometro l’amico che conduceva, faceva perve-
nire notizia dell’arrivo al brigante, emettendo un fischio
che, sentito da un altro fido situato in altro posto più lon-
tano, era trasmesso ad un altro, e così via finché perveni-
va all’orecchio del re della montagna, il quale dava il suo
assenso a che quegli s’inoltrasse, battendo forte le mani».
L’intelligenza sua straordinaria gli aveva dato modo di
organizzare un completo servizio di spionaggio, migliore
di quello che avesse il Governo, per cui non solo guar-
dava se stesso, ma pare anche guardasse dai delinquen-
ti minori i proprietari di terre, che perciò gli erano tanto
propizi.
Se non che, secondo un’osservazione profonda del
Renda83 , in questa intelligenza così acuta era una falla,
l’ossessione della vendetta.
«Dopo la prima incarcerazione, e dopo, e forse in
seguito all’allucinazione religiosa della comparsa di san
Giuseppe, con promessa di aiuto, si inizia in lui un
vero delirio megalomanico, crede d’avere la missione di
vendicarsi contro tutti quelli che deposero contro di lui:
a poco a poco si persuade che la prima condanna fu non
solo sproporzionata, ma completamente ingiusta, e che
quindi a lui tocca farla cancellare col sangue.
Dei deliri la sua condotta ha l’inizio patologico, l’ir-
resistibilità, la tenacia, la polarizzazione sopratutto delle
emozioni vive, il rinnovamento della personalità, l’inco-
scienza valutativa della sua condotta».
Il punto di partenza del delirio suo non è pazzesco: è
nel difetto delle prove, nelle deposizioni non completa-
mente veridiche, al suo credere, di alcuni testi. Pazzesca

Storia d’Italia Einaudi 244


Cesare Lombroso - Genio e follia

è l’importanza che dà a queste minuzie: è un fatto que-


sto che osservai in molti criminali ai cui occhi il minimo
sbaglio nella procedura fa scomparire la gravità dell’atto
commesso, e ciò perché in fondo la coscienza del male
non esiste in costoro.
La personalità si muta, da quel momento: dal punto
di vista psichico, Musolino diventa davvero, innanzi al-
la sua coscienza medesima, l’eroe vendicatore che la co-
scienza barbara del popolo ama e circonda di simpatia;
si cancella in lui il ricordo delle delittuose gesta dei primi
anni, egli si sente con sicurezza un galantuomo.
La vanità e la megalomania di Musolino hanno per
contenuto la fede d’esser egli un onesto giudiziere: ta-
citurno, ordinariamente, si dilunga a far l’apologia di se
medesimo, a dettare le sue memorie. Ha fede così pro-
fonda nella sua onestà, o meglio è così invasato dalla sua
artificiosa personalità novella, che crede e spera davve-
ro di ottenere la grazia reale, e non fa che domandare
di telegrafare e scrivere al Re; al comm. Doria, che gli
rimproverava di avere ucciso un carabiniere che faceva il
suo dovere, risponde: «Anch’io avevo un dovere da com-
piere». Accusato di violenza e di rapine, esclama: «Mi
sarei ucciso se avessi rubato o violentato». Spesso dice-
va, con la soddisfazione dell’uomo virtuoso: «Sono un
galantuomo!»
Quel che è triste, è che questa specie di delirio sor-
to sul suo fondo morboso, epilettoide, si sia alimentato
e moltiplicato, come spesso accade e come avviene dei
microfiti che prolificano sui tronchi malati degli alberi,
secondo una nota legge psicologica, per il consenso e la
simpatia di un popolo, in cui la permanenza di sentimen-
ti barbari e il peso dell’ingiustizia sociale educa criteri e
sentimenti quasi selvaggi. Se Musolino avesse visto intor-
no a se il silenzio, la ripugnanza e l’ostilità, avrebbe de-
linquito, ma non avrebbe mai osato elevare la sua perso-
na all’altezza dell’eroismo.

Storia d’Italia Einaudi 245


Cesare Lombroso - Genio e follia

Ma si domanderà: perché e come nacquero queste


vive simpatie?
A parte il fatto che dappertutto il popolino minuto ha
una venerazione per questi, da lui creduti eroi, che san-
no opporre una resistenza energica all’autorità armata e
prendono indirettamente sui ricchi le vendette dei pove-
ri, e non offendono questi, da cui nulla possono cavare,
a parte ciò, per cui ogni brigante ha sempre avuto nelle
plebi un partito favorevole, la ragione qui è che nei bas-
si strati popolari, specie delle vallate più remote calabre-
si, la vendetta è considerata come un diritto e anzi un
dovere.
Le vendette di Musolino parevano a molti giustificabi-
li, inquantoché egli voleva vendicarsi di coloro che ave-
vano contribuito a fargli avere una pena creduta spro-
porzionata, vent’anni di galera per un tentato omicidio.
Si aggiunga, a rinfocolare quella specie di compiacenza,
direi quasi patriottica o di classe, con cui i suoi conval-
ligiani vedevano un uomo resistere ad un’intera nazione,
che egli non commetteva mai rapine, ne stupri, ne fur-
ti, che sono ancora considerati delitti anche dai popoli
poco civili; al contrario, anzi, pare che impedisse i pic-
coli reati di campagna, incutendo un salutare terrore nei
malfattori, che erano diminuiti nel suo territorio del 50
per cento; il che spiega come i grossi proprietari, non so-
lo lo mantenessero segretamente, ma avessero già espres-
so il desiderio di fare una supplica al Parlamento in suo
favore, e che in suo favore si fosse mosso il sindaco del
suo paese, mentre d’altra parte le associazioni crimino-
se, pullulanti nei bassi fondi di Palmi e Reggio, s’ispira-
vano a lui come a un eroe e portavano il suo nome e lo
acclamavano presidente onorario.
Da ciò una specie di leggenda intorno a lui che face-
va innondare tutta l’Italia di romanzi, fiabe e canti in suo
onore, e che eragli di schermo e protezione contro l’intie-

Storia d’Italia Einaudi 246


Cesare Lombroso - Genio e follia

ra polizia italiana, più che non avrebbe potuto una gran-


de schiera d’armati.
E a questo ha contribuito non poco il Governo, esa-
gerando negli inutili, costosi, rumorosi conati prima per
prenderlo, poi per assicurarne la custodia, adoperando
freni speciali, doppi muri, ecc., invii speciali di direttori
di carceri, procuratori, ecc., quasi si trattasse di un for-
midabile avversario, di un De Wett, di un Garibaldi, e
non ricordando un detto di Napoleone, il quale, da quel
grande brigante che era, di briganti era pratico, cioè nul-
la favorirne più l’incremento quanto il rumore che il Go-
verno fa intorno a loro.
E ciò tanto più che, per prendere un uomo solo, i
molti sono più d’impaccio che di vantaggio, allo stesso
modo che una mosca si colpisce più facilmente con un
piccolo cencio che con una cannonata.
Ma vi hanno anche motivi d’indole sociale, topografi-
ca ed etnica, che rendono ragione della simpatia dei suoi
compaesani e della sua lunga invulnerabilità.
Mentre la Calabria ha qua e là dei terreni meraviglio-
samente fertili, in cui crescono l’ulivo, l’arancio, il croco,
il gelso, il cotone, pure ha su circa 3000 miglia quadra-
te, 490, il decimo circa, di boschive e malariche; e la ma-
la condotta dei fiumi e l’abbandono dei boschi han fatto
rovinare una grande quantità di vallate.
La popolazione, intelligentissima, perché deriva da un
misto di Romani, Greci e Fenici, di cui serba traccia nel-
la forma allungata del cranio, nel dialetto, nei canti, è au-
dace, eroica, desiderosa di dominio fino alla prepoten-
za; ha però nel suo seno una cifra non indifferente di co-
lonie albanesi e greche, specialmente verso la punta d’I-
talia, dove Musolino imperava, che, discendendo da po-
poli imbarbariti nel medio evo, sono in uno stadio vera-
mente inferiore di senso morale.
E malgrado la notevole fertilità, la coltura del suolo vi
è trascurata.

Storia d’Italia Einaudi 247


Cesare Lombroso - Genio e follia

Le olive si lasciano marcire spesso sugli alberi, sacri-


ficando la qualità alla quantità, sicché gli olii non servo-
no spesso che pei saponi; l’irrigazione essendo trascura-
ta, quando manca la pioggia, le bestie muoiono a centi-
naia e le vacche restano senza latte. La rotazione si fa in
sei anni e la terra non viene concimata e lavorata suffi-
cientemente: al che aggiungendosi la mancanza di dre-
naggio, molti prodotti vanno a male. Esistevano i bo-
schi, ma all’ombra della legge si distrussero perfino col
fuoco, non potendosi utilizzare per la mancanza di seghe
meccaniche e di strade. Le montagne si denudano, e si
impoveriscono le terre in pendio.
Alle tristi condizioni del suolo si aggiunse la mala
influenza dei cattivi governi.
Il Governo spagnuolo favorì la tendenza all’ozio, per
cui i più lasciavano Ile migliori industrie in mano a
stranieri, e per il vezzo dei titoli l’attivo merciaiuolo
abbandonava il suo commercio per guadagnarsi il don.
Tanto gli Spagnuoli che i Borboni, poi, dapprima fa-
vorirono il feudalismo, concentrando la proprietà in po-
che mani; caduto il feudalismo, ne formarono uno anco-
ra peggiore nei capi urbani; il nostro Governo non fece
che cambiar nome e titoli a questi, chiamandoli sindaci,
deputati e già colonnelli di guardia nazionale; e mentre
la rivoluzione francese aveva iniziata la ripartizione dei
beni demaniali, non solo l’arrestò, ma permise ai gros-
si proprietari di aumentare sempre più il latifondo, con
l’acquisto dei beni comunali che servivano al pascolo e
legnatico del popolo minuto.
Estinte o divenute borghesi le famiglie nobili, quelle
che ne avevano occupate le rocche feudali discesero da
queste alle città, circondate da un esercito di guardiani in
pieno assetto di guerra; superbe della propria forza, sde-
gnarono confondersi con le classi borghesi, per indiriz-
zarle sulla via del progresso. Quindi la ricchezza si ridus-
se nelle mani di pochi i quali, mentre isterilirono la pro-

Storia d’Italia Einaudi 248


Cesare Lombroso - Genio e follia

duzione, estendevano inutilmente i loro possessi usur-


pando alle popolazioni le terre demaniali.
I proprietari, godendo enorme estensione di terre,
sdegnavano coltivarle intensivamente. Di qui la pover-
tà estrema degli agricoltori, ridotti a meri strumenti di
lavoro, mai elevati a mezzadri.
Nel solo tribunale di Catanzaro si ebbero 701 esecu-
zioni immobiliari per debiti, di cui 80 non superiori a lire
50.
Il grande proprietario o il suo agente, circondato dai
suoi compari, esericita in molte vallate remote una tiran-
nia pari a quella dell’antico barone. Circondato da un
esercito di guardiani in pieno assetto di guerra, sdegna
discendere (scrive Ruiz) fra le classi povere, e così indi-
rizzarle sulla via di progresso. Gli agricoltori, ridotti a
mero strumento di lavoro, sono di uno straordinario ab-
brutimento. «Nella prepotenza dei ricchi sui poveri, inu-
tilmente protetti dalle leggi», continua il procuratore del
Re E. Ruiz, in un mirabile discorso inaugurale, che in
altre sedi e tempi avrebbe procurato all’oratore qualche
anno di carcere per eccitamento all’odio di classe, tan-
to da noi si sa provvedere ai mali punendo chi li denun-
cia, «si intende la forza e il perché del brigantaggio am-
mirato dal popolo, poiché le sue violenze vendicavano
altre violenze; altre ingiustizie, che l’autorità non sapeva
reprimere».
«A questo stato di cose, scriveva Oliva ( Discorso inau-
gurale giuridico dell’anno 1896), creato dalla violazione
delle più comuni leggi economiche, si aggiungano le pre-
potenze e violenze usate dai ricchi, che tutto potevano,
sui poveri impotenti a sostenere i loro diritti, pur rico-
nosciuti dalle leggi, e s’intenderà il perché del brigantag-
gio rimasto leggendario, per le sue gesta feroci e gene-
rose ad un tempo, che si ricordano dal popolo con ac-
cento di paura e di ammirazione, riconoscendo che tante

Storia d’Italia Einaudi 249


Cesare Lombroso - Genio e follia

stragi e saccheggi rispondevano ad altre ingiustizie, che


l’autorità sociale non valeva a reprimere.
Le condizioni sono tristi: vi ha la miseria più squal-
lida degli agricoltori, disagi mal dissimulati della media
borghesia, che vive del lavoro sul proprio e sull’altrui po-
dere; ricchezza di pochi, più o meno ingiustamente accu-
mulata, e stupidamente conservata quasi infruttifera, con
danno degli stessi Nababbi e iattura delle classi lavoratri-
ci, cui si toglie, insieme col lavoro, la sorgente della pro-
duzione, cioè della prosperità pubblica. Di qui l’abbru-
timento loro, derivato dal non poter aspirare a sollevarsi
con le forze proprie dalla miseria che le logora, quindi lo
svolgersi in esse delle tendenze criminose, per sottrarsi a
quella che si dice ingiustizia della sorte ed è ingiustizia
degli uomini».
Quindi i reati di omicidio, di lesione, di libidine, che
già vi davano le cifre più alte dell’Italia, sono andate in
Calabria aumentando anno per anno invece che calare, e
le frodi, che sono di poco superiori alla media del regno,
aumentaronvi anch’esse.
Chi legge le cifre della criminalità calabrese, vede che
i delitti in genere sonvi maggiori che in tutta la media
del regno: i furti 405 su 100 000, mentre la media in
Italia è di 259; egli omicidii sono 250, mentre la media
è 105; e quello che è peggio, questi ultimi reati tendono
ad aumentare invece che a diminuire; evi si sono andati
formando col nuovo Governo italiano dei reati speciali.
L’analfabetismo non calò in vent’anni che a 80 per
cento. E vero che scuole vi sono in numero sufficiente,
e costano più che nell’alta Italia; ma essendo a troppa
distanza dalla coltura generale, restano inattive, sono
cioè poco frequentate, avendo solamente 37 iscritti su
10000 abitanti; mentre nel regno sono 91; i maestri sono
amministratori di famiglie ricche, commessi di agenzie e,
sopratutto, agenti elettorali; quindi un’enorme ignoranza
e infiniti pregiudizi, al punto da vedere riguardati profeti

Storia d’Italia Einaudi 250


Cesare Lombroso - Genio e follia

dei monaci e persino adorati degli ulivi sacri, micidiali


a chi vi si approssima. Ciò sia detto in genere della
Calabria di pochi anni fa.
Se non che, un paese così nobile come la Calabria ha
già saputo da sé incominciare a trovare i rimedi. Così
i giornali salirono da 3 a 50; le scuole quadruplicarono;
l’emigrazione, aumentando da 500 individui che era nel
1878, a 17 000 nel 1895, rendeva meno disagiati i rima-
nenti; anche le ferrovie si unirono a grandi strade mae-
stre, per portare la civiltà in punti lontani. E quindi è
che il calabrese dei capoluoghi e delle capitali come Ca-
tanzaro, Cosenza, Reggio, non differisce dal cittadino di
Milano o di Torino.
Ma se questi vantaggi si ebbero nei grandi centri e
dove la topografia permetteva la formazione di strade e
la mescolanza coi popoli del nord, questi vantaggi van-
no amano a mano diminuendo nei luoghi più remoti,
specialmente nell’estrema punta d’Italia, quelli in cui si-
gnoreggiava Musolino, resi quasi inaccessibili dai boschi
e dalle montagne; qui, alla selvatichezza della regione,
s’aggiungeva l’influenza delle semi-selvaggie colonie al-
banesi e greche, molte delle quali ancora coi costumi, la
lingua e la moralità dei tempi di Scanderberg.
In questi paesi, come Africo, Bova, Santo Stefano,
dove mancano quasi affatto la scuola, il giornale e perfino
la strada, la moralità è ancora allo stadio primitivo, in
cui tra delitto e azione, ricordiamo il facinus latino, la
distanza non è grande; anzi l’uno si confonde con l’altro,
tanto più poi quando si tratta di reati di sangue, o per
vendetta, che nei popoli poco civili non sono riguardati
come reati, ma considerati spesso come dovere84 .
Invece di spendere enormi somme nelle pur tristi, se
non inutili, conquiste, era meglio profondere il nostro
oro e le fatiche dei funzionari a rendere più civili, più
ricche d’industrie e di vie quelle regioni; così sarebbe-
si avuto il vantaggio di prevenire, dopo tolto di mezzo

Storia d’Italia Einaudi 251


Cesare Lombroso - Genio e follia

il primo, un secondo od un terzo avvento di simili eroi


del male, che non possono mancare finche il terreno vi
sia propizio, come ha dimostrato ora l’esempio della Sar-
degna, ove dopo la strage creduta definitiva dei brigan-
ti, questi ripullulano di nuovo al pari, se non peggio, di
prima.

6
Enrico Ballor detto il martellatore

Enrico Ballor, di 27 anni, è stato condannato recente-


mente dalla Corte d’assise di Torino all’ergastolo per
aver ucciso a colpi di martello un vecchio suo prozio,
Massimino Ballor, da lui attirato fuori di casa a tarda ora
di notte, col pretesto di un’improvvisa malattia della pro-
pria figliuola, allo scopo di depredarlo di quanto aveva in
casa e, certo, di quanto aveva indosso; essendo stato pro-
vato che nella notte stessa dell’assassinio egli tentò ven-
dere un orologio appartenente alla vittima e ne nascose
entro le falde del proprio soprabito la catenella che pri-
ma vi era appesa.
Altri indizi del reato furono: di essersi egli trovato, a
poca distanza dall’ora in cui fu consumato il delitto, in
un caffè, dove lasciò in pegno il suddetto orologio ad un
cameriere per ottenere tre lire d’imprestito, e con le fal-
de del soprabito bagnate, certamente per averne lavate le
macchie di sangue, senza dire di una sua mezza confes-
sione all’atto dell’arresto seguito il giorno dopo il delitto,
ch’egli però negò poi ostentatamente. Altrettanti indi-
zi, forse meno sicuri, si ebbero per un altro assassinio: il
martellamento, cioè, di certa Orsola Filippini, portinaia
d’una casa di via Magenta in Torino.
Al dibattimento risultò, infatti, ch’egli in quel tempo
abitava in questa casa, ne frequentava la portieria, porta-
va i fiori alla povera Orsola e con essa chiacchierava. La

Storia d’Italia Einaudi 252


Cesare Lombroso - Genio e follia

sera del delitto fu là dentro e fu visto a discorrere con es-


sa; ed il giorno dopo si constatò che dalla somma di de-
naro che l’Orsola doveva avere, mancavano lire 8,50; che
la firma di Ballor sul quaderno, sul quale s’inscrivevano
i pigionali, era stata messa in quella sera, mentre egli in-
vece pretende averla scritta prima, smentito in ciò dai te-
sti che prima e dopo lui sottoscrissero; s’aggiunga che
in quella sera fatale fu visto uscire dalla portieria da una
casigliana, mentre essa rincasava.
Altri indizi si hanno nella vita scioperata e criminosa
tenuta fin dalla prima giovinezza, e nell’aver detto, pochi
giorni prima del reato: «Se mi va bene un affare, aggiusto
tutto».
Sono, è vero, indizi che possono parer discutibili di-
nanzi alla sua franca negativa e alla scarsità dei testimo-
ni, e che appena potrebbero avere un nuovo amminico-
lo nella condotta spavalda, cinica e, nello stesso tempo,
astutissima durante il dibattimento alle Assise.
Ma è lecito chiedere, dopo la creazione della nuova
scuola antropologica criminale, che studia nella psiche e
nel corpo del delinquente, più che gli spesso fuggevoli
indizi del delitto, i veri e durevoli moventi che ve lo spin-
sero: – Non v’è qualche altra prova molto più precisa e
sicura da cogliere nell’esame del delinquente medesimo,
esame che, come è costume in Italia, non fu notato né
dall’Accusa e nemmeno dalla Difesa?
Esame somatico Come giustamente notava il P. M., il
primo esame, anche suffragato dagl’istrumenti opportu-
ni, non ti dà alcun indizio di anomalie nel Ballor, non
potendo comprendersi in queste un’ernia acquisita do-
po l’asportazione quasi completa delle glandule sessua-
li. Barba e capelli sono abbondanti; fisionomia armoni-
ca, bella, aperta, di un comune garzone di negozio, che
diventa solo truce in alcuni momenti. La capacità crani-
ca (1420 c.c.) come la circonferenza (545) sono un po’
più scarse della media virile; forma del capo elittica; do-

Storia d’Italia Einaudi 253


Cesare Lombroso - Genio e follia

licocefala (78,9); una leggera iperostosi al bregma; solo


si potrebbe rilevare un lieve prognatismo alveolare; un
leggero grado di stenocrotafia (diametro frontale 110 D.,
zigomatico 125); orecchio sessile; il pollice del piede più
corto delle altre dita; una cicatrice da una martellata al
fronte riportata a dieci anni.
Più importanti sono le anomalie funzionali, e prima di
tutto la riduzione del campo visivo e lo scotoma enorme
a destra.
Importantissimi i risultati dell’urocoscopìa, specie pei
fosfati:
Fosfati totali gr. 2,484 – P205
» alcalini » 2,124
» terrosi » 0,360

ossia, mentre nell’uomo medio la formola è di85 :


Alcalini 1: 0,12 terrosi

essa è invece in Ballor di:


Alcalini 1: 0,03 terrosi

Si riscontrò anche in lui una particolarità singolarissi-


ma, che venne pure rinvenuta da me in varî criminali-nati
e negli epilettici: una differenza di 20 gradi nella pressio-
ne al braccio destro in confronto al braccio sinistro.
Riflessi cutanei e tendini mancanti, salvo al tendine
d’Achille ed ai radiali. Tremore delle mani per abuso
alcoolico. Tardivi riflessi pupillari. Sensibilità perfetta-
mente normale; tatto 1,5 a sinistra e 2,5 a destra, con un
grado leggero di mancinismo.
La sensibilità generale presentava alla slitta Du Bois
R: 63 mm. a destra e 65 a sinistra, con poca differenza
quindi da un lato all’altro. Anche la sensibilità al dolore
era normale; solo più accentuata e viva a destra, 45, che
a sinistra, 40 millimetri.

Storia d’Italia Einaudi 254


Cesare Lombroso - Genio e follia

Egli stesso confessava che bevette vino fin da bambino


e, più tardi, liquori, come del resto usavasi per abitudine
in famiglia.
Aveva forza notevole: 70 chilogrammi del dinamome-
tro, e, quel che è più, singolarissima agilità, per cui ora,
malgrado che l’ernia non sia contenuta da uno speciale
apparecchio, come già prima, fece per suo capriccio due
volte il salto mortale; e la grande agilità è in gioco in qua-
si tutti i suoi delitti giovanili e nell’ultimo, contro lo zio,
avendo dovuto fare un salto da un muricciuolo.
Psicologia Dalle informazioni che attinsi dai compa-
gni, dalle famiglie che lo ebbero operaio e dai suoi, appa-
re che egli mostrava un ingegno svegliatissimo, ma un’o-
perosità intermittente.
Dalla signora Massola, fioraia, raccolsi che non lavorò
più di un mese, ma che in quel tempo lavorava per tre.
Anche dal Castiglione non stette più di un mese, falso
essendo il pretesto, con cui si licenziò, che l’ernia gli
impedisse ogni sforzo muscolare.
Appena trovava denaro, lo spendeva in liquori, nel
giuoco e nelle donne, e, come molti colleghi di crimi-
ne, in giornali giudiziari, dove attingeva idee a nuove im-
prese; per quanto guadagnasse, non era capace di rispar-
mio. Si vantava coi compagni di ricchezze immaginarie
accumulate coi fiori; pretendeva disporre di interi basti-
menti a Tolone, di avere somme enormi in banche a Ge-
nova e a Nizza, di essere stato decorato in Africa, dove
non era mai andato, di vendere i garofani a cinque lire
l’uno a Parigi.
Non mostrò una vera disaffezione ai parenti; però,
dopo aver loro promesso di correggersi, di ravvedersi,
ecc., scompariva e per anni interi non lasciava più traccia
di sé.
Dalla condotta tenuta durante i procedimenti appare
una singolare furberia: grande sangue freddo e nessuna
sensibilità affettiva, nessun pentimento davanti alla mor-

Storia d’Italia Einaudi 255


Cesare Lombroso - Genio e follia

te del suo simile e, quel che importa, nessuna proporzio-


ne tra l’entità del guadagno e la enormità dei suoi delitti,
quasi che egli li commettesse più pel piacere di farli che
non per un guadagno che ne potesse trarre.
Egli, poco dopo ucciso lo zio e la portinaia, non
mostrava il più leggero turbamento; la morte dello zio
era stata premeditata a lungo, come dimostra la visita
fattagli prima ed il discorso con un amico suo: «Se mi
riesce un affare, dopo starò bene».
Ora questa è veramente la condotta del delinquente-
nato, per cui nel gergo le parole che alludono alla morte
propria ed altrui hanno termini burleschi: far la grinta,
raccorciare; l’imprevidenza del succitato discorso a un
amico e quella per cui disse al brigadiere Soro: «Ero
solo» (si intende nel fare il delitto) sono proprie del
delinquente-nato.
Così Philippe, dopo commessi i suoi strani omicidi
sulle serve, diceva ad una sua ganza: «Io le amo le donne,
ma a modo mio, perché uso soffocarle dopo... Oh!
sentirete parlare presto di me!». E Lachaud, poco prima
di uccidere il padre, diceva: «Questa sera gli scavo una
fossa e lo metto a dormire per sempre!». L’avvelenatrice
Busceni si firmava: «La tua Lucrezia Borgia», e Berard,
prima di assassinare tre ricche signore, diceva: «Voglio
attaccarmi a qualche cosa di grosso!».
E del delinquente-nato è speciale quel cinismo umo-
ristico di cui egli fece così strana prova alle Assise; per
cui nel gergo la mano diventa la zampa e maslè è il medi-
co, gesuita il cappone e beccaria l’ospedale; être dans l’in-
fantérie: essere incinta; apaier: assassinare. E per cui Al-
lard, mentre gli si pronunciava l’ultima condanna, fuma-
va: «E fumo – diceva – con premeditazione ed agguato».
Ed uno volle scegliersi fra i suoi tre carnefici il suo, come
lo chiamava, professore. Al prete, che gli raccomandava
l’anima, Dumolard ricordava una promessagli bottiglia86 .
E così si contenne Ballor alle Assise.

Storia d’Italia Einaudi 256


Cesare Lombroso - Genio e follia

Si vantò in tête à tête col sostituto-procuratore gene-


rale, avvocato Avellone, d’essere un avidissimo ladro, di-
mostrando cupidigia di un ricco anello ch’egli aveva in
dito: «Quando – gli confessò – una cosa mi piace, biso-
gna ch’io l’abbia, anche se dovessi far di tutto per pren-
derlo». Pare che cominciasse così a voler fargli confes-
sioni sui propri delitti; ma quando si trattò di porle in
iscritto, vergò circa diciotto pagine piene di scarabocchi
ridicoli e osceni.
Se fisicamente, dunque, in lui non spiccano i caratte-
ri del delinquente-nato, essi emergono nelle funzioni vi-
sive, motrici e sopratutto nell’anomalìa del senso morale
– già provata, del resto, dalla precocità e frequenza, e, da
ultimo, dalla ferocia dei crimini.
Eredità Ho indagato quali cause ereditarie potessero
aver influito a dare al mondo un mostro simile, che,
appunto perché mostro, non può non avere un’anomala
origine.
Le prime indagini furono negative; tutti i parenti di-
retti ed indiretti, di cui si potesse aver notizia, non solo
erano onesti, ma perfettamente sani. Senonché ho volu-
to accertarmi di persona del fatto, e, a furia d’arrampi-
carmi per le soffitte e pei pianerottoli di Torino, Pinero-
lo e dei dintorni, ho potuto farmi un’idea precisa della
famiglia.
I fratelli tutti non presentano alcuna anomalìa ben ca-
ratteristica. Una sorella però si suicidò e teneva condot-
ta poco corretta; un giovane fratello, ubbriaco, restò ab-
bruciato nel fieno e una bimba morì per trauma.
Il padre è un bravo e buon uomo; presenta però uno
strabismo dell’occhio destro, e, quel che è più, una vasta
acne rosacea sul viso, propria di quelli che sono troppo
amici di Bacco; e tale egli è, e nell’azienda di casa, come
verso i figliuoli, mostrò una specie di strana apatia, di cui
l’amore di Bacco forse era prima causa.

Storia d’Italia Einaudi 257


Cesare Lombroso - Genio e follia

Non fece che un solo tentativo per collocare il figlio


Enrico – che fin da bambino aveva lasciato istradare
all’amore del vino – in un istituto di correzione, dove,
appunto perché agiato, non fu ammesso.
Un fratello del padre era, più che bizzarro, un vero
pazzo morale. Tre mesi dopo che si era sposato con una
bella e brava donna, amoreggiata da anni, l’abbandonò,
dopo maltrattatala, per gettarsi in una vita avventurosa:
tre volte si fece pagare dai parenti ricchi l’imbarco per
l’America, liquidandone i fondi in tanto vino e vivendo
nel frattempo bevone e sciupone in Italia. Fu egli che,
essendosi, come al solito, ubbriacato e avendo ubbria-
cato un giovanetto Ballor, fu causa che questi bruciasse
nel fienile, ove lo lasciò appena si manifestò l’incendio,
salvandosene egli, che ai tristi casi dell’ubbriachezza era
corazzato dall’abitudine.
Un altro fratello, invece, era abile, economo; un altro
bravissimo, abilissimo, ma spendaccione e bevitore.
Ma più importante anomalìa offre la madre. Essa
ha fisonomia simigliantissima al figlio peccatore, con
alcune linee che la rendono più anomala; vale adire:
canizie precoce (fin dai 40 anni), ed una singolarissima
pel Piemonte, dolicocefalìa, stenocrotafia, prognatismo,
che ha pure il figlio reo, e, quello che più ci interessa,
paralisi spastica della guancia, palpebra superiore destra
e della lingua; forte cefalea e vertigine: fenomeni che si
aggravarono dopo le tristi notizie del figlio. Un nipote di
questa ebbe a soffrire, dopo dispiaceri, gravi psicosi, di
cui pare guarito.
Dunque un’influenza notevole ereditaria esiste; il solo
fatto del concepimento in una notte d’ebbrezza bastereb-
be, del resto, a spiegare l’origine della delinquenza-nata;
oltreché si aggrava l’eredità anche per essere dal lato pa-
terno e dal lato materno.
Causa organica. Meningite nell’infanzia Ma, più im-
portante ancora di questa doppia influenza ereditaria, è

Storia d’Italia Einaudi 258


Cesare Lombroso - Genio e follia

il fatto rivelatomi dalla madre, e che controllai con al-


tri testimoni, che l’Enrico Ballor, nel 1878-1879, nell’età
della prima giovinezza, tra 9 e 10 anni, ebbe una malattia
grave dei centri nervosi, in cui, dicono i parenti, pareva
pazzo: rifiutava di veder la gente, saltava sui mobili, ri-
fiutava le sanguisughe e le vesciche di ghiaccio sul capo,
presentava digrignamento dei denti e convulsioni; male
che durò più di 40 giorni e per cui si tentarono persino
gli esorcismi; dopo il quale restò per qualche mese com-
pletamente calvo e crebbe come un individuo che avesse
toccata la pubertà; sicché a 11 anni mostrava lo sviluppo
e la statura di 18: fenomeno questo della precoce ed esa-
gerata crescita che io e Marro trovammo nei degenerati
e nei criminali.
Ebbe dunque una meningite o una poliencefalite de-
gli infanti; ed è cosa importantissima il notare che pri-
ma di quest’epoca egli non avrebbe presentato nulla di
singolare; era anzi un bravo e buon figliuolo.
A 9 anni, dunque, solo dopo quella malattia, cominciò
a rubare denari in casa per giocare al di fuori, ed egli, che
fino allora aveva frequentata la scuola, cominciò nei gior-
ni di mercato di Moncalieri a simulare con alcuni giova-
ni la storpiatura di un braccio per raccogliere l’elemosi-
na; e a 10 anni, secondo lui, cominciò i tentativi erotici,
resi completi a 12, e coronati da una blenorragia a 14; il
che conferma la precocità singolarissima già dimostrata
dalla statura; precocità che è propria, come l’agilità, di
questi degenerati. A 11 anni circa commise un grave fur-
to di un orologio in un albergo vicino, ove egli era stato
chiamato per guardare una bambina.
A 18 anni fu condannato per ferimento, e poco dopo
per furto; a 19 anni commette un altro furto con iscala-
ta, e poco dopo un altro di notte; da allora in poi, me-
no i mesi o gli anni in cui era in prigione, continuò a ru-
bare; nel 1897, anzi, con scasso e rottura, ed usando di
singolare agilità nello scavalcare un altissimo muro.

Storia d’Italia Einaudi 259


Cesare Lombroso - Genio e follia

Tra un carcere e l’altro fece il ferraio, il muratore, il


giardiniere e sopratutto l’ozioso e il ladro, essendo a capo
o a parte di associazioni criminose, che gli rendevano,
pare, fortissime somme.
Più tardi ritorna a Torino, dove in parte è aiutato dal-
le sorelle, in parte da alcune monache che l’avevano as-
sistito nella tubercolosi dei testicoli, che dovettero essere
asportati, e delle quali carpiva la protezione con ipocrisia
raffinata.
Grazie a queste, è impiegato prima dalla Massola,
poi dal Castiglione; ma, benché mostrasse qui abilità ed
attività straordinarie, non vi restò più d’un mese, perché
non l’abilità gli mancava, ma, come nei delinquenti-nati,
la tenacia e la stabilità del lavoro.
Conclusione Da tutte queste ricerche l’enigma del Bal-
lor appare completamente spiegato, egli indizi colti nel-
le finissime indagini giudiziarie ricevono un ben più sal-
do controllo e fondamento. E, prima di tutto, eziologi-
camente questo orribile fenomeno criminoso non nasce,
come prima credevasi, come un fungo senza una gravis-
sima e ben determinata causa. Causa ereditaria prima,
nella degenerazione, sparsa nella famiglia, per influenza
specialmente alcoolica dalla parte dei maschi, del padre
e dello zio, e psico-neurotica dalla parte della madre; il
che spiega le torbide fini di due fratelli e della sorella, le
cause del cui suicidio si spiegano con lo stesso veleno su-
blimato, che essa prescelse e che ebbe così facilmente...
alla mano.
Ma più ancora vi ha avuto influenza la meningite in-
fantile fra i nove e dieci anni, di cui un rimasuglio sono
l’abolizione dei riflessi, la scarsa reazione pupillare e so-
pratutto le anomalìe del campo visivo, l’asimmetria, cioè,
le riduzioni e, in ispecie, il profondo scotoma periferico,
dopo la quale malattia datano il manifestarsi dell’eccessi-
vo sviluppo corporeo suo e delle sue tendenze criminose.
Questa meningite, come in alcuni casi lascia dietro se la

Storia d’Italia Einaudi 260


Cesare Lombroso - Genio e follia

paralisi degli arti o della favella, qui ha lasciato, diremo


così, la completa paralisi del senso morale e dell’affetti-
vità; essa spiega la tendenza criminosa di costui, il biso-
gno di fare il male pel male, quasi fosse uno scherzo, an-
zi una buona azione, e tanto più allo scopo di cupidigia,
di guadagno, per quanto esso potesse essere scarsissimo.
Gli è che i rei-nati se commettono reati senza causa, per
il piacere di commetterli, tanto più è naturale che li fac-
ciano per qualche scopo, per quanto sproporzionato agli
occhi degli onesti.
Ed ecco come la psichiatria, l’antropologia criminale,
mentre devono, fino ad un certo punto, attenuare la re-
sponsabilità di costoro nel senso adottato comunemente
dai più, a loro volta offrono un indizio preciso, sicuro del
reato commesso, e spiegano perché, malgrado un’intelli-
genza non comune, egli abbia sciupata la vita senza una
stabile e procaccevole occupazione, mentre in alcuni la-
vori era abilissimo: «Lavorava per tre – diceva la signo-
ra Massola –, ma non poteva continuare nel lavoro più
di un mese»; e spiegano perché egli abbia da orticultore
mutato il mestiere in fabbro-erraio e muratore, mentre
avrebbe dovuto durare nel mestiere di fiorista, in cui era
così abile; mestieri i penultimi che gli furono fatali per i
suoi delitti, apprendendogli il maneggio del martello: es-
sendo proprio di tutti questi criminali-nati il mutare me-
stiere, quando pure uno ne devono fare, mentre il delitto
e l’orgia sono la sola loro occupazione prediletta.
Questo studio ci fa sospettare che non solo egli ab-
bia martellato lo zio e la portinaia di via Magenta, ma
anche due donne del Circolo Caprissi, di cui era rima-
sto finora ignoto l’assassino; è noto che non solo esse fu-
rono colpite con lo stesso modo, metodo e strumento,
ma che vennero trovate tutte oscenamente denudate, co-
me lo era la portinaia di via Magenta; il che è indizio di
un altro movente del crimine, di quel movente che par-
te dal soddisfacimento erotico che provano i degenera-

Storia d’Italia Einaudi 261


Cesare Lombroso - Genio e follia

ti, semi-impotenti, nella strage, che è in loro non solo un


eccitamento, ma un soddisfacimento libidinoso.
Quando si rinnovarono questi fatti, io avevo già detto
ad alcuni giuristi e giudici che il reo doveva trovarsi
in uno che avesse anomalìe negli organi genitali; ma
essi hanno altro da fare che badare alle bubbole degli
antropologhi; l’ultimo e il più inesperto dei poliziotti ha
per loro un valore cento volte maggiore; noi viviamo in
Italia, non già nel Nord d’America o in Inghilterra!
In questi casi il delitto sanguinario sostituisce il con-
giungi mento carnale; è l’anomalìa sessuale che ritorna
all’uomo alle epoche primitive e animalesche, in cui il
congiungimento non aveva luogo che in mezzo alle lot-
te sanguinose coi rivali e, alle volte con la stessa femmina
riluttante. Lotte di cui rimasero tracce in molti usi nuzia-
li contadineschi. Ora noi abbiamo visto che Ballor da al-
cuni anni è stato operato di orcheotomia, e che traccia di
sadismo egli abbia, ho potuto cogliere in qualche confi-
denza, raccontandomi com’egli spesso arrivasse a morsi
feroci coll’amata e come una volta avesse meditato di uc-
cidere una prostituta poco dopo godutala, perché – di-
ce egli – gli aveva sottratti i denari; e questo spieghereb-
be anche l’enorme sproporzione tra l’entità dei delitti e
il frutto che poteva coglierne, tanto più trattandosi di un
individuo di non comune intelligenza. E la meningite so-
pravvenuta nella tarda fanciullezza, quando già cranio e
faccia avevano assunto il loro tipo definitivo, spiega an-
che il perché un individuo, che è un vero criminale-nato,
la cui vita fu una serie di delitti, non abbia anomalìe cra-
niche e facciali, abbia una normale fisonomia, non essen-
do congenita in lui la criminalità, ma acquisitane dopo la
malattia. La meningite, se attenua la responsabilità, se-
condo la vecchia scuola, se non in quella iniziata da me,
che dice: «Tu non hai colpa di aver peccato, ma noi non
abbiamo colpa se per difesa ti sequestriamo ed anche ti
uccidiamo», a sua volta dà una salda base a quegli indi-

Storia d’Italia Einaudi 262


Cesare Lombroso - Genio e follia

zi sporadici raccolti dall’indagine giudiziaria; poiché ap-


punto molte volte la meningite, privando l’uomo del sen-
so morale o della inibizione, lo induce e lo spinge a com-
mettere i delitti più feroci, come lo rende incapace al la-
voro continuato, pure conservandogli tutte le apparenze
della mente sana e una finezza di ingegno, specialmen-
te di astuzia non comune, che può confinare persino col
genio.
Ora apprendo aver egli confessato l’assassinio delle
due donne al Circolo Caprissi, non senza – aggiungo –
reticenze e bugie. Infatti, a me almeno, dichiara ora che
commise quei delitti per mandato di due signori, che
gli avrebbero dato 50 lire per ogni reato e una grossa
chiave per compierli; il che, almeno per tutt’e due i
delitti, è inverisimile: mi confessò che, dopo uccise le
due donne, provando viva erezione, praticò il coito con
la più giovane e rubò poi alcuni oggetti per poter provare
ai mandanti l’assassinio!
Seppi, dopo, che al giudice istruttore confessò – e
questa volta era nel vero – d’aver commessi i tre assassinî
di donne a solo scopo di rapina, libidine di sangue e
di Venere, e soggiunse che, quando egli ha bevuto una
grande quantità di vino, invece di restare ubbriaco, vien
preso da una violenta smania di sangue, di furto e di
Venere che non gli lascia posa.
Ciò conferma completamente la nostra diagnosi. Le
cellule nervose corticali, guaste dall’antica meningite, re-
stando più irritabili, come spesso accade, al veleno alcoo-
lico, trascinano ad atti violenti, specialmente sanguinari
e lascivi, ritornando l’uomo agli stadi primitivi.
Quindi anche nella nostra epoca Verzeni, i Tozzi, i
Mangachi, Vacher, Ballor, ecc., riproducono l’uomo sel-
vaggio, mentre invece, pur appartenendo ad una delin-
quenza sanguinaria, Gasparone e Tiburzi, forse in grazia
d’una intelligenza maggiore, presentano molti caratteri
di modernità e non commettono reati se non per conse-

Storia d’Italia Einaudi 263


Cesare Lombroso - Genio e follia

guire alti vantaggi; mai, come in quelli, l’uccisione è sco-


po a se stessa.

7
Gaetano Bresci regicida

I fatti tristissimi che accompagnarono e precedettero il


regicidio di Monza sono troppo noti, perché occorra tor-
narvi su. Meno noti sono i dati 1902 sulla biologia e psi-
cologia del regicida, che più interessano l’antropologia
criminale, la quale studia il reo più che il reato: essi non
sono sufficientemente numerosi da offrire una completa
idea della figura der reo; tuttavia ne abbiamo abbastanza
per un abbozzo approssimativo.
E cominciamo dalla:
Biografia Il Bresci, d’anni 35, nacque a Goiano, frazio-
ne di Prato; suo padre, morto poco tempo fa, era agri-
coltore; un fratello, quasi scemo, è calzolaio; un altro già
seminarista, poi tenente; una sorella sposò un falegna-
me. La famiglia era dapprima poverissima; divenuta, do-
po qualche tempo, più agiata, sperperò di nuovo quanto
possedeva per l’ambizione, non rara nella campagna, di
educare a prete prima e poi a militare uno dei figliuoli.
Il Gaetano Bresci perciò sofferse assai per la miseria fa-
migliare negli anni della prima fanciullezza; ma, ammae-
strato poi nella tessitura, se la cavava sufficientemente,
anzi a 25 anni poteva guadagnare fin 20 lire alla settima-
na. Verso i 16 anni sentì a Prato alcune conferenze anar-
chiche, che, accordandosi troppo con lo stato suo e dei
suoi, lo colpirono straordinariamente; anche perché ciò
coincideva con la pubertà.
Infatti, da affabile che era prima, divenne strano e
quasi violento; dichiarava a tutti che non poteva, senza
protestare, vedere il trionfo dei ricchi, mentre tanti era-
no poveri; e l’irritazione crebbe quando ebbe a soffrire

Storia d’Italia Einaudi 264


Cesare Lombroso - Genio e follia

quindici giorni di carcere per oltraggio alle guardie, mal-


grado che una sopravvenuta amnistia ne cancellasse ogni
conseguenza giuridica. Quattr’anni sono (a 31 anni) emi-
grò in America (e probabilmente scelse la dimora a Pa-
terson, perché ivi era un gruppo di fanatici come lui),
tanto più volentieri, che le sue idee anarchiche l’aveva-
no messo in cattivi termini con la famiglia, specie col te-
nente, con cui si bisticciava, sino a venire a vie di fatto,
perché monarchico e perché, a suo dire, «quel suo milita-
re nell’esercito non era un vero lavoro, mentre gli uomini
onesti bisogna che lavorino per campare».
Caratteri fisici Non si nota in lui alcun carattere che
lo designi per pazzo, degenerato o criminale. La statura
è media, la pelle è pallida, la muscolatura è forte, i baffi
neri, gli occhi neri, piccoli e infossati, lo sguardo freddo;
appena havvi una leggera esagerazione di sviluppo del-
lo zigoma e un po’ d’impicciolimento del fronte. È in-
somma il fisico degli uomini medi: la parola è lenta, qua-
si stentata, senza scatti; anche la scrittura è poco decisa,
ineguale, quasi infantile, e con due correzioni nella fir-
ma, senza immaginazione, senza energia, ma almeno nel
taglio dei t e nelle ampe a clava dei p e dei q con violen-
za e impulsività, come dalla [...] lettera all’avv. Filippo
Turati, speditagli dal carcere.
Psicologia Anche psicologicamente, predominano in
lui i caratteri dell’uomo medio. Senza essere stolido,
è di una intelligenza molto mediocre, come si vede già
dall’idea che, sopprimendo il capo di un paese, si possa
cambiarne assolutamente l’indirizzo governativo, legato
a tante molle economiche, sociali e politiche. Merlino,
anch’egli, notava che la sua affermazione di aver ucciso
il re, perché aveva firmato lo stato d’assedio, dimostrava
che egli dava un peso enorme alla materialità, alla forma-
lità dell’atto, senza approfondirne le cause. E questo si
vede meglio dall’importanza che dà ai fatti minimi, dai
lamenti esagerati pei maltrattamenti delle guardie, per

Storia d’Italia Einaudi 265


Cesare Lombroso - Genio e follia

la perdita di un bottone dorato; e quando si sbraccia a


smentire di essere giunto improvviso a Prato; il che, do-
po la confessione della premeditazione, non aveva alcu-
na importanza; e quando si sbraccia per una piccola mul-
ta, e quando insiste per far sapere che un dato telegram-
ma gli fu spedito da Piacenza, non da Biella, come vuo-
le l’accusa insidiosa e falsa, secondo egli dice; e che nel-
la lettera del Turati c’era il francobollo per la risposta; e
che a Monza non era nelle prime file davanti al re, ma
nella folla.
Che il suo senso morale fosse diminuito od ottenebra-
to sotto il monodeismo fanatico, lo prova il nessun rimor-
so, la lunga premeditazione del reato, avendo comperata
la rivoltella fin da quando era in America, avendola pro-
vata al bersaglio più volte su assicelle e avendo, con det-
taglio crudele, intaccato più volte con una forbice i pro-
iettili, onde riescissero più micidiali; ed è provato anche
dalla risposta che diede a chi dicevagli aver egli solo fe-
rito il re: «Andar sicuro d’averlo ucciso, avendolo colpito
tre volte»; mentre il reo per passione, come è per lo più
il reo politico, non commette che esitando e con ribrez-
zo il reato, e sempre in un momento di turbamento qua-
si sonnambolico, da cui esce con terrore e con rimorso.
La scarsa affettività appare poi dall’abbandono perpetuo
della compagna sua e della figlia; dalla scarsa commozio-
ne con cui egli ne parla; dal non dividere, nemmeno in
piccola parte, gli effetti destati nel pubblico dalla mor-
te della sua vittima; e da quella specie di preoccupazione
continua e egocentrica che si vede assai bene nel suo me-
moriale 26 agosto 1900, che voleva leggere al pubblico,
e che G. Bianchi comunicò nel Corriere: «Il fatto da me
commesso non si deve attribuire totalmente ai miei prin-
cipî, all’intento di protestare in nome di tutte le vittime
del malgoverno d’Italia (il che avrebbe potuto parere se
non una giustificazione, almeno una spiegazione del rea-
to), ma fu diretto sopratutto a rivendicare specialmente

Storia d’Italia Einaudi 266


Cesare Lombroso - Genio e follia

me stesso, le mie subìte miserie e quelle della mia fami-


glia». Parole quasi identiche a quelle di Caserio87 , ma che
non sono egualmente giustificate dai fatti, poiché le sue
sventure e la sua miseria erano infinitamente minori di
quelle dell’anarchico lombardo, e perché le persecuzioni
sue furono, in linea giudiziaria e politica, leggerissime.
Anche le altre sue passioni sembrano poco violente:
era donnaiolo, ma finì con una specie di matrimonio;
aveva la velleità di essere un fotografo, ma nulla più.
Conclusione Per l’assenza di tutti i caratteri anorma-
li fisici o psichici si esclude in lui il reo-pazzo, il reo per
passione e il reo-nato. Resta il delinquente d’occasione,
che è una specie intermedia fra il criminale, il passiona-
le e l’uomo medio; ma che ha per le circostanze ester-
ne un’iperestesìa maggiore del normale. E probabile che
le conferenze anarchiche, udite nell’epoca dello sviluppo
della pubertà, in cui si fissano le fino allora oscillanti88 e
incerte tendenze dell’uomo, abbiano avuto un’esagerata
influenza sul suo contenuto mentale, tanto più che nelle
sue condizioni poteva credere di vederne una dimostra-
zione pratica. Da allora in poi, infatti, egli, che non era se
non un uomo medio, divenne un appassionato, special-
mente per ciò che riguarda le condizioni non certo feli-
ci del popolo d’Italia. D’allora bazzicò nei Circoli anar-
chici, cominciò a litigare con tutti per la causa dell’anar-
chia; la passione sua dovette rinfocolarsi in mezzo al cen-
tro fanatico di Paterson, e quindi si capisce come colà
abbia sentito, secondo dichiarò al processo, più di molti
altri, il dolore per le reazioni sanguinarie della Lunigia-
na, della Sicilia e di Milano, di cui milioni di onesti han-
no certo sofferto, ma senza giungere a propositi così ec-
cessivi di vendetta. Però anche questa passione che par-
rebbe doverlo far catalogare fra i rei per passione, sem-
bra non fosse eccedente e predominante come è in que-
sti, perché egli dichiarò di occuparsi più delle proprie
condizioni che di quelle del paese, e perché egli si pre-

Storia d’Italia Einaudi 267


Cesare Lombroso - Genio e follia

occupò di minuzie che non preoccupano mai i passiona-


ti. Inoltre il passionato è molto più violento nelle espres-
sioni e passa, quasi sempre89 , al pentimento subito dopo
commesso il reato.
Insomma, costui non è né un pazzo, né un passionato,
né un criminale-nato; è quello che noi chiamiamo un
delinquente d’occasione, un criminaloide.
Ed è ciò molto più imponante che non paia sulle pri-
me in linea politica. Finora, che io sappia, tra gli anar-
chici regicidi90 ve ne furono parecchi pazzi: Passanante,
Acciarito, ecc.; moltissimi criminali: Ravachol, Pini, Par-
miggiani, ortiz, ecc.; più numerosi ancora quelli per pas-
sione: Caserio, Vaillant, Henry, ecc., nei quali tutti più
poté l’organismo interno dell’individuo che non la cau-
sa esterna. Qui invece è l’occasione che prevalse sulle
condizioni dell’organismo.
Una grande causa occasionale certamente fu quella di
provenire da un paese libero ed economicamente felice.
È un’osservazione giusta che quasi tutti i regicidi anar-
chici sono Italiani che dimorarono per qualche tempo
all’estero. Ciò può dipendere da parecchie cause, per-
ché, fino che essi dimorano nell’interno, lo sfibramento
provocato dalla miseria è tale, che toglie la forza e l’au-
dacia di reagire. Infatti, come ho notato nel Delitto po-
litico, spiegando come i ben nutriti contadini romagno-
li siano più inclini alla ribellione dei più immiseriti con-
tadini lombardi, occorre un ceno grado di agiatezza per
poter essere ribelli.
L’altra ragione è che passando dall’infelicissima Italia
alla Svizzera e all’America, in cui i generi di prima neces-
sità non sono più così enormemente tassati, in cui il lavo-
ro è più rimunerativo, essi trovano i mezzi per rendersi
più agiati e quindi più adatti alle azioni violente. Si può
aggiungere che la dimora in un paese veramente libero
fa sentire un ribrezzo, un orrore per le violazioni statu-
tarie molto maggiore di quello che può risentire un cit-

Storia d’Italia Einaudi 268


Cesare Lombroso - Genio e follia

tadino immerso nell’atmosfera narcotizzata della servitù,


così da far credere e reputare, anche ad un uomo medio,
che un atto così nefando, come il regicidio, possa essere
giustificato.
La causa impellente più grande, sta, dunque, sia pure
indirettamente, nelle gravissime condizioni politiche del
nostro Paese, le quali sono tali che il solo descriverle, an-
che a man leggera, basterebbe a farne condannare il pit-
tore; poiché è diventata ora massima delle classi dirigen-
ti, non di guarire i mali che ci guastano, ma di colpire ine-
sorabilmente coloro che li rivelano; strano rimedio, inve-
ro, che basterebbe da solo a mostrare fin dove siamo di-
scesi! Ma, del resto, dicano meglio di me le serene e ge-
nerose parole che allora dettava il Lucchini91 sulle con-
dizioni morali, giuridiche, economiche del nostro Paese,
mettendole in rapporto col deplorato reato, parole che,
in bocca a qualunque altro che non fosse consigliere di
Cassazione, procurerebbero una non lieve condanna al-
l’autore dall’«imparziale» autorità giudiziaria italiana!!
Complotto? Da molti si chiede: Ci fu qui un complot-
to?
Ad ogni regicidio, o tentativo di regicidio, le Polizie,
credendo giustificare la loro imprevidenza (mentre inve-
ce l’aggravano, essendo assioma di polizia che, dove son-
vi più cospiratori, vi è un delatore), pretendono che essi
siano l’effetto di un complotto. Viceversa, invece, i com-
plotti, così di moda nei paesi e nei tempi dispotici, anda-
rono sempre più scomparendo in quelli che permettono
le libere manifestazioni. Certo, né Acciarito, né Passa-
nante agirono in seguito a complotti, come si pretese, fa-
cendo un’infinità di arresti e di processi. Ed altrettanto si
dica di Vaillant, di Henry e di Caserio. È ridicolo il pen-
sare che uomini moderni si espongano a una morte sicu-
ra, od a una prigionia peggiore della morte, per obbedire
ad una estrazione a sorte, mentre gli anarchici hanno per
massima suprema l’individualismo e l’amorfismo, più an-

Storia d’Italia Einaudi 269


Cesare Lombroso - Genio e follia

cora poi quando sono criminali, o pazzi, o criminali per


passione che, per loro natura, sfuggono ad ogni freno.
L’avvocato Merlino, che fu già anarchico, afferma che
fra gli anarchici chi andasse a parlare ad un compagno di
un progetto simile, sarebbe considerato come un agente
provocatore, sapendosi che un individuo veramente de-
terminato a dare la sua vita, può far da se, senza compro-
mettere altri. Perciò quando si leggono nei giornali noti-
zie di complotti per uccidere il papa, la regina d’Olanda,
Guglielmo, per opera di tre o quattro, fin quattordici co-
spiratori – né più, né meno –, le sono tutte fiabe di po-
lizia, come le lettere criptografiche che si fanno scoprire
e che son sempre fattura degli agenti mal pagati di que-
stura. Basti ricordare la lettera firmata Speranza, manda-
ta a Turati; la lettera Esperance, scritta per compromet-
tere Picquart; la cartolina trovata tra le carte del Varaz-
zani e poi scomparsa, e che fu evidente opera poliziesca
per poterlo far condannare; e il recente caso in cui un na-
poletano fece arrestare un suo rivale in amore allo sbar-
co in America, denunciandolo come presidenticida, nel
fatto per toglierselo dai piedi.
Or ora in America, dopo analogo misfatto di Czolgosz
contro MacKinley, subito si fantasticarono dieci o dodici
complici e vennero arrestati; ma in un paese, in cui non
solo di nome la giustizia esiste, furono subito prosciolti,
mentre, viceversa, anche adesso in Italia, dopo più di un
anno, permangono in carcere diversi pretesi complici di
Bresci fantasticati dalla nostra ignorantissima Polizia e
mantenuti dalla pronuba Giustizia.
Nel caso di Bresci, però, trattandosi di un reo d’occa-
sione, non passionale, un’influenza suggestionante gran-
de vi deve essere stata. – Non vi fu un complotto, ma sì
la suggestione di molte persone influenti, che, coltivan-
do quella specie di ossessione nata in lui dalle conferen-
ze udite da giovanetto e ribadite dalle sventure sue e del
paese, lo indussero, almeno per via indiretta, a commet-

Storia d’Italia Einaudi 270


Cesare Lombroso - Genio e follia

tere il reato, dipingendolo come un atto eroico. La let-


tera a lui spedita dagli anarchici di Vienna al 31 luglio, e
annessa al processo, in cui si dice che la sua opera porte-
rà grandi frutti, e che egli sarà annoverato fra gli operai
che liberarono un popolo affamato, dà un’idea del gene-
re di suggestione e di esaltamento con cui possono aver-
lo ubbriacato prima altri compagni: senza aver veramen-
te cospirato nel modo classico che sognano le Polizie eu-
ropee, ignare dei metodi di costoro, anzi di tutto il movi-
mento moderno, così da confondere – almeno in Italia –
cogli anarchici amorfisti d’azione i socialisti, che ne sono
i loro più decisi e trionfanti avversari!

Storia d’Italia Einaudi 271


Cesare Lombroso - Genio e follia

LA SCIENZA DELLA DEVIANZA

1
Forme e caratteri della devianza

1
Lo studio dell’uomo

La tendenza al bene, la virtù, è naturale e fisiologica


nell’uomo; i moralisti lo dicono, ed io lo credo, non solo
perché ciò nobilita il povero bipede, ma perché non mi
par contrastabile. V’ha, come diceva il nostro Cattaneo,
un vero mondo intermedio tra il vizio e la malatia – che
si chiama delitto. Fra le tentazioni della colpa e l’impulso
della mania, tra la violenza delle passioni e la subitanea
ferocia degli istinti morbosi, v’ha una linea così breve
e sottile di divisione, che spesso anche l’occhio meglio
esercitato è incapace a distinguerla. Sonvi manie che
sembrano delitti, come la cleptomania, la piromania, e
v’hanno delitti che si dovrebbero, per la loro inumana
ed assurda e disinteressata crudezza, credere effetto di
alienazione, e nol sono. Da un lato i colpiti da mania
subitanea o ragionante, per la rapida scomparsa o per
la mancanza di sintomi, possono essere dai più giudicati
colpevoli – dall’altro, anche i veri colpevoli non si può
dire che posseggano una mente sana; difatti moltissimi
sono nelle galere i maniaci, li epilettici, i suicidi.
Né qui vorrei rattenermi dal soggiungere, che gravissi-
mo parrebbemi il difetto nei medici studj, se mentre con
sì fina e mirabile analisi, vi si fa scrutare per entro all’evo-
luzione delle crittogame e degli infusori, ed alla struttura
degli epiteli, – non si dovesse degnare d’un’ora di studio,

Storia d’Italia Einaudi 272


Cesare Lombroso - Genio e follia

quella sovrana funzione dell’intelligenza, che dà sola al-


l’uomo lo scettro sulla natura, e che, non foss’altro, pos-
siede e subisce tanta e sì grande influenza sull’organismo
sano ed ammalato.
So bene che si suole objettare, quanto v’abbia in que-
sti studj di poco preciso ed esatto e palpabile, di poco og-
gettivo insomma e quindi di meno conciliabile colle altre
mediche discipline, tutte più o meno ai soccorsi dei sensi
appoggiate; – ebbene è appunto per questo che dovreb-
besi favorire lo studio clinico delle alienazioni mentali, il
solo che fornisca al psicologo fatti objettivi, palpabili e
non architettati dalla mobile fantasia o dalla acuta, pro-
fonda, ma pur spesso fallace meditazione. Come l’anato-
mia comparata e la patologica, riescono non di rado ad
illustrare il campo della normale e dell’istologica; come,
per esempio, lo studio dei neoplasmi e della formazio-
ne del callo schiarisce viemeglio la istologia dei norma-
li tessuti, e come in mano a Tomati, ad Owen, a Geof-
froy di S. Hilaire, le stesse bizzarre parvenze teratologi-
che riuscirono a conferma delle grandi leggi embriogeni-
che, così pure la mentale patologia, non solo può dagli
studj psicologici venire dilucidata, ma può, essa mede-
sima maravigliosamente disferrarci la chiave dei misteri
della fisiologia del pensiero.
Così l’importanza che hanno su questa funzione i gras-
si fosforati, che tanto abondano nel cervello degli anima-
li più intelligenti e dell’uomo, era già stata sospettata da
Couerbe, da Lassaigne, dal Bibra e dal Moleschott – or
bene stupendamente la confermano le analisi di Suther-
land e di Bence Jones, che trovarono nelle urine degli
idioti e dei dementi scarseggiare il fosforo e aumentare
assai più del normale nei maniaci, nei momenti del pa-
rossismo.
Così la grande solidarietà tra tutte le sezioni del siste-
ma nostro nervoso, e di queste coi visceri, e viceversa,
non mai altrove appare più chiara ed evidente come nel-

Storia d’Italia Einaudi 273


Cesare Lombroso - Genio e follia

le alienazioni, in cui raro è vedere disordini di moto, epi-


lessie, corea, ecc., senza alterazioni del senso e del pen-
siero, come raro è trovare manie, lipemanie, che non si
accompagnino a coree, a ballismi, a convulsioni, a para-
lisi; in cui gravissime alterazioni della sensibilità e della
facoltà di giudicare e sentire, vediamo sorgere in seguito
ad affezioni di cuore, di fegato, degli intestini, ecc. L’im-
portanza della sostanza grigia delle circonvoluzioni cere-
brali, in rapporto alle funzioni intellettuali, è pure assai
bene dimostrata dalle necroscopie dei dementi, in cui si
vede quella sostanza a preferenza degenerata o atrofica.
E per venire alla pura psicologia, le allucinazioni dei
pazzi, di cui le ipnotiche e l’ipnagogiche dei sani, sono
vere gradazioni fisiologiche, ci spiegano e ci analizzano,
più che molti e molti volumi, il fenomeno dell’idea.
L’abitudine di alcuni matti, di parlare di se in terza
persona, di ripetere le stesse parole, di personificare le
cose inanimate, la luna, il sole, ecc., fu trovata dal mio
maestro, il Marzolo, nelle lingue di tutti i popoli primi-
tivi: lo stesso dicasi di quella in apparenza, così bizzarra
tendenza di formulare giudizi a seconda delle assonanze,
e delle associazioni dei suoni, come quel nostro pellagro-
so del Tonale che nel 48 sparò contro il suo povero cura-
to, dicendo ch’avea ordine di tirare contro i croati92 ; eb-
bene, questa tendenza è istintiva nell’uomo e ne venne-
ro appunto i proverbj e le rime, e non pochi fatti stori-
ci ebbero da questa pretesto e fondamento; Tiberium in
Tiberima gridava, per esempio, la plebe di Roma.
La strana mescolanza od alternativa di erotismo o di
superstizione, che si osserva in alcune forme di demo-
nomania, di mania isterica, spiegano assai bene certi riti
misteriosi communi a tutti i popoli antichi.
Quell’acutissimo ingegno di Séguin, rimarcò, che li
idioti suoi discepoli, potevano con grande facilità ap-
prendere a tracciare triangoli, ma difficilmente cerchi o
quadrati. Ora appunto nei monumenti dell’antico Egit-

Storia d’Italia Einaudi 274


Cesare Lombroso - Genio e follia

to e della China, i triangoli sono le figure più usate e fre-


quenti.
Tutte insomma le gradazioni dell’intelligenza, dalla
tabula rasa del selvaggio nell’idiota, ai lampi di genio nel
monomaniaco, voi le troverete nei manicomi, e potrete
apprendere in essi la sincera psicologia, colla precisione
dell’esperimento e colla sicurezza del fatto.
Che se la psicologia e la psichiatria non fecero i rapidi
progressi che hanno fatto altre scienze, anche miste, co-
me la elettro-fisiologia, la chimica patologica – la causa
appunto è nell’avere esse voluto lavorare divise, ciascuna
nel proprio campo, ignorando che appunto nella barrie-
ra ond’erano separate nascondevasi la chiave dei proble-
mi, il tesoro del vero, ch’essi cercavano; gli uni si archi-
tettarono un mondo di materia, che non era né viva, né
morta, gli altri un mondo che non saprei dire nemmeno
fantastico, perché anche la fantasia lavora sui sensi. Que-
sti non sapeansi render ragione dei rapporti del pensie-
ro coll’organismo, dell’eredità di alcune tendenze intel-
lettuali, delle cause delle aberrazioni della mente, e fini-
rono con Heinroth a confondere la mania col peccato.
Li altri vollero, colle stramberie frenologiche93 , cerca-
re nello spazio, quel ch’era nel moto, quasi che il molti-
plicare fosse spiegare; – e s’incocciarono nel volere tro-
vare nel solo tessuto cerebrale, anzi in una data parte di
esso, come la glandula pineale, o il corpo calloso, o le
corde midollari del Bergmann, la sede dell’anima, la se-
de quindi della pazzia, e si maravigliarono quando nel-
le necroscopie, la natura non rispose alle loro precipitate
asserzioni; e trattarono molti fenomeni frenopatici, come
accidenti ed aneddoti bizzarri, e non come effetti neces-
sarj di grandi leggi psicologiche.
Noi cercheremo adunque di ravvicinare li anelli del-
la spezzata catena, e rasentando terra terra, sul campo
dei fatti clinici, non abbandoneremo mai, per quanto sia
possibile, la scorta della vera psicologia, non già di quel-

Storia d’Italia Einaudi 275


Cesare Lombroso - Genio e follia

la, che s’abbandona ai fragili vanni della metafisica, ma


di quella, che a stento, e con lunga lena, si racimola negli
studj parziali degli umani prodotti; colla linguistica, col-
la storia e coll’osservazione continua, sopra noi stessi e
sui nostri simili.
Un esame accurato di più migliaja di teste, mi ha reso
sicuro del fatto, che le differenze dei diametri cranici
hanno una causa principalissima nelle diversità di razza
e di regione. Nell’esame di più di due mille teste non
mi riuscì mai di trovare differenze notevoli in individui
della stessa regione. Vi ha adunque un tipo costante
per ogni nostra regione, un tipo così invariabile da poter
servire di criterio per le deduzioni medico-legali, così
nelle quistioni d’identità, che di capacità intellettuale. –
Studiamolo adunque.
Per fissare un punto di paragone sufficientemente ap-
prossimativo tra le teste sane e quelle degli alienati, per
fissare specialmente il tipo cranico regionale, io mi die-
di a raccogliere misure sopra i soldati ventenni delle va-
rie provincie, come quelli che, per avere uniformità di
età e di condizione intellettuale, mi parvero offrire il ti-
po più approssimativo della media intelligenza normale
delle masse. Scelsi individui viventi, perché appunto la
medicina legale opera in gran parte anch’essa su indivi-
dui vivi; e perché così mi era dato di fare gli studii su lar-
ga scala, e sopra individui di cui poteva indagare il gra-
do di intelligenza. [...] Forse queste cifre, maneggiate da
mente più esperta e più dotta, riveleranno un giorno la
storia etnografica d’Italia, il segreto del genio dominan-
te in ciascuna regione, e quello delle vicende che il tipo
nostro ebbe a subire dalle varie mistioni di razza e dalle
trasformazioni telluriche.
Finora noi non pretendemmo esporre che dei fatti: i
quali potrebbero assumere veste di legge, solo dopo che
il poderoso amminicolo d’altri e migliori osservatori l’ab-
bia a confermare. Ben pretendiamo aver fatto intravede-

Storia d’Italia Einaudi 276


Cesare Lombroso - Genio e follia

re un metodo meno incerto per le indagini medico-legali


delle alienazioni. Ma sarebbe un fallire subito a questo
metodo il voler trarre dai pochi casi esaminati una qual-
che conclusione. Noi dunque non vorremmo conclude-
re, ma riassumere:
1° Il peso dell’uomo alienato è minore del peso del-
l’uomo sano della stessa statura e condizione; la demen-
za e la pellagra e la mania scemano il peso del corpo; la
demenza più di tutto. I maniaci furiosi durante gli acces-
si soffrono una diminuzione di peso, indipendente anche
dalle circostanze di respirazione ed alimentazione.
2° I capelli negli alienati soffrono spesse volte depig-
mentazione, canizie e calvizie precoce. Gli alienati spes-
so difettano di barba sul mento, mentre invece spesso ne
abbondano le alienate anche giovani.
3° Nei maniaci, e più ancora nei dementi, la dentatura
è irregolare, cariata, manchevole anche in giovane età.
4° L’impianto dell’orecchio e la conformazione dell’e-
lice molte volte si mostra irregolare nei maniaci e nei de-
menti.
5° L’occhio qualche volta riflette una luce abbagliante
nei maniaci, qualche volta la pupilla è ristretta e più
spesso dilatata, spesso anche il globo dell’occhio è in
continuo movimento di lateralità.
6° Caratteri meno frequenti sono l’eritema pellagroso,
l’abbassamento di temperatura della pelle, le verruche
egli eczemi ed i tumori cistici del cuoio capelluto, le
ernie; frequentissime son le leucorree, o le amenorree,
ed i broncoceli e le anemie anche in individui di florido
aspetto.
7° Gl’individui sani di ciascuna delle varie provincie
d’Italia hanno, purché appartengano alla medesima raz-
za, caratteri craniometrici speciali, che li fanno distingue-
re dalle provincie vicine. Questi caratteri consistono in
alcune proporzioni del diametro longitudinale riferito al
diametro trasverso, proporzioni che non variano che leg-

Storia d’Italia Einaudi 277


Cesare Lombroso - Genio e follia

gerissimamente per le condizioni di statura, educazione e


coltura individuale; mentre invece soffrono singolari dif-
ferenze sotto l’influsso della alienazione mentale. In ge-
nere vi abbiamo notato esagerazione della brachicefalia e
della doligocefalia. I dementi e gli idioti poi tendono più
specialmente alla ultra brachicefalia, i maniaci maschi al-
la doligocefalia; i monomaniaci s’avvicinano più alla me-
dia brachicefalia. La capacità cranica varia da provincia
in provincia, ma più ancora da individuo in individuo a
seconda della coltura intellettuale. Essa è diminuita as-
solutamente in tutti i maniaci, molto più ancora nei de-
menti e negli idioti, specialmente nei dementi epilettici.
La differenza è data specialmente dalla curva longitudi-
nale che nei sani è di 340 mm, nei maniaci è di 329 mm,
nelle maniache di 315 mm, e negli idioti di 305.
La capacità cranica è invece aumentata nelle monoma-
nie, e nelle manie suicide.
8° Questi caratteri craniometrici sfuggirono finora alle
ricerche degli alienisti, per ciò solo che non si era pensato
di compararle alle medie tolte da individui sani della
stessa provincia.
Le teste degli alienati presentano molte volte parec-
chie altre anomalie, l’asimmetria in ispecie, la quale è in-
dizio quasi sicuro della saldatura precoce delle suture e
dell’aumentato spessore delle ossa craniche, circostanza
quest’ultima che coincide spesso con estrema doligoce-
falia, e con un’estrema brachicefalia e spesso con una ri-
levatezza in corrispondenza alla sutura sagittale.
9° Il colorito delle orine dei maniaci e dei dementi non
sorpassa quasi mai il 4 Vogel; il loro volume è in genere
minore del normale; nei pellagrosi invece è maggiore del
normale. Il peso loro specifico è minore del normale nei
pellagrosi e nei melanconici, quasi normale nei maniaci, e
nei dementi si accresce notevolmente e improvvisamente
all’avvicinarsi degli accessi furiosi; in questi casi l’orina
diminuisce di molto nel volume, aumenta relativamente

Storia d’Italia Einaudi 278


Cesare Lombroso - Genio e follia

di urea, d’acido fosforico e solforico, è acidissima e pre-


senta qualche volta acetone ed albumina ed un’intensità
di colore che può giungere al 6 Vogel. L’orina dei pel-
lagrosi distinguesi specialmente perciò che, anche sotto
gli accessi furiosi, presenta il medesimo peso specifico,
volume e composizione.
La quantità d’acido fosforico, dell’urea, del cloruro
sodico è minore nel maniaco fuori dell’accesso di quel-
lo che sia nell’individuo sano; è minima poi nel melanco-
nico, nel quale pure è minore il peso specifico.
10° Quasi tutti gli alienati presentano disordini nella
motilità; i dementi e i maniaci con tendenza alla demen-
za tendono alla immobilità. I pellagrosi in genere pre-
sentano una caratteristica rigidità muscolare.
11° La sensibilità dolorifica è abolita nelle manie fu-
riose, la sensibilità cenestetica è pervertita nel maggior
numero degli alienati, tanto maniaci che dementi, esal-
tata nelle isteriche e nei melanconici; in tutti poi si nota
una sensibilità singolare per le variazioni dell’elettricità
atmosferica.
12° Quasi tutti gli alienati, meno le isteriche, presen-
tano una singolare insensibilità alle sostanze medicamen-
tose, agli alcoolici ed ai caffeici.
13° Tre quarti di maniaci presentano l’abolizione degli
affetti, pochi altri li hanno esagerati, pochissimi normali.
14° L’intelligenza è abolita nelle demenze, nell’epiles-
sia, in quasi tutte le manie pellagrose, in metà dei mania-
ci; alcune facoltà sembrano più attive nei monomaniaci,
ma in questi nello stesso tempo si riscontrano vaste defi-
cienze in altre facoltà.
15° Più di tre quarti delle alienazioni di cui si può
indagare la causa, inclusa la stessa pellagra, hanno radici
ereditarie; e le cause fisiche, il puerperio specialmente, vi
predominano assai più delle cause morali nell’eziologia;
anzi queste ultime, rigorosamente parlando, sarebbero
una eccezione.

Storia d’Italia Einaudi 279


Cesare Lombroso - Genio e follia

I parenti degli alienati, o sono alienati essi medesimi


(66 su 164), o hanno patito gravi nevrosi, come epilessia,
isterismo, ecc. (23), o mostrarono tendenze ai crimini
(22), o tendenze all’alcoolismo, alla pellagra, a bizzarrie
di carattere (53).
16° Se molti alienati mostrano tendenza al crimine, es-
si distinguonsi per molti caratteri dai rei non alienati; per
es., dai ladri, perché rubano oggetti di nessun valore; da-
gli omicidi perché colpiscono persone a cui erano affe-
zionati, o senza un motivo sufficiente; da tutti per una
grandeinsensibilità affettiva, per la nessuna precauzione
prima o dopo il delitto, e per l’incapacità ad associarsi al-
trui nel commetterlo. Se vi hanno casi dubii (e ve ne han-
no nel caso concreto ben pochi) l’istituzione del manico-
mio criminale dovrebbe scemare il pericolo di condanna-
re infelici, tutelando nello stesso tempo la società, meglio
assai e più umanamente che non faccia l’ergastolo.
Antropologia. L’antropologia se si bada alla sua eti-
mologia, ´ανθρωπ oς uomo e λoγoς discorso, vor-
rebbe dire studio dell’uomo, definizione affatto generi-
ca, comune a molte di quelle scienze, poco positive, che
sono dette morali. Platner infatti, adoperò spesso que-
sta parola come sinonimo di psicologia. Burdach, pure
definendola per il complesso delle nozioni fisiche e psi-
cologiche relative all’uomo, intendeva però, che questa
scienza a preferenza si doveva occupare dei fenomeni in-
tellettuali dell’uomo.
Negli ultimi anni, soltanto, l’antropologia prese un in-
dirizzo e un carattere ben più positivo, che io definirei:
lo studio dell’uomo come individuo e come specie condot-
to col metodo e coi mezzi delle scienze esatte: in perfetta
opposizione a quanto era l’antropologia dei tempi anti-
chi che considerando l’uomo come qualche cosa di ben
diverso dagli altri animali, rifuggiva da quanto pareva vo-
lesse accomunarlo ad essi, nelle ricerche.

Storia d’Italia Einaudi 280


Cesare Lombroso - Genio e follia

Le prime linee dell’antropologia moderna furono se-


gnate dal grande Linneo nel 1735, quando, con un co-
raggio non abbastanza ammirato, segnava negli antropo-
morfi insieme al bradipo e alla scimia anche l’homo sa-
piens, contando fra i caratteri naturali il nosce te ipsum,
al pari della conformazione delle dita e dei denti, e quan-
do chiamava homo nocturnus ed homo caudatus due spe-
cie di scimia. Nella quarta edizione della sua opera lo
studio delle razze umane vi è molto più perfezionato.
Egli distingue l’uomo biondo o europeo, lurido o asia-
tico, negro od affricano, rosso od americano; e nota di
queste razze non solo la differenza del colorito, ma del-
le abitudini e del vestire, e distingue l’uomo dagli anima-
li per il linguaggio e la facoltà d’ammirare; se non che
egli commette dei gravi errori, parlando di parecchie sci-
mie e comprendendo fra gli uomini mostruosi insieme
ai monorchidi i chinesi. Egli nella Fauna svegica descri-
ve la razza svedese che distingue in Goti, Finni e Lap-
poni e misti, ma quello che più monta egli, l’infaticato
e il primo classificatore, l’analitico per eccellenza, ebbe
un lampo dell’idea Darwiniana che pure è la più fiera
nemica delle classificazioni. «Non rare volte, scriv’egli,
nell’Amoenitates academicae, mi venne il pensiero che le
specie constino di una sola; in principio il numero dei
generi corrispose, forse, a quello degli individui e le spe-
cie originarono dalla fecondazione fra i vari generi. Si
vedono, infatti, aggiunge egli, tuttora sparire delle specie
antiche e nascerne delle nuove, per esempio, la Veronica
Spuria nata ai miei tempi».
Nelle pagine eloquenti di Buffon troviamo descritti
con stupenda eloquenza i caratteri fisici principali delle
varie nazioni, ma non vi vediamo che in barlume l’idea
delle razze.
Camper e Blumenbach ne piantarono le vere basi
fondando l’anatomia delle razze umane sullo scheletro
e sulla craniologia, e chiedendo agli animali il segreto del

Storia d’Italia Einaudi 281


Cesare Lombroso - Genio e follia

problema delle origini umane con un processo simile a


quello della x nella regola del tre.
Blumenbach, pel primo, stabilì divisioni metodiche,
che se anche non sempre giuste, pure sono sempre uti-
li per la suddivisione del lavoro nei primi studii: esso le
diede poi la nomenclatura che nelle scienze è un istru-
mento prezioso per accelerare gli studii.
Intanto nasceva la linguistica comparata con Eichoff,
Bopp, Guglielmo Humboldt: essa irradiò nei penetrali
delle origini umane, come il microscopio in quelli dei
tessuti.
Morton pubblicava, nel 1839, quel suo studio sui crani
americani, e più tardi sugli egiziani, che non trovano
altro confronto se non nella stupenda monografia di
Davis pei crani britannici e nelle sintetiche ma spesso
erronee vedute di Retzius.
Ma prima ancora che si accumulassero questi materia-
li il Prichard pubblicava un’opera rimasta la più eccellen-
te ancora sulla razza umana in cui la storia naturale, l’et-
nografia e la linguistica si davano la mano per dimostrare
l’origine unica della specie umana.
Al contrario coi materiali di tre razze umane, che of-
friva spontanea l’America, e colla collaborazione dei più
grandi antropologhi europei, Gliddon e Nott pubblica-
rono Sulle razze indigene della terra e Sui tipi dell’uma-
nità, due vere enciclopedie antropologiche, dirette al-
l’intento di dimostrare la pluralità e l’ineguaglianza delle
razze umane: tema quest’ultimo che con materiali mol-
to meno ricchi, ma con molto più acume seppe tentar di
risolvere il Gobineau.
Malgrado che fin dal 1839 si fosse fondata dall’Ed-
wards una società etnologica a Parigi, a cui presto suc-
cesse una simile a Nuova York e a Londra, malgrado si
fondasse nel 1859 la società antropologica di Parigi, pre-
sto arricchita di uno stupendo museo e fatta nota per-
la pubblicazione dei Bullettini e delle Memorie, pure la

Storia d’Italia Einaudi 282


Cesare Lombroso - Genio e follia

vera era nuova dell’antropologia comincia dopo il 1860,


dopo, cioè, che il Broca pubblicò le sue norme per le in-
dagini antropologiche, le quali indirizzarono ad un’unità
di concetto le varie indagini dei moderni antropologhi,
sicché ricerche fatte anche con forze men robuste riesci-
rono più profittevoli perché informate ad un medesimo
indirizzo, e con uguali misure.
Di più in quest’epoca coincide una serie di scoperte
che si sono quasi data la mano per illustrare quei proble-
mi sulle origini umane su cui da tanto tempo si discuteva
con semplici ipotesi.
Chaillu scopriva il gorillo, quell’ultimo intermediario
che mancava fra le razze umane e le scimie, e Owen,
Huxley e Martins scoprivano nuovi caratteri anatomici
che ravvicinavano la scimia all’uomo.
Boucher di Perthes rinvenne dei coltelli di pietra negli
strati del diluvio d’Alberville, e ne dedusse per il primo,
o meglio, diremo noi italiani, il secondo dopo Lamarmo-
ra, che la razza umana esisteva diffusa prima e dopo il
diluvio, fatto che divenne poi sicuro colla scoperta della
mascella fossile di Moulin Quignou.
E da quell’epoca, il che prova la cortezza delle uma-
ne vedute, quei crani fossili, di cui al tempo di Cuvier sa-
rebbe stato bestemmia asserire l’esistenza, si rinvennero
in quasi tutte le parti del mondo, a Neanderthal, ad En-
gis, in Egitto, e in Arezzo e, nella terra dei Patagoni, da
nostri Italiani, dallo Strobel. Lartet trovò ossa di cervus
megaceros e rinoceros tricorrhinus, con impronte di frec-
cie di pietra, e finalmente nei laghi di quasi tutta Europa
e in alcune terre paludose o da poco seccate, e nelle ca-
verne si rinvennero avanzi di popolazioni umane e di raz-
ze domestiche, le une e le altre con alcune notevoli diffe-
renze di scheletro (ossa più piccole, perforazione dell’o-
lecron nell’uomo, ecc.); studiando questi avanzi si rinvie-
ne un nuovo punto di passaggio fra gli animali e l’uomo e
tra l’uomo europeo e il suo selvaggio confratello dell’Au-

Storia d’Italia Einaudi 283


Cesare Lombroso - Genio e follia

stralia e dell’Africa col quale esso aveva, allora, comune,


il cranio e i costumi.
Un’altra scienza creata dal Quetelet nel 1839, la fisica
sociale, veniva a completare, anch’essa, con dati nume-
rici gli studii sulla fisiologia e psicologia dell’uomo, che
gli altri studii ausiliari offrivano sulle sue fisiche parven-
ze. Il Boudin, il Broca, occupandosi della statura dei co-
scritti, della distribuzione e del colore dei capelli, del pe-
so del corpo, della dinamometria, nelle varie provincie
europee, e delle malattie a cui vanno soggette od esen-
ti alcune razze, ne trassero nuovi caratteri distintivi delle
medesime.
E perché nulla mancasse alla soluzione del problema,
indagini fatte dai geologhi nella Svezia, in terre già sepol-
te sotto ai ghiacciai, in Egitto in terreni alluvionali, collo-
cati al disotto delle piramidi, e in America in istrati allu-
vionali del Mississipì, attestarono che l’esistenza dell’uo-
mo rimonta ad epoche straordinariamente antiche, come
il facevano sospettare già le tradizioni credute favolose
degli Indostani, degli Egizii e dei Chinesi.
Che parte ebbero gli Italiani in queste ricerche? Quel-
la ch’essi ebbero si può dire in tutte le scienze, la parte di
pionneri più innanzi di tutti, ma più isolati. Le scoper-
te di Darwin, di Huxley, di Vogt furono divinate da Bru-
no, da Vanini, da Cardano, e la stessa parola antropolo-
gia si deve ad un italiano, ad un veneto. Anche nei nostri
tempi quando nessuno sognava ancora la possibilità del-
la esistenza dell’uomo all’epoca del diluvio, il Lamarmo-
ra negli Studii sulla Sardegna lo ebbe a dimostrare, col-
pito, come fu, da alcune fusaiole trovatevi in uno stra-
to del diluvio, e che egli molto giustamente attribuì ad
abitanti primitivi contemporanei dell’epoca quaternaria.
In un’epoca di poco posteriore, il Maggiorani pubblica-
va alcune pagine preziosissime sopra i crani degli antichi
romani; e lavori altrettanto preziosi pubblicava il Nico-
lucci sulla razza ligure in Italia nei tempi antichi e mo-

Storia d’Italia Einaudi 284


Cesare Lombroso - Genio e follia

derni, sulla stirpe Japigica e sui crani fenicii della Sarde-


gna e sulle armi di pietra dell’Italia del sud, egli che gio-
vane pubblicò un trattato Sulle razze umane, in un’epoca
in cui in Italia appena conoscevasi, di nome, l’etnologia.
Gaddi, Garbiglietti e Canestrini pubblicavano pure im-
portanti studii su crani preromani dell’Emilia, del Vene-
to, del Trentino, e il prof. Lombroso schizzò uno studio
sulla craniometria di 2000 italiani viventi, e sul peso e la
dinamometria degli italiani sani ed alienati, egli suggerì
un mezzo semplice di precisare in cifre, misurando la di-
stanza di due bobine della macchina di Rhumkorf appli-
cata all’uomo, la sensibilità dolorifica delle varie regioni
e dei vari individui. Il Calori studiò un cervello negro e
la dolicocefalia e brachicefalia nell’Emilia. L’Albini pub-
blica uno studio sui crani Pompejani. Il Mantegazza nel
suo viaggio nell’America Meridionale forniva alcuni dati
preziosi per l’antropologia, la quale egli tentò di studiare
da un nuovo punto di vista, dalla fisionomia; illustrò con
molto acume la razza dei Guanchos, e ci dipinse con li-
nee nitide ed evidenti quelle popolazioni nuove e singo-
lari che sorsero nell’America del sud dall’incrociamento
del sangue guarani col sangue spagnolo. A lui dobbiamo
il globulimetro che può darci una idea abbastanza pre-
cisa della quantità di globuli nei vari individui, a lui si
deve un nuovo metodo per misurare la capacità del fo-
ro occipitale. Al Cortese, al Lombroso, ed al Commis-
setti devonsi studii accurati sulla statura, e sull’infermità
dei coscritti italiani, studii agevolati dalle statistiche del
Torre. Il non mai pianto abbastanza De Filippi sacrifi-
cando sull’altare del vero le più intime convinzioni, col-
l’operetta L’uomo e la Scimia, popolarizzando le idee di
Vogt ancora poco note all’Italia, iniziò un periodo nuovo
all’antropologia in Italia, seguito con arditezza e succes-
so dal Canestrini, dall’Herzen, quand’anche combattuti
dal Bianconi.

Storia d’Italia Einaudi 285


Cesare Lombroso - Genio e follia

L’Italia fece di più: essa diede un uomo che ha fatto


per l’antropologia più forse che non questi studiosi uniti
insieme; in un’opera michelangiolesca, restata pur trop-
po a mezzo nella pubblicazione, Marzolo riesciva a col-
mare quel vuoto che restava pur sempre tra lo studio del-
la mente umana, e lo studio del corpo, penetrando ne’ se-
greti del pensiero col mezzo delle lingue e facendoci con
esse assistere alla culla dell’umanità, e porgendoci per in-
dagare i segreti moti della cellula cerebrale uno strumen-
to così prezioso che il termo-galvanometro di Schiff pa-
re rozzo a suo confronto; egli riforniva di carni e di vita
lo scheletro di Blumenbach.
Riassumendo. L’antropologia ha ereditato e raggiun-
to lo scopo della filosofia, cercando nelle cifre, nelle mi-
sure, nei fatti, quelle conclusioni che si cercavano invano
colle combinazioni astratte, e peggio coll’ajuto delle sci-
pite tradizioni: essa, più che una scienza per se, è una sin-
tesi dell’anatomia, della geologia, della archeologia, del-
la linguistica, della storia e della statistica. Vero è che
ora tende ad occuparsi più d’uno che d’altro argomento,
e prima si occupava della differenza tra l’uomo e la sci-
mia, ora predilige lo studio degli utensili di pietra e delle
misure craniche; ma lo studio dei fatti, per quanto paja
gretto, isolato, è preferibile alle più gigantesche teorie.
Per la medicina questa nuova scienza ha un’applica-
zione evidente e che non ha bisogno di essere dimostra-
ta. Essa, avezzandoci a introdurre le cifre e la misura an-
che nello studio della psiche, apre alla medicina legale ed
alla psichiatria un campo tutto nuovo d’indagini, in cui
sostituendo a vane fraseologie lo studio della craniome-
tria, del peso del corpo, ecc. rende il medico, finalmente,
a sé medesimo.

Storia d’Italia Einaudi 286


Cesare Lombroso - Genio e follia

2
Anomalie e atavismo nei delinquenti

L’anomalia che ora vado ad esporre, può dirsi unica


nella storia naturale e patologica dell’uomo; e non posso,
perciò, cominciare a parlarne, senza rendere le più vive
grazie all’egregio professore Zoja che tanto contribuì ad
illustrarla94 .
Occupandomi da qualche tempo nello studio dell’uo-
mo criminale, nel visitare il penitenziario di..., fui colpito
dalla vista di un tristissimo uomo, che vi degeva da pochi
giorni. – Era certo Villella, di Motta S. Lucia, circonda-
rio di Catanzaro, d’anni 69, contadino, sospetto di bri-
gantaggio e condannato tre volte per furto, e da ultimo
per incendio di un molino, a scopo di furto.
Uomo di cute oscura, scarsa e grigia la barba, folti
i sopraccigli e i capelli, di colore nero-grigiastri, naso
arcuato, alto della persona (1m, 70): però, in grazia non
so bene se di acciacchi reumatici, o che altro, era tutto
stortilato, camminava a sghembo, ed aveva torcicollo,
non so bene se a destra od a sinistra.
Ipocrita, astuto, taciturno, ostentatore di religiose pra-
tiche, negava aver commesso alcuna disonesta azione, ma
in fatto era così appassionato pel furto, che derubava fi-
no i compagni del carcere.
Questi, cui interrogai a lungo, mi dissero, che nell’inti-
mità loro non si mostrò punto libidinoso; raccontava, sì,
di qualche oscenità commessa nella gioventù, e di aver
usato con donne sodomiticamente, ma non più che nella
prima gioventù, e non più che non sogliano gli altri uo-
mini di quella risma; del resto i suoi discorsi eran d’uo-
mo di senno maturo e calmo di passioni; mai si mastu-
prò, giammai attentò ai compagni, e non mostrò agilità
muscolare straordinaria, ne ferocia, ne spirito vendicati-
vo.

Storia d’Italia Einaudi 287


Cesare Lombroso - Genio e follia

Morì in poco tempo per tisi, scorbuto e tifo.


La sezione non avrebbe rilevato di spiccante altro che
la tubercolosi polmonare, ma io, però, non posso garan-
tire di altro che del cranio che ho sott’occhio. Questo
cranio presenta:
Circonferenza mm. 520
Curva longitudinale mm. 370
Curva trasversale mm. 320
Diam. longitudinale mm. 196
esterno
Diam. biparietale mm. 135
Diam. frontale mm. 11
Diam. bizigomatico mm. 130
Diam. longitudinale mm. 188
interno
Diam. bicipitale mm. 130
Diam. frontale mm. 111
Altezza verticale mm. 138
Spessore medio mm. 19
Lunghezza dell’osso mm. 120
frontale
Lunghezza dell’osso mm. 143
parietale
Lunghezza dell’osso mm. 122
occipitale
Altezza del frontale mm. 70
Semicurva anteriore mm. 265
Semicurva posteriore mm. 261
Diam. fronte-mentoniero mm. 200
Diam. mm. 210
occipite-mentoniero
Larghezza occipitale mm. 170
Capacità in cent. cubi di mm. 1030
miglio
Cervello del peso di gr. 1340

Storia d’Italia Einaudi 288


Cesare Lombroso - Genio e follia

In complesso era un cranio doligocefalico, prognato,


con sutura non ancora saldata, della forma e capacità
ordinaria delle razze Calabresi, solo un po’ differente
per un maggiore sviluppo dei seni frontali e degli archi
sopraciliari, e per la ricchezza di quelle digitazioni nella
tavola interna, che corrispondono all’atrofia cerebrale.
Ma esaminando più addentro, coll’ajuto del professo-
re Zoja, questo cranio, ben altre e più gravi anomalie mi
spiccavano all’occhio, e sono:
1º La fusione congenita colla parte corrispondente
dell’occipite, dell’atlante, i cui archi anteriori e posteriori
si presentano atrofici e rudimentali; anomalia rara, e che
può spiegare, secondo la teoria del Sangalli, una specie
di torcicollo dell’uomo.
2º Mancava la cresta occipitale interna, e dalle braccia
orizzontali della spina crociata dell’occipite, ai lati della
protuberanza occipitale interna, partivano due rilevatez-
ze ossee, che decorrevano, dapprima parallele, poi trian-
golari, e si disperdevano al segmento posteriore del fo-
ro occipitale, dopo avervi, alla distanza di 8 millimetri,
formato un piccolo promontorio, osseo, triangolare. Lo
spazio occupato ordinariamente dalla cresta occipitale è
convertito in una cavità lunga 34 mm., larga 23 mm., pro-
fonda 11 mm.; viceversa, all’esterno di questo si osserva-
va un proporzionato rialzo convesso, in corrispondenza
del quale l’osso si presentava notevolmente assottigliato.
La cresta mediana mancando in questo caso ed essen-
do sostituita da due vere creste laterali, terminate in un
promontorio, la falce pure dovea essere bipartita.
Questi bipartimenti della cresta, e le risultanze dell’a-
natomia embriologica e della comparata dei lemurini, e
l’estensione e la forma di quest’infossatura mediana (fat-
to corroborato dal sapere che il cranio si modella quasi
sempre sul cervello), la mancanza di rugosità, di osteofi-
ti, di irregolarità che accennino a che questa cavità fos-
se occupata da tumori oda ispessimento delle meningi, e

Storia d’Italia Einaudi 289


Cesare Lombroso - Genio e follia

che siasi formata al di fuori dell’epoca embrionale, l’ana-


logia di questa porzione ossea coll’altra del resto del cra-
nio normale, l’accompagnarsi questa lesione ad un’altra
certamente congenita come è la fusione dell’atlante, e so-
pratutto la forma che assume il getto di cera nella cavità
cranica, da cui risulta un cervelletto trilobato regolarissi-
mo, come nei feti di 5 mesi, ci rendono certi che quell’in-
fossatura serviva al ricetto di un lobo mediano del cervel-
letto.
In questo caso si ebbe probabilmente nello sviluppo
del cervelletto un arresto dello stato fetale, perché è
noto che se nei primi 4 mesi il cervelletto presenta più
sviluppati i lati laterali del mediano, che è anzi allora un
semplice solco, invece dopo la 16ª settimana e fino al 6°
mese, il lobo mediano prende uno sviluppo maggiore, si
divide nei lobuli costitutivi, mentre intanto i lobi laterali
restano lisci (Gratiolet, Anat. Comparée du Syst. Nerv.
Vol. II, p. 250).
Questa anomalia non deve confondersi colla biforca-
zione della cresta occipitale interna, che pure non è mol-
to frequente: in questi casi non solo l’ossatura in cor-
rispondenza alla cresta occipitale interna, esternamente,
non solo, non è incavata, ma è anzi assai compatta, e pre-
senta il massimo spessore fino ai 22 millimetri.
Questa anomalia non si trova notata in nessuna opera
di anatomia speciale: non nel Barkow ( Anat. Abhandl.)
che è la più vasta raccolta di anatomia cranica umana,
comparata e patologica; non nell’esattissimo Henle –
Handb. der Anat. 1867; non nell’Otto, in quel suo
trattato delle Anomalie umane che s’avvicinano a quelle
dei bruti, in cui l’unica anomalia accennata di questo osso
è lo spartimento trasverso dell’occipitale.
Ma il singolare si è che questa particolarità manca nel-
le scimmie superiori, nei bimani, certo nei chimpanzé,
gorilla, orango, in cui, anzi, l’osso occipitale presentasi
ancor più appiattito, che in noi; manca anche in molte

Storia d’Italia Einaudi 290


Cesare Lombroso - Genio e follia

delle scimmie inferiori, nei macachi, per esempio. L’uni-


ca traccia d’una fossa occipitale mediana e il chiaro svi-
luppo di un lobo cerebellare mediano comincia a veder-
si in alcune scimmie Plattirine e nei Lemuridi, nell’Jac-
kus, per esempio, e nel Lemur Albifrons (vedi Blainville,
Ostéographie, t. V.)95 , nel Lemur Psylodactilus od Aye di
Madagascar, animale che molti ora escluderebbero dai
quadrumani, e classerebbero tra i roditori.
Questo reperto contraddice, apertamente, l’ipotesi dei
frenologhi che vorrebbero nel lobo mediano e nell’ap-
pendice vermicolare riporre l’organo dell’appetito vene-
reo, perché nel Villella non esistevano esagerati appetiti
venerei; che, se fossero esistiti, i compagni di carcere ce
ne avrebbero edotto, come degli altri malvagi suoi istinti,
e nei lunghi tre processi, qualche cenno ne sarebbe pu-
re emerso: e di ciò, del resto, la scarsezza della barba è
un segno indiretto, essendo notorio che gli uomini a fa-
coltà genitali molto sviluppate, sono anche assai ricchi di
barba.
Importante potrebbe essere questo caso per la filoso-
fia naturale, poiché, stando a rigore di logica, il ritrovarsi
nell’uomo quella fossa occipitale mediana, che manca nei
bimani e si rinviene nei più infimi quadrumani, giova – al
paro di quei casi di idioti e microcefali senza corpo cal-
loso, e con permanente sutura intermascellare – giova a
sostenere quella teoria, così abilmente palleggiata fra noi
dal Canestrini, secondo cui l’uomo non sarebbe già una
trasformazione di qualche animale antropomorfo (come
vuole Vogt), e nemmeno di qualche animale intermedio
tra gli antropomorfi e l’uomo, ma sì bene una trasforma-
zione successiva di un animale capostipite ad un tempo
dei bimani e di quadrumani, il che s’appoggia già ad ana-
logie anatomiche cogli uni e cogli altri; che se pel cervel-
lo l’uomo s’assomiglia all’orango e pel piede al gorilla, e
per la mano al chimpanzé, per lo scheletro si avvicina al

Storia d’Italia Einaudi 291


Cesare Lombroso - Genio e follia

sciamango, e per il cranio, o meglio pel volto, ai cebi ed


agli ovistiti.
Ma queste son metafisicherie dei naturalisti, forse così
poco utili, come quelle dei filosofi.
Ben è importante, però, il notare che questa anomalia
cranica, come altre che spero di esporvi, siansi scoperte
in quella varietà, infelice, d’uomo, che è, a mio credere,
più patologica dell’alienato, nell’uomo criminale.
Chi ha percorso questo libro, avrà potuto forse con-
vincersi, come molti dei caratteri che presentano gli uo-
mini selvaggi, le razze colorate, sono, anche, propri dei
delinquenti abituali. Essi hanno comuni, p. es., la scar-
sezza dei peli, della forza, e del peso, la poca capacità cra-
nica, la fronte sfuggente, i seni frontali molto sviluppati,
la frequenza maggiore delle suture medio-frontali, le si-
nostosi precoci, specialmente frontali, la salienza della li-
nea arcuata del temporale, la semplicità delle suture, lo
spessore maggiore dell’osso cranico, lo sviluppo enorme
delle mandibole e degli zigomi, l’obliquità delle orbite,
la pelle più scura, il più folto ed arricciato capillizio, le
orecchie ad ansa o voluminose96 , la maggior analogia dei
due sessi, la meno pronunciata attività genesica, la po-
ca sensibilità dolorifica, la completa insensibilità mora-
le, l’accidia, la mancanza di ogni rimorso, l’impreviden-
za, che sembra alle volte coraggio, e il coraggio che si al-
terna alla viltà, la grande vanità, la facile superstizione, la
suscettibilità esagerata del proprio io e perfino il concet-
to relativo della divinità e della morale.
Le analogie vanno fino ai piccoli dettagli, che male si
saprebbero prevedere, come p. es.: l’abondanza delle
metafore e delle onomatopeie del linguaggio, le leggi im-
provvisate dentro le associazioni, l’influenza tutta perso-
nale dei capi, (Tacito, Germ., VIII), il costume del ta-
tuaggio, la stessa speciale letteratura che ricorda quella
dei tempi eroici, come li chiamava il Vico, in cui si de-
cantava il delitto e il pensiero tendeva a vestire, prefe-

Storia d’Italia Einaudi 292


Cesare Lombroso - Genio e follia

rentemente, la forma ritmica e rimata. (Vedi Cap. III,


VIII, IX, XII).
Questo atavismo spiega l’indole e la diffusione di al-
cuni delitti. Così mal si saprebbe spiegare la pederastia,
l’infanticidio, che coglie intere associazioni, se non ricor-
dando l’epoche dei Romani, dei Greci, in cui non solo
non erano considerate come un delitto, ma anzi qualche
volta un morale costume; ed ecco forse intravveduta una
spiegazione del frequente associarsi dei gusti estetici (ve-
di p. 2) nei pederasti, appunto come nei Greci.
Spingendo le analogie atavistiche ancora più innanzi,
fino al di là della razza ci possiamo spiegare qualche altra
parvenza del mondo criminale che sembrerebbe da sola
inesplicabile anche all’alienista; p. es., la frequenza del-
la saldatura dell’atlante coll’occipite, che ripetesi in alcu-
ni cetacei fossili, quello della fossa occipitale mediana e
il suo sviluppo straordinario, precisamente come nei Le-
murini e nei Rosichianti: la tendenza al cannibalismo an-
che senza passione di vendetta, e più ancora quella for-
ma di ferocia sanguinaria mista a libidine, che ci manife-
starono il Gille, il Verzeni, il Legier, il Bertrand, l’Artu-
sio, il marchese di Sade, pari affatto ad altri casi raccon-
tati dal Brierre, dal Mainardi, in cui l’atavismo era favo-
rito però da epilessia, da idiozia o da paresi generale, ma
che sempre ricordano il tempo, in cui l’accoppiamento
dell’uomo, come quello dei bruti, era preceduto ed as-
sociato a lotte feroci e sanguinarie, sia per domare le re-
nitenze della femmina, sia per vincere i rivali in amore.
In molte tribù dell’Australia si usa dall’amante aspetta-
re, in agguato, la sposa dietro le siepi, stramazzarla con
un colpo di clava, e così tramortita trasportarla nella ca-
sa maritale. Di questi usi una traccia restò nei riti nuzia-
li di molte nostre vallate, e nell’orribile festa del Jagraate
e nei baccanali romani, ove chi, anche maschio, resisteva
allo stupro era tagliato in pezzi così piccoli da non poter-

Storia d’Italia Einaudi 293


Cesare Lombroso - Genio e follia

si rinvenirne il cadavere (Tito Livio, XXXIX, cap. VIII).


– Ed una traccia ne restò tuttavia latente fra noi.
Il primo e più grande descrittore della natura, Lu-
crezio, aveva osservato come anche nei casi ordinarj di
copula può sorprendersi un germe di ferocia contro la
donna, che ci spinge a ferire quanto si oppone al nostro
soddisfacimento97 . – So di un distinto poeta che appena
vede sparare un vitello o solo appese le carni sanguinan-
ti è preso da libidine; e di un altro che ottiene ejacula-
zioni solo strangolando un pollo od un colombo. – Man-
tegazza sentì confessarsi da un amico, trovatosi ad ucci-
dere parecchi polli, che dopo la prima uccisione prova-
va una barbara gioja a palpare avidamente le viscere cal-
de e fumanti, e che di mezzo a quel furore era stato assa-
lito da un accesso di libidine (Fisiol. del piacere. Milano,
1870).
Questi fatti ci provano chiaramente, che i crimini più
orrendi, più disumani, hanno pure un punto di parten-
za fisiologico, atavistico, in quegli istinti animaleschi, che
rintuzzati, per un certo tempo, nell’uomo dall’educazio-
ne, dall’ambiente, dal terror della pena, ripullulano, a un
tratto, sotto l’influsso di date circostanze: come la ma-
lattia, le meteore, l’imitazione, l’ubbriacamento sperma-
tico, prodotto dall’eccessiva continenza, ond’è che si no-
tano sempre nell’età appena pubere, nei paresici od in in-
dividui selvaggi o costretti ad una vita celibe o solitaria,
preti, pastori, soldati.
Sapendosi che alcune condizioni morbose come, i
traumi del capo, le meningiti, l’alcoolismo ed altre in-
tossicazioni croniche o certe condizioni fisiologiche, co-
me l’età senile, provocano l’arresto di sviluppo dei cen-
tri nervosi e quindi le regressioni atavistiche, compren-
diamo come debbano facilitare la tendenza ai delitti.
Sapendosi come tra il delinquente, e il volgo ineduca-
to, ed il selvaggio la distanza è poca, ed alle volte scom-
pare del tutto, comprendiamo perché gli uomini del vol-

Storia d’Italia Einaudi 294


Cesare Lombroso - Genio e follia

go, anche non immorali, abbiano pel reo sì spesso una


vera predilezione98 , se ne foggino una specie di eroe e
giungano fin ad adorarlo dopo morto99 , e perché i ga-
leotti, alla loro volta, si mescolino così facilmente coi sel-
vaggi, adottandone i costumi, tutti, non escluso il canni-
balismo (Bouvier: Voy. à la Guyane, 1866), come accade
in Australia ed alla Gujana.
Osservando come i nostri bambini, prima dell’educa-
zione, ignorino la distinzione tra il vizio e la virtù, ru-
bino, battano, mentano senza il più piccolo riguardo, ci
spieghiamo, come tanta parte dei figli abbandonati, or-
fani ed esposti si dieno al male – ci spieghiamo la grande
precocità del delitto.
L’atavismo ci ajuta, ancora, a comprendere l’ineffica-
cia della pena; ed il fatto singolare del ritorno costante e
periodico d’un dato numero di delitti; le più grandi va-
riazioni che abbia offerto il numero dei reati contro le
persone (scrivono A. Maury e Guerry), non sorpassaro-
no un venticinquesimo, e per quelli contro la proprietà,
un cinquantesimo; a proporzioni pari si vede in dati me-
si predominare un dato gruppo di delitti, p. es., di libidi-
ne in luglio e giugno, di avvelenamento e vagabondaggio
nel maggio, di furto e di falso in gennajo, secondo, dun-
que, una data variazione del termometro o del prezzo di
viveri100 . Si vede, osserva assai bene Maury, che siamo
governati da leggi mute, ma che non cadono in dissue-
tudine, mai, e che governano la società più sicuramente
delle leggi scritte nei codici.
Il delitto, insomma, appare, così dalla statistica come
dall’esame antropologico, un fenomeno naturale, un fe-
nomeno, direbbero alcuni filosofi, necessario, come la
nascita, la morte, i concepimenti.
Questa idea della necessità del delitto, per quanto ar-
dita possa sembrare, non è poi punto un ’idea nuova ne
così poco ortodossa, come a molti può apparire sulle pri-
me. Molti anni fa l’avevano propalata Casaubono, quan-

Storia d’Italia Einaudi 295


Cesare Lombroso - Genio e follia

do scriveva «L’uomo non pecca, ma è dominato in varj


gradi» e Platone che attribuiva la perversità del reo alla
sua organizzazione ed educazione, tanto da rendere re-
sponsabili i suoi maestri e parenti, e S. Bernardo che det-
tava: «Chi è di noi, per quanto esperto, che possa distin-
guere nei suoi impulsi l’influenza del morsus serpentis da
quella del morbus mentis. Ed altrove: il male è minore
nel nostro cuore, incerto è se noi dobbiamo ascriverlo a
noi o al nostro nemico; è difficile sapere quanto il cuore
fa e quanto è obbligato a fare». E più ancora chiaramen-
te la manifestò S. Agostino, quando scriveva che nemme-
no gli angeli potrebbero fare, che uno che vuole il male
voglia il bene. E ceno il più audace e il più caldo soste-
nitore di questa teorica è un fervido credente cattolico, o
anzi sacerdote, e sacerdote tirolese, G. Ruf101 .
Indirettamente poi l’affermano tutti gli autori anche
dei sistemi più opposti, che quando vengono sul terreno
dei fatti e perfino in quell’elastico delle definizioni con-
traddicono se stessi o i colleghi e non riescono a conclu-
dere nulla.
Sulla fisonomia dei delinquenti corrono idee molto er-
ronee fra i più. I romanzieri ne fanno degli uominj spa-
ventevoli d’aspetto, barbuti infino agli occhi, con isguar-
do scintillante e feroce, con nasi aquilini. Più seri os-
servatori, come il Casper, passano all’eccesso opposto, e
non trovano alcuna differenza fra loro e l’uomo normale.
E gli uni e gli altri hanno torto.
Certamente che, come v’hanno dei delinquenti a capa-
cità cranica notevole ed a bellissime forme del cranio (ve-
di sopra), così ve n’hanno, massime fra gli abili truffatori
e anche fra i capi di masnade, di quelli a fisonomia per-
fettamente regolare. Tal era quell’assassino di cui parla
Lavater e Polli ( Saggio di Fisiognomonia, 1837), che nel-
la faccia arieggiava uno degli angeli di Guido. Tal era
quel preteso colonnello, Pontis di S. Elena102 , che poté
per tanto tempo ingannare le autorità e la corte sotto le

Storia d’Italia Einaudi 296


Cesare Lombroso - Genio e follia

spoglie di colui che aveva probabilmente ucciso; e tale


era il Streitmatter-Weiler, uno dei più begli uomini del
suo tempo; tali erano l’Holland, e Lacenaire e Bouchet,
Lemaire, il Sutler, e il brigante Angelo Gallardi di Ce-
spoli; tali quelle celebri avvelenatrici Lafarge e Eberze-
ni, e i fratelli Jacovone e Malagutti, e il capo-banda Car-
bone, una delle fisonomie più gentili del Napoletano; ta-
le il ferocissimo Franco, il Volonnino di Rionero, e la
ganza di Guerra, la Decesari; la druda del Luongo, Ma-
ria Capitania, potrebbe primeggiare per venustà di forme
nell’Italia del sud; e bellissima d’aspetto era quella fero-
ce Filomena Pennacchio, che salvò due volte il suo dru-
do Schiavone, uccidendo i nostri soldati. Il ladro Rosa-
ti, uomo d’ingegno singolare, mi presentava la fisonomia
calma ed armonica d’un nostro uomo di Stato.
Ma queste sono eccezioni, che ci colpiscono e ci tra-
scinano, appunto per il contrasto contro la nostra aspet-
tazione, e che si spiegano per il verificarsi quasi sempre
in individui d’intelligenza non comune, alla quale spesso
si collega una certa gentilezza di forme.
Ma quando, anziché quegl’individui isolati, o quei rari
esemplari, che formano l’oligarchia del delitto, si studia-
no le masse intere di questi sciagurati, come a me occor-
se di fare nelle varie case di pena, concludesi che, sen-
za avere sempre una fisonomia truce o spaventosa, essi
ne hanno una loro tutta particolare e quasi speciale per
ogni forma di delinquenza, e che appunto alcuni di quei
caratteri proprî della loro fisonomia, come, per esempio,
la mancanza della barba, la ricchezza dei capelli, è causa
del trovare noi più gentile e più delicata, che non sia ve-
ramente, la loro figura; tal è il caso di Campanella, Mira-
bello, Palestra, De Martins, Farace, briganti siculi, e del
Canal, coltelli e Cavaglià, assassini torinesi, affatto im-
berbi.
In genere, i ladri hanno notevole mobilità della faccia
e delle mani; occhio piccolo, errabondo, mobilissimo,

Storia d’Italia Einaudi 297


Cesare Lombroso - Genio e follia

obliquo di spesso; folto e ravvicinato il sopracciglio; il


naso torto o camuso (vedi fig. 2), scarsa la barba, non
sempre folta la capigliatura, fronte quasi sempre piccolo
e sfuggente. Tanto essi, come gli stupratori, hanno
sovente il padiglione dell’orecchio che si inserisce quasi
ad ansa sul capo.

Fig. 2. Ladro milanese, condannato 13 volte

Negli stupratori, quasi sempre, l’occhio è scintillante,


la fisonomia delicata, le labbra e le palpebre tumide; per
lo più sono gracili, e qualche volta gibbosi; i cinedi si di-
stinguono spesso per una eleganza femminea nei capel-
li, spesso lunghi e intrecciati, e negli abiti, che conserva-
no fino sotto l’uniforme delle carceri un tal quale vezzo
muliebre.
La morbidezza della cute, aspetto infantile, l’abbon-
danza de’ capelli, lisci e discriminati a guisa di donna,
mi è occorso di osservare anche negl’incendiari, uno dei
quali, curiosissimo, di Pesaro, incendiario e cinedo ad un
tempo, era chiamato la femmina (Fig. 3), e aveva abitu-
dini ed aspetto da donna.

Storia d’Italia Einaudi 298


Cesare Lombroso - Genio e follia

Fig. 3. Incendiario e cinedo di Pesaro, chiamato la Femmina

Fig. 4. P. C. brigante della Basilicata detenuto a Pesaro

Storia d’Italia Einaudi 299


Cesare Lombroso - Genio e follia

I pochi falsarî che io potei studiare avevano occhi pic-


coli, fissi a terra, naso torto, spesso lungo e voluminoso,
non di rado canizie o calvizie anticipata e faccia femmi-
nea.
In genere, molti delinquenti hanno orecchi ad ansa,
capelli abbondanti, scarsa la barba, seni frontali spicca-
ti, mandibola enorme, mento quadro o sporgente, zigo-
mi allargati, gesticolazione frequente, tipo insomma so-
migliante al Mongolico e qualche volta al Negroide.
Le misure antropometriche sul cadavere, benché non
molto feconde, pure bastarono a dimostrarci in modo
sicuro l’inferiorità dei criminali, specialmente dei ladri;
presentandoci per capacità e circonferenza, per minor
sviluppo di curve e diametro frontale, di proiezione ante-
riore, caratteri di submicrocefalia, indice cefalico esage-
rato, specie nei brachicefali, eurignatismo, singolare ca-
pacità orbitale e sviluppo notevole della mandibola in
peso, diametro e maggior altezza della faccia. Vi sono
nei rei indici facciali e cefalo-orbitali più bassi del nor-
male e anche del pazzo e viceversa indice cefalo-spinale
superiore.
Ma singolarissime furono le anomalie che anche a cal-
colo numerico risultarono più frequenti di molto che nei
pazzi, là dove mancava ogni origine atavistica, come nelle
infossature Pacchioniane, osteiti, sinostosi, sclerosi, assi-
metria cranica e facciale, plagiocefalia, osteofiti del cli-
vus, ricchezza dei wormiani. In forme analoghe e in pro-
porzioni pari a quelle dei selvaggi (e spesso anzi più fre-
quenti) furono altre alterazioni atavistiche, specialmen-
te della faccia e base, come seni frontali spiccati, fronte
sfuggente, fossa occipitale mediana, saldatura dell’atlan-
te, aspetto virile dei crani di femmine, la doppia faccia
articolare del condilo occipitale, l’appiattimento del pa-
lato, osso epactale, orbite voluminose od oblique. Que-
ste lesioni che variano da 2 a 58% si trovarono raggrup-
pate nello stesso individuo, in modo da formare un tipo,

Storia d’Italia Einaudi 300


Cesare Lombroso - Genio e follia

nella frequenza del 43% ed isolate in uno, o nell’altro nel


21 %.
Il cervello segue nelle anomalie un ordine analogo,
presentando in genere un volume minore del normale,
salvo pochi casi d’ipertrofia; le circonvoluzioni offrono
anomalie frequentemente atavistiche come la separazio-
ne della scissura calcarina dalla occipitale, la formazione
di un opercolo del lobo occipitale, il vermis conformato
come nel lobo medio degli uccelli, oppure deviazioni af-
fatto atipiche, come i solchi trasversi del lobo frontale, la
maggior tendenza alla confluenza.
Le poche osservazioni istologiche parlano tutte per
esito di antiche iperemie, specie dei centri nervosi, co-
me la dilatazione dei vasi linfatici, l’ispessimento della
avventizia, la pigmentazione delle cellule nervose e del-
le connettive; queste preesistenti iperemie ci conferma-
no con assoluta certezza lo studio macroscopico, che ci
mostra frequenti focolai di rammollimenti, cisti da pro-
cesso embolico, meningiti, nella proporzione del 50%;
osteomi nella frequenza del 4%; e frequentissime le affe-
zioni croniche dell’endocardio, pericardio e cuore (pre-
valendo l’insufficienza valvolare), e non rare quelle del
fegato, che appaionvi nel quintuplo degli ammalati non
criminali.
Con tante anomalie sorprende il verificare nei cadaveri
una maggiore superiorità nella statura e non di rado nel
peso.
Riassumendo, per gli esami sul vivo, in poche parole,
quello che una indeclinabile necessità scientifica mi co-
strinse ad esporre con tanto spreco di aride cifre, con-
cluderò che il delinquente ha una statura anche nel mi-
norenne più alta, braccia più lunghe e un torace più am-
pio, un capello più scuro e un peso, salvo nel Veneto,
maggiore del normale, e ancora di quello degli alienati;
che presenta, specie nei ladri, anche minorenni e nei rei
recidivi in genere, una serie di submicrocefali doppia del

Storia d’Italia Einaudi 301


Cesare Lombroso - Genio e follia

normale, ma minore dell’alienato, il quale è poi supera-


to nella ricchezza di teste voluminose, benché non mai al
grado dei sani; che l’indice del cranio, conformandosi in
genere all’etnico, è più di questo esagerato; che presenta
assimetrie craniche e facciali frequenti, specie negli stu-
pratori e nei ladri, ma più scarse che non nei pazzi, pre-
valendo su questi per maggior copia di lesioni traumati-
che al capo e di occhi obliqui, ma offrendo, con una fre-
quenza minore, l’ateromasia delle anerie temporali, l’im-
pianto anomalo dell’orecchio, la scarsezza della barba,
il nistagmo, l’assimetria facciale e cranica, la midriasi, e
meno spesso ancora la canizie o calvizie precoce, e con
eguali proporzioni il prognatismo, l’ineguaglianza delle
pupille, il naso tono, e lo sfuggir della fronte; che, più
frequentemente dei pazzi e dei sani, ha più lunga la fac-
cia, più sviluppati gli zigomi e la mandibola, castano o
scuro l’occhio, folto e nero il capello, massime i grassa-
tori; che i gibbosi, rarissimi fra gli omicidi, sono più fre-
quenti fra gli stupratori, i falsari e gli incendiari; che que-
sti ultimi, e più ancora i ladri, hanno spesso l’iride grigia,
sempre una statura, un peso ed una forza muscolare mi-
nore dei grassatori e degli omicidi.
Uno studio sulle fotografie dei criminali ci diede mo-
do di farne controllare dal lettore e di fissare la frequen-
za del tipo fisionomico criminale nel rapporto del 25%
col massimo del 36% negli assassini, un minimo di 6 a
8% nei bancarottieri103 , truffatori e bigami, ed a questo
proposito giova il notare come anche le anomalie crani-
che e facciali studiate nei vivi dal Ferri e specialmente la
minore capacità, la più scarsa semicirconferenza anterio-
re, la maggiore lunghezza della faccia e maggiore svilup-
po dei zigomi siansi verificate in proporzioni assai minori
e quasi pari a quelle degli onesti nei rei feritori e in quelli
d’occasione.
La fotografia ci rivelò come venga meno il tipo etnico
nei criminali, come nei Tedeschi, sicché i Tedeschi sem-

Storia d’Italia Einaudi 302


Cesare Lombroso - Genio e follia

brino uguali agli Italiani, mentre molti mostrano una ve-


ra parentela fra loro. Ci rivelò pure la frequente femmi-
nilità dell’aspetto, specie nei ladri e nei rei di lascivia104 .
Uno studio su 815 creduti onesti ha dimostrato non
verificarsi il tipo criminale con 4 a 6 caratteri che in 14,
di cui 8 sospetti di vita equivoca. Su 400 di questi, la cui
biografia era più nota, 8 soli presentarono la fisonomia
tipica criminale, e di questi uno solo era di onestà sicura.
Contando per tipici anche quelli da tre caratteri ne avre-
mo 47 con 19 sospetti su 800, e fra i 400 biografati 31, di
cui 18 con vita equivoca.
Non pochi, invece del tipo criminale, avevano special-
mente nello sguardo, che è la nota più caratteristica, un
tipo pazzesco; ed è importante qui il conoscere che la
maggior pane dei pochi pazzi rei fotografaci avevano, vi-
ceversa, tipo criminale.
Lo studio sui vivi, insomma, confermò, benché con
minor esattezza e costanza, quella ricchezza di microce-
falie, diassimetrie, di orbite oblique, di prognacismi e di
seni frontali sviluppaci che ci fu rivelata dalla tavola ana-
tomica. Mostrò nuove analogie e differenze tra gli alie-
nati e i delinquenti.
Il prognatismo, la ricchezza e l’increspatura dei capel-
li, la scarsezza della barba, il frequente color oscuro del-
la pelle, l’oxicefalia, l’obliquità degli occhi, la piccolezza
del cranio, lo sviluppo della mandibola e degli zigomi, la
fronte sfuggente, il volume delle orecchie, l’analogia fra
i due sessi, la maggior apertura delle braccia sono nuovi
amminicoli che si addentellano ai necroscopici per avvi-
cinare il criminale europeo all’uomo australe o mongoli-
co; mentre lo strabismo, le assimetrie craniche e le gra-
vi anomalie istologiche e meningee cerebrali e cardiache
ci additano nel reo un uomo anomalo prima di nascere,
per arresto di sviluppo in vari organi, specie dei centri
nervosi, ed insieme un malato cronico.

Storia d’Italia Einaudi 303


Cesare Lombroso - Genio e follia

Dall’insieme di questi fatti si dedurrebbe come tutte le


varie specie della sensibilità siano assai più ottuse nel cri-
minale, anche in quello d’occasione, in confronto al nor-
male, solo esagerandosi, come negli alienati e nelle iste-
riche, la sensibilità ai metalli, al magnete, e la metereolo-
gica.
La insensibilità al dolore ricorda assai bene quella dei
popoli selvaggi che possono sopportare, per le iniziazioni
della pubertà, torture non tollerabili da un uomo bianco.
Tutti i viaggiatori sanno, come la sensibilità dolorifica
nei negri e nei selvaggi d’America è così torpida, che si
videro i primi segarsi, ridendo, la mano, per isfuggire il
lavoro, ed i secondi lasciarsi bruciare a lento fuoco, can-
tando allegramente le lodi della propria tribù. Nelle ini-
ziazioni, all’epoca della virilità, i giovani selvaggi d’Ame-
rica si sottopongono, senza lamento, a tali crudeli tortu-
re, che farebbero morire un Europeo: si appendono, per
es., con uncini per le carni al soffitto, col capo all’ingiù,
in mezzo a dense colonne di fumo. A questa insensibilità
si devono i dolorosi tatuaggi, che pochi Europei potreb-
bero sopportare, e l’uso di tagliarsi le labbra e le dita, o
cavarsi i denti nelle cerimonie funebri.
Anche la maggiore acutezza visiva, come ben osserva-
va il Bono, è un fenomeno atavistico, dandosi la massima
negli abitanti della Terra del Fuoco, e un’analoga ai no-
stri criminali, nei semiselvaggi Caucasici, il doppio e più
dei nostri. Ma forse più che l’atavismo qui influisce il bi-
sogno maggiore di adoperare ed acuire la vista a scopo di
preda, come accade negli animali rapaci, che presentano
appunto anch’essi così grande la cavità orbitale.
Questa diminuzione della sensibilità, in ispecie dolo-
rifica, e la meno frequente reazione vasale ci danno for-
se in mano la chiave della relativa maggiore vitalità di co-
storo, malgrado che siano malati, si può dire, fino e pri-
ma della nascita. Certo, se noi compariamo la vita media
dei carcerati con quella dei liberi, la troviamo inferiore;

Storia d’Italia Einaudi 304


Cesare Lombroso - Genio e follia

ma tante sono le cause malefiche inerenti al carcere, che


è inutile l’insistervi per spiegarne la differenza; però, da-
te eguali condizioni, sembra che le differenze si mutino,
e precisamente in favore dei criminali.
Generale quanto la dolorifica (e forse un effetto indi-
retto di essa) è nei criminali la insensibilità morale. Non
è già che in costoro tacciano completamente tutti gli af-
fetti, come dai cattivi romanzieri s’immagina; ma certa-
mente, quelli che più intensamente battono nel cuore de-
gli uomini, più in essi invece sembrano muti, in ispecie,
dopo lo sviluppo della pubertà. – Primo a spegnersi è
quel sentimento della compassione per le disgrazie al-
trui, che ha pure, secondo alcuni psicologi, alla radice nel
nostro stesso egoismo. – Lacenaire confessava non aver
mai provato ribrezzo alla vista di alcun cadavere, toltone
quello di un suo gatto: «La vista di un agonizzante non
produce in me nessun effetto. Io uccido un uomo co-
me bevo un bicchier di vino». E difatti la completa in-
differenza innanzi alle proprie vittime e innanzi alle san-
guinose testimonianze dei loro delitti, è un carattere co-
stante di tutti i veri delinquenti abituali, che basterebbe
a distinguerli dall’uomo normale. Martinati mirava, sen-
za batter ciglio, la fotografia della sua propria moglie, ne
constatava l’identità, e tranquillamente aggiungeva, co-
me dopo inflittole il colpo mortale, avesse osato chieder-
le un perdono che non gli venne concesso. La Maquet
gettò in un pozzo la figlia per poterne accusare una vi-
cina che l’aveva offesa. Vitou avvelena padre, madre e
fratello per ereditare poche dozzine di scudi.
Militello, pur giovanissimo, appena commesso l’omi-
cidio del suo povero compagno ed amico, era sì poco
commosso, che tentava sedurre i camerieri che gli impe-
divano il passo (Cacopardo).
E così si spiega come Troppmann dal carcere chiedes-
se al fratello, come si chiederebbe un arancio, dell’acido
prussico ed etere per uccidere i suoi guardiani (Ved. Ma-

Storia d’Italia Einaudi 305


Cesare Lombroso - Genio e follia

xime du Camp, nell’ Archivio di psichiatria e scienze pe-


nali, vol. I), e come avesse animo di riprodurre, creden-
do anzi di giovare alla propria difesa, la scena dell’orribi-
le strage di cui egli fu il solo autore ed il solo spettatore
sopravvissuto come vedesi in questo grossolano disegno
autografo donato al mio Archivio dal Maxime du Camp.;
in cui due delle vittime sono già cadaveri ai suoi piedi e le
altre quattro alzano le mani disperatamente sotto i suoi
colpi (Ved. Tav. XIV).
Anzi per aggiungere un ultimo strazio, ei vi calunnia
la vittima dopo uccisala, egli tenta provarvi o meglio
asserisce come l’autore della terribile carneficina non
fosse già lui, ma lo stesso padre, il povero Kink, colla
dicitura che l’incornicia.
«C’est comme c’est arivé que Kinke le père misérable
qui ma perdu, il a tué toute sa famille» (sic).
(È così che accadde che Kink, il padre miserabile che
mi perdette, uccise tutta la sua famiglia).
Qualunque reo di impeto o d’occasione sentirebbe or-
rore di una simile scena e avrebbe bisogno di scancellarla
dalla memoria di tutti, ed egli invece vi si indraga e tenta
eternarla, nel che entra un po’ di quella compiacenza del
crimine che è speciale a costoro.
Questa insensibilità è pur provata dalla frequenza de-
gli omicidi poco dopo le condanne capitali per opera di
chi vi assisteva, dalle scherzevoli parole in cui nel ger-
go si trattano gli strumenti e gli esecutori del supplizio, e
dai racconti che si fanno nelle carceri, in cui l’impiccatu-
ra è il tema favorito105 ; questo, anzi, è uno dei più potenti
amminicoli per l’abolizione della pena di morte, che cer-
tamente dissuase dal crimine un numero assai scarso di
sciagurati, minore forse di quanti invece vi indusse, gra-
zie a quella legge di imitazione, che domina tanto nei vol-
ghi, e a quella specie di orrendo prestigio che crea intor-
no alla vittima della giustizia quella ressa di popolo, quel-
l’apparecchio lugubre e solenne e troppo adatto a solle-

Storia d’Italia Einaudi 306


Cesare Lombroso - Genio e follia

ticare la strana e fiera vanità dei criminali suoi pari e che


giunge perfino a far venerare i loro corpi, come di martiri
e santi (Vedi Sui crani dei criminali. – Appendice).
Su 167 condannati alla pena capitale in Inghilterra,
164 avevano assistito agli ultimi supplizi (Livi, Della pena
di morte, 1872). Nel Catalogo ms. dei giustiziati che
si conserva all’Ambrosiana trovasi registrato il supplizio
di tal Maggi, condannato per omicidio: – Era stato
presidente della Compagnia di S. Giovanni Decollato.
In complesso l’aberrazione del sentimento è la nota
più caratteristica del criminale-nato come del pazzo, po-
tendo una grande intelligenza coincidere con una ten-
denza criminale e pazzesca, ma mai con integro senti-
mento affettivo. Ciò era stato intravveduto dal Puglia (
Archiv. Di psich., III, p. 392) e poi dal Poletti (Il senti-
mento del diritto penale, 1883, 2° ediz.); e ciò s’accorda
con quel fatto che certo avrà colpito i miei lettori fin dai
primi capitoli, che cioè nelle alterazioni della testa pre-
dominano assai più quelle della faccia che quelle del ca-
po – e quelle dell’occhio su tutte le altre – gli è che alle
anomalie craniche corrispondono assai più quelle della
intelligenza; nelle facciali, specie oculari, invece, quelle
del sentimento, che tanto sono frequenti, anzi insepara-
bili dal vero criminale-nato – e che hanno, d’altra parte,
una base organica e certo una connessione in quella ottu-
sità della sensibilità e in quella ora eccessiva ora troppo
scarsa reazione vasale, di cui raccogliemmo prove speri-
mentali (Vedi pag. 345-348 e seg.).
Pazzi morali L’analogia e l’identità completa tra il paz-
zo morale ed il delinquente-nato pone in pace per sem-
pre un dissidio ch’era continuo, fra moralisti, giuristi e
psichiatri, anzi fra l’una e l’altra delle scuole psichiatri-
che, dissidio in cui per istrano caso tutti avevano ragio-
ne, perché da un lato era giusta l’obbiezione che i ca-
ratteri che si adducevano pel pazzo morale erano pro-
prii del criminale, come dall’altro era giusto che i carat-

Storia d’Italia Einaudi 307


Cesare Lombroso - Genio e follia

teri dei delinquenti-nati si riscontravano esattamente in


alcuni veri pazzi morali.
Così si comprende perché uomini, al certo rispettabili
per dottrina, siansi trovati discordi nel diagnostico di un
delinquente e abbiano dichiarato criminali individui che
certamente erano pazzi o mattoidi, come Guiteau, Me-
nesclou, Verzeni, Prunier, Agnoletti, Lawson, Militello,
Garayo, Passanante: e che Cacopardo concludesse dal-
l’esame dei casi di follia morale di Pinel che si trattava di
criminali, come criminali sono quasi tutti i folli anomali
di Bigot.
Krafft-Ebbing confessa che molti folli morali si trova-
no nei bagni, perché si cercava l’essenza della pazzia nel
turbamento dell’intelligenza, e quindi pei meno pratici
molti pazzi morali sembrano rei comuni.
Il vero è che tutti avevano ragione perché erano l’uno
e l’altro insieme.
Influenza della malattia E così si completa e si correg-
ge la teoria dell’atavismo del crimine, coll’aggiunta della
mala nutrizione cerebrale, della cattiva conduzione ner-
vosa; s’aggiunge, insomma, il morbo alla mostruosità; co-
me avevano intravveduto, partendo dalla pura ma genia-
le induzione, Sergi ( Rivista di filosofia scientifica, 1883)
e Bonvecchiato (op. cit.).
La malattia ci spiega la plagiocefalia, la sclerosi cra-
nica, gli osteofiti del clivus, gli opacamenti e le emorra-
gie meningee, le aderenze della dura madre, le aderen-
ze dei corni posteriori, i rammollimenti e le sclerosi ce-
rebrali, le frequenti insufficienze valvolari, le carcinosi e
tubercolosi del fegato, le carcinosi dello stomaco, le pig-
mentosi delle cellule nervose, l’iperplasia cellulare lun-
go i fasci nervosi, che indicano vecchi processi congesti-
zi ed emorragici, e così l’edema in placche dello strato
corticale, l’ateroma delle temporali; e queste, a loro vol-
ta, spiegano l’ineguaglianza o dilatazione della pupilla,
gli errori nei riflessi tendinei, le contratture muscolari, le

Storia d’Italia Einaudi 308


Cesare Lombroso - Genio e follia

coree, le analgesie e anestesie, la mancanza di riflessi va-


sali, l’incoerenza e bizzarria pazzesca, la crudeltà, il pia-
cere del male pel male, la perdita dell’affettività, la lesio-
ne del sentimento che campeggia tanto in costoro da for-
marne il carattere patognomonico, esclusivo, e da poter
esistere anche senza apparente lesione della mente e da
lasciare traccie nel prevalere delle anomalie, alla faccia,
all’occhio in ispecie, più che nel cranio.
Arresto di sviluppo Mi sarebbe facile spiegare la ge-
nesi del morbo, riunendomi a quella schiera, ormai fat-
ta falange, di alienisti, che sostengono il concetto della
degenerazione, della deformazione della specie somatica
e psichica, in seguito all’eredità morbosa, che andrebbe
sempre più progredendo nelle successive generazioni fi-
no alla sterilità, schiera che esagera, anzi, questo concet-
to, fino a contentarsi di uno dei segni degenerativi anche
dei più insignificanti nell’organismo, per ammetterne l’e-
sistenza.
Ma, in un’epoca in cui la scienza mira sempre all’anali-
si, mi pare che questo concetto sia stato allargato di trop-
po, comprenda troppe regioni del campo patologico, dal
cretino fino al genio, dal sordomuto al canceroso, al tisi-
co, per potersi ammettere, senza restrizioni; mentre, in-
vece, trovo più accettabile quello dell’arresto di svilup-
po che abbiamo veduto avere una base anatomica, e che
ci concilia l’atavismo colla morbosità, la quale insorge da
ciò, che appunto per l’arresto di sviluppo, alcuni organi,
specialmente dei centri psichici imperfettamente nutriti,
offrono alle occasioni esterne un locum minoris resisten-
tiae, da cui si originano i fenomeni iperemici, infiamma-
tori, pigmentazioni, ecc., e dall’altro le idee fisse che nel-
le loro indefinite bizzarrie non lasciano più intravvedere
una connessione coll’atavismo.
E così si spiega l’infinita varietà nelle forme di delin-
quenza e di pazzia morale – prodotta dall’arrestarsi una
data provincia dell’organismo, specie dei centri psichici

Storia d’Italia Einaudi 309


Cesare Lombroso - Genio e follia

– restando l’altre immutate o quasi; perché, come bene


mi appresero gli studi sulla fossa occipitale mediana nel-
le varie razze (vedi sopra, pag. 188 ed Archivio, IV, pag.
507) e sul mancinismo nelle nostre, se, in genere, le ano-
malie atavistiche s’associano spesso l’una all’altra, pure
ve n’hanno di isolate in razze ed in individui, avanzatissi-
mi nello sviluppo e che non offrono altre abnormità106 –
e viceversa possono non trovarsi in razze basse: sicché ne
nasce un vero mosaico che non lascia intravvedere, come
tutto faccia capo all’arresto di sviluppo anche quando si
han condizioni, come, per es., intelligenza grande, svi-
luppo di statura e peso normale o maggiore del normale
– che sembrano parlar chiaramente contro questo.
Ciò aiuta a spiegarci perché alcuni caratteri biologici,
atavistici, singolarissirni si trovino in rei (p. es., manci-
nismo nei truffatori) che non ne offrono di anatomici, e
come la perdita dell’affettività, che è il carattere salien-
te del pazzo morale e del reo-nato, possa trovarsi senza
apparente lesione dell’intelletto.
E il fenomeno della colonia lineare, che lascia una
traccia nelle funzioni come nei tessuti dell’uomo delin-
quente, fa che anche una sola, isolata, anomalia possa in
dati casi contare al pari di molte riunite, e presentarsi
mentre tutte le altre mancano.
Atavismo del delitto E l’arresto di sviluppo così ci con-
cilia la malattia con quell’atavismo che vedemmo tan-
to predominante. L’atavismo, resta, quindi, malgrado o
meglio insieme alla malattia, uno dei più costanti carat-
teri nei delinquenti-nati.
E mentre alcuni, specialmente stranieri, mal leggen-
doci o mal comprendendoci, ci accusano ora di essere
esclusivamente atavistofili, ora di essere esclusivamente
epilettofili nella genesi del delitto, non badando che le
accuse si elidono, ve ne hanno, per istrano evento, di
quelli, e sono i più ed i migliori, che non possono darsi
pace che io, ammettendo l’atavismo, ammetta pure l’ori-

Storia d’Italia Einaudi 310


Cesare Lombroso - Genio e follia

gine patologica, l’epilettica, quasi questa escludesse quel-


lo; e non pensano che perché l’atavismo si mostri in un
organismo attuale, bisogna che esso sia determinato da
una causa patologica.
Qui è bello il notare che coloro che più accanitamente
e con maggior copia di fatti ci combattono a questo pro-
posito, come il Féré, sono proprio essi che ci porgono
i fatti che meglio provano i rapporti dell’atavismo colla
patologia; è precisamente il Féré che tentava dimostrarci
fino nell’ernia un fenomeno atavistico107 , così come nel-
l’orecchio ad ansa.
Né d’altronde sarebbero questi i primi casi; nella mi-
crocefalia, nel cretinismo, nei nervi pilari e nella ipertri-
cosi, ecc., l’atavismo e la patologia si innestano insieme,
e son spiegati da arresti di sviluppo che, alla loro volta,
producono anomala nutrizione.
Chi pretende che la degenerazione escluda la forma-
zione di tipi speciali (Féré), non pensa a quei tipi di de-
generati che sono i cretini e gli idioti.
Si obbietta: Nei criminali non troviamo mai l’atavi-
smo completo; e ve n’hanno che non sono niente canni-
bali (Biswanger), né tatuati, ecc.: ma chi può credere al-
l’esistenza dell’atavismo completo in razze ed individui
attuali?
Dell’atavismo non vediamo nell’uomo attuale che una
forma, che una parvenza parziale, altrimenti non avrem-
mo sotto i nostri occhi un uomo, ma un mammifero; an-
che nel cretino, anche nel microcefalo, o il viso, od il cra-
nio, od il tronco sono normali. Ben è vero che per la
legge di correlazione e corrispondenza tra gli organi di
Geoffroy Saint-Hilaire, o per la legge d’adattamento di
Darwin, di raro una anomalia resta assolutamente isola-
ta, ma più spesso s’associa ad altre, ma che sia generale
la regressione atavistica è impossibile.
Atavismo Né, ben inteso, la fusione della pazzia mora-
le coll’epilessia esclude l’atavismo. Tutte le malattie men-

Storia d’Italia Einaudi 311


Cesare Lombroso - Genio e follia

tali producono già una intermittente pazzia morale, ma


l’epilessia una più costante, più continua, essa che, insie-
me ai motori, offende i centri psichici; e ciò perché si ar-
resta o si perde prima quella attività la quale è comparsa
più tardi nell’organismo mentale dell’umanità.
Se una lesione del cervello abolisce la proprietà di ri-
conoscere i colori, il primo colore a scomparire è l’ulti-
mo venuto nel processo di differenziazione (il violetto).
Ultimo a comparire il senso morale nella evoluzione del
cervello, è primo a scomparire nella sua infermità.
Ma, notisi, non solo più costante, ma, direi, più che
in tutti gli altri alienati, completo e caratteristico è l’ata-
vismo degli epilettici, per la religiosità, che ha forme co-
sì primordiali, per la ferocia, l’instabilità, l’impetuosità,
per l’agilità, pel cannibalismo, per l’iracondia, precocità,
ecc., ed anche per veri istinti animaleschi.
Gowers, notando alcuni atti frequenti negli epilettici,
come abbaiare, miagolare, bere sangue, divorarsi col pe-
lo animali vivi, come fece un bambino con un gatto dopo
averlo preso pel collo fra i denti, aggiunge: «Sembra che
queste siano manifestazioni di quella istintiva animalità
che possediamo allo stato latente» ( Epilepsie, London
1880).
Confessione preziosa, perché in bocca ad un medico
pratico che non aveva la più lontana idea di queste teorie.
Né vale il dire che i selvaggi non sono epilettici e che
quindi da questo lato vien meno l’atavismo. Prima di
tutto neanche i selvaggi hanno l’assimetria, la meningite
cranica che noi trovammo infiltrarsi in mezzo ai caratteri
veramente atavistici (della stenocrotafia, sclerosi, ecc.);
e poi nessuno dei casi umani atavistici s’intende legato
ad una completa riproduzione della categoria animale
od umana che essi richiamano, ma sì di alcuna delle sue
parvenze. Così la Krao e la Gambardella riproducevano
la distribuzione pilare delle scimmie inferiori, e la prima
la borsa-guanciale di alcune scimmie, come la seconda

Storia d’Italia Einaudi 312


Cesare Lombroso - Genio e follia

la steatopigia degli Ottentotti; le si dicono riproduzioni


atavistiche; ma nessuno pretende per ciò che la Krao e la
Gambardella siano veri quadrupedi in tutto il resto del
corpo, o veri Ottentotti in carne ed ossa.

3
Genio e follia

È bene una triste missione, la nostra, di dovere, colla for-


bice dell’analisi, ad uno ad uno, sminuzzare, distruggere,
quei delicati e variopinti velami, di cui si abbella e s’il-
lude, l’uomo, nella sua boriosa pochezza, e non potere
dar in cambio degli idoli più venerati, dei più soavi so-
gni, che l’agghiacciato sorriso del cinico! Tanto, è fatale,
anche, la religione del vero! Così il fisiologo non rifugge
dal ridurre, a poco a poco, l’amore ad un gioco di stami
e di pistilli... ed il pensiero ad un arido movimento delle
molecole.
Persino il genio, quella sola potenza umana, innanzi
a cui si possa, senza vergogna, piegare il ginocchio, fu,
da non pochi psichiatri, confinato insieme al delitto, fra
le forme teratologiche della mente umana, fra le varietà
della pazzia.
Questa profanazione, spietata, non è, però, tutta ope-
ra di soli medici, o frutto del scetticismo dell’età nostra.
Aristotile, il gran padre, ed ancora, pur troppo, il col-
lega dei filosofi, notava, come sotto gli accessi congesti-
vi al capo, «poeti divengano, profeti e sibille, molti indi-
vidui, e come Marco Siracusano poetasse assai bene fin-
ché era maniaco, e rinsanito dappoi, non sapesse più det-
tar versi» ( De Pronost. 1, p. 7). Spesso, altrove egli ri-
pete, «si osservò che gli uomini illustri nel canto, nelle
arti o nel governo erano melanconici e matti, come Aja-
ce, o misantropi come Bellerofonte. Anche nelle recen-
ti età vedemmo Socrate, Empedocle, Platone e più altri,

Storia d’Italia Einaudi 313


Cesare Lombroso - Genio e follia

dotati di questa natura; specialmente poi i poeti. Quelli


che avevano la bile molle e fredda erano poltroni e stoli-
di, quelli che l’avevano calda erano procaci, ingegnosi ed
eloquenti» ( Problemata. Sect. XXX).
Nel Fedro Platone afferma «essere il delirio tutt’altro
che un male: essere un dei più gran doni dei numi; nel
delirio le profetesse di Delfi e di Dodone resero ai citta-
dini di Grecia mille servigi; mentre a sangue freddo esse
fecero assai poco di bene, anzi nulla del tutto. Qualche
volta accadde che quando gli dèi affliggevano i popoli
con gravi epidemie, un santo delirio impadronendosi di
qualche mortale, lo rendesse profeta e gli facesse trovare
un rimedio a quei mali. Un’altra specie di delirio, quello
ispirato dalle Muse, quando eccita un’anima semplice e
pura a rabbellire dei vezzi della poesia le gesta degli eroi,
giova all’istruzione delle età future».
Certo l’osservazione di analoghi fatti, interpretati, poi,
malamente, e ridotti, come dal volgo suolsi, in ubbie,
indusse i popoli antichi a venerare i pazzi come persone
inspirate dall’alto, del che, oltre la storia, fan fede le
parole mania in greco, navi e mesugan in ebraico e nigrata
in sanscrito, in cui il senso di pazzia e di profezia trovasi
confuso ed assimilato.
Felice Plater asseriva aver conosciute persone, le quali,
abbenché eccellessero in qualche arte, pure erano pazze
e tradivano la loro stoltezza col ricercare, stranamente,
le lodi con atti sconci e bizzarri; tra gli altri egli aveva
trovato alla Corte un architetto e uno scultore celebre, ed
un musico insigne, che pure erano pazzi ( Observationes
in Hom. Affect, 1641. Libr. 10, p. 305).
Pascal, più tardi, ripeteva, come l’estremo ingegno è
assai prossimo all’estrema follia, e più tardi ne offriva in
se stesso una prova.
Recentemente il Lelut nel Demone di Socrate, nell’A-
muleto di Pascal e Verga nella Lipemania del Tasso,
provarono, come fosservi stati uomini di genio, allucinati

Storia d’Italia Einaudi 314


Cesare Lombroso - Genio e follia

e maniaci, per lungo tempo; altri v’aggiunsero studî su


Swift; su Lutero, su Cardano, su Brougham. Moreau,
che predilige e sa cogliere i lati meno verosimili del vero,
nella sua recentissima opera, la Psicologia morbosa, e
Schilling finalmente nelle sue Psychiat. Briefe tentarono,
con copiose, ma non sempre severe ricerche, stabilire,
che il genio è sempre una nevrosi, anzi, a dirla schietta,
una alienazione.
Se non che; – è egli giusto il precipitare dalla somma di
questi fatti la conclusione essere sempre il genio una neu-
rosi, una pazzia? Ecco dove comincia l’errore; – vi han-
no momenti, è vero, comuni nella tempestosa, e passio-
nata carriera degli uni e degli altri; comune è in essi l’e-
saltamento, intermittente, della sensibilità, e il suo conse-
cutivo esaurimento; vi hanno individui di genio, che so-
no o diventano pazzi; vi ebbero pazzi che diedero i lam-
pi di genio; ma il volere dedurne, che tutti i genî debba-
no essere pazzi, è uno storpiare, per troppa fretta, i giu-
dizî, rifacendo l’errore dei selvaggi, che adorano, come
esseri inspirati da Dio, tutti gli alienati. Se uno, osser-
vando la corea dei ciechi del nostro Puccinotti, corea in
cui si imita il moto di chi suona il violino, e collegando-
la colla frequenza di bravi violinisti fra i ciechi, conclu-
desse, che tutta l’abilità nel violinista consiste in una co-
rea, non commetterebbe bizzarrissimo errore? Potrà be-
nissimo darsi che quella corea giovi molto al suonatore,
e potrà darsi, che molti anche la contraggano ripetendo
quei movimenti, ma non perciò dedurrassi, che coreico e
violinista siano la stessa cosa.
Se il genio è sempre un’alienazione, come spiegherete
voi che Galileo, Kepler, Colombo, Voltaire, Napoleone,
Michelangelo, uomini che, oltre il genio, ebbero a sop-
portare grandi e troppo reali sventure; non dessero il più
lieve segno d’alienazione?
Che se noi vediamo parecchi matti far mostra di gran-
de intelligenza – noi, poi, li vediamo, anche più spesso,

Storia d’Italia Einaudi 315


Cesare Lombroso - Genio e follia

incapaci di seria applicazione e di stabilità di carattere,


d’attenzione, di memoria, che sono le doti essenziali on-
de si feconda l’ingegno. – Dessi vivono isolati, insocie-
voli, indifferenti, insofferenti della vista degli altri, quasi
respirassero una loro, tutta propria, e speciale atmosfera.
Se noi, poi, analizziamo, per bene, la vita e l’opere di
quei grandi ingegni malati, di cui rumoreggia la storia,
troviamo come essi distinguansi, per nettissimi tratti,
dagli altri genî, che percorsero, netta d’ogni follia, la
grandiosa parabola della lor vita.
Quanta differenza non havvi tra essi e gli altri grandi
che, fiduciosi, sereni, completarono la parabola dell’in-
tellettuale carriera, cui non iscuotea la sventura, né deviò
la passione!!!
Tali furono Spinoza, Bacone, Galilei, Dante, Voltaire,
Colombo, Machiavelli, Michelangelo e Cavour. – Non
ve n’è uno, che non abbia mostrato nell’ampio, ma nel-
lo stesso tempo armonico volume del cranio, la forza del
pensiero, frenata dalla calma dei desideri; non uno cui la
grande passione del vero e del bello abbia soffocato l’a-
mor di famiglia e di patria. – Essi non mutarono mai di
fede o di carattere, non divagarono mai nello scopo; non
lasciarono a mezzo, mai, l’opera loro. Quanta compat-
tezza, quanta fede, quanta efficacia non mostrarono es-
si nelle loro imprese, e sopratutto quanta moderazione e
quanta unità di carattere non serbarono nella loro vita!
E bene, anch’essi dovettero provare, oh! Pur troppo,
ed il sublime eretismo dell’estro, e la tortura dell’odio
ignorante, e lo sconforto del dubbio o dell’esaurimento,
ma essi non deviarono, mai, perciò, dal retto cammino.
La sola, l’accarezzata idea, scopo e trionfo della loro
vita, per la quale ognun d’essi pareva nato, quell’idea,
fatto centro d’ogni loro sforzo, essi la condussero a ter-
mine, senza lagnarsi degli ostacoli, sempre calmi e sicu-
ri, non commettendo che pochissimi errori – errori, che
sarebbero scoperte per un uomo volgare.

Storia d’Italia Einaudi 316


Cesare Lombroso - Genio e follia

Concludiamo: V’hanno tra la fisiologia dell’uomo di


genio e la patologia dell’alienato non pochi punti di coin-
cidenza. – V’hanno pazzi di genio e genî alienati. – Ma
v’hanno e v’ebbero moltissimi genî, che, meno qualche
anomalia della sensibilità, giammai patirono d’alienazio-
ne. – Anzi, quasi tutti i genî alienati hanno caratteri loro
proprî e speciali.
Intanto con queste analogie e coincidenze tra i feno-
meni degli uni e degli altri, pare abbia voluto apprender-
ci la natura a rispettare quella somma delle umane sven-
ture, ch’è la follia; ed a non lasciarci, d’altra parte, abba-
gliare dalla luminosa parvenza dei genî, che invece di ele-
varsi sulla gigantesca orbita delle sfere, potrebbero, po-
vere e perdute stelle cadenti, affondarsi entro la corteccia
della terra, fra precipizî ed errori.
Se noi colla scorta delle autobiografie e della osserva-
zione, indaghiamo più addentro, in che distinguasi la fi-
siologia d’un uomo di genio da quella d’un uomo volga-
re, noi troviamo, che, in grandissima parte, la prima si ri-
solve in una squisita, ed, alle volte, pervertita, sensibilità.
Il selvaggio e l’idiota sentono pochissimo i dolori fisici;
hanno poche passioni, e avvertono soltanto quelle sensa-
zioni, che più direttamente li interessano, per i bisogni
dell’esistenza. Quanto più si procede nella scala morale,
cresce la sensibilità, che è massima negli elevati ingegni,
ed è fonte delle loro sventure come dei loro trionfi; sen-
tono ed avvertono più cose e più vivacemente, che non
gli altri uomini; – e più tenacemente, e più cose ricorda-
no e nella mente combinano. Le parvenze, gli accidenti
che il volgo vede e non nota, sono da loro sorpresi, ravvi-
cinati, per mille e mille guise, che l’uomo chiama creazio-
ni; e non sono che combinazioni binarie e quadernarie di
sensazioni.
Haller scriveva «che mi rimane altro, se non la sensi-
bilità, questo forte sentimento, che è un effetto del tem-
peramento che subisce con vivezza le impressioni dell’a-

Storia d’Italia Einaudi 317


Cesare Lombroso - Genio e follia

more, le meraviglie della scienza? Anche ora, mi move


le lagrime il leggere un fatto generoso! Questa sensibili-
tà diede, certo, alle mie poesie un tono appassionato, che
altre non hanno» ( Tagebuch, 2°, 120).
Per questa esagerata e concentrata sensibilità così dif-
ficile ci riesce il persuadere o dissuadere tanto i pazzi co-
me i grandi uomini. Gli è che le radici dell’errore, come
quelle del vero, piantaronsi in essi più profondamente e
più numerose che non negli altri uomini, pei quali l’opi-
nione è come una veste, un affare di moda o di circostan-
za; il che ci apprende da un lato la poca utilità della cura
morale nei pazzi, ci insegna dall’altro a non credere mai
ciecamente, – nemmeno ai grandi uomini.
Questo esaurimento e questo concentramento eccessi-
vo della sensibilità e certo la causa di quegli atti bizzarri
di apparente od intermittente anestesia ed analgesia, che
i grandi ingegni hanno comune coi matti. Così si narra
di Newton, che un giorno caricasse la pipa col dito d’u-
na sua nipote, e che quando esciva dalla camera per cer-
care un oggetto, vi ritornava sempre senza di quello ( Li-
fe. Brewster, 1856) – e si narra di Tucherel, che una vol-
ta si fosse dimenticato perfino del proprio nome (Arago,
111).
Beethoven e Newton messisi a compor musica l’uno,
a risolvere un problema l’altro, dimenticarono così com-
pletamente di aver fame da sgridare i servitori perché lo-
ro andassero apprestando del cibo mentre reputavano
avere già pranzato.
Il Gioia, nella foga del comporre, scrisse un capitolo
sul tavolato dello scrittoio invece che sulla carta. –
L’abate Beccaria, tutto preoccupato delle sue esperienze,
si lasciò sfuggire, nella messa di bocca: Ite, experientia
facta est.
San Domenico, trovandosi ad una cena principesca,
tutto ad un tratto gridò, battendo sul desco: Conclusum
est contra Manichaeos.

Storia d’Italia Einaudi 318


Cesare Lombroso - Genio e follia

Senso comune e degenerazione Obbiettanmi alcuni:


«che il genio deve essere il massimo dell’equilibrio e del-
lo sviluppo mentale, che la genialità indica, superiorità,
eccellenza, ipersviluppo dei poteri umani, che nel genio
ha luogo una specificazione, talvolta eccessiva, di alcu-
ni di questi poteri umani: che qui la variazione indivi-
duale, per rapporto al tipo medio non è sempre un’ati-
pia néun arresto (come porterebbe la dottrina della de-
generazione), ma un grado più avanzato, per così dire, di
umanizzazione»; e che quindi doveva conchiudersi l’in-
verso di quanto io tentavo dimostrare (Morselli). Sono le
esplosioni del buon senso.
Ma costoro fingono di ignorare che tali problemi non
si possono risolvere aprioristicamente partendo da qual-
che ingegnosa premessa, a guisa dei fisiologi e dei meta-
fisici d’un tempo, ma dall’esame dei fatti.
Una volta che i fatti da ogni parte ci dimostrano l’esi-
stenza quasi generale di uno squilibrio, di un arresto par-
ziale di sviluppo da un lato, che compensano gli sviluppi
dall’altro lato, è inutile schermeggiare su basi aprioristi-
che, fossero anche sostenute, anzi, perché sostenute dal
senso comune. E non v’è scienziato che non abbia pro-
vato come ogni volta egli s’affacci ad un grande proble-
ma da risolvere, bisogna combattere, non seguire il buon
senso, ed il senso comune, che tracheggiando terra ter-
ra fra le umili alghe, non può alzarsi a quelle elevatissi-
me sintesi in cui sta la scoperta del vero; col buon sen-
so, col senso comune troverete che la terra sta ferma, che
l’elettricità, il calore, il magnetismo, la luce non possono
essere la manifestazione della stessa energia, che la crea-
zione avvenne d’un tratto e dopo cataclismi spaventevoli:
ebbene, è il contrario che la scienza conchiude.
D’altronde, l’idea della nevrosi degenerativa, che sa-
rebbe la base del genio, se ripugna a primo aspetto, a
chi vede accumulati insieme due termini apparentemen-
te opposti, come il massimo della grandezza umana e la

Storia d’Italia Einaudi 319


Cesare Lombroso - Genio e follia

sua più bassa degradazione, non ripugna più quando si


pensi che la degenerazione nel senso della moderna psi-
chiatria e anche della zoologia moderna, è ben diversa
dal concetto comune.
Recenti ricerche, specie le teratologiche di Gegen-
bauer, ci hanno indicato che molte regressioni sono com-
pensate da un grande sviluppo in altre direzioni, e si as-
sociarono perfino ad una nobilitazione, ad un aumento,
diremo, di grado: i rettili hanno più coste, più vertebre,
le scimmie più muscoli ed un organo intero (la coda) più
di noi, che perdendo quei privilegi, ne acquistammo ben
altri.
Posto, ogni ripugnanza, aprioristica, ad ammettere qui
la degenerazione cessa ad un tratto. Come i giganti del-
la statura pagano il fio della loro grandezza colla sterili-
tà e colla relativa debolezza intellettuale e muscolare, co-
sì i giganti del genio pagano il fio della loro potenza in-
tellettuale colla degenerazione e colla follia; e perciò i se-
gni degenerativi sonvi più frequenti che non, forse, nei
pazzi.
Coloro che hanno troppo buon senso – non sentono
che questo distrugge ogni grande vero, poiché al vero
si giunge più per le vie remote che per le vie piane e
normali – mi si obbietta pure: «Molti di questi, difetti
che voi appuntate ai grandi uomini, li hanno tutti, anche
i non genii». È verissimo, ma è nella qualità e quantità
loro che spicca il carattere anormale. È sopratutto nella
contraddizione con tutto l’insieme degli altri caratteri
della loro personalita, che sorge l’anomalia.
Per quanto il paradosso che confonde il genio colla
nevrosi, sia crudele e doloroso, pure, esaminandolo an-
che da alcuni punti di vista sfuggiti ai più recenti osserva-
tori, non manca, come parrebbe in sulle prime, di solido
fondamento.
Una teoria, infatti, da alcuni anni si è fatta strada nel
mondo psichiatrico, che ammette come una buona parte

Storia d’Italia Einaudi 320


Cesare Lombroso - Genio e follia

delle affezioni psichiche e anche delle somatiche, sia ef-


fetto della degenerazione, dell’azione, cioè, dell’eredità,
nei figli di bevoni, di sifilitici, di pazzi, di sordi, di tisici,
ecc., o dei colpiti da altra causa accidentale, grave al pa-
ri di queste, come quella del mercurio, dei traumi al ca-
po, di forti patemi che alterando profondamente i tessu-
ti, perpetuano le nevrosi o gli altri morbi nel paziente, e
quel che è peggio li aggravano, nei suoi discendenti, fi-
no a che la projettoria sempre più celere e più fatale del-
la degenerazione non è arrestata dal suo stesso eccesso,
dalla completa idiozia e dalla sterilità.
Gli alienisti fissarono alcuni caratteri, che più fre-
quentemente, benché non costantemente, accompagna-
no queste fatali degenerazioni. Sono moralmente: l’a-
patia, la perdita del senso morale, la frequente tendenza
impulsiva o dubitativa, le ineguaglianze e le sproporzioni
psichiche per eccesso di alcune facoltà (memoria, gusto
estetico) e difetto di altre (calcolo, per esempio), esagera-
to mutismo, o verbosità, vanità pazzesca, ecc.: l’eccessi-
va originalità e l’eccessiva preoccupazione della propria
personalità: l’interpretazione mistica dei fatti più sempli-
ci, l’abuso dei simboli, delle parole speciali che diventa-
no alle volte il modo esclusivo d’esprimersi; – nel fisico:
le orecchie ad ansa, la scarsa barba, i denti male impian-
tati, le assimetrie della faccia e del capo, frequentemen-
te questo di enorme o scarso volume, la precocità i ses-
suale, la piccolezza e le sproporzioni del corpo, il manci-
nismo, la balbuzie, la rachitide, la tisi, la eccessiva fecon-
dità neutralizzata poi dagli aborti, o la completa sterilità,
preceduta da anomalie sempre maggiori nei figli. – Cer-
tamente, non pochi qui esagerarono, sopratutto coloro
che da un solo di questi reperti vennero alle conclusioni
della degenerazione108 .
Statura E, prima di tutto, è notevole nei genii la fre-
quenza dei caratteri fisici, degenerativi, mascherati solo
dalla vivacità dei tratti del volto e più dal potente presti-

Storia d’Italia Einaudi 321


Cesare Lombroso - Genio e follia

gio della fama che ci diverge dall’attendervi e dal darvi


importanza.
Il più semplice, che aveva già colpito i nostri vecchi,
ed è passato in proverbio, è la piccolezza del corpo.
Famosi per piccola statura, oltre che per genio, fu-
rono Orazio (lepidissimum HOMUNCULUM dicebat Au-
gustus), Filopemene, Narsete, Alessandro (Magnus Ale-
xander corpore parvus erat), Aristotele, Platone, Epicuro,
Crisippo, Laertio, Archimede, Diogene, Balzac, Thiers,
Louis Blanc, Ippoponace, Epitteto che soleva dire: Chi
son io? Un piccolo uomo; fra i più moderni Erasmo,
Socino detto l’Ometto, Linneo, Lipsio, Gibbon, Spino-
za, Hay, Montaigne che scriveva: Je suis d’une taille
au-dessous de la moyenne, Mezeray, Lalande, Beccaria,
Von Does, detto il Tamburo perché alto quanto un tam-
buro; e così Pietro de Laer, detto perciò il Bamboccio,
Lulli, Pomponazzo, Cujacio. Baldini era piccolissimo e
piccoli erano Niccolò Piccinini, Dati filosofo, e quel Bal-
do che rispondeva al motto di Bartolo: Minuit presentia
fama coll’Augebit coetera virtus; infine Marsilio Ficino di
cui si disse: Vix ad lumbos viri stabat. Alberto Magno
era di così piccola statura che ammesso dal Papa al ba-
cio del piede, questi gli ordinava di alzarsi credendo che
fosse in ginocchio. Pope che doveva sedere a tavola con
un cuscino sopra la sedia.
Invece, di grandi uomini d’alta statura non mi soccor-
re alla mente se non Volta, Petrarca, D’Azeglio, Helmol-
tz, Foscolo, Bismarck, Monti, Mirabeau, Dumas padre,
Schopenhauer, Lamartine, Voltaire, Pietro il Grande, Ri-
beri, Panizza, Carlyle, Washington, Flaubert, Tourgue-
neff, Krapotkine, Tennyson, Whitmann.
Rachitici, gobbi, zoppi, piedivalghi erano Esopo, Cra-
te, Aristomene, Tirteo, Agesilao, Pope, Leopardi, Scar-
ron, Talleyrand, Walter Scott, Owen, Byron, Dati, Bal-
dini, Goldsmith, Parini, Brunelleschi, Magliabecchi.

Storia d’Italia Einaudi 322


Cesare Lombroso - Genio e follia

Il pallore fu detto il colore dei grandi. Pulchrum subli-


mium virorum florem (S. Gregorio, Orationes, XIV). Or
è accertato dopo Marro109 che questo è uno dei caratteri
degenerativi più frequenti nei pazzi morali.
Magrezza Lo sperpero dei fosfati, e più ancora quel-
la legge di compenso delle forze e della materia, che do-
mina in tutto il mondo vivo, ci spiega altre anomalie più
frequenti, come la precoce canizie e calvizie e la macilen-
za del corpo, e la scarsa attività genesica e muscolare, che
sono proprie degli alienati e che, pur assai di frequente,
occorrono nei grandi pensatori.
Cranii e cervelli Frequenti furono in essi le lesioni del
capo e del cervello: il celebre romanziere dell’Australia,
Clark ( Revue Britannique, 1884) toccò da bimbo un
calcio di cavallo che gli fracassò il cranio e così si narra
di Vico, di Gratry, di Mabillon, di Clemente VI, di
Malebranche e di Cornelio detto perciò A Lapide; questi
ultimi due anzi, sarebbero da imbecilli diventati geniali,
dopo il trauma.
Dissomiglianze Quasi tutti differiscono tanto dal pa-
dre che dalla madre (Foscolo, Michelangelo, Giotto,
Haydn). E questo è uno dei caratteri trovati nei dege-
nerati.
È per questo che parecchi genii si assomigliano fra
loro, benché appartengano a tempi e a razze diverse,
p. es. tra Casti, Sterne e Voltaire, e tra Giulio Cesare,
Napoleone, Giovanni dalle Bande Nere; mentre molte
volte differiscono dal tipo del loro paese, succedendo
qui, benché con linee nobilissime, e quasi sovrumane
(altezza del fronte, sviluppo notevole del naso e del
capo, vivacità grande dello sguardo), quello che per
linee ignobili accade del cretino, del criminale e spesso
del pazzo. Humboldt, Virchow, Bismarck, Helmoltz,
Holtzendorf non hanno fisonomia tedesca. Byron non
aveva fisonomia né carattere inglese. Manin non aveva
fisonomia veneziana, né D’Azeglio, né Alfieri faccia e

Storia d’Italia Einaudi 323


Cesare Lombroso - Genio e follia

carattere piemontese. Carducci non ha fisonomia italica.


Però qui vi sono notevolissime e frequenti eccezioni.
Michelangelo, Leonardo da Vinci, Raffaello, Cellini sono
tipi italiani.
Precocità Un altro carattere, che il genio ha comune
colla pazzia e più colla pazzia morale, è la precocità.
Comte e Pascal erano grandi pensatori a 13 anni ( Revue
Phil., 1887, p. 72). Raffaello era grande a 14 anni.
Restif de la Brétonne a 4 anni avea letto molti libri, a 11
aveva sedotto ragazze, a 14 componeva un poema sulle
prime sue dodici maîtresses. Eichorn, Mozart, Eybler,
G. Crotsh tennero concerti a 6 anni110 . Bacone a 15 anni
aveva concepito il Novum Organum (Ribot, op. cit.).
Rameau imparò la musica contemporaneamente al lin-
guaggio; a 7 anni suonava mirabilmente, in iscuola riem-
piva i quaderni di composizioni musicali – ne fu scudi-
sciato per ciò, ma senza effetto. Durante le battiture, di-
ceva egli scherzando, piangeva in cadenza.
Dettero prove d’ingegno grande: Fournier a 15 anni,
Niebhur a 7, Gionata Edwards a 12, Michelangelo a 19,
Voltaire a 13. Gassendi predicava a 4 anni, Bossuet
a 12. Goethe al 10 anni conosceva parecchie lingue,
Meyerbeer a 5 anni suonava benissimo al pianoforte.
Ennio Quirino Visconti eccitava l’ammirazione a 16 mesi
e predicava a 6 anni. Mirabeau a 10 anni pubblicava dei
libri e faceva dei discorsi a 3 anni; Haendel a 19 anni era
già Direttore del teatro di musica di Amburgo.
Il poeta Pope era piccolo, delicato, malaticcio, ne ave-
va gusto che per i libri. Copiando le lettere imparò a scri-
vere; passò l’infanzia nella lettura e si trovò poeta quasi
dacché seppe parlare (Taine, Hist. de la Littér. Angl., II);
a 12 anni aveva composto una tragedia sull’Iliade e un’o-
de sulla solitudine, da tredici a quindici anni un grande
poema epico di quattro mila versi, l’Alcandre.
Precocità atavistica Questa precocità è atavistica. Dé-
launay, in una comunicazione alla Società francese di

Storia d’Italia Einaudi 324


Cesare Lombroso - Genio e follia

Biologia, affermò che la precocità indica inferiorità bio-


logica e addusse a prova i bambini Esquimesi, Negri, Co-
cincinesi, Giapponesi, Arabi; anche nella scala zoologica
le specie più basse sviluppansi più rapidamente che quel-
le d’ordine più elevato; l’uomo è il più lento di tutti nello
sviluppo, arriva più tardi alla maturità, e la donna prima
dell’uomo.
E questa precocità si lega alla frequenza della pazzia
nel genio e la conferma.
Misoneismo111 E, al pari degli uomini volgari, dei bim-
bi e degli idioti, essi, che creano nuovi mondi, sono es-
senzialmente misoneici; portano un’enorme energia nel
rifiutare le nuove scoperte degli altri, sia perché la satu-
razione, direi, del loro cervello non permetta altra sopra-
saturazione, sia che, avendo acquistato una specie di sen-
sibilità specifica per le proprie idee, non sieno più sensi-
bili per quelle degli altri.
Così lo Schopenhauer, che pur fu uno dei più grandi
ribelli in filosofia, non ha che parole di pietà e di sprez-
zo per i rivoluzionari politici; sentiva, in questo, così vi-
vamente, che legò tutta la sua vistosa fortuna a favore di
coloro che nel 1848 avevano contribuito a reprimere col-
l’armi i nobili conati rivoluzionari.
Federico Il, che inaugurava una politica tedesca, e vo-
leva iniziare un’arte e letteratura nazionale, non sospettò
nemmeno, il valore di Herder, di Klopstock, di Lessing,
di Goethe ( Rev. Des Deux Mondes, 1883, pag. 92); egli
aveva tale ribrezzo di cambiarsi gli abiti che non ne ebbe
in tutta la vita più di due o tre.
Incoscienza. Istantaneità La coincidenza del genio col-
la follia e colle alterazioni cerebrali, giova a spiegarci la
grande incoscienza, l’istantaneità, e l’intermittenza delle
sue creazioni che gli dànno una forte analogia (di che ve-
dremo poi l’importanza grandissima) coll’accesso epilet-
tico – e ce ne segnano tutta la distanza dal talento.

Storia d’Italia Einaudi 325


Cesare Lombroso - Genio e follia

«Il talento, dice Jurgen Meyer ( Genie und Talent,


1875) si conosce da sé; sa come e perché concluse ad
una data teoria; non il genio, che ignora perché e come
vi giunse. – Nulla di più involontario dell’idea geniale».
«Uno dei caratteri del genio (scrive Hagen) è l’impul-
siva irresistibilità dell’atto. Come l’istinto trae l’anima-
le ad alcuni atti anche a pericolo della vita, così il ge-
nio, quando è pieno della sua idea, è nell’impossibilità
di pensare ad altro. Napoleone, Alessandro conquistano
non per amore della gloria, ma per obbedire ad un po-
tente istinto, e così il genio scientifico non ha posa, e la
sua attività sembra, ma non è, effetto di libera volontà. Il
genio crea non perché voglia, ma perché deve creare».
Lamartine dicea spesso: «Non sono io che penso, son
le mie idee che pensano per me» (Ball, Leçons des mal.
Mentales, 1881).
Lo stesso Alfieri, che si diceva un barometro, tanto
variava di capacità nel poetare, secondo la stagione, a
settembre non ebbe forza di resistere ad un nuovo, o
meglio, rinnovato impulso naturale fortissimo, che gli si
fece sentire per più giorni; ei finalmente dovette cedergli,
scrivendo sei commedie ( Vita).
In un suo sonetto ( Un vecchio in bianca veste) il pro-
fessore Teza, che ne sviscerò gli autografi, trovò questa
nota di suo pugno: «A spasso non volendolo fare».
Montesquieu abbozzò il suo Esprit des Lois in una
vettura.
In Alfieri, Goethe, Ariosto la produzione avveniva
istantanea; spesso nello svegliarsi della notte (Radestock,
p. 42).
Questa specie di dominio dell’inconscio nel genio fu
avvertita del resto già da molti anni.
Socrate ( Apolog.) notò, primo, che i poeti creano, non
per scienza inventiva, ma per un ceno istinto naturale,
«come gli indovini predicono, perché dicon cose sì belle,
ma non hanno coscienza di quello che dicono».

Storia d’Italia Einaudi 326


Cesare Lombroso - Genio e follia

«Tutti gli atti del genio, scrive Voltaire a Diderot,


sono effetti dell’istinto. Tutti i filosofi del mondo uniti
insieme non potrebbero far l’ Armida di Quinault, o gli
Animali malati di peste, che dettava La Fontaine, senza
ben sapere cosa si facesse: Corneille fece la scena degli
Orazii, come un uccello il suo nido».
I concetti più grandi, dunque, dei pensatori, prepa-
rati, per dire così, dalle già ricevute sensazioni e dallo
squisitamente sensibile organismo, scoppiano d’un trat-
to, o svolgonsi, come direbbesi ora, per cerebrazione in-
cosciente (e ciò spiega le profonde convinzioni dei pro-
feti, dei santi e dei demoni), come gli atti impulsivi dei
pazzi.
Il genio indovina quasi i fatti prima di conoscerli ap-
pieno, come Goethe, che descriveva l’Italia tale e quale
prima di averla veduta, che prevenne Darwin nella sco-
perta dell’origine delle specie.
Codesta originalità si osserva anche, non di raro, ben-
ché quasi sempre senza scopo, nelle azioni dei matti (co-
me presto vedremo), e specialmente dei letterati, i quali,
per ciò solo, giungono qualche volta alle divinazioni del
genio, come Bernardi, che, al manicomio di Firenze nel
1529, volle provare che le scimmie avevano un linguag-
gio (Delepierre, Histoire littéraire des fous, Paris, 1860).
E gli uni e gli altri hanno, in grazia di quella dote fata-
le, la stessa ignoranza delle necessità della vita pratica,
sempre, per essi, meno importanti dei loro sogni, e insie-
me l’abito del disordine che rende loro sempre più fatale
questa ignoranza.
Persecuzione dei genii Ed appunto per queste vedute
che vanno più innanzi delle comuni, e, perché il genio,
occupato in ricerche troppo sublimi, non ha l’abitudine
delle volgari, e perché, come il pazzo, ed al contrario del
talento (Bettinelli, op. cit., 1878), è spesso disordinato,
i genii sono disprezzati e misconosciuti dai più, i qua-
li non vedono i punti intermedi che li soccorsero nella

Storia d’Italia Einaudi 327


Cesare Lombroso - Genio e follia

creazione, ma vedono, sì, la differenza dalle loro conclu-


sioni a quelle ammesse dagli altri e la bizzarria della loro
condotta.
Follia morale Più frequente è nel genio un sintomo che
è particolare alla così detta follia morale ed all epiessia: la
mancanza quasi completa d’affettività e di senso morale.
«L’artiste, selon moi, est une monstruosité, quelque-
chose hors nature; tous les malheurs dont la Providen-
ce l’accable lui viennent de l’entètement qu’il a à nier cet
axiome: il en souffre et en fait souffrir. Qu’on interroge
là-dessus les femmes qui ont aimé des poètes et les hom-
mes qui ont aimé des actrices» (Flaubert, Correspondan-
ce, 1889).
Anche del genio si disse, come del pazzo, che nasce e
muore solitario, freddo, insensibile agli affetti di famiglia
e ai convegni sociali.
«Le génie est une orrible maladie. Tout écrivain por-
te en son cœur un monstre qui, semblable au taenia
dans l’estomac, y dévore les sentiments à mesure qu’ils
y éclosent. Qui triomphera? La maladie de l’homme, ou
l’homme de la maladie? Certes il faut être un grand hom-
me pour tenir la balance entre son génie et son caractè-
re. Le talent grandit, le cœur se dessèche. À moins d’ê-
tre un colosse, à moins d’avoir des épaules d’Hercule, on
reste ou sans creur, ou sans talent» (Balzac, Scènes de la
vie de Province, tom. II, pag. 126).
Del resto, chi assiste nelle Accademie e nelle Facoltà
Universitarie ad un’accolta di uomini che non sieno pure
geniali, ma solo eruditi, si accorge subito che il pensiero
dominantevi è il reciproco disprezzo e l’odio anzi contro
l’uomo di genio o chi vi s’avvicina.
È un sentimento così uniforme che non ha bisogno
nemmeno di accordi preventivi: emerge spontaneo e per-
dura per la vita intera d’un uomo. Che se gli interessi, i
doveri del mondo, la menzogna convenzionale, divenuta
fortunatamente una seconda natura, ne smorzano e sof-

Storia d’Italia Einaudi 328


Cesare Lombroso - Genio e follia

focano gli scoppi, basta attendere un’occasione favore-


vole, come i processi di... a Pa... a, ecc., per vederlo a
nudo in tutta la sua triste energia.
Il genio, a sua volta, sprezza tutti: e tanto più credesi
in diritto di ridersi di ognuno, quanto meno tollererebbe
di essere non solo deriso, ma nemmeno tocco dalla più
lieve critica: ed anzi si offende delle lodi fatte altrui
come di un biasimo diretto a lui stesso. Onde non trovi
nelle Accademie d’accordo i migliori che nel lodare un
solo... il più ignorante di tutti. Abbiam visto poco sopra
che Chateaubriand si offendeva al veder lodato il suo
calzolaio. Io conobbi un filologo che spifferava cogli
amici i loro difetti, esagerandoli fin all’insulto; ma se uno
di questi s’attentava alla critica più leggiera dei suoi atti
più censurabili, andava in gravi escandescenze.
Longevità Questa morbosa apatia, questa diminuzio-
ne di affettività che corazzano il genio dalle molte offe-
se, le quali in breve polverizzerebbero quelle fibre tan-
to dure e tanto fragili, spiegano la grande longevità dei
genii, malgrado la iperestesia loro in altre direzioni. Es-
sa fu notata infatti in 134 su 143: Sofocle morì a 90 an-
ni, Petrarca a 90, Erodoto a 75, Pericle a 70, Tucidide a
69, Ippocrate a 103; ma ciò non esclude la degenerazio-
ne, quando questa, come nei pazzi morali, si congiunga a
quella apatia che rende anestetiche quelle tempre mobi-
lissime ai dolori più forti, onde è che io dimostrai ( Hom-
me criminel, 1884) che i criminali nati fuori del carcere
sarebbero più longevi. Aggiungiamo del resto che la lon-
gevità non è generale; e 9 fra i genii sommi, come Raf-
faello, Burns, Byron, Mozart, Pascal, Bichat, Pico della
Mirandola, Mendelssohn, Bellini, ecc., morirono avanti i
40 anni. Fontenelle a 100.
Il Fiorentino ci dà l’età precisa di 35 fra i musici ce-
lebri. Orbene la loro età media raggiunse la bella cifra
di 63 anni e 5 mesi: cinque morirono prima di aver rag-
giunto gli anni 40; nove tra 41 e 60 anni; diciotto tra 61 e

Storia d’Italia Einaudi 329


Cesare Lombroso - Genio e follia

80 e tre da 81 a 90. Epperò sembra che i musici raggiun-


gano un’età non solo superiore agli uomini normali, ma
anche a quella trovata per gli altri uomini di genio, e ad
ogni modo conferma quanto io scrissi.
Beard calcolò la vita media di 500 genii a 64 anni –
quella anzi di 100 genii moderni di 70 anni – mentre
la media normale moderna è di 51. Questo carattere
si estende anche alle classi intelligenti, che sono anche
più longeve, i preti 64, i legali 58, i medici 57; è strano
che dopo aver addotto questi fatti egli non li spieghi
coll’anestesia morale lasciata dalla nevrosi, ch’ei pure
ammette. È giusta l’altra causa, poi, che ne adduce
della longevità dei genitori dei genii: io aggiungo che
questa longevità mi conferma la frequenza dei genitori
vecchi nei genii. Ed essa è ad ogni modo un fenomeno
atavistico.
Caratteri speciali degli uomini di genio, che furono,
nello stesso tempo, alienati. Se noi, infatti, analizziamo
la vita e le opere di quei grandi ingegni malati, di cui
rumoreggia la storia, troviamo come essi, sulle prime,
distinguansi, per molti tratti, dall’uomo medio e anche in
parte dagli altri genii, che percorsero, netta d’ogni follia,
la grandiosa parabola della lor vita.
Questi genii alienati non hanno, infatti, pressoché
punto carattere. – Il carattere intero, completo: Che mai
non piega per soffiar dei venti, è il distintivo degli uomini
onesti, completi.
Invece il Tasso declama contro le corti, eppure, fino
all’ultima ora, ritorna a mendicarne gli scarsi favori. –
Cardano s’accusa, egli stesso, di bugiardo, maldicente e
giuocatore. – Rousseau, pur sì sensibile, lascia nell’ab-
bandono la più tenera e benefica amica; fa getto de’ fi-
gliuoli; calunnia gli altri e se stesso, e si fa tre volte apo-
stata della religione cattolica, della protestante, e, quel
che è peggio, di quella dei filosofi.

Storia d’Italia Einaudi 330


Cesare Lombroso - Genio e follia

Swift, ecclesiastico, scrive l’osceno canto degli amori


di Strafone e Clöe, denigra la religione onde è dignita-
rio; demagogo, propone la carne umana come succeda-
neo del pane; orgoglioso fino al delirio, si trascina nelle
bettole fra gli scozzoni.
Lenau, credente fino al fanatismo nel Savonarola, si
mostra, negli Albigesi, scettico fino al cinismo; lo sa, lo
confessa, e ne ride.
Schopenhauer gode delle persecuzioni inflitte a Mo-
leschott; declama contro la donna e ne è troppo caldo
amatore; professa la felicità del nirvana e poi si predice
più di cento anni di vita.
Il genio sente se stesso, si apprezza e non possiede,
certo, la fratesca umiltà; tuttavia l’orgoglio, che cuoce
entro quei cervelli malati, supera la misura del vero e
del verosimile. – Tasso e Cardano, copertamente, e
Maometto, apertamente, dichiarano di essere ispirati da
Dio; le più lievi critiche, quindi, alle loro opinioni sono
mortali persecuzioni. (pp. 534-351)
Quasi tutti costoro erano preoccupati, dolorosamen-
te, da dubbii di religione, cui suscitava la mente e com-
batteva, come delitto, la paurosa coscienza ed il cuore
ammalato (pag. 76). – Tassò era tormentato dalla pau-
ra d’esser eretico. Ampère diceva sovente i dubbi essere
la peggiore tortura dell’uomo. – Haller lasciò scritto nel
suo giornale: «Mio Dio, dammi, dammi, dammi una stil-
la di fede; la mia mente crede in te, ma il mio cuore si ri-
fiuta; questo è il mio delitto». – Lenau ripeteva negli ul-
timi anni: «Nelle ore in cui il cuore mio sta male, l’idea
di Dio mi vien meno». L’eroe infatti del suo Savonarola
è il dubbio (Schurz, I, 328), e l’ammettono ormai tutti i
suoi critici.
Tutti quanti, poi, i genii alienati s’occupano e preoc-
cupano del proprio io, e conoscono e proclamano, alle
volte, la propria malattia, e quasi sembrano volere, con-
fessandola, trarre conforto dai suoi inesorabili colpi.

Storia d’Italia Einaudi 331


Cesare Lombroso - Genio e follia

Era naturale cosa, ch’essi, grandi uomini, e quindi


acuti osservatori, finissero per avvertire anche le proprie
crudeli anomalie e restassero colpiti dallo spettacolo del
proprio io, che loro, in sì dolorosa guisa, si parava dinan-
zi. Tutti gli uomini, in genere, ma i matti più che tut-
ti, amano parlare di sé medesimi, ed in questo argomen-
to diventano eloquenti [...]; ora tanto più devono riescir-
vi coloro in cui il genio s’accoppia e vivifica colla mania.
Si hanno, allora, quegli scritti maravigliosi di passione e
di dolore – monumento di poesia frenopatica, in cui do-
vunque spicca la grande ed infelice persona dello scritto-
re!
Ma il carattere più particolare della follia di costoro
parmi si possa ridurre ad un’estrema esagerazione di quei
due stadî alterni, di eretismo e di atonia, – di estro e di
esaurimento, che noi vedemmo manifestarsi fisiologica-
mente, in pressoché tutti i grandi intelletti, anche i più
sani, – stadî che essi ugualmente male interpretano, a
seconda dell’orgoglio solleticato od offeso. – «Un ani-
mo pigro che si spaventa ad ogni affare, un temperamen-
to bilioso, facile a soffrire, e sensibile ad ogni molestia,
non pare possano combinare in uno stesso carattere, ep-
pure formano il fondo del mio», confessa Rousseau nel-
la sua Lettera II. Quindi, spesso, a modo dell’ignoran-
te, che spiega, con oggetti materiali ed esterni, le modi-
ficazioni del proprio io, essi attribuiscono ad un diavolo,
ad un Genio, ad un Dio, la felice ispirazione dell’estro.
– Tasso, parlando del suo folletto, o genio, o messagge-
ro che fosse: «Diavolo, dice, non può essere, perché non
mi ispira orrore delle cose sacre, ma natural cosa neppu-
re, perché mi fa nascere idee che prima non aveva mai
avuto». – Un Genio ispira a Cardano le opere, le cogni-
zioni nelle cose spirituali, i consulti, a Tartini la sonata,
a Maometto le pagine del Corano. – Van-Helmont asse-
riva aver veduto comparirsi innanzi un Genio in tutte le
circostanze più importanti della sua vita; nel 1633 scoprì

Storia d’Italia Einaudi 332


Cesare Lombroso - Genio e follia

la propria anima sotto forma di un risplendente cristallo.


– Lo scultore Blake spesso si ritirava in riva al mare per
conversare con Mosé, Omero, Virgilio, Milton, che cre-
deva aver dapprima conosciuti, e a chi lo richiedeva sulla
loro figura: «Son ombre, diceva, piene di maestà, grigie,
ma lucide e più alte assai del comune degli uomini». –
Socrate era, da un Genio, consigliato nelle sue azioni; un
Genio, a suo dire, migliore di diecimila maestri; e spesso
avvertiva gli amici di ciò che dovevano o non dovevano
fare, secondo ch’egli ne aveva ricevuto istruzione dal suo
δαιµoνιoν . – Palestrina, nel comporre, fantasticava
di porre in iscritto i canti di un invisibile angelo.
E certo lo stile colorito e vivace di tutti questi gran-
di, la evidenza con cui espongono le più bizzarre loro
fantasticherie, come le accademie lillipuziane o gli orrori
del Tartaro, denotano ch’essi vedevano, toccavano col-
la sicurezza dell’allucinato, quanto descrissero; che in es-
si, insomma, l’estro erasi fuso colla follia, in uno stesso
prodotto.
Ad alcuni, anzi, di questi, come a Lutero, a Maomet-
to, a Savonarola, a Molinos, ed or ora al capo dei ribel-
li Tai-ping, questa falsa interpretazione dell’estro di assai
giovava, dando ai loro discorsi, alle loro profezie quella
tinta di vero, che solo una profonda convinzione procu-
ra, e che sola riesce a scuotere e rimorchiare la popola-
re ignoranza, ed in questo i pazzi di genio ed i più triviali
mattoidi si confondono insieme.
Quando poi la gaiezza e l’estro vien meno, e tetre e
grigie soprannuotano, alla loro volta, le melanconiche
turbe, allora quei grandi infelici, più bizzarramente in-
terpretando il proprio stato, si credono avvelenati, come
Cardano, – o dannati alle eterne fiamme, come Haller ed
Ampère, – o perseguitati da accaniti nemici, come New-
ton, Swift, Barthez, Cardano, Rousseau. (Vedi pag. 3, 5,
29, 37, 64, 66, 79, 95, 104, 106).

Storia d’Italia Einaudi 333


Cesare Lombroso - Genio e follia

In tutti, poi, il dubbio religioso, che la ragione susci-


ta a dispetto del cuore, compare innanzi ai loro occhi co-
me delitto, e diviene causa e stromento di nuove, reali
sventure.
Però la tempra di costoro è tanto differente dalla co-
mune, che imprime un carattere suo proprio alle varie
psicosi (melanconia, monomania, ecc.) da cui sono col-
piti, tanto da costituire una psicosi speciale.
Ma a chi ben ricorda quanto sopra esponemmo, que-
sti caratteri non sono affatto speciali ai soli genii alienati,
ma si trovano, per quanto meno spiccati, nei genii meno
sospetti, di cui quegli alienati non sono che un’esagera-
zione, una caricatura. – E così il carattere intero, se pu-
re eccelse in Socrate, Colombo, Cavour, Cristo, Spinosa,
non si nota più in Napoleone, in Bacone, in Cicerone,
in Seneca, in Alcibiade, in Alessandro, in G. Cesare, in
Machiavelli, Carlyle, Federico II, Dumas, Byron, Comte,
Bulwer, Petrarca, Aretino, Galileo.
L’orgoglio portato fino all’inverosimiglianza fu notato
in Napoleone, in Hegel, in Dante, in Victor Hugo, in
Balzac, in Comte, e, come vedemmo, perfino nei talenti,
senza genio, come nel Cagnoli.
E la precocità non manca nei genii normali come
Mozart a 6 anni, Raffaello a 14, Michelangelo a 16, Carlo
XII, S. Mill, d’Alembert, Lulli.
Né mancano gli esagerati abusi alcoolici, i difetti e gli
eccessi sessuali seguiti dalla sterilità, né la tendenza al
vagabondaggio, né gli atti impulsivi violenti alternati o
associati a moti convulsivi; esempio il Bismarck che a
Beust diceva: Avete anche voi voglia di rompere qualcosa
per divertimento? e che si esercita spesso a colpir tronchi
d’alberi come uno spaccalegna. E noi trovammo in
alcuni non poche anomalie craniali (pag. 8, 97, 230, vedi
pure Tavola I-II).
E i segni degenerativi abbondano negli uni e negli altri
(pag. 9, 1 3, 14, 15, 101, 103, 141, 214).

Storia d’Italia Einaudi 334


Cesare Lombroso - Genio e follia

Né manca in essi quell’invasione, o meglio invasamen-


to del soggetto che trasforma la creazione fantastica in
una vera allucinazione od in un’autosuggestione (pag.
28, 63, 86, 95, 98, 103, 105, 121, 127, 140).
Flaubert scrive: «Le creazioni della mia fantasia mi
colpiscono, mi perseguitano, o meglio sono io che di loro
vivo. Quando descrivevo come Madama Bovary morisse
avvelenata, sentivo il sapore dell’arsenico sulla lingua;
anzi ero io stesso avvelenato fino a vomitare». Balzac
dava agli amici notizie dei suoi personaggi come fossero
vivi: più ancora, dopo che un amico gli aveva parlato di
una sorella malata gravemente, l’interruppe: Torniamo
alla realtà: il mio personaggio deve ammogliarsi, e seguitò
a parlare delle sue creature di fantasia. Dickens provava
dolore e compassione pei casi dei suoi personaggi come
se fossero figli suoi proprii.
E giunge l’invasamento del genio a tanto da sdoppiare
veramente la personalità, da formare d’un filantropo un
uomo crudele (pag. 440, 455).
Finalmente non manca in essi quella perdita dell’affet-
tività (pag. 89, 91, 99, 100, 124, 130, 137, 138) (Sterne
abbandona la moglie e la madre vecchia; Chateaubriand
l’amante; Milton, Galba, Shakespeare, la moglie), che so-
la spiega, come toccammo, la loro longevità (pag. 93,
142), la loro resistenza, malgrado tanta fragilità, agli ur-
ti avversi; né manca l’iperestesia psichica localizzata nei
punti delle loro ricerche e accompagnata anche da ane-
stesie e parestesie (pag. 27, 32, 34, 35, 39, 64, 99, 100,
143).
Anch’essi hanno affezioni morbose per gli animali.
È nota l’affezione strana di (353) Maometto per la sua
scimmia; di Richter per gli scoiattoli; di Byron che aveva
con sé 10 cavalli, 8 cani, 3 scimmie, 5 gatti, 1 asino,
1 corvo, 5 pavoni, 2 galli, 1 orso; Bentham, Crébillon,
Elvezio e Marzolo per gatti; Erichsen pei cani, Sterne
per gli asini.

Storia d’Italia Einaudi 335


Cesare Lombroso - Genio e follia

Noi trovammo, finalmente, anche nei genii i più inte-


ri, le forme incomplete e rudimentali delle pazzie, me-
lancolie (pag. 2, 3, 5, 29, 37, 64, 65, 66, 79, 95, 104, 106,
115, 122, 128), megalomanie (pag. 41, 98, 100, 115, 129,
139), allucinazioni (v. sopra), per es., che ci spiegano le
convinzioni di alcuni profeti e fondatori di dinastie, co-
sì profonde da giungere, innanzi al volgo, a far le veci
dell’estro.
«Una disposizione (scrive Maudsley) ad essere scon-
tento dello stato di cose esistenti, è una condizione es-
senziale dell’originalità geniale».
Né manca l’uso di parole speciali che è così proprio
dei monomani (pag. 48, 73, 433, 440, 449), né quelle
incertezze che vanno fino alla follia del dubbio (pag. 7,
75, 76)
La sola differenza si risolve in fondo in una mino-
re esagerazione dei sintomi, in un minore distacco della
doppia personalità, in una minore frequenza nella scelta
dei temi pazzeschi (Shakespeare, Goncourt e Daudet ec-
cettuati), e nella minore frequenza della nota assurda che
non manca però (pag. 42, 43, 44) quasi mai, sicché nul-
la è più vicino al ridicolo del sublime; e Taine ha dimo-
strato l’assurdo dei grandi concetti napoleonici; e Dumas
(v. sopra) ci dimostrò l’idea megalomaniaca dominante
nell’Hugo a cui non manca poi la notta assurda, come in
quella frase dei Miserabili, in cui una donna, non sapendo
il latino, lo comprendeva assai bene.
V’era una vera megalopsia nel Wiertz, che faceva nei
suoi affreschi gruppi di giganti, sempre più grandi, sic-
ché si dovettero elevare a torre le pareti su cui dipinge-
va; e nel Berlioz che avrebbe avuto bisogno, per esegui-
re i suoi concerti, di un vero esercito di musicisti, non
escluso, diceva egli, il cannone.
L’analisi optometrica ci mostrò la frequente irregolari-
tà del campo visivo nei genii, e l’estesiometria la loro fre-
quente ottusità sensoria (v. sopra), e l’orologio di Hipp

Storia d’Italia Einaudi 336


Cesare Lombroso - Genio e follia

ci mostra il ritardo nella equazione personale e lo studio


grafologico i caratteri pazzeschi della scrittura juxtaposi-
zione).
E non è senza importanza, anche, il vedere che do-
vunque il genio si eleva in una razza, ivi si eleva il nume-
ro dei pazzi, del che offersero anche prove singolarissi-
me gli ebrei italiani (pag. 208, 209) e tedeschi, e anche
gl’inglesi; tanto che si è giunti a calcolare in Germania
nei manicomii il genio dei genitori fra gli elementi etio-
logici della pazzia: e in questa, come nel genio, influi-
scono le violente passioni durante il concepimento, l’età
vecchia112 e l’alcoolismo dei genitori; e come in tutti i de-
generati il genio non si trasmise che per eccezione, qua-
si sempre trasformandosi in neurosi sempre più gravi nei
figli criminali, imbecilli, epilettici, e rapidamente finen-
do mercè quella sterilità con cui la natura sempre prov-
vede allo sparire dei mostri; e a chi non ricordasse quan-
to sopra accennammo (pag. 13, 214, 218, 219, 221, 222),
basterebbero a dimostrarlo gli alberi di Pietro il Gran-
de e quelli dei Cesari e di Carlo V che riproduco da Ire-
land e da Jacoby113 , dove gli epilettici, i genii e i criminali
s’alternano sempre più fin che finiscono stupidi e sterili
(Vedi Tavole XVII e XVIII).
E in tutti e tre, pazzi, genii pazzi e genii integri, con
pressoché uguale intensità, si vedono influirei climi caldi
(pag.136, 138, 154, 176, 178, 185, 186), alcune meteore
(pag. 151, 154) e le non esagerate diminuzioni di pressio-
ne (pag. 179), e non rare volte le malattie accompagnate
da febbri acute (V. Parte II, cap. IV).
Ma la prova più sicura è offerta precisamente dai pazzi
che non sono di genio e che lo diventano, per qualche
tempo, nei manicomii, e che ci additano la genialità,
l’originalità, la creazione artistica ed estetica formarsi
solo in grazia dell’alienazione nei meno predisposti (pag.
274, 275, 276, 313, 315). Né ultima delle prove ci vien
porta da quel fatto singolare del mattoide che, all’inverso

Storia d’Italia Einaudi 337


Cesare Lombroso - Genio e follia

dell’alienato, ha tutte le apparenze, senza la sostanza, del


genio (Parte II, cap. III, pag. 355 e seguenti).
Infatti essi danno disintegrati e divisi i due iati opposti
del fenomeno. Gli uni, i pazzi, ci danno la sostanza o
l’eccitazione, almeno geniale, senza la forma. n mattoide,
invece, l’apparenza del genio senza la sostanza. Che
meraviglia che un terzo gruppo, il genio, riunisca i due
fenomeni insieme?
Dopo tutto questo, noi possiamo, con sicurezza, af-
fermare essere il genio una vera psicosi degenerativa del-
la famiglia delle follie morali, che può temporanamente
formarsi in seno ad altre psicosi e assumere la forma di
queste, pure serbando caratteri suoi speciali, che la di-
stinguono da tutte le altre.
La natura, identica a quella della follia morale, si ve-
de in quella generale alterazione dell’affettività (v. sopra)
che si scopre, più o meno mascherata, in tutti114 La follia
morale si trova perfino in quei rari fenomeni altruistici
che sono i genii della bontà, e che si chiamarono i santi.
Noi vedemmo in Giovanni di Dio, in Lazzaretti, in San
Francesco d’Assisi (p. 489 e seg.) come la santità in essi
fosse in perfetto contrasto, in quello stato che ora si di-
rebbe giustamente di polarizzazione psichica, colla loro
vita anteriore, in cui spiccava la tendenza al male; del re-
sto, anche l’esagerato altruismo non è che un’anomalia,
benefica, ma grande; è una ipertrofia dell’affetto, sì che,
come sempre accade nelle ipertrofie, si associa a perdite
ed atrofie psichiche in altre direzioni.

Storia d’Italia Einaudi 338


Cesare Lombroso - Genio e follia

2
Ritorno al primitivo

1
Come i selvaggi

Uno dei caratteri più singolari dell’uomo primitivo od in


istato di selvatichezza è la frequenza con cui si sottopone
a quella, piuttosto chirurgica che estetica, operazione, la
quale appunto da una lingua oceanica prese a prestito il
nome di tatuaggio.
Anche in Italia si trova diffusa, sotto nome di marcan-
zito, segno, devozione, questa pratica, ma solo nelle in-
fime classi sociali, nei contadini, marinai, operai, pasto-
ri, soldati, più ancora fra i delinquenti, di cui essa, per
la grande sua frequenza, costituisce un nuovo e speciale
carattere anatomico-legale, e di cui quindi dovrò a lungo
occuparmi, ma non senza avere prima toccato ed esami-
nato, partitamente, pei giusti confronti, in che modo si
esplichi nell’uomo normale.
A questo potei giungere con uno studio su 7114 in-
dividui, di cui 4380 soldati, 2734 criminali, o meretrici
o soldati delinquenti, e ciò grazie all’aiuto e alle indagi-
ni pazienti di quel valentissimo fra i nostri medico-legali
che è il Tarchini Bonfanti.
Già dalle prime cifre si intravede come anche in Italia,
così come troveremo accadere fra i selvaggi, le donne
diano le minime proporzioni di tatuati, e come anche fra
gli uomini non delinquenti, quell’uso tenda a decrescere,
trovandosene nel 73 una quota dieci volte più scarsa che
nel 1863. – Invece l’usanza permane non solo, ma prende
proporzioni vastissime nella popolazione criminale, sia
militare, sia civile, dove su 1432 esaminati trovaronsene
115 di tatuati, il 7,9 per cento.

Storia d’Italia Einaudi 339


Cesare Lombroso - Genio e follia

Il maggior numero dei militari tatuati appare in Lom-


bardia, Piemonte e nelle Marche; il minore fra i Sar-
di, i Toscani e Napoletani; la causa potrebbe benissi-
mo essere in parte storica, e rimontare fino all’epoca
dei prischi-Celti, i soli che nell’antica Europa occiden-
tale avessero questo costume; ma vi può assai il santua-
rio di Loreto, ove un divoto mercimonio, come tanti al-
tri, anche quest’uso conserva, tramanda e propaga, poi-
ché nelle sue vicinanze trovansi appositi marcatori, che
ricevono per ogni tatuato da 60 ad 80 centesimi; prezzo
enorme se si pensi alla miseria degli operati ed al poco
vantaggio, anzi al danno che a molti ne viene, costretti
alle volte alletto da 3 a 15 giorni per risipola, flemmone,
adenite, e non rare volte gangrena, come attesta il Ber-
chon, che s’incontrò in casi di amputazioni, rese neces-
sarie dai guasti portati dal tatuaggio.
Ma la prima, primissima causa della diffusione di que-
st’uso fra noi, io credo sia l’atavismo, e quell’altra specie
di atavismo storico che è la tradizione, comeché il tatuag-
gio sia uno dei caratteri speciali dell’uomo primitivo, e di
quello in istato di selvatichezza.
Nelle grotte preistoriche dell’Aurignac e nei sepolcri
dell’antico Egitto si rinvennero quegli ossicini appuntati
che servono ancora ai selvaggi moderni per tatuarsi. Gli
Assirj, secondo Luciano, i Daci e i Sarmati, secondo Pli-
nio, si dipingevano di figure il corpo, e nella fronte e nel-
le mani i Fenici e gli Ebrei con linee, che chiamavano i
segni di Dio. Nei Britanni l’usanza era così diffusa, che
lo stesso nome Bretoni (da Brith pinge), come quello di
Picti; Pictones, pare ne derivasse: essi tracciavano, dice
Cesare, figure col ferro nelle carni dei teneri bambini, e
colorivano i loro guerrieri coll’isatis tinctoria per render-
li più terribili in guerra. Gli Scoti, dice Isidoro, si di-
segnano con ferri sottili ed inchiostro delle strane figure
sul corpo ( Etymol. IX. Vedi Luciano, De Dea Syra 1840;
Ewald, Die Jud. Alterth, pag. 102; Cesare, De Bello Gal-

Storia d’Italia Einaudi 340


Cesare Lombroso - Genio e follia

lico 14). I soldati Romani, attesta Vegerio portavano in-


ciso al braccio destro il nome dell’imperatore e la data
dell’ingaggio (De re milit.).
Non vi è, credo, popolo selvaggio, che non sia più o
meno tatuato. I Payaguas si dipingono la faccia di az-
zurro nei giorni di festa, e si disegnano triangoli e arabe-
schi sul viso. I Negri si distinguono fra tribù e tribù, spe-
cialmente fra i Bambari, praticandosi dei tagli orizzonta-
li o verticali sul viso, sul petto, e sulle braccia. I guerrie-
ri Kaffir han il privilegio di far un lungo taglio sulle gam-
be, che rendono indelebile colorendolo in azzurro. – I
Bornoues dell’Africa centrale si distinguono per 20 tagli
da ciascun lato della faccia: 6 per ogni arto, 4 nel petto,
ecc.; in tutto 91(Lubbrok, On the Orig. p. 43, 46).
Nella Nuova Zelanda il tatuaggio è un vero blasone di
nobiltà: fino i capi non possono fregiarsi di ceni segni
che mano mano e dopo aver compita qualche grande
impresa. Toupee, quell’intelligente Zelandese portato a
Londra, insisteva presso il fotografo perché attendesse a
far spiccare il suo tatuaggio. «L’Europeo, dicea, scrive il
suo nome colla penna, Toupee lo scrive qui».
Alle Isole Marshall le donne sono tatuate alle spalle
e alle braccia; gli uomini, i capi in ispecie, alle coste, ai
lombi, al torace.
A Taiti le donne si fan tatuare solo nei piedi e nelle ma-
ni, o all’orecchio, a mo’ di collana odi polsetti; poche al-
la vulva e all’addome (una v’avea disegnato simboli osce-
ni); gli uomini per tutto, perfino sul capillizio, sul naso,
sulle gengive, e spesso ne nascono flemmoni, gangrene,
alle gengive e alle dita in ispecie; per prevenire le quali
si tien l’operato a dieta severa, e riposo. Il tatuato re vi
è rispettato e accolto, come fra noi i trovatori del medio
evo, o ricompensato con piume, con porci (Berchon, Sur
le Tatouage 1872), equivalenti a lire 10.
I Giapponesi si tatuano il corpo, disegnandovi leoni,
dragoni e gruppi osceni: ora le donne nol fanno più,

Storia d’Italia Einaudi 341


Cesare Lombroso - Genio e follia

ma in antico si disegnavano, proprio come le nostre


meretrici, sulle mani iniziali e figure allusive alloro vago,
che ricoprivano d’inchiostro cambiando d’amante.
Nulla di più naturale che un’usanza tanto diffusa fra i
selvaggi e i popoli preistorici torni a ripullulare in mezzo
a quelle classi umane che, come i bassi fondi marini,
mantengono la stessa temperatura, ripetono le usanze,
le superstizioni, perfino le canzoni dei popoli primitivi,
e che hanno comune con questi la stessa violenza delle
passioni, la stessa torpida sensibilità, la stessa puerile
vanità, il lungo ozio, e nelle meretrici la nudità, che
sono nei selvaggi i precipui incentivi a quella strana
costumanza.
L’influenza poi dell’atavismo e della tradizione mi
sembra confermata dal trovare quest’uso tanto diffuso
fra i contadini e pastori, così tenaci delle antiche tradi-
zioni, e dal vederlo già adottato in Italia, specialmen-
te dai Piemontesi, Lombardi e Marchigiani, veri popo-
li Celti; ed i Celti erano isoli dell’antica Europa che aves-
sero conservato quest’uso fino ai tempi di Cesare.
Ad ogni modo, il fin qui detto basta a dimostrare al
medico legale ed al giurista, che essi debbono giovarsi
come di indizio lontano di pregressa detenzione, della
presenza del tatuaggio, massime se in persona estranea
alla classe di marinaj, dei militari, dei casari lombardi,
dei pescatori marchigiani e napoletani, e che abbia adot-
tata una dipintura oscena o molteplice, oppure incisa-
la in parti invereconde, più ancora se alluda, in qualche
modo, a vendetta, o a disperazione.
Certamente poi la predilezione per questa costumanza
basterà a distinguere il delinquente dal pazzo, che, mal-
grado abbia comune con essi la forzata reclusione, e la
violenza delle passioni, e i lunghi ozj, ricorre ai più stra-
ni passatempi, arrota delle pietre, tagliuzza i vestiti, for-
s’anco le carni, scarabocchia sui muri e su intere risme
di carta, ma assai di rado si pratica veri disegni sulla pel-

Storia d’Italia Einaudi 342


Cesare Lombroso - Genio e follia

le. Io, sopra 800 pazzi di Pavia e di Pesaro osservai solo


4 tatuati, tutti molto prima dell’insorta alienazione, e al-
trettanto accadde allo Zani a Reggio, al Livi a Siena, che
mi comunicava come i pochi fra i suoi ammalati, ch’era-
no tatuati, erano prima stati a lungo nelle carceri, e lì si
erano conci a quel modo115 . E questa sarebbe una nuova
prova dell’influenza sul tatuaggio dell’atavismo, comec-
ché la pazzia è malattia quasi mai congenita e ben di raro
atavistica.
Brigantaggio, Mafia e Camorra Questo dell’associazio-
ne al mal fare è uno dei fenomeni più importanti del tri-
ste mondo del crimine, non solo, perché anche nel ma-
le si verifica la grande potenza che dà l’associazione; ma
perché, dall’unione di quell’anime perverse si genera un
vero fermento malefico, che facendo ripullulare le vec-
chie tendenze selvagge, rafforzandole per una specie di
disciplina e per quella vanità del delitto di cui toccammo
più sopra, spinge ad atrocità a cui gran parte degli indi-
vidui isolati ripugnerebbe; e per noi pur troppo è questo
un argomento palpitante, talché spesso si confonde con
la questione politica.
Come è ben naturale, cotali sodalizj si formano più
frequentemente là dove più abbondano i malfattori, col-
l’importante eccezione, però, che essi scemano di tena-
cia e di crudeltà nei paesi molto civili, trasformandosi in
associazioni equivoche, politiche o di commercio.
Lo scopo delle associazioni, malvagie, ora, è quasi
sempre l’appropriarsi l’altrui, associandosi in molti, ap-
punto, per potere far fronte alla difesa legale. Nei tempi
antichi, però, si videro associazioni per aborto, o per av-
velenamento, equa e là se ne sono osservate, spesse vol-
te, per iscopi, i meno presumibili; da quello della pede-
rastia, che rivestiva il vizio colle apparenze della più de-
licata virtù, fino a quello dell’omicidio senza alcuna mira
di lucro, pel solo piacere di far sangue, com’era la ban-

Storia d’Italia Einaudi 343


Cesare Lombroso - Genio e follia

da degli accoltellatori di Livorno, fino al cannibalismo e


allo stupro, per fanatismo religioso, dei settari Russi.
Uno dei caratteri particolari dell’uomo delinquente re-
cidivo ed associato, come lo è sempre nei grandi centri, è
l’uso di un linguaggio tutto suo particolare, in cui, men-
tre le assonanze generali, il tipo grammaticale e sintattico
dell’idioma conservasi illeso, è mutato completamente il
lessicale.
Questa mutazione avviene in più modi116 . Il più diffu-
so ed il più curioso, e che ravvicina il gergo alle lingue
primitive, è quello di chiamare gli oggetti col mezzo dei
loro attributi, come saltatore il capretto, magra, cruda o
certa la morte.
Il che giova anche al filosofo per penetrare nei secreti
dell’animo di questi sciagurati, mostrandoci, p. es., che
idee si facciano della giustizia, della vita, dell’anima e del-
la morale. L’anima è detta la falsa; la vergogna rubicon-
da o sanguinosa; velo il corpo; veloce l’ora; moucharde o
spia la luna; incomodo il riverbero (fanale); imbiancatore
o blanchisseur l’avvocato, come quegli che ha da lavar le
loro colpe, e a Torino il ciaciaron; santa la borsa; uva o
raisiné il sangue; santina la prigione; santo il pegno; bir-
ba l’elemosina; tediosa la predica; cara la sorella; devoto
il ginocchio; brutale il cannone; caméléon il cortigiano;
createur il pittore.
Qualche volta la trasformazione metaforica consiste in
un processo che si potrebbe dire di «similitudini rove-
sciate»; come p. es., sapienza per sale; maronte (ossia
marito) per becco, maldicente per lingua salata, influen-
dovi qui quel sale epigrammatico di cui abbondano i de-
linquenti, più ricchi di spirito che di senno.
Più curiosa, e men facile a comprendersi, a chi non ab-
bia la penetrazione divinatoria dell’Ascoli, è quella crea-
zione gergale, in cui alla ragion metaforica si aggiunge
un travestimento fonetico; come prophète per tasca o per
cantina, alludendo a profondo; philosophe, cattiva scar-

Storia d’Italia Einaudi 344


Cesare Lombroso - Genio e follia

pa, per arguta allusione all’omofonia di savant e savate, e


forse insieme alla povertà, detta appunto philosophie!
Esempi d’altre curiosissime ed ingegnose sostituzioni
sono pure: soeurs blanches ai denti; centre il nome pro-
prio, il punto di mira del loro naturale nemico, il giu-
dice o il gendarme; cravate l’arco baleno; bride la cate-
na del forzato; prato il bagno; planche au pain il tribuna-
le; juge de paix il boia; carlina (dal muso schiacciato) la
morte; sorbona la testa; suvagia la calce; cierta (spagnuo-
lo) la morte; lycée la prigione; carquois, faretra, per gerla
del cenciaiolo, detto alla sua volta Cupido od Amour; fra
noi ducato per piacere; morsa per farne; troppo il mantel-
lo; cantaron il carnefice; casa felice l’ergastolo; bosco del
mento la barba; rami le gambe; denti le forchette; polenta
l’oro (Pavia); occhiali di Cavurro le manette (Pitrè), curio-
sa frase che ci indica la strana logica politico-giudiziaria
dei bassi strati popolari di Palermo.
Qualche volta, infatti, il traslato costituisce una vera
medaglia storica che meriterebbe restare (e vi riuscì in
parte) nella lingua comune, come quel curiosissimo juil-
letiser, detronizzare; franzoso per bevitore e spagnolo per
pitocco; forlano borsaiolo o ubbriaco; grec truffatore di
gioco; bolognare per ingannare e rubare; murcio in spa-
gnuolo per ladro, dalla Murcia, regione ove spesseggiano
i ladri.
Molte parole sono create, come fra i selvaggi, per
onomatopeia; come, tap marche; tuff pistola; tic orologio;
onomatopeia di simpatia è il nostro guonguana amante;
taf diffidenza; fric-froc l’estrazione, ecc.
Né mancano gli automatismi; papà, capitano di giusti-
zia; nona, guardia; pipet, castello; babi, spedale; pipetti,
denari.
Un’altra fonte di questo lessico viene dallo svisamento
fonetico delle parole, il più spesso per uno di quei pro-
cessi che il grande Marzolo chiamava di falsa riduzione
etimologica, per esempio orfèvre per orphelin; philanth-

Storia d’Italia Einaudi 345


Cesare Lombroso - Genio e follia

rope per filou; e da noi alberto, ovo, da albume; cristiana


la berretta, da cresta; mandare a Legnago da legno.
Qui evidentemente vi è un doppio gioco etimologico
e fonetico, vale a dire si ricordano e quasi direi si fondo-
no insieme due nomi o attributi, p. es., Legno e Legna-
go; il bianco dell’albume ed il nome proprio in alberto.
Già in quest’esempio, ma ancora meglio nell’erdmann,
uomo-terra, per pentola; in darckmann, uomo-scuro, per
notte (vedi Ascoli), nel père noir, bottiglia; Bernarda, not-
te; Martino, coltello, père frappart martello, ritorna a gal-
la quel processo che personifica ed umanizza le cose ina-
nimate, e che è speciale dei bimbi e dei popoli selvaggi,
e donde sorse tanta parte della mitologia.
Meno frequente è lo svisamento delle parole per in-
frammissione di una sillaba. È questo il procedimento
esclusivo, a quanto pare, dei gerghi de’ zingari vagabon-
di fra i Pirenei Baschi, e di qualche popolazione russa e
circassa; oltreché di quei gerghi apocrifi, così ben chia-
mati dal Biondelli «gerghi di trastullo»; ma non manca
pur fra i veri nostri gerghi; esempi: dorancher per dora-
re, pitancher per picter, bere.
Un po’ più frequente è l’invertimento delle sillabe;
p. es., taplo, nel gergo spagnolo, per il plato o tondo;
malas nei muratori piemontesi per salam; lorcefé per la
force. Ma assai più che fra i nostri delinquenti invale
questo modo fra i rivenditori di commestibili di Londra
e fra i capi di certa schiatta nomade dell’India, i Bazegur,
mentre i lor sottoposti non usano che mutare una lettera.
Uno svisamento assai frequente, è quello per cambio
di vocale, p. es., boutoque per boutique, ecc.
Ma una fonte vasta del lessico sono le parole straniere:
ebree nei gerghi germanici; tedesche e francesi in quel-
li italiani; italiane e zingariche nell’inglese. Così noi re-
galammo ai francesi il mariol, il furfante, il boye, garzone
che fustiga i galeotti, il tabar, il fuoroba (fuori roba) grido
con cui gli aguzzini indicano di fare lo spoglio; ed agli in-

Storia d’Italia Einaudi 346


Cesare Lombroso - Genio e follia

glesi madza per mezzo; beong ossia bianco, denaro; cate-


ver cattivo affare; screeve lettera (Ascoli): ed i tedeschi ci
diedero lo spilare per giuocare, pisto per prete, faola per
deforme, conobello per aglio.
Gli zingari diedero ai francesi il loro sanscritico berge
per anno; chourin per coltello. Ai tedeschi diedero maro,
pane; e agli inglesi gibb per lingua, mooe per bocca
(Ascoli).
Nello spagnuolo troviamo l’italiano parlar, formage, il
francese aller belitre.
La lingua ebraica, o meglio giudeesca, diede la metà
delle parole del gergo olandese, e circa un quarto del
tedesco; ove io ne contai 156 sopra 700.
Anche nell’inglese l’Ascoli ed il Wagner ne intravvi-
dero delle tracce, come nel cocum per astuto; schoful per
moneta falsa; gonnof per ladruncolo. Nell’italiano sacagn
per coltello è d’origine ebraico, come forse catoffia per
prigione.
Ma il più curioso contingente dei gerghi è dato dalle
parole antiquate e smarrite completamente nei lessici
vivi. Così noi abbiamo l’arton pane; lenza acqua; strocca
meretrice (Calabria); marcone il mezzano; cubi per letto;
crea e criolfa per carne, gianicchio il freddo; benna per
osteria; bolda cascina; pivella ragazza; nicolo per no; ruffo
per fuoco (il rosso); zera per mano; archetto fucile; bietta
per scure. E i Francesi être chaud diffidarsi, da cautum;
juste vicino; cambriole camera, che secondo Ascoli è
antico provenzale; e gli Spagnuoli milanes le pistole delle
antiche fabbriche di Milano, e joyos la spada, dal nome
del brando del Cid.
I ladri inglesi, scrive Latham, sono i più tenaci conser-
vatori delle dizioni anglo-sassoni, adoperano ancora frow
per ragazza; muns per bocca.
Un avanzo arcaico, che ricorda perfino i tempi dei
geroglifici, è quel curiosissimo nostro serpente per anno,

Storia d’Italia Einaudi 347


Cesare Lombroso - Genio e follia

come lo è certo il sabbato dì del vecchio, e mamma per


terra e mammella.
Questi arcaismi sono tanto più singolari, quando si
pensi alla grande mobilità e mutabilità dell’espressioni
gergali, così in pochi anni ho veduto in Pavia e Torino
introdotte e mutate una quantità di significati, per es.,
gra per ladro; michino per ragazzo; pila denaro; guffi
questurini; spiga via; stec coltello; gian soldato; piota
osteria; scuro avvocato; caviglia 100 lire; gamba 1000;
busca 50; vecia manustupro.
Un carattere pur curioso dei gerghi è la molta diffusio-
ne loro. Mentre ogni regione italiana ha un proprio dia-
letto, e un calabrese non potrebbe comprendere il dialet-
to di un lombardo, i ladri di Calabria usano lo stesso les-
sico come quelli di Lombardia. Così ambedue chiamano
chiaro il vino, arton il pane, berta per tasca, taschi per fi-
co, lima la camicia, lenza l’acqua, crea la carne. E il gergo
di Marsiglia è eguale a quello di Parigi.
Questo fatto, se è agevole a comprendersi per la Ger-
mania e per la Francia, lo è assai meno per l’Italia, mas-
sime per l’Italia di alcuni anni fa, divisa da barriere po-
litiche e doganali, che avrebbero dovuto riuscire anco-
ra più aspre pei delinquenti, ma che invece pare non ne
rallentassero punto le mosse.
L’analogia è più strana quando si vede stendersi fra
popoli affatto diversi (l’italiano e il tedesco chiamano tick
l’oriolo; l’uno bianchina e l’altro blanker la neve); tanto
che Borrow venne nel dubbio che tutti i linguaggi fur-
beschi avessero una medesima origine. Ma la spiegazio-
ne, almeno per le molte simiglianze ideologiche, sta nel-
la analogia delle condizioni. Difatti, anche il gergo dei
Tug indiani presenta una completa analogia ideologica
coi nostri gerghi, eppure è escluso, ad evidenza, ogni rap-
porto con loro dei nostri furfanti. Quanto alle somiglian-
ze fonetiche (molto, del resto, più rare), vi contribuisce
anche la continua mobilità dei criminali, che, o per sfug-

Storia d’Italia Einaudi 348


Cesare Lombroso - Genio e follia

gire la giustizia, o per sorprendere incogniti le lor vittime,


o per una vera passione congenita di vagabondaggio, pri-
mo movente per cui disertano la propria casa, cambiano
sempre di residenza, ed importano le espressioni di un
paese nell’altro; nel rotwelsch il vagabondo è chiamato
strohmer, quasi un’onda di fiume.
Tutti spiegano l’origine del gergo furfantesco colla ne-
cessità di sfuggire alle indagini della polizia: è certo,
che questa ne fu principalissima causa, specialmente per
quelle inversioni delle parole che abbiam visto così co-
muni, e nella sostituzione di nomi diversi al pronome,
come mamma per io – otto per sì. Nel sardo, il gergo
si chiama cobertanza. – Quando il Latude preparava col
suo compagno le funi e le scale per l’evasione dalla Basti-
glia, s’era accordato, per eludere le indagini degli sgher-
ri che spiavano dietro i muri i discorsi, di chiamare con
un nome metaforico ciascuno di quegli oggetti. Ma che
questa causa non sia la sola, basterebbe ad apprenderce-
lo il vedere il gergo usato in poesia, quando non vi è biso-
gno di sfuggire l’attenzione dei più, quand’anzi si cerca
col canto di ridestarla, e il vederlo adoperato cogli e dagli
arnesi stessi di polizia e dai rei nell’interno della propria
famiglia, e il pensare che per quello scopo, ad ogni mo-
do, basterebbe, al più, invece di mutare completamente i
vocaboli, l’enigmatizzarli, come ben dice il Pott, col frap-
porvi delle sillabe convenzionali; eppure questo è il me-
todo meno seguìto nei gerghi furfantini, e lo è piuttosto
in quelli di trastullo.
Gli è che il gergo, se non la genesi spontanea, certo
ha simile l’organismo e la natura alle lingue ed ai dialetti;
questi si sono formati e sformati da sé, secondo il luogo,
il clima, le abitudini, ed i nuovi contatti. E così i gerghi,
i quali non sono, come si crede, un fenomeno ecceziona-
le, ma sì bene universale; ne hanno uno, in certo modo,
tutte le professioni, gergo che dalle applicazioni tecniche
sorvola ad altre di qualunque natura: per esempio, un

Storia d’Italia Einaudi 349


Cesare Lombroso - Genio e follia

medico vi dirà che l’amore è un vizio cardiaco, un chimi-


co che il suo amore è a 40 gradi; ogni famiglia, quasi, ne
ha uno tolto dagli avvenimenti che ebbero più a colpirla,
e diedero origine a speciali associazioni di idee. Noi ne
plasmiamo uno speciale coi nostri bambini. Così tata per
alcune famiglie suona zia, per altre sorella o bambina.
La tendenza a formulare un gergo suo proprio si ve-
de crescere negli individui dediti ad uno stesso mestiere,
massime se equivoco, e più in quelli costretti ad una vi-
ta nomade o ad un soggiorno temporaneo, specialmente
se sottoposti ad una qualche soggezione, di faccia a tut-
to il pubblico; con quello speciale linguaggio affermano
costoro la propria comunanza, o si sottraggono all’altrui
vigilanza. Così io trovai, in una stessa vallata, un gergo
proprio degli spazzacamini, un altro dei vignaioli, dei ca-
merieri, degli imbianchini; e poco presso dei muratori e
calderai, gergo analogo e spesso identico al criminale; ed
Avé-Lallemant parla di un gergo dei venditori di com-
mestibili, delle prostitute, degli studenti di medicina, dei
collegi ali di Wincester, dei ciarlatani, che parlano con
voci rimate; e in Vienna dei garzoni d’albergo (che ado-
perano e storpiano voci inglesi e francesi), dei fiaccheri-
sti, barcaioli, cacciatori.
Quanto non devesi sentir spinta a formulare in un
linguaggio suo particolare le proprie idee, una gente che
ha abitudini, istinti tanto speciali, e che ha tante persone
da temere e da ingannare!
S’aggiunga che codesta gente si raduna sempre nei me-
desimi centri, galere, postriboli ed osterie, e non ammet-
te comunione se non con quelli che hanno le medesime
tendenze; e con costoro si affratella con un’imprevidenza
e facilità straordinaria, trovando appunto nel gergo, co-
me bene mostrava il Vidocq, un mezzo di riconoscimen-
to, una parola d’ordine. – Che se non usassero il gergo,
il bisogno di espandersi tumultuosamente, che è uno dei

Storia d’Italia Einaudi 350


Cesare Lombroso - Genio e follia

loro caratteri, li esporrebbe troppo presto, oltre che alle


indagini della polizia, alle previdenze delle loro vittime.
Deve anche contribuirvi la grande mobilità di spirito
e di sensazioni, per cui, afferrata una parola nuova, nelle
molte circostanze dell’orgia, od una frase strana, assurda
pur anche, ma vivace, piccante o bizzarra, la mettono in
giro, e quindi l’eternano nel loro lessico. E come i pedan-
ti raccolgono, amorosamente, anche le sgrammaticature
o le espressioni più bislacche e più lontane dall’uso co-
mune di qualche trecentista, così essi tesoreggiano quel-
le di qualche studentello perdutosi in mezzo a loro (e nel
quartiere latino di Parigi il caso è tutt’altro che raro), e
tendono a rimetterle in circolazione e a farsene belli. – E
a ciò li stimola lo spirito epigrammatico, ironico, che si
compiace delle trovate, quanto più sieno strane, oscene
e bislacche.
Potrebbe pure darsi che alcune stortilature, o anche
le creazioni di certe parole, fossero, come le torture del
tatuaggio, un effetto del desiderio di novità, un trastullo
dell’ozio nelle lunghe detenzioni.
Vi hanno parte, e notevole, i contatti con persone
straniere alla regione ed alla nazione, a cui li costringe la
sciagurata e quasi sempre nomade professione: questo,
da una parte, spiega la frequenza delle parole ebraiche,
zingariche nei gerghi tedeschi, inglesi, ecc., dall’altra può
spiegare l’unità del gergo italiano, in mezzo alla varietà
de’ suoi dialetti.
E questo succede ancor più adesso, inquantoché, più
ancor del soldato, ora il delinquente, per ragioni di sana
polizia, vien trasportato fuori della propria provincia.
Ma quanta influenza vi abbia la tradizione, tramandata
da secoli in secoli, basterebbero a dimostrarlo quelle cu-
riose parole, antichissime, trovate nel gergo, come arton,
lenza, ecc., a cui abbiamo sopra accennato. E ce lo in-
segna il fatto, che il gergo coi caratteri che offre qualche
volta, proprio colle espressioni attuali, rimonta ad epoca

Storia d’Italia Einaudi 351


Cesare Lombroso - Genio e follia

antichissima, trovandosene traccia fino nel 1350 in Ger-


mania (Avé-Lallemant, op. cit.). Il lessico gergale inti-
tolato Modo novo da intender la lingua zerga, stampato a
Venezia nel 1549, ci mostra che quasi tutte le espressio-
ni usate allora si conservano ancora, come maggio Dio;
perpetua, l’anima; conovello, l’aglio; cuntare per parlare;
dragon per dottore.
Come possano tramandarsi così fedelmente le loro tra-
dizioni questi sciagurati che non hanno famiglia, non è
ben comprendibile. Ma un fatto analogo, anzi ancora più
evidente, essi ce l’offersero nel tatuaggio; l’offrono anche
in certe specie di geroglifici detti zink, segnali che usano
gli incendiari per darsi la posta, o per accennare i punti
da colpire, e che furono tramandati da tempi antichissi-
mi, forse anteriori alla scrittura (Avé-Lallemant, op. cit.;
Schlemm, Die Prakt. Criminal Polizei. Erlangen, 1842).
E non vediamo noi d’altronde, nei soldati, nei mari-
nai, anch’essi senza famiglia, e molte volte senza patria,
circolare ancora usi e tradizioni di tempi molto remoti?
Ma più di tutto vi può l’atavismo. Essi parlano diver-
samente, perché diversamente sentono; parlano da sel-
vaggi, perché sono selvaggi viventi in mezzo alla fioren-
te civiltà europea; adoperano quindi, come i selvaggi, di
frequente l’onomatopeia, l’automatismo, la personifica-
zione degli oggetti astratti. E mi giova qui adoperare
le belle parole del Biondelli: «Come mai uomini di va-
rie stirpi, separati da barriere politiche e naturali, nei se-
greti loro conciliaboli hanno calcato una medesima via,
e formato segretamente più lingue, comeché dissimili di
suono e di radici, affatto identiche nella loro essenza? –
L’uomo rozzo, privo di ogni morale istituzione e abban-
donato alle prave inclinazioni di natura, che si forma una
nuova lingua, è poco dissimile dall’uomo selvaggio che
fa i primi sforzi per rannodarsi in società. – Le lingue
primitive abbondano di onomatopeie: i nomi di animali
vi sono espressi nello stesso modo, sebbene figurato, con

Storia d’Italia Einaudi 352


Cesare Lombroso - Genio e follia

cui nel gergo; così, nello zingarico, l’anitra è quella del


largo becco». – Io aggiungerei (ma forse sarò troppo ar-
dito), che perfino lo svisamento per riduzione etimologi-
ca e quello per invertimento delle sillabe è naturale nel-
le lingue, come per esempio lupo da wolf; tener con te-
ren; inchiostro che si muta in vinchiostro - e così pure la
fusione di due significati etimologici: capello da caput e
pilus.
Perciò quell’espressioni gergali di mammella per ter-
ra, che ci riproducono la mitologia Cibelica, e di serpe
per anno, che ci rinnova il geroglifico egizio, io li inter-
preterei piuttosto che a ripescatura di eruditi, a ritorno
psicologico dell’epoca antica.
Come hanno un gergo, così i delinquenti hanno una
vera letteratura loro speciale. I libri osceni di Ovidio, di
Petronio, di Aretino sarebbero i modelli letterari antichi.
Ma ve n’è una forma, nella quale la letteratura si presenta
spoglia di ogni fiore rettorico, una letteratura umile e na-
scosta come quella degli almanacchi popolari, quasi una
cronologia, che s’è sempre conservata, all’insaputa forse
delle persone colte. Tale era il Liber vagatorum del 1509,
tradotto in tutte le lingue europee; l’ Histoire des Lar-
rons, 1647, di Lyon Didier; la Legende ofte bystorie van
de snode practjique, ende de bebendige listicbden der Die-
ve, Leyden, Lopes de Haro, 1645; fino all’abbondantis-
simo canzoniere criminale, di cui va dotata l’Inghilterra,
e di cui dà una pagina intera di titoli il Mayhew117 .
Di queste letture sono avidissimi i ladri, e, pur troppo,
esse alla lor volta generano i ladri.
Noi abbiamo il Trattato dei Bianti del 1600, edito, par-
mi, in quel d’Urbino, che descrive 38 specie di truffato-
ri e di vagabondi della media Italia, fra cui i più curio-
si sono i testatori, che fingono morire, lasciando in ere-
dità agli altri il proprio; gli affarfanti, che fingono esse-
re stati tratti da grossi peccati a penitenze dolorose; i for-
migoti o soldati finti di false guerre in Palestina; gli sbri-

Storia d’Italia Einaudi 353


Cesare Lombroso - Genio e follia

sci, che vanno ignudi, fingendo d’essere stati assassina-


ti e presi dai Turchi; i ruffiti, che fingono di fuggire dal-
la propria casa incendiata. A questo libro, nell’edizione
«Italia, Didot, 1860», sono uniti sei piccoli poemi in ger-
go toscano, che paionmi di quell’epoca. Uno di questi
tratta appunto del gergo, e comincia:

Fu dai dragon de’ furbi il contrappunto (gergo)


Trovato sol per canzonar (parlar) tra loro.

Un brioso poemetto in gergo milanese fu pubblicato


dal Biondelli. Migliaia sono pur troppo le storie di de-
linquenti, edite rozzamente, in quella specie di bibliote-
ca anonima, che con assai scarso vantaggio del popolo, e
spesso molto suo danno, continua, col mezzo della stam-
pa, quell’opera semistorica, semifantastica, che un tem-
po tessevano le canzoni dei poeti ciclici, e più di recente
quelle dei clefti.
Non v’è processo, anzi delitto grave, che non ne faccia
spuntare qualcheduna. Io ne ho del Verzeni, del Marti-
nati, dell’Agnoletti, del Norcino, del Gnicche, del Chia-
vone, del Nuttoni, del Mastrilli, del Porcia, del Marziale.
In complesso, sopra 92 canzoncine o storielle edite, in
fogli volanti, che potei acquistare sulle piazze, le più in
dialetto, 20 trattavano di omicidi o di furti, di cui 14 in
versi e 6 in prosa.
Ma accanto a questa specie di letteratura criminale,
che è una creazione del popolo, ve n’ha un’altra, più an-
cora interessante, che emana direttamente dal carcerato,
frutto dei lunghi ozî e delle sue mal compresse passio-
ni. Queste canzoni sono numerose assai in Spagna, e più
in Russia, ove sono cantate dal popolo anche fuor delle
carceri.
Benché sia grande in apparenza il divario fra le regioni
insulari e continentali in rapporto alla ricchezza di que-
sta letteratura, io credo tuttavia che nemmeno in queste

Storia d’Italia Einaudi 354


Cesare Lombroso - Genio e follia

siasi perduta quella strana specie di canto, le cui ragioni


d’esistere permangono nelle passioni e negli ozi dei con-
dannati; solo che ivi la distanza fra le classi popolari, one-
ste ed equivoche, essendo aumentata, le prime non fan-
no più tesoro dei prodotti delle seconde; e così a noi non
le tramandano. Difatti, cercando con un po’ di pazien-
za fra i carcerati di Pavia, io potei raccogliere parecchie
canzoni, rimastevi in tradizione da delinquenti usciti.

O Giovanin cosa t’è fatt?


Ho rubatt n’occhetta;
Alla ristretta – me tocca andà.
O maledetta occhin! occon!
Che me tocca morì in preson,
Me tocca morì in questa preson
Che sorze aqua in tutti i canton –
Ma la giustizia l’è trop infamma
La me condanna – senza rason.

(Fu composta da un ladro di oche).

II

S’era in bottega
Che lavorava;
Mai più pensava
D’andà in preson;
Di là ghe passa
La sbirraria;
Me mena via
Senza reson.

III

Quanti amici che mi volevan bene!


Adess ch’son in queste pene
Nessun mi vien trovà! –

Storia d’Italia Einaudi 355


Cesare Lombroso - Genio e follia

Quanti pid...? na quantità infinita


Me morden nella vita,
Non posso riposà. –

IV

Se voi direte la verità,


Mi vi prometto la libertà.
Povero merlo
Dentro in la gabbia
Tutta la causa la palesà

I miei studenti raccolsero a Torino alle Cellulari da


un contadino, analfabeta, parricida, cui la paura della
condanna avea messo in delirio, una serqua di canzoni
analoghe, fra cui, questa, da cui traspare, come sotto il
delirio, permanga l’accortezza del malfattore a sottrarsi
alla giustizia.

Bastian l’è un fieul alegher,


Bastian l’è disgrassià;
Ma l’ha na testa bouna
E ’s tre uva mai ambarassà;

e quest’altra:

Bastian, con na bel’aria,


Sautrà fora an cantand;
La Catlinota bela
Al mandrà a ca piorand;

da cui appaiono i sensi mal dissimulati di vendetta contro


all’amante infedele. E notevole poi, che mai prima della
prigionia costui ebbe a poetare.
A Pavia raccolsi pure quest’altra (simile ad una canzo-
ne siciliana), da cui traspira la mescolanza di sentimen-
ti gentili verso la madre ed i fratelli, e l’ignobile tenacia
della negativa, e quella descrizione dei piccoli patimenti

Storia d’Italia Einaudi 356


Cesare Lombroso - Genio e follia

fisici e delle piccole vicende del carcere, che formano la


preoccupazione continua dei rimatori criminali:

Alla mattin buon’ora


Mi viene il secondino,
Mi apre il finestrino
Mi porta di mangiè;
Mi porta una michetta (pagnotta)
Con tun boccal de acqua,
Mi chiude l’usc in faccia
Come fudesse un can.
Poi dopo il mezzo giorno
Mi mena sui scalini
E giù per i scaloni
Davanti quei birboni.
«Se tu dici la verità
Ti prometto libertà».
«La verità è questa
Che mi non so di niente,
Vi prego solamente
Di darmi libertà». –
«La libertà è questa
Che qui hai da morire». –
Benedetta la mia mamma!
Che quando mi cullava
Poteva soffogarme!
E farmivi morire!
Addio padre! Addio madre!
E tutti miei fratelli!
– E anche i miei sorelli
Che non li vedo più!
– Ma la giustizia l’è troppo infama
La mi condana senza ragion.

(Ritornello questo ultimo di quasi tutte le canzoni


criminali).
Come ben si vede da questi brani, una grande par-
te della letteratura carceraria è in versi, ed è fattura dei
delinquenti medesimi, che prediligono la forma poetica,
forse perché meglio risponde al bollore delle loro pas-

Storia d’Italia Einaudi 357


Cesare Lombroso - Genio e follia

sioni, comeché essi vi portano sempre l’impressione del


proprio io, i sentimenti del loro dolore dipinti con una
forza ed una eloquenza straordinaria. Corani prima di
essere appiccato declamò dal palco un poema sulla pro-
pria morte; il brigante Milana chiese ed ottenne di fare
la sua difesa in versi. E ben lo può provare questo scrit-
to, dettato da un calzolaio, dapprima analfabeta, dell’er-
gastolo di S. Stefano, che giova leggere, anche, perché
riproduce stupendamente la fotografia di una galera:

L’ergastolo di S. Stefano

Dante, le bolge tue più non vantare,


Né tu o Maron d’Averno il nero foco,
Né le ceraste, né l’Arpie, né l’are,
Tabe stillante di quel tetro loco;
Qui, qui, si sente il gorgogliare fioco
Di quell’empie, perverse anime avare,
E qui s’ascolta il suon tremendo e rôco
Che gorgoglia di Pluto in di l’altare.
Un mostro sul canil qui s’addormenta
E vien da un altro mostro divorato,
E questo a un altro rabbioso addenta...
Sangue gronda la terra; e l’acre spira
Vendetta, strage tradimento innato;
Qui mentre muore l’un, l’altro cospira.

Il volgo ed anche il mondo scientifico credono in buo-


na fede che il carcere, specie il cellulare, sia un organi-
smo muto e paralitico o privo di lingua e di mani, perché
la legge gli ha imposto di tacere e di restare immobile.
Ma siccome nessun decreto, per quanto sostenuto dalla
forza, può contro la natura delle cose, così quest’organi-
smo parla, si muove e qualche volta ferisce ed uccide a
dispetto di tutti i decreti; solo che, come avviene sempre
quando una necessità umana è in conflitto con una leg-
ge, esso si esplica per le vie meno note e sempre sotter-

Storia d’Italia Einaudi 358


Cesare Lombroso - Genio e follia

ranee e nascoste: sulle mura del carcere, sugli orci da be-


re, sui legni del letto, sui margini dei libri che loro si con-
cedono nell’idea di moralizzarli, sulla carta che ravvolge
i medicamenti, perfino sulle mobili sabbie delle gallerie
aperte al passeggio, perfino sui vestiti, in cui imprimono
i loro pensieri col ricamo.
E da ciò nasce un vero giornale, anonimo, ma conti-
nuato, qualche volta, in estate, bidiurno, che ragguaglia
il detenuto di quanto avviene intorno a lui, di quanto gli
sta per accadere – ed una vera collezione di autobiografie
senza pretese, ma perciò appunto più importante.
Ora a me venne in mente che questi veri palinsesti del
carcere, ignoti ai più, proibitissimi dalle leggi, e quindi
non destinati certo alla pubblicità davanti alle classi one-
ste, come gli antichi non erano destinati all’epoca che poi
li illustrò, potesse fonirci preziose indicazioni sulla tem-
pra vera, psicologica, di questa nuova, infelicissima, raz-
za, che vive accanto a noi senza che noi ci accorgiamo
punto dei caratteri che la differenziano.
Lo studio loro, infatti, intrapreso in due carceri cel-
lulari e un ergastolo : femminile per quattro anni di se-
guito superò le mie aspettative, poiché, come vedremo,
non fu solamente il cuore dei criminali che così si mise a
nudo con documenti che non lasciano l’animo aperto ad
alcun dubbio, ma, come vedremo, tutto l’insieme, così
mal compreso e sfatato dall’organismo carcerario, crea-
to, anche questo, come le leggi penali, con sistemi aprio-
ristici senza uno studio serio e sperimentale e che quindi
doveva dare i mali frutti che esso fornisce.
Quanti immaginano, per esempio, che le biblioteche
carcerarie, allestite per confortare e moralizzare l’animo
del detenuto, lo irritino, e lo viziino sempre più; chi cre-
derebbe che le comunicazioni fra criminali nei carceri
cellulari, creati apposta per sopprimerle, sono tanto pe-
ricolose e frequenti come quasi al di fuori, e che, vicever-
sa, sonvi più rare le propalazioni e le confessioni?

Storia d’Italia Einaudi 359


Cesare Lombroso - Genio e follia

Ma non anticipiamo sui risultati di questo lavoro che


desidero emergano spontanei e parlino da se all’occhio
del lettore spassionato e imparziale.
Dirò solo due parole sulla distribuzione di questo
singolarissimo testo. Presentandomi esso un materiale
difforme, incoercibile, vi ho dato un ordine pur che
sia, più per una guida al lettore che per vere ragioni
psicologiche, le quali emergeranno spontanee al fondo
del libro.
Molte volte inserii il frammento delle opere stampate,
entro cui era la nota del reo, per mostrarne la strana
contraddizione, l’ispirazione alla rovescia.
Un’altra osservazione devo aggiungere, per rispetto a
un pregiudizio invalso nel mondo letterario e che non
può tenersi in non cale. I criminali non possono parlare
il linguaggio degli uomini onesti, meno ancora mostrare
quel riserbo che è convenzionale nello scritto delle per-
sone a modo.
Se nel fingere il linguaggio dei demoni il Poeta non po-
té non esprimersi in versi sudici, a me, ch’ero il paleogra-
fo, il trascrittore dei pensieri di questa specie di demoni
terrestri, non era certo dato far meglio.
L’oscenità di costoro io la subisco come il lettore, ma
non la posso nascondere senza falsificarli.
Ma, avvisandolo prima e dichiarando che indirizzo,
esclusivamente, questa raccolta agli uomini di scienza,
spero evitare ogni danno ed ogni taccia.
S EZIONE I. – I COMPAGNI .
a) Comunicazioni segrete e avvertimenti ai compagni.
Avvertimento ai ladri
Ah! poveri ladri! i suma (noi siamo) circondà da tante
spie e da tanti sbirri che non possiamo più rubar nulla. Vi
sono delle spie che la fanno per un divertimento e ancora
dei nostri amici. State pure attenti miei cari compagni
prima di rubar qualche cosa con chi vi ficcate.

Storia d’Italia Einaudi 360


Cesare Lombroso - Genio e follia

Mi dica quanti giorni sono che ha saputo che va al


debà (Assisie), e se torna ancora nella medesima cella se
viene condannato; ma spero che verrà assolto118 .
Alzate la gamba che un dì o l’auter furajemo (sortiremo)
tutti.
Guarda 41 di non stracciare i fogli, che se ne accorge il
bibliotecario. Addio sono il tuo amico (il 41 è il numero
della cella).
Saluto il 265 che non so il suo nome. Arrivederci oggi119
camerata di sventura.
Me car 63 i suma ben pià tuti dui per le feste: fatevi
coraggio che struvruma poi fora da si a 2 o 3 meis.
Addio.
Pietro pensa pur prima per poter parlare perché paro-
la poco pensata potrà portarti perpetuo pregiudizio120 .

D’una cosa a proposito d’onesto


Avvisar ti debbo
E si è di emendarti presto
E non certuni imitar che han fatto i sordi
Finché a lor non toccò botte da orbi121 .

Che sgonfion chi tses (sei). Gli ammaestramenti biso-


gna prenderli dai ladri, essi sì che sanno darteli buoni122 .

2
Il lievito sublime

Dopo tanti esempi, constatati, anche sotto i nostri occhi,


e nelle più disparate nazioni, chi dubitasse ancora che
il genio possa coincidere colla pazzia, farebbe segno di
essere o cieco o caparbio.
Un monomaniaco di Bicêtre si doleva, con questi bei
versi, della sua triste prigionia (Moreau):

Storia d’Italia Einaudi 361


Cesare Lombroso - Genio e follia

Ah! le poète de Florence – N’avait pas dans son chant sacré


Rêvé l’abîme de souffrance – De tes murs, Bicêtre exécré.

Esquirol racconta come un maniaco, durante il pe-


riodo acuto del male, inventasse un cannone che venne
adottato.
Morel curava un pazzo, soggetto avere ebetudini inter-
mittenti, prima delle quali, componeva delle belle com-
medie.
Un altro pazzerello, curato dal Verga, avea fantastica-
to, nel e pel suo delirio, con molto ingegno, se non con
verità, l’etimologia di Senavra, da Senavrà; un medico, fi-
glio d’un grand’uomo, colpito dalla follia, inventava, con
molto ingegno, e, non dirò, per onore dell’armi, giustez-
za, che farmacia deriva da far-marci, e medico da ocidem.
Io ebbi in cura, a Pavia, un povero contadinello dodi-
cenne, inventore di arie musicali originalissime, che ap-
plicava ai suoi compagni di sventura così ben adatti so-
prannomi, che tuttora restaron loro addosso. Gli era
compagno un vecchietto pellagroso, e contadino pur es-
so, che richiesto da noi se fosse felice, «Tutti (disse a mo-
do di un filosofo greco) lo sono, anche i ricchi, purché lo
vogliano essere».
Molti dei miei scolari ricorderanno quel B..., ora com-
pletamente guarito, che si potea dire un vero genio del
popolo; già suonatore, domestico, facchino, oste, chin-
cagliere, maestro, soldato, scrivano, mai fortunato; egli
ci lasciò una sua biografia, – cui, se togliete qualche er-
rore ortografico, non siederebbero male gli onori della
stampa, e mi chiedeva l’uscita con queste rime, che per
un popolano incolto sono pur belluccie:

Il sottoscritto – chiede al caro suo dottore


Or come padre nostro – la libertà del chiostro
E come il suo dottore – nutre nel seno un’alma
Pura, sincera, intera, perciò senz’alcun dubbio
Ei della grazia spera, ecc.

Storia d’Italia Einaudi 362


Cesare Lombroso - Genio e follia

Ed ora veniamo ai poeti veri del manicomio, pochi con


coltura letteraria iniziata – molti più veramente appaiono
ispiraci e quasi educaci dal morbo; potrei addurne esem-
pi moltissimi, se non che l’economia necessariamente ri-
chiesta dall’opera non mi permette esporne, qui, che po-
chissimi (lasciando gli altri in apposita appendice), i qua-
li io scelgo specialmente per mostrare il contrasto specia-
le con se medesimi, comeché d’un tratto si vedano passa-
re non solo dal genere più tetro al più gaio, e fin all’osce-
no, ma dall’eleganza e dalla finezza più squisita, all’insul-
so e sgrammaticato chiaccherio del demente.
Il signor M... G..., poeta di grido prima d’ammalare, e
fratello ad un grande poeta, precipitò, per eccessi alcoo-
lici e di studio, in mania, usava violenze contro la pro-
pria moglie, – gridava e insultava a pretesi persecutori;
passati i primi accessi, trasformatosi in megalomaniaco,
si mise a tirar giù dei versi armoniosissimi ma senza sen-
so; scarabocchiò una tragedia di 60 personaggi, fra cui
si vede mescolato Archimede con Garibaldi, Emanuele
Carlo Felice con Eva e con Davide, Teja e Saulle; vi era-
no dei personaggi invisibili, astri e comete, i quali non
perciò si astenevano dal declamare. – Ecco, p. es., una
strana domanda ad Archimede:

Dall’Erebo uscito, rispondi ove sei?


O forse t’involi pei balzi cruenti?
Se un giorno lanciasti, atleta agli dei
Un angiol dai vanni di fuoco lucenti
Ancor non è stanco dei cieli il tiranno...
Se più della luce la notte t’abbella,
Si tinga di nero la vecchia tua stella.

Archimede risponde:

Io sono il Lione che rugge e si schioma.

Storia d’Italia Einaudi 363


Cesare Lombroso - Genio e follia

Tutti i metri barbari eran stati tentati già da molti anni


da lui, e più ancora dei barbari gli impossibili, che egli (il
quale spesso si credeva mutato in Orazio) intitolava or
ametri or olimetri.
Né meglio parmi il barbaro suo, come lo chiama,

Ametro

Italiche muse, versi cantatemi al Vero;


Non tutti al falso, non tutti all’infanda menzogna
Danno i poeti il suon dell’antica zampogna,
E non i popoli tutti son monchi a un pensiero.
Eterna stette, eterna sui cardini suona
La terra coi cieli, il sole, la luna, e le stelle;
Le donne, gli uomini, le cose per quanto mai belle:
L’eternità sola fulmina fra i nuvoli e tuona.
Cogliete i pianti, le lagrime ovunque adunate:
Versatele in fiori sull’urne dei martiri nostri
Pei cimiteri le lire al mio genio piegate!
Che se risorti tutti, siam tutti alla vita
Ditemi a me, voi ditemi su quale ala di ostri (?)
Da qual mai forza la morte veniaci rapita.
S. M.

Ebbene, poco dopo, costui dettava alcuni sonetti che


non avrebbero perduto molto al confronto di quelli del
Berni.

Sonetto

Medicina di salute

Non lane al mattin primo! ma due fette


Sode di buon prosciutto e di salame,
Con foglie d’insalata all’uopo elette
Che tolgon l’appetito e metton fame.
S’intende: masticar la refezione
Facilitata da un bicchier di vino

Storia d’Italia Einaudi 364


Cesare Lombroso - Genio e follia

Che sia spillato da bottiglie buone,


Di sapor tondo, secco e non di spino.
A mezzogiorno, lesso e peperoni
Broccoli, erba fritta e un molle arrosto
E per dolce, un sollucchero a citroni.
Nella sera un gelato in brodo caldo,
Un petto brillo di gallo in arrosto
E: più vino che acqua ... e il corpo è in saldo.
M. S.

Mentre non solo gli uomini di Stato ma anche alieni-


sti, più o meno serii, dubitarono che il Lazzaretti fos-
se alienato, gioverà meditare questo giudizio preventivo
di un lipemaniaco, cliente dell’onorevole dottor Toselli,
che me lo comunicò:

In questo secolo – di vie ferrate


D’imposte e debiti – e barricate
Di luce elettrica – di magnetismo
Di carta straccia – di comunismo
E mentre i popoli – son tutti in pianto
Non ci mancava – che questo Santo.
Nasceva il Davide – nel Montelabro
Fra muli ed asini – villano scabro
Con Garibaldi – si fe’ soldato
Ed in Sicilia – ha guerreggiato.
Poi cinse il tragico – coturno e manto
Infine il furbo – si fece Santo.
Di scilinguagnolo – sciolto dotato
Si fa proseliti – nel vicinato
Tutti il salutano – nuovo Profeta
E Santo dicono – l’Anacoreta
Ei si ravvoltola – nel nuovo manto
Gode del titolo – dato di Santo.
Nuovo decalogo – come Mosè
Scrive il fatidico – Profeta e Re;
Ha suoi Apostoli – con Maddalene
E cerca il Golgota – croce e catene

Storia d’Italia Einaudi 365


Cesare Lombroso - Genio e follia

Del Nazareno – ei veste il manto


I gonzi applaudono – a David Santo.
Ed il suo Golgota – ad Arcidosso
Incontra il misero – meschin colosso
La benemerita – gloriosa arma
Lui cogli Apostoli – scioglie, disarma;
Ecco un proiettile – forogli il manto
E cadde esanime – il nostro Santo
Terra dei fiori – gentil Toscana
Cura il tuo cerebro – il cuor ti sana
A tempo debito – nel manicomio
Chiudi i maniaci – plauso ed encomio
Daratti Italia – ed il suo pianto
Sarà pei martiri – non pel tuo Santo.

Eppure egli poco dopo dettava questi altri versi scon-


clusionati:

Al Direttore del Manicomio

Chi pecora si fa, il lupo lo mangia

Dottore stimatissimo,
Io già tel dissi in prosa
Che l’aria a me del carcere
Per nulla si confà,
E che è brutta cosa
Perder la libertà.
Fui chiuso il giorno tredici
In questa ria magione,
E già son giorni dodici
Che vivo in schiavitù:
Se perdo la ragione
Ti mando a Belzebù.
Il celebre Lombrosio
Maestro a te e collega,
La Trossarello misera
Al boja consegnò;
Per te la mia bottega

Storia d’Italia Einaudi 366


Cesare Lombroso - Genio e follia

In Emaus n’andò.
Ma dunque, un pazzo proprio
Mi credi in tua coscienza? ...
Allor dammi una camera
Pari a’ miei servitor;
Non chiedo che decenza,
Né cerco lo splendor.
Forse ci vuole un secolo
Un pazzo a giudicare?!!!!
Ma allor la scienza medica
Non è che derision!
Invece di sanare
Fa’ perder la ragion.
Forse gli eminentissimi
Balordi miei parenti
Ti diêr la mancia pingue
Per farmi tormentar?
Dimmelo fuor dei denti,
Saprommi regolar.
Già nei passati secoli
La santa Inquisizione
Dava capestro e bavero
Al genio, alla virtù
In or questa magione
Per me creata fu!!?
Ma allor non vuoi che stupidi
A popolar la terra?
Ed un che scrive carmini
Si ha da tormentar!!
Vivo m’inghiotti o terra
che duro m’è il penar!!!!
G IOVANNI G I... Chimico-Poeta e Farmacista.

Ancora più singolare e più dimostrativa del nostro as-


serto (dell’esservi un vero estro poetico che sorge per
opera della malattia mentale) è la stupenda poesia co-
municatami dal Tarchini-Bonfanti, e dettata quasi sotto i
suoi occhi da un demente:

Storia d’Italia Einaudi 367


Cesare Lombroso - Genio e follia

Ad un uccello del cortile

Da un virgulto ad uno scoglio,


Da uno scoglio a una collina,
L’ala tua va pellegrina
Voli o posi a notte e dì.
Noi confitti al nostro orgoglio,
Come ruote in ferrei perni,
Ci stanchiamo in giri eterni,
Sempre erranti e sempre qui!
C AV . Y.

Per ben capire le bellezze di queste strofe bisogna


ricordare ch’esse alludono al cortile dov’egli dimorava
coi suoi fratelli di sventura, ove era in mezzo una gran
pianta; «Ivi passeggiano (mi scrive il Tarchini), molto
a lungo, i malati, girando sul marciapiede di pietra che
vi sta intorno. L’autore che dimora qui da 20 anni, si
crede cavaliere, principe, ecc.; vede in tutto del mistero;
continuò per anni a voler sempre toccare colla sua pipa
le chiavi del direttore, ama essere attillato per quello che
può, e si picca di bei modi. Disegna, talora bene, talora
a scarabocchi, quando non copia ma inventa, e sempre
cose allusive a certi misteri che ha sempre in testa».
È insomma un demente con follia ambiziosa già siste-
matizzata.
È curioso, che, toltone quel giorno, costui, che è
uno dei più assidui scribacchiatori, dettò prose e versi
men che mediocri, scorrettissimi, e che alludono, con
convinzione profonda, a quei sogni vanitosi, i quali, egli
stesso in quei versi flagella, come può vedersi da questi
frammenti, raccolti a caso fra i suoi manoscritti:

Bestia o uomo, per un Capello


verso la mia decorazione d’onore
che fu baciata dal Capellajo –.
Casati! onde voglio passeggiare

Storia d’Italia Einaudi 368


Cesare Lombroso - Genio e follia

a piacer mio perché ho il diritto


per legge che voi lo sapete senza
dubbio! il suddito con la vostra chiave!

Del resto, che anche nello scrivere quei bellissimi versi


perdurasse nel suo delirio ambizioso, ci dimostra la firma
cui è appicciccato, indebitamente, il nomignolo di cava-
liere.
Ma un esempio che interessa in doppio modo la psi-
chiatria legale, perché mostra il genio letterario intermit-
tente che può provocar la pazzia, e come possano i paz-
zi simulare la pazzia, pur essendone affetti, in specie in-
nanzi al terrore adella pena, mi fu offerto da un pove-
ro calzolaio; era certo Farina, figlio, nipote e cugino di
pazzi e di cretini, che, monomaniaco, allucinato, fin dal-
la giovinezza, ma in apparenza tranquillo e sereno, fred-
dò, con un coltello, una donna di null’altro colpevole se
non d’essere la immaginaria istigatrice dei suoi nemici in-
visibili, che lo tormentavano colle voci, e madre ad una
bella ragazza, di cui egli, in quella specie di delirio eroti-
co dei pazzi, che uso chiamare amor muto123 , si credeva
amante riamato, malgrado non avesse avuto con lei quasi
alcun rapporto.
Costui, commesso l’omicidio, fuggì a Milano; e niuno,
pur da lontano, ne l’avrebbe sospettato reo, se egli a bella
posta, ritornando a Pavia, e presentandosi alla Questura,
non se ne fosse accusato e avesse mostrato, per meglio
convincerne gli increduli, il fodero del fatale strumento
omicida; più tardi, messo in prigione, si pentiva dello
strano suo passo e offriva i sintomi di una forma di
pazzia, che veramente non avea, la demenza; sì che a
me, richiesto come perito, occorse non lieve fatica a
venire in chiaro del vero suo stato e accertarmi come,
cioè egli, malgrado infingesse la pazzia, fosse pur matto
egualmente124 .

Storia d’Italia Einaudi 369


Cesare Lombroso - Genio e follia

Questa autobiografia del Farina, che volli lasciare in


tutta la sua integrità, salvo solo alcuni sogni e gli erro-
ri ortografici, mi sembra uno dei più preziosi frammenti
della anatomia patologica del pensiero. Essa prova, con
tutta evidenza, potervi esistere allucinazioni con la con-
servazione di tutte le altre facoltà psichiche; impulso ir-
resistibile al reato colla coscienza della gravità dell’atto,
come già accennò il nostro Herzen nelle sue belle pagine
sul Libero arbitrio.
È singolare, poi, che un uomo, non avvezzo alla coltu-
ra letteraria, abbia potuto esprimersi con tanta chiarezza
e spesso con tanta eloquenza, e che vi mostri tanta tena-
cità ed esattezza di memoria, da ricordare la grossezza di
un sapone comperato 3 o 4 anni fa, da ricordare dopo an-
ni, dei discorsi, sogni, luoghi, nomi proprii, che pochis-
simi sani ricorderebbero dopo pochi giorni; e, a propo-
sito dei sogni, di cui molti dovetti omettere perché egli
ne avrebbe riempito delle risme di certo, è notevole la
grande vivacità della loro riminiscenza, vivacità non co-
mune nell’uomo sano, la quale ben accusa l’importanza
patologica che assunsero in quell’infelice.
Ed è notevole l’assennatezza, con cui, sulle prime,
combatte il pregiudizio del prognostico dei sogni, comu-
ne ai compagni di carcere, e come finisca per cedervi più
per una forza d’imitazione, che per quella supina e pas-
sionata ignoranza, a cui essi, senz’esser alienati, erano più
inclini di lui.
E quanto non si eleva l’infelice al confronto dei più
sani, ma più tristi colleghi di carcere, quando ad essi che
rimpiangevano l’Austria, quasi l’Italia fosse più ingiusta
ne’ suoi giudizi, obbiettava: «E forse che l’Austria non
condanna anch’essa i birbanti?»
È pur curioso ch’egli avesse qualche volta la completa
coscienza di alcune sue allucinazioni – e d’altre no – e
come avvertisse il loro aggravarsi colla stanchezza, colla
debolezza, coll’alzar il capo, avviso ai medici salassatori ed

Storia d’Italia Einaudi 370


Cesare Lombroso - Genio e follia

agli spiritualisti. E non è notevole pure, il vedere ch’egli


chiami istinto l’impulso omicida, quasi si fosse consultato
con un psicologo dalla vecchia scuola alemanna – e che
abbia tanta coscienza della gravità dell’atto – che per
poco non si arrestò al pensiero della giustizia e che il
pungesse sì forte il disonore della catena e la compagnia
dei carcerati?
Si saranno notate le molte parole ch’egli adopera nel
suo manoscritto con sensi tutti suoi, come: prerogativa,
diporto, insistenza, ecc., che sono caratteristiche della
forma monomaniaca.
Ma per la medicina legale molto interessa il vedere
come ci confessi che aveva tutto disposto per andare in
Isvizzera, se non fosse stata la stanchezza ad impedirlo e
la tema di essere inseguito dalla caterva de’ suoi nemici.
Se si fosse calmato, subito, il parossismo allucinatorio
e gli fosse riuscito di fuggire in Svizzera, quanto più
difficile per il non psichiatro poteva riescire il giudizio
sulla realtà dell’alienazione?
Quanto alla simulazione della manìa egli avea preso ad
imitare una forma la cui simulazione eragli più facile, la
mania allucinatoria istintiva e notturna; – il cui modello
trovava in sé medesimo: ma non è egli sicuro che se non
gli fosse venuta la stramba convinzione, che noi medici
volevamo proteggerlo ad ogni costo, egli avrebbe conti-
nuato a fingere anche davanti a noi? Ad ogni modo, sen-
za questo inaspettato soccorso, non correvamo noi il pe-
ricolo di crederlo maniaco quando non l’era o simulato-
re anche allora quando esso più non fingeva? Nuova ed
eloquente prova del poco valore che hanno i giudizi pe-
ritali basati esclusivamente sulle facoltà psichiche, e della
utilità della nuova scuola psichiatrica esperimentale125 .
E chi alla lettura di queste belle pagine può dubitare,
più, che vi sieno casi, in cui la pazzia dà agli intelletti vol-
gari un lievito sublime che li solleva dal livello comune?

Storia d’Italia Einaudi 371


Cesare Lombroso - Genio e follia

Un’altra fra le tendenze che segna il carattere specia-


le dell’arte nei pazzi, è la mescolanza dello scritto col di-
segno, e, nei disegni stessi, la ricchezza di simboli, di ge-
roglifici; il che tutto molto bene ricorda le pitture giap-
ponesi, indiane e le antiche pitture murarie egizie, e ri-
monta, in parte, alle cause stesse: il bisogno di soccorre-
re, di rinforzare la parola o il pennello impotenti entram-
bi ad esprimere, in tutta la desiderata energia, l’irrompe-
re o il persistere di una data idea. – Quest’ultima ragione
bene spiccava in un caso fornitomi dal Monti, in cui un
disegno architettonico, ben fatto e preciso, era reso in-
comprensibile dalle molte epigrafi e iscrizioni che vi ave-
va aggrovigliato entro ed intorno un afasico, demente da
15 anni, che vi dettava le risposte, spesso in rima, cui non
avrebbe potuto dar a voce.
In alcuni megalomaniaci ciò avviene, pel vezzo di
esprimere le proprie idee con un linguaggio diverso dal-
l’umano, il che in fondo è dunque in doppio modo atavi-
stico. Tale era il caso del Padrone del mondo, illustrato
dal Toselli e da me126 .
Era certo Ga... L. di 63 anni, contadino, dal porta-
mento sicuro, zigomi prominenti, fronte spaziosa, sguar-
do espressivo e penetrante, capacità cranica 1544. Indice
82, temp.ra 37°,6.
Nell’autunno del 1871, divenne girovago, parolaio,
fermava le persone più notevoli del paese per le piaz-
ze, pei pubblici uffizi, lagnandosi di ingiustizie sofferte,
distruggeva le viti, devastava i campi e correva per le vie
minacciando terribili vendette. Poco a poco diviene egli
stesso Dio re dell’universo; e predica dalla cattedrale di
Alba sull’alta sua destinazione; nel manicomio di Racco-
nigi parve calmo finche durò nella ferma fiducia che il
suo alto potere fosse da tutti riconosciuto; ma alla prima
opposizione minacciava, padrone come era e personifi-
cazione degli elementi, ed ora fratello, ora figlio, ora pa-

Storia d’Italia Einaudi 372


Cesare Lombroso - Genio e follia

dre del sole, di sconvolgere la terra, distruggere gl’imperi


e farsi un piedestallo delle immani rovine.
Ma più di tutti questi ticchi era caratteristica nel Ga...
la manifestazione grafica del delirio. Egli aveva imparato
da giovane a leggere e scrivere, ma ora sdegnava l’uso
della scrittura volgare. Vergava spesso lettere, ordini,
cambiali, ora al sole, ora alla morte, ora alle autorità
civili e militari, ed aveva sempre una tasca piena di questi
fogli. La sua scrittura consiste, essenzialmente, in grosse
lettere maiuscole, a cui di tratto in tratto frammischia
segni e figure indicanti gli oggetti o le persone. Le
parole sono per lo più separate da uno o due grossi
punti, e d’ogni parola tracciava solo alcune lettere, quasi
sempre le consonanti, senza alcun rispetto alle norme del
sillabario.
Così per dire: «Domine Dio Sol è ricoverato all’ospe-
dale di Racconigi fa sentire al prefetto del tribunale di
Torino se vuol pagare i debiti della morte. Prima di mo-
rire venga di presto all’ospedale di Racconigi», egli riem-
pie un gran foglio a questo modo:

La firma poi è sostituita da un’aquila bicipite con una


faccia in mezzo, che è uno dei suoi prediletti stemmi, e
che porta anche sul cappello e sugli abiti.
È chiaro che, oltre il salto di alcune lettere, specie vo-
cali, come normalmente fra i semiti, vi ha qui l’uso di
quelli che nei geroglifici egiziani si chiamano determina-
tivi. La morte, per es., è segnata con l’ossa da morto, e

Storia d’Italia Einaudi 373


Cesare Lombroso - Genio e follia

il prefetto del Tribunale di Torino da un molto brutto


profilo, o da una mezza luna.
In altre comunicazioni è andato più addietro atavisti-
camente; e l’alfabeto è quasi scomparso sotto le figure
destinate a supplirlo.
Questo miscuglio di lettere, di geroglifici e di segni fi-
gurativi costituisce una scrittura interessante, perché ri-
corda il periodo fono-ideografico per cui passarono cer-
tamente i primi popoli (certissimo i Messicani ed i Chi-
nesi), prima di inventare la scrittura alfabetica, siccome
ne fanno testimonianza la parola grafo (dipingere o scri-
vere) e la forma stessa delle lettere, che ricorda quella
degli astri e dei pianeti.
Ne’ selvaggi di America, di Australia, la scrittura con-
siste in una pittura più o meno rozza: p. es., per indicare:
– avessi la celerità di un uccello, dipingono un uomo colle
ali invece di braccia (Steinthal, Entwicklung der Schrift,
1852). Due canotti con un uomo dentro, ed un orso e sei
pesci, indicano che dei pescatori pescarono dal fiume un
orso e dei pesci. Sono, piuttosto che scritture, aiuti mne-
monici, però più legati insieme e vivificati da canzoni o
dalle tradizioni.
Alcune tribù però giunsero a qualcosa di meno im-
perfetto, e che s’avvicina ai nostri rebus: per esempio, i
Mayo d’America, per significare un medico, dipingono
un uomo con un’erba in mano e due ali ai piedi: chia-
ra allusione alla sua pur troppo forzata abitudine di ac-
celerare il passo e trovarsi dappertutto ove lo si richieda;
dipingono un cerchio con piedi umani o un sole coper-
to di croci; per indicare la pioggia dipingono un secchio
(V. Boddaert, Paleography of Amer., 1865, Londra).
Così gli antichi Chinesi per esprimere malizia disegna-
vano tre donne, per significare luce, il sole e la luna, e un
orecchio in mezzo a due porte per il verbo ascoltare.
Questa rozza scrittura ci rivela che i tropi retorici, di
cui mena tanti trionfi il pedante, sono espressioni del-

Storia d’Italia Einaudi 374


Cesare Lombroso - Genio e follia

la povertà e non della ricchezza dell’intelletto; difatti si


vedono spesseggiare nei parlari degli idioti e dei sordo-
muti educati. Dopo aver adottato per molto tempo que-
sto sistema, alcune razze più incivilite, come le chinesi
e messicane, fecero un passo più innanzi: quelle figure,
più o meno pittoresche, se le catalogarono, e giunsero
a formare delle combinazioni ingegnose, che, senza rap-
presentare direttamente l’idea, pure ne suscitavano indi-
rettamente la reminiscenza, come nelle sciarade. Di più,
per non lasciare troppo incerto il lettore, faceano segui-
re o precedere quei segni da un abbozzo dell’oggetto che
voleano esprimere, e che era un misero avanzo dell’anti-
ca scritturazione tutto affatto pittorica. Ciò avvenne, cer-
to, dopo che, fissato il linguaggio, si osservò come parec-
chi, nell’abbattersi in un dato segno, si rammentavano il
suono delle parole di cui questo suscitava la ricordanza.
Così Itzlicoatl, il nome d’un re del Messico, si scriveva
dipingendo un serpe, in messicano detto Coatl, ed una
lancia che si chiama Istzli. Così noi vedemmo in chinese
tscheu significare barca, lancia, ciarla (Lombroso, Uomo
bianco e uomo di colore, 1871).
Col rinnovare questa pratica il nostro megalomaniaco
prova ancora una volta che nell’estrinsecazione del pen-
siero i pazzi, come i delinquenti, spesso fanno un ritorno
atavistico alle epoche preistoriche dell’uomo primitivo.
Questo esagerare gli emblemi rende confusa anche l’o-
pera di pittori abilissimi, ma allucinati ( Les fous littérai-
res, 1880).
Minuzie In alcuni invece, monomaniaci in ispecie, vi
è un carattere opposto, l’esagerazione delle minutaglie,
dei particolari, per cui raggiungono l’oscurità a furia di
cercare l’evidenza; così in un quadro di paesaggio che
fu esposto fra i rifiutati a Torino, non solo si vedeva
la campagna, ma quasi i fili d’erba si discernevano uno
dall’altro; così pure in un altro quadro, che doveva essere

Storia d’Italia Einaudi 375


Cesare Lombroso - Genio e follia

grandioso, si avevano i tratteggi come in un quadro a


matita.
Atavismo È già questo, come il simbolismo, un feno-
meno atavistico. E non basta; in altri, come in questo
che qui riproduco, insieme all’esagerazione delle minu-
zie (Tavola XII), si nota che la prospettiva manca affatto,
mentre tutto il resto è così ben chiaro da mostrare nel-
l’autore un forte senso artistico. – Si direbbe un pitto-
re vero, ma educato in China o nell’Egitto antico – e qui
pienamente si intravvede una specie d’atavismo spiega-
bile con ciò che ad un dato arresto nello sviluppo d’un
organo corrispondono uguali prodotti.

Tav. XII

Ne ho trovati tre di questi pittori: un monomaniaco


incendiario di Pavia, che aveva anche il vezzo di scrive-
re le parole quasi in stampatello, e due dementi, uno dei
quali segnalatomi cortesemente dal dott. Filippa, ripro-
duce esattamente il metodo del primo, ed è lo stesso che
segnava i curiosi arabeschi con figura umana, a cui sopra
accennai (Tav. XIII).
Un capitano francese, paresico, disegnava delle figu-
re stecchite come i profili egiziani. Quel megalomaniaco
sodomitico di Reggio, che si costrusse gli stivali, fece pu-

Storia d’Italia Einaudi 376


Cesare Lombroso - Genio e follia

re un bassorilievo a colori, in cui la sproporzione enorme


dei piedi e delle mani, e la picciolezza della faccia e l’irri-
gidimento degli arti, ricordano completamente i bassori-
lievi del 1200 (vedi Tav. XIII). Un altro da Genova pure
fa bassorilievi su pipe e su vasi, analoghi affatto a quelli
dell’epoca della pietra polita (Maragliano).
Queste minuzie, e l’uso dei geroglifici e dei simboli di
cui sopra, è affatto atavistico, è l’uso dei Caldei antichi e
degli Egizii.
Raggi mi regalò delle selci lavorate da un monomane
che era affatto ignaro di archeologia: ripetono nella scel-
ta delle figure, degli emblemi tutto il fare degli amuleti
degli Egizii e Fenici (vedi Tav. XIII).
Criminalità e pazzia morale Ed a questo proposito è
importante il notare che il maggior numero di questi
artisti aggiunge agli altri delirii, spiccata follia morale,
pederastica in ispecie. L’autore del quadro Delira (vedi
pag. 348) era un pederasta.
Chi eseguì il meraviglioso modello del Manicomio di
Reggio, di cui toccai a pag. 331, non fu mai disegnatore,
ne scultore, ne ingegnere: era un pazzo e ladro per
giunta, con tendenze contro natura; costui quando gli
salta il ticchio, se ne scappa via, vagabondeggia per
qualche giorno coi pochi denari che ha indosso; ruba
appena diede loro fondo; e quando è in carcere, dichiara
di essere quello che è, cioè un matto, e si fa assolvere,
e riportare a Reggio, salvo a rifare dopo qualche mese il
suo colpo.
Il Tamburini, a cui ne scrissi, mi disse di essere stato
colpito anch’egli dalla coincidenza della tendenza artisti-
ca e della follia morale in pazzi affetti da altre malattie
mentali – paranoia in ispecie.
E il lettore ricorderà che folli morali erano le due
ricamatrici e disegnatrici di quadri osceni.
Fra le opere d’arte più curiose (mi scrive Frigerio)
che fanno parte della copiosa raccolta del Manicomio

Storia d’Italia Einaudi 377


Cesare Lombroso - Genio e follia

di Alessandria, devonsi annoverare quelle di X..., pazzo


morale, vero tipo di degenerato, famoso tra i suoi com-
pagni di clausura per i molti tentativi di evasione con fi-
nissima arguzia escogitati, e abilissimo nel costrurre gri-
maldelli ed altri strumenti; fra l’altre noto una piccola
carretta da trasporto di forma elittica in perfetto equili-
brio sull’asse della ruota, mentre le stanghe sostengono
l’asse medesimo alle due estremità. Mirabile per la sua
semplicità e leggerezza.
Inutilità Un carattere comune a molti è la completa
inutilità dei lavori a cui attendono (e qui ricordo il detto
di Hécart: «è speciale ai pazzi di lavorare a cose inutili»);
così una tale M., ginevrina, affetta da monomania perse-
cutoria, consumò interi anni in lavori sopra fragili uova
e su limoni, lavori che, malgrado fossero bellissimi, non
poterono giovarle nella fama, perché essa li teneva gelo-
samente nascosi, ne io, a cui pure era affezionata, potei
vederli, se non dopo la sua morte. Così toccammo sopra
di quegli che si costrusse con gran cura un solo stivale e
la propria crocifissione. – Si direbbe qui proprio, come
accade nell’artista di genio, l’amore del bello pel bello e
del vero pel vero. – Solo che la mèta è invertita.
Musica nei pazzi Anche l’abilità musicale, come e più
che la pittorica, si scorge assai spesso offuscarsi in coloro
che, prima di ammalare, la coltivarono con troppa pas-
sione. – Adriani osservò che i maestri, da lui curati per
follia, perdevano quasi affatto la loro abilità, che esegui-
vano, sì, qualunque pezzo musicale, ma senza vita; altri
poi, venuti a demenza, ripetevano monotonamente alcu-
ni pezzi, sempre gli stessi e talora soltanto alcune frasi;
Vigna (op. cit.) nota che Donizetti, nell’ultimo stadio
della demenza, non avvertiva più le melodie predilette; e
le ultime sue opere sentono già quell’influsso fatale – che
i critici notano pure nella sinfonia della Sposa di Messi-
na di Schumann, composta durante gli accessi maniaci
(Clement, Les musiciens célèbres, 1868).

Storia d’Italia Einaudi 378


Cesare Lombroso - Genio e follia

Ma ciò non contraddice al nostro asserto, che la follia


desti nuove qualità artistiche in chi non le aveva; mostre-
rebbe, solo, in più, che è impotente su chi già fornitone,
come pur vedemmo pei pittori di professione (v. sopra),
forse per l’abuso di esse, impazziva. E già Mason Cox,
mentre trovò che molti virtuosi avevano perduto colla ra-
gione ogni abilità, notavane alcuni che, all’inverso, vi di-
vennero più abili (Vigna).
Certo è, però, che l’abilità musicale si vide manifestar-
si, quasi spontanea, in molti melanconici, in alcuni ma-
niaci, e qualche volta perfino nei dementi; mi ricordo di
un malato che aveva perduta la parola, eppure suonava
continuamente, ed a prima vista, pezzi musicali diffici-
lissimi; e di un melanconico, matematico di molto inge-
gno, che improvvisava al pianoforte delle arie degne di
un maestro, senza conoscere musica, ne contrappunto;
un altro, demente, in seguito a monomania, che aveva
però studiato musica da giovane, e continuava a suonare
e ad improvvisarne fino a che morì paralitico.
E ciò in parte spiega perché si trovi tanta copia di
pittori e poeti fra costoro, anche in ispecie fra quelli da
cui meno si aspetterebbe – i dementi; perché la fantasia
ha più sciolto il freno, quanto meno domina la ragione,
la quale, reprimendo le allucinazioni e le illusioni, toglie
all’uomo normale una vera fonte artistica e letteraria. –
Si copia bene ciò che si vede bene.
E da qui si comprende come l’arte stessa possa, a
sua volta, produrre, fomentare lo sviluppo delle malat-
tie mentali. Vasari narra di uno Spinelli, pittore Aretino,
che essendosi studiato di dipingere le deformità di Lu-
cifero, se lo vide apparire nel sogno e rimproverarlo di
averlo fatto sì brutto; e il pittore restò, con quell’imma-
gine, per anni e fu ad un punto da morirne. – Verga ne
conobbe un altro che esercitandosi a tracciare linee ser-
pentine, a poco a poco le sognava di giorno e di notte,
convertite poi in veri serpenti; e sotto l’incubo di quel-

Storia d’Italia Einaudi 379


Cesare Lombroso - Genio e follia

l’immagine cercò di annegarsi (Verga, Lazzaretti, Mila-


no, 1880).
In alcuni casi non influisce nemmeno più la fantasia,
ma una specie di automatismo, che prende più forza
quando tutte le altre attività psichiche vanno scemando,
come nei bambini che scarabocchiano disegni più degli
adulti, – per un vero movimento automatico.
Potrebbe essere che lo studio di questi caratteri del-
l’arte nei pazzi, oltre a manifestarci una nuova faccetta di
questi misteriosi malati – giovasse all’estetica od almeno
alla critica dell’arte – nell’apprendervi che la predilezio-
ne esagerata dei simboli, delle minuzie, per quanto esat-
te, e la complicazione delle scritture, la prevalenza esa-
gerata di una data tinta (e tutti sanno come v’ha ora un
nostro pittore di genio che in questo pecca, e di molto),
l’indecente lascivia e la stessa troppa originalità entrano
nella patologia dell’arte.

3
Eziologia del genio e del delitto

1
L’azione della civiltà

Il Brièrre de Boismont ed il Guislain ( Leçons Orales 1,


15) e con loro e dopo loro una lunga schiera di psichiatri
francesi e tedeschi (Griesinger, Path. Der Psyck. Kran-
kh., p. 66, 1845), hanno elevato quasi ad assioma, la ci-
viltà originare spesso, sempre fecondare la follia, co ’l
maggiore agglomero degli individui e co ’l maggiore svi-
luppo ed esercizio dell’intelligenza: – perciò si asserì che
«l’alienation, adopero le stesse parole del Guislain, ne se
rencontre guère chez les nations nomades asiatiques, afri-
caines, et chez les sauvages d’Amerique» (pag. 7, T. 1), e

Storia d’Italia Einaudi 380


Cesare Lombroso - Genio e follia

correndo su’i fragili trampoli delle statistiche si osò di-


re, le nazioni men culte d’Europa essere meno affette da
questo morbo, e portando fino nei nostri manicomi l’of-
fesa che si gettò già alle nostre memorie ed ai nostri mo-
numenti, si disse scarseggiare noi di pazzi, perché di men
fiorente civiltà.
Il problema dell’influenza della civiltà su la follia, se
è uno dei più vitali per tutti li Europei che si agitano
superbi della loro civiltà, senza conoscere qual terribile
veleno stilli dentro i suoi fiori, è per noi Italiani di più
vivo interesse, perché comprende la difesa della nostra
antica civiltà.
Per risolvere questo problema, forse più che non dalle
teorie cui la passione può dare le più strane direzioni,
converrà partire dai fatti speciali.
Il pazzo nei popoli barbari non ha un’importanza
clinica, ma storica; è temuto, adorato dalle masse, e
spesso ne tiene lo scettro. – Nell’India alcuni maniaci
sono amati e consultati dai Bramini, e molte sette ne
portano le tracce. – Negli Ebrei parecchi passarono per
profeti, e navì significò l’uno e l’altro, come nigrata in
Sanscrito. – Nei loro discendenti, negli Arabi, e negli
Egizj moderni, intere e feroci tribù stanno al cenno dei
Medidubi o dei convulsionarj, ed i Berberi accolgono i
loro detti come rivelazioni, e si lascerebbero accoppare
dai pazzi. – I Turchi li chiamano figli di Dio. – In China
la setta di Tao consulta come oracoli i pazzi. – I Negri li
credono presi dal sacro Feticio. I Patagoni, i Peruviani
aveano profeti epilettici. – Fino nella recente Oceania
scoprimmo pazzi adorati e consultati dal popolo, anche a
dispetto dei Capi, precisamente come da noi nel Medio-
Evo.
È un fenomeno questo che colpisce ad un tratto chi
s’occupa di storia umana, che non solo le grandi leggi in-
tellettuali si riproducono egualmente in tutte le epoche,
in tutti i popoli, come le grandi funzioni fisiologiche in

Storia d’Italia Einaudi 381


Cesare Lombroso - Genio e follia

tutti li organismi, ma questo isomerismo storico s’esten-


de ai più minuti detagli, e fino alle aberrazioni più ca-
pricciose. – Uno scettico potrebbe ridurre alla legge de-
gli istinti la curva di Vico. – Chi sa qual potente influen-
za su le mobili masse abbiano esercitato i primi tesmofo-
ri, pensi quali violenti passaggi e regressi debba aver por-
tato alla condizione dei popoli barbari la venerazione pei
pazzi. – Difatti noi li vedemmo nel Medio-Evo compli-
care ed originare continui rivolgimenti, e anche nei tem-
pi a noi più vicini, nella Rivoluzione Francese per es. in
cui le masse furono ridonate alloro dominio, spesso la ve-
ra pazzia non solo complicò, ma trascinò il fanatismo, e
punì l’opposizione dei pensatori.
Se non che quando discendiamo ai tempi recenti per
giudicare dell’influenza della civiltà nostra su la follia, il
problema si fa sempre più complicato – e per i molti e
spesso contrari elementi che la prima costituiscono – e
perché l’unica guida, la statistica – non di rado come un
faro infedele ne mena nella via più lontana dal vero. La
statistica, per esempio, mostrerebbe che l’agglomero del-
le popolazioni aumenta il numero dei pazzi, – ma la sto-
ria invece oppone che l’agglomero, quando è frutto di
vera civiltà, impedisce la pazzia d’imitazione [...], la qua-
le può invadere non più individui, ma intere masse. Ar-
roge che mentre nelle grandi capitali la vicinanza dei ma-
nicomj, la vigilanza delle Autorità tutorie, l’onta e l’in-
quietudine dei parenti e dei vicini, concorrono a non la-
sciare quasi nessun alienato a piede libero, nelle campa-
gne ragioni precisamente opposte contribuiscono a man-
tenerveli, e contuttociò il numero dei contadini è sempre
considerevole nei manicomi. – Esaminiamo tuttavolta le
cause della pazzia, onde scorgere fin dove vi influisca la
civiltà.
Se partiamo dai fatti che meglio abbiam sott’occhio
dei manicomj d’Italia, niun dubio ci resterebbe che le
cause fisiche molto più delle morali contribuiscano al-

Storia d’Italia Einaudi 382


Cesare Lombroso - Genio e follia

la genesi dell’alienazione. – Dal Saggio di Statistica del


1851-53 del chiarissimo Bonacossa, risulterebbe che To-
rino in quel triennio le cause fisiche sommarono per le
donne a 253 – per li uomini a 393; le morali per le don-
ne a 135 – per li uomini a 164. A Milano, secondo il Re-
soconto del chiarissimo Direttore Cesare Castiglioni, le
cause fisiche nel 1854 ammontarono a 239, le morali a
154 – nel 55, le prime a 234, le seconde a 162. – A S.
Orsola in Bologna, nel decennio 1842-1851, sopra 1476
mentecatti (esclusi li epilettici ed i pellagrosi), se ne eb-
bero 634 per cause fisiche – 559 per morali.
Lo stesso rapporto si mantiene in climi e nazioni ben
diverse ed in cui non penetrò mai la pellagra.
Nell’Ospizio di Winnenthal su 1304 pazzi, se ne con-
tarono 897 per cause fisiche e 407 per cause morali (Da-
merow, Zeitschrift, 1844). – Nell’Ospizio di Bedlam
(1847) si ebbero 1047 cause fisiche e 834 cause morali
(Prag. Viertel Jahres-Schrift., p. 15). –
Nell’Asilo di Stokton in California su 305 pazzi del
1854, se ne contarono 132 per cause morali e 173 per
cause fisiche ( Wien. Medizin. Wochenschr., 1856, n.
13), e questo fatto, raccolto da uno dei più diligenti dot-
tori Alemanni, mi pare di non lieve importanza, perché
l’emigrazione della California sarà segnata probabilmen-
te nella storia, come lo furono i pellegrinaggi, quale uno
dei vivi caratteri del secolo nostro.
Né queste cifre vanno scompagnate da quei fatti ge-
nerali che soli possono offrire alla statistica in questi ca-
si una solida autorità. – Tutti convengono complicarsi
quasi sempre alle cause morali, l’eredità, la predisposi-
zione. – Spesso contrarietà morali le più lievi maschera-
no le cause fisiche della pazzia, come le veglie eccessive,
il celibato, le secrezioni soppresse, o le alterazioni pato-
logiche viscerali. Narrò, non è molto, il Verga, di quel
melancolico che si sarebbe dovuto credere impazzito per
causa di un vestito mal fatto e nel quale la sezione mo-

Storia d’Italia Einaudi 383


Cesare Lombroso - Genio e follia

strò diverse alterazioni organiche e fra queste una mela-


nosi difusa degli organi digerenti; – narrò Esquirol di ra-
gazza che sarebbe impazzita per paura di un tuono; era
amenorroica.
Ora su le cause fisiche della pazzia la civiltà non ha
influenza veruna; e probabilmente ne ha una benefica
su l’abuso dei liquori o di sustanze narcotiche, che è
spaventevole nei popoli barbari. – L’ubriachezza nel
Medio-Evo era una regola di galateo; ed i gjudizj e le
assemblee si teneano fra le tazze; l’abuso di aquavite di-
strusse intere tribù dell’America Settentrionale, e nell’In-
die ed in Java una specie di mania detta Hamuck è pro-
dutta dall’abuso di opio.
Passimo ora alle cause morali. – Fra queste, mentre
le passioni occupano il maggior posto, li eccessi intellet-
tuali vi sono appena avvertiti; – in questo convengono
Esquirol, Guislain, lo stesso Brièrre, e tutti li statisti.
P. es. Esquirol su 472 pazzi per cause morali, ne trovò
13 per eccesso di studio. – Brièrre su 1049 per cause mo-
rali, 49 per abuso di lavoro. Parchappe 4 pazzi per abu-
so di studio, su 474 per altre cause morali (V. Guislain –
Leçons Orales, – p. 391). Il Guislain non ne riscontrò né
meno uno. – Alcuni partendo dalle leggi teoriche per cui
un organo deve esser più suggetto ad ammalare in ragio-
ne dell’esercizio – vollero ammettere che lo studio con-
duca alla pazzia. – Ma non avvertirono che è tutt’altro
che dimostrato che la pazzia abbia unicamente e sempre
la sua sede nell’organo dell’intelligenza; mentre che ven-
gono spesso i pensatori colpiti nell’organo che formò le
loro delizie e le loro glorie, da malatie più specifiche e
terribili – specialmente da meningiti e da apoplessie. –
Così Petrarca, Copernico, Malpighi, Linneo, Cartesius,
Leclerc, Corvisart, Daubenton, Cabanis, Schlegel, Vol-
ta, Bichat, Gioberti ed altri grandi moderni ci venner ra-
piti dall’apoplessia (v. Réveillé Parise, Physiol. et Hygiè-

Storia d’Italia Einaudi 384


Cesare Lombroso - Genio e follia

ne des hommes de lettres, ecc., pag. 235, e Gazzetta Med.


Ital. –Lombardia, Appendice Psichiatrica, 1854).
In alcuni pochi esseri singolari la pazzia non fu effet-
to degli studi, ma ne fu anzi la causa; non fu rapitrice,
ma compagna dell’intelligenza, della vita; tali erano cer-
tamente Cardano, Swift, Rousseau e quel Lenau che mo-
rì delirante all’Ospitale di Vienna e che fu poeta e pazw
a 13 anni (Dörring, Lenau-Leben, 1855, p. 20).
Se qualche volta la mania ambiziosa con paralisi pro-
gressiva colpiva illustri vittime nel fiore del loro senno;
non ne fu l’abuso del pensiero giammai l’unica causa;
quasi sempre vi concorse l’abuso dei sensi, sempre quel-
lo delle passioni, dell’ambizione o dell’amore – Ne sia
prova il sacro nome di quei sommi che sovra citai e nei
quali il pensiero fu prima spento che non alterato127 .
In ogni caso le non troppe vittime dell’abuso intellet-
tuale sarebbero da rimproverare alla civiltà. Se non che
la divisione de i studj e dei lavori, che il progresso va sem-
pre più difundendo, tende a distribuire l’esercizio a se-
conda delle forze; la cultura delle scienze, di più, ammor-
za e distrae dalle morbose passioni, che facilmente dege-
nererebbero in follia; spesso, come è facile osservare ne-
gli specialisti, una scienza diviene pe ’l suo cultore una
monomania direi artificiale, che lo preserva dalla vera, o
che l’utilizza.
Quanto alle passioni, si dee ben convenire che il pro-
gresso umano influisca su ’l loro sviluppo, su la loro dire-
zione, ma non però che le moltiplichi, che le crei, come le
idee. – I materiali della memoria e quindi delle idee del-
l’uomo variano secondo il numero e la qualità delle sen-
sazioni che gli vengono offerte, e quindi su esse la civil-
tà ha diretta influenza; ma non è così delle passioni; – un
certo numero di passioni è dato a tutti li uomini, è senti-
to da tutti egualmente; e le sensazioni esterne non ponno
che determinarne la direzione.

Storia d’Italia Einaudi 385


Cesare Lombroso - Genio e follia

L’amor patrio ardeva forse più nei tempi antichi che


nei moderni facendo luogo ad un più caldo amore di
famiglia – e a quello dell’oro.
Nei nostri contadini la paura e la superstizione e l’a-
more domestico predominano, come nei cittadini l’am-
bizione e l’avidità di possesso.
La civiltà aumenta il numero degli oggetti su cui si
svolgono le passioni, offre alcune volte combinazioni ta-
li, per cui queste invano ed a lungo suscitate ed irritate
possono degenerare in pazzia – ma la barbarie non eser-
cita migliore influenza. – L’ignoranza della natura del-
le cose moltiplica le vicende della paura, ben più che la
conoscenza di esse non aumenti le vicende dell’avidità.
– La barbarie non sa porre un limite alle proprie passio-
ni, e i più falsi raziocini ispirati dalla loro veemenza ten-
gono luogo di leggi; ne sia esempio il duello. Ogni pro-
gresso civile invece è segnato dalla vittoria della ragione
su le passioni. – Se la civiltà aumenta il numero dei bi-
sogni, aumenta anche i mezzi di soddisfarli con le nuove
invenzioni e con la facilità delle communicazioni.
La prostituzione ed il sistema penitenziario delle pri-
gioni contribuiscono una certa quota di alienati, – ma li
individui che vi sono suggetti erano già prima fuori della
sfera normale degli esseri, – ed il numero di questi alie-
nati è certo compensato da quello fornito dal sistema di
vita monastica, che è sì difuso nei popoli meno civili. – I
Romanzi, che qualche volta si credettero causa di aliena-
zione, non sono già opera della nostra civiltà; esistettero
in tutti i tempi ed in tutte le popolazioni; ne sian prova
le Novelle Arabe e le Novelle del Boccaccio e le Cavalle-
resche, che non cedono ai romanzi francesi per oscenità
e per inverosimiglianza; fra i Negri, negli Oceanici e fi-
no fra noi (nelle classi illetterate, negli opifici e nelle stal-
le) tengono luogo di romanzi le storie, fiabe (märchen),
che narrate e gestite innanzi a molti individui aumentano
l’effetto con l’effetto, ed eccitano le passioni, l’avidità, la

Storia d’Italia Einaudi 386


Cesare Lombroso - Genio e follia

lussuria e la paura, spesso con forza energica e contagio-


sa.
Come capitale argumento della sua teoria, offriva il
Brièrre un quadro statistico, dal quale risulterebbe che il
numero dei pazzi aumenta in ragione diretta del maggio-
re sviluppo nelle varie nazioni.
Se non che non solo quel quadro ribocca di errori, ma
nella sua inesattezza conclude precisamente il contrario.
– Napoli, p. es., secondo il suo calcolo (1 pazzo per 79
abitanti), dovrebbe essere più civile che Milano e Parigi
(1 per 222 abit.). – La Scozia e la Norvegia (1 a 550)
sarebbe più civile che la Francia (1 a 1000) e l’Italia. – La
Spagna, agitata da una guerra di mezzo secolo e guerra
civile, ha (1 ogni 7480) 7 volte meno pazzi della quieta e
feudale Germania (l a 1000) – Nel Cairo si contano soli
14 pazzi e quindi quella strana cifra di 1 pazzo su 300000
abitanti; e pure il Pruner ne avea osservati 75 solo negli
Ospedali. – Così all’Italia si assegnano 3441 pazzi, o sia
1 ogni 4879 abitanti. Ora secondo i calcoli raccolti dal
Verga, il numero ammonterebbe a più che 14610 – e il
rapporto sarebbe di 1 su 1500 abitanti.
Alla Francia si assegnano 32000 pazzi, o sia 1 su 1000
abitanti. Ora dai calcoli ben più minuti e coscienziosi
del Parchappe risultano essere 21844 ed il rapporto 1 su
1625 abitanti; il che ognun vede quanto poco differisca
dalla cifra assegnata all’Italia, anzi la differenza sarebbe
a tutto nostro vantaggio ( Des principes à suivre dans la
fondat. et construct. des Asiles, 1853).
L’unico dato logico e vero sarebbe quello dell’Inghil-
terra, alla quale, secondo Brièrre, si assegnerebbe 1 paz-
zo su 783 abitanti, e secondo il Parchappe 1 su 559. –
Che se anche tutti i calcoli fossero esatti, non perciò si
potrebbe venirne a qualche giusta conclusione, perché le
civiltà delle varie nazioni non differiscono solo di grado
o di forma – ma di elementi e d’essenza, sopratutto per

Storia d’Italia Einaudi 387


Cesare Lombroso - Genio e follia

le tendenze delle razze, le quali niun avvenimento storico


riesce a cancellare.
Così per es. mentre la Germania è nel massimo pro-
gresso quanto alla difusione e alla cultura delle scienze, si
trova ancora nello stadio del Medio-Evo quanto alla con-
dizione politica e commerciale, e le passioni sono per na-
tura meno robuste in quella razza, e le restrizioni di casta
che vi si estendono fino all’ultimo artefice – ancor più le
raffrenano.
L’Italia, in cui la cultura delle scienze è molto meno
estesa, ha passioni molto più violente. – La razza è più
civile, più antica pe’l sangue romano che circola nelle sue
vene, e niuna legge più vi distingue innanzi all’opinione
chiunque sia dotato d’ingegno od onore.
Nell’Inghilterra li estremi delle barbarie e della civiltà
si accozzano insieme – il feudalismo e la licenza, – e men-
tre la libertà d’opinione e di commercio e la concorrenza
illimitata aguzzano ed irritano alcune passioni – il fanati-
smo religioso (metodisti), l’egoismo e la naturale rozzez-
za d’una nazione storicamente pressoché barbara e mi-
sta, ve ne aguzzano dell’altre, non meno potenti e fune-
ste.
Queste differenze poi dominano non solo fra nazioni
e nazioni, ma fra le classi di ciascheduna, e mentre nella
Capitale avrai qualche pazzo per effetto della civiltà, a
due miglia di distanza ne avrai altri per effetto della
barbarie, anzi nella stessa Capitale ne avrai per effetto
dell’una e dell’altra, sol che dai palazzi tu scenda nei trivj.
Concludiamo. – La pazzia non solo si manifesta di
frequente fra i popoli barbari – ma ella vi è circondata
d’ammirazione, vi diviene un avvenimento storico – e
spesso degenera in epidemia.
La civiltà, indebolendo la forza d’imitazione nelle
masse ed il prestigio negli alienati, rende impossibile la
follia epidemica.

Storia d’Italia Einaudi 388


Cesare Lombroso - Genio e follia

Per questo riguardo si potrebbe asserire che essa ten-


da a diminuire il numero dei pazzi fornito dalla barbarie.
Impotente, e forse benigna, quanto alle cause fisiche
delle pazzie individuali, non ne accresce o, almeno assai
poco, le cause morali – essendo che se alimenta non
poche violente passioni, ne fa tacere alcune altre ed
insegna, co’l maggior dominio della ragione, a reprimerle
tutte.
Niun calcolo statistico ha potuto dimostrare che v’ab-
bia un rapporto tra lo stato civile di un popolo ed il nu-
mero dei suoi pazzi; anzi niun calcolo è possibile da que-
sto lato.
Dove veramente influisce la civiltà è nella forma della
pazzia. – La pazzia si modella sempre su l’imagine della
civiltà, in mezzo alla quale imperversa. Nei popoli bar-
bari prende la trista larva della licantropia, della mania
omicida, – di poi quella meno feroce, ma non meno fa-
tale della demonomania e della mania religiosa; – ora va
assumendo le forme gaje e dignitose della mania ambi-
ziosa; ora le scoperte o le illusioni del magnetismo, del-
l’elettricità, ecc., sostituirono le suggestioni diaboliche; i
progetti di communismo, di falansterianismo subentra-
rono ai sogni sensuali degli Anabattisti e degli Adami-
ti. Se la mania non cangiò di essenza, perché una nevro-
si non può essere che una nevrosi, ella nobilitò di forme
e rese l’uomo alienato quasi meno indegno dell’uomo di
mente sana.
Non pochi mi biasimano, perché studiando i fattori
del genio, poco mi sono fermato sull’influenza della ci-
viltà e delle circostanze storiche.
Non è già che io non le ammetta, ma esse spesso sono
state esagerate.
Sono l’effetto della beccata che dà il pulcino al guscio,
non è lo spermatozoo che determina l’embrione. Noi ve-
diamo che Firenze, ai tempi delle agitazioni repubblica-
ne, diede il massimo della genialità italiana; ma agitazioni

Storia d’Italia Einaudi 389


Cesare Lombroso - Genio e follia

molto simili nell’America del Sud, e anche in parte nella


guerra degli Stati Uniti, in Francia nel 1789, non ci for-
nirono grandi uomini, ma solo uomini utili in quelle cir-
costanze, e che passarono per grandi più pei vantaggi re-
cati che per una grande potenza psichica. Non rare volte
parve l’occasione aver dato luogo allo sviluppo del genio.
Così, per un rimprovero che Muzio Scevola fece a Ser-
vio Sulpizio di ignorare le leggi del proprio paese, som-
ma vergogna per un oratore e per un patrizio, quest’ulti-
mo divenne un grande giureconsulto.
Spesso i tagliatori di pietre, da lavoranti nelle cave in-
torno a Firenze, sin dai più felici tempi della Repubbli-
ca, riuscivano scultori di vive figure, quali Mino da Fie-
sole, Desiderio da Settignano e il Cronaca. E Giovanni
Brown, scalpellino, datosi a studiare i fossili delle pietre
che picchiava, riuscì uno de’ più vantati geologi.
Andrea del Castagno, stando a guardia degli armenti
nel Mugello, rifugiatosi un giorno dal diluviar della piog-
gia entro una cappelletta ove un imbianchino stava scom-
biccherando una Madonna, si sentì attratto ad imitarlo;
cominciò col carbone a disegnar figure dappertutto, e si
acquistò fama tra i paesani; poi da Bernardino de’ Medici
posto a studiare, riuscì pittore insigne.
Vespasiano da Bisticci, libraio o cartolaio a Firenze,
dovendo pel suo negozio maneggiare libri molti e aver
che fare con uomini di lettere, lo divenne egli stesso.
A rendere però probabile che l’occasione fosse solo
la determinante, l’ultima goccia che fece traboccare il
vaso, il quale sarebbe ugualmente traboccato più tardi,
giovano i casi più numerosi in cui il genio manifestossi
malgrado le occasioni avverse. Basti ricordare Boccaccio,
Goldoni, Muratori, Leopardi, Ascoli, Cellini, Cavour,
Petrarca, Metastasio (sarto), e Socrate, obbligato a fare
lo scalpellino, come Spinoza l’occhialaio.
È vecchia l’osservazione:

Storia d’Italia Einaudi 390


Cesare Lombroso - Genio e follia

A cui natura non lo volle dire,


Nol dirian mille Ateni e mille Rome.

Le circostanze, dunque, e lo stato di civiltà fanno


accettare e tollerare i genii e le loro scoperte, che in
altre condizioni sarebbero passate inosservate o derise,
e, peggio, perseguitate.
Dunque non è la civiltà che sia causa dei genii e
delle scoperte; ma essa determina la uscita, lo sviluppo
dell’embrione, o meglio, ne determina l’accettazione.
Quindi è probabile che de’ genii sieno comparsi in tutte
le epoche, in tutti i paesi, ma come, grazie alla lotta
per l’esistenza, una quantità di esseri non nasce che
per soccombere, invendicata, preda dei più forti, così
moltissimi di quei genii, quando non trovarono l’epoca
favorevole, restarono ignorati, o misconosciuti, o peggio,
anzi, puniti.
E se vi hanno civiltà che aiutano, ve ne hanno anche
di quelle che danneggiano la produzione dei genii; per
esempio in Italia, dove la civiltà è più antica, e dove se
ne rinnovarono parecchie, una più forte dell’altra, ivi,
se la tempra del popolo è più aperta, in genere tutto il
mondo colto è più restìo ad ogni novità ed innamorato
e quasi incatenato nell’adorazione del vecchio. Invece,
dove la civiltà è più recente e dove dominò finora la
barbarie, come in Russia, le idee nuove si accolgono con
vero furore.
Quando il ripetersi della stessa osservazione ha reso
meno ostica l’accettazione dei nuovi veri o quando la
necessità rende utili, anche necessari, un dato uomo od
una data scoperta, si accetta e si finisce poi col portarla
all’altare.
Il pubblico che vede la coincidenza tra una data civil-
tà, ed il manifestarsi del genio, crede che l’una dipenda
dall’altra, confonde la leggera influenza nel determina-
re lo sgusciamento del pulcino con la fecondazione che

Storia d’Italia Einaudi 391


Cesare Lombroso - Genio e follia

rimonta invece alla razza, alla meteora, alla nutrizione,


ecc.
E non è a dire che ciò non accada nei nostri tempi;
l’ipnotismo è lì per dimostrare quante volte, anche quasi
sotto i nostri occhi, si rinnovò, e fu presa per nuova, una
sempre uguale scoperta.
Ogni età è immatura egualmente per le scoperte che
non avevano, od avevano pochi precedenti: e quando
è immatura, è nell’incapacità di accorgersi della propria
inettudine ad adottarle. Il ripetersi della stessa scoperta,
preparando il cervello a subirne l’impressione, trova man
mano sempre meno riluttanti gli animi ad adottarla. Per
sedici o venti anni in Italia si è creduto pazzo dalle mi-
gliori autorità chi scopriva la pellagrozeina; ancora ades-
so il mondo accademico ride dell’antropologia crimina-
le, ride dell’ipnotismo, ride dell’omeopatia; chi sa che io
ed i miei amici che ridiamo dello spiritismo, non siamo
in errore; poiché noi siamo, appunto come gli ipnotizza-
ti, grazie al misoneismo che in tutti noi cova, nell’impos-
sibilità d’accorgerci di essere nell’errore, e proprio come
molti alienati, essendo noi al buio del vero, ridiamo di
quelli che non lo sono.
Civiltà Fra i tanti problemi sociali, uno desta più il
desiderio di una soluzione sicura e precisa: quello della
influenza che esercita la civiltà sul delitto e sulla pazzia.
Se noi ci atteniamo alle nude cifre, ceno il problema
par bello e risolto, perché esse ci mostrano un aumento
nel numero dei delitti e delle pazzie, quasi per ogni an-
no che corre, aumento sproporzionato a quello della po-
polazione. – Ma molto opportunamente il Messedaglia
fa, in proposito, riflettere la grande probabilità di errore
cui va incontro chi voglia risolvere, su semplici dati nu-
merici, problemi complessi, in cui entrano parecchi fat-
tori ad un tempo. Potrebbe, infatti, il maggiore aumen-
to, così dei reati come delle pazzie, spiegarsi per le modi-
ficazioni delle leggi civili e penali, per una maggiore faci-

Storia d’Italia Einaudi 392


Cesare Lombroso - Genio e follia

lità alla denuncia ed al ricovero, specialmente dei pazzi,


vagabondi e minorenni, e per una maggiore attività della
polizia.
Una cosa par certa [...], che la civiltà abbia la sua, co-
me ben la chiama il Messedaglia, criminalità specifica, ed
una n’abbia, a sua volta, la barbarie. Questa, ottunden-
do la sensibilità morale, scemando il ribrezzo agli omi-
cidi – ammirati spesso come atti d’eroe – considerando
la vendetta un dovere, diritto la forza, aumenta i delitti
di sangue, le associazioni dei malfattori, come fra i pazzi
le manie religiose, la demonomania, le follie di imitazio-
ne. Ma i legami domestici sonvi molto più forti, l’eccita-
mento sessuale, le smanie dell’ambizione assai minori, e
quindi molto meno frequenti i parricidî, gl’infanticidî ed
i furti.
I tipi di civiltà che l’uomo ha finora creato – scrive-
va Guglielmo Ferrero – sono due: la civiltà a tipo di vio-
lenza, e la civiltà a tipo di frode. L’una e l’altra differi-
scono fondamentalmente per la forma che assume in es-
se la lotta per l’esistenza. Nella civiltà a tipo di violen-
za, la primitiva, la lotta per la vita si combatte essenzial-
mente con la forza: il potere politico e la ricchezza sono
conquistati con le armi, sia a danno dei popoli stranieri,
sia a danno dei concittadini più deboli: la concorrenza
commerciale tra un popolo e l’altro è combattuta sopra-
tutto con gli eserciti e le flotte, cioè con l’espulsione vio-
lenta degli antagonisti dai mercati che si vogliono sfrut-
tare comodamente da soli; le liti giudiziarie sono risolute
col duello. Nella civiltà a tipo di frode, la lotta per l’esi-
stenza è combattuta invece con l’astuzia e con l’inganno;
ai duelli giudiziari subentra la guerra di cavilli e di raggi-
ri degli avvocati; il potere politico è conquistato non più
con gli scudi di ferro, ma con gli scudi d’argento; il dana-
ro è attirato dalle tasche altrui con frodi e con malìe mi-
steriose come i giuochi di borsa; la guerra commerciale è
combattuta con il perfezionamento dei mezzi di produ-

Storia d’Italia Einaudi 393


Cesare Lombroso - Genio e follia

zione e più ancora dei mezzi di inganno, vale a dire con


abili falsificazioni che diano al compratore l’illusione del
buon mercato128 .
Alla civiltà del primo tipo appartengono od apparten-
nero la Corsica, in parte la Sardegna, il Montenegro, le
città italiane del Medio-Evo, e in genere quasi tutte le ci-
viltà primitive. Alla seconda invece appartengono tutti
i popoli civili moderni, quelli cioè in cui il regime capi-
talistico borghese si è interamente sviluppato in tutte le
parti del suo organismo.
La distinzione fra i due tipi – però – non è così assoluta
nella realtà come nella teoria, perché talora nel seno di
una stessa società si mescolano alcuni caratteri di un tipo
e alcuni dell’altro.
E poiché la patologia segue anche nel campo sociale
identico processo della fisiologia, noi ritroviamo questi
due mezzi di lotta anche nella criminalità.
Che la civiltà non possa fare di più, che essa non
possa altro che cambiare l’indole, e forse accrescere il
numero dei delitti, per quanto spiacevole, sarà facile a
comprendersi, da chi ha veduto, quanto poco giovi alla
difesa e quanto più all’offesa la progredita istruzione.
Ed alle ragioni toccate qui, vanno aggiunte altre di
ordine diverso.
La civiltà, grazie alle ferrovie, alle concentrazioni bu-
rocratiche, commerciali, ecc., tende sempre ad ingrandi-
re i grossi centri, ed a popolare sempre più i capo-luoghi.
E, come è noto, è in questi, che si condensa la maggior
parte dei delinquenti abituali. Questo malaugurato con-
corso si spiega per i maggiori profitti o le maggiori im-
munità che offrono ai rei i grandi centri. Ma questa cau-
sa non può esser la sola, pecche se nella capitale è mino-
re la vigilanza, più attiva e concentrata è la repressione, e
se vi sono maggiori incentivi alle seduzioni, si aprono an-
che più larghe le vie al lavoro. Io credo vi agisca un’altra,

Storia d’Italia Einaudi 394


Cesare Lombroso - Genio e follia

un’influenza più potente di tutte, quella dell’agglomero,


il quale spinge da per se solo al delitto od all’immoralità.
La civiltà introduce ogni giorno nuovi reati, meno
atroci degli antichi, ma non meno dannosi. Così a Lon-
dra, il ladro alla violenza sostituisce l’astuzia; agli scassi,
i furti alla pesca; alle scalate, i ricatti e le truffe col mezzo
della stampa ( Quart. rev., 1871). L’omicidio allo scopo
di approfittare dei diritti d’assicurazione è un esempio di
una nuova forma di delitto commesso, in ispecie, da me-
dici, che trova pur troppo incremento nelle nuove cogni-
zioni scientifiche: così la nozione che i sintomi del colera
sono simili a quelli dell’avvelenamento per acido arsenio-
so, suggerì a due medici l’idea di avvelenare, dopo assi-
curatili, molti clienti, durante l’epidemia colerica a Mag-
deburg ed a Monaco (Pettenkoffer, Theorie des Cholera,
1871).
A Vienna si creò il nuovo crimine, detto Kratze, che
consiste nell’appropriazione di merci fatte spedire a ditte
immaginarie ( Rundschau, Wien, 1876).
Gli anarchici misero di moda la dinamite contro edifi-
ci e persone.
Or ora a Chicago si è introdotto l’ assommoir elettrico
e le piccole torpedini che messe in tasca alle vittime le
fulminano emettono a brani.
La civiltà, rallentando i vincoli della famiglia, non solo
aumenta i trovatelli, che sono semenzai di delinquenti,
ma anche l’abbandono degli adulti, e gli stupri, egli
infanticidi.
Finalmente le condizioni speciali in cui si sviluppa la
grande civiltà nordamericana fanno sì che anche per i
bianchi si possano avere attualmente affratellati e molti-
plicati i danni della massima civiltà e della massima bar-
barie, in cui la violenza è la regola.
I tipi, infatti, di civiltà dei popoli Arii sono due. In
quella a tipo di violenza, in cui la lotta per la vita si
combatte con la forza, il potere politico e la ricchezza

Storia d’Italia Einaudi 395


Cesare Lombroso - Genio e follia

si sono conquistati e mantenuti con le armi a danno dei


deboli, e come la concorrenza fra un popolo antico e
l’altro era combattuta con gli eserciti, così qui è tolta
di mezzo con l’espulsione violenta degli antagonisti dai
mercati e le liti giudiziarie sono prevenute o risolte col
coltello.
Il brigantaggio è una specie di adattamento natura-
le alle condizioni infelici di un popolo mal governato.
Quando la polizia non riesce a difendervi dai briganti,
quando la giustizia, pesando sui deboli, chiude gli occhi
sui forti, allora il brigantaggio come la camorra sono una
specie di adattamento alla vita consona alle tristi condi-
zioni, il brigantaggio diventa una specie di selvaggia giu-
stizia, di selvaggia polizia che si sostituisce alla polizia e
alla giustizia civile mancante.
Così al tempo della servitù in Russia il mugik non
aveva altra difesa dalle sofferenze continue inflitte dai
suoi padroni che l’omicidio, sicché non v’era famiglia
grande di Russia che non contasse un assassinato fra i
suoi membri.
«I cafoni – diceva il Govone alla Commissione d’in-
chiesta dell’Italia del Sud – veggono nei briganti i vindici
dei torti che la società loro infligge».
«Abbiamo – scriveva il Franchetti – una classe di
contadini quasi servi della gleba e un gruppo di persone
che si ritiene quasi superiore alla legge, cosicché l’altra,
che ritiene la legge inefficace, ha preso la consuetudine
di farsi giustizia da sé».
S’aggiungano i pregiudizi selvaggi, per cui chi non si
vendica di un insulto non è uomo, per cui la dignità virile
impone di farsi giustizia da sé e non mai col mezzo del
Governo, per cui la violenza è una virtù. Ancora pochi
anni fa, una popolana romana non avrebbe sposato uno,
cui non fosse mai uscito di tasca il coltello, ne lo sposo
avrebbe aiutato mai il Governo a metter le mani su un
ladro o su un assassino. L’ucciderà egli stesso, o lo

Storia d’Italia Einaudi 396


Cesare Lombroso - Genio e follia

lascierà andare come cosa che non lo tocca; ma non


vorrà mai attestare se l’abbia veduto assassinare un altro
(Gabelli).
Mancando il concetto vero della morale ed essendo
scemata la distanza fra lo strato equivoco del popolo e
quello onesto, è naturale che il malandrino trovi facil-
mente un complice fra quei contadini e anche fra quei
proprietari che riguardano il delitto come una nuova spe-
cie di speculazione e il brigante come un nuovo strumen-
to per imporre ricatti, falsare testamenti, acquistare pre-
dominio sui concittadini e fra quelli cui la denuncia pa-
re più immorale dell’omicidio, sicché si son veduti anche
moribondi dissimulare il nome dei loro feritori.
L’altro tipo di civiltà, più moderno, tende, con gli uf-
fici governativi, universitari e fin con le Opere pie, gli
ospedali, le Lodging Houses, a disertare i piccoli centri e
a popolare sempre più i capiluoghi, dove si concentrano
sempre più i criminali per i maggiori profitti e la mag-
giore impunità e perché l’agglomeramento spinge di per
sé solo al delitto ed all’immoralità, come può vedere chi
studia sé stesso e i propri amici nell’ambiente domestico,
poi nei clubs e nelle assemblee.
In questa civiltà la lotta per l’esistenza è combattuta
con l’astuzia e con gl’inganni: ai duelli subentrano i
cavilli degli avvocati, il potere politico è conquistato
noli più con le armi, ma col denaro, e questo è attirato
dalle borse altrui con frodi ufficiali e con giuochi di
borsa, e la guerra commerciale è combattuta non solo
col perfezionamento dei mezzi di produzione, ma anche
cogli inganni e con le falsificazioni, che diano l’illusione
del buon mercato.
A ciascuno di questi tipi di civiltà corrisponde un tipo
di criminalità: alla civiltà a tipo di violenza corrisponde
una criminalità atavica, con cui si ritorna ai tempi primi-
tivi. La barbarie, ottundendo la sensibilità morale e sce-
mando il ribrezzo degli omicidî, considerati anzi spes-

Storia d’Italia Einaudi 397


Cesare Lombroso - Genio e follia

so come atti eroici, stimando la vendetta come un vele-


no, come un diritto la forza, aumenta i delitti di sangue
e le associazioni dei malfattori; considerando più forti i
legami domestici, rende minori gl’infanticidî e i parrici-
dî; avendo minore la smania dell’ambizione e del sesso,
diminuisce i furti e gli stupri.
Nella civiltà avanzata la nostra coltura introduce nuo-
ve forme di reato, come l’omicidio a scopo di godersi
l’assicurazione, l’uccisione coll’acido arsenioso nei tempi
di colèra; ed è in America che si è inventato di adoperare
piccole bombe in diciottesimo, che si pongono in tasca
alle vittime, fattene subito a brani; e gli anarchici misero
di moda la dinamite contro gli edifici e contro le perso-
ne; e in Chicago l’assommoir elettrico, piccolo congegno
che, applicato al fronte della vittima, la paralizza con una
fortissima scarica elettrica.
La civiltà, rallentando i vincoli della famiglia, non
solo aumenta il numero dei trovatelli, che sono semenzai
di delinquenti, ma anche l’abbandono degli adulti, gli
stupri e gli infanticidî.
Le leggi politiche, le nuove forme di governo, la stam-
pa più diffusa favoriscono la formazione di sodalizi, in
cui, all’impresa amministrativa o di mutuo soccorso, s’in-
filtra la politica, ottenendo così l’impunità, come a New
York e a San Francisco, dove alcuni Reng giunsero al
punto di commettere delitti e farli legittimare dai giudi-
ci da loro stessi eletti. Questi due tipi di criminalità, co-
me i due tipi di civiltà, si trovano negli Stati Uniti come
nell’Italia del Nord e del Sud.

2
Influssi naturali ed etnici

Una serie di indagini, minuziose, condotte per tre anni


di seguito nella mia clinica129 , mi ha dimostrato, con si-

Storia d’Italia Einaudi 398


Cesare Lombroso - Genio e follia

curezza matematica, come la psiche degli alienati si mo-


difichi in modo costante sotto all’influenze barometriche
e termometriche. Quando cioè la temperatura s’innalza-
va sopra 25°, 30° e 32° cent., massime se tutto d’un trat-
to il numero degli accessi maniaci, da 29 cresceva a 50;
nei giorni in cui il barometro segnava brusche variazio-
ni – massime di elevazione – la cifra degli accessi maniaci
aumentava rapidamente da 34 a 46.
Or bene una influenza, affatto analoga, si nota in co-
loro, a cui, una, non so se benigna o maligna, natura con-
cesse, in più generosa copia, la potenza dell’intelletto. –
Pochi v’hanno fra questi che non confessino come il lo-
ro estro sia singolarmente soggetto alle influenze meteo-
riche. – Chi li avvicina o chi legge le loro corrisponden-
ze s’accorge, anzi, che le subiscono, che le soffrono tan-
to, d’aver bisogno, e sovente, di farne, loro malgrado,
non chieste lamentele, o di lottare, qualche volta, corpo
a corpo, con congegni speciali contro quelle influenze
per disarmarle, per togliere il maligno influsso che smez-
za o impastoia il libero volo della loro mente. Montaigne
scrisse: Si ma santé me sid et la clarté d’un beau jour, me
voylà honnête homme. Diderot diceva: Il me semble que
j’ai l’esprit fou dans les grands vents.
Maine de Biran, il filosofo spiritualista per eccellenza,
scrive nel suo Jour. de ma vie intime: «Non so compren-
dere come nei giorni di cattivo tempo io mi senta l’intel-
ligenza e la volontà affatto diverse che nei giorni sereni».
Alfieri «io mi confronto» dettava «con un barometro.
Trovai sempre maggiore o minore facilità al comporre,
secondo il peso dell’aria, stupidità totale nei grandi venti
solstizi ali ed equinoziali, ed una infinitamente minore
perspicacia di sera che di mattina, e attitudine a inventare
nel sommo inverno e nel sommo estate, più che non nelle
stagioni di mezzo; ciò mi fece umile, essendo pienamente
convinto che non era quasi in me il poter in quei tempi
fare altrimenti».

Storia d’Italia Einaudi 399


Cesare Lombroso - Genio e follia

Tutto questo ci fa intravedere già un’influenza notevo-


le del barometro, e molta analogia a quella trovata per le
alienazioni. Ma ben più chiara ed evidente riesce quella
del termometro. Napoleone che aveva detto, esser l’uo-
mo un frutto dell’atmosfera fisica e della morale, Napo-
leone, che soffriva ad ogni minimo vento, amava così il
caldo, che faceva accendere il fuoco anche nel mese di
luglio; Voltaire pure riscaldava il suo gabinetto in tutte
le stagioni; Rousseau diceva che l’azione del sole in cani-
cola gli giovava a comporre, e se ’l lasciava dardeggiare
sul capo in pieno meriggio.
Chi ben considera questa prepotente influenza della
pressione atmosferica e del calore sulla produzione de-
gli uomini di genio, comprende subito come quelle con-
dizioni atmosferiche di tanto influiscano anche sulla loro
genesi.
È innegabile che la razza (per esempio da noi dove la
razza latina e la greca più abbonda di grandi uomini),
che le condizioni politiche e scientifiche come i centri
letterarî, che molte altre circostanze poste ora a carico
del fato, ora della provvidenza, abbiano una gran parte
nella comparsa degli uomini di genio; ma egli è pure
indubitato che la più grande spetta sempre all’aria ed al
clima.
Per convincersene basta porre a confronto il risultato
delle leve, in Italia, in questi ultimi anni; si vede, subito,
che i paesi che appunto per la bontà del loro clima
forniscono il maggior numero di alte stature ed il minore
di riforme, sono quelli che più abbondarono di uomini
di grande ingegno, come Toscana e Romagna.
Invece le terre che più scarseggiano di uomini alti e
validi alla milizia, Sardegna, Calabria e valle d’Aosta,
offrono pure un numero esiguo di uomini di genio.
Questa coincidenza fu presentita già da un pezzo dal
popolo e dai dotti, tutti d’accordo ad ammettere la fre-

Storia d’Italia Einaudi 400


Cesare Lombroso - Genio e follia

quenza della produzione degli uomini di genio ne’ paesi,


che essendo montuosi offrono una temperatura mite.
Uno studio su 23602 pazzi mi dimostrò che lo svi-
luppo dell’alienazione mentale coincide, generalmente,
coll’aumento mensile della temperatura, presentando un
curioso parallelismo, solo che anche qui il calore primo
agisce pel contrasto ancor più del calore intenso; e il ca-
lore ormai abituale dell’agosto riesce assai meno funesto;
e notandosi infine il minimo dei nuovi alienati: per esem-
pio, nei mesi più freddi:
Giugno pazzi 2701 – calore 21° 29
Maggio » 2642 – » 16° 75
Luglio » 2614 – » 23° 75
Agosto » 2261 – » 21° 92
Aprile » 2237 – » 16° 12
Marzo » 1829 – » 6° 60
Ottobre » 1637 – » 12° 77
Settembre » 1604 – » 19° 00
Dicembre » 1529 – » 1° 01
Febbraio » 1490 – » 5° 73
Gennaio » 1476 – » 1° 63
Novembre » 1452 – » 7° 17

E meglio ciò si vede nelle statistiche francesi pubblica-


te da Quetelet, perché l’entrata dei pazzi è men ritardata
dalle pastoie burocratiche.
Or bene, una influenza affatto analoga nota in coloro,
a cui una, non so se benigna o maligna natura, conces-
se, in più generosa copia, la potenza dell’intelletto. – Po-
chi v’hanno, fra questi, che non confessino essere il lo-
ro estro stranamente soggetto alle influenze meteoriche.
Chi li avvicina o chi legge le loro corrispondenze, s’ac-
corge tosto che le subiscono, le soffrono tanto, d’aver bi-
sogno, e sovente di farne, loro malgrado, non chieste la-
mentele, o di lottare, qualche volta, corpo a corpo, con

Storia d’Italia Einaudi 401


Cesare Lombroso - Genio e follia

congegni speciali, per disarmarle, per scemare, almeno,


il maligno influsso che smezza o impastoia il libero volo
della loro mente.
I paesi che diedero maggior numero di musici dopo
l’Italia sarebbero il Belgio, la Germania, la Francia e
l’Olanda; il minimo sarebbe offerto dalla Svezia, Russia,
Irlanda e Spagna. L’influenza del clima vulcanico e della
razza latina non appare ben chiara, se si badi alla scarsa
quota della Spagna, ed alla grande della Germania e
dell’Olanda.
Però, venendo a studiarne la diffusione in Italia nelle
varie regioni, troviamo emergere immediatamente le più
calde, non insulari, il Veneto e l’Emilia (200 per un milio-
ne d’abit.); spicca notevolmente la scarsezza del Piemon-
te, Marche ed Umbria, e l’assenza completa della Sar-
degna; ma benché le cifre sieno maggiori, pure non mi
sembrano poter dare un’idea abbastanza chiara delle in-
fluenze orografiche quanto quella per provincia; in que-
sta spiccano in modo singolare i centri più grossi, tutte
quasi le regioni con città capitali, tranne le Piemontesi,
Sarde e Siciliane; cioè Venezia, Napoli, Bologna, Roma,
Lucca, Parma, Firenze, Milano, Ferrara, Modena: evi-
dentemente i paesi più salubri, più caldi e marini, specie
se colligiani; lottando spesso quest’influenza con quella
della civiltà e dei grandi agglomeri, prevalendo con 6 su
10 le città capitali. Ed infatti, in seconda linea dopo que-
ste si vedono emergere altre città capitali o grandi centri
marini, laghigiani o vulcanici: Mantova, Verona, Cremo-
na, Reggio E., Piacenza, Siena, Pisa, Ravenna, Bergamo,
Pesaro, Brescia.
L’influenza etnica, qui, già s’intravvede: evidentemen-
te la razza berbera e semita non pare favorisca l’arte, spe-
cie nei paesi più caldi, dal che solo spiegherebbesi la scar-
sezza dei maestri fra i Sardi, Calabresi, Siciliani.
Invece la razza greco-romana ed etrusca parrebbe più
fortunata, donde la prevalenza di Napoli, Bologna, Ro-

Storia d’Italia Einaudi 402


Cesare Lombroso - Genio e follia

ma, Lucca, Firenze; donde quel fiorire in provincie co-


me Modena, Ferrara, Mantova, dove ne clima, ne condi-
zioni sociali favoriscono l’arte. Ed ora una carta del Bel-
lio (v.s.) dimostra che la maggior frequenza degli artisti
corrisponde alla carta della razza etrusca.
L’azione dei terremoti e vulcani, che, secondo Buc-
kle, dovrebbe avere tanta parte nella creazione dell’ar-
te, è sempre poco spiccata. Che se Napoli, ed Aversa in
ispecie, sono primeggianti (e la razza ed il clima lo spie-
gano senz’altro), nol sono le Calabrie, che pur tanto ne
furono flagellate dai terremoti.
Grandi maestri E non sempre la quantità risponde
all’eccellenza; e basti dire che per numero di maestri le
patrie del Bellini e del Rossigni sembrerebbero le più
sterili nell’arte musicale, eppure la creazione di un solo
di questi genii, vale per centinaia di musici mediocri, che
formano la folla, ma una folla anonima e ingloriosa.
Tenendo nota della distribuzione speciale dei grandi
maestri, vediamo essere i paesi caldi, marini, e ancora,
specialmente Napoli, i più prediletti, a cui seguono Ro-
ma, Parma, Milano e Cremona. Qui (in 3 su 5) l’influen-
za dell’agglomero, della scuola, viene in terza linea – do-
po quella del clima.
Così spogliando il Clement, Les musicicns célèbres,
1868 e Florimo, La scuola musicale di Napoli, 1883, tro-
vo che su 118 grandi maestri, 44, più che il terzo, toc-
ca all’Italia – e che di questi ultimi, più della metà, 27,
sono dati dalla Sicilia (Scarlatti, Pacini, Bellini) e da Na-
poli e suoi dintorni, Aversa in ispecie (Jomelli, Stradel-
la, Piccinni, Leo, Feo, Vinci, l’inventore delle opere buf-
fe Fenaroli, Speranza, Contumaci, Sala, Caffaro, Duni,
Sacchini, Carafa, Paisiello, Cimarosa, Zingarelli, Merca-
dante, Traeta, Durante, i due Ricci e Petrella) evidente-
mente grazie alla razza greca e al clima tepido. Degli altri
17, pochi appartengono all’Alta Italia: Donizetti, Verdi,
Allegri, Frescobaldi, i due Monteverdi, Salieri, Marcello,

Storia d’Italia Einaudi 403


Cesare Lombroso - Genio e follia

Paganini (questi 3 di plaga marina); gli altri tutti all’Italia


centrale: Roma (Palestrina, Clementi), Perugia e Firenze
(Spontini, Lulli, Pergolesi)130 .
Confrontando, come nelle Tavole geografiche qui an-
nesse [...], i paesi che diedero i più grandi maestri di mu-
sica, e relativamente minor numero dei mediocri, van-
no contati Pesaro, Catania, Arezzo, Alessandria. Coinci-
de il maggior numero di numerose mediocrità e di genii
musicali a Napoli, Roma, Parma, Firenze, Milano, Cre-
mona, Venezia, con prevalenza evidentemente anche qui
dei climi caldi o marini, della razza greco-etrusca e dei
grandi centri (5 su 7).
Quanto alla pittura vediamo prevalere tanto per le ce-
lebrità, come pel numero, le capitali tutte, tranne in Sar-
degna e Sicilia; Bologna, Venezia, Ferrara, Siena, Firenze
eccellendo pel numero, e, in seconda linea, Pesaro, Mo-
dena per ambedue; anche qui, dopo le capitali, i paesi
colligiani e laghigiani dànno cifre elevate pel numero dei
pittori, e basti il ricordare Siena, Verona, Parma, Arezzo,
Perugia, Brescia, Vicenza, Udine.
Presso a poco lo stesso vale per gli scultori e per gli ar-
chitetti, in cui pure emersero i grandi centri civili e so-
pratutto i paesi di collina, e con laghi o mari, Firenze in
ispecie, Milano, Venezia, Napoli, Como, Siena, Verona,
Massa, e in terza linea Arezzo, Perugia, Bologna, Vicen-
za, Bergamo, Macerata, Catania e Palermo.
[...] Troviamo che eccelsero i paesi caldi, i centri di
grandi civiltà, i colligiani e marini con qualche influenza
della razza etrusca e greca; che non v’è un rapporto co-
stante tra i paesi che diedero grandi genii e quelli che die-
dero maggior numero di cultori mediocri, tranne a Na-
poli e Firenze, nella quale ultima pare influissero la sto-
ria del Comune che suscitava e fecondava le forze indivi-
duali, la razza così artistica e la bellezza del clima, come
un tempo Atene; certo nella pittura e nella scultura essa
ha un incontestabile primato, e basti il ricordare Dona-

Storia d’Italia Einaudi 404


Cesare Lombroso - Genio e follia

tello, Michelangelo, Verrucchio, Baldinelli, Coccini, Cel-


lini, Ammannato, Giotto, Masaccio, Andrea del Sarto,
Salviati, Allori, Dello, Bronzino, Guido da Siena, Nello,
Bernardo, Pollaiolo, Stefano Fiorentino, Frate Angelico,
Cherubini, Lulli.
Influenza orografica Evidentemente dopo il caldo e i
grandi centri un’influenza speciale è data dalla minor
pressione dell’aria, dai paesi colligiani o non troppo ele-
vatamente montani.
E certo quest’influenza meteorica aiuta a spiegare per-
ché sulle montagne toscane, nel Pistoiese, in ispecie in
quel di Buti, di Valdontani, si trovino fra i pastori e con-
tadini tanti poeti e improvvisatori in ispecie, fin nelle
donne, e basti per tutti quella pastora citata dal Giuliani
Sulla lingua parlata in Toscana, e quella singolarissima fa-
miglia Frediani, con un padre, nonni e figli poeti, fra cui
uno tuttor vivo che detta versi degni dei vecchi e grandi
Toscani; eppure i contadini della stessa razza che abitano
il piano non hanno offerto, ch’io sappia, nulla di simile.
Tutti i paesi di rasa pianura, il Belgio e l’Olanda, e
quelli che, per essere incassati fra troppo elevate monta-
gne, hanno endemico gozzo e cretinesimo, come la Sviz-
zera, Aosta, Savoia, difettano di uomini di genio, ma più
ancora poi ne scarseggiano i paesi paludosi e maremma-
ni: i pochi genii che conta la Svizzera vi nacquero quan-
do la razza e l’innesto climatico vinsero l’influenza gozzi-
gena, cioè da emigrati francesi od italiani, Bonnet, De la
Rive, Rousseau, Tronchin, Tissot, De Candolle e Burla-
maqui.
Urbino, Pesaro, Forlì, Como, Parma, hanno dato uo-
mini di genio di maggior numero e fama che non Pisa,
Padova e Pavia, tre fra le prime e più antiche città uni-
versitarie d’Italia; e basti citare Raffaello, Bramante, Ros-
sini, Morgagni, Spallanzani, Muratori, Falloppio, Volta,
Plinio.

Storia d’Italia Einaudi 405


Cesare Lombroso - Genio e follia

Ma per venire ad esempi un po’ più minuti, noi ve-


diamo Firenze, la città mite di temperatura, ma colligia-
na per eccellenza, aver fornito all’Italia la più splendi-
da coorte de’ suoi grandi, e basti citare Dante, Giotto,
Machiavelli, Lulli, Leonardo, Brunellesco, Guicciardini,
Cellini, Beato Angelico, Andrea del Sarto, Nicolini, Cap-
poni, Vespucci, Viviani, Lippi, Boccaccio, Alberti, Dati,
Alemanni, Ruccellai, Ghirlandaio, Donati.
Invece Pisa, che è in condizioni scientifiche per lo me-
no sì favorevoli come Firenze, essendo sede di una fio-
rente università, non offerse (eccezione fatta di qualche
guerriero e politico, e non in sì gran numero e vaglia co-
me a Firenze, e prova ne sia la sua caduta malgrado i po-
tenti alleati), Pisa, dico, non offerse di uomini grandi che
Nicola Pisano, Giunta e quel Galileo, che ben nacque a
Pisa, ma da parenti fiorentini. Ora Pisa differisce da Fi-
renze soltanto per la sua posizione pianigiana.
Noi già vedemmo come la montanina Arezzo fosse
ricca di genii, essa che ci diede Michelangelo, Petrarca,
Guittone, Guido Reni, Redi, Accolti, Vasari ed i tre Are-
tini. Tra Asti che ha Alfieri, Oggero, S. Brunone, Belli,
Natta, Gualtieri e la Cotta, e Solari, e Allione Giorgio e
Ventura; Alessandria può appena opporre Meruda, Ben-
cio dei Guaschi, Clario; e Casale: Bellano e Della Rove-
re, mentre la colligiana Torino si gloria giustamente di
Rolando, Caluso, Gioberti, Balbo, Beretta, Marocchetti,
Lagrange, Bogino e Cavour131 .
Spiegazione Tutto ciò non vuol dire altro se non che il
genio non alligna in paesi di aria malsana.
Questa coincidenza quasi completa del genio col cli-
ma fu presentita già da un pezzo dal popolo e dai dotti,
tutti d’accordo nell’ammettere la frequenza degli uomi-
ni di genio nei paesi, che essendo colligiani offrano una
temperatura mite. Il proverbio toscano dice: Montani-
ni, scarpe grosse e cervelli fini. Il Vegezio, libro I, cap.
II, lasciò scritto: «Plaga coeli non solum ad robur cor-

Storia d’Italia Einaudi 406


Cesare Lombroso - Genio e follia

porum sed etiam animorum facit». Il clima influisce non


solo sulla robustezza dei corpi, ma sì bene anche negli
animi. «Atene, egli continua, fu scelta da Minerva, per la
sua aria sottile, che vi fa nascere uomini prudenti». An-
che Cicerone più volte ripete come ad Atene, in cui spi-
ra l’aria tenue, nascessero uomini saggi, e torbidi a Te-
be dall’aria grossa; e Petrarca nell’ Epistolario, in quella
specie di riassunto che ci lasciò di sua vita, fa, con mol-
ta insistenza notare, come tutti i suoi capolavori fossero
dettati, od almeno immaginati, in quei suoi ameni colli
di Val Chiusa. – Michelangelo diceva al Vasari: «Gior-
gio, se io nulla ho di buono dal mio ingegno, egli è ve-
nuto dalla sottile aria del vostro paese d’Arezzo» (Vasa-
ri, Vita, p. 29). Zingarelli, a chi gli chiedeva come aves-
se composta la melodia della Giulietta e Romeo: «Guar-
date questo cielo e ditemi se non vi sentite capace di far
altrettanto» (Florimo, op. cit.).
Sulle prime, certo, stona il fatto che una degenerazio-
ne eccella dove vi è il massimo della salubrità, ma oltre-
ché come vi sono i microbi anerobi ve ne sono anche di
aerobi, oltre che molte degenerazioni hanno un terreno
speciale, come la gozzigena, la malaria e la lebbra; qui
è evidente che si deve contare coll’azione speciale dina-
mogena della luce e dell’aria eccitante, ozonizzata della
collina e della temperatura tepida; il che possiamo com-
prendere, avendo noi già visto quanto il calore aumenti
la produzione geniale (vedi cap. I), e sapendo che il cer-
vello abbisogna di sangue molto ossidato per poter lavo-
rare.
Fatto è che nei paesi di montagna eccessivamente ele-
vati oltre i tremila metri, non crebbe alcun genio. Che se
nei grandi altipiani dell’America, rigogliarono le grandi
civiltà Messicane, Peruviane, esse non vi nacquero, come
dimostrò stupendamente nel mio Archivio, vol. III, fasc.
III, il Nibbi, poiché la vera civiltà messicana viene dai
Toltecas che provenivano dall’Oriente, ed i pretesi gran-

Storia d’Italia Einaudi 407


Cesare Lombroso - Genio e follia

di uomini Messicani, fra i quali 60 suoi presidenti, nac-


quero fuori dell’altipiano, e così gli uomini che vi conta-
no, per quanto poco giustamente, per i più illustri, come
Echeverria nella pittura, Moizzos e Cervantes nella Bo-
tanica, l’Ixtlihcochitl (Libri, Histoire des mathématiques,
vol. III); alcune vere celebrità come Garcilasso della Ve-
ga e l’Alvares de Vera (De Candolle, Histoire des scien-
ces, 1873) nacquero alquanto disotto ai tremila metri, a
Quito e Bogota.
Del resto anche questa azione indiretta della natura
sulla produzione del genio non manca di qualche analo-
gia colle alienazioni. Proverbiale è il detto che nei paesi
colligiani gli abitanti sono esposti alla pazzia più che nei
pianigiani – quindi l’aria di Monte Baldo – i matti di Col-
lio, di Tellio – sono comuni espressioni di un fatto pas-
sato nella parlata volgare e posto in sodo dalla statisti-
ca psichiatrica e dalle osservazioni rinnovate pur ora di
follie epidemiche assai più frequenti nei monti che nelle
pianure e città; ricorderemo solo negli ultimi anni, e sot-
to i nostri occhi, l’epidemia di Monte Amiata (Lazzaret-
ti), di Busca e Montenero, di Verzegnis; ed è bello notare
che nei colli di Giudea son germinati i profeti, e nei mon-
ti di Scozia i dotati della seconda vista che erano matti di
genio o profeti pazzi. Questo parallelismo fornisce una
nuova prova ed anche la spiegazione dei rapporti tra il
genio e la pazzia.
E nei grandi agglomeri, e nelle città spesseggiano più i
pazzi che nelle campagne.
Tuttavia per quanto queste leggi sembrino sicure, pu-
re a studiarvi dentro, colla scorta della storia dell’arte, si
trova che le conclusioni si devono accettare con grande
riserbo, perché vi ha una serie di fattori diversissimi, i
quali intercettano e confondono tutte codeste influenze,
non escluse quelle dell’agglomero e dell’orografia.
Abbiamo veduto, per es., poco sopra, come i grossi
agglomeri, qualunque sia il clima e la razza, bastano ad

Storia d’Italia Einaudi 408


Cesare Lombroso - Genio e follia

aumentare il numero degli artisti e talenti; ma non po-


trebbe essere questo un effetto al tutto fittizio, compa-
rendo come originari dei grossi centri, individui che tra-
slocaronvisi dai loro paeselli nativi, come accade pei neo-
nati e pei malati, ma che non vi ebbero origine? Il fatto
di essersi stabilita una scuola di pittura, per importazio-
ne, fa diventare artistico un centro che prima non l’era,
e se vi si stabiliva da molto tempo, allora le cifre si fanno
grossissime e viceversa. Vedasi, per es., il Piemonte, do-
ve, certamente, l’educazione militare, rinforzata dalla ge-
suitica, e più ancora dal clima e dalla razza, ritardarono
per molto tempo il fiorire delle belle arti, sopratutto del-
la musica; e fino al 1460, in pittura le celebrità sonvi po-
che e straniere, Bono, Bondiforte; ma al Bondiforte, fatto
venire da Milano, tengon dietro subito Sodoma, Martini,
Giovannone Vercellese, e al Ferro di Valduggia il Lani-
ni e il Tansi di Valduggia, così come al Viotti, violinista,
tennero dietro in poco tempo 5 violinisti celebri.
E così, poi, appena comparvero su quel di Novara,
d’Alba e Vercelli, maestri distinti, Macrino, Gaudenzio
Ferrari, tosto ne sorsero altri; ed ora in questi ultimi anni,
quando l’influenza militare fuvvi soverchiata affatto dalla
sociale, esso ne diede proporzionatamente tanti e più che
le altre provincie, così in numero come qualità, per es.,
Gastaldi, Mosso, ecc.
Chi avesse fatta la statistica dei pensatori 300 anni fa
in Iscozia non ne avrebbe trovato forse un solo; eppu-
re, sollevatasi dalla cappa di piombo dell’intolleranza re-
ligiosa, essa divenne uno dei centri più ricchi in Europa
di arditi e originali scienziati.
Viceversa, la Grecia, a cui la natura e la razza diedero
nei tempi antichi il primato nelle belle arti in Europa, ora
malgrado che l’una e l’altra siano pure le esse, non ne
diede più traccia, sia perché la schiavitù, prima, la lotta
politica poi, ne assorbirono tutte le forze, ma più ancora
grazie alla deficienza di agiatezza e di scuole. Perché un

Storia d’Italia Einaudi 409


Cesare Lombroso - Genio e follia

popolo non si concede il lusso dell’arte e del pensiero


elevato quando non ha sicura ne facile e rigogliosa la vita;
ed ecco che l’influenza dell’agglomero potrebbe essere
mascherata da quella dell’agiatezza.
Ben inteso, non perché l’influenza della razza e del cli-
ma sia soppressa, ma perché le sue manifestazioni resta-
no latenti; e la vivacità dell’ingegno che la razza e il cli-
ma colligiani mantengono nella Toscana, dopo la fata-
le influenza spegnitrice della dominazione Medicea, del
prete e dei pedanti linguai, si esplica, più che nelle ope-
re di Machiavelli e di Michelangelo, nelle improvvisazio-
ni delle contadine del Pistoiese e negli arguti epigrammi
del popolo fiorentino equa e là solamente in qualche uo-
mo geniale, come Giusti, Betti, ma che vi sono in forma
sporadica e non endemica.
Razza L’analogia che trovammo somma per le influen-
ze meteoriche (sul genio e sulla pazzia) va parallela a
quella della razza, spesso insieme associate, tanto che
non potemmo divincolamele: e vedemmo che in Italia,
ove la razza Etrusca e Greca s’associa al clima tepido e
colligiano, moltiplica gli ingegni: li suscita, anzi, dove il
clima è infelice; ne io saprei spiegarmi altrimenti i grandi
ingegni dati da Modena, Mantova, Lucca, e la esorbitan-
te preponderanza, in antico, di Firenze; prova eloquen-
tissima ce ne offersero le note del Bellio, da cui si vede
la genialità seguire esattamente la diffusione della razza
Etrusca persin nelle valli remote di Toscana e sul Lago di
Lugano e di Corno, dove le condizioni sociali non erano
certo loro propizie.
Non vi è delitto che non abbia radice in molteplici
cause: che se queste molte volte s’intrecciano e si fondo-
no l’una coll’altra, ciò non ci impedisce dal considerarle,
obbedendo ad una necessità scolastica o di linguaggio,
una per una, come si pratica per tutti i fenomeni umani,
a cui quasi mai si può assegnare una causa sola, scevra di
concomitanze. Nessuno dubita, ormai, che il colèra, il ti-

Storia d’Italia Einaudi 410


Cesare Lombroso - Genio e follia

fo, la tubercolosi s’originino da cause specifiche; ma pu-


re, chi può negare che, oltre queste, vi influiscano tante
circostanze – meteoriche, igieniche, individuali, psichi-
che, da lasciare, sulle prime, nel dubbio della influenza
specifica anche i più provetti osservatori?
Temperature eccessive Importantissime fra le cause de-
terminanti d’ogni atto biologico sono le meteoriche: pre-
cipua fra queste è l’azione del calore: così la Drosera Ro-
tundifolia, esposta all’acqua a 43°,3” s’incurva e si fa più
sensibile all’azione delle sostanze azotate (Darwin, Pian-
te insettivore): ma a grande temperatura a 54°,4’ non
presenta più alcuna flessione, i suoi tentacoli tempora-
riamente si paralizzano; lasciati, poi, nell’acqua fredda si
ritendono.
La statistica e la fisiologia dimostrarono che una gran-
de pane delle funzioni nostre è influenzata dal calore132 .
Quindi si capisce quanto influisca il calore eccessivo
sulla psiche umana.
La storia non segnala alcun esempio d’una regione tro-
picale, in cui il popolo siasi sottratto alla servitù; nessun
esempio, in cui il caldo eccessivo non abbia dato luo-
go ad un’abbondanza di nutrimento, e l’abbondanza del-
la nutrizione ad una distribuzione ineguale in principio
della ricchezza, e in seguito del potere politico e sociale.
Fra le nazioni soggette a queste condizioni il popolo
non conta nulla, non ha controllo ne voce nel governo
del paese. – Se vi ebbero rivoluzioni nel governo, tutte
furono di palazzo, giammai di popolo che non vi annet-
teva alcuna importanza (Buckle, op. cit., I, 195-196).
Il Buckle fra le altre ne trova una ragione sulla mino-
re resistenza che acquista l’uomo alla lotta avendo minor
bisogno di combustibile, di vestiario e di cibo; da que-
sta maggiore facilità l’uomo è tratto all’inerzia, alla Ta-
pas, al Keff, allo Joga, agli ascetismi della Tebaide. L’i-
nerzia, resa necessaria dal caldo eccessivo, ed ispirata dal
sentimento abituale di debolezza, rende l’economia più

Storia d’Italia Einaudi 411


Cesare Lombroso - Genio e follia

soggetta alle spasmodie, favorisce le tendenze alla pigra


contemplazione, all’esagerata ammirazione, e quindi al
fanatismo religioso e dispotico; di qui lo esagerato liber-
tinaggio che si alterna coll’eccessiva superstizione, come
l’assolutismo più duro colla sfrenata anarchia.
Nei paesi freddi la resistenza alla vita sarebbe maggio-
re, per la maggior difficoltà dell’alimento, del vestiario e
del riscaldamento, ma appunto per questo vi è minore l’i-
dealità e l’instabilità; il freddo eccessivo rende l’immagi-
nazione assai più lenta e meno irritabili e meno mutevoli
gli animi; d’altronde dovendo l’uomo supplire con mol-
to combustibile ed enormi dosi d’alimento carbonioso al
difetto di calore, consuma forze che vanno a detrimento
della vitalità individuale e sociale.
Da ciò, e dall’azione diretta depressiva sui centri ner-
vosi, si originano la maggior calma e dolcezza degli ani-
mi. Il dottor Rink ci dipinge certe tribù degli Esquime-
si così pacifiche e calme, da mancare perfino delle paro-
le corrispondenti all’idea di rissa o di litigio: la più gran-
de reazione alle offese è in esse il silenzio (R. Britanniq.,
1876); e Larrey vide, sotto i geli di Russia, diventare de-
boli e perfino vigliacchi, quei soldati, che prima né peri-
coli, né ferite, ne fame avevano fiaccato mai.
Il Bove narra che nei Tschiucki, a -40°, non si notava-
no mai liti, né violenze, né delitti; essi sedevano apatici e
amorosi fra loro.
L’ardito viaggiatore polare Preyer notò come a -40°
la sua volontà fosse paralizzata, i sensi ottusi, la parola
inceppata (Petermann, Mitth., 1876).
Ed eccoci spiegato perché non solo la semibarbara e
dispotica Russia, ma anche le liberalissime terre Scandi-
nave siano state, almeno anni fa, sì poco rivoluzionarie e
ambedue quasi allo stesso livello (V. mio Delitto politico
e le rivoluzioni, parte I).
Azione termica moderata L’azione termica che, vice-
versa, spinge più alle ribellioni ed ai delitti è il calore rela-

Storia d’Italia Einaudi 412


Cesare Lombroso - Genio e follia

tivamente moderato. Ciò ci viene riconfermato dalle os-


servazioni sulla psicologia dei popoli meridionali che ci
dimostrano tendenze all’instabilità, alla prevalenza del-
l’individuo sugli enti sociali, sul comune e lo stato, sia
perché il calore stesso eccita i centri nervosi a guisa degli
alcoolici, senza giungere mai al grado di provocarvi l’i-
nerzia, sia perché, senza annichilarli completamente, ne
scema i bisogni aumentando la produzione agricola, e di-
minuendo le esigenze di cibo, di vestiario e di alcoolici:
nel gergo Parmigiano il sole è detto il Padre dei mal ve-
stiti.
L’influenze economiche e politiche degli ultimi anni
prevalsero così da far andare in seconda linea le meteo-
riche: così è che l’azione del calore medio dell’anno, evi-
dente nei passati anni in Francia, scema negli ultimi; co-
sì è che l’Europa nordica (Russia, Danimarca) che pa-
rea non desse mai ribellioni, ne dà ora quanto nei paesi
del sud; ma non perciò quelle prime influenze possono
disconoscersi.
Delitti e ribellioni nei paesi caldi E evidente in tutto ciò
il predominio non esclusivo, ma grande, del fattore ter-
mico; e ciò riesce ancor meglio colla ricerca della distri-
buzione geografica dei delitti e delle ribellioni politiche.
Infatti nelle zone meridionali, di Francia e d’Italia, si
commettono delitti contro le persone (meno assai contro
le proprietà) più numerosi d’assai che nelle nordiche e
centrali, sul che ritorneremo tosto parlando della camor-
ra e del brigantaggio.
In Francia, Guerry dimostrò che i reati contro le per-
sone sono al sud più numerosi del doppio, 4,9, che non
al centro ed al nord, 2,7; 2,8. Viceversa, i delitti contro la
proprietà spesseggiano al nord, 4,9, in confronto del sud
e del centro, 2,3.
In Italia:
Nella stessa Italia del nord, la Liguria, per ciò solo
che gode di un clima assai più mite, offre in confronto

Storia d’Italia Einaudi 413


Cesare Lombroso - Genio e follia

delle altre regioni un maggior numero di reati contro le


persone.
Il massimo numero dei reati denunciati nel 1875-84 fu
dato dal Lazio e poi dalle regioni insulare e meridionale;
il minimo dai compartimenti del nord, con una quota
che va da 512 reati su 100000 abitanti nel Piemonte, da
689 in Lombardia a 1537 nel Lazio; 1293 in Sardegna,
1287 nelle Calabrie. E le proporzioni più gravi nel
numero degli omicidi troviamo esclusivamente al sud e
nelle isole.
In Russia l’infanticidio, insieme al furto nelle chiese, è
massimo al sud-est, mentre l’omicidio, e più il parricidio,
crescon dal nord-est al sud-ovest (Anutschin).
Holtzendorff calcola «che il numero degli assassini de-
gli Stati Meridionali del Nord America sia di 15 volte su-
periore a quello dei Settentrionali; così nella N. Inghil-
terra, si ha 1 omicidio su 66 000 abitanti; nel Sud se
ne ha 1 su 4 a 6000 abitanti; nel Texas, secondo Red-
field, se ne ebbero 7000 su 818000 abitanti in 15 anni
–; fin nelle scuole vi si trovano fanciulli provvisti d’armi
insidiose»133 .
Osservando la distribuzione degli omicidi semplici e
qualificati, in Europa (Atlante), troviamo le cifre mag-
giori in Italia e negli altri paesi più meridionali d’Euro-
pa: dando le cifre più scarse in alcune delle terre più nor-
diche come l’Inghilterra, la Danimarca, Germania.
Ed altrettanto dicasi per le rivolte politiche in tutta
Europa.

Storia d’Italia Einaudi 414


Cesare Lombroso - Genio e follia

Certo è all’influenza di razza che si deve il fatto del


predominio di alcune specie di reati in alcune regioni;
così nel Mantovano predomina il delitto dei furti di polli,
e l’incendio.
Udine correrebbe a ferimenti con grassazione per un
centesimo, ed è famigerata pure per le percosse e i feri-
menti dei genitori (28 in un anno) – e così Cilento, pro-
vincia di Napoli, assassinii per arma da fuoco su 200 abi-
tanti 30% in un anno.
Che la razza entri come fattore nella maggiore crimi-
nalità di questi paesi, io lo sospetterei, anco, dall’avere
veduto in parecchi dei loro abitanti, come Sant’Angelo,
Pozzolo, S. Pietro, una statura più alta, che non nei paesi
circonvicini.
E giova, a questo proposito, notare, come questi paesi
abbiano, anche, alcuni costumi particolari, superstiziosi
in ispecie. Così a Sant’Angelo il prete è il padrone del
paese; guai a chi non gli levi il cappello o anzi non gli
baci le mani e perfino al tocco della campana non s’in-
ginocchi: prima di ogni loro mala impresa, i Sant’Ange-
lini vanno a messa e le donne pregano la Madonna per-
ché l’assassinio ed il furto vadano impuniti. Esse parla-
no ad alta voce fra loro dei crimini dei loro mariti: ma
se questi sono imprigionaci, per le prime, se ne maravi-
gliano ed accompagnanli per miglia e miglia, coi bimbi
in braccio, scarmigliate, gridando all’ingiustizia; e anche
esse, per piccole cause, dànno mano ai coltelli; ma peg-
gio fan gli uomini, inclini a vendetta per le più piccole
cause; p. es., due passeggi eri passando a caso dal vil-
laggio rifiutarono di dare un mozzicone ad uno di loro,
ed essi subito accordatisi li rinchiusero in una stanza e
tentarono farveli morire di fame.
Quando si pensa che il malandrinaggio in Sicilia si
concentra quasi tutto in quella famosa valle della Con-
ca d’Oro, dove le rapaci tribù Berbere e Semite ebbe-
ro le prime e più tenaci dimore, e dove il tipo anatomi-

Storia d’Italia Einaudi 415


Cesare Lombroso - Genio e follia

co, i costumi, la politica e la morale conservano una im-


pronta araba (e bastino a provarlo le descrizioni di To-
masi Crudeli)134 , quando si pensi che ivi come nelle tri-
bù Arabe l’abigeato è il delitto più prediletto, resta facile
il persuadersi che il sangue di quel popolo conquistato-
re e rapace, ospitaliero e crudele, intelligente, ma super-
stizioso, mobile sempre ed irrequieto e sdegnoso di fre-
no, deve avere la sua parte nel fomentare le subitanee ed
implacate sedizioni, e nel perpetuare il malandrinaggio,
che, appunto come nei primi Arabi, vi si confonde non
rare volte colla politica, ed anche al di fuori di questa,
non suscita il ribrezzo ne l’avversione che suole in popo-
li assai meno intelligenti, ma più ricchi di sangue ariano,
anche della stessa Sicilia, p. es. di Catania, Messina.
Viceversa, va notato il paese di Larderello di Volterra,
che da 60 anni a questa parte non contò un omicidio, né
un furto e nemmeno una contravvenzione.
Anche in Francia in una serie di borgate disposte sul
confine delle foreste della Thierache, prolungamento di
quelle delle Ardenne, Fauvelle ( Bulletin de la Société
d’anthropologie, 1891) ha indicato esistere una razza de-
linquente. Dovunque predomina questa razza non vi so-
no che risse violente di tutte le specie sulle quali l’auto-
rità giudiziaria è il più delle volte obbligata di chiude-
re gli occhi per non ingombrare le prigioni. Il forestie-
ro che s’arrischia in mezzo a queste popolazioni si espo-
ne agl’insulti tanto delle donne che degli uomini. Anche
nella classe agiata, questa brutalità sovente si rivela sotto
una certa vernice civile. L’alcoolismo frequente, esage-
ra ancora questa specie di barbarie; vi si nota ripugnanza
pei lavori dei campi; sfrutta le foreste o lavora nell’indu-
stria del ferro, ma preferisce il contrabbando. La statura
è un po’ al disopra della media, ha forti muscoli, le ma-
scelle larghe e robuste; naso dritto e gli archi sopracci-
gliari accentuati; il sistema pilifero è abbondante e mol-
to pigmentato, ciò che li distingue subito da un’altra raz-

Storia d’Italia Einaudi 416


Cesare Lombroso - Genio e follia

za dai capelli biondi giallastri che occupa molti vicini vil-


laggi, a cui non si associa che raramente.
Queste influenze non sempre si possono precisare col-
le cifre alla mano, anche per la ragione che quando ci ap-
poggiamo alle statistiche criminali, troviamo una serie di
cause complesse, che ci impediscono di cavare una con-
clusione sicura. Per esempio, la donna in Spagna, Lom-
bardia, Dalmazia, Voivoidina, Gorizia, darebbe il mini-
mo della criminalità; ed il massimo nella Slesia austriaca,
e nelle provincie Baltiche della Russia (Messedaglia, op.
cit.).
Ma qui, più che l’influenza di razza, può quella dei
costumi; dove le donne sono istrutte al pari degli uomini,
come nella Slesia, nel Baltico, e prendono parte alle lotte
virili, ivi dànno una cifra di criminalità che più s’avvicina
alla virile.
Non sono uso da molti anni a rispondere alle critiche
spesso gittate in aria e da gente prevenuta, ma ad un
uomo come Vilfredo Pareto, il cui ingegno apprezzo
moltissimo, ho dovere di rispondere, non fosse che per
me e per la Scuola che rappresento, e che una critica che
parte da tale uomo può veramente intaccare, assai più
che le mille dei giuristi e filosofi delle vecchie Scuole.
Ma, diciamolo subito: Si è egli comportato diversa-
mente da questi, gettando là affermazioni banali e prive
di prove, come dogmi in discuti bili ed inconcussi?
Il primo suo difetto è ch’egli non ha, se non erro, ana-
lizzato se non quelle poche pagine in cui tento parlare
delle razze... senza però approfondirle colla potenza ve-
ra del suo ingegno. Egli obbietta così che io parlo di raz-
ze Latine e Germaniche, mentre il Lapouge non ne vuol
sentir parlare. E che con ciò? E forse il Lapouge un testo
che non si può discutere? Se un antropologo, o meglio
un craniologo, deve convenire che una razza pura non
esiste che solo per eccezione nel vecchio mondo, tanto
le une si sovrappongono alle altre, non s’intende già che

Storia d’Italia Einaudi 417


Cesare Lombroso - Genio e follia

le razze non esistano – come le nuances che corrono tra


i generi e le specie – e le grandi varietà individuali delle
specie attuali non impediscono che si ammettano i generi
e le specie; chi non distingue il tipo Romano dal Sardo?
eppure ai Romani si intrecciarono Greci, Semiti, Germa-
nici – e in un’epoca in cui Roma era spopolata quasi vi
si sostituirono – ma l’influenza primitiva genetica fissata
per le analogie del clima fecero sì che i pochi germi so-
prastanti diedero una razza assolutamente simile alla pri-
mitiva. E come d’altronde studiare le influenze di raz-
ze se non si comincia da quelle conosciute storicamente
per le dominanti e riconosciute anche per tali per la for-
ma del cranio, la statura, il capello e la speciale demogra-
fia? Come può egli dubitare dell’influenza Semitica, Fe-
nicia, cioè Cartaginese, Araba in Sicilia e Sardegna e in
parte delle Calabrie, dell’influenza Slava nel Veneto, in
cui arrotonda i cranij, allunga le persone e imbiondisce
i capelli, come in Sardegna allunga il capo e annerisce il
crine? Lo so ben io che nessuna razza è pura, nemmeno
l’Araba o la Ebrea. Ma lo scienziato deve tener nota del-
la razza predominante per poter paragonarne l’influenza
nei rapporti demografici.
del resto, nella lettura affrettata che egli ha fatto del
mio libro, egli ha creduto che io concludessi a quella so-
la influenza di razza, mentre invece se per la orografia,
e sopratutto per l’influenza della temperatura, ho potu-
to dare delle conclusioni molto nette e spiccate, quan-
to all’influenza della razza fui molto scettico, almeno in
Europa, salvo fra gli zingari ed Ebrei, ed in alcune tri-
bù Indiane e Sahariane in cui essa è evidente; ben do-
vetti col Ferri ammettere però l’influenza etnica in alcu-
ne oasi italiane, come a Livorno, a Benevento; ma non
contentandomi dei caratteri soliti della razza, come risul-
ta all’ingrosso dalla lingua o dalla storia, ho studiata l’in-
fluenza della distribuzione del delitto nei doligocefali e
nei brachicefali, nei biondi e nei neri, e mai ho conclu-

Storia d’Italia Einaudi 418


Cesare Lombroso - Genio e follia

so all’influenza assoluta etnica, ma, come a pag. 37, tro-


vai che l’influenza del clima supera evidentemente quel-
la della razza, poiché nell’Italia i doligocefali, dov’era-
no radunati nelle provincie meridionali, danno un’enor-
me differenza in più di reati in confronto ai brachicefali,
mentre in Francia, dove sono sparsi anche al Nord e al
Centro, la differenza e l’influenza della razza non appa-
re più. E parlando dei biondi, ho di nuovo ribadito che
molto spesso quella che può credersi azione etnica non
è che effetto climatico; come negai ogni influenza etnica
sui reati contro la proprietà.
Fin dalle prime pagine, dunque, ho escluso l’influenza
assoluta di razza, restringendola a pochi limiti.
Egli si meraviglia che io abbia detto che l’odierna
costituzione sociale sta per finire. Ma come egli non
s’accorge che l’ordinamento economico sociale è andato
sempre più trasformandosi e che ora siamo in un periodo
di transizione? Ma come non s’accorge che le linee
tramviarie) le ferrovie, l’illuminazione, le scuole, ecc., ci
indicano che il collettivismo è entrato inconscientemente
nelle nostre abitudini?
Non s’accorge dal solo fatto di tanti enti collettivi,
ospedali, scuole, tramvie, industrie cooperative, che noi
andiamo mutando la forma della proprietà, e dal decadi-
mento degli ordini nobiliari e dei Governi costituzionali
e monarchici, che ci avviciniamo ad una trasformazione
anche nella forma di Governo?
Perché si ferma in una frase messa lì di sfuggita, sen-
za alcuna pretesa, e che non è nemmeno mia, ma ai Ba-
gehot, e che non ha alcun rapporto col libro? Perché al
consiglio che io do, e che praticano gli Inglesi, di sepa-
rare nelle scuole il criminale-nato per avviarlo in scuole
speciali, che non siano quelle delle comuni professioni,
che rendono più pericoloso il criminale, vien fuori, co-
me un qualunque clericale, adire che gli pare di sognare?
Chi può, dice egli, decidere se essi davvero sono crimina-

Storia d’Italia Einaudi 419


Cesare Lombroso - Genio e follia

li? – Ma qualunque osservatore, che profitti delle teorie


psichiatriche coi nuovi mezzi da queste forniti, rispondo
io. E se egli avesse letto il libro (vol. I e II), avrebbe vi-
sto che ne do centinaia di segni, cominciando dalle ano-
malie della statura, del peso, della fisionomia, alle ano-
malie della o, del piede, del campo visivo, della sensibi-
lità, alla mancanza completa di senso morale, al bisogno
del male, ecc.
Ah! questa la chiama egli astrologia? E si stupisce se
io posso dire se un bambino diventerà un criminale: ma
è una cosa che faccio tutti i giorni, non essendo certo
difficile tale prognosi in malattie che sono congenite,
come la pazzia morale.
Egli vorrebbe sapere chi pagherà per mantenerli in
queste scuole: ma i popoli che non fossero ignoranti, i
popoli previdenti – lo fanno gli Inglesi e gli Americani
– che preferiscono spendere poche migliaia di lire in
forma di speciali educatorî, invece di milioni in sequestri,
carcerazioni, supplizi dei rei-nati.

3
Influssi sociali

Miseria La miseria e la ricchezza, come la mancanza e


l’abbondanza di scuole, sono a loro volta a vicenda causa
o, meglio, occasione dello sviluppo dei genii.
Ho già cercato di dimostrare altre volte, come, per
l’odio che si ha dall’uomo pel nuovo, molti genii sieno
spenti prima di compiere la loro evoluzione.
Ora mi si affacciano altre cause che forse però of-
friranno il fianco alla critica volgare, perché, se spesso
spengono il gemo, pur non di raro, in altra misura, lo
favoriscono.
Chi non vede, per esempio, che la miseria è spesso uno
stimolo al genio?

Storia d’Italia Einaudi 420


Cesare Lombroso - Genio e follia

Fu il bisogno, piuttosto che l’inclinazione naturale,


dice Smiles, che spinse Dryden a farsi scrittore; fu per
disperazione e per miseria che Goldsmith, dopo aver
battuto a tutte le porte, dappertutto respinto, si diede
ascrivere. – E così via via.
Ma è pur vero che l’estrema miseria frequentemente
rovina il genio.
Quanto non s’oppose èssa a Cristoforo Colombo?
La macchina a vapore di Giorgio Stephenson sarebbe
rimasta sempre un aborto, se egli non avesse potuto, con
grandi sacrifizi, fare studiare suo figlio!
Agiatezza – Vantaggi E così dicasi della ricchezza.
Spesso il benessere favorisce il genio.
Pascal riteneva che una nascita distinta conferisca nel-
la stima e nel rispetto degli altri, a vent’anni, una posizio-
ne che i diseredati male riescono a raggiungere a quaran-
ta.
Che cosa sarebbe avvenuto di Meyerbeer, senza ric-
chezze? Meyerbeer che aveva una produzione così labo-
riosa ed il cui genio si esplicò solo viaggiando e vivendo
in Italia?
Senza il potere molti uomini d’azione isteriliscono e le
nostre razze latine, l’Italia in specie, che grazie allo spi-
rito senile onde s’informa non trova rispettabile un ge-
nio se non è decrepito, chi sa quanti ingegni politici di
prim’ordine non seppellisce prima che vengano a galla,
mentre l’America, dove si prescelgono i giovani al pote-
re, va, malgrado la scarsa preparazione, già sopravvan-
zandoci nelle istituzioni politiche ed economiche.
Danni della ricchezza Ma quanti genii, invece, non ci
furono guastati dalla ricchezza e dalla potenza!
Jacoby ha dimostrato che il potere illimitato precipi-
ta la degenerazione, rende facilmente megalomani e de-
menti chi lo possiede. E noi vediamo la deputazione ra-
pirci uomini geniali, diventati poi, al più, mediocri mini-
stri.

Storia d’Italia Einaudi 421


Cesare Lombroso - Genio e follia

Chi sa dirci quanti fra quelli che si pompeggiano nelle


nostre vie, fieri di un bel sauro e di un’occhiata di qual-
che clorotica duchessa, non sarebbero diventati grandi
uomini? Un esempio ce ne offre l’aristocrazia piemonte-
se. Per molto tempo avendo tenuto a gloria brillare nel-
la milizia e nella politica, ci diede più uomini celebri che
non il patriziato di Toscana e di Napoli.
Rapporto col genio Quanto alla genialità, checché dica
il Jacoby, a cui pur tanto dobbiamo in questi studi, il suo
rapporto colla densità non è così evidente [...] se è chiaro
il parallelismo per i grandi centri, per le capitali e città
vicine ai poni e grandi fiumi (Parigi, Lione, Marsiglia),
non lo è pei centri medii (Nord, Alto Reno, Passo di
Calais, Loira), che hanno gran densità ma pochi genii.
E anche la frequenza, grande, dei genii nei grandi
centri è più apparente che reale: ed io ho già dimostrato
che la maggior pane dei genii muore, sì, nelle città, ma
nasce nella campagna, e non appare nelle grandi città se
non perché vi trova modo di esplicarsi. Ciò fa credere
che i grandi centri siano più utili alla loro fama che
alloro sviluppo ( Homme de génie). – In complesso la
densità è favorevole alle ribellioni ed alle evoluzioni, ma
più a quelle che a queste: il che tanto più comprendesi
vedendo la sua poca influenza sul genio che rappresenta
il maximum dell’evoluzione.
Se nelle prime epoche dell’evoluzione la densità del
popolo fu causa di progredimento, non vediamo che sia-
lo altrettanto ora in China, in Egitto, e, date le propor-
zioni diverse, a Madrid ed a Napoli.
Progresso agricolo ed industriale Agli effetti prodotti
dalla densità della popolazione e dal naturale assorbi-
mento delle grandi capitali, vanno equiparati quelli por-
tati dallo sviluppo industriale che, colla creazione dei
grandi centri operai, ha aumentato artificialmente gl’in-
convenienti ed i vantaggi degli agglomeri, offrendo facile
occasione al propagarsi delle nuove idee; mentre i nuo-

Storia d’Italia Einaudi 422


Cesare Lombroso - Genio e follia

vi e rapidi mezzi di comunicazione, le ferrovie, il telegra-


fo, se possono giovare alla repressione, favoriscono pure
il forte addensamento dei rivoltosi; non per nulla i Go-
verni dispotici osteggiarono nei loro popoli, sempre, la
creazione delle ferrovie e delle comunicazioni anche epi-
stolari.
Generalmente le nuove scoperte scientifiche, mentre
portarono grande aiuto alle industrie, fornirono pure ar-
mi alle forze rivoluzionarie; così il petrolio nella Comu-
ne ed ora nei tentativi anarchici la dinamite, che sembra
destinata a tentar contro le classi borghesi quella rivolu-
zione, che la polvere conseguì in favore di queste contro
la nobiltà.

Fig. 10

Dalla fig.10 è evidente come nei paesi industriali siavi


stato il massimo dei voti repubblicani in Francia ed il
minimo dei monarchici, e viceversa negli agricoli; per cui
la carta del frumento e della vigna di Réclus corrisponde,
salvo poche eccezioni, alla carta dei monarchici135 .
Lo stesso si dica della genialità che domina nei paesi
industriali.

Storia d’Italia Einaudi 423


Cesare Lombroso - Genio e follia

Questa prevalenza dell’evoluzione nei paesi industria-


li è consona, affatto, alla legge storica trovata dallo Spen-
cer, che segnala il periodo industriale come l’ultimo evo-
lutivo dell’umanità, e che mostra la maggiore evoluzione
dove è la maggiore ricchezza.

Fig. 11

Coltura, analfabetismo È naturale, dopo ciò, che dove


è la coltura più diffusa, si abbia la massima evoluzione;
ed infatti (fig. 11) i dipartimenti colla proporzione mas-
sima di istruzione (da 90 a 95 alfabeti p. %) sono tutti
repubblicani; i quali predominano pure sui monarchici
nei dipartimenti con forte quota d’alfabeti.
Nei dipartimenti, con quota media d’istruzione, i re-
pubblicani ed i monarchici si equilibrano.
Contrasta a questo parallelismo il solo fatto che nei
dipartimenti a quota minima d’alfabeti, predominano i
repubblicani, il che non so spiegare.
Genialità e liberalismo Senz’eccezione, come già ave-
va genialmente intravveduto Jacoby ( De la sélect., pag.
577) [...], è il parallelismo tra la diffusione della geniali-
tà e delle tendenze repubblicane. Vediamo così il dipar-
timento della Senna dare un massimo di genialità ed un
minimo di voti reazionari, e così i dipartimenti repubbli-
cani del Varo, Rodano, Senna e Oise, Yonne, Senna e
Marna, ecc., floridi d’ingegni; mentre la Vandea, il Mor-

Storia d’Italia Einaudi 424


Cesare Lombroso - Genio e follia

bihan, il Passo di Calais, il Nord, i Bassi ed Alti Pirenei,


il Gers, la Dordogna, il Lot sono reazionari e danno po-
chissimi genii. È così grande e completa quest’analogia
che forse maschera e confonde quella della razza, della
densità, ecc. – E ciò è naturale.
La genialità è un carattere dell’evoluzione e ne è un
indizio, non tanto perché essa ne sia originata, ma perché
solo l’evoluzione serve a metterla in chiaro.
Carlyle ( Gli Eroi) scrisse che il miglior indice della
coltura d’un’epoca è il modo con cui essa accolse i suoi
genii.
La Grecia brillava tanto per genii, perché colle gare
Olimpiche, coll’educazione estetica, preparava il popolo
tutto a comprendere ed apprezzare il genio artistico ed
il filosofico – che però non fosse troppo avanzato. –
Socrate insegni.
«Nei miei viaggi, scrive Le Bon, potei accertarmi che
gli strati medii dei Chinesi, Indostani, non sono inferiori
agli stessi strati Europei, ma la differenza sta negli uomini
superiori alla media che da noi son più numerosi ( Les
premières civilisations, 1889); però la loro azione non
crea, sintetizza gli sforzi di una razza» (Id.).
«È, scrive Renan, al profetismo (che è la sola forma,
diremo noi, di genialità degli Ebrei), che si devono le
due grandi loro rivoluzioni religiose – il Giudaismo ed il
Cristianesimo» ( Hist. du peuple d’Israel, II).
E non e osservazione nuova che anche alle sedizioni
sono più inclini i popoli in cui è maggiore la vivacità
dell’ingegno; il che fu appunto, oltre che dei Parigini
in Francia, dei Fiorentini in Italia; in Svizzera, Ginevra,
che nel 1500 era detta la città dei malcontenti, certo era
la più colta della Svizzera; e così dicasi in Grecia degli
Ateniesi, i quali nel fiorente periodo della loro civiltà
giunsero a contare 56 celebri poeti, 21 oratori, 12 storici
e letterati, 14 fra filosofi e scienziati e 2 sommi legislatori,
come Dracone e Solone, mentre Sparta ebbe poche o

Storia d’Italia Einaudi 425


Cesare Lombroso - Genio e follia

punto rivoluzioni e pochissimi ingegni famosi (non più


di 6, secondo lo Schoell); però qui, come vedremo, si
complicavano delle influenze orografiche.
Noi vediamo in Italia i principii più avanzati fiorire
in quel paese dove, per dirla con D’Azeglio, la pianta
uomo cresce più bella e vigorosa che nel resto d’Italia – la
Romagna.
Densità Meglio si vedrà l’influenza della civiltà in rap-
porto ai delitti, esaminandone a uno a uno i singoli fat-
tori; e prima di tutti quello della densità, perché la storia
del delitto ci mostrò che questo non appare veramente
come tale, fino che la società umana non abbia raggiunto
una certa densità. La prostituzione, il ferimento, il fur-
to – come giustamente notarono Reclus, Westermark e
Kropotkin, e ingiustamente se ne fecero un’arma contro
noi – poco si manifestano nella diradata società primiti-
va, come nei Veddah che solo si radunano insieme all’e-
poca delle pioggie; e in certi Australiani che solo all’e-
poca della raccolta dell’yam. Ma gli equivalenti del de-
litto, perfino negli animali, per le stesse ragioni compa-
iono di rado quando questi non sono associati o dome-
stici: agli istinti brutali manca il modo di porsi in luce;
ma fate che il campo meglio si presti, colle tribù, colle
urbs, coi clan, ed il delitto scoppierà come ce lo dipingo-
no pei nostri pro avi Ateneo, Erodoto, Lucrezio: perché
gli manca l’occasione là dove i contatti sono più scarsi.
Anche nelle società barbare più diradate i reati appaiono
relativamente minori benché più feroci; mentre si molti-
plicano in quantità nelle più civili – e le 5 o 6 forme di
reati barbarici diventano centinaia e migliaia nella nostra
epoca.
Un primo sguardo, invero, sui delitti di furto e omici-
dio e sulle ribellioni politiche di Europa, in rapporto al-
la densità ci mostra che, salvo i risultati contradditori, ef-
fetto dell’influenza termica che accresce gli omicidi e le

Storia d’Italia Einaudi 426


Cesare Lombroso - Genio e follia

rivolte al Sud e i furti al Nord, la densità va in ragione


diretta dei furti, inversa degli omicidi.
La corrispondenza assoluta, come era compresa dai
più, pochi anni sono, della criminalità coll’istruzione è
dimostrata omai un errore.
È noto purtroppo come il delitto in Europa aumenti
malgrado che certo vi aumenti l’istruzione.
Le tre provincie di Torino, Genova, Milano, che die-
dero il minimo di analfabeti in Italia, un scolaro sopra 7
a 14 abitanti, videro negli ultimi anni aumentarsi di un
terzo i reati, da 6983 a 9884 (Sacchi, Studî intorno all’in-
dirizzo educativo, 1874).
Marro trovò su 500 rei e 500 onesti di Torino:
rei onesti
Analfabeti 12 % 6%
Che sanno leggere e 75 » 67 »
scrivere
Istrutti 12 » 27 »

con prevalenza è vero di analfabeti, ma anche di gente


che sapevano leggere e scrivere nei rei.
Istruzione diffusa, suoi vantaggi Tuttavia, chi impar-
zialmente perscruta entro le cifre degli ultimi anni, s’ab-
batte in un fatto consolante, che dimostra non essere l’i-
struzione così fatale, come a tutta prima parrebbe; esser-
vi un punto in cui l’istruzione favorisce il delitto, passato
il quale l’istruzione invece serve d’antidoto. Dove l’istru-
zione ha preso una grande diffusione, cresce la cifra dei
delinquenti a coltura superiore, ma ancor più quella dei
delinquenti analfabeti; il che vuol dire, che la delinquen-
za scema nelle classi a coltura media. Così, a New-York,
mentre la popolazione dava, nel 1870, il 6,08% di anal-
fabeti, e anzi, escludendone gli emigrati, che forniscono
il più gran contingente alle carceri, solo 1,83%; i delin-
quenti dànno la quota di 31% di analfabeti136 .
Fra gli omicidi condannati or ora nell’America del
Nord137 , 33% erano completamente analfabeti, 64% sa-

Storia d’Italia Einaudi 427


Cesare Lombroso - Genio e follia

pevano leggere e scrivere, 3% avevano istruzione supe-


riore, mentre nei normali l’analfabetismo è solo nel 10%.
Nell’Austria, mentre la popolazione giovane, morale,
di Salisburgo, del Tirolo, non ha analfabeti, la criminale
ne ha dal 16 al 20% (Messedaglia).
Criminalità speciali dei colti ed incolti Tutto ciò ci
spiega il fenomeno contradditorio sulle prime, e che
Joly non seppe spiegare, che l’istruzione ora aumenti ora
diminuisca il delitto. Dapprima, quando non è diffusa,
quando non è maturata in un paese, aumenta tutti i
delitti salvo l’omicidio: quando invece è diffusissima fa
calare tutti i reati più feroci, non però, come vedremo,
i reati minori, o quelli politici e i commerciali, o di
libidine, perché essi aumentano col naturale aumento
degli attriti umani, e degli affari e della attività cerebrale.
Dove, insomma incontrastabilmente influisce l’istru-
zione sulla criminalità, è nel mutarne l’indole, nel ren-
derla meno feroce.
Fayet e Lacassagne mostrarono che:
1º negli analfabeti predominano gli infanticidi, la sop-
pressione di parto, i furti, l’associazione di malfattori,
saccheggi, incendi;
2° in quelli che san leggere e scrivere imperfettamente
prevalgono l’estorsione di cambiali, minaccie per iscritto,
ricatti, saccheggi, guasti di proprietà, ferimenti;
3° negli istrutti a leggere e scrivere prevalgono concus-
sione, corruzione, falsi in iscritto, minaccie per iscritto;
4° negli istrutti con coltura elevata, falsi in scrittura di
commercio, estorsione di fondi dei funzionari pubblici,
falso in scrittura autentica, sottrazione d’atti, delitti poli-
tici (o. c.).
Insomma vi è una criminalità specifica per gli illettera-
ti, è la più feroce ed una per i letterati, ed è la più astuta,
ma più mite.
In Italia, dove c’è una minima previdenza e minimo
risparmio calcolato dal minor numero dei libretti per

Storia d’Italia Einaudi 428


Cesare Lombroso - Genio e follia

abitante, c’è una massima criminalità di delitti di sangue,


di furti e di stupri e minima di truffe: e viceversa dovevi
è la ricchezza media e la massima (che dànno gli stessi
risultati), vi è il massimo di truffe e il minimo d’omicidi,
furti e stupri, il che non vuol dire in fondo se non che
il paese selvaggio è più incline al delitto che non sia
d’astuzia. Anche qui troviamo ripetersi, come già vidimo
per le tasse, il fatto che gli stupri, all’inverso di quanto
accade dovunque, sono più frequenti nelle provincie
nostre più povere.
Però dove la razza e il clima trascinano al male, la ric-
chezza, come ho già osservato prima (pag. 144), nulla vi
può. Così troviamo, è vero, un numero elevato di omici-
di nelle provincie più ricche come Palermo che ne ha 42:
Roma con 27, Napoli con 26, Livorno 21: ma queste ec-
cezioni sono spiegate dalla posizione geografica per Pa-
lermo e per Napoli, dalla razza per Livorno, dalla raz-
za e dall’abuso dell’alcool e dalla condizione politica per
Roma. Inversamente tra le provincie più povere (in cui
la posizione geografica, il clima e la razza esagerano cer-
tamente l’influenza della minor ricchezza perché le cifre
maggiori le presentano le provincie meridionali ed insu-
lari – Girgenti 70, Sassari 46, Caltanissetta 46, Avelli-
no 45, Campobasso 41) accadono pure eccezioni perché
vi sono provincie che malgrado la triste condizione eco-
nomica hanno uno scarso numero di omicidi come Bari
(14), Lecce (16), Treviso (11), Udine (7), Rovigo (5). Se
la condizione eroica ed il clima bastano a spiegare l’ecce-
zione delle tre ultime provincie – per le due prime, pro-
vincie meridionali, il fatto resta inesplicato, se pur non vi
si voglia vedere l’influenza della razza greca che vi domi-
na.
Ricchezza causa di reati Quelli, adunque, che afferma-
no esser il delitto sempre effetto della miseria non van-
no a ricercare invece l’altro lato della questione, quando
il delitto è effetto della ricchezza.

Storia d’Italia Einaudi 429


Cesare Lombroso - Genio e follia

La ricchezza che si è acquistata rapidamente e non è


corretta da un elevato carattere, da larghi ideali religiosi,
politici ecc., provoca danni invece che vantaggi. Anche
Spencer aveva detto della ricchezza che secondo la bontà
o la tristizia del carattere d’un popolo conduce al vizio
o alla virtù; e questo sopratutto si deve intendere della
ricchezza eccessiva che è come l’eccessiva potenza, la
eccessiva istruzione, un naturale fomite di prepotenza,
di abusi sessuali, alcoolici ecc., e quindi di delitti.
La ricchezza, insomma, è a sua volta impedimento al
delitto ed anche sua eccitatrice, come del resto abbiam
visto per l’istruzione, per la densità, per la civiltà ecc., e
come vedremo per la religione. Questo è il criterio nuovo
che bisogna introdurre nell’eziologia dei reati ammetten-
done ed esplicandone le contraddizioni, poiché la stessa
fonte, a seconda le fasi e i caratteri, ora ci avvelena, ora
ci preserva: e allora si vedono appianarsi le contraddi-
zioni che son pur fatti come i fatti positivi e giovare alla
spiegazione completa.
Prevalenza di rei poveri Ma perché (ci si obbietterà)
vediamo i condannati son quasi tutti poveri? Noi p. es.
vediamo dalla Statistica penale per il 1889, che sopra 100
imputati condannati in Italia, dei quali si poté, sebbene
con qualche incertezza, conoscere la condizione econo-
mica, si avevano negli anni
1887 1888 1889
56,34 57,45 56,00 indigenti;
29,99 30,77 32,15 col solo necessario
per vivere;
11,54 9,98 10,13 mezzanamente
agiati;
2,13 1,80 1,72 agiati e ricchi;

dati che si accordano con quelli pubblicati da altre sta-


tistiche attendibilissime, dal dott. Guillaume; dallo Ste-
vens, dal Marro, ecc. ecc. e che mostrerebbero un’enor-

Storia d’Italia Einaudi 430


Cesare Lombroso - Genio e follia

me sproporzione del delitto nei poveri in confronto ai


ricchi.
Prima di lasciarsi trascinare da queste cifre che sem-
brano esser recisamente contrarie all’influenza malefica
della ricchezza bisogna ricordare, che, come giustamen-
te osservava il Marro, in carcere non giungono con egua-
le facilità tutti coloro che offendono le leggi sociali, per-
ché a favore del ricco stanno l’influenza delle sue ricchez-
ze, le aderenze di famiglia, le relazioni sociali e l’elevata
cultura mentale, le quali spesso riescono a salvarlo dal-
la prigione, o almeno gli procurano validissimi mezzi di
difesa; ed abbiamo già veduto come nei manicomi priva-
ti (dove vanno solo i ricchi) abbondano quei pazzi mora-
li che mancano nei manicomii pubblici e nelle carceri –
ciò che vuol dire che la ricchezza aiuta a mettere in chia-
ro la patologia del reo-nato, mentre la povertà l’abbuia.
E nella lotta secolare di classe la giustizia è adoperata dal
ricco come stromento di potere e di dominazione con-
tro il povero, che è già a priori condannato e condanna-
bile solo come tale: poiché le classi elevate sogliono usa-
re il proverbio: Povero come un ladro, e ahi! Quel ch’è
peggio, spesso invertirlo.
La contraddizione [...] dell’influenza, ora grande ora
nulla, della religione si toglie se concludesi che la religio-
ne è utile, e quando si fonde veramente colla morale, e
abbandona il culto delle formule, il che ora non può dar-
si che nelle religioni nuove, perché tutte in principio so-
no morali, e poi a poco a poco si cristallizzano, e le pra-
tiche rituali sopranuotano e annebbiano il nucleo mora-
le, meno facile a concepirsi e ritenersi dal volgo: quindi
si nota una minore propensione al crimine, anche là do-
ve solo il senso etico e non il religioso è in onore come
fra gli uomini atei ma colti, perché ci vuole un’energia
intellettuale per resistere al consenso universale, una for-
za inibitrice, che come resiste all’imitazione, resiste an-

Storia d’Italia Einaudi 431


Cesare Lombroso - Genio e follia

che agli impulsi istintivi; ragione questa forse unica dei


vantaggi dell’alta coltura.
Analogamente si spiega perché certi popoli protestanti
in cui il fervore religioso è più caldo e più ardente,
come Ginevra e Londra, sono isoli in cui malgrado la
aumentata civiltà, e la popolazione addensata (Londra
da sola è più popolata di una intera regione italiana), il
delitto sia in ribasso.
Qui, non è in giuoco l’inibizione, ma invece una gran-
de passione religiosa, che neutralizza e doma gli istinti
più ignobili, e combatte con tanto accanimento i vizi e le
tendenze immorali, da debellarle.
In Inghilterra la religione recluta migliaia di fanatici,
che sotto i nomi e le teorie più diverse si agitano febbril-
mente per salvare le anime umane dalla perdizione. Es-
si hanno un campo immenso in cui agitarsi, organizzan-
do chiese, processioni, opere pi predicazioni, ecc., ecc.
Nei paesi latini, invece, dove la chiesa cattolica stende
sua dominazione, la religione non può che molto meno
essere un parafulmine del vizio; e ciò noli tanto in ragio-
ne della irreligiosità e scetticismo del popolo – molto mi-
nore di quanto si crede, anche nella patria di Voltaire –
ma per l’organizzazione stessa della sua chiesa. La chie-
sa cattolica è una grande istituzione disciplinare e qua-
si un esercito fondato sulla obbedienza e subordinazio-
ne; in cui ogni uomo ha il suo posto, la sua linea di con-
dotta, le sue idee già fissate da leggi fortissime. I fanati-
ci attivi, come il Bernardo, che sono naturalmente indi-
pendenti e un po’ rivoltosi, non possono quindi trovarci-
si che a disagio; salvo nelle missioni, l’unico dipartimen-
to della chiesa che ridona all’individuo una certa indi-
pendenza e autonomia (Ferrero); mentre si trovano be-
nissimo tra la indipendenza un po’ anarchica delle varie
sette protestanti, libere ed autonome come tanti piccoli
clans di tribù barbare, quali p. es. la Salvation Army, i
Baptisti138 .

Storia d’Italia Einaudi 432


Cesare Lombroso - Genio e follia

Professioni L’influenza delle professioni è alquanto


difficile a cogliersi, per la disparità che si trova nella di-
stribuzione e nella nomenclatura di alcune che possono
offrire una giusta ragione di raggruppamento all’econo-
mista, quando non ne hanno alcuna davanti all’antropo-
logo, come quando, per esempio si sommano gli osti in-
sieme cogli altri commercianti, i militari cogli agricolto-
ri, gli artisti metallurgici coi falegnami, o le professioni
liberali colle arti belle. Impossibile poi riesce il confron-
to quando nelle statistiche delle leve o del censimento si
trovano distribuiti gli uni in un modo, e gli altri in un
altro.
Secondo le indagini del Curcio (o. c.) per es., le pro-
porzioni dei delinquenti, per professione, da noi sareb-
bero le seguenti:

Esercenti professioni liberali 1 condannato ogni 345


Impiegati civili e militari 1 condannato ogni 428
Ecclesiastici 1 condannato ogni 1047
Contadini 1 condannato ogni 419
Giornalieri, domestici, operai 1 condannato ogni 183

Dalle quali cifre, se risulta ben chiara la maggiore im-


munità dei contadini, e la più facile criminalità degli ope-
rai di città e delle professioni liberali, esclusane l’ecclesia-
stica, non ispicca però così come gioverebbe all’antropo-
logo, l’influenza dei singoli mestieri.
Per riuscirvi, almeno in parte, ho cercato come meglio
potei di ravvicinare i dati della statistica carceraria d’Ita-
lia, 1871 e 1872, a quella dei mestieri esercitati da 185491
coscritti, di anni 20, fornitici dal generale Torre, in quel
suo prezioso Rendiconto sulle leve del 1870-71.
Dai risultati di tale comparazione, che riassumo in
questa tabella:

Storia d’Italia Einaudi 433


Cesare Lombroso - Genio e follia

Profession Popolazione onesta d’anni 20 Delinquenti d’anni 18 in su

Magistrati, impiegati e 3,6 2,3


professioni liberali
Cuochi 3,0 11,1
Calzolai 3,8 12,2
Agricoltori e boari 59,0 52,0
Lavoratori in metallo 2,2 3,7
Muratori 4,0 7,5
Barcaioli 0,7 0,2
Servi 1,3 7,9
Operai in legno 3,6 2,9

parrebbe che i calzolai, gli osti o cuochi, ed i servitori


diano il massimo di delinquenti in confronto alla popo-
lazione; quasi il quadruplo ed il sestuplo, e peggio se re-
cidivi; presso che il doppio i muratori; verrebbero poi i
lavoranti in metallo, i quali darebbero cifre maggiori de-
gli operai in legno. Questi, i barcaiuoli e gli agricoltori
darebbero le cifre minime, come pure le professioni libe-
rali, le quali, però, siccome a 20 anni difficilmente sono
comprese nella statistica, non possono giustamente com-
pararsi, e dagli studi del Curcio vedemmo, anzi essere fra
le più feconde in delitti (v. s.).
Marro (o. c., p. 350) ne trovò il minimo, a Torino, 1
su 500, fra i cacciatori, ombrellai, preti, studenti, maestri,
pescatori.
Un piccolo numero, 4, fra i litografi, marmorini, car-
rozzieri, giardinieri, muratori, conciatori (3 omicidi).
Un numero maggiore, 7, nei sensali, scrittori, tessitori:
nei parrucchieri (quasi tutti rei di libidine).
I muratori, poi, diedero l’11% mentre nella popol. libera il 2,5%

i panettieri » 6,9% » » 1,6%

ambedue perché ricevono paga giorno per giorno e non


han bisogno di lungo tirocinio.

Storia d’Italia Einaudi 434


Cesare Lombroso - Genio e follia

I fabbriferrai diedero l’8,3 nella popolazione libera 2,3%

calzolai » 7,3 » 3,2


studenti » 0,33 » 3,1

Le professioni che s’esercitano in città, che più espon-


gono all’alcoolismo (cuochi, calzolai, osti), che mettono
il povero a troppo continuo contatto coi ricchi (camerie-
ri e servitori), o che facilitano i mezzi pei maleficî (mura-
tori, ferrai), dànno una quota notevole alla delinquenza,
e più alle recidive (cuochi e calzolai, 6-20), il che è illu-
strato dalla filologia poiché coquin viene da coquus e poi
coquinus.
Le professioni che espongono a minori contatti, come
i barcaiuoli ed i contadini, dànno le quote minime della
delinquenza, e le minime dei recidivi (barcaiuoli).
Carcere La causa maggiore d’ogni delitto è il carce-
re. Noi, precisamente quando crediamo vendicare e di-
fendere la società, colla carcere somministriamo ai delin-
quenti i mezzi di conoscersi, di istruirsi e di associarsi nel
male.
Ma vi ha, se è possibile, di peggio: la carcere è una
causa diretta di delitti per sé stessa, perché diventata
un comodo albergo, stante all’esagerata mitezza riesce la
mira di alcuni che delinquono per ottenerla.
«Io farei a fette il viso a chi sparla (cantava un prigio-
niero di Palermo) della Vicaria. Chi dice che la carcere
castiga, oh! come si sbaglia il poveretto; la carcere è una
fortuna che vi tocca, poiché vi insegna i ripostigli (por-
teddu) e i modi del furto».
Questi fatti ci spiegano come le nostre statistiche e
le statistiche inglesi ci diano così spesso degli individui
entraci nel carcere fino a 50 a 60 volte, e ci spiegano il
caso di quel tale di cui narra Breton che commetteva furti
solo per farsi ricoverare in prigione e che alla 50ª volta
condannato alla cella disse: La giustizia questa volta mi
ha frodato, ma non mi ci côrranno un’altra volta; ed il caso

Storia d’Italia Einaudi 435


Cesare Lombroso - Genio e follia

ripetutosi nel maggio del 1878 a Milano da quel Zucchi


che rubò alle Assise per farsi porre in prigione. «Dal
1852 in poi, diceva egli, ho passato in carcere 20 anni:
l’amnistia mi ha fatto escire, ma non posso vivere con una
lira al giorno; ho pensato di farmi mettere in prigione per
poter mangiare, bere e dormire. Sig. Presidente, calchi la
penna, perché tanto e tanto in carcere non si sta male» (
Rivista di discipline carcerarie, 1878); e nel 1879 a Roma
un vecchio di 80 anni che ne era stato 47 in prigione,
dove si era trovato benissimo, in ispecie sotto il papa,
strepitava presso il questore per rientrare in carcere: «Io
non vi chieggo un impiego, ma un carcere qualunque
pur che possa vivere tranquillo; ho oramai 80 anni e non
vivrò tanto da rovinare il vostro governo che è già male
in gamba».
Che questa esagerata mitezza sia deplorata anche al-
trove lo dimostrano le parole di Tallack e di D’Olivecro-
na.
«I delinquenti, dice il Tallack ( Difetti nell’amministra-
zione della giustizia penale d’Inghilterra e d’Irlanda. Lon-
dra, 1872, pag. 7), fra noi si avvezzano a riguardare la
prigione come alcun che di fruttifero e di attraente: se
non altro li assolve dalle spese di tavola, di alloggio e di
vestiario, e li dispensa dal troppo affaticarsi».
«Mentre il forzato, scrive D’Olivecrona, nel volgere
dell’anno, consuma 33 chilogrammi di carne, il braccian-
te stabile di campagna non ha, di solito, in forza del con-
tratto locativo, se non chilogrammi 25 e 1/2 di bue sala-
to, 25 e 1/2 di maiale salato, che è quanto dire, in tutto,
chilogrammi 51: assegno che deve bastare per lui, per la
donna e pei figli ( De la récidive, 1812).
All’ultima ora del suo gastigo (in Svezia), un forzato
rese vivissimi grazie al direttore, dichiarando che, prima
dell’arresto, non aveva mai gustato cibarie tanto sapide
e sostanziose. In altro stabilimento, una femmina aveva
fatto considerevoli risparmi sulla razione del pane, affin-

Storia d’Italia Einaudi 436


Cesare Lombroso - Genio e follia

ché, diceva essa, i miei figli, quando sarò a casa, dividano


con me il buon pane dello Stato (Id.).
Io non esito, continua egli, a porre fra le cause della
recidiva l’indulgente trattamento che si usa ai forzati».
Oltre a tutti questi difetti, generali a tutta l’Europa,
il carcere d’Italia ne ha anche di tutti suoi, o meglio di
quelli che solo la Spagna può vantare comuni – ha la ma-
la struttura che permette la facile evasione come in Gir-
genti e Caltanissetta, e forse in quasi tutte le carceri man-
damentali – ha l’insufficienza, la sproporzione dei loca-
li alle singole condanne. La legge commina la custodia,
l’arresto, la carcere, la cella, la relegazione, ma tutto ciò
resta lettera morta, perché le celle non bastano non che
pei minorenni, nemmeno per il decimo dei soggetti a giu-
dizi, per cui, se si vuole un buon processo, sarebbero più
necessarie.

4
Uguali e diversi

1
Una razza che si trasforma

È certo che una buona parte degli Ebrei, sparsi per


l’Europa, conserva 71 immutati i caratteri della remota
origine, come la doligocefalia, la nerezza dei capelli,
il prognatismo del viso, la foltezza dei sopracigli che
s’incrociano alla radice del naso, lo spessore delle labra,
la cortezza delle gambe in proporzione del tronco; ma
molti altri ve ne hanno che non presentano alcuno dei
caratteri della razza primitiva.
Vero è che alcuni antropologhi affermano come anti-
camente, oltre alla razza a capello nero ed a cranio bi-
slungo, fossevi un’altra razza, ebrea, dal pelo rosso e dal

Storia d’Italia Einaudi 437


Cesare Lombroso - Genio e follia

cranio rotondo e con ciò spiegano questi divarj. Ma e’


sono più speciosi pretesti, questi, che non ragioni: se vi
hanno degli Ebrei a pelo rosso (ed è verissimo), ve ne
hanno poi a capello castano o biondo, ed a cranio meso-
cefalo; e poi come spiegare che questo tipo dal pelo ros-
so si rinvenga così di rado nei paesi meridionali, così fre-
quentemente nei paesi del nord, e che proprio in Inghil-
terra l’Ebreo presenti quel capello liscio, finissimo, bion-
do e quella fronte elevata e quell’occhio ceruleo che e
proprio del vero Britanno? E perché in Piemonte abon-
dano gli Ebrei a cranio rotondo e capello biondo, e nel-
la Venezia a cranio quadrato e bislungo ed a capello ne-
ro? E perché gli Ebrei, nell’oasis di Waregh, al 32° lat.
Sud, presentano la cute dei Neri e la fisionomia dei Bian-
chi, ed in Abissinia il naso schiacciato, il labro grosso, il
prognatismo e persino la capigliatura lanosa dei Negri, e
insieme una pelle chiara quasi come la nostra?139
Si asserì in coro da quasi tutti gli statisti d’Europa, che
l’Ebreo offre un numero di maschi maggiore, una morta-
lità assai minore del cristiano dello stesso paese di Ger-
mania, di Francia e di Ungheria. Ma uno studio accura-
to sugli Ebrei di Verona, mi dimostrava che la differenza
è pochissima; e dipende tutta da ciò che gli statisti non
si erano preoccupati della fittizia mancanza di illegittimi
ebrei che vanno a disperdersi nelle ruote catoliche, e del-
l’aumento fittizio di mortalità che l’istituzione dei brefo-
trofi, e, fino ad un certo punto, degli ospitali, mette tut-
to sugli omeri della popolazione catolica, mentre esso in-
vece dovrebbe dividersi colla giudaica140 .
Questa stessa ragione e la scarsezza apparente e fitti-
zia di illegitimi ebrei spiega la maggior copia dei figli ma-
schi ebrei in Prussia e Francia (120 per 100), sapendo-
si che l’eccesso dei maschi si nota più frequente nei parti
legitimi.
Veniamo alle qualità morali. Molte delle qualità e dei
vizj del moderno Ebreo si trovano accennate, in germe,

Storia d’Italia Einaudi 438


Cesare Lombroso - Genio e follia

nell’antica sua storia, per esempio: la tenacia portata alle


volte fino all’ostinazione e l’amore vivissimo della patria,
di cui, tanto nei tempi addietro come tuttora, diedero
magnanime prove; e più ancora l’avarizia, l’avidità del-
l’oro, la credulità teologica, la fede esaggerata nelle tra-
dizioni per strane e bizzarre che fossero, la tendenza al-
le associazioni, l’astuzia e la finezza: doti per le quali toc-
carono sì alto nel mondo commerciale. L’incapacità loro
per le arti plastiche è in essi, come in tutti i Semiti, così
inveterata, che si travede dalle rigide leggi iconoclastiche
della Biblia.
Ma tuttavia non può negarsi che in molti Ebrei mo-
derni si notino delle attitudini contrarie alle antiche; e
già cominciano a vedersi, fra loro, dei pittori e degli scul-
tori, e, quello che è più singolare, degli increduli e dei
prodighi. In generale le attitudini degli Ebrei appajo-
no analoghe a quelle che prevalgono ne’ paesi in cui so-
no stabiliti: e’ sono dotti in Germania, in Polonia super-
stiziosissimi, parlatori nel Veneto, parchi e taciturni nel
Piemonte; ed Acosta e Spinoza, i due Ebrei che più for-
temente combatterono i pregiudizj e le credenze giudai-
che, naquero in Olanda, dove appunto tra i concittadini
non semiti, sorsero i più tenaci avversarj dell’ortodossia
catolica.
Essi poi perdettero affatto alcune delle loro grandi
qualità storiche. Il coraggio, lo sprezzo della vita era-
no uno dei caratteri salienti di quella robusta razza, che
credette aver un Dio consigliere di conquiste e di stragi,
e che gettava fiumi del proprio sangue sulle mura con-
trastate di Massad, ove il trionfatore, entrato, vide, spet-
tacolo nuovo anche ad un cuore romano, un’intera città
suicidatasi, per non sopravivere alla vergogna commune.
Or bene la rarità straordinaria dei suicidi ebrei e la scar-
sezza degli uomini di guerra distinti, tra loro, mostrano
che questa virtù non eccelle più in essi come una volta,

Storia d’Italia Einaudi 439


Cesare Lombroso - Genio e follia

lasciando sovente luogo ad una timidezza quasi istintiva


e ad una grande paura della morte.
Per compenso poi acquistarono delle qualità che, pri-
ma di porre il piede in Europa, non sembra abbiano pos-
seduto. L’amore della famiglia, che nelle razze europee
va sempre più intepidendo, in loro divenne gigante; l’i-
nerzia proverbiale nell’Asiatico, la sua completa indiffe-
renza per quanto non tocchi il suo oro o il suo Dio, la
ignoranza che ne deriva, scomparvero, dando luogo ad
una attività febrile ed instancabile non solo nella pazien-
te e tenace bisogna dei commercj, ma in tutti i rami del-
l’umana operosità. Così eccelsero nella politica Abraba-
nel, ecc.; nella dialettica Spinoza, nell’ironia Heine, nel
giornalismo Yung, Weill ecc.; nella musica Meyerbeer,
Halevy, Choen; in Germania i più illustri medici o fisio-
logi, Casper, Hirsch, Schiff, Valentin, Cohnheim, Trau-
be, Fraenkel, naquero ebrei. Insomma, proporzionata-
mente al numero, essi, al confronto dei concittadini non
semiti, offersero una serie almeno uguale, se non forse
maggiore, di produttori intellettuali; e si noti anche in
quelle scienze cui la razza semitica141 si mostrò, sempre,
prima, inadatta, come, per esempio, nelle scienze esatte.
Solo nelle arti plastiche e nelle mecaniche non diedero
alcun uomo di vaglia.
Essi dunque non solo sorpassarono il livello inferiore
della razza semita, cui è negato di attingere alla coppa in-
tellettuale della razza bianca più oltre della lirica e del-
l’epopea: ma si elevarono qualche volta al di sopra degli
Arj; sempre procedettero loro pari. Ecco dunque un’al-
tra razza che sotto i nostri occhi, pur conservando in par-
te il tipo primitivo, monta a gradi superiori dell’origine
sua, e si trasforma.
Come ciò avvenisse, è notissimo. La emigrazione for-
zata sottopose quella razza, che sarebbe stata, come tut-
te le altre popolazioni semitiche, assai poco progressi-
va, all’azione di climi affatto differenti dall’originario: la

Storia d’Italia Einaudi 440


Cesare Lombroso - Genio e follia

persecuzione continua, secolare, fungendo, come direb-


be Darwin, da selettore della specie, quelli che non poté
spegnere, e saranno stati molti, acuì, perfezionò nell’in-
gegno. E come l’astuzia e l’attività soltanto, e l’apparen-
za della miseria e quindi la grettezza potevano sottrarli
alle troppo feroci persecuzioni, contro cui un’audace re-
sistenza sarebbe riuscita impotente, così essa fece preva-
lere quei vizj, e a poco a poco spegnere quelle doti che
sarebbero state più dannose che utili, come il coraggio
e la generosità. [Vi si aggiunse, come vedremo, ma più
tardi, il nervosismo].
Quest’azione combinata del clima e delle circostanze
risulta chiara anche dal vedere come in alcune regioni gli
Ebrei non abbiano progredito, di un passo, dai loro con-
terranei, sopratutto nei paesi caldi ed in quelli in cui la
persecuzione mancò. Così in nulla eccelsero nell’Abis-
sinia, benché, contro loro costume, abbianvi fatto molti
proseliti, e benché, o forse perché, non vi patissero per-
secuzioni; ed essi poi abbrutirono nella classica e nativa
terra della Giudea, dove pure sono colmati di favori dai
devoti correligionarj di tutta Europa, che ne fanno, per
gli uguali meriti e con uguale profitto dei catolici, una
seconda Roma.
A Bombay gli Ebrei muratori, agricoli, fallegnami, sol-
dati pretendono discendere dalle tribù esigliate dagli As-
sirj al tempo di Osia: e’ si maritano fra di loro; osser-
vano il Sabbato, la circoncisione; venerano, senza com-
prenderla, la Biblia; riuniti, prima dell’arrivo degli Euro-
pei, in corporazioni sotto capi speciali, non si elevarono
dal livello delle infime caste indiane.
Io ho già dimostrato nell’ Uomo bianco e l’Uomo di co-
lore e nel Pensiero e Meteore, come, in grazia alla cruenta
selezione operata dalle persecuzioni medioevali e in gra-
zia anche del clima temperato, gli ebrei d’Europa, confu-
si ancora nell’Africa e nell’Oriente nell’Umile stadio se-
mita, se ne elevarono di tanto da superare non di rado gli

Storia d’Italia Einaudi 441


Cesare Lombroso - Genio e follia

Arii, oltreché nella coltura generale, nel più diffuso142 e


precoce lavoro psichico in molti rami della civiltà, certo
nel commercio, nella musica e nel giornalismo, nella let-
teratura satirica ed umoristica, in alcuni rami della medi-
cina, avendoci dato nella musica Meyerbeer, Choen, Ha-
levy, Gusikow, Mendelssohn, Offenbach, e nell’umori-
smo Heine, Saphir, Camerini, Revere, Kaliss, Jacobsohn,
Yung, Weill, Fortis, Gozlan; nella letteratura Auerbach,
Kompen, Aguilar; nella linguistica Ascoli, Munk, Fioren-
tino, Luzzatto, ecc.; nella medicina Valentin, Hermann,
Haidenhain, Schiff, Casper, Hirschfield, Stilling, Glu-
ger, Laurence, Traube, Fraenkel, Kuhn, Cohnheim, Hir-
sch; in filosofia Spinoza, Sommerhausen, Mendelssohn,
ed in politica Lassalle, Marx; perfino in quei rami, come
la matematica, cui il Sernita si mostrava sempre inadatto,
valgano ad esempio Goldschmidt, Beer e Marcus.
Si noti, che quasi tutti questi genii sono radicalmente
creatori; in politica rivoluzionari, in religione capi di
nuove credenze; così che da essi, se non emanarono,
ceno furono iniziati da un lato il nihilismo e il socialismo,
dall’altro il cristianesimo ed il mosaicismo, come nel
commercio la cambiale, in filosofia il positivismo, in
letteratura il neo-umorismo.
Or bene, è curioso notare che precisamente gli ebrei
dànno un contingente quadruplo e fin sestuplo di alienati
degli altri loro concittadini.
Il dottissimo Servi nel 1869 contava in Italia 1 pazzo
sopra 391 ebrei, quasi il quadruplo dei cattolici (Gli
Israeliti di Europa, 1872), il che vien riconfermato. anzi
aggravato pel 1879 dal Verga, che annovera:
Archivio di Statist. (Roma, 1880)
Un pazzo ogni 1775 cattolici,
» » » 1725 protestanti,
» » » 384 ebrei.

Storia d’Italia Einaudi 442


Cesare Lombroso - Genio e follia

Tigges che poté studiare più di 3100 alienati nella


sua statistica della Westfalia ( Gesch. und. Stat. der
Westphal. lrrenanstalt, 1861) trovò la pazzia diffusa nella
proporzione di

1 a 3 a 7000 negli ebrei


1 » 11 » 14000 nei cattolici
1 » 13 » 14000 negli evangelici.

Nel 1868-69 l’Italia avea 49 profes. di cui 17 nell’Univ.tà e 7


israel., deputati
1869-70 » 54 »
1872 » 59 »

In Prussia nel 1849 si conta 1 stud. nelle scuole


secondarie su 467 catt., 1 su 243 protestanti, ed 1 su 53
ebrei.
Servi nell’op. cit. calcola la popolazione d’Italia
agricola ebmica 0,7 su 1000, data al culto 9,3 – artigiani
4,0 – commercio e industria 177,0 – possidenti 56,0 –
sicurezza est. 13,0 – donne senza professione 560,0 –
minatori 0,0 – poveri 3,5 – prof. liber. 27,6 – amministr.
120,0 – domestici 16,0.
Noto che stando alla osservazione di Buckle (1° voI.),
secondo cui la ricchezza è il primo necessario passo alla
coltura, la maggior copia di dotti fra gli ebrei si potrebbe
spiegare anche per la maggiore ricchezza.
Mayr finalmente ci dà la proporzione nel 1871 dei
pazzi:
in Prussia 8,7 ogni 10000 cristiani, 14,1 ogni 10000 ebrei
in Baviera 9,8 ogni 10000 cristiani, 25,2 ogni 10000 ebrei
in Germania 8,6 ogni 10000 cristiani, 16,1 ogni 10000 ebrei
tutta

( Die Verbreit. der Blind, ecc., 1872)


Sono proporzioni, o meglio, sproporzioni singolari in
una popolazione, in cui, se più abbondano i vecchi, che

Storia d’Italia Einaudi 443


Cesare Lombroso - Genio e follia

dànno un maggior numero di demenze senili, scarseggia-


no di molto gli alcoolisti.
A questo fatale privilegio non hanno posto mente quei
corifei dell’antisemitismo, che sono una delle vergogne
della Germania attuale; certo essi non sarebbersi tanto
irritati dei successi di quella povera razza, se avessero
pensato a prezzo di quante sventure essa li sconti anche
nell’epoca nostra, senza annoverare le tragedie passate,
in cui erano certo più cruente le vittime, ma non più
infelici di queste – colpite nella fonte della loro gloria,
in causa di essa, e senza pure il conforto di contribuire,
come allora, col suo sacrificio, alla più nobile fra le
selezioni della specie.

2
Razza e delitto

Dove invece spiccano chiare le influenze della razza sulla


criminalità, è nello studio degli Ebrei e degli Zingari, e
ciò nel senso precisamente opposto.
La statistica avrebbe dimostrato la criminalità negli
Ebrei essere in alcuni paesi inferiore a quella di altri con-
cittadini, il che riesce tanto più notevole inquantoché
in grazia alla professione da loro più preferita, essi do-
vrebbero paragonarsi piuttosto che a tutta la popolazio-
ne in genere ai commercianti ed ai piccoli industrianti
che danno una delle cifre massime di criminalità.
In Baviera vi sarebbe 1 condannato ebreo su ogni 315
abitanti, ed un cattolico ogni 265. –Nel Baden, per 100
cristiani, 63,6 ebrei (Oettingen, p. 844).
In Lombardia, sotto l’Austria, si ebbe in 7 anni 1
condannato ebreo ogni 2568 abitanti (Messedaglia). –
Nel 1865 in Italia contavansi solo 7 ebrei carcerati, 5
maschi e 2 femmine; proporzione inferiore di molto alla
popolazione criminale cattolica. – Nuove indagini del

Storia d’Italia Einaudi 444


Cesare Lombroso - Genio e follia

Servi, nel 1869, avrebbero dato su una popolazione di


17800 ebrei solo 8 condannati.
Invece in Prussia si sarebbe notato dall’Hausner una
leggiera differenza in sfavore degli accusati ebrei, 1 ogni
2600, in confronto dei cristiani, 1 ogni 2800, che viene in
parte confermata dal Kolb.
Secondo il Kolb, si notò nel 1859 in Prussia:
1 accusato Ebreo per ogni 2793 abitanti
» Cattolico » 2645 abitanti
» Evangelico » 2821 abitanti

( Handb. der vergleich. Statistik. 1875, p. 130).


In Austria i maschi ebrei condannati diedero il 3,74%
nel 1872; nel 1873 il 4,13, cifra di qualche frazione
superiore ai rapporti della popolazione ( Stat. Ubers. der
k. k. österr. Strafanst., 1875).
Più sicuro della minore proporzione dei delinquenti
ebrei è il fatto della loro criminalità specifica; in essi, co-
me negli Zingari, predomina la forma ereditaria del de-
litto, contandosi in Francia intere generazioni di truffa-
tori e di ladri nei Cerfbeer, Salomon, Levi, Blum, Klein;
pochissimi sono i condannati per assassinio, e sono, allo-
ra, capi di bande organizzate con abilità non comune co-
me, Graft, Cerfbeer, Dechamps che hanno veri commes-
si viaggiatori, libri di commercio e che dispiegano una se-
cretezza, pazienza e tenacia spaventevole, per il che sfug-
girono molti anni alle indagini della giustizia; i più, alme-
no in Francia, sono autori di truffe speciali; come quel-
la dell’anello, in cui fingono di avere trovato un ogget-
to prezioso, o quella all’augurio mattutino, col cui prete-
sto spogliano le stanze di chi dorme colle porte aperte, o
quelle di commercio (Vidocq, Op. cit., Du Camp. Paris,
1874).
In Prussia erano frequenti le condanne degli Ebrei per
falso, per calunnie, ma più ancora, quelle per manuten-
golismo; il qual reato molte volte si cela alle indagini giu-

Storia d’Italia Einaudi 445


Cesare Lombroso - Genio e follia

diziarie, e ci spiega la grande copia di vocaboli ebrei nei


gerghi di Germania e d’Inghilterra, essendo noto che il
ladro si ispira come ad un maestro e ad una guida, dal
manutengolo, e quindi più facilmente fa tesoro de’ suoi
vocaboli.
Troppe cause lo spingevano, un tempo, in braccio a
questo delitto, come ai torbidi lucri dell’usura; l’avidi-
tà dell’oro, il disperato avvilimento, l’esclusione da ogni
impiego e da ogni pubblica assistenza, la reazione contro
le razze persecutrici ed armate, contro le quali nessun al-
tro mezzo d’offesa gli era possibile: fors’anche gli accad-
de, più volte, scaraventato dalle violenze delle masnade
a quelle dei feudatarj, di esser costretto a farsi complice
per non essere vittima, sicché, se anche di poco la loro
criminalità fosse riuscita superiore, non dovrebbe reca-
re meraviglia, mentre è bello il notare, che appena all’E-
breo si apriva uno spiraglio di vita politica, sembrò ve-
nirgli meno la tendenza a questa specifica criminalità.
Non così può dirsi degli Zingari, che sono l’imagine
viva di una razza intera di delinquenti, e ne riprodu-
cono tutte le passioni ed i vizj. Hanno in orrore, dice
Grellmann143 , tutto ciò che richiede il minimo grado di
applicazione; sopportano la fame e la miseria piuttosto
che sottoporsi ad un piccolo lavoro continuato; vi atten-
dono solo quanto basti per poter vivere; sono spergiuri
anche tra di loro; ingrati, vili, e nello stesso tempo cru-
deli, per cui in Transilvania corre il proverbio, che cin-
quanta Zingari possono esser fugati da un cencio bagna-
to; incorporati nell’esercito austriaco, vi fecero pessima
prova. Sono vendicativi all’estremo grado. Uno di que-
sti, battuto dal padrone, per vendicarsene, lo trasportò in
una grotta, ne cucì il corpo in una pelle, alimentandolo
colle sostanze più schifose, finche morì di gangrena.
Dediti all’ira, nell’impeto della collera, furono veduti
gettare i loro figli, quasi una pietra da fionda, contro
l’avversario, sono, appunto, come i delinquenti, vanitosi,

Storia d’Italia Einaudi 446


Cesare Lombroso - Genio e follia

eppure senza alcuna paura dell’infamia. Consumano


in alcool ed in vestiti quanto guadagnano; sicché se ne
vedono camminare a piedi nudi, ma con abito gallonato
od a colori, e senza calze, ma con stivaletti gialli.
Hanno l’imprevidenza del selvaggio e del delinquente.
Si racconta, come una volta, avendo respinto da una
trincea gl’Imperiali, gridassero loro dietro: «Fuggite,
fuggite, che, se non scarseggiassimo in piombo, avremmo
fatto di voi carnificina». E così ne resero edotti i nemici,
che ritornando sulla loro via, ne menarono strage.
Amanti dell’orgia, del rumore, nei mercati fanno gran-
di schiamazzi; feroci, assassinano senza rimorso, a sco-
po di lucro; si sospettarono, anni sono, di cannibalismo.
Le donne sono le più abili al furto, evi addestrano i lo-
ro bambini; avvelenano con polveri il bestiame, per dar-
si poi merito di guarirlo, o per averne a poco prezzo le
carni; in Turchia si danno anche alla prostituzione.
Tutti eccellono in cene truffe speciali, quali il cambio
di monete buone contro le false, o nello spaccio di caval-
li malati, raffazzonati per sani, sicché come fra noi ebreo
era, un tempo, sinonimo di usurajo, così, in Spagna gita-
no è sinonimo di truffatore in commercio di bestiame.
Non si possedono documenti sulla diffusione della
pazzia fra gli Zingari.
Se fosse provata negli Ebrei una minore criminalità in
confronto cogli altri, sorgerebbe qui una divergenza colla
diffusione della pazzia, la quale, in genere, è in loro più
frequente.
Se non che qui assai meno deve essere questione di
razza, che non di occupazioni intellettuali, le quali mol-
tiplicano le cause di emozioni morali: poiché nelle raz-
ze semitiche (Arabi, Beduini) è tutt’altro che frequente
l’alienazione.
E qui si scorge di nuovo quanto difficile torni il con-
cludere sulle nude cifre nelle quistioni morali e comples-
se.

Storia d’Italia Einaudi 447


Cesare Lombroso - Genio e follia

Lo zingaro in qualunque stato o condizione si trovi,


conserva la sua abituale e costante impassibilità, senza
sembrar preoccupato dell’avvenire, vivendo giorno per
giorno in una immobilità di pensiero assoluta, ed abdi-
cando ad ogni previdenza.
«Autorità, leggi, regola, principio, precetto, dovere»,
sono nozioni e cose insopponabili a codesta razza stra-
nissima (Colocci).
Obbedire e comandare gli è egualmente odioso, come
un peso ed un fastidio. Avere gli è estraneo quanto
dovere144 , il seguito, la conseguenza, la previsione, il
legame del passato all’avvenire, gli sono sconosciuti (Id.).
Colocci crede che essi possedono degli itinerari spe-
ciali comuni agli evasi, ai ladri, ai contrabbandieri inter-
nazionali, che si segnalano con speciali segni simili agli
Zink dei Tedeschi (Vedi Vol. I).
Uno dei segni più abituali per tali indicazioni, è il
patterai, di cui esistono due tipi: l’antico a tridente; il
nuovo a croce latina.
Questi segni, fatti lungo il percorso della strada mae-
stra, e tracciati col carbone sui muri delle case o inci-
si con il coltello sulla corteccia degli alberi, divengono
mezzi convenzionali per dire alle future comitive di con-
fratelli: Questa è strada da zingaro. Nel primo patterau la
direzione è data dalle linee laterali, nel secondo dal brac-
cio più lungo della croce.
I punti di fermata, o stazioni, li indicano collo Svastica
misterioso, forse ricordo di antico simbolo indiano, forse
embrione della nostra croce.
Quando vogliono partire dal luogo ove stanno – scri-
veva Pechon de Ruby nel XVI secolo – s’incamminano
verso il lato opposto e fanno una mezza lega all’inverso,
poi ritornano sulla loro strada.
E come i criminali, e come i Paria (vedi vol. I) da cui
derivano, essi hanno una letteratura popolare criminale

Storia d’Italia Einaudi 448


Cesare Lombroso - Genio e follia

che vanta il delitto, come nel dialogo seguente fra padre


e figlio (Colocci, o. c.).

Padre – «Olà, mio Basilio, se tu divieni grande, per la croce


di tuo padre! devi rubare».
Figlio – «E poi, padre, se sono scoperto?»
Padre – «Allora raccomandati alla pianta dei piedi, gioia di
tuo padre».
Figlio – «Al diavolo la tua croce, padre! Non m’insegni
bene».

E nelle seguenti poesie:

Da che, cavalluccio,
Non rubi più,
Non bevi più acquavite;
Sì, finché tu rubavi
Grazioso cavalluccio,
Buona acquavite bevevi,
E all’ombra sedevi.
La tua perdita è certa (Zingari rumeni).
I ragazzi zingari montanari
Come piccoli cani
Quando veggono uno zingaro (di pianura)
Lo spogliano (Zingari slavi).

Simili argomenti dànno tema a brevi narrazioni in


versi, soprattutto fra gli zingari inglesi e spagnuoli. Per
esempio:

Due giovani zingari furono deportati,


Furono deportati al di là dell’Oceano;
Platone per ribellione,
Luigi per aver rubato
La borsa d’una gran dama.
E, quando giunsero in paese straniero,
Platone fu impiccato
Subito: ma Luigi
Fu preso per marito da una gran dama,
Voi vorreste sapere chi fosse questa gran dama?

Storia d’Italia Einaudi 449


Cesare Lombroso - Genio e follia

Era la dama, cui esso aveva rubato la borsa;


Il giovane aveva un nero
Ed ammaliatore occhio
Ed essa l’aveva seguito al di là dell’Oceano (gipso).
Un frate
Stava facendo una predica;
Ed era stato rubato un prosciutto
Al macellaio di quel paese;
E quegli sapeva che gli Zingari
Lo avevano derubato.
Il frate esclamò: figliolo!
Vai a casa tua
E dalla pentola
Leva fuori il prosciutto
E mettici invece dentro
Una pezza del tuo marmocchio,
Marmocchio,
Una pezza del tuo marmocchio (gitano).

È importante poi il notare che questa razza così infe-


riore nella morale ed anche nella evoluzione civile ed in-
tellettuale, non avendo mai potuto toccar lo stadio in-
dustriale ne, come vedesi, in poesia passare la lirica più
povera, è in Ungheria creatrice d’una vera arte musica-
le, sua propria, meravigliosa – nuova prova della neofilia
e genialità che si può trovare mista agli strati atavici nel
criminale145 .
Educazione ed istruzione, ambiente e miseria, ecco gli
eterni cliché, con cui i poligrafai che passano per grandi
politici fra gli scienziati, e per grandi scienziati fra i
politici, credono spiegar tutti i problemi sulla genesi del
delitto; ed oltre i quali essi non vedono nulla; mentre
poi realmente lasciano i problemi come li trovano, anzi
sovente li abbuiano.
Questi stessi se la pigliano. contro uno dei più giovani,
ma più promettenti pensatori nostri, il Niceforo, di cui
qui lungamente vi parlava il Sighele, perché nell’indagare
le cause della delinquenza sempre più irrompente in

Storia d’Italia Einaudi 450


Cesare Lombroso - Genio e follia

Sardegna, insiste, senza esclusione delle altre cause, sulla


influenza della razza. – Ora per chi non istudia sulle
vecchie falsarighe, ma si lascia condurre solo dai fatti,
non vi ha alcun dubbio che la razza, sopratutto quando il
corrente livellatore della civiltà non ne ha ottusa l’azione
come nei grandi centri d’Europa, è insieme col clima e
colle condizioni economiche, uno dei più grandi fattori,
o meglio modificatori della delinquenza.
Se noi prendiamo, per es. col Bosco in esame gli Stati
Uniti d’America, vediamo che a pari condizioni di clima,
d’alimento, ecc., i negri omicidi vi si contano come 36
per 100 mila, mentre i bianchi solo 8 per 100 mila146 .
Come possiamo non trovare che qui siavi un’influenza
di razza?
Che se si rispondesse: che qui le condizioni più servi-
li, i mali trattamenti ci potrebbero spiegare tale differen-
za, aggiungerei che nella stessa regione noi vediamo in-
dividui nelle stesse condizioni economiche e della stessa
età, come gli immigranti, commettere omicidi nelle ugua-
li proporzioni come nei loro paesi nativi. «Così l’italia-
no vi dà il 50 per 100000 d’omicidi, l’inglese il 10, il te-
desco il 9, lo svedese il 5; anzi proporzioni analoghe, se
non esattamente precise, si possono riscontrare nei loro
discendenti» (Bosco).
Qual altra causa, se non quella della razza può qui
addursi?
E chi non vede l’effetto dell’influenza berbera e semita
nella enorme quota di assassini e di abigeati di cui è vitti-
ma quella pur feracissima Conca d’oro, dove le tribù car-
taginesi fenici ed arabe ebbero le loro prime e rinnova-
te dimore, e dove non solo la morale., ma fin il tipo ana-
tomico conserva l’impronta semita, mentre a pari condi-
zioni nelle regioni vicine popolate dai greci come Cata-
nia, tu vedi diminuire i delitti di sangue ed aumentare
quelli di frode, per cui la fede greca era così celebre; ed
io nel mio recente studio sull’ Uomo Delinquente 3° vo-

Storia d’Italia Einaudi 451


Cesare Lombroso - Genio e follia

lume ho notato che in Francia la tendenza omicida è mi-


nima dove la razza è cimbrica – 5 per 100, cresce nei di-
partimenti gallici 25 per 100 ed iberici: 35 per 100, dan-
do il suo massimo dove la razza è ligure e belga; e ho pu-
re notato che l’omicidio, salvo Lucca e Lecce, ha la mas-
sima proporzione fra le provincie, ove domina la doligo-
cefalia, e il capello nero, e il minimo dove prevalgono i
brachicefali e i biondi, salvo Ravenna.
E chi può negare l’influenza di razza, pensando agli
zingari, derivati dalle scorie reiette delle tribù indiane, e
che, non mancando d’ingegno ne d’energia, potrebbero
bene escire, per quanto nomadi, dalla cerchia del delit-
to, che è diventata la loro professione, eppure non vi rie-
scono nemmeno là dove sono ben voluti ed accetti e do-
ve pur dandosi all’arte musicale, potrebbero cavare pro-
fitto non solo, ma gloria invece che destare persecuzione
e ribrezzo?
Dopo ciò, come si può negare ragione all’egregio
Niceforo147 se quando parla dell’accrescimento grande
dei delitti in Sardegna e specialmente nella zona di Nuo-
ro, della quale così coraggiosamente pel primo vi intrat-
tenne il vostro Adolfo Rossi, ebbe a segnalarne, insieme
a molte altre, la nella razza?
Come non ammetterlo, quando si vede scrivere di
quelle terre fin da antichissimi tempi Strabone «che per
quanto abbiano gli abitanti grani e sementi, coltivano
male i campi e non solo rubano e devastano in casa,
ma fino nel continente» mentre un vecchio proverbio
sardo afferma che a Orune non si può campare che di
carne rubata, e che perfino i santi son fuggiti di là; ed
un’altra vecchia leggenda pretende che quei di Lodé
tirarono fucilate fin contro S. Antonio, e che fecero una
spedizione armata a Garrofai per rubarvi, in mancanza
d’altro..., il campanile?
È strana poi l’obbiezione che di razza non si deve più
parlare perché un certo messere che si chiama Lapou-

Storia d’Italia Einaudi 452


Cesare Lombroso - Genio e follia

ge ha trovato che le razze pure non esistono. Ma chi lo


nega? Ma chi pur negando che non esistono scientifi-
camente pure ne generi, ne specie, non deve convenire
che almeno esiste un gruppo di fatti che non si potrebbe
comprendere senza quelle distinzioni? Oh sarà giustis-
simo che il cane derivi dal lupo, ma attualmente il cane
forma una specie benissimo distinta dal lupo; e con istin-
ti e caratteri suoi speciali. E questo sia detto, anche per
quelle altre osservazioni speciose, ma capaci di impres-
sionare i poco accorti, secondo cui si pretende che: «non
si può parlare di una influenza semitica dannosa in Sar-
degna, in Sicilia, perché quei semiti che sono gli ebrei,
danno una cifra scarsa di criminalità». Quando noi in-
tendiamo parlare di razza, specialmente nelle sue appli-
cazioni, parliamo di un dato agglomero di popolazione
che si conserva tale con date forme ed abitudini in dati
climi, circostanze, ed epoche, ecc.; così l’ungherese non
ha più nulla dell’unno; ne l’ebreo ha più nulla del noma-
de arabo.
Ed un altro errore è quello di voler confondere quel-
la criminalità, direi naturale, e propria così dell’età in-
fantile come del popolo primitivo, difettante così di sen-
so morale che il delitto vi si contende coll’azione – come
già dimostrava l’etimologia di facinus, di culpa, di crimen
(da cra, Sanscrito fare) colla criminalità dei popoli civili,
nei quali quando le tendenze selvaggie e criminali ripul-
lulano, non sono più fisiologiche, ma effetto di anomalia,
e quindi morbose; perciò lo stesso popolo, la stessa raz-
za, come lo scozzese, può esser stato feroce e barbaro nel
suo stato primitivo e non aver più nessuna tendenza cri-
minale o ben poca quando divenne civile; ed è per questo
anzi che giustamente il Niceforo spiega la criminalità sar-
da, sopratutto del Nuorese, esser effetto di un arresto di
sviluppo nel senso morale collettivo, di una permanen-
za nello stato barbarico, grazie a molte cause, come l’i-
solamento, l’abbandono, la incuria del Governo, le con-

Storia d’Italia Einaudi 453


Cesare Lombroso - Genio e follia

dizioni infelicissime agrarie per il latifondo da una par-


te, lo sminuzzamento della proprietà dall’altro, per cui
vi possono essere su un piccolo campo tre proprietari, di
cui uno ha il suolo, gli altri due una pianta per ciascuno,
ma più di tutto e soprattutto per la razza, la quale non
ha potuto vincere le circostanze circumambienti e quin-
di non poté svolgersi – da quello stadio barbarico in cui
il delitto e l’azione si confondono.
Le forme singolarissime, pari alle imprese degli anti-
chi clan, delle grassazioni sarde, specie a Nuoro, in cui
si adunano per lo più i pastori, ma talvolta anche ricchi
proprietari più per ambizione di ardite imprese, che per
sete di guadagno; la nessuna onta annessa alla professio-
ne di brigante – che vi è decantato e anzi cantato come
un eroe, sicché gli inni popolari su De Rosas vi circolano
come già in Grecia i pre Omerici su Achille, e per le fa-
miglie è così grande onore avere un brigante fra i paren-
ti, come fra noi – Dio ce ne guardi! – avere un parente
ministro o ambasciatore, e un proverbio attesterebbe che
chi non furat, non est homo – confermano che la crimina-
lità lì ha origini, come ha le forme, barbariche. Ne è cari-
tà di patria il tacerlo: è carità di patria, anzi, il proclamar-
lo, onde aiutare quei nostri fratelli ad uscire dalla melma
barbarica in cui sono impigliati, come ne va uscendo solo
tanta parte d’Italia.

3
Il soffio dell’antisemitismo

In questi ultimi anni, mentre d’ogni parte si inneggia ar-


cadicamente all’amore dell’uomo, alla fraternità dei po-
poli, un soffio gelido, d’odio selvaggio, percorre i popo-
li anche più civili d’Europa, dando luogo a quelle scene
che mal si sarebbero credute possibili nel Medio Evo; è il
soffio dell’antisemitismo che prese nome ed abbrivio in

Storia d’Italia Einaudi 454


Cesare Lombroso - Genio e follia

Germania, ma che sotto altri appellativi meno scientifici


aveva divampato nelle epoche anteriori e covava latente
nei bassi strati dei popoli Europei.
Il fenomeno è troppo importante perché il sociologo
non debba preoccuparsene e studiarne le cause e i rime-
di.
Quali ne sono le cause più apparenti? Si disse: La di-
saffinità di razza, specie dove i ravvicinamenti non furo-
no favoriti dai matrimoni misti e dagli interessi recipro-
ci.
Ma questa causa non è ammessibile; perché, come
vedremo, disaffinità di razza, assai maggiori, trovansi in
mezzo a popoli che pur si fusero insieme; ed anzi si può
dire che non vi sia paese in Europa il quale non presenti
un mosaico di razze variatissime; ed in Francia troviamo
coesistente la razza celtica colla basca, colla latina e colla
tedesca (Normandia): in Inghilterra la celtica, coll’anglo-
sassone e colla latina.
Fu accusata la troppa loro ricchezza, e Bebel adduce
a causa dell’antisemitismo in Germania che il commer-
cio agricolo è quasi tutto nelle loro mani: ma noi non ve-
diamo odiati istintivamente i nostri grandi ricchi, e meno
ancora quei popoli Inglesi ed Americani che sono stra-
ricchi e perché tali.
Né mi par che basti la causa addotta della diversa
religione: che il buddista, il maomettano non suscitano
fra noi antipatia di sorta.
Bisogna rimontare invece a due cause, certo più in-
fluenti, entrambe atavistiche e quindi prepotenti.
La prima sta nella compiacenza che sorge dal senti-
mento di superiorità sugli altri, e può dirsi un ricordo
dell’antico dominio del libero Ario sopra i popoli schia-
vi; sentimento che si raddoppia allorché si fa nazionale,
perché si spoglia del pudore della vanità personale e si
moltiplica coll’imitazione.

Storia d’Italia Einaudi 455


Cesare Lombroso - Genio e follia

Essa giova a spiegarci appunto l’odio reciproco del


Polacco col Russo; gli uni sentono una compiacenza nel
dominio: credono di aver una vera superiorità di sangue;
e basta per comprenderlo leggere quanto opina il Brami-
no del Soudra, che crede reo se lo tocchi, e leggere quan-
to scrivevano prima di Gladstone i dotti inglesi degli Ir-
landesi, che pretendevano non perfezionabili; gli odiati,
poi, reagiscono a loro volta naturalmente contro un sen-
timento tanto ingiusto; e così le avversioni si rinveleni-
scono e centuplicano.
L’altra causa si connette alla stratificazione della me-
moria; e consiste nell’odio concepito dai Romani contro
questo popolo, che prima loro osava resistere e che col
cristianesimo prendeva su loro la vera rivincita nel cam-
po religioso, sentimento che si raddoppiò poi nel me-
dio evo, quando la casta clericale, divenuta padrona del-
lo spirito europeo, ne fece un dovere ed un rito.
Ma qual è la causa che ha fatto acutizzare in questi ul-
timi anni l’endemia? Giustamente osserva il Ferri che
venne dalle arti dei governi e delle sètte, a scopo politi-
co. Bismark, che vedeva negli oppositori un bel nume-
ro di semiti, Lasker alla testa, con quella sua brutale e fa-
cile politica che risolveva colla spada di Brenno le que-
stioni che un grand’uomo di Stato come Cavour avreb-
be risolto coll’arti delicate della politica e coll’eloquen-
za, scatenò gli istinti popolari latenti contro gli Ebrei on-
de vincere la loro tenacia, allo stesso modo e per le stesse
cause che combatteva i cattolici coi sequestri e le carce-
ri: il popolo favorito nei suoi istinti più atavici da un alto
politico non se lo fece ripetere due volte, e così una vol-
ta incominciato il moto, accrebbe assai più forse che non
volesse chi lo provocava.
Così accadde in Russia, che sperò affogare negli odî
sanguinosi suscitati contro gli Ebrei le simpatie pel niki-
lismo, e distrar le plebi dalle reazioni violente che dove-
van suscitare le orribili carestie provocate dal suo cattivo

Storia d’Italia Einaudi 456


Cesare Lombroso - Genio e follia

governo: essa applicò tristamente l’antica massima: divi-


dere per imperare: il tutto favorito poi anche da un fa-
natismo barbaro di religione da cui pare colpito il Presi-
de del Santo Sinodo, che ha nelle mani il cuore dell’on-
nipotente signore di quello sventurato paese.
Abusando dei pregiudizi e degli odi religiosi (scrive
Ferri), profondamente radicati per trasmissione eredita-
ria nelle masse popolari, specialmente delle campagne,
si è creduto di deviare il movimento di protesta contro
la ricchezza esagerata di pochi e la miseria eccessiva dei
più, aizzando gli istinti popolari contro «gli uccisori di
Cristo» e i «monopolizzatori della pubblica ricchezza».
Qui, al paro che in Germania, (e ciò era naturale in po-
polo meno incivilito), quegli odi presero una forma co-
sì acuta e così epidemica che ne vennero affetti non solo
i contadini, ma perfino i serî e imparziali pensatori che,
interrogati da me, per es. Drill e Tarnowski, dichiararon-
mi non trovar nulla di strano in quelle misure, poiché gli
Ebrei della Russia erano diversi da quelli di tutte le altre
parti del mondo, e meritavano la loro sorte. Eppure, co-
me vedremo, essi erano non utili, ma necessari al paese;
formavano, come ora in Rumenia, come già da noi nel
Medio Evo, quel primo sottostrato della classe borghese
ed industriale che manca a questo popolo di impiegati e
di soldati, di nobili e di contadini.
E i politici e i popoli vi furono trascinati anche da un
altro movente, da un altro bacillo epidemico. Ogni epo-
ca, anzi, ogni frazione di epoca in Europa ha, chi ben vi
studia, un dato andazzo politico. Nell’89 erano i diritti
dell’uomo, nel ’95 la legittimità, nel ’59 la nazionalità, do-
po l’80 circa, in tutta Europa, e per riflesso forse anche
nell’America del Nord, prevale quell’andazzo del prote-
zionismo e di un internazionalismo alla rovescia, per cui
i vari popoli cercano di escludersi l’un l’altro, di chiuder-
si dentro i propri confini, cercando la fortuna nel danno
degli altri, non pensando punto, tanto è miope lo sguar-

Storia d’Italia Einaudi 457


Cesare Lombroso - Genio e follia

do degli uomini di Stato, che ciò si risolve nel danno di


tutti, e quindi nel proprio. Da ciò le barriere dogana-
li rialzate da tutte le parti, ecc., da ciò gli di rinnovati
dei Francesi contro gli Italiani, dei Russi contro i Tede-
schi, dell’America contro tutti, contro il chinese e l’ita-
liano, ora, in ispecie. Perfino l’Australiano, il frutto del-
la massima modernità, comincia a organizzare e medita-
re decreti contro l’odiato straniero, di cui pur tanto abbi-
sogna per estendere la sua cultura. Tutti, insomma, tor-
nano all’antico hostis-hostis (straniero-nemico). Quindi
è naturale che le differenze di razza tra l’Ebreo e le altre
nazioni dessero un appiglio contro lui nel senso, o me-
glio nel pretesto patrio, nazionale, come lo destano i Te-
deschi in Russia, gl’Inglesi nelle colonie portoghesi e vi-
ceversa.
Vi contribuì infine da una parte il sentimento religio-
so, dall’altra il movimento socialistico, un po’ per secon-
dare (ad imitazione di governi) gli istinti popolari, e un
po’ per un odio alla ricchezza maggiore di cui quelle clas-
si difettano.
Vediamo che ci risponda la scienza moderna per boc-
ca degli scienziati viventi fra i popoli più infetti d’antise-
mitismo, i Russi e i Tedeschi.
La tesi più prevalente fra questi è che l’Ebreo essendo
semita inquina la purezza delle nostre razze, e ne inceppa
il progresso.
«Il semita, scrive Picard, non è civilizzatore, è impro-
prio al progresso. Se egli sa arricchirsi non sa andare in-
nanzi. Quando si agita, la sua agitazione è sterile. L’A-
rabia è stata pura da ogni contatto straniero; che cosa
ne è sortito da questa purezza? L’immobilità. E così il
Marocco, e certamente la Spagna è restata indietro nel-
la civiltà perché non ha cacciati abbastanza Ebrei e Mo-
ri e perché ne porta troppe traccie di sangue. E do-
ve in Europa abbonda il sangue semita ivi è ignoranza,
corruzione»148 .

Storia d’Italia Einaudi 458


Cesare Lombroso - Genio e follia

Ora, quest’accusa messa in campo, parmi piuttosto


per giustificare l’antipatia ereditaria, di cui ci vergognia-
mo non poter addurre sufficienti giustificazioni, non re-
siste ad un serio esame scientifico, perché gli ebrei non
sono punto semiti puri, e perché, come già accennai, in
Europa non c’è razza superiore che non sia molto mista,
riescendo la mistione uno dei fattori maggiori del pro-
gresso (Vedi mio Delitto politico, parte I). Più puri Arii
degli Indou, eterni schiavi di tutti, dove si possono tro-
vare? E gli zingari non sono forse ultra Arii, eppure in-
feriori anche agli Arabi? E la Sicilia e Calabria non van
ricche di sangue semita senza danno?
Ma lo strano è che ogni fondamento scientifico all’ac-
cusa che si fa agli Ebrei di guastar le razze Arie manca
anche perché ei sono già un popolo molto più ario che
semita. Ciò ben risulta dalle belle ricerche comunicate di
recente da Luschan alla 23ª riunione della Società antro-
pologica tedesca149 .
Egli dimostrò come popoli che si dicono semiti sia-
no tutt’altro che una razza immune da mistura Aria, en-
trandovi i Fenici, i Babilonesi, tanto quanto gli Assiri, gli
Abissini, gli Aramei. Ora, di questi popoli, solo i Bedui-
ni o Arabi del Sud sono una razza pura semitica, che ha
conservato degli antichi semiti il linguaggio, la forma del
cranio allungata, la tinta scura, il naso corto, piccolo (il
naso adunque opposto dell’Ebreo).
Condizioni totalmente diverse trovò egli negli Ebrei,
fra cui raccolse 60 000 dati e misure.
Egli constatò che essi dànno il 50% di brachicefali
spiccati; 11% di biondi, una forte proporzione di nasi
schiettamente ebraici; poi la massima varietà di tipi misti
così per la misura della testa, come pel colore degli occhi
e dei capelli; da ultimo circa un 5% di veri dolicocefali.
Si vede quindi che havvi solo una piccola frazione di veri
semiti negli Ebrei, mentre la gran massa appartiene a
razze straniere.

Storia d’Italia Einaudi 459


Cesare Lombroso - Genio e follia

Da 120000 osservazioni fatte in Inghilterra da Jacobs


risulta che gli Ebrei dànno il 21 % di occhi azzurri, il
29% di capelli biondi. Il numero dei capelli rossi vi
supera del triplo quello dei Russi e degli Austriaci e del
doppio quello dei Tedeschi (op. cit.).
Altrettanto trovai io dallo studio di alcune centinaia di
Ebrei Veneti e Piemontesi (Vedi Appendice I).
Ma donde vengono – chiede Luschan – le teste brachi-
cefale dei Siri e degli Ebrei, donde i nasi arcuati, donde i
numerosi biondi?
Per cominciare dai numerosi biondi, si potrebbe pei
Siri pensare ai crociati, e per gli Ebrei biondi d’Europa,
all’infiltrazione di elementi arii merce il passaggio conti-
nuato di uomini biondi al giudaismo; ma se è vero che le
conversioni da Cristiani ad Ebrei, ripetutamente proibi-
te nel medio evo, non debbono essere state tanto rare, è
vero però che non sono sufficienti a spiegare il 50% di
brachicefali od il 29 di biondi negli Ebrei.
Ma vi è un’altra spiegazione più sicura; nella Siria
e nella Palestina stessa vediamo un certo numero di
biondi: nella proporzione stessa, dell’11% dunque dei
nostri Ebrei; allora bisogna pensare agli Amoriti, di cui
si parla così spesso nella Bibbia, agii alti figli di Enok che
erano per l’appunto un popolo biondo, come si rileva
indiscutibilmente dai ritratti che ce ne hanno lasciato gli
antichi Egiziani.
È del pari fuor dubbio che gli antichi Amoriti erano
un ramo di quei popoli biondi i cui monumenti megaliti-
ci si possono rintracciare anche nella costa settentrionale
dell’Africa; certo erano Europei che tratti dalla vaghez-
za del caldo, si spinsero pel mare sino in Africa – a quel
modo che più tardi tante invasioni germaniche inonda-
rono l’Italia. Questi popoli biondi mediterranei, (in cui
Brush ha identificato i Giapeti della Bibbia coi Tamehu
delle iscrizioni e dei monumenti egiziani), nella metà del
secondo millennio avanti Cristo, tempo nel quale impa-

Storia d’Italia Einaudi 460


Cesare Lombroso - Genio e follia

riamo a conoscerli un poco, non erano per certo ancora


quei pionieri della civiltà, di cui fecero sbocciare più tar-
di i germi sotto il sole della Grecia. Essi ci sono dipinti
dagli Egiziani come bianchi, sì, ma selvaggi vestiti di pel-
le, ornati di penne, ed erano riguardati con quel disprez-
zo con cui noi più tardi i selvaggi negri. Ma questi Ta-
mehu erano sangue del nostro sangue e carne della no-
stra carne; agli stessi Egiziani doveva non essere ignota la
loro origine, giacche il nome Tamehu li indicava come il
popolo dei paesi del Nord. Ciò ci spiega completamente
almeno gli Ebrei biondi.
Ma come si spiega la frequente e qualche volta estrema
brachicefalia degli Ebrei anche fra noi in cui vi sono
degli indici cefalici di 88 (Appendice I)? Col richiamare
i risultati delle ricerche eseguite da Luschan nell’Asia
Minore; qui insieme ai Greci e Turchi predominano gli
Armeni.
Ora, gli Armeni offrono: una straordinaria brachice-
falia (sono il popolo più brachicefalo della terra): occhi
neri quasi senza eccezione, capelli lisci e neri, e proprio
quel naso grosso ed arcuato che da noi si suol designare
come ebraico e pel quale in avvenire faremmo meglio di
adottare la qualifica di armeno.
Questi caratteri si trovano anche nei Greci e Turchi
dell’Asia Minore, differenti di lingua e di religione; il che
mostra che sono un avanzo d’una popolazione omoge-
nea primitiva, anteriore, una popolazione armenoide che
corrisponde a quella popolazione Anariana, Praegreca,
che dallo studio di quei dialetti vennero a supporre, o
meglio, a creare Hommel e Paoli.
Quanto alla Siria, le ricerche e misure fatte ci dimo-
strano come, anche là, accanto ai biondi ed accanto a
numerosi tipi indubbiamente semitici, esiste una enorme
maggioranza di uomini bruni, dalla testa ultra brachice-
fala ed alta, quasi uniformemente distribuiti nella popo-
lazione delle città e delle campagne, in montagna e in pia-

Storia d’Italia Einaudi 461


Cesare Lombroso - Genio e follia

nura, fra i Orusi ed i Maroniti, fra i Maomettani ed i Si-


ri ortodossi; essi senza dubbio si devono identificare coi
piccoli brachicefali dell’Asia Minore, quindi cogli Alaru-
di di Hommel: storicamente poi sono collegati al grande
popolo civile degli Ittiti.
Questo popolo (dico degli Ittiti) fioriva nella Siria e
nell’Asia Minore nel secondo millennio avanti Cristo, e
già da lunga pezza ce lo hanno fatto conoscere le fonti
egiziane e gli annali assiri, del pari che la Bibbia.
Ad esso si attribuisce una grande serie di sculture
peculiari, rinvenute fra Smirne e l’Eufrate superiore, nel
Tauro e nel gruppo dell’Amanus; finché negli ultimi anni
ha cominciato ad essere messo nella sua piena luce cogli
scavi che furono intrapresi presso Sendscorli.
Ora in queste sculture si vedono uomini con tutti i
caratteri delle razze armenoidi, sicché paiono essi essere
i prodotti delle razze presemitiche.
Ciò conferma l’idea che i brachicefali ebrei derivino
dagli Ittiti, i quali essendo di vera razza aria avevan civil-
tà avanzatissima già in tempi antichi; avevano i loro can-
ti epici molto tempo prima di Omero, possedevano un
completo sistema di scrittura cuneiforme, ed erigevano
grandiosi palazzi con sculture artistiche oggi ancora am-
mirate, in un tempo nel quale gli Italioti abitavano caver-
ne e sotterranei ed avevano appena imparato a foggiare
ordigni colla pietra focaia.
La prevalenza Aria è dunque certa negli Ebrei antichi;
e ciò senza parlare delle numerose mistioni avvenute poi
nelle epoche più moderne.
Tutto l’antagonismo etnico se ne sfuma dunque al
lume della craniologia, essendo l’Ebreo più Ario che
Semita.
Questa larga base Aria, fecondata dalla mescolanza et-
nica, che noi vedremo così vantaggiosa all’umanità e col-
l’innesto climatico, ancora più utile, ci spiega come, mal-
grado tante cause di inferiorità (compresa quella della

Storia d’Italia Einaudi 462


Cesare Lombroso - Genio e follia

ricchezza di sangue semita, che almeno nel 5% è sicu-


ra), date speciali circostanze, gli Ebrei siansi così presto
adattati agli usi arii, si siano così assimilati l’intelligenza
aria, e l’abbiano in qualche caso perfino superata, e co-
me pur conservando un aspetto peculiare che non pote-
va non sorgere dai matrimoni fra congeneri e dalla vita
chiusa e omologa, essi si assomiglino così completamen-
te alle popolazioni arie fra cui vivono.
Bisogna considerare, infine, che essi già dai tempi dei
Fenici e dei Cartaginesi, erano un popolo industriale e
letterato, che l’Ebreo illetterato, analfabeta era rarissimo;
l’istruzione è sempre stata obbligatoria fra gli Ebrei; né
mai come i laici cristiani del Medio Evo abbandonarono
completamente la scienza ai chierici.
Divenuti per la forza delle circostanze quello cui già
istintivamente inclinavano, un popolo di soli commer-
cianti, bisogna paragonarli non più al totale della popola-
zione, ma alla popolazione cittadina, industriale, a quel-
la parte, cioè, che dà il massimo delle ribellioni, delle ri-
voluzioni e della genialità150 .
Ed in questo senso va interpretata, anche, la grande
tendenza degli Ebrei alla nevrosi, la quale, come ho
dimostrato nell’ Uomo di Genio, più spesseggia in quelli
che lavorano colla mente, ed è effetto e causa a sua volta
della genialità.
È una osservazione da me fatta da molto tempo, e or
non è molto tempo rinnovata dal Charcot: nelle nazio-
ni dove l’Ebreo ha una grande sproporzione di genii, dà
una cifra enorme di alienati. Così in Germania si calcola-
no 8 pazzi ogni 10000 Cristiani, e 16 ogni 10000 Ebrei; e
in Italia 1 pazzo su 384 Ebrei e 1 pazzo su 1725 Cristiani.
Altrettanto notò Jacobs in Inghilterra. (V. sopra).
Sono proporzioni o meglio sproporzioni singolari in
una popolazione, in cui, se più abbondano i vecchi, che
dànno un maggior numero di demenze senili, scarseg-
giano di molto gli alcoolisti; ora a spiegarle giova il con-

Storia d’Italia Einaudi 463


Cesare Lombroso - Genio e follia

fronto non colla popolazione cattolica in genere, ma col-


la industriale che offre di alienati un contingente maggio-
re della media; però, anche fatta questa comparazione la
sproporzione resta ancora troppo grande né può spie-
garsi che col maggiore abuso del lavoro e coll’eco delle
patite persecuzioni.
Dopo tali precedenti io ben capisco come essi, costret-
ti, poi, a non far altro che il commercio, diventassero per
molti secoli i più abili e anche, pur troppo, i più eso-
si commercianti del mondo: e come un tempo, quan-
do mancavano quei terribili strumenti di usura e di fro-
de che si chiamano le Banche, fossero i principali usurai,
portando nei commerci quello spirito insaziato di avidi-
tà e anche d’inganno che in loro certo s’ingigantì colla
pratica continuata.
Questo era un necessario effetto del forzatamente con-
tinuato mestiere.
Come ogni professione manuale a lungo andare indu-
ce una speciale deformazione e provoca, fra molti beni,
molti mali, così questa dell’industria e dell’oro, insieme
ai grandi vantaggi che trasformarono l’epoca feudale o
teocratica nell’epoca borghese o mercantile, portò molti
danni.
Ma qui più che l’ebreo devono incriminarsene l’arte
sua o meglio i suoi frutti, il capitalismo che, dopo aver
trasformata e beneficata la società barbara, a sua volta,
degenerando esso pure, tende, ora, a rovinarla.
Se gli Ebrei in molte parti d’Europa (non certo in
America né in Australia), entrano per una certa quota
nel predominio troppo brutale del capitale, il giorno
in cui gli oppressi del quarto stato soppianteranno la
borghesia, certo ei cadranno con essa. Ma qui non
è più la questione semitica, qui è in gioco la grande
questione sociale che comprende classi, ceti e non razze,
ed interessa più l’epoca futura che la presente.

Storia d’Italia Einaudi 464


Cesare Lombroso - Genio e follia

Deve infine considerarsi che essi, in grazia a quegli


istinti ereditati probabilmente dai Fenici, all’assenza di
ogni idealità futura e di ogni gusto per le arti plastiche, e
sopratutto alle necessità storiche, imposte dalle persecu-
zioni, antecedettero forse di molti secoli la fase moder-
na e formarono essi le basi del terzo stato, che è un gran
passo in confronto alla teocrazia e allo stato militare pro-
prio come spesso i licheni e le muffe più umili formano
un humus da cui sorgono le piante superiori.
Anche ora in paesi come la Russia, dove prevalgono
quasi esclusivamente gli impiegati, i nobili e i contadini,
essi formano la base della borghesia commerciale; e di-
struggendoli, colle persecuzioni non solo non si fa (come
pretendono quei barbari uomini di governo) un vantag-
gio alla popolazione, ma vi si uccidono i germi del com-
mercio, i germi dell’industria: e ben ce lo attesta un rus-
so geniale, ch’io chiamo il Machiavelli dei nostri tempi,
il Nowikow ( La lutte des races).
Si noti infine che dove manca ogni loro persecuzio-
ne, come in Italia, Olanda, Inghilterra, dove l’Ebreo può
esplicare tutte le sue forze in tutte le direzioni, esso si
vede, con quello slancio che si dà alla cosa già proibita,
gettarsi immediatamente nella politica, nell’insegnamen-
to, nella milizia; e mentre vi dà degli uomini che certo
non furono dannosi al paese, abbandona in gran parte il
commercio, specie l’usurario, il commercio dell’oro, che
lo rese così odioso, e diventa, cosa importante, anche più
povero.
Il vero Shylock, perciò il vero antico Ebreo, deplora i
suoi vecchi ghetti in cui accumulava immense ricchezze
e deplora che ora i figli di Israello vadano dietro al fumo
e non all’arrosto.
Per cui se l’antisemitismo vincesse, raggiungerebbe un
fine perfettamente opposto a quello cui mira, a meno
che, cosa impossibile nei nostri tempi in Europa, non di-
co in Russia, non distruggesse completamente gli Ebrei.

Storia d’Italia Einaudi 465


Cesare Lombroso - Genio e follia

Ma il perseguitarli, il toglier loro ogni altra via, certo li


raffina in quella commerciale, e li spinge sempre più al-
l’osservanza di quei riti ridicoli da cui secolarizzandosi a
poco a poco si separerebbero.
La soluzione più completa si avrebbe se gli ebrei e i
cristiani elevatisi contemporaneamente dai comuni pre-
giudizi, convergessero in una religione nuova, che non
fosse ne la vaticana, ne l’antica giudaica, che rispettas-
se le scoperte nuove scientifiche, e prendesse anzi per
bandiera le nuove idee sociali, che già Cristo aveva pal-
leggiate; se si formasse, insomma, un neo-cristianesimo-
socialistico in cui si potessero riunire senza vergogna e
senza coercizione gli ebrei spogliatisi dai riti vecchi e ri-
dicoli, come i cristiani scevri dagli odi e dalle superstizio-
ni antiscientifiche.
E vero che l’emozione essendo la base delle religioni,
la nostra poca emotività impedisce il nascerne delle nuo-
ve, e l’attecchimento, anzi, delle vecchie. Ma nelle razze
nordiche, almeno, certo nell’Anglosassone, l’emotività, e
quindi la fecondità religiosa non è spenta. Ivi da tutti si
dà importanza grande alla religione.
Quanto alle nostre razze la nuova dottrina socialistica
in istato nascente mentre ha scemato di un tratto in alcu-
ne regioni, appunto come le nuove religioni, i delitti e ha
prodotto negli adepti una nuova specie di legame che li
ravvicina, vi ha suscitato nuovi ideali, nuove fonti emo-
tive, che unite alle speranze interessate delle plebi dere-
litte vi dovrebbero favorire la formazione d’una religio-
ne d’amore atta a dissipare i sanguigni vapori antisemiti-
ci. S’aggiunga che i fenomeni dell’ipnotismo che vanno
man mano ora moltiplicandosi sotto i nostri occhi, sem-
brano creati apposta per preparare quell’insieme di fatti
meravigliosi, e poco comprensibili, che occorrono a una
nuova religione per farsi strada e per diffondersi. E sa-
rebbe la prima volta che gli scienziati potrebbero in que-
sto far causa comune colle plebi.

Storia d’Italia Einaudi 466


Cesare Lombroso - Genio e follia

5
Tipi e modelli

1
L’anello di passaggio: mattoidi letterari, politici,
religiosi

Una varietà psichiatrica che forma l’anello di passaggio


tra i pazzi di genio, i sani ed i pazzi propriamente detti, è
quella che io vorrei chiamare dei mattoidi, e che un nuo-
vo studio in questi ultimi tempi m’ha mostrato assumere
un’importanza non solo clinica e letteraria, ma ben an-
che sociale e politica, e tanto più, quanto in sulle prime
la loro spesso funesta attività è mascherata da semplici
tendenze pseudo-letterarie.
Il mattoide grafomane è in fondo la specie predomi-
nante, anzi direi il genere della specie, ed ha per caratte-
ri la convinzione esagerata dei proprii meriti, che ha ciò
di speciale: del manifestarsi più negli scritti, che negli at-
ti della vita e nella parola, sì che non mostra irritarsi così
come succede nei pazzi e anche nei genii della contrad-
dizione e delle tristizie della vita pratica.
Il Cianchettini si paragona a Galileo e a Gesù Cristo,
ma scopa la scala della caserma. Passanante si nomina
Presidente della Società politica, e fa il cuoco. Mangione
si classifica martire dell’Italia e del proprio genio, eppure
si adatta a far da sensale. Il pastore Bluet si credeva
apostolo e conte di Permission, e come l’autore dello
Scottatinge, non degnava rivolgersi che a re e regnanti,
e non rifiutava di far lo scozzone.
E non sarebbero mattoidi, se insieme alla apparenza
della serietà e alla tenacia costante in una data idea che li
fa simili al monomaniaco ed all’uomo di genio, non s’ac-
compagnasse spesso negli. scritti la ricerca dell’assurdo e

Storia d’Italia Einaudi 467


Cesare Lombroso - Genio e follia

la continua contraddizione e la prolissità e futilità pazza


ed una tendenza che supera tutte le altre, la vanità per-
sonale.
Ma ancora il carattere più prevalente sta nella singo-
lare abbondanza dei 1882 loro scritti. Il pastore Bluet
ha lasciato nientemeno che 180 libri l’uno più insulso
dell’altro. Vedremo come Mangione, che per giunta era
storpiato nella mano e non poteva scrivere, si privava del
cibo per poter stampare, e parecchie volte spese più di
100 scudi al mese onde poter scrivere. – Di Passanante
sappiamo quante risme di carta vergasse e come egli des-
se più importanza alla pubblicazione di una sua insulsis-
sima lettera, che alla propria vita. Guitteau (v. s.) ver-
ga risme di carta, sicché questa ammonta ad un debito
grosso che egli non poté pagare. La lista dell’opere di
Fox (l’illuminato) è così grossa che il bibliografo Lowu-
des non osò darla. Il saggio su Tournay di Howerlandt
consta di 117 volumi.
Qualche volta le loro stramberie e’ si accontentano
di scriverle e stamparle, senza diffonderle al pubblico;
eppure credono che esso le debba conoscere.
In questi scritti, oltre l’abbondanza morbosa, si nota
che lo scopo è futile, o assurdo, o in perfetta opposizio-
ne col loro grado sociale e l’antecedente coltura; così un
prete deputato tira giù ricette pel tifo; due medici fanno
della geometria ipotetica e dell’astronomia; un chirurgo,
un veterinario ed un ostetrico dell’areonautica; un capi-
tano dell’agronomia; un sergente della terapeutica; un
cuoco fa dell’alta politica; un teologo tratta dei menstrui;
un carrettiere della teologia; due portinai delle tragedie;
una guardia di finanza della sociologia.
Sul proposito dei temi prescelti uno studio fatto nel
mio laboratorio sulla raccolta di 179 libri matteschi mi
ha dato i seguenti risultati:
51 s’alludono a personalità
36 sono opere di medicina

Storia d’Italia Einaudi 468


Cesare Lombroso - Genio e follia

27 » di filosofia
25 » di lamentazioni
7 » di drammatica
7 » di religione
6 » di poesia
4 » di astronomia
4 » di fisica
4 » di politica
4 » di economia politica
3 » di agronomia
2 » di veterinaria
2 » di letteratura
2 » di matematica
1 » di grammatica
1 » di dizionario

Non conto i varii, che sono polemiche, cenni di mec-


canica, studi di magnetismo, orazioni funebri, teologia
stramba, cenni di storia della letteratura, proclami, ricer-
che di moglie.
Un recente libro procuratomi dall’amico Dossi ( Les
fous littéraires di Philomneste, Brusselle, 1880) ne nove-
rerebbe in Europa 215, divisi in:
Teologia 82
Profezie (illuminati) 44
Filosofia 36
Politica 28
Poesia (drammi e commedie 9) 17
Lingue, grammatiche 8
Erotica 5
Geroglifici 3
Astronomia 2
Acrostici 2
Chimica 1

Storia d’Italia Einaudi 469


Cesare Lombroso - Genio e follia

Fisica 1
Zoologia 1
Strategia 1
Cronologia 1
Igiene 1
Pedagogia 1
Archeologia 1

Mentre la poesia prevale nei pazzi (v. s.), la teologia, la


profezia predominano nei mattoidi, e giù giù man mano
le scienze quanto più astratte, incerte, incomplete, come
ci mostra la scarsezza dei naturalisti, dei matematici; e
giova, a loro onore, notare la scarsezza degli atei, 3 soli
in mezzo a tanto brulichio di teologanti e filosofi (162!);
eppure se l’ateismo basasse sull’assurdo e non avrebbero
scarseggiato di tanto! Viceversa lo spiritismo vi è tanto
in onore che Philomneste rinuncia a catalogarne i troppo
numerosi trattati.
Tutti i temi sono buoni per loro, anche i più alieni dal-
la loro professione e dalla loro occupazione, ma però si
vedono preferire i più bizzarri, incerti od insolubili, qua-
dratura del cerchio, geroglifici, spiegazione dell’Apoca-
lisse, palloni volanti, spiritismo, oppure quelli che sono
più in voga, quelli che soglionsi dire la quistione alla mo-
da.
Insomma costoro, pazzi certamente nei loro scritti e,
molte volte quanto quelli dei manicomii, lo sono poco
negli atti della vita, dove mostransi pieni di buon senso,
di furberia ed anche di ordine, per cui accade loro il ro-
vescio che ai veri genii e in ispecie a quelli ispirati dal-
la pazzia, quasi tutti, di tanto più abili nelle lettere quan-
to meno lo sono nella vita pratica. Quindi si spiega co-
me molti di questi autori di bizzarrie mediche sieno re-
putatissimi pracici. Tre sono direttori di ospedali. L’au-
tore dello Scottatinge, capitano e commissario di guer-
ra. Un altro, inventore di macchine quasi preistoriche e

Storia d’Italia Einaudi 470


Cesare Lombroso - Genio e follia

di scritti più che umoristici, è in un ufficio che l’espone


a continui contatti con uomini colti, che non l’hanno so-
spettato mai di follia. Cinque sono professori, due an-
zi d’Università, tre Deputati, due Senatori, né è il meno
strampalato; uno è Consigliere di Stato, uno di Prefet-
tura, uno della Corte di Cassazione, tre Consiglieri pro-
vinciali, cinque preti, e quasi tutti vecchi e rispettati nel-
la loro carriera. Frecot, era sindaco di Hesloup; Leroux,
Asgill furono chiamati al Parlamento.
I mattoidi teologi, Morin, Lebraton, Jorris, Vallé (a
18 a.), Vanini, furono presi tanto sul serio che... ahi! ne
furon bruciati vivi, e perfin decapitato fu Kehler per aver
solo corretto le bozze di Jorris.
Mattoidi di genio Ma non solo vi è una gradazione,
un passaggio insensibile fra i pazzi ed i sani, fra matti
e mattoidi, ma ve ne è anche fra questi ultimi, che pur
sono la negazione del genio, e gli uomini di vero genio,
tanto che alcuni della mia raccolta io non sono riescito a
trovare bene a quale delle due classi, proprio, dovessero
appartenere. Tale è per esempio il Bosisio di Lodi.
L. Bosisio di Lodi, d’anni 53, ha un cugino cretino,
una madre sana ed intelligente, un padre intelligente ma
bevitore; due fratelli che morirongli di meningite. Guar-
dia di finanza da giovane, emigrò nel 48; moribondo di
fame a Torino, si gittò da un balcone e si fratturò le gam-
be. Nel 59, nominato commissario di finanza, adempie
bene il suo impiego, sino al 66, in cui pur mostrando
intelligenza e compostezza nella bisogna del suo ufficio,
commette delle azioni bizzarre e sopratutto inesplicabi-
li per un membro del quieto mondo burocratico; com-
pera, per esempio, un giorno tutti gli uccelli che sono in
vendita nel paese di Bussolengo, e poi ne apre le gabbie
per lasciarli in libertà; si mette a leggere tutto il giorno
giornali ed a spedire al governo avvisi piuttosto energici,
perché impedisca il diboscamento, la strage degli uccelli
ecc. Dimesso dall’ufficio, con una scarsa pensione, tutto

Storia d’Italia Einaudi 471


Cesare Lombroso - Genio e follia

ad un tratto abbandona il lauto vitto e si limita a sola po-


lenta non salata, e lascia un poco alla volta tutti gl’indu-
menti, tranne i calzoncini e la camicia; consuma tutto il
suo scarso peculio in comperare giornali e libricciattoli e
nella stampa di opuscoli a favore della rigenerazione del-
la posterità, che egli dirama dappertutto gratuitamente (
La critica dei miei tempi. – Il grido della natura. Il § 113
del grido della natura).
Studiando questi, e sopratutto sentendolo discorrere,
si comprende che egli nella sua testa si è creato un siste-
ma non privo di logica. Noi soffriamo, egli dice, la ma-
lattia delle uve, dei bachi, dei gamberi; le inondazioni:
tuttociò deve derivare da guasti portati al globo dal di-
boscamento e dall’uccisione degli uccelli, e (qui comin-
cia la follia) dal tormento che gli diamo col fargli pas-
sar sopra la ferrovia. Altrettanto male va la bisogna in
economia: incontrando prestiti rovinosi noi compromet-
tiamo l’avvenire della posterità, di cui egli si costituisce
campione.
«Si aggiunga, egli continua, che i Romani antichi face-
vano lunghi esercizii, non avevano il lusso che abbiamo
noi, non prendevano il caffè; tutte queste cose compro-
mettono la posterità, perché guastano i germi dell’uma-
nità! e li guastano pure gli abusi delle donne, i matrimo-
nii contratti per danaro, e certa carità assai male intesa.
Si mantengono in vita degli infelici bimbi, storpi, cachet-
tici, che, se invece si uccidessero a tempo, non si ripro-
durrebbero; così pure, se invece di mantenere nell’ospe-
dale degli individui malaticci con grande spesa e fatica,
si aiutassero i più robusti e forti quando cadono infermi,
la razza migliorerebbe. Ed i ladri e gli assassini non so-
no anch’essi malati, che dovrebbero essere estirpati dal
mondo per non guastarne la razza? – Quanto funesta e
bestiale non è mai l’ingordigia umana! Tutto tutto vien
posto in non cale, per soddisfare all’appetito, istintivo
vorace ed insaziabile, senza pensare alla sorte delle gene-

Storia d’Italia Einaudi 472


Cesare Lombroso - Genio e follia

razioni che debbono succederci; senza pensare che que-


sta distruzione, che questa dissipazione delle bellezze e
delle ricchezze della natura, è delitto, terribile delitto di
usurpazione ai più sacrosanti diritti della posterità!
Credesi forse di poter compensare l’orrenda strage
(degli uccelli, pesci ecc.), la desolante rovina, procreando
un nugolo immenso di ragazzi, che per esaltarne il loro
spirito, magnificarne la loro bontà, vagheggiarne la loro
bellezza, non vuolsi meno di tutta la tenerezza dell’amore
materno, di tutta la depravazione di uno stemperato
cortigiano, o, finalmente, di tutta l’imbecillità del così
detto buon senso popolare?
Cotesta malaugurata smania della procreazione, che
spinge inesorabilmente tutti i popoli in un abisso del
quale non vedesi l’uscita, e che fermò l’attenzione di Mal-
thus, mi fa risovvenire di quel re Mida, che perdutamen-
te invaghito dell’oro, invocò dal Nume che tutto ciò ch’ei
toccasse, in oro si convertisse. Il Nume vi acconsentì; ma
i primi trasporti di gioia nel veder compiersi sotto agli oc-
chi suoi la meravigliosa trasmutazione, furono bentosto
susseguiti dallo sbigottimento, dalla tristezza e dalla di-
sperazione; i suoi alimenti stessi cangiandosi pure in oro,
videsi da se medesimo condannato a morir di fame».
Non credo vi sia esempio che in miglior modo di que-
sto provi l’esistenza di una psiche attivissima, potente, e
nello stesso tempo in un dato e solo punto malata. – Chi
conosce gli scritti della Royer e di Comte, non troverà,
infatti, di veramente pazza in queste sue idee, che quella
di non mangiare il sale, che egli mal giustifica colla osser-
vazione di selvaggi sani e robusti, malgrado non ne fac-
ciano uso, e quella delle ferrovie che guastano il globo, e
quella di andar vestito così alla leggera. Anzi, questi ul-
timi ticchi egli li giustifica assai bene colla semplicità ro-
mana e coll’asserzione non affatto erronea che giovano
a conservargli meglio i capelli, e coll’osservare, giusta-
mente, che se non adottasse quello strano costume, egli

Storia d’Italia Einaudi 473


Cesare Lombroso - Genio e follia

non potrebbe richiamare l’attenzione pubblica sopra se


stesso e quindi sull’idea che gli preme diffondere. «Mi
avrebbe ella fermato (mi disse un giorno questo nuovo
Alcibiade) in mezzo della strada ed interrogato sulla mia
dottrina, se io non vestissi a questo modo? Gli è una ré-
clame che io faccio al mio apostolato, a mie spese».
Un vero indizio morboso è però quello di fondare
tutte le sue conclusioni sui giornali politici, così magra
materia per gli studii, ma egli ne lo giustificava così:
«Che vuole? sono studii moderni ed io non posso farne
ameno malgrado che mi ripugni, non essendovi altro
mezzo che mi illumini sull’umanità». Ma dove poi risulta
ben chiara la sua pazzia è nella importanza che egli
attribuisce al menomo fatto raccolto in quei mondezzai
della politica: Se un fanciullo cade nell’acqua a Lisbona,
od una signora vi si brucia le gonne, egli subito ne trae
prova della degenerazione della razza. – L’igienista,
anche qui, dovrà stupire di veder un uomo sopravvivere
robusto, e il Bosisio è fortissimo e fa venti miglia al
giorno, mangiando solo polenta senza sale. – Il psicologo
non può a meno di riconoscere in questo caso come
la pazzia faccia da lievito alle forze intellettuali, ecciti
le funzioni psichiche quasi al livello del genio, tuttoché
vi lasci la triste vernice del morbo. È certo che se il
nostro Bosisio, invece di un povero guardiano di finanza,
fosse stato uno studente di legge o di medicina, se avesse
attinto agli elementi, della coltura, che egli non fruì
se non a casaccio, e sotto l’influsso maniaco, sarebbe
riuscito una Clementina Royer, un Comte, o per lo meno
un Fourier; che il suo sistema filosofico in fondo è di
molto simile alloro, salvo quel che vi aggiunge di proprio,
anzi di improprio, l’alienazione.
Ed è bello osservare in questo caso come la pazzia
prenda vario colorito secondo i tempi. Mettiamo il Bo-
sisio nel pieno Medio Evo e nella Spagna o nel Messico,
e il buon liberatore di uccelli e il martire della posteri-

Storia d’Italia Einaudi 474


Cesare Lombroso - Genio e follia

tà si sarebbe tramutato in Sant’Ignazio od in un Torque-


mada, e l’ateo positivista in un ultra cattolico cui un Dio
crudele avrebbe ordinato di sgozzare vittime umane; ma
noi siamo in Italia, e nel 1870.
Questo caso ci mette assai bene sott’occhio in qual
modo, nei tempi addietro e ne’ popoli selvaggi, o poco
colti, succedessero tanti casi di follia epidemica, e tanti
avvenimenti storici potessero essere provocati dal delirio
di un solo o di pochi, sieno di esempio, gli anabattisti, i
flagellanti, le streghe, le rivoluzioni dei Taiping. La alie-
nazione suscita in alcuni delle idee bizzarre, ma alle vol-
te gigantesche, e rese più efficaci da una singolare con-
vinzione, cosicché riesce a trascinare dietro di sé le de-
boli masse; ed esse sonvi tanto più attratte dalla singola-
rità del vestiario, delle pose, dell’astinenze, che può in-
spirare e permettere solo una tale malattia, inquantoché
la barbarie rende loro più inesplicabili e quindi più de-
gni di venerazione questi fenomeni; comeché l’ignorante
adora sempre quanto non riesce a comprendere (V. Cap.
x).
Nulla mancava infatti al nostro povero allucinato per
rassodarlo in quella convinzione; non la robustezza di al-
cuni concetti, non la forza muscolare, né le straordinarie
privazioni, ne il disinteresse, né la convinzione. Una sola
cosa gli venne meno, fortunatamente, il secolo propizio.
Del resto l’Italia avrebbe avuto nel Bosisio il suo Mao-
metto.
Ma pensando all’integrità della vita, all’ordine che
mette in tutte le sue cose, possiamo noi chiamare costui
solamente un alienato? E pensando alla novità relativa
delle sue idee, possiamo noi confonderlo coi molti insulsi
mattoidi di sopra descritti? No certo.
Mettiamo che il Giuseppe Ferrari, invece di una col-
tura superiore, avesse avuto l’educazione di Bosisio, noi
certo avremo avuto invece d’un dotto, che il mondo co-
pre di giusta ammirazione, qualche cosa di somigliante

Storia d’Italia Einaudi 475


Cesare Lombroso - Genio e follia

al Bosisio, che certo quei suoi sistemi sull’aritmetica sto-


rica, coi re e le repubbliche che muoiono a giorno fis-
so, a volontà dell’autore, non possono appartenere che
al mondo freniatrico.
E altrettanto dovrebbe dirsi di Michelet, se si pensi al-
la sua Storia naturale di fantasia, alle sue oscenità accade-
miche, alla sua incredibile vanagloria151 , e a quegli ultimi
volumi della sua Storia di Francia tramutati in un confu-
so ginepraio d’aneddoti sudicii e di paradossi bizzarri152 ;
–di Fourier e dei suoi seguaci, che predicano con esattez-
za matematica che da qui ad 80000 anni l’uomo ne vivrà
144, che allora avremo 37 milioni di poeti (misericordia!)
e 37 pure di geometri della forza di Newton; – di Lemer-
cier, che in mezzo a bellissimi drammi ne ha alcuni in cui
dialogizzano le formiche, le foche ed il Mediterraneo.
Tutto ciò gioverà a farci comprendere perché sì spes-
so i grandi progressi politici e religiosi delle nazioni sia-
no attuati od almeno determinati da pazzi o semi-pazzi.
– Gli è che in essi soltanto si può trovare accoppiata al-
l’originalità, che è propria dei geni e dei pazzi, e più an-
cora di quelli che sono l’uno e l’altro insieme, l’esaltazio-
ne capace di generare una tal dose di altruismo che val-
ga a sacrificare i propri interessi e la vita per far conosce-
re e spesso accettare i nuovi veri al pubblico, a cui ogni
novazione è sempre inaccetta, e che se ne vendica non di
raro col sangue.
«Osserviamo (dice Maudsley) come costoro sono atti
a scoprire le vie recondite del pensiero state neglette da
ingegni più gagliardi e così proiettare sulle cose una luce
nuova.
Si nota questa tendenza anche in molti di quelli che
non hanno genio, e neanche talento; essi battono vie in-
tentate nell’esaminare le cose, e nell’operare si staccano
dall’andazzo comune. È singolare l’indipendenza con
cui taluno d’essi discute, quasi fossero semplici proble-
mi di meccanica, argomenti ed avvenimenti che il comu-

Storia d’Italia Einaudi 476


Cesare Lombroso - Genio e follia

ne pensiero copre di un ossequio convenzionale; quindi


nelle credenze sono in genere eretici, spessissimo inco-
stanti, perché facili a sbalzare da un estremo all’altro, ov-
vero, confortati da una fede profonda nell’opinione che
hanno sposata, spiegano uno zelo ardente, incurante di
ogni ostacolo, [...]»
Ma l’esempio che ci riesce più curioso e sicuro per
essersi svolto sotto gli occhi di tutti, riescendo un vero
avvenimento storico, è quello di Davide Lazzaretti153 .
Costui nacque in Arcidosso, nel 1834, da padre bar-
rocciaio, a quanto pare bevitore, ma robustissimo; ebbe
congiunti suicidi e pazzi, uno fra gli altri che morì mania-
co religioso, e si credeva il Padre Eterno; i suoi 6 fratel-
li erano tutti robusti, giganteschi, di statura 1,90 a 1,95,
come del resto molti di quel paese, d’ingegno svegliatis-
simo e memoria tenace; Pasquale, per es., non sa leggere
e scrivere, ma tiene a mente 200 partite di crediti.
Il Davide eccelleva sopra gli altri per la statura aitante,
per la regolarità, la gentilezza delle forme, per una intelli-
genza superiore, pel capo doligocefalo, amplissimo; e per
l’occhio che riesciva fascinante per alcuni, ma per molti
(avv. Pugno) teneva dello spiritato e del pazzo; s’assicura
che era ipospadico e forse fu impotente da giovane; ano-
malie queste di non lieve importanza a chi ricordi come
Morel e più Legrand le Saulle ( Signes physiques des ma-
nies raisonnantes, 1876) le abbiano rinvenute di spesso
nei mattoidi.
A poco a poco le sue fantasticherie presero un’altra
direzione; nel 1867 (a 33 anni), fosse effetto dell’alcool o
degli eccitamenti politici, ritornarono più vive che mai le
allucinazioni religiose del 48. Un bel giorno scomparve:
poiché, come allora, gli era apparsa la Madonna, che gli
ordinava di recarsi in Roma per ricordare al Papa (che
dapprima nol volle ricevere e poi lo trattò cortesemente,
ma non senza consigliargli, dicesi, una buona doccia),
la sua divina missione, e poi nella Sabina, nell’eremo

Storia d’Italia Einaudi 477


Cesare Lombroso - Genio e follia

di Montorio Romano, abitato da un frate prussiano per


nome Ignazio Micus. Questi lo tenne per tre mesi seco in
una grotta, detta del beato Amedeo, istradandolo negli
studi teologici; e, con gran probabilità, perché su ciò
mancano i dati, lo aiutò a incidersi sul fronte il tatuaggio,
che egli pretendeva avere ricevuto dalla mano di San
Pietro, e che nascondeva sotto un ciuffo ai profani, e
mostrava ai veri fedeli.
Codesto tatuaggio, secondo la relazione dei medici,
consisteva in un parallelogramma irregolare, il cui lato
superiore presentava 13 puntini disposti in modo bizzar-
ro. A questo segno, ed agli altri due praticatisi poi al del-
toide e alla pane interna della gamba, egli, con quella in-
clinazione che è speciale agli alienaci, attribuiva sensi mi-
steriosi e stranissimi, come suggelli di un patto speciale
con Dio.

Da quel momento si notò in lui una completa trasfor-


mazione, quale di solito si osserva nelle pazzie: da risso-
so, bestemmiatore ed intemperante, divenne docile, aste-
mio, fino al punto da dimorare nella Sabina a pane ed
acqua e vivere sul monte, nelle tempora, ad erbe condi-
te con sale e aceto: negli altri tempi, a polenta, o mine-
stra di magro, o pane con aglio o cipolle; anzi nell’isola
di Montecristo (1870) durò più di un mese con sei pani,
accompagnati ceno da poche erbe (deposizione Vichi), e
nel convento di Francia con due patate al giorno per pa-
recchi giorni; quello che ancor più doveva apparire stra-
no e colpire le menci anche non volgari, lo scrittore cao-

Storia d’Italia Einaudi 478


Cesare Lombroso - Genio e follia

tico e burlesco diventa qualche volta elegante, sempre ef-


ficace, pieno di immagini forti e robuste ed improntate
ad una pietà che solo può paragonarsi a quella dei primi
cristiani.
E così la pensò il clero del suo paese, che trovando in
lui, come era infatti (v. s.), la ripetizione degli antichi
profeti, lo prese sul serio, tanto più che vi intravvide,
come è suo costume, il modo di cavarne profitto onde
ricostrurre una chiesa.
Il popolo, che già preso era da giusta meraviglia pel
suo mutato metodo di vita e pel suo tatuaggio, pel parlare
ispirato, per la lunga incolta barba, pel grave incesso, –
fanatizzato dal clero, correva in massa a sentirlo.
Nel gennaio 1870 egli impiantò la Società della Santa
Lega, che disse simbolo della carità ed era una Società
di mutuo soccorso. Nel marzo 1870, accompagnato da
Raffaello e Giuseppe Vichi, dopo radunaci i suoi ad una
cena apostolica, partì il Lazzaretti alla volta dell’isola di
Monte Cristo, ove si trattenne qualche mese, scrivendo
epistole, profezie e sermoni; ritornò poi al Montelabro,
dove scrisse le visioni od ispirazioni profetiche che vi
ebbe; e dove fu incriminato per rivolta (27 aprile 1870),
Prosciolto istituì una Società a cui diede il nome di
Famiglie cristiane, nella quale, molto erroneamente, si
volle trovare la prova di frodi continuate e fu arrestato,
e dove all’avv. Salvi l’assoluzione ancora dopo 7 mesi di
carcere.
Nel 1873 il Lazzaretti, per obbedire ad altri ordini di-
vini, imprendeva un viaggio e percorreva Roma, Napo-
li, Torino, dalla quale si recava alla Certosa di Grenoble,
ove scrisse le regole e discipline dell’Ordine degli eremiti
penitenti e inventò un cifrario con un alfabeto numerico,
e dettò il Libro dei celesti fiori, ove è scritto che: L’uomo
grande scenderà dai monti seguìto da un piccolo drappello
di borghesi montanari; vi s’aggiungono le visioni, i sogni,
i comandi divini che in quel luogo credette ricevere.

Storia d’Italia Einaudi 479


Cesare Lombroso - Genio e follia

Al suo ritorno al Montelabro, trovò accampata sulla


vetta una immensa folla di devoti e curiosi; le tenne una
predica sul tema: «Iddio ci vede, ci giudica, ci condan-
na». Per questa fu accusato all’autorità come tendente a
rovesciare il Governo e a promuovere la guerra civile.
Nella notte del 19 novembre 1874 fu perciò catturato
una quarta volta ed inviato dinanzi al Tribunale di Rie-
ti; in quest’occasione l’autorità volle sentire il giudizio
di periti non specialisti, che con una strana insipienza
giudicarono154 , sano di mente, anzi uno scaltro; sicché,
malgrado le sue strane pubblicazioni e il suo strano ta-
tuaggio, fu condannato per frodi e vagabondaggio a 15
mesi di carcere e ad un anno di sorveglianza.
Ma la sentenza fu riparata dalla Corte d’Appello di Pe-
rugia, talché il 2 agosto 1875 ritornò a Montelabro, ove
ricostituì la Società, a capo della quale pose il sacerdo-
te Imperiuzzi. Egli aveva patito nel carcere; e perciò, e
forse per evitare nuovi arresti e godere del facile marti-
rio presso i fanatici legittimisti di Francia, andò in otto-
bre in Francia. Rapito misteriosamente da Dio, così si
esprime, nei pressi di una città della Borgogna, dettò un
libro che egli chiama, ed a ragione, misterioso, intitola-
to: La mia lotta con Dio, ossia Il libro dei sette sigilli, col-
la descrizione e natura delle sette città eternali, che è un
misto di Genesi e di Apocalisse e di sentenze e discorsi
pazzeschi; scrisse del pari il programma diretto a tutti i
principi della cristianità, ove egli si dice il gran Monar-
ca, e invita tutti i principi a fare alleanza con lui, e che
in epoca non aspettata si manifesterà alla nazione latina
in un modo tutto contrario alla superbia umana, La fi-
ne del mondo – ove si dichiara egli stesso duce, maestro,
giudice e principe sopra tutti i potenti della terra – scrit-
ti che il prete Imperiuzzi copiava, correggendo gli erro-
ri più madornali. Di questi scritti molti ebbero non so-
lo l’onore immeritato della stampa, ma anche della tra-
duzione francese, in grazia delle sovvenzioni di M. Léon

Storia d’Italia Einaudi 480


Cesare Lombroso - Genio e follia

Du Vachat, dei reazionari italiani e stranieri, che avevano


preso sul serio il povero matto.
Se non che, lasciandosi trascinare dal delirio, poco do-
po si diede ad inveire contro alla corruzione dei pre-
ti, e la confessione auricolare, che voleva sostituire con
una pubblica: allora la Santa Sede dichiarava false le sue
dottrine, sovversivi i suoi scritti; ed egli, che prima ave-
va scritto Lo Statuto civile del Regno Pontificio in Italia,
in favore del Papa, scrisse e mandò nel 14 maggio 1878
un’esortazione diretta ai confratelli eremiti contro l’ido-
latria papale, contro questo mostro delle sette teste. Do-
po tutto ciò, per le solite contraddizioni che sono pro-
prie agli alienati, egli va a Roma a deporre il suo simbo-
lico sigillo e la sua verga, si ritratta al S. Uffizio – ma poi,
ritornato al Montelabro, continua a tener conferenze an-
che contro la chiesa cattolica divenuta chiesa-bottega e
contro i preti, veri atei-pratici che non credono e sfruttano
la credenza altrui (Verga, op. cit.), e predicando la san-
ta riforma, ed affermandosi l’uomo del mistero, il nuo-
vo Cristo, duce e vindice, esortava i credenti a distac-
carsi dal mondo, e per dargliene prova esigeva da es-
si astinenze dal cibo, dal sacrificio a Venere, anche gli
ammogliati, i quali, alla peggio, prima dell’atto dove-
vano orare nudi, fuori del letto, almeno due ore (idea
pazzesco-Maltusiana), il rilascio di cambiali che vennero
firmate per somme considerevoli relativamente ai mezzi
di cui potevano disporre, cioè per L. 104000; ma che pe-
rò notisi non servivano a nulla, dovendo restare chiuse in
un vaso; concetto questo affatto pazzesco.
Preconizzando un gran miracolo, con parte del denaro
raccolto, fece preparare pegli affigliati bandiere ed abiti,
dipinte con quelle bestie che gli eran apparse nelle sue
allucinazioni, tutte di forma bizzarra, altra per sé più
ricca, e per i semplici gregari una piastrella da tenersi
sul petto, in cui figurava una croce accostata dai due c
rovesciati, , il solito emblema dell’associazione.

Storia d’Italia Einaudi 481


Cesare Lombroso - Genio e follia

Nell’agosto 1878 adunò più che mai gente, ed ordina-


te per tre giorni e tre notti preghiere e digiuni, tenne con-
cioni pubbliche, altre private e riservate ai fedeli, classi-
ficati in varii ordini colle denominazioni di eremiti sacer-
doti, eremiti penitenzieri, eremiti penitenti e semplici as-
sociati a’ fedeli della Santa Lega e Fratellanza cristiana;
fece praticare la così detta confessione di ammenda nei
giorni 14, 15 e 16 agosto: nel dì 17 fu innalzata sulla tor-
re la grande bandiera con la leggenda: La Repubblica è il
regno di Dio. Poscia ai piedi d’una croce, appositamente
eretta, adunati tutti gli affigliati, il Profeta si fece presta-
re solenne giuramento di fedeltà e di obbedienza. In tal
circostanza uno dei fratelli di David cercò persuaderlo a
rinunziare alla pericolosa intrapresa. Ma invano, che, an-
zi, a chi osservavagli la possibilità di un conflitto, rispose:
«Avrebbe nel dì seguente fatto vedere loro un miracolo;
esser egli inviato da Dio in figura di Cristo, duce e giu-
dice, e quindi invulnerabile, ogni forza e potestà terrena
dover cedere al suo volere; bastare un cenno del suo ba-
stone del comando per annientare gli sforzi di chi avesse
osato opporsi a lui». Ed all’osservazione fattagli da qual-
che affigliato sulla opposizione governativa, soggiunge-
va «che avrebbe con le mani riparate le palle e rese inof-
fensive a sé ed ai suoi fedeli seguaci le armi che contro
di loro fossero state rivolte, ed i RR. Carabinieri stessi gli
avrebbero fatta la guardia d’onore». E, sempre più inne-
briato nel suo delirio, al delegato di P. S., a cui già prima
aveva mostrato i preparativi e a cui più tardi aveva fatta
una mezza promessa di rimandare la processione, scrisse
con tutta serietà: «Non poterlo più fare avendo ricevu-
to ordini superiori, in senso contrario, da Dio». Ai mi-
scredenti fece minaccia dei fulmini divini, se mancando
di fede, si fossero ribellati alla sua volontà.

Storia d’Italia Einaudi 482


Cesare Lombroso - Genio e follia

Con tali propositi la mattina del 18 agosto condusse la


turba numerosa dal Montelabro, scendendo verso Arci-
dosso. Era vestito con paludamento reale di porpora ri-
camato da fregi dorati e coronato da una specie di tia-
ra sormontata da cimiero adorno di penne, avea in ma-
no il bastone detto del comando. Meno riccamente di lui
e con abiti a svariati colori e bizzarramente confezionati
eran vestiti i suoi principali affigliati secondo il grado che
occupavano nella santa Lega; i semplici associati incede-
vano vestiti dei loro panni consueti, senz’altro distintivo
che la placca emblematica superiormente descritta. Sette
fra i graduati della Fratellanza portavano altrettante ban-
diere col motto: La Repubblica è il regno di Dio. Canta-
vano l’inno Davidiano, le di cui strofe terminavano col
ritornello: Eterna la Repubblica, ecc.
Inutile il raccontare cosa accadde nelle ultime ore.
Egli che poco prima si diceva re dei re e discendente
da sangue reale e di Davide, e che teneva tutti ire della
terra sopra le spalle e si credeva invulnerabile, cadde
colpito per ordine o forse per mano di un delegato che
fu tante volte suo ospite; e pare che cadendo esclamasse,
con un’ultima illusione: La vittoria è nostra.
Certo egli aveva preparata una processione non solo
inerme, ma che pareva concepita apposta per riescire
innocua.
«Il giorno (disse assai bene Nocito, 1. c.) in cui il mar-
tello del falegname schiodò la cassa che si credeva conte-
nesse i corpi del reato ed uscì fuori la Madonna delle con-
ferenze, con Davide dipinto da guerriero rapito in estasi
che parla con lo Spirito Santo; il giorno in cui sbucaro-
no fuori, come dall’arca di Noè, tutti quelli animali stra-
nissimi, partoriti dalla fantasia di Davide per fregiarne le
sue bandiere, aquile, serpenti, colombe, cavalli alati, to-
ri, leoni, idre, stole da preti e manti reali, corone d’oli-
vo e corone di spine; il giorno in cui tutti poterono ve-
dere quelle strane foggie di vestiario, e dopo tante lun-

Storia d’Italia Einaudi 483


Cesare Lombroso - Genio e follia

ghe e pazienti ricerche nelle case dei Lazzarettisti e nel-


le tasche dei loro pantaloni, non altra cosa la polizia poté
raccogliere, che crocifissi e rosarii; il giorno in cui sopra-
tutto si poterono ammirare quelle scarpe strane dei suoi
seguaci, e gli zoccoli pontificali che calzava il Santo Da-
vide, e che impedivano le mosse, quel giorno più nessu-
no dubitò che il Governo avesse preso un monomaniaco
per un ribelle».
Ma la prova più luminosa della sua pazzia costui l’of-
ferse negli scritti: 1º perché in tutti traspaiono le allucina-
zioni acustiche ed ottiche, alcune delle quali sono espo-
ste con sì grande energia, cui non potrebbe riesci re la
fantasia più robusta se non fosse scortata ed acuita dai
sensi malati.
Veggasi, per es., là dove scrive: «Sì dicendo, un colpo
come di fulmine mi percosse la faccia e cieco rimasi
e caddi come corpo morto al suolo. Una moltitudine
di voci udii commiste a tanto fragore e tremore, che
dicevano: imperi, imperi, imperi, e nulla di più compresi;
nuovamente la tremenda voce di Dio ( Lotta con Dio,
pagina 42) parlò, dicendomi: ecc.».
A pagina l, Prefazione dei Rescritti: «Per vent’anni
ho fatto silenzio..., ma, maturato il tempo, ho dovuto
parlare per nuovo e prodigioso ordine. Mi si dice che
io parli coi popoli, ed ho parlato e parlerò in avanti. Se
poi i popoli non credono, io non ho che ridire. Se mi
vogliono falso, io non credo che falsa sia la mia parola; se
mi credono ipocrita, esaminino la mia condotta». (Parole
simigliantissime a quelle di Savonarola).
Più oltre:

O voi d’Europa Imperatori e Regi,


Verrà quel dì che sopra il vostro capo
Cadrà di Dio la vindice mano
E abbasserà le vostre ergenti coma
Fino alla polve delle strade...

Storia d’Italia Einaudi 484


Cesare Lombroso - Genio e follia

E: «Odo la tonante tremenda voce di Dio, che il


rumore fremente dalle rocche dei monti sulle valli era
tale che l’un coll’altro pareva a me che si percuotessero
insieme».
Poco dopo esce in una tirata contro i materialisti, che
probabilmente molti teologi gli invidieranno.
«Gli empi, abusando della mia clemenza, vanno di-
cendo che la loro natura non ha colpa del male, poiché
l’avversione al bene è un ente di per se stesso in natura;
tanto oltre si è estesa la loro empietà che per scolpare la
reità di se stessi nelle loro disordinate passioni, accusa-
no rea di loro delitti la stessa umana natura» ( Lotta con
Dio, pag. 71).
2° Questa bellezza stessa intermittente di qualche rara
pagina, perduta in mezzo alla caotica confusione e stra-
bocchevole copia e scorrettezza delle altre, mentre pro-
va, appunto, colla contraddizione e col contrasto (v. pag.
125), che egli non era guidato dalla face luminosa del ge-
nio, sempre, o quasi sempre, equanime nella sua crea-
zione, ci dimostra ch’essa proveniva dalla esagerata ma
torbida attività psichica provocatagli dalla malattia.
È giusta, adunque, quando la si interpreti psichiatrica-
mente, la risposta che diede a molti che si maravigliavano
come egli, sì poco colto, avesse stampato tanti libri: «Era
Dio che mi inspirava». E noi diremo: Era la follìa. E, di-
fatti, egli stesso confessava come di alcuni di questi lavori
non comprendesse il senso, certo perché, come già dissi,
quando si trovava nello stato di calma non poteva capire
quanto aveva dettato e compilato nello eccitamento.
E giova notare che quasi tutte le visioni sacre furono
precedute da sincopi, da cefalea, da coma, e da febbri
che gli duravano per lo più 28 ore, alle volte mesi interi.
«Uno spirito agisce in me non proveniente dall’uomo,
esso agisce con ispirazioni istantanee accompagnate da
forti dolori di testa che mi eccita sonnolenza e mi distrae

Storia d’Italia Einaudi 485


Cesare Lombroso - Genio e follia

da ogni pensiero; ho una visione dormendo che, sveglia-


to, sento essere estranea alla mia natura» ( Lotta con Dio).
Nel frontispizio della Lotta con Dio, dettava: «Ecco a
me un rapimento al mattino che tutto mi rapì. Questo
rapimento mi durò nella mente e nel cuore 33 giorni».
3° Anche indipendentemente dalle notate scarse e
contrastate bellezze, proverebbe il suo delirio quella stes-
sa strana sua inclinazione a predicare ed a scrivere, che
era in così vivo contrasto colla sua condizione di barroc-
ciaio, appena letterato, precisamente come fu il caso di
Mangionee di Passanante.
E qui ripeterò quanto altrove già dissi altre volte155 :
che uno studente di liceo, che un impiegato qualunque
sia preso dal ticchio di leggere tutto il giorno giornali e
scombiccherare dei grossi quaderni di elucubrazioni le
più volgari e spropositate, io non ci troverei nulla a ridi-
re (e la nuova Biblioteca Elzeviriana sarebbe lì a provar-
celo); ma che un barrocciaio acuisca l’ingegno maggio-
re che natura gli diede, non nell’ammansare cavalli, ecc.,
ma nello scrivere continuamente, nel progettare delle re-
pubbliche ideali, come non le formerebbe forse attual-
mente Mazzini, qui, troviamo una di quelle specie di eroi
che piuttosto delle soglie del Walhalla, toccano quelle
del Manicomio.
Prima di completare la diagnosi bisogna poi ricorda-
re: che egli, se dal principio mostrò tendenza agli alcoo-
lici ed alle orgie, mutò costume di poi e divenne scrupo-
losamente morale e modello di santità, non ultima que-
sta delle cause della venerazione acquistata: e che nu-
trì, fino all’ultimo momento, affetto grandissimo pei figli
[...], e più per la moglie, il cui amore espresse prima in
versi, poi in lettere affettuosissime. Ora questo, dell’af-
fetto conservato, è caso troppo eccezionale negli aliena-
ti, specie monomaniaci; e molto più rara è, anche in co-
storo, che non sia nei mattoidi, quella smania di scrivere
continuamente da cui era invaso.

Storia d’Italia Einaudi 486


Cesare Lombroso - Genio e follia

Noi crederemmo, quindi, che la diagnosi dovrebbe


fissarsi in una forma intermedia tra il mattoide e il mo-
nomaniaco, allucinato, ambizioso; non essendo sempre
possibile di far entrare nelle comuni classificazioni le va-
rie parvenze patologiche.
Le gherminelle però, con cui Lazzaretti cerca tranquil-
lare il suo mecenate francese Du Vachat (col dirgli che se
non aveva molti fautori, ciò era scritto nel cielo) e la fi-
nezza con cui giustifica come simboliche le parole PRO -
FETA e TEMPO , onde avea abusato così da destare la cri-
tica, e la strana ed astuta invenzione di essere stato tatua-
to da S. Pietro, mentre ad alcuni nascondeva, sotto un
ciuffo di capelli, quel preteso segno divino, l’abilità con
cui mise in piedi vari sodalizi religiosi, e adoperò un ci-
frario nelle corrispondenze, provano come la pazzia non
avesse scancellata una buona dose di furberia o almeno
di finezza; la quale è tutt’altro del resto che deficiente nei
matti d’ingegno (specie poi nei mattoidi), e qualche vol-
ta è anzi acuita dal loro morbo, checche ne dicano quei
molti, che parlano di pazzie senza aver mai penetrato nei
manicomi.
Egli era, insomma, anche per la furberia, oltre che per
la vicinanza della regione, un matto alla Sanese (V. pag.
152).
Passanante è senza antecedenti morbosi ereditari; a
29 anni, essendo alto 1,63, pesava chilo 51 1/2, cioè 14
chil. meno della media di Napoli; presenta un capo quasi
sub-microcefalo, circonferenza 535, diametro trasversa-
le 148, longitudinale 180, indice cefalico 82, curva longi-
tudinale 350, trasversa 300, altezza frontale 71, larghezza
155, capacità complessiva probabile 1513; nella fisono-
mia offre tratti del Mongolo e del cretino, occhi piccoli
[...], infossati, più distanti del normale, zigomi sviluppa-
tissimi, scarsa la barba. La pupilla è poco mobile, i geni-
tali atrofici, il che è in rapporto con una quasi completa
anafrodisia; viceversa il fegato e la milza sono ipertrofici,

Storia d’Italia Einaudi 487


Cesare Lombroso - Genio e follia

il che spiega in parte l’aumento della temperatura, che


varia da 38° a 37°,8 all’ascelle, e la debolezza del polso
di 88 (che però ha tracciato sfigmico normale), e la scar-
sissima forza, che è poi più debole a destra, kil. 60, che
non a sinistra, kil. 72; – fatto quest’ultimo forse dipen-
dente da vecchia scottatura della mano, ed importantis-
simo perché rendeva improbabile la completa esecuzio-
ne del misfatto, specie se badisi al rozzo strumento di cui
era armato, e alla posizione che gli era possibile prende-
re. La sensibilità era pervertita, presentando la tattile 5
millim. al dorso della mano, mentre la normale è da 16 a
20, e 7 al fronte, ove è 20 o 22 ordinariamente (al palmo
non fu presa), e così dicasi del torace, che era 14, men-
tre è normalmente da 20 a 23; viceversa la sensibilità alle
punture era assai diminuita; nel carcere ebbe deliri con
allucinazione.
Tutti questi caratteri sono chiari indizi di una malat-
tia così dei visceri addominali come del sistema nervoso
centrale. – Ma questo risulta meglio dallo studio psicolo-
gico. Infatti un esame superficiale poteva far credere che
in lui fossero normali gli affetti e i sentimenti morali; egli
mostrava, infatti, ribrezzo al delitto, visse una vita par-
chissima, astemia; ed ora religioso troppo, ora esagera-
tamente patriota, sempre mostrava preferire il vantaggio
altrui al proprio, figurando quasi innanzi agli indotti di
psichiatria una specie di martire di un’idea maturata da
anni, il portavoce e la mano segreta di una setta poten-
te, il che tutto potrà suscitare, politicamente, avversione,
ma individualmente rispetto.
Pure tutto ciò cade di un colpo (anche prescindendo
dal delirio, che potea essere effetto del carcere, e che vi-
dimo sopravvenire spesso nei mattoidi irritati) per chi ri-
cordi quanto dicemmo sopra, che la parsimonia e l’al-
truismo sono caratteri speciali dei mattoidi, e, non di ra-
ro, anche di molti matti, che sembrano più affezionati al-
la patria, all’umanità che non alla famiglia ed a se stessi, e

Storia d’Italia Einaudi 488


Cesare Lombroso - Genio e follia

avverta come nei suoi scritti si accennino, con una gran-


de indifferenza, e direi quasi con piacere, gli omicidî che
i suoi compaesani commettevano fra di loro – quando a
suon di scure si facevan dare dai forestieri i denari, e so-
pratutto l’allegria con cui conta la triste burla fatta da al-
cuni ad un pover’uomo innamorato del suo ciliegio, cui
per dispetto svelsero, e, spogliato delle frutta, riporta-
rongli innanzi alla casa; l’apatia morbosa emerge sopra-
tutto a chi ricorda l’insensibilità mostrata dopo il delit-
to innanzi a tanta ira di popolo che contro gli si scatena-
va; eppure anche i più fanatici assassini politici si com-
mossero dopo il delitto, come Orsini, Sand e Nobiling, e
spesso tentarono il suicidio.
E giova a provarlo il movente vero dell’atto: come
che, cacciato, per la sua follia politica, dai suoi padroni
– arrestato quale vagabondo e maltrattato per giunta
dalle guardie – con una vanità tanto sconfinata quanto
era la sua impotenza a soddisfarla, anzi a vivere – non
avendo coraggio di suicidarsi, pensò imitare gli eroi, di
cui sentiva blaterare nei circoli (e contro cui avea egli
stesso declamato) tanto per aver un modo di finire la vita
per mano altrui.
«Vedendomi maltrattato dai miei padroni ed essendo-
mi venuta uggia della vita, per non trucidarmi feci il di-
segno di attentare al re», disse al questore appena arre-
stato. E al giudice Azzaritti: «Ho attentato al re sulla si-
curezza che sarei stato ucciso». E infatti due giorni pri-
ma era preoccupato assai più del suo rinvio dal padrone
che del regicidio, ed al suo arresto si dava d’attorno per
aggravare la sua situazione facendo ricordare al delegato
che si fosse dimenticato del suo cartello rivoluzionario,
in cui avea scritto: Morte al re, viva la repubblica! Ec-
co perché rifiutò d’andare in Cassazione, e all’annunzio
della grazia non pensò alla vita salvata, ma alla critica de-
gli altri (V. Lombroso, Considerazione sul processo Passa-
nante, pag. 16 e 17). Era un caso di suicidio indiretto,

Storia d’Italia Einaudi 489


Cesare Lombroso - Genio e follia

come ne notarono tanti, Maudsley, Crichton, Esquirol156


e Krafft-Ebing. Ma di questi non ne commettono che i
pazzi e gli uomini vigliacchi e immorali; ed io poi tan-
to più insisto in questo movente, in quanto che egli vi
trovava modo di soddisfare anche, nel medesimo tempo,
quell’incoerente vanità che in lui predominava sull’amo-
re della vita; ed è noto come molti suicidi vanitosi go-
dono vedere la morte propria circondata da pompa: co-
me quell’inglese che si fece comporre una messa ed ese-
guirla pubblicamente, e si tirò una pistolettata, mentre si
cantava il requiescat.
Né si obbietti che egli in alcuni interrogatorî successi-
vi rinnegò le sue idee suicide e cercò di spiegare e conci-
liare le contraddizioni tra la teoria e la pratica, con quella
trovata Robespierana che le idee s’innaffiano col sangue,
perché le prime confessioni, fatte a caso vergine, sono le
più genuine. D’altronde esse furono ripetute più volte:
esse erano in armonia coi fatti anteriori, completamen-
te provati, e che in quell’occasione citava (maltrattamen-
to), e colle disposizioni prese prima e dopo il reato; ed il
suo riniego, come tutto il suo contegno successivo, dopo
i primi giorni, si spiegano benissimo per la sua pazzesca
vanità politica che prima non aveva vistò considerata da
alcuno, ma che quando vide presa sul serio dai giorna-
li, dai giudici, dai medici, naturalmente, cercò, per quan-
to era conciliabile coll’amore della verità, che pure aveva
grandissimo, quanto più poté, di favorire. E come a po-
co a poco agli uni parve un tetro dissimulante, un cospi-
ratore dei più abili, egli finì col riguardare se stesso non
più il disperato che poco prima mendicava un alloggio
ed un uffizio di lavapiatti, ma il martire e l’apostolo.
Ora si può perdonare alla fragorosa e vacua eloquenza
di un procuratore del re, avvezzo a vedere dei rei dove
non sono e viceversa, se fantastica una cospirazione di
cui mancavano gli indizi più lontani, di cui fra gli altri
quel miserabile coltello e la scelta di una mano così

Storia d’Italia Einaudi 490


Cesare Lombroso - Genio e follia

gracile ed inavezza avrebbe dovuto bastare a mostrare


l’inesistenza; ma che vi si perduri dopoché le indagini più
scrupolose e ripetute hanno dimostrato mancarvi, fino il
più lontano indizio, qui sarebbero i medici legali che si
fanno più fiscali del fisco, e più fantasticamente fiscali.
Invece di questa ipotesi impossibile, io adduco quella
desunta da una confessione fatta immediatamente da
questo sciagurato, che tutti ammettono essere esagerato,
perfino, nell’amore del vero, confessione ripetuta tre
volte: che s’accorda coi fatti constataci in giudizio, che
concilia subito la contraddizione fra gli scritti che non
toccan mai di regicidio, e l’ultimo atto ed i portamenti
di tutta la vita sempre mitissima, e la scelta dell’arme
che mai avrebbe disegnato un vero cospiratore; s’accorda
con la condotta nel carcere, prima della condanna e
dopo, in cui lo si vedeva non preoccuparsi della morte,
anzi desiderarla; infine dà una spiegazione facile e piana
di un delitto, il quale, tolta l’idea politica, appariva senza
un movente determinato, cosicché il processo restò per
tutti appunto un enigma, perché la spiegazione che si
volea dare al reato non era vera, e la vera non si volle
ammettere.
Il primo, il più grande movente di quel tentativo, dopo
ed insieme alla miseria, era, come in Guiteau, evidente:
la vanità in lui sì grande come ben di raro nell’uomo
normale.
Quindi se fanatismo troviamo in lui non è per la politi-
ca, ma sibbene per le sue ridicole e sgrammaticate elucu-
brazioni. Se pianse e fremette alle Assise non fu quando
si insultava il suo partito, ma quando non si volle conce-
dergli la lettura di una sua lettera, e quando si offendeva
la sua fama di sguattero, dicendo che leggeva continua-
mente invece di pulire i piatti, il che egli negò malgrado
potesse giovargli nel processo per dimostrarlo mattoide.
L’intelligenza poteva dirsi piuttosto diversa, originale,
che non superiore alla comune; appariva vivace assai più

Storia d’Italia Einaudi 491


Cesare Lombroso - Genio e follia

nei discorsi che negli scritti (carattere speciale dei mat-


toidi), nei quali è raro che tu riesca a cogliere un’espres-
sione robusta, come quelle che pur trovi nei lavori dei
pazzi.
Non è però che racimolando qua e là nelle molte sue
carte e rabberciando le lacune non t’incontri in qualche
squarcio curioso, originale.
Non è, per es., priva di originalità, per quanto bizzar-
ra, l’idea sua di far eleggere a sorte i deputaci e gli impie-
gaci, come i soldati, onde siano meno superbi, e di obbli-
gar a lavorare le campagne deserte i prigionieri che pol-
triscono nell’ozio, e chiamare viceversa alla leva i giova-
ni che abbiano scelto un mestiere, e il gridare dietro a
Guglielmo «che vuol cinque migliardi dalla Francia» chi
semina spine vada scalzo, ed anche abbastanza buona l’i-
dea, benché turchesca, di far piantare un albergo gratui-
to per i viandanti in ogni villaggio.
Bella, anche, è quella frase con cui dipinge le idee della
patria in un piccolo municipio italiano: «Noi da piccoli
ci indicano la patria primiera dove ci sta la semplice
torretta». Curioso, perché allude certo alla sua miseria
e alla causa del suo delitto, è questo motto: «Quante
volte gli oppressi hanno appellato a Dio, che mai ha
avuto pietà della sua deplorevole condizione... schiavo,
morto di fame, che onesto e libero cittadino deve finire
ad essere ucciso e messo in galera».
Sopratutto è curiosa questa sentenza, che direbbesi in
causa propria se non fosse stata scritta assai prima: «E
riprovato che il governo abbia severità di pena contro
chi ha la semplice idea di cambiar la forma di governo
ed attentar al capo dello Stato. La patria è madre a
tutti eguale, a tutti la legge deve essere sorella della
morte, la quale non ha rispetto di nessuno; quando è ora
taglia espressivamente sull’arme». – Né parmi senza una
qualche selvaggia bellezza il preteso suo inno popolare

Storia d’Italia Einaudi 492


Cesare Lombroso - Genio e follia

e rivoluzionario, benché la prosodia vi si trovi male a


disagio:

Sentiamo, sentiamo, fratelli,


I squilli, i squilli di tromba.

e più sotto:

Su su, fratelli, che più tardiamo,


Già è un’ora che i tocchi della campana
Sonano da tempo, armiamoci, corriamo tutti
Alla chiesa madre, là troveremo
La bandiera della patria, la quale appella di darle soccorso.

Giustissimo è il suo parallelo tra l’uomo isolato e l’as-


sociato «Quando è solo è debole come il bicchiere di ve-
tro; a vedere un bicchiere e pensare alla forza dell’uo-
mo non vi è gran differenza, ma nella riunione l’uomo
diventa duro, ha la forza di mille Sansoni».
Dove egli, veramente, appare maggiore della media è
nelle risposte a voce. Così, p.es.: «La storia che si studia
praticamente nel popolo è più istruttiva, che quella che
si studia nei libri, – Il popolo è maestro della storia» e
simili. Per giustificare come egli, povero cuoco, avesse la
pretesa di farsi autore, rispose: «Dove il dotto si perde,
spesso l’ignorante riesce trionfante».
Domandato che cosa avviene nella coscienza quando
si è sul commettere un’azione cattiva, «In noi, risponde,
vi sono come due volontà, l’una che spinge, l’altra che
trattiene: nel contrasto quella che vince determina l’a-
zione».
Ma è del resto precisamente in questi tratti o, meglio,
sprazzi intermittenti di genio, e nelle sue singolari aspira-
zioni che spicca l’anomalia morbosa. Quando in un am-
biente sì umile un uomo, senza una speciale educazione,
si caccia dietro ad ideali così diversi da quelli della sua
classe, è certo anormale; potrà esser un genio, un Giot-

Storia d’Italia Einaudi 493


Cesare Lombroso - Genio e follia

to, che da pastore si trasmuta in pittore; ma se poi que-


sto pastore trascura da una parte le pecore e dall’altra vi
traccia solo degli sgorbi indegni, perfino, di un imbian-
chino, allora il dubbio si fa quasi certezza; e così l’esame
psichico conferma meravigliosamente il somatico e ci dà
il modello di quel tipo singolare che io chiamo del mat-
toide, e di cui l’Appendice ci mostrerà esemplari se non
egualmente funesti certo altrettanto curiosi.

2
Pazzo morale e delinquente nato

Maria Per...di Us... a 15 anni fu condannata due volte per


furti di oggetti che, però, appena rubati, metteva tosto in
mostra sì che tutti se n’accorgevano.
Nel primo interrogatorio col giudice dichiarò: «Non
ho mai avuto idea di trar profitto delle cose rubate, ho
soltanto smania di impadronirmi di quelli oggetti per poi
poterne fare bella mostra». Dopo il 2° arresto essa mo-
strò un’astuzia singolare gridando e facendo la pazza in
modo che fu collocata in una camera appartata, da cui
poté evadere saltando 9 metri d’altezza. D’allora in poi
succedettero continui furti nel paese di Us... che si di-
stinguevano per essere spesso oggetti di poco valore e
perché il ladro entrava con agilità singolare dall’alto dei
tetti e dai camini, arrampicandovisi da alberi elevatissi-
mi, e perché qualche volta i derubati si trovarono resti-
tuiti degli oggetti altre volte sottratti (p. e., 2 cuffie la Re-
fusatti). Codesti furti erano di fazzoletti, camicie, vesti di
donna, cereali, grano, riso, una fotografia, un trivellino,
un libro di devozione; raro denari, una volta 500 lire.
Non venne arrestata che molto tempo dopo quando,
affetta da lue, ricoverò al sifilicomio, nel quale però diede
un nome falso.

Storia d’Italia Einaudi 494


Cesare Lombroso - Genio e follia

Nei nuovi interrogatori col giudice dichiarò che aveva


rubato continuamente in complicità con un maestro Pa...
che conobbe a un ballo, e che la invitava a rubare e
poi col denaro ricavato bevevano insieme di notte, e con
cui, fuggendo dalla casa patema ebbe a dormire; costui,
già molti mesi prima le aveva detto che quando fosse
arrestata facesse in modo di fuggire: ed egli l’avrebbe
nascosta in modo che nessuno l’avrebbe trovata: – perciò
ella fece la matta in carcere finche fu isolata e poté
evadere, e subito dopo tornata a Us... fu da lui, per molti
mesi, nascosta entro una specie di soffitta della chiesa
parrocchiale a cui si poteva accedere mediante un asse
(che si trovò) da un foro esistente nella sua casa.
«Fuggì da Us... perché Pa... le disse (ed era vero) che
i carabinieri eran venuti più volte per cercarla nella casa
dove stava; e la notte ambedue commisero molti furti per
supplire alle spese della fuga e del matrimonio che egli
le lasciava travedere; andò a Torino donde poi il Pa...,
che l’aveva incinta, l’accompagnò in Alessandria dove
l’abbandonò, sicché dovette fare la prostituta clandestina
d’albergo».
Deve poi ricordarsi che qualche testimoniò, e preci-
samente uno zio materno F. C., dichiara che essa Maria
passa nel paese per mezzo scema fondandosi, pare, sulla
restituzione degli oggetti rubati: anche il Sindaco dichia-
ra che la voce pubblica crede aver essa ceduto ad una
forza irresistibile.
Ella ci riferisce che il padre soffre di cefalea, che ebbe
uno zio alcoolistico, che essa pure soffre da sette anni di
mal di capo, il che può attestare la Teresa Cibrario di lei
vicina, e che spesse volte, dopo i mali di capo, si metteva
a correre tutto d’un tratto e le vicine dicevano: certo in
questo momento va a rubare.
Resta però sempre il fatto che essa rubò insieme ad og-
getti di valore anche alcuni che ne avevano poco o nes-
suno, che li mostrò al pubblico a rischio, come accadde,

Storia d’Italia Einaudi 495


Cesare Lombroso - Genio e follia

di essere veduta dai derubati, che restituì oggetti non ri-


chiesta, coll’evidente conseguenza di far conoscere che
essa era ancora in paese, che confessò da giovine subi-
to i furti, che ebbe parenti, zii, nevrosici, che essa rubò
anche senza bisogno, per puro capriccio, per vestire dei
bimbi; che essa, mentre ha un’astuzia straordinaria mo-
strata colla dissimulazione nelle carceri, negli interroga-
tori (grandissima poi se il complice non esistesse), mo-
stra nello stesso tempo un’ingenuità infantile nel dichia-
rarsi arrabbiata perché la scoprono sempre nei suoi fur-
ti, perché le tolgono gli oggetti rubati; nel propalare su-
bito i suoi atti osceni, pure sapendo benissimo che tutto
ciò è punito dalla legge e dalla società, sendo stata casti-
gata spesso dai genitori e già prima dai tribunali; ma non
avendone alcuna vergogna: essendo cioè assolutamente
priva del senso morale e parendole, come ai bimbi, giu-
stificazione sufficiente ad ogni atto il solo fatto del molto
desiderio. – Davanti alla bramosia di andare in masche-
ra, di portare un orecchino d’oro in chiesa, di una vesta
nuova al ballo, cessa ogni paura, non solo di fare il male,
ma persino di esser punita.
E come primo notava il comm. Crivellari, che prese
l’iniziativa di interrompere il processo e richiedere una
perizia, va considerata, anche, quella scimmiesca sua agi-
lità per cui saltava da 9 metri d’altezza e penetrava nei ca-
mini, spiccandovi salti da alberi, che la ravvicinerebbe ai
microcefali e farebbe sospettare di un arresto di svilup-
po parziale del cervello, che però nessun altro carattere
fisico conferma.
Ad ogni modo è questo un caso di imbecillità morale,
ossia di privazione completa del senso morale; ma sicco-
me in ogni sua forma essa si confonde coi caratteri che of-
frono i veri e proprii delinquenti abituali, così nasce for-
tissimo il dubbio che gli esemplari di follìa morale che
certi nostri poco dotti alienisti vanno tentando di pesca-
re alla cieca qua e là come straordinarie varietà, si trovi-

Storia d’Italia Einaudi 496


Cesare Lombroso - Genio e follia

no invece frequentissimi nelle carceri e che costituiscano


il passaggio al delinquente abituale.
Pochi crederanno che, non solo dettando il mio studio
sull’uomo delinquente, ma anche dopo, io fui sempre
alieno dal confondere il delinquente nato coll’alienato.
L’origine, per lo più congenita o nell’età giovanile, del
delitto, la maggiore sua diffusione colla civiltà, coi gran-
di centri, fra i maschi, la eredità meno intensa della paz-
zia e della neurosi, la apparente buona salute, la robu-
stezza maggiore e maggior altezza della statura, la mag-
gior ricchezza dei capelli, minor frequenza di submicro-
cefalia, la fisonomia tutta speciale e le passioni e gli istinti
che ricordano completamente, come la fisonomia; l’uo-
mo selvaggio assai più che l’alienato, specialmente la pi-
grizia e la passione dell’orgia e della vendetta, tutte cose
che mancano nel più degli alienati; tutto ciò, unito al ri-
brezzo involontario innanzi al pericolo sociale cui pare-
vamo poter causare questa teoria, e alla tanto pericolo-
sa compiacenza della propria creazione, m’avevano con-
vinto e prima e dopo che io aveva messo in luce assai più
le differenze che non le analogie fra quelle due sciagura-
te condizioni patologiche della psiche. Ed in mezzo a sì
completo accordo di amici e di avversari su questo, il so-
lo a non convenire e non esserne convinto, ero proprio
io.
Ma la successiva distinzione del delinquente d’occa-
sione e dell’abituale, l’appoggio universale conseguito
dalla proposta del manicomio criminale, la scoperta di
sempre nuovi casi, come il Faella, Agnoletti, Verzeni,
Guiteau, che rendevano impossibile il discernere le linee
differenziali, lo studio dei nuovi caratteri dati dai più re-
centi autori, come Krafft-Ebing, Holländer, Savage, alla
pazzia morale, mutarono completamente le convinzioni.
Copiamo, p. es., quanto scrisse il primo nei suoi
Grund Lehrbuch der Gerichtliche Psychopath., 1881,
Stuttgart, dei pazzi morali.

Storia d’Italia Einaudi 497


Cesare Lombroso - Genio e follia

«Manca in essi la facoltà di formare, utilizzare nozio-


ni di estetica, di morale, dimodoché gli istinti latenti nel
fondo di ogni uomo prendono il sopravvento. Le no-
zioni d’interesse personale, dell’utile o nocevole, dedotte
dalla logica pura possono essere normali; di là un fred-
do egoismo che rinnega il bello e il buono, ed assenza di
amor figliale» (ricordiamo qui noi quel pretore tedesco
che uccise la moglie e la madre per far risparmiare a loro
i dolori della malattia); «indifferenza alla sventura altrui
ed al giudizio degli altri; da ciò un’esagerazione dell’e-
goismo che dà a sua volta la spinta alla soddisfazione de-
gli interessi personali, calpestando i diritti altrui. Se ven-
gono in collisione colla legge, allora l’indifferenza si mu-
ta in odio, vendetta, ferocia, nella persuasione d’essere in
diritto di fare il male».
I caratteri che io diedi dell’ Uomo delinquente nato, p.
156, ecc., ripetono questo quadro. Lemaire diceva: «So
che fo male, se qualcuno mi dicesse che fo bene gli direi:
sei una canaglia; ma non perciò potrei fare altrimenti».
– Lacenaire pativa alla morte degli altri come a quella di
un gatto.
«In generale, dice Krafft-Ebing, costoro mancano
d’attività, di energia, quando non si tratti del soddisfaci-
mento dei loro desideri immorali, odiano il lavoro. Men-
dicità e vagabondaggio sono le loro vocazioni».
E noi ricordiamo che il pegre o ladro vien da pigro, e
che Lacenaire era un ideale dell’odio al lavoro, come poi
vedemmo di Gasparone – e Lemaire diceva: «Ho le carni
molli, piuttosto che dover lavorare preferisco morire».
Savege osservò ( Journal of mental science, 1880) che la
maggior parte delle pazzie morali era o congenita o avve-
nuta in età infantile od in seguito a tifo, meningiti, ecc.,
che se essi non ne guariscono subito restano incurabili.
Ora altrettanto avviene dei delinquenti, appunto in
questo differenti dai pazzi che si manifestano sempre tali
in età più tarda (Vedi Uomo delinquente, pag.277).

Storia d’Italia Einaudi 498


Cesare Lombroso - Genio e follia

Ed in ambedue trovammo l’insensibilità all’idrofismo-


grafo ed assimetrie craniche e passione pegli alcoolici.
È curioso che nei manicomi i pazzi morali rifuggono
dagli altri e dichiarano che si sentono meglio in carcere,
che se hanno commessi delitti quello là è il loro posto.
Questo io potei notare distintamente in tre casi: ben in-
teso che do importanza a questo fatto non perché io vo-
glia stare al giudizio degli alienati in argomento sì deli-
cato, ma perché esprime non tanto un giudizio quanto
un sentimento, che prova l’analogia, anzi l’identità delle
due forme: mentre è noto come i pazzi d’altre specie ab-
biano un vero ribrezzo pei delinquenti. – Ho osservato
poi che mentre l’alienato rifugge dalla compagnia, tende
ad isolarsi, il contrario accade dei pazzi morali che, messi
fra gente di lor risma, vi si godono; alcuno (Rossi di Pa-
via) dichiarommi che si ucciderebbe se costretto a vivere
isolato – il che è proprio dei delinquenti.
Una volta fuso l’uno coll’altro fenomeno, è subito
compresa la ragione della grande frequenza di pazzie e
di malattie nervose nei delinquenti, e il processo illogico
del delitto e la frequente lesione affettiva, l’influenza
analoga delle stagioni calde, dell’agglomero e il trapasso
frequente dall’une all’altre.
E giova aggiungere che non rare volte i pazzi mora-
li, come i rei, si preparano lo alibi, premeditano il delit-
to, lo compiono, non per impeto improvviso, ma a sco-
po di vendetta e di lucro, associandosi spesso compagni
– ed à tutti gli alienisti è noto che tutti i guai dei mani-
comi nascono da costoro che insinuano al male gli altri,
ingannano e denunciano i superiori e complottano.
Finalmente così spiegasi che alcuni delitti formino uno
dei sintomi specifici di alcune malattie mentali, così: la
calunnia, la truffa, lo sono dell’isterismo, il furto della
demenza senile, l’assassinio e stupro dell’epilessia – la
piromania delle pazzie impuberi ed in alcune il delitto
(stupro, p. es., con omicidio nell’epilessia), come la

Storia d’Italia Einaudi 499


Cesare Lombroso - Genio e follia

sensibilità sessuale anomala del Westphal, si sostituisce


alle altre forme del morbo.
S’aggiunga che per essere stata troppo tardi irregolar-
mente studiata la follia morale, non offerse ancora tutti
i suoi caratteri e ricordo qui come le anomalie corporee,
quelle che precisamente più s’avvicinano al delinquente,
sonsi or solo rivelate dal Legrand Le Saulle.
L’obbiezione morale, quella, che partendo da un sen-
timento nobilissimo, era più forte di qualunque criterio
scientifico, che cioè con tali teorie si sovvertisse l’ordine
di idee dominante, viene tolta dal momento che non tut-
ti i delitti si confondono colla pazzia, e molti delinquen-
ti sono normali affatto o quasi, e sono i rei di occasione,
ed anche in quelli d’abitudine manca spesso ogni caratte-
re anomalo. Né, per essere riconosciuti pazzi gli altri rei
sarebbero meno segregati dai sani, anzi, anche dai pazzi
medesimi nei manicomi criminali, col vantaggio specia-
le, di più, che qui non osterebbero le solite troppo sotti-
gliezze della legge a rendere perpetua la loro segregazio-
ne.
Non resterebbe che la infamia di meno, ma chi può
sottrarsi a tanti vantaggi solo per non poter più giustifi-
care un sentimento così odioso; chi non sente che è van-
gelo dei nostri tempi la massima: Tutto conoscere e tutto
perdonare.
Vero è che da molti si parla di pazzia morale quando
si ha megalomania paralitica, demenza alcoolica, impul-
so isterico epilettico, ma qui si è confuso uno stato mor-
boso sui generis, congenito quasi sempre, od acquisito in
infanzia, come la rachitide, la sordomutezza, con uno dei
sintomi prevalenti in questo stato morboso, la immorali-
tà, ecc., che non è poi il carattere essenziale della malat-
tia.
Non già che in questo stato morboso, in questa mo-
struosità sempre i sintomi sieno identici. Come tutte
le specie naturali molto diffuse, anch’esso subisce una

Storia d’Italia Einaudi 500


Cesare Lombroso - Genio e follia

quantità strana di variazioni, le quali furono già esposti


dal Raggi, e da me in questo Archivio. Così i grafoma-
ni, i politicomani, ecc., che non hanno o quasi mai rap-
porto col codice penale: io ne ho uno in cura che ha una
vera follia altruistica, si preoccupa sempre se sta male la
serva dei vicini, compera cibi da bottegai perché possano
vivere, e non spende quasi mai per se stesso.
Se mi si domandasse a quali caratteri istologici vorrei
legare questa forma, ricorderei la scoperta dello Arndt (
Virchow Archiv, 61, 67, 72), che «molte cellule ganglia-
ri sono nei neuropatici in uno stadio di sviluppo inferio-
re come nei rettili, nella salamandra: in alcuni il cilin-
der axis si presenta più sottile o coperto di granuli sen-
za sufficiente isolamento rispetto alle parti che lo circon-
dano, per cui l’eccitamento più facilmente s’irradia; par-
te di questi, qualche volta, manca affatto, ed è rimpiaz-
zato da cumuli di cellule protoplasmatiche; spesso la lo-
ro guaina midollare è punteggiata e senza il solito aspetto
omogeneo a doppio contorno: quindi interrotta la con-
duzione estasi delle forze molecolari e reazioni nelle cel-
lule gangliari, esplosioni negli altri territori nervosi mo-
tori. Anche i vasi sembrano contornati da poche cellule
linfatiche sicché resta inceppato il deflusso della linfa e si
hanno pressioni sulle cellule cerebrali».
Né perciò vien meno l’atavismo che, chi veda nel
fondo delle malattie mentali, fa capolino per tutto, ma
in ispecie nelle forme ingenite come l’idiotismo ed il
cretinismo e specialmente nelle microcefalie che tanto
legame congiunge col criminale.
Ma qui abbiamo qualche cosa di più determinato e
più obbiettivo, che non le solite generalità dell’atavismo
e peggio della degenerazione, con cui assai spesso si
copre l’ignoranza dei fatti, misconoscendo quella legge
di suddivisione delle specie e quella necessità dell’analisi,
che è uno dei caratteri del progresso moderno.

Storia d’Italia Einaudi 501


Cesare Lombroso - Genio e follia

Egli è perciò anzi che io vorrei suddividere ancora la


pazzia morale, che è troppo generica, e che ricorda, nel
titolo, ancora un morbo acquisito dalla sua sottospecie
la criminale; chiamandone gli affetti, con un termine
non felice certo né preciso, ma che ebbe – quello che
occorre alla denominazione – la fortuna di essere accetto,
mattoidi criminali. E ce ne farebbe legge, ad ogni modo,
la tendenza analitica della scienza moderna che vuole si
specifichi ogni nuova forma, ed il pericolo maggiore che
corre la società per sua causa ed il bisogno di far capire
con spiccata accentuazione che non si tratta di comuni
pazzie – ma di forme affatto diverse fin dall’origine,
come sono diversi i metalli dai metalloidi.
Però se mutai le mie idee sulla differenza tra pazzo
morale e delinquente-nato, non perciò le mutai quanto
all’applicazione pratica. Finche il manicomio criminale
non sia posto in opera e la legge modificata in proposito,
io credo che noi dobbiamo considerare tali casi come casi
di delinquenti, salvo le attenuanti, come nel Medio Evo
il perito doveva considerare certe isteriche come streghe.
Un perito è un istromento e non un artefice della
legge; finché la società crederà dovere codesta specie
di matti curarli a suo modo col carcere e con le multe,
il perito dovrà chinare il capo e designarli così come li
trova alla società, salvo ad illuminarla, poi, sopra i nuovi
trovati, coi libri e dalla cattedra.
Il senso morale manca certo ai bambini nei primi mesi
ed anche nel primo anno della vita. Per essi il bene e
il male è ciò che è permesso o proibito dal papà e dalla
mamma, ma non una volta sentono da per se quando una
cosa sia male.
«È villano, diceva un ragazzo a Perez, il mentire e
il disobbedire, ciò fa dispiacere a mamma». Ma esso
poi credeva per obbligo, quindi per bene, tutto quanto
vedeva farsi intorno a lui abitualmente.

Storia d’Italia Einaudi 502


Cesare Lombroso - Genio e follia

«Quando piango, diceva un bambino, mamma mi


mette a dormire, e allora mi mette un cuscino», e così
fanno pelle azioni morali, oppure trovano bene ciò che
procura loro lode. E così io vidi un fanciullo educato che
rifuggiva, come da un delitto, dal defecare nelle camere.
A due anni e cinque mesi un ragazzo, che credeva aver
fatto bene, diceva: «Il mondo dirà: è un buon ragazzo»
(Perez).
Una volta un fanciullo di quattro anni, che aveva
detto bugie, fu punito dalla mamma col metterlo in
cantina. Strada facendo pel luogo del supplizio egli le
diceva: «Ma io merito anche peggio». Invece, punito
dalla nonna, colla semplice relegazione in una camera
oscura, non vi si adattava, lo prendeva per un’ingiustizia
e gridava.
Il dolore pel castigo varia dunque nei fanciulli, secon-
do le persone che glielo applicano e contro cui demerita-
rono – come vedemmo già nei selvaggi.
L’idea insomma della giustizia, della proprietà, viene
al fanciullo dopo aver provato il dolore nell’essere espro-
priato e aver sentito dire che ciò è male. Odia, in gene-
re, l’ingiustizia, specialmente quando ei stesso ne soffre;
e per lui essa consiste in un disaccordo tra il modo abi-
tuale di trattamento e quello accidentale.
Nelle circostanze nuove è in piena incertezza. Così
un fanciullo, trasportato dalla casa di sua madre presso
Perez, modificò le sue abitudini secondo i nuovi arrivati:
cominciò a comandare a furia di grida, e non obbediva
che a lui.
Il senso morale è, dunque, una delle facoltà più suscet-
tibili di essere modificate dall’ambiente morale.
La nozione del bene e del male, che ne è il germe
intellettuale, non si constata mai prima dei sei a sette
mesi. Perez vide un fanciullo di sette mesi, cui la mamma
aveva insegnato che era male il gridare quando era lavato,
o per andare in braccio; e l’aveva appreso. I più, invece,

Storia d’Italia Einaudi 503


Cesare Lombroso - Genio e follia

non badano agli insegnamenti, e, quanto più loro si


grida, più s’ostinano, piangono, s’irritano, ecc.
Il primo accenno del senso morale è quando compren-
dono certe attitudini e certe intonazioni che hanno uno
scopo repressivo, quando incominciano ad obbedire per
paura o per abitudine.
L’interesse, l’amor proprio, la passione, lo sviluppo
dell’intelligenza e della riflessione precisano la distinzio-
ne del bene e del male e più forse la simpatia, la for-
za dell’esempio, la paura del rimprovero; da tutti questi
elementi si forma la coscienza morale. n bimbo può es-
servi più o meno presto indirizzato, secondo le attitudini
del carattere egli accidenti del momento (Perez, o. c.).
I fanciulli hanno comuni coi selvaggi e coi criminali la
nessuna previdenza; un avvenire che non sia immediato
o non paia tale, ha nessuna influenza sulla loro immagi-
nazione. Avere un piacere dopo otto giorni o dopo un
anno per loro è uguale.
Dalla conoscenza di questi fatti si ha la naturale spie-
gazione del come la pazzia morale si origini solo per man-
canza di ogni ritegno nei despoti e in tutti fin dalla infan-
zia, delle cui abitudini, non interrotte dall’educazione,
non sarebbe se non una continuazione.
Questi ragazzi, dice il Campagne nella sua Folie rai-
sonnante, parlando dei candidati alla pazzia morale, so-
no insensibili alle lodi ed alle punizioni; non sentendo
quanto la loro condotta riesca penosa alle loro famiglie,
restano indisciplinati, incuranti, riottosi. L’ozio, l’onani-
smo e lo stravizio, le sovraeccitazioni di ogni sorta sono
le grandi stazioni che percorrono per giungere a quell’e-
saltamento speciale, detto pazzia ragionante, che li porta
irresistibilmente all’azione. Allora alla pigrizia succede
una temerità sconfinata, e al menomo rimprovero grida-
no, rompono quanto cada loro sotto mano, e colpiscono
le persone che li attorniano.

Storia d’Italia Einaudi 504


Cesare Lombroso - Genio e follia

La crudeltà fu notata nella prima giovinezza di Cara-


calla, di Caligola, di Commodo, che a 13 anni fece getta-
re in una fornace uno schiavo per una causa leggera; di
Luigi XI e Carlo IX che facevano torturare animali, e di
Luigi XIII che schiacciò lentamente fra due pietre la te-
sta di un uccelletto e tanto si irritò contro un gentiluomo
che gli era antipatico, che per acquietarlo si dovette fin-
gere di ucciderlo. Fatto re, godeva nel seguire l’agonia
dei protestanti condannati a morte.
Essendo la pazzia morale e le tendenze criminose fuse
indissolubilmente, si spiega perché quasi tutti i grandi
delinquenti ebbero a manifestare le loro prave tendenze
fino dalla prima infanzia.
Resta dunque dimostrato che una certa quota di cri-
minali rimonta fin dai primi anni della nascita, interven-
gano o no le cause ereditarie, o per dir meglio, che se ve
n’hanno alcuni causati dalla cattiva educazione, in molti
non influì nemmeno la buona.
Pure la sua grande benefica azione spicca appunto
dal fatto che sono generali le tendenze criminose nel
fanciullo, sicché senz’essa non si potrebbe spiegare la
loro, diremo, normale metamorfosi che avviene nella
maggior quantità dei casi.
Del resto per educazione intendiamo non le semplici
istruzioni teoriche che di raro giovano, anche agli adul-
ti, per cui vediamo sì poco approdare la letteratura, i di-
scorsi, le arti dette moralizzatrici, e meno ancora le vio-
lenze, con cui al più al più si ingenerano degli ipocriti, si
trasforma non il vizio in virtù, ma il vizio in un altro vi-
zio; bensì una serie di moti reflessi sostituiti lentamente a
quegli altri che furono cause dirette o almeno favorevo-
li al mantenimento delle prave tendenze, e ciò col mezzo
dell’imitazione, delle abitudini gradualmente introdotte
colla convivenza in mezzo a persone oneste e con pre-
cauzioni sapienti per evitare che sorga in terreno adatto

Storia d’Italia Einaudi 505


Cesare Lombroso - Genio e follia

a proliferarsi l’idea fissa che vedemmo divenire sì fatale


nell’infanzia (v. s.).
Prima di passare allo studio del delinquente pazzo,
dobbiamo cominciare dal trattare, o, meglio, dall’esclu-
dere da questo, il pazzo morale, che noi abbiamo già trat-
tato studiando il delinquente nato.
Sulle prime il lettore o l’uomo di mondo proverà, cer-
to, grande ripugnanza ad accettare questa fusione; e ciò
sia perché siamo da troppe generazioni avvezzi a consi-
derare il reo di tanto più responsabile di quanto è più
grande in lui la colpa e in noi il bisogno di vendicarsene
e il timore di lasciarlo libero, in ragione dunque della sua
temibilità, ed anche perché non si conosceva od immagi-
nava altro modo per paralizzarne i malefici che la puni-
zione del carcere e della morte; perché, insomma, il sen-
timento della vendetta e della paura, insieme all’abitudi-
ne che è uno dei più grandi dei nostri tiranni, modifica-
vano completamente il nostro giudizio e non ci lasciava-
no entrare in altra via di esplicazione; ed io, come già no-
tai nella prefazione, fui ancora fra costoro mentre redi-
geva le due prime ed, in parte, anche la terza edizione di
questo lavoro.
L’origine, per lo più congenita o nell’età giovanile, del
delitto, la maggiore sua diffusione colla civiltà, coi gran-
di centri, fra i maschi, la eredità meno intensa della paz-
zia e della neurosi, la apparente buona salute, la robu-
stezza maggiore e maggior altezza della statura, la mag-
gior ricchezza dei capelli, la fisonomia tutta speciale e le
passioni e gli istinti dei rei-nati che ricordano completa-
mente, come la fisonomia, l’uomo selvaggio assai più che
l’alienato, specialmente la pigrizia e la passione dell’orgia
e della vendetta, che mancano quasi sempre in quest’ul-
timo; tutto ciò, unito all’orrore istintivo innanzi all’idea
del pericolo sociale cui parevami poter causare la confu-
sione degli uni cogli altri, e alla tanto pericolosa compia-
cenza della propria creazione, m’avevano convinto e pri-

Storia d’Italia Einaudi 506


Cesare Lombroso - Genio e follia

ma e dopo che io aveva messo in luce assai più le diffe-


renze che non le analogie fra quelle due sciagurate con-
dizioni patologiche della psiche. Ed in mezzo a sì com-
pleto accordo di amici e di avversari su questo, il solo a
non convenirne e non esserne convinto, era proprio io.
Ma la successiva distinzione del delinquente d’occa-
sione e dell’abituale, l’appoggio universale conseguito
dalla proposta del manicomio criminale, la scoperta di
sempre nuovi casi, come il Faella, Zerbini, Verzeni, Gui-
teau, Sbro... che rendevano impossibile il discernere le
linee differenziali fra pazzia e reato, lo studio dei nuovi
caratteri dati dai più recenti autori, come Krafft-Ebing,
Holländer, Savage, Mendel, alla pazzia morale, gli ancor
più singolari da me scoperti nel delinquente-nato, come
anestesia, analgesia, anomalie nei riflessi, mancinismo ed
atipia del cranio e cervello, mutarono completamente le
mie convinzioni.
Statistica Una delle prove indirette dell’identità della
pazzia morale colla criminalità e che insieme ci spiega
i dubbi finora invalsi in proposito negli alienisti, è la
grande scarsezza della prima nei manicomi e viceversa
la sua grande frequenza nelle carceri.
Dagonet sopra 3000 pazzi non ne vide che 10 o 12
casi. Adriani a Perugia, Palmerini a Siena su 888 pazzi
non ne notarono alcuno; e 2 soli pazzi Raggi su 924, e 6
Salemi-Pace su 1152.
Il Verga ( Annali di statistica, 1883, vol. 8°) sopra
16856 alienati nel 1880 nei manicomi pubblici d’Italia,
contò il 0,56 di pazzie morali, nei maschi 0,65 e nelle
femmine 0,45 p. %. La quota si innalza alquanto nei ric-
chi dei manicomi privati, dove sopra 585 si ebbe il 3,9
%. Differenza codesta che giustamente vien riferita dal
Verga a ciò che molti di quei ricchi che entrerebbero nel
carcere, grazie a una maggior luce e ad una migliore dife-
sa, vengono dopo commesso il reato fattivi ricoverare, e
spesso anche prima dalle famiglie, dopo i primi falli scan-

Storia d’Italia Einaudi 507


Cesare Lombroso - Genio e follia

dalosi, per conservare il decoro. Invece sopra 960 pazzi


delle nostre carceri (Stat. decenn. delle carceri, 1882) in
10 anni se n’ebbe, officialmente, il che vuoi dire per una
minima frazione del vero, il 5,2%.
La follia morale è un genere, di cui il delitto è una spe-
cie; ed ecco perché essa possa offrire delle varianti che
vanno fino a mostrare dei caratteri opposti a quelli se-
gnati dai classici; e ve n’hanno in cui le varie forme o
almeno alcuni sintomi delle malattie mentali s’innestano
sulla forma principale che è la pazzia morale, come crit-
togame che vegetano su altre crittogame. Così ebbi in
cura un tipo, Gib..., di vera follia morale, insorta dopo
un tifo, in cui, insieme alle tendenze più spiccate al fur-
to ed alla calunnia contro i proprii parenti, si manifesta-
rono idee ipocondriache; s’immaginava d’avere uno sco-
lo, e che non guarirebbe se non venisse evirato. Due al-
tri, il Bi... e l’Ing... sopracitati, fissavano di avere affezio-
ni cardiache, e tempestavano tutti i medici perché li gua-
rissero; e così la Cat. di Bonvecchiato e il Giliani di Mor-
selli aveano epilessia. La Glaser e la leanneret, isterismo.
E la Cat. di Salemi-Pace, brevi accessi maniaci. La X. di
Cantarano incendiò la casa senza alcuna causa.
L’F... di G. B. Verga ebbe accessi di esacerbazione
maniaca megalomaniaca.
Ma tuttociò non s’oppone punto alla diagnosi del ma-
le principale trattandosi appunto d’una malattia cronica,
spesso anzi congenita, che dà luogo a congestioni cere-
brali, e quindi a complicazioni maniache. È un fungo,
sopra cui nasce un altro fungo, parassitario, ma che non
toglie che il primo sia il punto principale di partenza.
Ma importantissima sopra tutte è la quota scarsa, è
vero, ma pur con certezza provata, di pazzi morali che
insorsero in causa di una prava educazione.
Holländer e Savage fanno notare la frequenza del mor-
bo in quelli che per la troppa bontà o negligenza dei pa-
renti mancarono dei freni nell’infanzia, non si abituaro-

Storia d’Italia Einaudi 508


Cesare Lombroso - Genio e follia

no a quei riserbi che impone la legge, e per cui un uo-


mo è morale. – Accade altrettanto di alcuni delinquenti,
specialmente nei paesi selvaggi o poco inciviliti: vendette
Côrse, ecc.
Io ebbi a lungo in cura un giovinetto, T..., che confer-
ma quella osservazione. Figlio ad alcoolista, molto biz-
zarro, ed a madre alquanto erotica e con tendenza sui-
cida, con nonno suicida, fratelli onestissimi; prediletto
dai genitori, e specialmente da una cameriera, che pro-
teggevalo trovando sempre una scusa ai suoi malfatti, si
istradò al furto fin dalla prima fanciullezza; a tre anni an-
dando al mercato si appropriava dalle ceste denari, pe-
sci, frutta: grandicello spendeva in dolciumi quanto riu-
scivagli involare alla mamma o alla cameriera che pure
accorgendosene non ne faceva caso: a scuola impadro-
nivasi degli oggetti dei compagni che capitavangli sotto
mano magari per farne dono ad un altro, e divenne, più
tardi, un truffatore emerito.
Ciò si comprende da quanto vedemmo nella Parte Pri-
ma sulle tendenze criminali dei fanciulli che presentano
fisiologicamente uno stato simile alla pazzia morale (V.
vol. I, p. 98 e seg.), sicché quando nell’ambiente non tro-
vino circostanze favorevoli alla trasformazione normale
verso l’uomo onesto, vi perdurano come perdurano i tri-
ton alpestri nello stadio di girini in un ambiente freddo.
Questo stato patologico si fa col tempo abituale, insom-
ma, anche quando l’individuo non avrebbe avuto delle
speciali tendenze al delitto, quando non sarebbe stato
che un uomo come tutti gli altri, ma più facilmente, poi,
se ve lo spingono latenti influenze ereditarie come nell’o-
ra citato T ... E questo spiega i casi criminali apparente-
mente nati tali, eppure senza anomalie craniche o facciali
(V. p. 112 e seg.).
E quindi si spiegano quelle pazzie morali dei despoti,
sia del trono, come in una gran parte dei Cesari, sia del-
la piazza, come in Masaniello, Cola da Rienzi, Marat, co-

Storia d’Italia Einaudi 509


Cesare Lombroso - Genio e follia

me nei tirannelli delle Repubbliche Ispano-Americane, i


quali da tranquilli ed anche umani che erano dapprima,
sotto il contatto del potere illimitato, con o senza influen-
za ereditaria, divennero crudeli anche senza proprio van-
taggio, anche per puro capriccio.
Importantissimi poi sono i casi notati da Virgilio, 2
volte su 14, e da Campagne, 7 volte su 15, ed uno
notato da Salemi-Pace, uno dal Todi, in cui la pazzia
morale s’incontra in seguito a dispiaceri profondi od a
vive impressioni morali.
Così il Todi narra d’una buona massaia che avendo
perduto d’improvviso la bimba, fu presa da pazzia mo-
rale con tendenza a disumare i cadaveri dei bambini.
Qui l’arresto di sviluppo dei centri psichici fu provo-
cato, come alcune malattie mentali, da cause psichiche
invece che da fisiche, ma gli effetti sono gli stessi; e qui,
evidentemente, la follia morale si va concatenando con
un gruppo di criminali anch’essi senza grandi anomalie:
quelli per passione o per occasione.
E da questa pervertita affettività, da questo odio ec-
cessivo e fin senza causa, da questa mancanza od insuffi-
cienza dei freni, da queste tendenze ereditarie moltepli-
ci, deriva la irresistibilità degli atti dei pazzi morali, come
dei rei-nati.
Da qui si capisce che se la forma impulsiva non è spe-
ciale solo ai pazzi morali, certo non può dirsi che in loro
manchi; ed è naturale perché in cervelli predisposti dal-
la cattiva nutrizione, dall’arresto di sviluppo fin dalla na-
scita, vi ha sempre un locus minoris resistentiae, in cui si
fa strada, e poi si radica e ingigantisce una di quelle mille
tendenze morbose che si manifestano in quasi tutti noi in
una brutta ora del giorno, specialmente nell’infanzia, e si
diradano nelle buone tempre e sotto la buona educazio-
ne (V. pag. 141), ma invece permangono quando sono
favorite dall’organismo e dall’abbandono; oppure ripul-
lulano tutto ad un tratto necessariamente in individui in

Storia d’Italia Einaudi 510


Cesare Lombroso - Genio e follia

cui, mentre tacciono tutti i sentimenti altruistici, sono vi-


vi gli egoistici; in cui non c’è alcun’altra’forza che deter-
mini in senso contrario l’azione; in cui tutti i motivi spin-
gono al male e nessuno al bene. – E dopo una serie ripe-
tuta di questi tristi accessi vi s’aggiunge l’abitudine del-
l’atto stesso. Sicché in apparenza manca la proporziona-
lità fra la causa e l’effetto evi han azioni che a prima vista
non sembrano dipendere da un motivo; ed eccoci spie-
gate quelle strane tendenze oscene, paradossali, che vi-
dimo sorgere nell’infanzia in individui predisposti dall’e-
redità; tendenze che, benché a prima vista isolate e sen-
za lesioni di altre funzioni affettive, non potrebbero co-
stituirsi senza un substrato di sensibilità pervertita, che
si faceva chiara, poi, quando si giungeva a raccogliere le
anamnesi; anche lì si trova, allora, come negli altri paz-
zi morali, un’eredità in larga scala di alienazioni e di vi-
zi, una precocità sessuale abnorme (pag. 129, 143), che
predisponeva l’organismo al primo accidente alla germi-
nazione dell’idea fissa, che solo il caso determina, se in-
vece d’esser criminosa, mostruosa, come quella di Verze-
ni, Legier, ecc., sia invece solo bizzarra, come pei chiodi
delle scarpette o pei grembiali da donna (v. s.).
L’analogia è tanto più chiara inquantoché molti di
questi, p. es., il P. R. (pag. 131), il Bar... (pag. 129), la
N. R. (pag. 132) e la ragazzina masturbatrice di Esquirol,
hanno già, insieme agli impulsi osceni, anche i criminosi,
p. es., il furto.
Gli errori dell’affettività non ispiccano perché sono
messi in penombra dall’enormità del fatto impulsivo, il
quale, crescendo sproporzionatamente alla causa, fa di-
menticare il germe donde sviluppossi, o perché veramen-
te si concentrò solo in una data direzione, apparendo
normale nell’altra.
Così nel Verzeni e nel Saccamentecas tutta la perdita
dell’affettività si manifestava a periodi, e nel barbaro mo-
do di strangolamento femmineo, ma l’apatia che mostra-

Storia d’Italia Einaudi 511


Cesare Lombroso - Genio e follia

rono dopo il delitto, per i parenti, per le vittime, o per


lo stesso supplizio, prova che l’affettività era lesa anche
all’infuori delle speciali tendenze che li spinsero al reato
(vedi vol. III).
Non è, insomma, che questione di grado, che questio-
ne di accidentale direzione verso una data corrente piut-
tosto che verso un ’altra, ma il fondo è sempre nevropa-
tico; è sempre un arresto di sviluppo di alcune facoltà
che permangono allo stato infantile, e come nell’infanzia
si traducono subito in azione, senza che vi possa il fre-
no dell’intelletto e la previdenza di possibili disgrazie, e
il ribrezzo dell’offeso senso morale.
Fusione dei rei nati coi pazzi morali L’analogia e l’iden-
tità completa tra il pazzo morale ed il delinquente-nato
pone in pace per sempre un dissidio ch’era continuo,
fra moralisti, giuristi e psichiatri, anzi fra l’una e l’al-
tra delle scuole psichiatriche, dissidio in cui per istrano
caso tutti aveano ragione, perché da un lato era giusta
l’obbiezione157 che i caratteri che si adducevano pel paz-
zo morale erano proprii del criminale, come dall’altro era
giusto che i caratteri dei delinquenti-nati si riscontravano
esattamente in alcuni veri pazzi morali.
Così si comprende perché uomini, al ceno rispettabili
per dottrina, siansi trovati discordi nel diagnostico di un
delinquente e abbiano dichiarato criminali individui che
certamente erano pazzi o mattoidi, come Guiteau, Me-
nesclou, Verzeni, Prunier, Agnoletti, Lawson, Militello,
Garayo, Passanante: e che Cacopardo concludesse dal-
l’esame dei casi di follia morale di Pinel che si trattava di
criminali, come criminali sono quasi tutti i folli anomali
di Bigot.
Krafft-Ebing confessa che molti folli morali si trovano
nei bagni, perché si cercava l’essenza della pazzia nel
turbamento dell’intelligenza, e quindi pei meno pratici
molti pazzi morali sembrano rei comuni.

Storia d’Italia Einaudi 512


Cesare Lombroso - Genio e follia

Il vero è che tutti aveano ragione perché costoro erano


l’uno e l’altro insieme.
E così si completa e si corregge la teoria dell’atavismo
del crimine, coll’aggiunta della mala nutrizione cerebra-
le, della cattiva conduzione nervosa; s’aggiunge, insom-
ma, il morbo alla mostruosità; come avevano intravve-
duto, partendo dalla pura ma geniale induzione, Sergi (
Rivista di filosofia Scientifica, 1883) e Bonvecchiato (op.
cit.).

3
Epilettici ed epilettoidi nel delitto e nel genio

Noi invece miriamo a ben più alti obbiettivi che non sia
la vita d’un uomo. – Dopoché sorse, armata di tutto pun-
to, la nuova scuola antropologica, che applica il metodo
sperimentale anche alle scienze giuridiche, molte opere
sono comparse, ma restarono nell’atmosfera scientifica;
e non penetrarono nel dominio popolare, nemmeno, an-
zi, fra alcune di quelle classi che si reputano dirigenti; ci
basta a convincercene l’unanimità nell’errore, in cui in-
corsero, sul fatto di organi della stampa autorevolissimi, i
quali credettero, al pari delle infime plebi, che il còmpito
della nuova scuola fosse quello di tutelare i birbanti, ma-
scherandoli da pazzi, ed esponendo la società, indifesa,
ai loro colpi.
Dopo tanto affaticare, dopo esserci attirati le ire dei
giuristi umanitari, noi saremmo venuti a questo, di pas-
sare pei loro complici, noi che ne siamo i più convinti
avversari.
Ora sapendo che se le idee, affidate a lunghe e labo-
riose dimostrazioni anatomiche e statistiche, lentamente
si diffondono, più presto invece vi riescono quando s’ap-
poggino a uno di quei fatti, che colpiscono i sensi del po-
polo, di cui le ricordanze sono nette e spiccate; sapen-

Storia d’Italia Einaudi 513


Cesare Lombroso - Genio e follia

do come non uno dei grandi delinquenti finora è usci-


to dalle linee del quadro tracciato dalla nostra scuola do-
po migliaia di osservazioni accurate, abbiam voluto porre
questo caso a cimento e dimostrazione del nostro còmpi-
to, a dimostrazione, che esiste, cioè, una classe d’uomini
chiamati delinquenti-nati, che riproduce, grazie a malat-
tie congenite, i caratteri anatomici e psichici dell’uomo
primitivo, dell’uomo selvaggio.
Questo speriamo poter dimostrare.
Sappiamo, bene, quanta grave opposizione ci aspetta;
non però ce ne spaventiamo: A che servirebbero gli studi
se dovessero tener dietro e non precedere ai portati della
pubblica opinione? A che servirebbe una vita passata in
mezzo a ricerche speciali, se non dà diritto a sorridere
alle risa degli ignoranti e ad imporsi, senza spavalderia,
ma senza esitanza, a coloro che, essendo colti negli altri
rami, pretendono e nol sono nel vostro?
Del resto, alla bufera tien dietro spesso la pioggia
fecondatrice che ravviva, raddoppia i raccolti lì presso
alla zona dalla prima distrutti.
Se il Mattoide venne a galla dopo la grandine dei Due
Tribuni, speriamo che dopo la riprovazione universale
che susciterà questo libro, il pubblico si persuaderà del-
l’esistenza d’uomini che delinquono solo grazie ad un ac-
cesso epilettico e a cui la legge non ha provveduto.
È nota pur troppo la tragedia di Pizzofalcone; era il
13 aprile, il 1º giorno di Pasqua, e i soldati del 19° dopo
averlo salutato con liete libazioni continuavano in quella
caserma alla sera i discorsi della giornata.
Alcuni appartenenti all’Alta Italia: Codara, Storti e
Zanoletti, bisticciavansi con due calabresi, Colistri e Tro-
vato, pretendendo che le sue fossero tutte terre arsiccie.
Un buon caporale, Roncoroni, impose loro silenzio; e al
Trovato ordinò di tornare nella sua compagnia.
Il soldato Misdea, di Girifalco, di 22 anni, che a 17
ed ai 18 anni era già stato condannato per ferimento, per

Storia d’Italia Einaudi 514


Cesare Lombroso - Genio e follia

porto d’armi, sospettato di furto, ed infine ammonito,


che s’era fatto notare e nel paese, e nel reggimento per
insolita violenza e per minaccie feroci, come di tagliar la
gola, di non voler adoperare i pugni, ma l’arme, tanto che
alcuni non volevano più dormirgli vicino, ritornava in
quella camerata, dopo parecchie libazioni e dopo avere al
suo solito, poco prima di entrare in caserma, minacciato
sguainando la ; sciabola un cocchiere, e colpitone invece
un compaesano (Iorio) che l’aveva generosamente poco
prima ospitato.
Costui entrato in quel momento, chiesto al caporale
Codara, con cui aveva altercato pochi dì innanzi, perché
litigassero, n’ebbe una risposta insultante «che c’entri
tu? Se vuoi qualche cosa te la do io» poi se la prende
col Roncoroni per l’ordine impartito come d’un oltraggio
scagliato in viso a lui, calabrese. – Ecco, egli gridò con
mal piglio, perché è calabrese, lo mandate via. – E lo
squassò per la giubba.
Però, essendoglisi quella buona pasta di caporale of-
ferto ad una sfida, mostrandogli come non avesse le in-
segne del grado, egli non fiatò.
Poco dopo al soldato Codara che ne lo redarguiva
disse:
– Lasciami stare. Ho per il capo certi brutti capricci,
e non so come finirà!
– Ma tu l’hai sempre coi piemontesi e coi lombardi –
che t’abbiamo fatto? Sì, rispondeva il Misdea, l’ho coi
piemontesi. E qui gli picchiò nel petto gridando:
– E guarda, così come ho fatto a te, sono capace di
dare soddisfazione ad uno ad uno, che mi rido di tutti
voialtri! – Il Codara gli dié un ceffone ed egli fece
per sguainare la sciabola, ma ghermito per le braccia,
non poté muoversi. Allora profferiva queste parole: –
Guarda, Codara, che stanotte ti taglio la testa! – Intanto
il caporale Morzillo gli infliggeva allora la prigione.

Storia d’Italia Einaudi 515


Cesare Lombroso - Genio e follia

Il Codara, presago di quanto poteva avvenire, andò


a riferirne al sergente Cane, che, venuto là, rimproverò
tutti, minacciolli che se continuavano avrebbe mandati
tutti in cella, ma intanto la sua minaccia, a parole, tolse
la condanna effettiva, e il Misdea, che aveva cominciato
ad allestirsi per la cella, smise subito, andò a bere e lo si
sentì borbottare rabbiosamente con un compagno:
– Mi hanno dato uno schiaffo!
Tornò al suo letto, tirò fuori le cartuccie sue e d’altri
compagni.
Si fece silenzio. Codara, Zanoletti, Storti e Vincenzi si
sdraiarono un’altra volta sopra il letto d’un soldato e tor-
narono a parlare, quando s’ode un’esplosione. Zanoletti
cade a terra ferito!
Tre erano a letto e furono feriti tutti e tre gravemente;
altri tre fuggirono cercando uno scampo nella latrina. Il
Misdea li inseguì e, contro la porta della latrina esplose
altri colpi e ne feriva alcuni.
La strage non era finita. Il Misdea rincorreva i fuggi-
tivi, molti dei quali si gettavano a terra per evitare i col-
pi; altri li fece sfilare fuori del cesso e i li colpì ad uno ad
uno.
Quando non ne vide più negli stanzoni, s’affacciò ad
una finestra e cominciò a sparare nel cortile, ove erano
soldati di linea e bersaglieri.
L’astuzia mista alla leggerezza della mente, che vidimo
in Misdea, le trovammo comuni ai selvaggi ed al pazzo
morale.
Però anche in confronto al delinquente-nato la violen-
za nell’odio pare eccessiva, è in completa sproporzione
colla causa, come quando vuoi uccidere il sergente Ca-
ne, che infine lo aveva risparmiato dal carcere; e quan-
do accenna di voler mangiare il fegato all’uno e all’altro
anche dei presenti; quando va, insomma, a un canniba-
lismo, sia pure filologico, ma che non ha che un passo a
trasformarsi in reale, e che non esiste più nemmeno nei

Storia d’Italia Einaudi 516


Cesare Lombroso - Genio e follia

moderni delinquenti. – Vi è qui una esagerazione del ti-


po già patologico; e così si dica pure di quel suo vantar-
si del delitto che, come vidimo, è caratteristico dei crimi-
nali nati, ma coi complici od almeno coi pari di grado,
non con coloro, come i superiori, che sono interessati a
punirneli.
Gli è che qui i sintomi della pazzia morale sono esage-
rati dall’epilessia. Sull’esistenza di questa (in cui del re-
sto tutti i periti, anche i così detti d’accusa, convennero)
il dubbio non è possibile.
Il pubblico, anche colto, che di queste malattie preten-
de sì bene intendersi, mentre ne ignora fin gli elementi,
farà le alte maraviglie che si possa battezzare una serie
di atti psichici criminosi, violentissimi, sì, ma commessi
con apparente calma ed in rapporto esatto alla causa a
delinquere, per sintomi di una malattia che tutti credo-
no non consistere se non in violente, rapide convulsioni
e null’altro.
Ora, pochi sanno che vi può essere epilessia con con-
vulsioni assai rare, anche senza, anche con semplici ver-
tigini, mali di capo alternati da brevi e fugaci perdite del-
la memoria, della coscienza, come vedemmo accadere in
Misdea quando mirava in faccia e non salutava gli amici;
o di accessi di suicidio automatico, di ferimenti che han-
no per carattere qualche volta l’oscenità, più spesso la
violenza, l’istantaneità e finalmente il pervertimento psi-
chico, che si può notare non solo in questi brevi acces-
si di cui accresce e colora la ferocia, ma anche in tutta la
vita dell’individuo.
Per ben capire ciò, bisogna ricordare che, se vi hanno
delle epilessie così dette simpatiche, che nascono per
una esagerazione dei riflessi, come per esempio per la
verminazione, e che allora sono passeggiere e quasi mai
complicansi ad anomalie psichiche, ve ne hanno che
invece nascono da gravi alterazioni cerebrali.

Storia d’Italia Einaudi 517


Cesare Lombroso - Genio e follia

Le recenti scoperte di Ferrier, di Albertoni e di Lu-


ciani mostrarono che in alcune specie di epilessie, le più
gravi di tutte, per lo più sorte per cause ereditarie spe-
cialmente nei figli dei bevitori, si ha uno spasmo dei va-
si di quella pOrzione della corteccia cerebrale, che ha
influenza grande sopra i movimenti degli arti tanto che
quando venga irritata provoca delle vere convulsioni e
quando venga portata via dà luogo a contratture, a per-
dite del movimento. Se sopra un lato della corteccia si
esporti ogni centro motorio e si irriti allora l’altro lato,
l’accesso convulsivo colpisce solo le parti in relazione al
lato sano e le convulsioni così provocate seguono nell’in-
sorgere lo stesso ordine di successione, secondo il qua-
le sono disposti nelle loro varie sedi i centri motori cor-
ticali e come accadono pei veri accessi epilettici; comin-
ciano, cioè, agli arti inferiori per passare ai superiori, al-
la faccia, ai bulbi oculari. – Ma per quanto queste zone
abbiano un’azione speciale sui movimenti, non possono
spogliarsi delle azioni psichiche. E vi avessero pure, co-
me non pare, un’azione circoscritta, trattandosi di par-
ti che sono in perfetta continuità colle altre influenti nel-
la psiche, e che sono sempre, o quasi sempre coinvolte
o per lo spasmo vasale o altrimenti nella stessa sovrecci-
tazione che offende il centro motorio, non possono non
partecipare reciprocamente del turbamento funzionale.
Ecco perché così di frequente gli epilettici son tristi
e crudeli e commettono atti bizzarrissimi, che con una
giusta espressione, la quale ben a proposito richiama
l’equivalenza delle forze fisiche, son detti equivalenti
psichici, epilettici, equivalenti, cioè, di una convulsione
epilettica. Altri li chiamò assai meno bene – epilessia
larvata.
Il conte K. nacque nel 1853 in paese straniero.
Pare che la madre abbia sofferto di epilessia: negli
ultimi anni, affetta da cancro della mammella, abusò di
cloralio e cadde in istato di pazzia, rimanendo poi pazza

Storia d’Italia Einaudi 518


Cesare Lombroso - Genio e follia

fino alla morte, che avvenne per esaurimento. L’ava della


madre era pure stata affetta da pazzia con furore. Una
zia fu affetta da cancro. Il padre morì di cardiopatia.
Un’altra zia materna è nevropatica.
Il conte K. durante l’età infantile e sino all’età di otto
anni andava soggetto a sogni spaventosi. Ebbe per tre
volte la roseola ed una volta il vaiuolo.
A 14 anni divenne pubere, e l’adolescenza trascorse
senza disturbi. Figlio unico, fu lasciato sbizzarrirsi in ca-
pricci d’ogni sorta; giovinetto, abusò del coito e dell’al-
cool. Contrasse sifilide, che però fu debitamente curata.
Negli ultimi anni convisse con una giovane, che poi,
essa riluttante, volle improvvisamente sposare.
Verso il principio del 1884 ebbe due accessi congestivi
al capo a pochi giorni di intervallo, che svanirono subito,
lasciandolo così debole come se avesse superata una
lunga malattia.
Dall’attestazione del dott. X., che fu chiamato a cu-
rarlo, rileviamo che il conte K. da circa un anno aveva
mostrato cangiamento notevole di carattere, specialmen-
te col cercare ogni causa di litigio colla moglie. Que-
sta irascibilità e litigiosità si presentò dapprima a perio-
di, cioè una volta circa al mese, e con scene di poco con-
to che lasciavano dietro di loro una calma completa; pe-
rò fin d’allora egli cominciò a lagnarsi di insonnia e di
molta agitazione durante la notte.
Riassumendo, tanto dall’eziologia (eredità morbosa
diretta e collaterale, abuso dell’alcool, ecc.), quanto dal-
l’esame somatico (analgesia, facile congestione della fac-
cia, enuresi notturna, vertigini, brevi assenze, balbuzie
emotiva, disuguaglianza delle azioni reflesse fra le due
metà del corpo) e psichico (crudeltà verso gli animali,
irascibilità eccessiva, vigliaccheria), noi siamo stati fin da
principio indotti a ritenere il signor conte K. affetto da
una forma neuro-psicopatica. E dopo aver raccolto la sto-
ria espostaci dalla moglie e dai medici curanti, e da lui

Storia d’Italia Einaudi 519


Cesare Lombroso - Genio e follia

medesimo ammessa nei particolari più importanti, e do-


po aver valutato il significato clinico dei principali sinto-
mi, fra cui la irascibilità accessuale violentissima dietro
futili motivi o anche senza causa apprezzabile, e i capric-
ci illogici e crudeli rivolti in ispece contro le persone più
care, e l’intermittenza di questi fenomeni psicopatici, e
la contraddizione delle violenze contro la moglie con l’a-
more che pure le porta, e la insensibilità per i tormenti
altrui, e la mancanza del senso morale, parci evidente che
trattisi di epilessia larvata. Nel qual giudizio diagnostico
ci conferma appunto il manifestarsi di questa affezione,
molto più comune di quanto si crede, con la capricciosi-
tà, la stizzosità e la crudeltà sopravvenienti ad intervalli,
con le perdite notturne ed inconsapevoli di urina, con le
vertigini di cortissima durata e appena appena percetti-
bili ad un medico colto e coscienzioso, quale è il dottor
C., e con le brevi assenze durante le quali il malato usci-
va di casa ignudo; mentre invece gli accessi comuni del-
l’epilessia, cioè le ben note convulsioni, sono qui manca-
te del tutto o almeno non si sono verificate mai nelle ore
diurne, manifestandosi probabilmente in modo rapido e
fugace durante il sonno (enuresi, morsicatura di lingua,
ecc.). Questa forma di epilessia può passare inosserva-
ta ai profani, ma non a chi abbia lunga pratica di alie-
nati e di neuropatici. Essa è per l’appunto più frequen-
te nelle famiglie dove esiste il germe morboso ereditario,
e scoppia talvolta dopo ripetuti abusi di alcoolici. Certo
qui non abbiamo una forma comune e mancano gli ac-
cessi motorii, ma tanto più gravi diventano in compenso
i fenomeni psichici, i quali sopravvengono ad intervalli e
come equivalenti della convulsione. E sono caratteristi-
che di questi stati psichici epilettoidi ossia intermittenti:
la violenza degli impulsi e la assenza di ogni riguardo so-
ciale, e l’estrema irascibilità, e il pervertimento del carat-
tere, e la sproporzione fra i motivi determinanti ad agi-
re e la reazione psico-motoria, non che gli impulsi mor-

Storia d’Italia Einaudi 520


Cesare Lombroso - Genio e follia

bosi, fra i quali quasi sempre campeggia la tendenza allo


omicidio e la brutalità verso gli esseri animati.
Di guisa che noi non ci peritiamo dal dichiarare che
il signor conte K. non solo è in condizioni anormali di
mente, ma è anche gravemente pericoloso, in ispecie per
coloro che debbono più spesso avvicinarlo.
Che se negli intervalli fra i suoi accessi di furore può
parere ai profani che il conte K. sia integro di mente, per-
ché capace di intrattenersi con persone estranee o che gli
mettano soggezione, lo si spiega col notissimo fatto che la
forma di psicopatia, dond’egli è affetto, permette una ap-
parente integrità di mente, tanta almeno quanto è neces-
saria perché codesti individui seguitino ad essere mante-
nuti liberi fra la popolazione fino a che in un accesso più
violento degli altri commettano qualche fatto mostruo-
so. Né vale l’obbiettare che egli intanto fu per molti an-
ni capace di tenere i suoi conti e di attendere ai suoi affa-
ri: allora certamente l’affezione non aveva portato quella
debolezza intellettuale che noi ora da più fonti abbiamo
potuto arguire. E del resto, questa capacità di accudire
ai proprii interessi non ha fatto, nel caso presente, buona
prova, perché ci basterà ricordare come negli ultimi tem-
pi egli stesso a mano a mano si fosse liberato della gestio-
ne economica, forse volentieri, e forse anco per aver pre-
testi onde giustificare i suoi trasporti. Possiamo aggiun-
gere anche che in questa forma di epilessia quasi esclu-
sivamente caratterizzata da accessi psichici, o tutt’al più
da vertigini e brevi assenze, si può conservare a lungo un
certo grado di intelligenza, ma la lesione più profonda e
più grave ha immancabilmente luogo nel carattere, nel-
l’affettività, nel sentimento. Codesti epilettici sono anzi
molto più pericolosi dei pazzi morali, coi quali intanto
hanno un’estrema analogia, se pure, come noi opiniamo
da qualche tempo, epilessia e pazzia morale non sono col-
legate intimamente sotto il punto di vista della patogene-
si, potendosi amendue considerare come anomalie costi-

Storia d’Italia Einaudi 521


Cesare Lombroso - Genio e follia

tuzionali di sviluppo della personalità: del che è anche


argomento irrefutabile quel facile associarsi o succedersi
dell’una con l’altra, ed il fatto, ammesso da tutti i neuro-
patologi, del carattere bizzarro e morboso di pressoché
tutti gli epilettici e delle isteriche.
L’epilessia larvata, coi suoi accessi equivalenti pura-
mente psicopatici, passa nell’opinione comune sotto il
nome di violenza, di brutalità o malvagità degli istinti, di
irascibilità morbosa, o anche di perversità d’animo, co-
sicché in una Corte d’Assise tali malati sono spessissi-
mo condannati. Ma anche quando non si manifesti con
quei segni sicuri o quasi patognomonici, che sono (come
nel caso attuale) le vertigini, le piccole assenze e l’enu-
resi notturna, questa fra gli altri sintomi principalissima,
la scienza possiede nel carattere stesso degli accessi, nel-
la loro intermittenza, nei fenomeni cui danno luogo, al-
trettanti indizi per diagnosticarla, senza che, fosse anche
esclusa l’epilessia, ciò che crediamo impossibile, il signor
conte K. apparirebbe sempre come affetto d’una malat-
tia mentale pericolosa e grave, quale sarebbe appunto la
pazzia morale.
Egli poi obbietta che volendo fare ad un tempo del
delinquente un pazzo morale ed un selvaggio arrestato,
si sovrappongono due tesi che si alternano e si contrad-
dicono, comeché la follia è il frutto della civiltà ed è ra-
ra nei selvaggi; ma la follia morale non è la comune fol-
lia. Non può dirsi rara nei selvaggi – perché è, anzi, il lo-
ro modo etico di vivere. – Nei rei, essa è quasi sempre
congenita. – E poi i fatti son fatti.
Ora, oltre ai fatti atavistici, per esempio, alla fossetta
occipitale mediana, ai seni frontali, io aveva, fin dai primi
studi tentati in proposito, veduto innestarsi nel reo alcuni
altri ch’erano pure congeniti, ma che non potevano esse-
re atavistici, come per esempio l’asimmetria facciale che
non esiste nel selvaggio, come l’accavallamento di alcuni
denti, lo strabismo, l’ineguaglianza dell’orecchio, la pa-

Storia d’Italia Einaudi 522


Cesare Lombroso - Genio e follia

chimeningite; e fin d’allora, io, senza pensare alla futura


fusione, aveva già detto che questi erano segni di malattie
fetali. Solo molto più tardi mi accorsi che questi caratte-
ri coincidevano con quelli che si davano al pazzo morale
evi s’univano nelle funzioni altri caratteri ch’erano pato-
logici, e non atavistici come la discromatopsia, le paresi
unilaterali, l’ineguaglianza delle pupille; ciò non era in-
nestato artificialmente, e si venne formando lentamente
come una vera serie di sedimenti negli studi ulteriori tra
la prima e la terza edizione dell’ Uomo delinquente. Anzi
dopo questa, mentre io preparava pel 2º volume lo stu-
dio sul delinquente epilettico, che già da un gran tempo
aveva compreso essere da studiarsi affatto a parte, mi ac-
corsi che nella specie del delinquente epilettico rientra-
va completamente il pazzo morale o il deelinquente na-
to e così colmava quelle lacune che ancora mi rimaneva-
no nella mente per ispiegare i fenomeni patologici puri e
non atavistici del reo nato, p. es. la discromatopsia più
frequente, la intermittenza, la contraddizione dei carat-
teri affettivi, gli impulsi irresistibili, il bisogno del male
pel male, e quei fenomeni di meningite, di rammollimen-
to cerebrale che certo non erano atavistici. Nessuna al-
tra malattia fuori dell’epilessia esiste nella patologia che
possa nel medesimo tempo fondere, e riunire i fenomeni
morbosi con l’atavismo.
I pratici avevano già da un pezzo osservato che l’epi-
lettico commette spesso atti atavistici, come abbaiare e
mangiare carne umana ecc.158 .
E questo spiega una quantità di fatti che appunto l’a-
tavismo non spiegava, p. e. quel carattere che tanto ab-
bonda nel gergo del cinismo della gaiezza bestiale che
abbrutisce quanto tocca, e che è uno dei caratteri mora-
li che manca nel selvaggio, ma si trova nell’epilettico, al-
ternato alle volte nello stesso individuo coll’eccessiva re-
ligiosità, come nei delinquenti.

Storia d’Italia Einaudi 523


Cesare Lombroso - Genio e follia

Né manca il rapporto colla infantilità, poiché è specia-


le ai bambini quella impulsività intermittente in cui infi-
ne si risolve tutta la tempra dell’epilettico. Pensate all’i-
racondia morbosa del fanciullo, che spesso dopo la biz-
za ne resta oblivioso e all’intermittenza e contraddizio-
ne degli impulsi, alla mancanza di inibizione. Riducendo
sotto il tipo epilettico le varietà della follia morale, si tol-
gono quelle inesatte descrizioni di tal malattia che aveva-
no resi non ingiustamente increduli tanti scienziati.
Certo che sarebbe, come ben dice Tarde, assai più
seducente, assai più di moda e assai più facile a essere
adottata una teoria che si limitasse al semplice atavismo;
ma quante volte non avviene che il vero è meno bello del
falso o dell’incompleto!
Si obbiettò con ragione, contro la fusione da me tenta-
ta, nel primo volume, del delinquente-nato coi pazzi mo-
rali, che il numero di questi era troppo scarso; ciò era ve-
ro sì, ma inevitabile, perché appunto per essere i pazzi
morali dei criminali-nati, e’ non si trovano così frequen-
temente nei manicomii; ne è possibile farne un parago-
ne, comecché gli oggetti identici meglio si sommano che
non si paragonino.
Ma vi è un punto di contatto ben più facile a cogliersi
e ben più importante, ed in un campo più vasto, nell’e-
pilessia, che riunisce e fonde insieme gli uni e gli altri in
una stessa grande famiglia naturale.
Certo, per chi non vede nell’epilessia se non l’accesso
convulsivo o l’equivalente psichico, od al più le assenze
o le vertigini, questa identificazione parrebbe la cosa più
assurda del mondo: ma non lo è più quando si riesca
ad abbracciare con un sol colpo d’occhio non solo gli
epifenomeni più spiccati nella vita di questi individui,
ma anche quegli altri caratteri secondari, il cui insieme
costituisce quello che chiamerò il tipo epilettico. Qui
troveremo riuniti, per quanto esagerati, tutti i tratti del
pazzo morale e del delinquente-nato.

Storia d’Italia Einaudi 524


Cesare Lombroso - Genio e follia

Ma è sopratutto lo studio psicologico degli epilettici


che ne rivela la completa identità coi criminali e pazzi
morali. La prima prova è data dalla psicometria ( Arch.
psich., VII, 2); su 13 epilettici, paragonati a 13 uomini
sani, il Tanzi, che intraprese apposite ricerche, trovò
un ritardo nella equazione personale come 3 : 2, o più
precisamente come 200 : 100, con oscillazione media di
000,024 a 000,011.
Su 320 casi ritrovavano altrettanti Algeri e Tonnini.
Se ora noi veniamo allo studio psicologico propria-
mente detto, noi constatiamo che solo gli epilettici pos-
sano abbracciare, come i folli morali e i criminali, sot-
to una forma clinica eguale, una divergenza intellettuale
enorme, che dal genio va fino all’imbecillità.
Liman ( Zweifelhafte Geisteszustände vor Gericht, pag.
69) ricorda che Giulio Cesare, Petrarca, Newton, Mao-
metto, Pietro il Grande, Molière e Napoleone erano epi-
lettici, ed io aggiungo che i loro non rari discendenti cri-
minali e pazzi, le frequenti loro allucinazioni, e il fatto
che appunto la concezione geniale, come io dimostrai nel
Genio e follia, ha per l’istantaneità, per l’intermittenza
frequentissima, per l’incoscienza seguìta perfino d’am-
nesia, una notevole somiglianza con la scarica epilettica,
spiegano e confermano quella concomitanza, e ben l’in-
travvide ora pure, il Tonnini (o. c.).
E notisi che il contrasto tra la demenza ed il genio
o la mente sana che si nota nei vari individui, non di
raro si trova nello stesso individuo alla distanza di pochi
giorni o anche di poche ore, cosicché un uomo disfrasico,
amnesico, abulico, incapace di formulare un pensiero
anche infantile, può a breve distanza creare dei concètti
originali o ragionare limpidamente. Ciò si dimostrerà
meglio con un esame della scrittura.
E l’ingegno dell’epilettico, anche non imbecille, pel
solo fatto della frequente pigrizia o del contrasto del-
l’indolenza abituale coll’eccesso nelle male opere o nelle

Storia d’Italia Einaudi 525


Cesare Lombroso - Genio e follia

strane, fantastiche, è affatto simile a quello del reo-nato


e, come ben notano Gonzales e G. B. Verga, non si può
appunto per questo confondere coll’imbecillità, in cui
l’indebolimento psichico è costante e non si alterna colla
generalità.
Qui è bene far notare che la differenza anatomica più
evidente fra epilettici e criminali completa queste ricer-
che. Ricordiamo la frequente microcefalia frontale che
noi trovammo così spesso nei delinquenti ne’ quali emer-
se una inferiorità quadrupla della semicirconferenza cra-
nica anteriore, in rapporto ai normali, e un’inferiorità,
come 95 a 100, del diametro frontale minimo ed una
maggioranza di fronti più basse e più strette, e la fre-
quenza dell’appiattimento della regione frontale, e quel-
la dei seni frontali. Questa inferiorità non trovandosi con
tanta frequenza negli epilettici convulsivi, nei quali pre-
valgono le anomalie delle circonvoluzioni parietali e del-
le parietali ascendenti, spiega perché in essi meno che
in questi spesseggino gli accessi criminosi in cui si capi-
sce mancare o la coscienza o la previdenza, e sopratut-
to quella energia di freno, d’inibizione ai primi impulsi
che distingue l’uomo adulto ed il civile dal barbaro e dal
bimbo e dall’ipnotizzato; si hanno allora i fenomeni della
mancanza dei centri psichici frenatori che tutti conven-
gono avere loro sede ai lobi anteriori; al che forse si ag-
giunge come concausa quella straordinaria assimetria ce-
rebrale, rivelata nella plagiocefalia, mancinismo, laterali-
smo, che rende costoro i più squilibrati fra gli uomini.
Del resto, in base appunto alle ricerche sperimentali e
cliniche sopraccennate, non solo si è fusa completamen-
te con nuove prove la epilessia parziale, l’idiopatica colla
corticale, ma si arrivò a considerare come fenomeni epi-
lettici delle semplici vertigini, delle sbarre epigastriche,
delle cefalee e delle scialorree, solo perché precedute da
un’aura, e si è ammessa un’epilessia larvata solo su feno-
meni psichici. Come, dopo ciò, si può opporre difficol-

Storia d’Italia Einaudi 526


Cesare Lombroso - Genio e follia

tà ad ammettere la follia morale come un’altra specie di


epilessia larvata, come un’epilessia larvata cronica?
Né con ciò intendiamo dire che la pazzia morale sia
un’epilessia comune, ne che tutte le epilessie sieno paz-
zie morali. Questa dell’epilessia è una forma che andò
sempre più estendendosi e includendo una grande quo-
ta di altre, prima poco ben studiate. E così si ebbe l’e-
pilessia absintica, alcoolica, la tossica, la isterica, la verti-
ginosa, la larvata, che sarebbe poi null’altro che la forma
acuta della pazzia morale e della delinquenza congenita.
La varietà criminale, a sua volta, mentre per tante di-
ramazioni si avvicina e somiglia alla comune epilessia, of-
fre poi delle differenze; nel cranio, per esempio, ha me-
no frequenti le ossa vormiane, e meno frequente la mi-
crocefalia frontale, il che si capisce, perché, come già no-
tammo, nella follia morale le più colpite non sono le cir-
convoluzioni parietali, ma le frontali. E il vero epilettico
presenta minore acuità visiva, mentre una buona parte
dei delinquenti l’ha maggiore, e, secondo gli ultimi stu-
di, ha, dopo gli accessi, più frequente aumento termico;
darebbe, secondo Charcot, 38 e fin 41°, mentre nei cri-
minali non passano mai i 37,2, 37,5. I rei-nati, invece, of-
frirebbero più frequente vanità, minore istantaneità, mi-
nore contrasto nelle passioni e tendenze ed una più fre-
quente esacerbazione nei grandi caldi, mentre, secondo
gli studi di Lachi ( L’influenza delle meteore sull’epiles-
sia, 1882), gli epilettici presenterebbero maggiori esacer-
bazioni nel freddo e commettono più spesso reati senza
causa, e ne sono inconsci od amnesici.
E la paura in questi influisce assai più che nei soliti
criminali, e così pure l’epilessia dei genitori.
Però, in fondo, la differenza sta più specialmente nel-
l’esagerazione delle linee: come il pazzo morale si fonde
col delinquente congenito, solo differendone in ciò che è
un’esagerazione dei suoi caratteri; così il delinquente epi-
lettico, propriamente detto, che continua cronicamente

Storia d’Italia Einaudi 527


Cesare Lombroso - Genio e follia

le ferocie degli accessi acuti o larvati, offre l’esagerazio-


ne della pazzia morale; ma nello stadio meno pronuncia-
to essi si fondono insieme; e siccome due cose uguali ad
una terza sono uguali tra di loro, così è certo che la delin-
quenza nata e la pazzia morale non sono che forme spe-
ciali, che varianti, dell’epilessia; essi sono, come direb-
be Griesinger, stati epilettoidi di cui le altre forme della
criminalità sono pallide, diluite sfumature159 .
E così spiegasi perché continuamente constatavamo sì
numerosi fenomeni patologici che si addizionavano cogli
atavistici per formare il tipo criminale.
Qui, poi, è bene notare che l’epilettico, nei casi meno
frequenti, ove vi è solamente emotività esagerata, senza
tendenza malvagia e senza caratteri degenerativi (16%),
ci offre un tratto d’unione coi criminali per passione, di
cui noi parleremo nella seconda Parte, i quali d’altra par-
te non avrebbero alcun’altra analogia colla follia morale.
Chi obbietta alla fusione della follia morale colla cri-
minalità e coll’epilessia, o anche alla creazione del tipo
criminale, che molte sono le varietà della prima e spicca-
tissime fra di loro, non pensa che v’han varietà grandis-
sime anche nei criminali e negli epilettici. Si ponga men-
te al Ferretti, al Merli, all’Anna R., al R. Ercole (vedi so-
pra), in cui l’epilessia prende forma di astuzia o di fal-
sità e si confrontino colle altre che spingono allo stupro
e all’omicidio. Questi divarii si riproducono in tutte le
classificazioni, non solo fra le specie dello stesso genere,
ma anche negli individui della stessa specie; basta pen-
sare agli uccelli di paradiso, al podiceps cristatus in cui il
maschio differisce tanto dalla femmina da parere di un
genere differente: ma li riunisce poi l’identità, comple-
ta in alcune strane tendenze e l’esagerata impulsività che
mancano nell’uomo onesto.
D’altronde le gradazioni, in più, in meno, non costi-
tuiscono già varietà di specie ma solo di individui, co-
noscendosi dalla statistica la legge così detta scalare per

Storia d’Italia Einaudi 528


Cesare Lombroso - Genio e follia

cui ogni fenomeno non raggiunge il suo acme se non per


tante linee intermedie che dal minimo vanno al massi-
mo. Chi potrebbe negare che la febbre perniciosa, quar-
tanaria, sia la stessa cosa della perniciosa cefalica, del-
la pneumonia, perciò che le une differiscono apparen-
temente tanto dall’altre? Né si può (col bravo Buono-
mo) negare il rapporto della follia morale colla crimina-
lità, perché vi sono dei geni che sono nello stesso tempo
pazzi morali, perché non è esclusa la criminalità nel ge-
nio, e il genio dei criminali; tutt’altro, pur troppo: e ciò
ben si spiega quando si pensa che il genio è, quasi sem-
pre, esso stesso come l’epilessia e la pazzia morale, una
nevrosi degenerativa160 .
Del resto, una volta che si ammetta l’epilessia come
l’effetto di una irritazione di alcuni punti della corteccia,
si capisce non solo che l’una non può escludere l’altra,
ma. che anzi l’una può includere l’altra.
Il Liman, uomo pratico, fornisce dati precisi e curiosi
alla nostra teoria, nella sua opera Zweifelhafte Geisteszu-
stände vor Gericht (Berlin, 1869), dice:
«Se ben di frequente l’epilessia viene in pregiudizio
delle funzioni psichiche, non pertanto in alcuni rari casi
si unisce ad un ingegno e ad una mente elevata. La
storia ci fa sapere che Giulio Cesare, Petrarca, Newton,
Maometto, Pietro il Grande, Molière, Napoleone erano
epilettici».
Nei geni si può appunto e per le stesse cause riscon-
trare la stessa variabilità come nei criminali, secondo cioè
che l’irritazione della corteccia cerebrale sia piuttosto in
un punto che in un altro; dall’istologo geniale, eppure
compassato e lento nelle concezioni quanto nelle con-
clusioni, v’è più distanza in confronto al poeta divinato-
re quasi sonnambulo, che non tra il genio e l’uomo me-
dio: ma niuno, perciò, può negare che l’uno e l’altro sia-
no uomini di genio.

Storia d’Italia Einaudi 529


Cesare Lombroso - Genio e follia

Anche nei criminali, secondo che l’uno o l’altro punto


della corteccia sia colpito dall’irritazione, si ha una diver-
sa reazione, una forma diversa di crimine; e per la legge
di correlazione che regge anche nelle anomalie, si han-
no insieme differenti segni degenerativi; quando è poco
spiccata la degenerazione e l’irritazione, si hanno poche
anomalie e reato poco grave e viceversa.
La molteplicità e diversità delle forme, nel genio come
nel delitto, si giustifica, insomma, con la grande molti-
plicità e relativa indipendenza dei centri corticali; ne es-
sa esclude, punto, l’identità di origine e natura: altrimen-
ti non vi sarebbe ragione di questione. Niuno pretende
che il ghiaccio sia acqua e il diamante carbonio, benché
essi sieno identici nella composizione.
Né, ben inteso, la fusione della pazzia morale coll’epi-
lessia esclude l’atavismo. Tutte le malattie mentali pro-
ducono già una intermittente pazzia morale, ma l’epiles-
sia una più costante, più continua, essa che, insieme ai
motori, offende i centri psichici; e ciò perché si arresta
o si perde prima quella attività la quale è comparsa più
tardi nell’organismo mentale dell’umanità.
Se una lesione del cervello abolisce la proprietà di ri-
conoscere i colori, il primo colore a scomparire è l’ulti-
mo venuto nel processo di differenziazione (il violetto).
Ultimo a comparire il senso morale nella evoluzione del
cervello, è primo a scomparire nella sua infermità.
Ma, notisi, non solo più costante, ma, direi, più che
in tutti gli altri alienati, completo e caratteristico è l’ata-
vismo degli epilettici, per la religiosità, che ha forme co-
sì primordiali, per la ferocia, l’instabilità, l’impetuosità,
per l’agilità, pel cannibalismo, per l’iracondia, precocità,
ecc., ed anche per veri istinti animaleschi.
Gowers, notando alcuni atti frequenti negli epilettici,
come abbaiare, miagolare, bere sangue, divorarsi col pe-
lo animali vivi, come fece un bambino con un gatto dopo
averlo preso pel collo fra i denti, aggiunge: «Sembra che

Storia d’Italia Einaudi 530


Cesare Lombroso - Genio e follia

queste siano manifestazioni di quella istintiva animalità


che possediamo allo stato latente» ( Epilepsy, London,
1880).
Confessione preziosa, perché in bocca ad un medico
pratico che non aveva la più lontana idea di queste teorie.
Né vale il dire che i selvaggi non sono epilettici e che
quindi da questo lato vien meno l’atavismo. Prima di
tutto neanche i selvaggi hanno l’assimetria, la meningite
cranica che noi trovammo infiltrarsi in mezzo ai caratteri
veramente atavistici (della stenocrotafia, sclerosi, ecc.);
e poi nessuno dei casi umani atavistici s’intende legato
ad una completa riproduzione della categoria animale
od umana che essi richiamano, ma sì di alcuna delle sue
parvenze. Così la Krao e la Gambardella riproducevano
la distribuzione pilare delle scimmie inferiori, e la prima
la borsa-guanciale di alcune scimmie, come la seconda
la steatopigia degli Ottentotti; le si dicono riproduzioni
atavistiche; ma nessuno pretende per ciò che la Krao e la
Gambardella siano veri quadrupedi in tutto il resto del
corpo, o veri Ottentotti in carne ed ossa.
Né l’epilessia ci fa smarrire quel punto d’unione che
trovammo fra la pazzia morale e l’infanzia. L’epilessia fu
appunto detta il morbo dell’infanzia, morbus primae in-
fantile, e Cividalli e Amati trovarono 78 epilettici su 120
colpiti nella prima infanzia. E la passione pro e contro
gli animali, la smania della distruzione degli oggetti ina-
nimati è propria dei bambini come degli epilettici e dei
pazzi morali.
Come si vedrà in seguito o trovato tra il pazzo mora-
le e l’epilettico parallelismo completo nel cranio, nella fi-
sonomia, con una proporzione perfettamente eguale nel-
le anomalie degenerative e nelle malattie cardiache, tan-
to che la fisonomia dell’epilettico, anche non criminale,
specie per l’asimmetria, assomiglia assolutamente a quel-
la dei criminali e ne assume il tipo.

Storia d’Italia Einaudi 531


Cesare Lombroso - Genio e follia

E analoga è la ottusità sensoria che qui si poté prende-


re in una scala più grande; evi si trova frequente il man-
cinismo, motorio e sensorio, l’agilità, l’esagerazione dei
riflessi, l’andatura e la lateralità, che qui si estende alla
temperatura, alla deformazione del torace e agli arti.
Ma è sopratutto lo studio psicologico che ce ne mostra
la perfetta analogia nell’egoismo, nell’irritabilità morbo-
sa che fa passare ai due eccessi opposti dell’abbiezione
e della megalomania, della passione fantastica e dell’o-
dio senza causa, nell’assenza completa, nella anestesia del
senso morale, nella religiosità paurosa, selvaggia e quasi
feticia, in quel carattere singolarissimo dell’intelligenza.
che varia in tanti, e spesso anche nello stesso individuo,
dall’imbecillità più completa fino ai lampi del genio, così
d’averci fornito documenti per dimostrare essere il genio
uno stato epilettoide161 .
Un’altra serie di ricerche ci ha mostrato un’analogia in
alcuni caratteri, per sé poco importanti e poco specifici,
ma che, riuniti assieme, ne completano e suggellano la
fisonomia morale e l’analogia col delinquente-nato. Ta-
li sono: la smania di vagabondare, l’amore singolare al-
le bestie, il sonnambulismo, l’oscenità precoce, sanguina-
ria, intermittente, esagerata, la disvulnerabilità, la passio-
ne di rompere e distruggere oggetti ed esseri vivi e morti,
che va fino al cannibalismo, la vanità del delitto, la grafo-
manìa, il carattere speciale della scrittura che varia come
la loro personalità, la simulazione, la tendenza più fre-
quente al suicidio, e la tendenza, dimostrata dalla stati-
stica, a commettere reati, con o senza coscienza, o con
coscienza crepuscolare, sicché la loro vita riesce un pro-
lungamento, una continuazione di quell’esplosione cri-
minosa, violenta, feroce e quasi sempre incosciente, che
già fu chiamata stato di epilessia larvata, ammettendosi
dunque una forma di epilessia costituita dalla criminosi-
tà con esclusione, almeno temporariamente, della forma
convulsiva, la quale ultima si riconobbe, dai migliori pra-

Storia d’Italia Einaudi 532


Cesare Lombroso - Genio e follia

tici, essere più rara e sostituita solo da vertigini nei casi


appunto in cui più grave manifestavasi l’anomalia psichi-
ca.
Il parallelismo è reso più sicuro dall’esperimento fi-
siologico che ci mostra essere l’epilessia una scarica di al-
cuni centri corticali irritati in individui predisposti dalla
eredità, dal trauma, dall’intossicazione: e ciò s’accorda
con quanto l’anatomia patologica ci mostrò negli epilet-
tici, nei rei e nei pazzi morali, in cui predomina la micro-
cefalia frontale e la infiammazione della corteccia e delle
membrane cerebrali.
L’eziologia completa il parallelismo, mostrandoci, nel-
l’analoga distribuzione geografica degli uni e degli altri
(epilettici e criminali), nell’età giovane, nel discendere da
epilettici, da alcoolisti, o nel comparire dopo traumi, ti-
foidee, meningite, e nel vedersi nelle genealogie delle fa-
miglie degli epilettici come dei pazzi morali, miste le une
forme colle altre, nel vedere che spesso le tendenze cri-
minose di un fratello criminale completano il quadro cli-
nico del fratello epilettico.
E così si spiega la enorme frequenza di veri epilettici
fra i criminali, che già si calcolava prima il decuplo al-
meno del normale, ma che, con uno studio più diligente,
arriva fino al centuplo.
Con questa fusione si completa e si corregge la teoria
dell’atavismo del crimine, coll’aggiunta della mala nutri-
zione cerebrale, della cattiva conduzione nervosa; s’ag-
giunge, insomma, il morbo alla mostruosità; come avea-
no intraveduto, partendo dalla pura ma geniale induzio-
ne, Sergi ( Rivista di filosofia scientifica, 1883) e Bonvec-
chiato (op. cit.) e prima di tutti Virgilio162 .
Fino a pochi anni fa gli storici, molto più cronisti che
psicologi, abili nell’illustrare le conquiste, le guerre, i
duelli che hanno importanza pel volgo, ma punto per la
fisiologia del pensiero, non ci informarono, o quasi mai,
delle affezioni e dei caratteri degenerativi che colpirono i

Storia d’Italia Einaudi 533


Cesare Lombroso - Genio e follia

genii o i loro congiunti; ne la vanità, che in costoro è mas-


sima, ha loro concesso di rivelarceli, salvo in poche ecce-
zioni come a Cardano, a Rousseau. – Se un famigliare
per caso non avesse sorpreso, una sola volta, Richelieu in
delirio epilettico, chi se lo sarebbe sognato? E chi, senza
le recenti memorie di Berti e di Mayor, avrebbe creduto
che Cavour due volte avesse tentato il suicidio? – Se Tai-
ne non fosse uno dei pochi, che han compreso quanto
la psichiatria giovi nello studio della storia, non avrebbe
certo potuto sorprendere quei tratti, che dimostrarongli
la follia morale di Napoleane. La moglie di Carlyle pri-
ma di morire scrisse le proprie torture, ma poche mogli
fanno altrettanto, e pochi mariti, a dir vero, s’affrettano
a pubblicare simili memorie. – Anche ora, quanti credo-
no ancora il celebre Aiwosowski un tipo angelico, lui che
soccorre centinaia di poveri mentre poi lascia affamata la
moglie ed i figli?
Aggiungasi: essere la follia morale e l’epilessia psichi-
ca, che sono le più frequenti fra i genii, fra le forme di
alienazioni le più difficili ad appurarsi, sì che ben spes-
so sono negate durante la vita dai più, benché davanti
all’alienista appaiano evidenti.
E non vi sono ancora uomini di vero valore che dubi-
tano della follia di re Luigi di Baviera anzi apertamente
la negano?
D’altronde non v’è mai caso individuale in natura; tut-
ti i casi singoli sono espressioni ed effetti di una legge, so-
no il punto, come dicesi in statistica, di una serie. Ed il
fatto accertato e da rutti ammesso di alcuni grandi ge-
nii alienati fa già presumere, anche negli altri genii, l’esi-
stenza, per quanto in minor grado, di una psicosi. «Ma vi
hanno (aggiunge Joly) molti genii precoci come Raffaello
a 14 anni; Mozart a 6; Michelangelo a 16; e ve n’han dei
maturi, e che hanno caratteri tra loro speciali come Al-
fieri». – Noi diremo che la precoce originalità è uno dei
caratteri del genio; ma appunto perché esso è una nevro-

Storia d’Italia Einaudi 534


Cesare Lombroso - Genio e follia

si, – un trauma, una intossicazione possono provocarla


anche in età tarda; e come nevrosi che dipende da un’ir-
ritazione della corteccia, può assumere aspetti diversi se-
condo il punto colpito – sempre serbando la stessa natu-
ra.
Ed appunto i pochissimi genii maturi, se pure ve n’eb-
be, presentarono caratteri loro speciali.
Seailles nel suo lodato: Essai sur le génie dans l’art,
pretende: «che il genio sia una continuazione delle con-
dizioni della vita comune; come tutti facciamo della
prosa, così, secondo lui, tutti abbiamo [un] po’ di ge-
nio». Ma allora come – accade (oppongli giustamen-
te Brunetière)163 , che uno riesca, solo, grande pittore, o
grande poeta e null’altro, e che tanti filosofi affermino,
come è vero, consistere il genio nello sviluppo esagerato
di una potenza dello spirito a spese delle altre?
È un mostro, altri dicono: Ebbene anche i mostri
hanno leggi teratologiche ben definite.
Brunetière pretende: «che il genio non possa andare
soggetto a leggi perché è la più alta delle forme umane, e
perché si tratta di individualità, comeché il potere della
scienza finisca, secondo lui, ove comincia l’individualità.
Il genio e la santità non hanno leggi perché sono casi
particolari. La santità è la virtù, più qualche cosa che
non ha che il santo».
Ma senza rispondere che quest’ultima definizione
equivale ad asserire che la santità è la santità; è, appun-
to, qui dove si mostra l’errore; anche la santità e la virtù
sono alle volte portate all’eccesso in grazia alle malattie
mentali. D’altronde, fatti non soggetti a legge non esi-
stono, e meno ancora in questo caso, in cui la legge ci
è offerta dalla teoria della degenerazione, che appunto
colma le lacune in quei casi, in cui non appariscono le
nevrosi del genio stesso, ma sì ne’ suoi ascendenti.
Brunetière soggiunge: «Sola caratteristica del genio è
la sua differenza ossia la sua singolarità d’attitudine che

Storia d’Italia Einaudi 535


Cesare Lombroso - Genio e follia

lo distingue ed isola da tutti quelli che sembrano posse-


derne di simili a lui... Questo individualismo del genio
(aggiunge) fa che tutte le teorie sul genio abortiscano».
Eppure egli non pensa che qualche cosa di identico può
applicarsi ai monomani, ai paranoici.
«Vi hanno, continua, uomini di talento, Addison, Po-
pe, che mancarono di genio, e uomini di genio che man-
carono di talento, come Sterne». – Ma questi due fat-
ti non si contraddicono: mancare di talento, o meglio di
buon senso, di senso comune, è questo uno dei caratteri
speciali del genio, e che ne sigillano la nevrosi, la psicosi,
indicando che l’ipertrofia di alcuni centri psichici e, co-
me diciamo tecnicamente, compensata da parziali atrofie
di altri.
Ma, addentrandoci vieppiù nell’analisi dei fenomeni
geniali, al lume delle nuove teorie sull’epilessia, la qua-
le si risolve,) ora, secondo gli studi completamente con-
cordi dei clinici e degli esperimentatori, in un’irritazione
di determinate zone della corteccia cerebrale, in scop-
pii, ora motori, ora sensorii, ora psichici, oppure verti-
ginosi, ma sempre intermittenti e sempre sopra un fon-
do degenerativo, od ereditario, o predisposto alla irrita-
zione, dall’alcool, dai traumi, ecc. (v. Archivio di psichia-
tria, vol. VII; Homme criminel, parte III), intravvedia-
mo un’altra conclusione: – che la creazione geniale sia
una forma di psicosi degenerativa della famiglia specia-
le o del genere epilettoide. Lo mostra la derivazione fre-
quente da alcoolisti, da vecchi, da pazzi (pag. 218, 219,
224), e in seguito a traumi al capo (pag. 9, 230). La mi-
nore quota di donne di genio, come abbiamo altrove di-
mostrato, conferma le origini degenerative ed epilettiche
del genio, essendo nelle donne più rare le degenerazioni,
e più rare le epilessie psichiche. E la comprovano anche
le frequenti anomalie, specialmente di assimetria crani-
ca, ed ora la troppo grande, ora la troppo debole capa-
cità (v. sopra), e la frequenza di quella follia morale, che

Storia d’Italia Einaudi 536


Cesare Lombroso - Genio e follia

io ho dimostrato, nell’ Homme criminel, parte III, esse-


re una variante dell’epilessia: e la frequenza delle alluci-
nazioni, la precocità venerea ed intellettuale (v. s.), e il
non raro sonnambulismo, la doppia personalità che ne fa
due, talvolta tre uomini opposti l’uno all’altro per sensi-
bilità ora esagerata, ora ottusa (v. pag. 29); e le anoma-
lie del campo visivo che dopo la scoperta di Ottolenghi
si danno speciali all’epilettico ed al reo-nato, e le ottusi-
tà tattili, e la frequenza del suicidio, che è pur comunis-
simo nell’epilettico (v. il mio Homme criminel, vol. I),
e la intermittenza e, sopratutto, le amnesie e le analge-
sie, la frequente tendenza al vagabondaggio, la religiosi-
tà che si manifesta perfino negli atei (Comte), le strane
paure da cui alcune volte sono colti, la moltiplicità con-
temporanea dei deliri, che è così comune negli epilettici
(Encéphale, n. 5, 1887), e che noi vedemmo essere in es-
si quasi costante: e la frequenza dei deliri stessi per mi-
nime cause e lo stesso misoneismo, e lo stesso rapporto
colla criminalità, il cui punto d’unione è nella follia mo-
rale: s’aggiunga l’origine e la discendenza criminale e di
imbecilli (v. pag. 214, 215, 216, 218) che segnala costan-
temente ed il genio e l’epilettico, e che si può veder nei
quadri citati delle famiglie dei Cesari e di Carlo
E lo prova pur anco quell’insensibilità affettiva, quel-
la perdita del senso morale, che è generale a tutti i ge-
nii pazzi, e non pazzi, che fa anche dei più moderni con-
quistatori non altro che dei briganti in grande scala (v.
s.)
A chi dubitasse di queste conclusioni, che possono
sembrare strane a chi non conosce quanto siasi esteso il
campo dell’epilessia nei tempi moderni, sicché moltissi-
me emicranie, intermittenti e scialorree, ed amnesie, so-
no ora riconosciute per epilessie, e moltissime forme di
monomanie non ne sono che il travestimento, facendo la
loro insorgenza, come trovò Savage, spesso sparire ogni
traccia dell’epilessia preesistente, basti ricordare la quan-

Storia d’Italia Einaudi 537


Cesare Lombroso - Genio e follia

tità di uomini di genio di primo ordine, presa da epiles-


sia motoria o da quella vertigine, o da quella iracondia
morbosa che è noto fame assolutamente le veci (pag.60,
101,116,128, 132,135, 138, 146, 218), e sono nientemeno
che Napoleone, Molière, Giulio Cesare, Musset, Petrar-
ca, Pietro il Grande, Maometto, Haendel, Swift, Riche-
lieu, Carlo V, Flaubert, Dostoyewski, Guerrazzi e San
Paolo. Senza dire, poi, delle vertigini che si notarono in
Dickens, Swift, Herschell, Faraday, Malborough, e verti-
gini così prettamente corticali epilettoidi che si accompa-
gnavano a perdita di memoria o paralisi come in Dickens
e Faraday, a convulsioni, in Malborough.
Ora, per chi conosce la legge così detta binomiale o
seriale, secondo cui nessun fenomeno avviene isolato, ma
è sempre l’espressione di una serie di fatti analoghi meno
spiccati, tanta frequenza di epilessia in uomini sommi fra
i sommi non può non indiziare essere essa più estesa fra
i genii, che prima non si credesse; e la natura medesima
del genio poter essere epilettica.
Ed è, a tal proposito, importante il notare come, in
questi, la convulsione sia apparsa rarissime volte nella
vita, sapendosi che in tali casi l’equivalente psichico (che
in questo caso è la creazione geniale), è più frequente ed
intenso.
Ma, sopratutto, l’identità ci è provata dall’analogia
dell’accesso epilettico col momento dell’estro, in quel-
l’incoscienza attiva e violenta che crea nell’uno e s’agita,
motoriamente, nell’altra.
Ricordiamo quanto abbiamo accennato nelle confes-
sioni dei genii; in questo s’accordano tutti, non escluso il
chimico, il matematico, la cui preparazione è certamente
più lenta e graduale, ma in cui l’accesso creatore si ma-
nifesta sempre istantaneo, incosciente e ad intermittenza
(v. pag. 23, 27, 40, 126, 141); ricordiamo quanto abbia-
mo trovato, per esempio, per le scoperte astronomiche,
e quanto attesta Napoleone per le combinazioni strategi-

Storia d’Italia Einaudi 538


Cesare Lombroso - Genio e follia

che, e la scelotirbe convulsa d’Archimede dopo l’Eureka,


e il ballo di Gay-Lussac.
Quello che più di tutto ce ne persuade è l’analisi del-
l’estro creatore che, anche a quanti ignoravano le recen-
ti scoperte sulla natura dell’epilessia, ne la ricorda; non
solo per l’associarsi frequente a insensibilità dolorifica, a
irregolarità del polso, ad incoscienza spesso sonnambo-
lica, per la istantaneità, intermittenza, ma anche per l’ac-
compagnarsi, non di rado, a moto convulsivo degli arti,
per l’amnesia che spesso lo segue, per l’essere provocato
spesso da sostanze o da condizioni che dan luogo od au-
mentano l’iperemia cerebrale, e da sensazioni potenti; e
pel suo trasmutarsi o seguire ad allucinazioni.
Codesta somiglianza dell’estro coll’accesso epilettico
ci è segnalata da una prova più diretta, più intima, le
confessioni stesse dei grandi epilettici, le quali ci mostra-
no come l’uno si confonda completamente coll’altro. Ec-
co le parole di un grande uomo politico, Beaconsfield:
«Spesso mi viene in mente che non vi è che un passo fra
lo stato di intensa concentrazione mentale e la pazzia; io
non potrei ben descrivere ciò che sento in quell’istante:
allora mi pare che i miei sensi vaneggino, e che io non
sia più sicuro della mia esistenza; mi ricordo che spes-
so ho dovuto ricorrere ad un libro per vedere il mio no-
me scritto ed assicurarmi che io viveva. Durante que-
sto stato le mie sensazioni sono incredibilmente acute ed
intense. Ogni oggetto mi pare animato e mi pare di es-
sere conscio del movimento rapido della terra» – E un
moderno romanziere: «È una fatalità che vi detta l’idea:
la è una forza sconosciuta, una volontà soprannaturale,
una specie di necessità di scrivere che vi dirige la penna;
di maniera che, a volte, il libro che finite non vi sembra
più vostro; evi meravigliate come di una cosa che esiste-
va in voi e di cui non avevate coscienza: tale è l’impres-
sione che provai nel creare la Sœur Philomène» (Juurnal
des Goncourt, vol. I).

Storia d’Italia Einaudi 539


Cesare Lombroso - Genio e follia

Il carattere più spiccato del genio è dunque la crea-


zione incosciente, che è il fenomeno più singolare se non
unico dell’epilessia: e da ciò a dedurre che esso sia una
variante speciale, divina, di quel morbo sacro – non ripe-
to questo sinonimo senza una ragione – è un passo che
anche al meno dotto delle materie psichiatriche non è
difficile.
Per coloro che ignorassero come in molti epilettici
tutto l’accesso consista solo in una eccitazione violenta
seguìta da amnesia, anche del solo senso, ricordo un
mio malato che ora è preso da accesso motorio, ora
solo da vertigini associate alla vista di una viva luce
gialla; ricordo l’epilettico di Frigerio, che nel momento
dell’accesso sente spesso solo ridestarsi l’estro venereo
non ai genitali, ma all’epigastrio, e con eiaculazione;
e l’altro in cui l’accesso preceduto da aure consiste in
una atrocissima nevralgia brachiale e crurale, seguìta da
amnesia ( Arch. di psich., IX).
S’aggiunga che in alcuni di costoro, non solo l’accesso
ma tutta la vita ricorda la fenomenologia psichica dell’e-
pilettico. – Basti dare un’occhiata ai tratti con cui Taine
scolpì l’immagine del più grande dei conquistatori mo-
derni e a quelli con cui Renan ci dipinse il più grande
degli apostoli. (pp. 568-691)
Ma a proposito del dominio dell’incosciente nel genio,
il critico più profondo di queste teorie, il Sergi, ci obbiet-
ta che l’incosciente e l’esplosione non sono esclusivi al-
l’uomo di genio, si trovano anche nelle persone volgari:
senonché posso rispondergli, come già a quanti obbiet-
tavanmi, spesseggiare i suicidi, la pazzia, la nevrosi, oltre
che nei genii, anche nell’uomo comune; – che essendo
umani anche i genii, hanno naturalmente i caratteri degli
altri uomini; ma è la proporzione intensa in cui vi si tro-
vano l’incosciente e l’esplosione che varia: ed è sopratut-
to grande la differenza negli effetti utili; mentre l’inco-
sciente nell’uomo del volgo vi darà un lavoro di poca im-

Storia d’Italia Einaudi 540


Cesare Lombroso - Genio e follia

portanza, un saluto, un augurio e l’esplosione un pugno


o una bestemmia; grazie alle cellule psichiche più nume-
rose, qui vi darà la teoria della gravità o la battaglia di
Marengo o la Sonata del Diavolo.
Il lavoro mentale, osserva giustamente Saint-Paul ( Es-
sais sur le langage intérieur), è compiuto in gran parte dal
cervello senza che noi ne abbiamo coscienza, siamo co-
me il filo elettrico che trasmette il segno, ma che non av-
verte cosa questo segno significa, ne cosa dirà combina-
to cogli altri segni. Noi trasmettiamo una sensazione al
cervello e questa sensazione viene elaborata, trasformata
in pensiero.
L’uomo, insomma, è una specie di medium del cervel-
lo, e a quei che domandano perché – se un’opera d’ar-
te è il frutto d’un pensiero meccanico quasi istintivo, –
tutti non producano delle opere d’arte, si potrebbe ben
rispondere che tutte le persone non possono essere dei
medium.
Che il genio crei inconscio, sotto l’impulso di un istin-
to – fu notato dai genii stessi – Wagner scrive: «Nell’ar-
tista lo stimolo al creare è affatto incosciente e istintivo, e
perfin quando egli ha bisogno di riflettere per dar forma
d’arte all’immagine che ha intuito, non è propriamente
la riflessione che lo indurrà alla scelta definitiva dei suoi
mezzi d’espressione, ma sempre più un impulso istinti-
vo». ( Musica dell’avvenire).
L’illustre scultore Leonardo Bistolfi, spiegava alla mia
Paola ( Vita moderna): «Quando creo non so mai bene
cosa voglio fare, prendo della terra e lascio che le mie
mani tastino, facciano, per delle ore, per dei giorni interi;
non riesco a nulla: ad un certo momento basta che io
sposti l’argilla per capire che cosa debbo fare e a un
tratto vi trovo dentro quello che cercavo confusamente»;
ed egli mi raccontava poi come, avendo dovuto fare un
monumento sepolcrale, andò a vedere il posto in cui il
monumento doveva sorgere, nel cimitero di un villaggio,

Storia d’Italia Einaudi 541


Cesare Lombroso - Genio e follia

e sentì una certa impressione particolare. Dopo qualche


tempo egli fece un bozzetto (che fu poi la Sfinge) le cui
difficoltà erano immense; egli non poteva capacitarsi del
perché si sentiva così ciecamente spinto a fare una cosa
che tutti gli dicevano aver proporzioni assurde, come
anche a lui pure pareva: la testa era piccola, la persona
troppo lunga; solo quando la statua fu portata al suo
posto egli capì perché l’aveva fatta così: perché così la
volevano il posto, il paesaggio, le ombre onde ottenere
quella data impressione di riposo, di pace. Il pensiero
incosciente aveva dunque sempre avuto dinnanzi agli
occhi il posto e l’aveva spinto così ciecamente; gli pareva
di non rendersi ragione di ciò che faceva...; ed invece egli
ragionava giusto ma incoscientemente.
A questo proposito del come si compie inconscio il la-
voro mentale, sono interessanti a conoscersi certe rispo-
ste date al Saint-Paul, da molti studiosi, letterati ed arti-
sti sul loro modo di ricordare, concepire, scrivere, idea-
re.«La mia memoria – dice Zola – fin da bambino era co-
me una spugna che si gonfia e poi si vuota. Quando io
evoco gli oggetti che ho veduto, li rivedo tali e quali colle
loro linee, le loro forme, i loro colori, i loro odori, i loro
suoni; è una materializzazione ad oltranza: il sole che le
illuminava quasi mi accieca, l’odore mi soffoca, i detta-
gli mi si appiccicano e mi impediscono di vedere l’insie-
me, e per riaverlo mi occorre che passi un certo tempo;
allora nell’insieme le grandi linee, le grandi creste si stac-
cheranno nette. Questa possibilità di evocazione non du-
ra, mentre l’immagine è di una esattezza, di una intensità
immensa, ma poi sbiadisce, sparisce... e se ne va».
E Coquelin, il grande attore francese: «Ho notato
questo: Leggo un dramma dove io ho una parte, allo-
ra vedo venire il personaggio vestito, vivo, coi suoi ge-
sti, i suoi tic, il colore del suo vestito. È una evocazio-
ne, una visione immediata. Comincio a studiare la parte,
per tutta la durata di entrata nel cervello, di immagazzi-

Storia d’Italia Einaudi 542


Cesare Lombroso - Genio e follia

naggio nella testa (periodo della parte imparata a memo-


ria), la visione sparisce. Io son pieno di inquietudini, di
turbamento, passano dei giorni, il lavoro di gestazione si
compie in me. La mattina, ad un tratto, la visione mi ri-
passa, il personaggio è tornato; lo porto a teatro e mi fa
manovrare come vuole».
Henaut confessavagli: «Io ho spiccatissima la cerebra-
zione incosciente: essa procede in me esattamente co-
me qualcuno che cerca risolvere un problema algebrico,
e che una volta trovata l’equazione, la scrive sulla lava-
gna. Per questo scrivendo, i miei pensieri prendon una
espressione precisa e spesso definitiva. Non faccio qua-
si mai una seconda copia; quando la cosa non cammina,
strappo la pagina incominciata e la ricomincio».
Un altro poeta celebre: «Io ho scritto molti versi, com-
medie, ecc., ma mi è impossibile di creare immediata-
mente su un tema dato, anche molto chiaro, qualche co-
sa. Il concetto generale che è venuto alla mia mente sot-
to forma di parola, di un titolo, deve restarvi per un tem-
po più o meno lungo; un periodo di cristallizzazione ce-
rebrale, di incubazione latente, assolutamente latente nel
senso che io non lavoro il mio soggetto, non vi penso più
e non mi ritorna in mente che come un dato, indeciso,
mi è indispensabile. Quando il frutto è maturo lo sen-
to istintivamente, prendo la penna e sboccia come una
sorgente».
Un altro, il prof. Rambusson, dice: «Mi par qualche
volta che io non intenda le parole e non ho coscienza di
quello che dicono se non quando esse mi passavan sulle
labbra. Era come un nascere spontaneo del pensiero».
E un, altro ancora: «Io mi meraviglio qualche volta
della espressione di quello che ho detto, non sapevo di
doverlo dire».
Un altro: «Io son sempre meravigliato dello sviluppo
che ricevono in qualche modo naturalmente delle cose
che mi parevano mal preparate».

Storia d’Italia Einaudi 543


Cesare Lombroso - Genio e follia

Guglielmo Lunet scrive: «Mano a mano ch’io scrivo,


i personaggi assumono il loro carattere, gli episodi mi
nascono per così dire sotto la penna coi dialoghi, le
scene, il dramma; esso mi si svolge insomma mentre
scrivo come se una parola ne portasse un’altra, e il mio
pensiero scritto un altro pensiero».
Questo svolgersi di fenomeni inconsci nel genio fu
sintetizzato dal Mach (op. cit.).
Quando la mente ha più volte contemplato il medesi-
mo soggetto, aumentano le probabilità di occasioni favo-
revoli, tutto ciò che può riferirsi od adattarsi all’idea do-
minante acquista maggior rilievo, e tutto ciò che è estra-
neo, a poco a poco si ritrae nell’ombra e più non torna a
turbare l’intelletto; allora può avvenire che tra le imma-
gini prodotte in gran copia dalla fantasia abbandonata a
se stessa e quasi allucinata risplenda di luce improvvisa
quella che esattamente risponde all’idea, alla ispirazione
od all’intenzione predominante.
Quando ciò avviene, ciò che in realtà si è prodotto
per via d’una lenta selezione sembra essere il resultato
di un altro creatore. Così è facile comprendere come
Newton, Mozart, Wagner, potessero affermare che le
idee, le melodie, le armonie, affluivano spontanee alla
loro mente e essi non altro facevano che ritenerne il
buono ed il meglio.
In sostanza, scrive Renda ( Ideazione geniale, Torino
1900) i fattori propri ai normali fenomeni mentali con-
corrono anche nella ideazione geniale, precedendo e se-
guendo l’elemento specifico del genio, preparando i ma-
teriali ed elaborandone successivamente il prodotto, ma
l’elemento specifico del genio è la cerebrazione inco-
sciente rapidissima non arrestata da ostacoli logici, o da
presupposti scientifici e per cui confluendo liberamente,
associandosi senza freno le idee e le immagini, si vanno
stabilendo tra esse, di un tratto, rapporti nuovi. La con-
clusione può essere una profezia o un delirio, o l’una o

Storia d’Italia Einaudi 544


Cesare Lombroso - Genio e follia

l’altra contemporaneamente; ma il processo è il medesi-


mo.
L’incosciente domina dunque sovrano dell’opera del
genio assai più che in quella dell’uomo medio e con frutti
assai più grandiosi, naturalmente perché esso vi dispone
di gruppi cellulari corticali assai più attivi e più numerosi
che negli altri uomini.
E forse la soluzione del quesito che si pose innanzi
con tanta genialità Fogazzaro ( Dolore nell’arte), perché i
fenomeni dolorosi sieno tanto più fecondi di ispirazioni
artistiche in confronto dei lieti (eccettuando però gli
erotici), sta nel fatto che quelli si addentrano più assai
nell’incosciente, mentre i gioiosi si sfogano in riflessi
rumorosi, ma superficiali col grido, col canto, coll’orgia.
Intanto il predominio immenso dell’incosciente nell’o-
pera del genio, conferma l’ipotesi dell’identità di questo
con l’epilessia psichica, che si può dire tutta una serie di
attività psichica incosciente.

4
Delinquente alcolista e isterico

E peggio fa il vino; e ancor peggio l’alcool, che si può dire


vino concentrato, quanto all’attività venefica, e peggio
ancora quei liquori d’assenzio, di vermouth, che, oltre
all’alcool puro, contengono droghe intossicanti i centri
nervosi.
L’alcool, infatti, dopo aver eccitato, indirizzato nella
via del delitto la sciagurata sua vittima con atti istantanei
ed automatici, ve la mantiene ed inchioda, per sempre,
quando, rendendola un bevitore abituale, ne paralizza,
narcotizza i sentimenti più nobili, e trasforma in morbo-
sa anche la compage cerebrale più sana: dando una di-
mostrazione, pur troppo sicura, sperimentale, dell’assio-
ma che il delitto è un effetto di una speciale, morbosa

Storia d’Italia Einaudi 545


Cesare Lombroso - Genio e follia

condizione del nostro organismo; tale è, in questi infeli-


ci, quella sclerosi che colpisce il cervello, il midollo ed i
gangli, come ed insieme a quella che colpisce il rene ed
il fegato, ed in essi si esplica col delitto, come negli al-
tri, colla demenza o coll’uremia o coll’ictero, e ciò secon-
do che colpisce più un organo che l’altro, o più una par-
te che l’altra dell’organo stesso. E qui le prove sovrab-
bondano. Or ora rinvenni alle carceri un singolarissimo
ladro, P..., che si vanta con tutti di esserlo, ed anzi, non
sa più parlare se non nel gergo dei ladri, suoi degni mae-
stri; eppure, ne l’educazione, ne la forma cranica ci da-
va l’indizio della causa che ve lo spinse; ma noi presto
ne fummo in chiaro, quando ci narrò che egli ed il padre
suo erano bevoni. «Vedano: io fin da giovinetto mi inna-
morai dell’acquavite, ed ora ne bevo 40 od 80 cicchetti, e
l’ebbrezza di questa mi passa bevendo due o tre bottiglie
di vino»; come si vede nella storia che ne pubblicò nel
mio Archivio il Collino (Archivio di psichiatria e scienze
penali, 1880).
L’alcool è causa di delitti, perche il bevitore dà luogo
a figli delinquenti; perché molti delinquono per poter
ubbriacarsi; perché molti sono tratti dall’ubbriachezza al
delitto, oppure nell’inebbriamento si procurano prima,
i vigliacchi, il coraggio necessario alle nefande imprese,
e poi l’amminicolo ad una futura giustificazione, e colle
precoci ebbrezze seduconsi i giovinetti al crimine; ma
più di tutto perché l’osteria è il punto di ritrovo dei
complici, il sito dove non solo si medita, ma si usufrutta
il delitto, e per molti questa è abitazione e banco pur
troppo fedele. In Londra nel 1880 si contavano 4938
osterie ove entravano solo ladri e prostitute.
Finalmente l’alcool ha una connessione inversa col cri-
mine, o meglio col carcere; nel senso che dopo le prime
prigionie il reo liberato, perduto ogni vincolo di famiglia,
ogni punto d’onore, trova nell’alcool di che dimenticarli
e supplirli; perciò tanto spesso l’alcoolismo si offerse nei

Storia d’Italia Einaudi 546


Cesare Lombroso - Genio e follia

recidivi; e perciò si comprende come Mayhew trovasse


quasi tutti i ladri di Londra ubbriachi dopo mezzodì, co-
sì da morirne tra i 30-40 anni per alcoolismo, e come fra i
deportati della Numea, che bevono, oltre che per la vec-
chia abitudine, anche per dimenticare il disonore, la lon-
tananza della famiglia, della patria, le torture degli aguz-
zini e dei compagni e forse i rimorsi, il vino diventasse
una vera moneta; sicché una camicia valeva un litro, un
abito due litri, un pantalone due litri, e perfino il bacio
della donna si saldava con litri (Simon Meyer, Souvenirs
d’un deporté, pag. 376, Paris, 1880).
Di frequente l’alcoolista si dà all’ozio, alla mendicità
per nevrastenia; non ha più forza al lavoro, non ne sen-
te vergogna. L’infelice, tutto preda ai suoi istinti e ca-
pricci, non pensa che a questi; e beve e ribeve, sia perché
si sente debole, ipocondriaco e trova nell’alcool, per un
momento, un rimedio a’ suoi mali, rimedio, però, che a
sua volta poi ne raddoppia e moltiplica i danni, o perché
ogni altro lato della sensibilità gli si va spegnendo. Una
signora (racconta Brière) si ubbriacava, già fin da 16 an-
ni, di nascosto nel convento; maritatasi, vi si abbando-
nò tanto che il marito ne morì di dolore; consumava il
patrimonio in vino, e a chi ne la ammoniva, rispondeva:
«Voi avete ragione, ma è più forte di me»; ridotta in cen-
ci, vendeva le vesti che le erano regalate per cambiarle
in acquavite. – Innanzi alla bramosia degli alcoolici vien
meno in costoro ogni volontà, ogni riguardo agli amici
più cari, ai doveri di famiglia, all’onore. – Anche al di
fuori di questa causa, si inizia nel bevone una vera dege-
nerazione progressiva del sentimento, che va di pari pas-
so coll’intellettuale; ei si è fatto irritabile, brutale, fuori e
più in casa: morositas ebriosa. Una pigrizia progressiva lo
invade, sicché va sempre più tenendo in non cale l’onore
della famiglia, i doveri di onest’uomo; lascia al caso l’an-
damento degli affari, vede senza commoversi la miseria
dei suoi, è immerso in un’ebetudine continua; ed immo-

Storia d’Italia Einaudi 547


Cesare Lombroso - Genio e follia

bile, per ore intere, straniero a ciò che gli si agita intor-
no, sta, collo sguardo atono, spento, quasi in cerca della
vita che gli vien meno [...] e non esce dal torpore che per
dare in smanie brutali e non di rado in tentativi di omici-
dio, di stupro: – e, notisi, quanto più in basso discende,
tanto più al di fuori di casa è gaio e contento: sopratutto
quando gli si mostri la prediletta bevanda.
Ed i mali fisici tengono dietro agli psichici: cefalea, in-
sonnia, vertigini, susurro agli orecchi, crampi negli arti,
od improvvisa sonnolenza, a cui seguono paralisi, con-
vulsioni parziali delle membra, dei muscoli della faccia,
e qualche volta perfino accessi epilettici.
I così detti accessi isterici han l’ordine seguente: dopo
brevi prodromi, compare un attacco epilettoide; seguo-
no grandi contorsioni come nei clown, allucinazioni e de-
liri che provocano un’attitudine plastica, comica, passio-
nevole; deliri quasi sempre melanconici, non di rado fu-
riosi: talvolta con vista d’animali piccoli, come nei bevo-
ni; qualche volta dell’attacco resta una contrattura per-
manente; non di rado, II volte su 400, secondo Briquet,
gli attacchi sono accompagnati da sincope, che può si-
mulare una morte apparente, o si hanno spasimi; qual-
che volta non c’è che l’accesso epilettoide, senz’altro.
La temperatura si tiene sempre al disotto del 38°; il
che li distingue dagli epilettici; talvolta si hanno solo
vertigini.
In altri casi si hanno dei fenomeni catalettici o letar-
gici, o sonnambolici, spontanei o provocati, colla pres-
sione nel globo oculare, con sensazioni luminose ed acu-
stiche vive ed istantanee. Questo ultimo stadio si distin-
gue per l’esagerazione della eccitabilità muscolare, che
può variare da un giorno all’altro, per cui il solo contatto
d’una piuma basta per mettere in contrattura i fasci mu-
scolari, e per anomalie nella sensibilità. Nel mentre una
corrente d’aria, un capello è risentito vivamente, posso-
no non sentire i dolori più forti, ed hanno una sensibilità

Storia d’Italia Einaudi 548


Cesare Lombroso - Genio e follia

speciale per alcune persone più che per altre, e non di ra-
do una trasposizione dei sensi, che invano si volle ridur-
re ad una maggior sensibilità della pelle; ed è vero che
spesso i sensi specifici sono acuiti (in un caso l’udito 12
volte più del normale, e 6 volte il tatto), ma spesso sono
apparentemente paralizzati, specie quest’ultimo.
Psicologia L’intelligenza in una buona metà d’essi è in-
tatta, salvo la poco tenace attenzione; ma il carattere è
profondamente modificato in un egoismo, in una preoc-
cupazione di se stessi che li fa avidi dello scandalo, del
rumore pubblico; in un’impressionabilità eccessiva, per
cui un nulla li rende collerici, feroci, facili alle simpatie
ed antipatie subitanee, irragionevoli, con volontà sem-
pre instabile; si compiacciono nella maldicenza; e se non
fanno occupare il pubblico di loro con processi provo-
cati senza causa, con vendette scandalose, per lo meno si
sfogano in privato, rendendo triste la vita a chi li attornia,
con continue risse e litigi.
Ad un grado più elevato vanno alla denuncia, al falso
testimonio; mettono in moto gli avvocati, le autorità,
contro i pretesi colpevoli. E questi sintomi possono
cominciare dall’infanzia.
Se mancano molti dei caratteri degenerativi degli epi-
lettici, tutti i caratteri funzionali, le lateralità, le ottusi-
tà sensorie sono in essi più spiccate: e anche qui Bri-
quet e Morel notarono che nei casi in cui mancano le
forme convulsive, o le altre tipiche, si hanno più facil-
mente gli accessi psichici; se è maggiore il rapporto co-
gli organi sessuali, non manca negli epilettici; e se si han-
no più guarigioni verso l’età critica, i casi in cui l’isteri-
smo compare fin dalla giovinezza appaiono inguaribili, e
questi corrispondono, anche fisionomicamente, come in
tutto il resto, ai delinquenti-nati, agli epilettici.
In ambedue, i fenomeni hanno intermittenze, alle vol-
te precise, e remittenze che durano anni, e forme larvate
in cui l’isterismo si esplica solo colla malvagità, colla ten-

Storia d’Italia Einaudi 549


Cesare Lombroso - Genio e follia

denza all’ozio, alla calunnia, alla truffa, al suicidio, all’e-


sagerata vanità, ai viaggi continui, all’eccessivo e preco-
ce ed anormale altruismo, all’impulsività, o con brevi as-
senze psichiche o con vertigini (v. s.). L’analogia si trova
perfino in quei rari casi di sentito o di esagerato altrui-
smo che noi vidimo nel delinquenti per passione (Vol.
II, Parte II), e pure anche in qualche raro epilettico (Vol.
II, Parte I).
Le analogie nel rapporto psicologico sono tante che
io ho voluto perciò serbare le parole stesse degli autori,
onde non incorrere taccia di parzialità. Eziologicamente
il rapporto cogli epilettici e cogli alcoolisti è sicuro.
E nello stesso tempo l’isterico, appunto, offre il pa-
rallelismo dell’epilettico, col fanciullo, col delinquente-
nato, col pazzo morale: per esempio, nella grande mo-
bilità dei sintomi, nel bisogno di traslocarsi, nel bisogno
di fare il male per il male, nella tendenza alla bugia gra-
tuita, la bugia per la bugia, nell’irascibilità senza causa.
– E qui m’accorgo che, questi fenomeni patologici più
in evidenza nell’isterico, mettono in luce alcuni caratteri
del delinquente-nato, che non eran stati da me abbastan-
za bene avvertiti; questo della bugia continua e gratuita
è, per es., uno dei loro più spiccati caratteri.
Anche la specialità delle lettere si riscontra qualche
volta in epilettici, ricordo quello che mi mandava due let-
tere (vedi pag. 25), ed in ispecie quello che scrisse al Re
d’Olanda, a Bismark, e qualificandosi Duca di Magen-
ta, Re dei Longobardi (vedi pag. 42). Ed io toccai dei
pazzi morali che dirigono a se stessi delle lettere galanti.
Anche la variazione del carattere isterico è simile all’epi-
lettico – egli epilettici tendono pure, odiandosi e bistic-
ciandosi, ad avvicinarsi l’un l’altro, ed in ambedue notasi
la doppia personalità che giunse in alcune isteriche, an-
zi, ad una vera seconda vita; ne manca la persistente od
intermittente pietosità che fa alle volte degli uni e degli
altri dei veri santi (San Paolo, Santa Teresa)164 .

Storia d’Italia Einaudi 550


Cesare Lombroso - Genio e follia

Quello che però distingue le donne isteriche da tutti


gli altri, anche dagli epilettici, si è l’intensità ed il succes-
so della calunnia, il che si spiega per la minor attitudi-
ne e forza delle femmine, anche delle male femmine (ses-
so in cui più spesseggiano le isteriche), ai reati di violen-
za, per cui la tendenza al male si esplica e si perfeziona
più in quell’indirizzo e più colla trasformazione che av-
viene più in esse che su tutti gli altri, dell’idea in azione,
per l’autosuggestione che trasforma, incarna un concetto
come se fosse un’azione. Esse, come l’ipnotizzato, sug-
gestionato (Vedi miei Studi sull’ipnotismo, 3ª ediz.), pro-
fessano, proclamano il falso colla stessa intensità con cui
l’onesto il vero, perché a poco a poco esse sentono co-
me cosa vera quella che non è: sono convinte, conquista-
te dalla propria menzogna, che ad esse si presenta, forse,
con un’evidenza maggiore, forse più che se non fosse ta-
le – per quella specie di esaltamento che subisce il sug-
gestionato in ogni stadio ipnotico – che lo investe della
parte suggerita con una vera prepotenza.

5
Delinquente d’impeto

Passioni Le passioni che stimolano i rei d’impeto non so-


no di quelle che sorgono, gradatamente, nell’organismo,
a cui si può, più o meno, porre un freno, come l’avari-
zia e l’ambizione; ma di quelle che scoppiano improvvi-
se come la collera, l’amore platonico o figliale, o l’onore
offeso; passioni in genere generose e spesso sublimi; al-
l’inverso, nei delinquenti, predominano le più ignobili e
più feroci, come la vendetta, la cupidità, l’amore carnale
e degli alcoolici. Molto ben fa notare Marc, che «quando
l’amor carnale è soddisfatto, mai o quasi mai, conduce a
delitto d’impeto, tranne i casi di vera satiriasi maniaca».

Storia d’Italia Einaudi 551


Cesare Lombroso - Genio e follia

Movente Mentre è spesso debolissima la causa impel-


lente nel reo abituale, qui vi è, invece, vera proporzione
tra il delitto e la causa; è per la Camicia, per la Raffi, per
la Harry, per la Rosalia Leoni, per l’Ardovino un amore
tradito, dopo un giuramento e dopo aver esposto al di-
sonore ed al disprezzo, e dopo aggiunto, qualche volta,
gli scherni, come alla Leoni, cui il traditore accusa, dopo
averla resa nadre, di essersi data a 13 ganzi. È un adulte-
rio colto sul fatto in Verani. E nei Convenzionali France-
si, nella Corday, in Orsini e Sand un intenso amore alla
patria e insieme la speranza di giovarle spegnendo uomi-
ni da loro credutine i più fieri nemici. E un insulto gra-
ve, inflitto alla presenza di persone care, o la fame e l’i-
nedia dei figli; è una persecuzione continua di persona
cara (Rivière).
Lo scrivano Rossi Giovanni, d’anni 45, di Roma, vive-
va in una catapecchia, dove la Panelli dava letti in affitto
per pochi soldi, che egli puntualmente pagava; negli ul-
timi giorni era rimasto debitore di 70 centesimi, che pro-
mise pagare più tardi. La vecchia cominciò a rimprove-
ramelo, ad ingiuriarlo, chiamandolo truffatore; ed egli,
preso da subita collera, afferrata un’accetta, che avea alla
mano, la colpiva nel capo. Alla vista del sangue, rientrato
in se stesso, andò a costituirsi.
Zucca ama la sua padroncina, contadina come lui,
lavora 10 anni per meritarla e gli viene promessa, e, dopo
aver raddoppiato d’amore e di zelo, se la vede sposata da
un altro.
Bounin sente la moglie tradirlo ai piedi del letto, men-
tre lo crede addormentato, e dire al ganzo quanto gli pe-
si il suo perdurare in vita; infuriato si leva, la calpesta e
ferisce l’adultero.
Bouley si vede non solo respinto dalla sua bella, ma
sente che si è venduta ad altrui per denaro.
Guglielmotti si vede cancellato dalle entrate alla sua
ganza che amava perdutamente.

Storia d’Italia Einaudi 552


Cesare Lombroso - Genio e follia

Becchis sente all’improvviso che gli furono sequestrati


i mobili per un conto dovuto all’antica sua serva e vede
la casa spoglia; corre da un macellaio vicino, ne esporta
un coltello e a tutta corsa va a ferire questa nella sua casa
e tre suoi garzoni.
Duelli, infanticide, passione politica. A questi si po-
trebbero aggiungere – oltre ai rei di duello che obbedi-
scono ad un istinto altruistico e ad un pregiudizio irre-
sistibile –quasi tutte le infanticide, molte delle quali de-
linquono per un sentimento d’onore esagerato, di cui è
causa l’infamia che annette la società nostra alla materni-
tà illegittima, mentre non rende obbligatoria al maschio
la riparazione, né dà diritto alla ricerca della paternità,
non lasciando alla femmina altra alternativa che o can-
cellare le traccie di un’immensa gioia, che per lei sola si
converte in una immensa sventura, o restare per sempre
infamata; e diffatti le infanticide, è noto, come confessi-
no facilmente il reato, come di rado sieno recidive, spes-
so anzi sieno anche d’onesti precedenti, e agiscano qua-
si sempre senza premeditazione, senza complici, senza
stromenti proprî, né, di raro, in istato di delirio: ed è no-
to come maritate nelle colonie penali dieno eccellenti ri-
sultati, quali non dànno mai le ladre, le assassine comuni
e le truffatrici (Cère, Les populations dangereuses, Pans,
1872).
La momentanea alienazione creata dallo stato di pas-
sione traspare, del resto, dal modo poco accorto con cui
nascondono il feto, o con cui lo ledono, sì da renderne
palese gli autori. Le più, se non giunsero fin là, ebbe-
ro la mente annebbiata dalla febbre puerperale, dalle in-
tossicazioni ergotiche, e, più che tutto, dalla vergogna di
presentarsi in una condizione che, non la natura, ma la
società suggella con nota d’infamia.
E ciò spiega perché ne venissero prosciolte in Francia
circa 374 per mille, ed in Inghilterra 3239 su 20591 sot-
toposte ad inchieste criminali, e circa la metà di 124 del-

Storia d’Italia Einaudi 553


Cesare Lombroso - Genio e follia

le accusate d’omicidio (Tardieu, De l’infanticide, 1863;


Balestrini, Dell’infanticidio, 1887).
E v’entra la passione politica quando giunge al paros-
sismo, specie se è resa più viva dall’imitazione, dall’abu-
so alcoolico e dalla persecuzione. Così a Bologna or ora
uno, sentendo in teatro inveire contro le guardie, tirava
una coltellata ad una guardia di P. S. da cui non aveva
mai prima avuto offesa (Vedi Laschi e Lombroso, Delit-
to politico, parte II, Bocca, 1888).

6
Delinquente d’occasione

Il Ferri ed il Puglia hanno mostrato assai bene in que-


sto giornale, e prima di loro A. Maury nel Journal des Sa-
vants (1879), e Beltrani-Scalia nella sua Riforma Peniten-
ziaria, la grave dimenticanza fatta da me nel non tener
sufficiente conto dei molti condotti al delitto non da una
sventurata organizzazione o da reiterate perverse abitu-
dini, specie alcoolistiche, ma dall’accidentale incontro di
circostanze che vi spinsero uomini deboli, oscillanti tra
il bene ed il male e che sono forse purtroppo la maggio-
ranza dei rei.
Il Ferri dimostrò ciò colle cifre alla mano in quest’
Archivio (1880); alle sue mi pare importante aggiunge-
re quelle date in una bella Relazione sui carcerati di Fi-
ladelfia, dal Lacomte (1840, Philadelphie), tanto più che
queste risultano dallo studio individuale, assai più sicu-
ro delle cifre dei libri. Su 400, trovò che 116 divennero
criminali per proprio impulso istintivo – 115 per depra-
vazione dei costumi – 70 per cattiva compagnia – 61 per
intemperanza – 9 per giuoco – 2 per amor degli spetta-
coli – 1 per dissenzioni domestiche – 4 per difficoltà pe-
cuniarie – 17 per vendetta – 3 per lotto – 2 per tresche
amorose.

Storia d’Italia Einaudi 554


Cesare Lombroso - Genio e follia

Circa 124 su 358 divennero dunque rei per cause


occasionali, il 34%, cifra inferiore alquanto a quella del
Ferri (v. o. c.).
Su 400 ben 99 non eran bevitori – 70 anzi temperanti
– 231 bevitori – 51 fabbricanti di alcool – 53 orfani – 24
orfani solo del padre – 93 orfani della madre.
10 si gettarono al delitto prima dei 10 anni.
50 » 25 »
14 » 40 a 50 »
7 » 50 a 60 »
3 » oltre 60 »

Del resto, anche senza ricorrere alla statistica, è facile


il convincersi, col semplice buon senso, della frequenza
di queste cause occasionali.
Età Un fanciullo, per esempio, anche di normale orga-
nismo, è attratto al furto dal solo fatto di vedere un og-
getto che gli piaccia e che sia alla sua portata, come è no-
to che mentre sente fortissimo il diritto di proprietà del-
le, cose sue non lo riconosce per quelle degli altri, per
cui se non è sorvegliato e corretto, ruba tutto ciò che di
suo gusto sia alla sua portata, e s’irrita poi, dandosi per
offeso, se venga costretto a restituire. Altrettanto acca-
dere può nei vecchi per imbecillità senile affatto analoga
all’infantile.
Molti in vecchiaia provano bisogni maggiori, minor
forza per soddisfarli; più, dopo molti anni di esercizio
onesto acquistarono presso i padroni o soci un’illimitata
fiducia, ed allora per la prima volta si lasciano trascinare
ad appropriazioni indebite, mentre prima non avevano
commessa la menoma indelicatezza. Gli è che molti non
delinquono se non quando trovano corrisponsione suffi-
ciente al pericolo; s’aggiunga che in essi l’età e spesso le
bevande alcooliche ottundono il senso morale, scemano
la resistenza naturale degli onesti agli atti immorali.

Storia d’Italia Einaudi 555


Cesare Lombroso - Genio e follia

Sesso Se il numero delle donne delinquenti aumenta


ogni anno nei paesi più colti165 , evidentemente gli è per-
ché la maggiore istruzione letteraria e l’industriale forni-
sce a donne, che non sarebbero organicamente ree, uno
stimolo affatto nuovo a peccare.
È noto che alcuni affetti, per esempio, il materno,
il coniugale, sono più vivaci nella donna, e che essa
nell’epoca mestruale ha una maggiore suscettibilità; ora
se in queste circostanze essa vedesse un figliuolo o un
amante in pericolo, sarà tratta a un delitto che non
commetterebbe per nessun’altra causa; ed ecco spiegati
quei pochi casi in cui donne oneste hanno rubato per far
piacere alla persona amata.
Miseria Trovammo alle carceri, B..., uomo abilissimo
che aveva inventato un nuovo modo di lavorare nel vetro,
da cui cavava cospicui guadagni, che presentava normali
tutti i caratteri antropometrici e la fisonomia, eppure due
volte sottrasse sacchi ai viaggiatori sostituendone altri,
e sempre nei mesi di febbraio e di marzo. «Sono due
mesi, ci diceva, in cui non posso ricavar niente dalla mia
professione. Ed io ciò faceva per tirar innanzi fino ai
mesi di guadagno».
Accidenti V’ha causa poi l’accidente puro, semplice:
uno trova una borsa per via – non crede rubare a tener-
sela – sarebbe incapace di cercarla nelle tasche altrui, e
vi è infatti un proverbio che dice: l’occasione fa l’uomo
ladro.
Ciò può darsi anche nei delitti d’amore, nei quali può
applicarsi il detto di Musset: Non esservi più potente
causa all’imprese d’amore che l’occasione ( Nouvelles;
1878).
Il carcere come è costituito ora è l’occasione per cono-
scere ed associarsi nel crimine ed è causa di perdurarvi e
di peggiorarvi.
Vidocq, che nel suo lavoro Les moyens de diminuer les
crimes, cui devo all’amico Lacassagne, avea già distinti i

Storia d’Italia Einaudi 556


Cesare Lombroso - Genio e follia

ladri in ladri per professione, e per occasione e necessità;


dichiara che i ricettatori sono quasi tutti onesti uomini
divenuti immorali dopo i contatti e l’irritazione e l’infa-
mia del carcere che li spinge a reagire contro la società; e
infatti i ladri non si fiderebbero d’uno che non conosces-
sero relativamente onesto. Leudet, egli dice, era un ope-
raio onestissimo: gettato alla Force per una calunnia, vi
fece conoscenza dei ladri, poi ne fu il ricettatore; se non
fosse entrato nel carcere sarebbe restato onestissimo.
In tutti questi casi od almeno in quasi tutti si ha cor-
rispondenza perfetta e proporzionalità tra la causa che
spinse al delitto e il delitto medesimo; onestà nella vita
anteriore, pentimento, confessione completa, senza ten-
tativo d’alibi e senza premeditazione, ne complici; si ha
una grande analogia coi delitti d’impeto, anzi, quando si
tratta di ebbri, una vera fusione e confusione degli uni e
degli altri. Quali differenze psichiche li distinguono dal-
l’uomo normale e dal delinquente abituale, potrà dirlo
solo un esame continuato che fin ora non venne esegui-
to.
Perché, si chiederà, costoro furono sì rare volte trovati
dagli antropologhi criminali? Perché noi bazzichiamo
nei grandi centri criminali, ergastoli, galere, dove costoro
entrano di rado o dimorano per troppo breve tempo, o,
essendovi, non colpiscono l’attenzione nostra appunto
per la nessuna differenza dall’uomo normale; e perché
essi non danno luogo quasi mai alla recidiva; e quindi
l’antropologo meno facilmente vi ricorre nella tema di
prendere abbaglio e studiare forse un innocente per un
reo.
Come vi è il reo d’occasione così vi è quello che
nato delinquente non si manifesta tale perché gli manca
l’occasione – perché la ricchezza o la potenza gli diedero
modo di soddisfare i pravi istinti senza urtare col codice.
Io finora ne conobbi tre con tutti i caratteri fisici e
psichici del delinquente nato, ma che l’alta posizione

Storia d’Italia Einaudi 557


Cesare Lombroso - Genio e follia

sociale difese dal carcere. Essi stessi confessavano: Se


non fossimo ricchi avremmo rubato.
Certo è che, come vedremo, su 2000 rei di un carcere
non trovai che 43 rei d’occasione: e anche su questi io ne
rinvenni 19 con caratteri degenerativi e 18 con eredità
morbosa.
Dallo studio, ammirabile, delle singole specie di rei,
fatto dal Marro, quando vengano esse bene interpretate
e raccolte in gruppi e confrontate alla recidività e alla
precocità (Vedi Tav. VIII, che devo all’egregio avv.
V. Rossi) appare subito evidente che nei reati più lievi,
per es., di ozio (recid. 94, precoc. 71), di ferimento
(recid. 70, precoc. 7), di borseggi (recid. 80, precoc.
76), di furto semplice (recid. 83, precoc. 64), vi è il
massimo delle recidive o delle precocità, ed il minimo o
quasi dei caratteri degenerativi, per cui vengono meno,
affatto, qui, quei due caratteri trovati dal Ferri al reo
di occasione: è singolare poi che, viceversa, il massimo
dei grandi rei, assassini, truffatori, stupratori (lasciando
stare gli incendiari, troppo pochi in cifre, e i grassatori)
coincide con un minimo di recidive e di precocità.
Sulle prime fa meraviglia il vedere quest’antinomia che
sembrava imprevedibile, ma poi essa trova una spiega-
zione facile. Ed infatti sono i reati meno gravi, che por-
tando con se minore condanna, e supponendo anche mi-
nore abilità, si compiono più precocemente e si rinnova-
no più spesso, mentre i grandi reati, opera di uomini più
accorti, meno facilmente scoperti, quando lo sono, so-
no più a lungo puniti e perciò non possono recidivare;
e, d’altronde, esigono astuzia e forza virile, qualche vol-
ta un capitale della triste industria (grimaldelli, strumen-
ti litografici, ecc.), che non si possiede nella fanciullezza,
donde la mancanza di precocità. E, come accennammo,
finalmente, i grandi reati, spesso, non si possono più rin-
novare perché il primo ne ha tolto di mezzo, per sempre,
la materia prima (parricidio, regicidio).

Storia d’Italia Einaudi 558


Cesare Lombroso - Genio e follia

Ma non per ciò viene distrutto il gruppo troppo natu-


rale, troppo accettato da tante illustrazioni, del reo d’oc-
casione, per non doversi ammettere.
Si toglie di mezzo, solamente, che la mancanza di
recidività e di precocità ne siano, sempre, i caratteri
speciali, salvo però nella truffa, nello stupro e nello
scasso, dove la poca precocità può dipendere però dalla
forza minore di mente e di carni nell’età troppo giovane.
Ma ciò lungi dallo scoraggiarci, c’incoraggia a provare
l’esistenza del reo d’occasione, come un reo, cioè, di mi-
nima criminalità, massima causa, con caratteri anorma-
li più scarsi, in confronto agli altri, come, dunque, una
varietà del reo-nato, come un criminaloide.
Giova, però, dire subito che il reo d’occasione non
offre un tipo omogeneo come potrebbe offrirlo il reo-
nato od il reo per passione; ma esso è costituito da
molti gruppi disparati, e, quel che più importa, in parte
fittizi, e cioè dai pseudo-criminali, poi dai criminaloidi
propriamente detti.
I pseudo-criminali sono costituiti:
1º da quelli i quali commettono reati involontaria-
mente (arma che scatta, incendio, omicidio involontario,
ecc.), e che, invero, non son rei agli occhi della società e
dell’antropologia; ma non per ciò son meno puniti e pu-
nibili (1,02 p. %, secondo le statistiche del Ferri), per
riguardo alla difesa sociale;
2° dagli autori di reati in cui non esiste alcuna per-
versità e che non portano alcun danno sociale, ma che
sono considerati tali dalla legge, per un’opinione o pre-
giudizio dominante; e che pur devono reputarsi tali fin-
che l’opinione pubblica, che dà la forza alla legge, così li
considera; tali sarebbero, in alcuni paesi, la bestemmia e
l’aborto, parecchi reati di stampa. «Tali, ripeto le paro-
le del nostro illustre Garofano166 , sono i reati esclusiva-
mente politici, le contravvenzioni a leggi fiscali, le resi-
stenze agli agenti del Potere, le offese alla religione od al

Storia d’Italia Einaudi 559


Cesare Lombroso - Genio e follia

culto, il porto d’armi non autorizzato, il contrabbando,


ecc. Sono rivolte, disobbedienze, duelli, la cui immorali-
tà consiste totalmente nella violazione della legge, senza
che l’atto punibile, considerato in se stesso, sia incompa-
tibile con la morale comune».
Qui entrano, pure, quelli che, benché sieno per noi
reati, non appaiono tali, almeno pel grosso pubblico,
sia perché la cognizione giuridica non vi si è abbastanza
perfezionata per considerarli tali, o perché moltissimi li
commettono sicché sono divenuti un’abitudine generale,
e formano una dura necessità.
Tale è la complicità nella camorra e nella maffia, nei
paesi ove queste dominano rendendo pericoloso all’one-
sto, debole, il sottrarvisi.
Quando molti sono colpevoli, come nelle epoche
del brigantaggio, e degli avvelenamenti per successio-
ne, molti ritengonsi onesti o non credono più di peccare
commettendo il reato.
L’uomo si trova nella situazione del selvaggio e dell’a-
nimale (V. Vol. I), dove il reato è un atto fisiologico. E
così le crudeltà contro gli animali ora non sono colpe-
voli, ma lo potranno essere più tardi, quando le nozioni
giuridiche si saranno perfezionate.
Ora importa molto il notare che da questo lato il de-
litto è estesissimo e l’onestà pura è una singolare eccezio-
ne; fate la somma di tutti i bottegai che frodano sul prez-
zo, sul peso; dei professionisti che simulano o dissimula-
no col cliente (truffa) per proprio vantaggio; dei profes-
sori che mentono scientemente; degli impiegati che chiu-
dono un occhio per favoritismo; degli uomini di Gover-
no che abusano del potere e della giustizia: abbiamo una
somma di reati tale, che è superiore a quella dei rei uffi-
ciali.
Tali sono i contrabbandi, i furti di legna nei paesi
rurali e gli aborti nei grandi centri, commessi da persone

Storia d’Italia Einaudi 560


Cesare Lombroso - Genio e follia

onestissime, senza la più lontana idea di commettere un


reato e senza rimorso, confessandolo subito.
E tali sono molti reati militari, come il rifiuto di obbe-
dienza, ecc., e i reati politici, quando il cattivo governo
fa divenire ribelli specialmente gli onesti.
Al Montello si continua ad infliggere la prigione a cen-
tinaia di boscaiouli incapaci di un furto che non sia di
legna, e che solo da quelle legna traggono sussistenza.
Ogni giorno, due, tre, dieci, quindici, venti, giovinotti,
donne, fanciulli, sono condotti nella prigione di Mon-
tebelluna. Molti si presentano spontaneamente il gior-
no nel quale devono scontare la condanna, o ritornano
quando il carcere non sia pieno. Si videro due giovinet-
te aspettare che la porta si aprisse, come se fosse la porta
di una scuola.
E siccome la morale muta secondo i paesi e secondo
i tempi, così in questa categoria entrano quasi tutti i de-
litti commessi in tempi e popoli barbari. Come il fana-
tismo religioso del medio evo fe’ nascere quei grandi ar-
chitetti anonimi che ci diedero le meraviglie delle nostre
cattedrali; così l’omaggio per la forza e la violenza ci die-
dero nelle epoche e popoli barbari un delitto endemico,
che non era antropologicamente né giuridicamente tale,
come non lo è quello degli animali (Ved. Vol. I, Parte I,
Cap. II). Gli Hyglanders, dice Bukle, non conoscevano
altro mezzo di vivere che l’omicidio ed il furto, che loro
pareva un’azione onorevole.
Ai tempi di Macchiavelli si potevano considerare i
delitti dei Borgia degli espedienti politici; Gregario di
Tours dipingeva come un santo Clovis che ammazzò i
suoi parenti perché era buon cristiano, e come infame
Chilperico perché si oppose al papa.
Senonché, a ben vederci in fondo, questi non si pos-
sono chiamare delitti né semi-delitti; ma delitti, come li
chiamerebbe Garofalo, piuttosto giuridici che reali, per-
ché sono più creati dalle imperfezioni della legge che da

Storia d’Italia Einaudi 561


Cesare Lombroso - Genio e follia

quelle degli uomini. Essi non destano alcun timore nel-


l’avvenire, né turbano il senso morale dei più, il che è la
base vera dei reati, sicché si può dire di essi, come già
si disse di molti reati di lesa maestà sotto i Cesari, essere
questi unicum crimen eorum qui crimine vacant167 .
E perciò io li chiamerei pseudo-delitti.
Alquanto diversa è la bisogna per un altro gruppo di
rei che io chiamerò criminaloidi, nei quali l’accidente,
l’occasione prepotente trascina i predisposti, i quali poi
non avrebbero trasceso se quella non vi si fosse presen-
tata. E vi è difatti un proverbio che dice: L’occasione fa
l’uomo ladro (v. s.).
Salvador, con cranio e fisonomia normale, era un one-
sto negoziante: tornando da una gita d’affari, trova sva-
ligiata la casa dalla moglie, che gli era fuggita di casa: di-
venta ladro, ed anzi capo di ladri, e seppe evadere 30
volte.
Continuate torture morali finirono per spingere all’as-
sassinio uomini onestissimi; così nella bella collezione
di Feuerbach si narra di un tal Kleinroth, mugnaio, che
martirizzava i proprii figli e la moglie quasi ogni giorno,
battendoli con pali di ferro, affamandoli, mentre profon-
deva le ricchezze in servacce e bastardi; i figli sarebbero
fuggiti se la povera madre avesse potuto accompagnar-
li; trovano un tale che s’offre di ucciderlo; accettano con
molta esitazione, si pentono subito dopo, e appena arre-
stati confessano; né mai prima d’allora avevano date pro-
ve di disonestà, come attesta tutto il paese.
Critica – Psicologia Però, ben studiando questi casi, se
non sono veri criminali-nati, non sono nemmeno degli
onesti uomini, colpiti ingiustamente dalla legge; – si trat-
ta, insomma, di rei distinti dalla giusta corrispondenza
del reato colla causa, in cui questa sì prepondera, ma in
cui però trova un più forte abbrivo che negli altri uomini,
come la pazzia, la meningite, che sorgono per un trauma
al capo, per una insolazione, hanno quasi sempre una ba-

Storia d’Italia Einaudi 562


Cesare Lombroso - Genio e follia

se degenerativa, spuntano su un terreno predisposto dal-


l’alcool, dall’eredità, dagli abusi sessuali e dalla tempra
pazzesca, che dà alla causa determinante una spropor-
zionata influenza.
Ed invero, a quanti onesti non accade di veder un og-
getto abbandonato e di sentirsi voglia di impadronirse-
ne, eppure non lo fanno, e se lo fanno se ne pentono su-
bito e non vi ricadono? Quanti furono maltrattati in mo-
do da sentirsi spinti alla vendetta o furono incitati, in-
vitati al delitto, eppure non vi cedettero, come fecero,
invece, Auermann, Salvador, C., la S. (pag. 405), Gar-
nier? – Perfino nelle esperienze ipnotiche che ci riprodu-
cono esperimentalmente analoghe influenze, noi vedia-
mo che i predisposti al reato subiscono immediatamen-
te, con piacere, le suggestioni criminose168 e se ne com-
piacciono anche dopo, mentre i veri onesti vi si rifiutano
a lungo, e costrettivi dall’educazione ipnotica commetto-
no gli immaginari reati con ripugnanza; e cercano di non
ricadervi.
Il delitto più moderno, che cresce a mano a mano che
calano gli omicidi, è quello di frode e bancarotta, e cor-
risponde (v. s.) all’andarsi sostituendo la frode e l’astu-
zia alla violenza nella lotta per la vita. Basti ricordare,
con Bosco e Laschi, che in Italia le bancherotte crebbe-
ro, dal 1887 al 1895, da 831 a 1688, e le truffe, dal 1890,
da 7527 a 10074; in Germania crebbero le bancherotte
da 890 nel 1884 a 1012 nel 1900169 , mentre in Spagna ca-
larono da 995 a 814 e di bancherotte s’ebbero sole unità.
Caratteri antropologici Il tipo170 del bancarottiere co-
me del gran truffatore si distingue molto nell’apparenza
da quello del comune criminale. Il prevalere, nei crimi-
naloidi bancari, delle cause occasionali fa sì che in loro
manchino, quasi totalmente, le macchie degenerative dei
rei-nati; oltreché vale qui l’osservazione fatta anche per
i truffatori, che il fisico attraente, congiunto alla genti-
lezza dei modi contratta nell’abitudine dell’alta società,

Storia d’Italia Einaudi 563


Cesare Lombroso - Genio e follia

costituisce una specie di selezione, che è un elemento di


successo al triste loro còmpito.
Così fra i sette parlamentari francesi, coinvolti negli
scandali del Panama, io trovai solo in due qualche ac-
cenno al tipo criminale, e cioè: archi sopraccigliari, man-
dibola voluminosa, naso incavato, in Dugué de la Fau-
connière, e platicefalia e fronte bassa in Baïhaut. E dei
sette imputati in Italia, o sospetti rei, uno solo ha, in pic-
colissima pane, il tipo criminale, cioè archi sopracciglia-
ri spiccati e fronte sfuggente. Anomalie patologiche poi
non presentano che il De Z..., per una larga eredità ne-
vropatica (Morselli), e l’Ag... della Banca Romana, che
soffre di vertigini.
Lievi anomalie degenerative si riscontrano in quelli
che furono i veri autori della truffa del Panama: Herz,
sguardo grifagno e orecchie male impiantate; Reinaich,
sviluppo degli archi sopraccigliari, però con bella fiso-
nomia; Eiffel, asimmetria facciale, occhio chiaro, quasi
bianco, e sguardo torbido; Fontane ha il cranio aguzzo.
All’inverso di quanto si nota negli assassini, nei ferito-
ri, negli omicidi, l’età dei bancarottieri, secondo Laschi,
è nella maggior parte assai tardiva: Bontoux ha 62 anni,
Lesseps padre 80, Carlo Lesseps 51, Martin 50, Eiffel 59,
Baïhaut 50, Cucin... 75, Tanlongo 68, Men... 61, ecc., il
che si spiega facilmente se si pensi alla necessità che eb-
bero, per giungere ad ingannare i più, di procacciarsi fa-
ma e fortuna, che solo si acquistano col tempo e coll’e-
tà; al che aggiunansi la maggiore cupidigia, il piacere e
il bisogno maggiore degli agi della vita e l’indebolimento
morale.
Ciò corrisponde del resto a quanto si riscontra nei
truffatori: la statistica francese171 ci dà, ad esempio, il
seguente confronto tra l’età degli accusati per delitti di
violenza e di quelli per reati di falso e frode:
Età degli meno di 21 da 21 da 30 da 30 a 40 da 40 a 50
accusati anni anni anni anni

Storia d’Italia Einaudi 564


Cesare Lombroso - Genio e follia

Delitti violenti 15 31 26 14
(media sopra
100 accusati)
Delitti di 5 23 34 23
frode (media
sopra 100
accusati)

La differenza è qui dunque assai spiccata: la prevalen-


za dei reati di frode fra i 30 e i 50 anni è di quasi una me-
tà in confronto ai reati di violenza, i quali presentano in-
vece il triplo di prevalenza sui primi al di sotto degli anni
21.
Senso morale Sono squilibrati e scarseggianti di senso
morale. È qui specialmente che si rivelano la differenza
tra costoro e l’uomo psicologicamente equilibrato e l’a-
nalogia con l’uomo delinquente.
Proverbiali sono rimaste, in materia di affarismo lega-
le, le massime del Gelmi: «L’avvocato deve correre più
del giudice»; «Il fine giustifica i mezzi»; «I legali sono
vetture da piazza, sulle quali possono salire il savio ed il
matto, chi ha scrupolo e chi non ne ha... con una tarif-
fa tanto per chi va al Quirinale, quanto per chi va alla
suburra, ecc.».
Tale è il concetto della moralità che costoro si fanno
e, forse, in buona fede, perché così si sono foggiati l’am-
biente in cui vivono e così l’ambiente ha foggiato loro; v’è
in essi come uno stato d’incoscienza, che richiama quello
dei rei comuni.
Il Toc..., della Banca Romana, trova una giustificazio-
ne, certo per lui molto persuasiva, se la ripete all’udien-
za, per attenuare le sue malversazioni: «Tutti cercavano
di buggerare la banca».
Il Luraghi, mentre la sua reità è ormai provata e cer-
ta la condanna, scrive in carcere la poesia che riprodu-
ciamo, e che, se dobbiamo credergli, attesta la perfetta
tranquillità della sua coscienza:

E quindi accade in questo mondo a scale,

Storia d’Italia Einaudi 565


Cesare Lombroso - Genio e follia

fatte a piuoli fragili e leggiadri,


che un giorno i ladri cantin la morale
e un altro la morale inneggi ai ladri.
Ma pria che il senso dell’onor si usurpi
di sotto al manto dell’invidia acerba,
s’erge da tanti monumenti turpi
intemerata l’onestà superba.
Ed anche in questa solitaria cella,
ove raggio di sol giammai non brilla,
non v’è infuriar di nembo o di tempesta,
che turbi il sonno d’anima tranquilla172 .

Alle deviazioni del senso morale non corrispondono,


in questi criminaloidi, – anomalie dell’affettività, anzi
essi amano generalmente – la loro famiglia e ne sono
riamati; molti episodi commoventi si potrebbero narrare
in proposito, molti sagrifici ignorati di mogli, di madri, di
figli, per risparmiare ai loro cari il disonore del fallimento
o del giudizio173 .

7
Rei d’abitudine, latenti e protetti

Va notata infine quella quota che appartiene, oltre che a


quasi tutti i criminaloidi, a quelle categorie dei crimina-
li dove noi vedemmo venir meno le anomalie e le neuro-
patie, e l’eredità, che nella generalità ascendono al 60%,
e che, stando alle comparazioni col normale, e alle ricer-
che degli antropologhi174 , dovrebbero anche essere esenti
dalle tendenze criminali.
La maggior parte poi di costoro vien data da quel-
li che, nati normali e senza tendenze od organizzazio-
ne speciale per il delitto, non avendo trovato nell’edu-
cazione primitiva dei parenti, dei collegi, ecc., quella for-
za che provoca o, per meglio dire, agevola il passaggio
dalla criminalità fisiologica propria della prima età (ve-

Storia d’Italia Einaudi 566


Cesare Lombroso - Genio e follia

di Vol. I, Parte I, pag. 95 a 131) alla vita media, one-


sta dei più, perseverano e poi peggiorano nelle tendenze
primitive verso il male.
E da questo lato, lo ripetiamo, che spiccano i prete-
si miracoli dell’educazione, non perché questa trasformi
il delinquente-nato in un galantuomo, ma perché impe-
disce che il delinquente infantile, fisiologico, diventi un
delinquente abituale, patologico.
È naturale che costoro offrano, sulle prime epoche,
una minore intensità nella criminalità come hanno man-
canza quasi di caratteri degenerativi, d’eredità o di neu-
rosi, e che perciò si appiglino ai reati che meno destano
ribrezzo: borseggio, truffa, ferimento, ecc.; in questi la
scala del crimine esiste veramente, salvo quando da una
educazione criminosa spinti fino dalla prima giovinezza
al reato ne fecero una professione.
Ed una volta diventato abituale il delitto, per la ragio-
ne che è insito, che è già latente per natura in essi, vi si
perpetua e peggiora sempre più, accresciuto dall’abitu-
dine, dagli abusi anestetizzanti dell’alcool, dalla reazio-
ne contro la società, che colpendo così spesso alla cieca,
molte volte li punisce quando meno lo meritano e vice-
versa, e da quella vanità propria d’ogni mestiere che si
vede in tutte le professioni – e non meno in questa, do-
ve la pubblicità sciagurata delle Assise, della stampa, del-
le canzoni popolari e la dimora in comune più che nelle
altre la fomenta.
Ricchi o potenti Come vi è il reo d’occasione, così vi è
quello che nato delinquente non si manifesta tale perché
gli manca l’occasione, o perché la ricchezza o la potenza
gli diedero modo di soddisfare i pravi istinti senza urtare
nel codice. lo ne conobbi tre con tutti i caratteri fisici e
psichici del delinquente-nato, ma che l’alta posizione so-
ciale difese dal carcere. Uno di questi, avvocato, sposo a
ricchissima signora, fratello di cri inali e di epilettici, mi
confessava: «Se non fossi stato ricco avrei rubato». Ed

Storia d’Italia Einaudi 567


Cesare Lombroso - Genio e follia

un altro, divenuto per le solite protezioni professore, ric-


co, influente, con enormi mascelle, faccia glabra, fronte
sfuggente, battendo, me presente, un contadino inerme
che voleva giustamente impedirgli il passaggio per i suoi
campi: «Oh! non reagire, gli disse, quando era giovane
mi chiamavan Galera e non ci metto molto a buttarti in
terra».
Mestieri equivoci Questi sono esseri protetti, suggella-
ti, resi apparentemente normali dalla società, ma che so-
no veri rei-nati. Altri, dandosi a professioni equivoche,
ma tollerate – usura, prostituzione – sfogano, così, istinti
che, mancando quelle, sarebbero criminosi; e noi vedre-
mo nel Vol. IV il caso d’una ragazza bizzarra, pazza mo-
rale, che rubava fin da bimba anche senza scopo; che ru-
bò poi, adulta, in complicità con un ganzo, e che non ru-
bò più, e divenne giuridicamente onesta una volta datasi
alla prostituzione.
Rei protetti Se relativamente si esplica il genio scien-
tifico così eccezionalmente nel male, è perché trova pro-
prio una trasformazione, una usurazione degl’impulsi nel
proprio lavoro; succede certamente in essi come in que-
gli asceti ci e in quelle vecchie galanti che trasformano le
tendenze carnali, fondendole completamente ed usuran-
dole nel tempo stesso nelle religiose.
Ma una gran parte di costoro, certo quasi tutti i rei
politici [...] non si trasformano ma continuano nella vita
criminosa, la quale non viene a galla, non diventa puni-
bile e non è punita perché, nello stato di vera oligarchia
avvocatesca in cui si trovano le società europee e special-
mente le nostre, la denuncia tornerebbe più a pericolo
dell’accusatore, forse anche delle stesse vittime, che non
del reo; io stesso non posso denunciare alcuni complici o
capi quasi palesi di alcune camorre, ed un collega che mi
derubò da fanciullo, da giovane e poi da uomo maturo, e
che ha tutti i caratteri del reo-nato, senza correre questo
pericolo.

Storia d’Italia Einaudi 568


Cesare Lombroso - Genio e follia

E il Sergi nelle Degenerazioni umane, 1889, parla di un


alto personaggio che vende a prezzo fisso gli impieghi:
ma non certo si attenta a nominarlo.
E il Corre parla nell’opera sua, già così spesso cita-
ta, pag. 362, di Giulio Favre [...], che dopo aver com-
messo un falso nello stato civile ne commise molti al-
tri a grandi intervalli per soddisfare cupidi interessi, e
morì onorato da tutti. E quanti anni non dominò, mal-
grado la libera stampa, con fama intemerata, il Wilson!
E il generale americano Fremont, autore di incredibili
scrocchi! – Tutti questi formano una categoria precisa-
mente opposta alla prima, di cui toccammo nel princi-
pio di questo studio; mentre, cioè, la prima, quella degli
pseudo-criminali, è costituita da uomini che sono onesti,
ma che la legge colpisce, qui si tratta invece di crimina-
li e senza dubbio, anzi, di criminali-nati, ma che la leg-
ge, o per meglio dire, la società, così come è costituita,
protegge, e non permette colpire.

8
L’uomo perfetto

A priori è facile risolvere la questione delle qualità che


formano l’uomo perfetto, fondendo in un solo uomo
quelle del genio e quelle del santo.
Ma l’alienista sa che i grandi genii, specie d’azione,
sono quasi sempre privi di senso morale o di buon senso
e sarebbero fin criminali se l’intelligenza non raffermasse
in essi l’inibizione.
Viceversa i troppo buoni o non hanno ingegno o pre-
sentando un grande altruismo in alcune direzioni, hanno
un egoismo esagerato in altre; ed io non ho visto mai uo-
mini peggiori dei grandi filantropi. Né io conosco uomi-
ni perfetti, ma solo ventuno meno imperfetti.

Storia d’Italia Einaudi 569


Cesare Lombroso - Genio e follia

Di questi nessuno ha veri caratteri criminali: 3 hanno


mancanza di barba; 2 sono ciechi, uno è figlio di tisici
e uno [di] cancerosi; 8 sono matematici e naturalisti; 1
fu prefetto; 1 prete; 2 operai; 1 agricoltore; 3 militari,
uno ha malattia spinale ed uno un’apoplessia circoscritta;
ebbero lampi temporanei di genio; ma in complesso non
fecero che comprendere e illustrare le novità altrui; 18
sono ambiziosi o vanitosi.
È probabile che se vivessi fra gli operai e gli agricoltori
ne avrei veduto molti di più. – È questione questa di
massima relatività d’epoca, di razza, ecc.
Il perfetto cittadino è un imperfetto campagnuolo; un
Cincinnato, un Catone sarebbero des rustres – ai tempi
nostri.
Un perfetto gentiluomo della moderna molle razza
latina, un – mannequin – a New-York.
La prima qualità quindi per lo sviluppo dell’uomo per-
fetto dovrebbe essere la sanità degli organi o la integrità
così grande di alcuni da surrogare qualche difetto degli
altri. Indi buon senso, buon cuore, buon umore; ma nes-
suna eccessività tanto nell’ingegno come nel sentimento,
a cui s’accompagnino una certa energia muscolare e vo-
litiva e un certo grado di egoismo e d’ambizione, da far-
gli superare la tendenza naturale all’inerzia e prediligere
sé e la famiglia alla patria, e la patria all’umanità, ma sen-
za sorpassare le linee fissate dallo spirito pubblico dell’e-
poca, della casta, della razza, ecc.
Per la donna perfetta (ne ho conosciute tre sole quasi
perfette, fra queste una gobba), il sentimento può preva-
lere sull’intelligenza, almeno predomina la pietosità; oc-
corre in più la bellezza del corpo, od almeno della voce
e dei movimenti: ad ogni modo l’arte di supplirvi colla
grazia o col gusto.
Tutti gli estremi di temperatura esterna di ricchezza
e di potere, o l’eredità morbosa difficoltano il formarsi
dell’uomo perfetto.

Storia d’Italia Einaudi 570


Cesare Lombroso - Genio e follia

6
Una variante: la donna prostituta e delinquente

1
La «schiavitù rosata»

In complesso la donna è più infantile dell’uomo: nella


statura, nel peso, nella scarsezza del pelo al volto, nel-
la maggior lunghezza del tronco in rapporto agli arti in-
feriori, nel volume e peso dei visceri, nella maggior ric-
chezza di connettivo e di grasso, nel minor numero e mi-
nor peso specifico dei globuli, nel maggior peso del sie-
ro, nella minor quantità di emoglobina, nel minor peso
e volume del cranio, della mandibola e del cervello, nel
minor numero di interruzioni dei giri nei solchi del lo-
bo frontale, nel minor numero di caratteri degenerativi e
di variazioni, salvo nell’imene e nelle piccole ninfe; l’in-
fantilismo poi si estende alle funzioni, alla circolazione,
al respiro, alla capacità respiratoria, alla minor quantità
di urea, alla forza minore, al maggior mancinismo, alla
minore calvizie e canizie, ecc.
La sensibilità della donna presenta notevoli differenze
da quella dell’uomo. Già nella conformazione anatomi-
ca degli organi esse si accennano. L’occhio è più piccolo
e più a fior di testa; il naso e l’orecchio più corti. Quanto
all’orecchio, secondo le osservazioni di Autenrieth (Reil,
Archiv., t. IX, p. 322), il suo condotto uditivo osseo è
più stretto a lunghezza uguale, e per conseguenza rice-
ve meno onde sonore che quello dell’uomo, benché ne
rifletta un minor numero, una volta ricevute.
Si è sempre creduto finora che la sensibilità della don-
na fosse maggiore. Anche il Lotze e il Ploss dicono che
la donna è più esposta a nevrosi, perché più sensibile: e
Möbius stesso che nega questa maggior disposizione alle

Storia d’Italia Einaudi 571


Cesare Lombroso - Genio e follia

nevrosi, dice che è più incline alle iperestesie. Eppure si


era già detto che i bisogni suoi sono minori, che mangia
e beve meno, che sopporta la vecchiaia, i dolori e le pri-
vazioni di più dell’uomo. Ciò avrebbe dovuto far sospet-
tare che la sensibilità della donna non è così fina come
nell’uomo.
La minore sensibilità sessuale delle donne è dimostra-
ta anche dalla rarità e dalla poca varietà delle psicopatie
sessuali, così frequenti nell’uomo; dalla creazione dell’a-
mor platonico, che in fondo, per quanto menzognero, è
molto più accettato dalla donna che dall’uomo; dal mag-
gior tempo in cui la donna si conserva e ritorna casta;
dall’obbligo della castità, diventato generale in tanti po-
poli, ma solo per la femmina, mentre ai maschi, salvo in
pochi popoli (Germani antichi, ecc.), non si poté impor-
re per le violenti ribellioni organiche; dal più facile suo
adattamento alla poligamia (è noto come i Mormoni tro-
vino facilissimamente aderenti nelle donne), e dall’osser-
vanza scrupolosa della monogamia, che per il maschio è
più di nome che di fatto.
Le opinioni contrarie sulla sensibilità della donna di-
pendono dal fatto, che in apparenza è contradditorio,
che l’amore è il fatto più importante nella vita della don-
na. Ma questo non dipende dall’erotismo, quanto dal
bisogno del soddisfacimento dell’istinto materno e dal
bisogno di protezione, con cui le donne raggiungono il
completamento della loro esistenza. Le parole di Ra-
chele a Giacobbe: «dammi un figlio altrimenti muoio»,
contengono una verità fisiologica. Un ostetrico illustre
(Giordano) mi diceva: L’uomo ama la donna per la vulva,
la donna ama nell’uomo il marito e il padre. Sicché si può
compendiare il nostro concetto dicendo che la donna ha
minore erotismo e maggiore sessualità.
Essendo dunque la donna naturalmente e organica-
mente monogama e frigida, si comprende come le leg-
gi dell’adulterio abbiano colpito la donna in quasi tutti i

Storia d’Italia Einaudi 572


Cesare Lombroso - Genio e follia

popoli, e non l’uomo, che troppe volte vi si doveva sot-


trarre; e si spiega, se non si giustifica, l’eterna ingiusti-
zia con cui la legge ed il costume trattano la donna ad
eguale condizione, in confronto dell’uomo, nei rapporti
matrimoniali.
È inutile il ricordare che quello che non è nemmeno
una contravvenzione nel maschio è per la donna un
crimine gravissimo.
Si spiega anche, così, come la prostituzione, che do-
veva essere un titolo di clemenza giuridica e sociale per
molti riguardi (sfogo dato all’ardore dell’uomo, preven-
zione di delitti), sia divenuta pei popoli civili a mano a
mano un titolo d’infamia, e come essa esista, si può dire,
regolarmente, ufficialmente a tutto favore degli uomini,
mentre non esiste affatto o quasi per le donne, le quali
non ne avrebbero naturalmente bisogno.
La donna, dunque, sente meno, come pensa meno,
e così anche pel sesso si conferma la gran massima di
Aristotele: Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in
sensu.
E la sua ottusità dolorifica è darwiniana per non dire
teleologica; essa ci spiega perché così facilmente ricada
nella gravidanza malgrado i dolori del parto e malgrado
prenda così poca parte ai piaceri dell’amore. – L’uomo
non farebbe altrettanto.
È triste ma vero: la femmina, tra i bruti, i selvaggi ed
i popoli primitivi, è più crudele che pietosa, per quanto
meno crudele del maschio.
Dice Spencer delle donne selvaggie: «Noi sappiamo
che nei paesi dove c’è il costume di torturare i nemici le
donne sorpassano gli uomini in crudeltà; noi abbiamo
letto le atrocità commesse dalle due sovrane Dayake,
di cui il Rayah Brook ha fatto il racconto, e gli atti di
barbarie attribuiti da Winwood Reade ad una regina
dell’Africa. Le donne sono selvaggie quanto gli uomini;

Storia d’Italia Einaudi 573


Cesare Lombroso - Genio e follia

se non fanno tanto male, ne è causa la loro impotenza» (


Principes de sociologie, II, pag. 361).
Il grande fatto che ispira la pietà è la debolezza in tut-
te le sue forme: fanciulli, poveri, vecchi, malati, derelitti,
carcerati, condannati a morte, animali incapaci di dife-
sa, sono tutti deboli che implorano pietà e di cui la don-
na s’impietosisce: il valore eroico e potente, quello d’un
martire che si sacrifica alla sua idea, sfugge alla pietà e
rientra nell’ammirazione. Ma la donna ha avuto sin dal-
le origini della vita umana una grande funzione protet-
tiva della debolezza, la maternità; mentre l’uomo, getta-
to in mezzo alla lotta per l’esistenza, ha avuto invece una
funzione distruttiva della debolezza, si è incaricato della
selezione dei più deboli a favore dei più forti. Nel bam-
bino, nel vecchio, nel malato, nel perseguitato sono dei
tratti comuni, quelli in cui la debolezza si manifesta ed
implora; quindi, per associazione, la donna doveva a ma-
no a mano sentire più vivamente rinascere a ogni spetta-
colo della debolezza come un riflesso di quei sentimenti
teneri che eccitava in lei la prole. La pietà è un rampol-
lo del sentimento materno. E difatti, osservando la don-
na nei suoi atti di pietà e di carità, si rivede l’atteggia-
mento, il gesto, il profilo della madre; i sentimenti della
maternità noi li vediamo.
Uno di noi fu più volte consultato da donne, che si la-
gnavano come di una tortura dell’amore troppo positivo
del loro marito; una volta da tre sorelle quasi contempo-
raneamente; e sa di donne restate vergini anche dopo il
matrimonio. Ma non ebbe mai a vedere nulla di simile in
uomini normali.
«Una signora, scrive il Rimmel175 , che gode molta fi-
ducia presso le altre donne, mi raccontava che le ragazze
non amano infelicemente più d’una volta». Questo che il
Simmel dà come prova di maggior sensibilità, a noi prova
la sua relativa freddezza.

Storia d’Italia Einaudi 574


Cesare Lombroso - Genio e follia

«L’amore d’una donna aumenta coi sacrifizi che ella


fa al suo amante; più ella dà, più si attacca. Negli uomini
non è lo stesso; il piacere li stanca e la continuità della
felicità li annoia. Il desiderio li infiamma, la gioia li
raffredda, e la voluttà scioglie i nodi formati dall’amore».
Così scriveva Paul de Kock.
Questo fatto è in apparente contraddizione con il
maggior volume, numero e complicazione degli orga-
ni sessuali primari e secondari in confronto ai maschi
(mammelle, ovaia, utero, vagina, ecc.), e con l’altro fat-
to notorio e proverbiale che l’amore è la cosa più impor-
tante della vita femminile. «L’amore, scrisse Madame De
Stael, che è solo un episodio nella vita dell’uomo, è tut-
to nella vita della donna». Ognuno può osservare che la
grande preoccupazione di tutte le ragazze è l’uomo, il fi-
danzato, le nozze. Come si concilia questa contraddizio-
ne? Si concilia osservando che in lei prepondera sul bi-
sogno individuale il bisogno della specie, della materni-
tà, che solo spinge la donna verso l’uomo; l’amore fem-
minile è una funzione subordinata della maternità.
Se gli organi del sesso sono nella donna più complicati
e numerosi (vulva, utero, ovaia, ecc.) in gran parte però
essi non sono tanto genitali quanto maternali, e tanto più
lo sono gli organi sessuali secondari, le mammelle, i fian-
chi, il cuscinetto delle Ottentotte, ecc.; tutti questi appa-
rati, a differenza dei maschili, servono non all’accoppia-
mento, ma alla nutrizione e sviluppo del nuovo essere.
E le mammelle, i fianchi, ecc., sono solo per l’uomo più
raffinato nel tatto e nell’occhio apparecchi erotici perché
lo eccitano indirettamente al coito; ma in se non hanno
tale funzione, come si vede percorrendo la scala zoologi-
ca; ed anche nei nostri selvaggi (Cafre, Ottentotte, Au-
straliane, ecc.) in cui le mammelle, ridotte così spesso ad
una flaccida e lunga borsa che si ripiega sulle spalle, se
giovano al bambino, non eccitano certo l’amante.

Storia d’Italia Einaudi 575


Cesare Lombroso - Genio e follia

Anche psichicamente, il bisogno della specie, l’amor


di madre si innesta e prevale sul bisogno del sesso.
Nella donna, infatti, come già vedemmo nella femmi-
na degli animali, specie uccelli, e più ancora negli ime-
notteri, la madre prevale sulla sposa.
In complesso possiamo asserire che nella donna, come
nel fanciullo, il senso morale è inferiore. A chi dicesse,
che in tempi di costumi commerciali, l’onore, la lealtà,
ecc., perdono di pregio anche per l’uomo, e che il tele-
gramma falso di borsa vale bene la denunzia anonima di
una signora, noi risponderemmo che v’è tra l’uno e l’al-
tro la differenza che passa tra un soldato il quale ucci-
da un nemico da cui è minacciato e un soldato che ucci-
da un prigioniero inerme da cui un giorno fu offeso. La
slealtà di un banchiere è necessità suggeritagli dalla lot-
ta commerciale – se non tende oggi il tranello all’altro,
vi cadrà egli domani – e quindi relativamente normale
perché adattamento alle condizioni, sia pure passeggere,
della vita; mentre l’ira e la vendetta di una signora con-
tro una rivale che era meglio vestita di lei alla festa, è im-
morale, perché dipendente da eccessiva suscettibilità del
proprio egoismo, che si offende di quello che è per gli
altri l’esercizio di un diritto.
Anche qui ci rivediamo condotti alla psicologia del-
l’uomo primitivo, felice se il suo volto più impiastriccia-
to attira l’attenzione dei compagni, vendicativo così che
la vendetta diventa per lui un dovere religioso; e al fan-
ciullo, che piange di un favore accordato a un compa-
gno e negato a lui, come se lo avessero offeso in un suo
diritto.
Ciò che fa differenziare la donna dal fanciullo, per cui
non può dirsi che, come il fanciullo normale, essa ab-
bia in permanenza vestigia di pazzia morale, è la mater-
nità e la pietà, per cui essa non ha quel gusto del male
per il male, caratteristico del bambino (tortura di anima-
li, ecc.); ma – come dimostrammo nella crudeltà – è ne-

Storia d’Italia Einaudi 576


Cesare Lombroso - Genio e follia

cessaria una eccitazione o un carattere perverso, e quindi


eccezionale.
Ma la donna resta sempre fondamentalmente immo-
rale e spesso anche per causa della sua pietà. Così noi
non dubiteremo, pur restandone commossi come di un
primo albore di civiltà, di chiamare immorali quegli av-
visi delle donne selvaggie ai viaggiatori Europei di tener-
si in guardia contro i complotti dei loro mariti e fratel-
li, perché contrari agl’interessi del gruppo sociale; e rela-
tivamente immorali quelle denunzie dei proprii compli-
ci fatte, come vedremo, più spesso dalle donne crimina-
li e che dimostrano, anche nella criminalità, un minore
adattamento alla vita sociale.
La donna normale ha molti caratteri che l’avvicina-
no al selvaggio, al fanciullo e quindi al criminale (irosi-
tà, vendetta, gelosia, vanità), e altri diametralmente op-
posti che neutralizzano i primi, ma che le impediscono
di avvicinarsi nella sua condotta quanto l’uomo a quel-
l’equilibrio tra diritti e doveri, egoismo e altruismo, che
è il termine dell’evoluzione morale.
La principale inferiorità della intelligenza femminile
rispetto alla maschile è la deficienza della potenza crea-
trice.
Genialità Questa inferiorità si rivela subito nei gradi
più alti dell’intelligenza, nella mancanza di genii. Sebbe-
ne non manchino nomi di donne illustri: Saffo, Corin-
na, Telesilla, la Browning, la David John, la Gauthier, la
Ackermann, nella poesia; la Elliot, la Sand, la Stern, la
Stael, nella letteratura; la Bonheur, la Lebrun, la Marai-
no, la Sirani, nell’arte; la Sommerville, la Royer, la Tar-
nowski, la Germain, nella scienza; è evidente che siamo
lontani dalla grandezza dei genii maschili, di Shakespea-
re, di Balzac, di Aristotile, di Newton, di Michelangelo.
Se si considera poi la frequenza dei genii nei due sessi, la
superiorità dell’uomo è notoriamente enorme.

Storia d’Italia Einaudi 577


Cesare Lombroso - Genio e follia

Si è voluto da molti, per es. dal Sagnol176 , attribuire


questa inferiorità alle condizioni sociali, specialmente al-
la ignoranza in cui è tenuta la donna e ai pregiudizi che
le intralciano la via quando voglia darsi a un lavoro intel-
lettuale. Ma la ignoranza della donna non è un fatto co-
sì generale come si crede: nel cinquecento in Italia e nei
primi secoli dell’Impero romano le donne nelle classi alte
ricevevano la stessa educazione che gli uomini; nell’ari-
stocrazia francese del secolo scorso le donne erano istrui-
tissime e frequentavano le lezioni di Lavoisier, di Cuvier,
ecc., ecc.: pure anche in condizioni così favorevoli nes-
sun genio si rivelò. Quanto alle difficoltà dell’ambien-
te, esse non impedirono né alla Browning, né alla Som-
merville di emergere; e non sono in ogni modo maggiori
di quelle che incontra un genio povero: eppure dai ma-
schi delle plebi sorgono ben più soventi dei genii che non
dalle donne, anche delle classi ricche.
Di più è notevole, che, come dimostrò uno di noi, le
donne di genio presentano frequentemente caratteri ma-
schili, onde il genio potrebbe spiegarsi nella donna, co-
me Darwin spiegò il colorimento delle femmine eguale
al maschio in certe specie di uccelli, per una confusione
di caratteri sessuali secondari prodotto da incrocio del-
l’eredità patema e materna.
Mancanza di originalità, monotonia Se la mancanza
di genio vieta alla donna la grande creazione, essa è
meno adatta dell’uomo a quella piccola creazione, a cui
riesce la media degli uomini, perché manca di quella
originalità, che, ipertrofica nell’uomo di genio, si ritrova
in proporzioni più modeste e fisiologiche, per attività di
minor conto, negli uomini medii.
Difatti le donne mancano di inclinazioni speciali per
un’arte, una scienza, una professione: scrivono, dipingo-
no, ricamano, suonano; fanno le sarte, le modiste, le fio-
riste successivamente; buone a tutto ed a niente; ma non
portano che raramente l’impronta della propria origina-

Storia d’Italia Einaudi 578


Cesare Lombroso - Genio e follia

lità in nessun ramo. Come osservò Delaunay, se tutte,


o quasi, le donne fanno cucina, i grandi cuochi, i mae-
stri dell’arte, sono uomini; così sono più frequenti i nomi
di uomini rimasti celebri in una professione per qualche
specialità, che non quelli di donne (op. cit.).
È questo l’effetto di una minor differenziazione nelle
funzioni del loro cervello.
Nelle donne le idee sono stati di coscienza meno chia-
ri, più pallidi e meno definitivamente circoscritti; come
la sensibilità periferica e la morale così la sensibilità in-
tellettuale è minore. Le donne sentono meno lucidamen-
te le idee. È questa una conseguenza della minore sen-
sibilità? Forse; ma forse anche è con la minor sensibili-
tà effetto di una causa unica e superiore, il minor svilup-
po del cervello, che, come avverte meno intensamente le
sensazioni, così avverte meno quelle successive trasfor-
mazioni delle sensazioni che sono le idee. Tanto più per-
ché è probabile che la maggior sensibilità dell’uomo di-
penda da un più alto sviluppo del cervello e non da una
perfezione maggiore degli organi periferici, essendo per
questi, almeno per alcuni, di poco inferiore la donna.
Ciò spiega anche la minore potenza creatrice della
intelligenza della donna.
Essendo le idee in essa stati di coscienza meno nitida-
mente determinati, hanno minor forza di associazione;
Spencer infatti dimostrò che l’associabilità è in rapporto
diretto della determinatezza degli stati di coscienza; co-
sì quelli della vista lo sono più che quelli del tatto. Ora
dalla forza attrattiva maggiore o minore delle imagini e
delle idee risulta la facoltà creatrice in tutte le sue for-
me, dalla piccola originalità sino al massimo del genio;
che non è se non una potenza associativa enormemente
sviluppata per cui idee lontanissime hanno potere di at-
trarsi e creare la nuova scoperta o il nuovo capolavoro
artistico.

Storia d’Italia Einaudi 579


Cesare Lombroso - Genio e follia

Cause È innegabile che di questo sviluppo inferiore


dell’intelligenza sia stata concausa la inerzia forzata degli
organi a cui l’uomo ha costretto la donna. Ma sarebbe un
errore indicare questa cagione come artificiale, mentre è
anche essa naturale e rientra in quel fenomeno generale
della partecipazione maggiore, in tutta la scala animale,
del maschio alla lotta per la vita. È il maschio che
specialmente lotta per la difesa della specie; di più egli
lotta per la conquista della femmina, nel mondo umano
ancor più che nel mondo zoologico, perché eliminato, o
quasi, il coefficiente della scelta della femmina, l’uomo
è padrone di scegliersi la donna, ma a patto di avere
assolutamente debellato i rivali. Mentre tra gli animali
accade talora che mentre due maschi lottano, la femmina
fugge con un terzo più debole, ma più simpatico.
Difatti che non tanto il lavoro in se, quanto il biso-
gno di dover sorpassare i rivali nella propria attività, ab-
bia sviluppato l’intelligenza dell’uomo, lo dimostra il fat-
to che presso un gran numero di selvaggi è la donna che
lavora (pianta la capanna, tesse, ecc., ecc.), mentre l’uo-
mo guerreggia e caccia: eppure la donna non vi è più
intelligente.
Si aggiunge – altra causa naturale – che l’uomo cam-
bia continuamente di condizione di vita e di attività, per-
ché di rado il figlio esercita lo stesso mestiere in egua-
li circostanze del padre; mentre la donna deve consacra-
re una parte preziosa del suo tempo alle cure della ma-
ternità che sono sempre le stesse e che quindi non ecci-
tano e sviluppano l’intelligenza come i mutamenti con-
tinui dell’uomo. Così nell’antichità, e al presente, sono
specialmente gli uomini che emigrano.
Ma sotto tutte queste cause ve n’ha una biologica che
ne è il fondamento. Al pari che per la struttura organica,
per l’intelligenza, il maschio ha una potenzialità primiti-
va di sviluppo superiore alla femmina, grazie alla parte
minore che ha nella riproduzione della specie. Come di-

Storia d’Italia Einaudi 580


Cesare Lombroso - Genio e follia

mostrò uno di noi (Lombroso, Di un fenomeno [fisiologi-


co] comune ad alcuni [nevrotteri ed] imenotteri, Verona,
1853), la intelligenza in tutto il regno animale varia in ra-
gione inversa della fecondità; c’è un antagonismo tra le
funzioni di riproduzione e le intellettuali, come tra la ge-
nesi, l’accrescimento e la struttura. Ora, essendo il lavo-
ro della riproduzione in gran parte devoluto alla donna,
per questa cagione biologica essa è rimasta indietro nello
sviluppo intellettuale.
Difatti le api, le termiti e le formiche hanno acquistata
la superiorità dell’intelligenza sulle altre femmine della
specie col sacrificio del sesso, mentre la regina che è
feconda è anche stupida; e man mano che le specie
selvaggie si van avvicinando alle sociali le femmine vi
si fan meno feconde; le femmine degli uccelli cantori
cantano quando sono segregate dal maschio, e, come
notò Wirey, le donne di alta intelligenza sono spesso
sterili.
Date tutte queste cagioni, c’è piuttosto da meravigliar-
si che la donna non sia anche meno intelligente di quel-
lo che è, ciò che non si può spiegare se non supponen-
do con Darwin, che una parte dell’intelligenza acquista-
ta dal maschio si trasmette anche alla donna, altrimenti
lo slivello sarebbe anche maggiore.
Certo una maggior partecipazione alla vita collettiva
della società, innalzerà l’intelligenza della donna; difatti,
essa nelle razze più evolute, come in Inghilterra e nell’A-
merica del Nord, comincia a dare i suoi frutti; sicché la
più gran parte del giornalismo letterario ed artistico è a
lei sola affidato.
Si disse che la genialità della donna è la bellezza.
È questo un vuoto epigramma che non ha bisogno
di essere confutato: non possiamo nemmeno dire che
la bellezza raccolga l’ammirazione che nell’altro sesso
spetta al genio, perché mentre essa è ambita, sempre,

Storia d’Italia Einaudi 581


Cesare Lombroso - Genio e follia

e da tutti ammirata, subito, il genio non raccoglie gli


applausi che... dopo morte.
Piuttosto sarebbe giusto dire che il genio della donna
sta nella pietà, anch’essa spesso mal corrisposta e deri-
sa, anch’essa impulsiva e spontanea, e anch’essa spesso
legata alla nevrosi, isterica in specie177 .
Ma se il genio è quasi negato alla donna, non lo è pun-
to il talento, anzi quello che è spesso genio nell’uomo,
è talento nella donna: essa nelle cose pratiche riesce di
più perché il genio vive sempre fuori di questo mondo,
mentre il talento è tutto di questo.
E mentre il genio consuma se stesso in pro degli altri,
l’ingegno della donna converge sempre in proprio favo-
re, e con quel tatto, quella conoscenza fina, istintiva del-
l’uomo, se essa l’applica nella politica, la fa un’eccellen-
te donna di governo e di partito (v.. s.); se essa l’appli-
ca all’educazione la fa la migliore delle maestre, comeché
è omai ammesso ch’esse superano gli uomini nella didat-
tica inferiore. Costrette dall’uomo a perfezionarsi nella
bellezza o a supplirvi colla grazia, riescono a moltiplica-
re le proprie doti naturali, a coniare un vero mundus mu-
liebris, mondo della grazia, del buon gusto, in cui essa
regna sola e sovrana.
Noi abbiamo veduto e dimostrato che non son solo le
occasioni che causano la inferiorità della donna; ma non
è possibile ammettere che questa eterna esigenza della
sola bellezza, questo ribrezzo che mostriamo noi, alme-
no in Europa, per la donna di vero ingegno, deve aver
operato una selezione alla rovescia, facendovi scompari-
re o celare ogni tendenza allo studio, ogni lampo d’in-
gegno originale, per vantaggiare la lotta sessuale, come
farebbe nascondere una mostruosità corporea, forse più
ancora di questo, perché vi hanno gli anomali, e molti, a
cui piace l’anomalia corporea femminile, ma assai pochi
a cui garbi altrettanto quella del genio, ch’è una protesta

Storia d’Italia Einaudi 582


Cesare Lombroso - Genio e follia

a quella schiavitù rosata, a cui noi vogliamo sottoporre la


donna, anche la più cara.
È certo, però, che là dove la maggior tenacia della don-
na e il minore pregiudizio degli uomini hanno aperto uno
spiraglio alla coltura femminile, ivi, se non il genio, si ma-
nifestò un talento pari o superiore alla media maschile.

2
La forma della criminalità femminile

Sesso Tutte le statistiche s’accordano nel dimostrare


quanto scarsa sia la quota che dà il sesso femminile in
confronto al virile nella delinquenza e la quota s’assot-
tiglierebbe ancor più se, e come sopra dimostrammo e
come mostrano indirettamente le statistiche delle molte
assoluzioni, noi escludiamo dalla delinquenza abituale le
infanticide.
In Austria le donne ree non giungono al 14 per cento
del totale; in Spagna all’11; in Italia all’8,2.
Se non che se ciò può dirsi pei delitti gravi verissimo,
per gli altri io credo che la statistica copra un equivoco,
poiché, se non davanti al giurista, certo davanti alla pub-
blica opinione, le prostitute dovrebbero contarsi fra la
popolazione criminale, ed allora le partite fra i due ses-
si sarebbero pareggiate, e forse il sesso debole avrebbe
una prevalenza. Secondo Ryan e Talbot, ogni 7 donne
di Londra, e ad Amburgo ogni 9 ragazze, si conterebbe
una prostituta. – Noi in Italia n’abbiamo 9000 di ricono-
sciute; e nei grossi centri 18, e fino 33 per 1000 abitanti
(Castiglioni, Sulla prostituzione. Roma, 1871).
E la triste quota si è raddoppiata, decuplata in alcuni
paesi. A Berlino, da 600 che erano nel 1845, crebbero
a 9653 nel 1863. Du Camp calcola a 120000 le sole
clandestine di Parigi negli ultimi anni (Paris, 1876).

Storia d’Italia Einaudi 583


Cesare Lombroso - Genio e follia

Un egregio statista scriveva: «La prostituzione è alle


donne quello che il delitto è agli uomini» (Corne, Journ.
des Économistes, 1868, p. 89).
Altrettanto vedemmo ripetuto, e quel che è meglio
provato, dal Dugdale colla genealogia degli Juke (p.
270). Anch’essa è causata dalla miseria e dalla pigrizia;
ma soprattutto dall’alcoolismo, dalla eredità e dalla spe-
ciale tendenza dell’organismo. E noi abbiamo veduto e
vedremo sempre più come gli stessi caratteri fisici e mo-
rali del delinquente si possano applicare alle prostitute,
e quanta sia la loro reciproca simpatia.
Già vedemmo nel capitolo della sensibilità sessuale
che le prostitute presentano, salvo poche eccezioni, una
notevole frigidità sessuale congiunta, e in apparente con-
trasto, ad una notevole precocità. Abbiamo dunque qui
un viluppo di contraddizioni: una professione, cioè, emi-
nentemente sessuale, esercitata da donne in cui la sessua-
lità è quasi abolita; e queste stesse donne – mentre han-
no fiacca o pervertita la sessualità – si danno al vizio con
una precocità vertiginosa, in un’età in cui non sono nem-
meno talora fisiologicamente adatte all’amplesso. Qual è
dunque la genesi della prostituzione? La psicologia della
prostituta ce la svelerà dimostrandoci che essa non è da
cercarsi nella sua lussuria, ma nella sua pazzia morale.
Pazzia morale. Sentimenti famigliari Già la Tarnowsky
aveva intuito che un certo numero di prostitute s’avvici-
na molto al pazzo morale; un esame minuto di molti ca-
si ci mostrerà come la pazzia morale sia frequentissima
nelle prostitute-nate, anzi ne determini il tipo.
Se ne trova subito una prova nell’assenza degli affetti
più naturali, come gli affetti di famiglia, nella precoce
cattiveria, nella gelosia, nello spirito spietato di vendetta.
Pazzia morale e prostituzione innata La prostituta-nata
è dunque priva di maternità, senza affetti famigliari, sen-
za scrupoli d’onestà nella soddisfazione dei proprii desi-
deri, sian questi grandi o piccoli, a seconda del vario gra-

Storia d’Italia Einaudi 584


Cesare Lombroso - Genio e follia

do di intelligenza individuale e talora criminale nelle for-


me più miti di criminalità: presenta perciò intero il tipo
della pazzia morale. Ed ecco, anche, spiegata la mancan-
za del pudore che entra nel quadro della pazzia morale;
essa è quasi il lato caratteristico della pazzia morale nel-
la donna. Siccome tutto lo sforzo della evoluzione mora-
le si è concentrato, in riguardo alla donna, a creare e raf-
forzare sopratutto il pudore, la massima degenerazione
morale, cioè la moral insanity, deve produrre per effet-
to la perdita di quel sentimento, come nell’uomo produ-
ce la perdita di quei sentimenti, che più fortemente la ci-
viltà inculca, qual è il rispetto della vita umana, ecc. ecc.
E connessa con la mancanza del pudore e con la pazzia
morale, e quasi il loro coronamento, è quella loro facilità
ad accettare con indifferenza, talora con gioia, una pro-
fessione infamata dal mondo e che le pone al bando della
società.
Si risolve così anche la contraddizione apparente tra la
professione di meretrice e la frigidità sessuale. I deside-
ri sessuali più intensi del normale non conducono neces-
sariamente una donna alla prostituzione; una donna co-
sì fatta sarà una moglie molto esigente verso il marito, o
che anche, oltre il marito, si accorderà dei supplementi,
e, quando il desiderio la prenda, cederà ad un uomo ap-
pena conosciuto; ma non si prostituerà. Quindi il pudo-
re può ancora esistere, solo che, di quando in quando,
sarà vinto dai più forti eccitamenti sessuali. Invece, se le
altre divengono prostitute non ostante la freddezza ses-
suale, la causa determinante consiste, non nella lussuria,
ma nella pazzia morale; mancanti di pudore, insensibili
all’infamia del vizio, anzi attirate verso tutto ciò che è vie-
tato da una specie di gusto morboso, esse si danno a quel
genere di vita, perché vi trovano la maniera migliore per
guadagnarsi l’esistenza senza lavorare. La freddezza ses-
suale è anzi per loro un vantaggio, quasi un adattamen-
to darwiniano, perché per una donna troppo facilmente

Storia d’Italia Einaudi 585


Cesare Lombroso - Genio e follia

eccitabile la vita della prostituta sarebbe esauriente; per


esse il coito è un atto insignificante, sia moralmente che
fisicamente, e gli si danno perché rende molto. E il fat-
to che il germe della prostituzione sia nella pazzia mora-
le e non nella lussuria, ci spiega anche la precocità; giac-
che questa non è che un aspetto di quella generale pre-
cocità al male dei pazzi morali: i pazzi morali mostrano
sin da fanciulli una tendenza morbosa a far tutto ciò che
è vietato.
Tanto più poi si doveva notare questa precocità nella
prostituzione, perché è tra le tendenze al vizio una che
per mostrarsi non trova nell’età giovanile impedimento:
per assassinare o rubare non basta la malvagità, di cui
può essere capace anche un fanciullo; ci vuole anche
la forza, ma di fare un tentativo di coito ogni perversa
ragazza è capace.
L’ultima prova, infine, che con la prostituzione innata
siamo innanzi ad un traviamento morale e non sessuale,
lo si ha nel fatto che si trova talora una precoce prostitu-
zione morale accompagnata dalla più scrupolosa vergini-
tà. Tale il caso di quelle mantenute dei monarchi France-
si, che calcolavano sino da bambine di governare il pae-
se dal letto del re: nelle carte della marchesa di Pompa-
dour si trovò un cenno di pensione a M. Lebon, perché
le aveva predetto a 9 anni che sarebbe diventata l’amante
del re; e Felicita di Nesle, come dimostrarono i De Gon-
court, architettava i modi di rimpiazzare la sorella nel po-
sto di mantenuta reale quando, ancora ragazzina, era rin-
chiusa nel convento di Port-Royal. Era adunque un vizio
del senso morale, non già soverchio ardore sessuale, che
le portò alla triste ed alta carriera.
La genesi, adunque, delle prostitute-nate è nella paz-
zia morale.
Prostituzione e criminalità Ci è ora lecito risolvere con
dati sicuri la tanto dibattuta questione dei rapporti tra la
prostituzione e la criminalità.

Storia d’Italia Einaudi 586


Cesare Lombroso - Genio e follia

L’identità psicologica come l’anatomica tra il crimina-


le e la prostituta-nata non potrebbe essere più compiu-
ta: ambedue identici al pazzo morale, sono per assioma
matematico eguali fra loro. La stessa mancanza di senso
morale; la stessa durezza di cuore in entrambi; lo stesso
gusto precoce del male; la stessa indifferenza della infa-
mia sociale che fa sopportare all’uno la condizione di ga-
leotto e all’altra quella di donna perduta; la stessa impre-
videnza, mobilità, tendenza all’ozio; lo stesso gusto per i
facili piaceri, per l’orgia, per gli alcoolici; la stessa o qua-
si la stessa vanità. La prostituzione non è che il lato fem-
minile della criminalità. E tanto è vero che prostituzione
e criminalità sono due fenomeni analoghi o, per dir co-
sì, paralleli, che alle loro estremità si confondono, e ve-
diamo spesseggiare tra la prostituzione le forme più miti
del reato, come il furto, il ricatto, il ferimento. La prosti-
tuta è adunque una criminale, psicologicamente: se non
commette reati, si è perché la debolezza fisica; la scarsa
intelligenza, la facilità di procurarsi tutto ciò che deside-
ra con il mezzo più facile e quindi, per la legge del mini-
mo sforzo preferito, della prostituzione, ne la dispensa;
e appunto per questo rappresenta la forma specifica del-
la criminalità femminile, giacche le donne criminali so-
no sempre straordinariamente anomale e mostrano una
cattiveria estrema più che quella del maschio o caratte-
ri, anche biologici, maschili; sono quindi fenomeni inte-
ramente eccezionali, che confermano doversi cercare la
criminalità vera delle donne nella prostituzione. E que-
sto anche ci spiega perché tra esse predominano le for-
me più miti di reato: essendo identiche ai criminali, bat-
tono con questi la stessa via sin dove le loro forze arriva-
no: al di là la loro degenerazione si sfoga nella forma spe-
cifica della prostituzione. E noi abbiamo conosciuto una
ragazza, P..., ladra fin da bimba, che abbandonò il furto
quando, adulta, divenne prostituta.

Storia d’Italia Einaudi 587


Cesare Lombroso - Genio e follia

Che poi queste donne non commettano delitti, o mol-


to più raramente, dannosi alla società; che anzi la loro
forma speciale di criminalità, la prostituzione, sia in un
certo senso socialmente utile, come sfogo alla sessualità
maschile e come preventivo di delitto, non monta. An-
che il criminale può trasformarsi un momento o anche
apparire solamente sotto forma di eroe; ma non resta per
questo meno psicologicamente un criminale, per quan-
to la sua criminalità si sia sfogata questa volta in modo
anche utile.
Ma noi qui ci fondiamo, sopratutto, sulla struttura in-
tima della psiche, identica nei criminali e nelle prostitute-
nate, salvo le differenze sessuali in perfetto accordo con
le differenze generali della psiche maschile e femminile:
noi possiamo dunque asserire che delitto e prostituzio-
ne sono le due forme, maschile e femminile, della crimi-
nalità, senza occuparci ora della loro diversa importanza
sociale.
Secondo noi, la prostituzione e non la criminalità è la
vera degenerazione femminile: perché le criminali-nate
sono eccezioni rarissime e mostruose; le criminaloidi non
sono spesso che donne, nelle quali disgraziate condizio-
ni di esistenza hanno sprigionato quel fondo d’immora-
lità che esiste in ogni donna, anche normale. Il furto e
la frode, ad es., non sono ancora di per sé soli indizio
di una grande perversità in una donna, perché il rispet-
to alla proprietà non è tra i suoi sentimenti più forti (V.
Parte I), e quindi per infrangerli non c’è bisogno d’una
grave degenerazione. Ma il pudore è invece il più for-
te sentimento femminile, dopo la maternità: quello alla
cui creazione e consolidazione tutta l’evoluzione psichi-
ca della donna lavora da tanti secoli con estrema energia;
quindi anche quella donna che, senza mancare origina-
riamente di pudore, facilmente lo perde, deve essere più
profondamente anomala che la donna la quale sotto gra-
vi tentazioni perde il rispetto alla proprietà altrui. Que-

Storia d’Italia Einaudi 588


Cesare Lombroso - Genio e follia

sto fatto è pressoché normale; l’altro è invece molto ano-


malo. Questa è la ragione per cui la prostituta occasiona-
le presenta quasi sempre molti caratteri comuni, sebbe-
ne più attenuati, con la prostituta-nata; mentre la crimi-
naloide, che è quasi normale, ne presenta meno di comu-
ni con la criminale-nata, che è un’eccezione doppia sotto
molti aspetti e una mostruosità sporadica.

3
Criminali, epilettiche, isteriche

Quota del tipo [...] Chiamiamo tipo completo la riunione


di quattro e più caratteri degenerativi; mezzo tipo la
presenza di almeno tre caratteri degenerativi; zero tipo
la presenza di una o due sole anomalie fisiche o la loro
mancanza.
Da questo studio riassuntivo risulta:
1) La scarsezza del tipo criminale nella donna rea
rispetto all’uomo delinquente: stando al nostro gruppo
omogeneo (286) il tipo si presenta nel 14%, e tenendo
conto di tutte le altre osservazioni si giunge al 18 %, cifra
minore quasi della metà di quella riscontrata nell’uomo
delinquente-nato, 31 %; mentre questo tipo nella donna
normale non trovossi che nel 2%.
In questa scarsezza del tipo criminale si accordano
completamente tutti gli osservatori; infatti, dalle osser-
vazioni di Marro risulta l’assenza del tipo nel 58,7%, in
quelle della Tarnowsky nel 55%, dalle nostre esamina-
te all’ergastolo 55,9%, da quelle esaminate in carcere nel
55,8%; si ha cioè una media di 57,5% di ree mancanti di
tipo criminale.
Corrispondentemente il mezzo tipo risulta in propor-
zione pressoché costante, nel 22% in Marro, nel 21%
nella Tarnowsky, nel 29% nelle nostre dell’ergastolo, nel

Storia d’Italia Einaudi 589


Cesare Lombroso - Genio e follia

28,9% nelle nostre del carcere, in media insomma nel


25,20%.
2) La donna prostituta si differenzia notevolmente dal-
la criminale per la frequenza molto maggiore del tipo che
dalle osservazioni di Grimaldi risulterebbe nel 31%, da
quelle della Tarnowsky nel 43%, dalle nostre nel 38%;
insomma si ha una media del 37,1%. A questa conclu-
sione eravamo già venuti studiando i singoli caratteri, e
più ancora studiando in modo completo i diversi tipi del-
le prostitute-nate, come noi le chiamiamo, in confronto
colle comuni donne criminali.
3) Differenziando ora la donna criminale secondo i di-
versi crimini, le nostre ultime osservazioni sulle 286 cri-
minali, fatte senza conoscere prima la natura del delitto e
classificate dopo quando ci venne questo comunicato, ci
mostrano prevalere il tipo criminale nelle ladre, 15,3% e
16%, e nelle assassine, 13,2%, ma più ancora nelle con-
dannate per corruzione, 18,7%, in cui erano comprese
vecchie prostitute. La minor frequenza trovasi nelle truf-
fatrici, 11%, e infine nelle infanticide, 8,7%, che meglio
rappresentano nella donna il crimine d’occasione.
Con uno studio ancora più preciso, la Tarnowsky ci
mostra la prevalenza delle omicide sulle ladre e delle
prostitute su tutte le altre e le varie proporzioni nelle
anomalie178 :
Oneste 150 Omicide Ladre 100 Prostitute
100 100
0 anomalie 32% 10% 40% (%
1 » 35 ( 6 4
2 » 26 14 18 12
3 » 4 38 22 22
4 » 2 16 14 30
5 » ( 16 20 16
6 » ( 4 10 12
7 » ( 2 6 22

Storia d’Italia Einaudi 590


Cesare Lombroso - Genio e follia

in cui è evidente il crescendo dei caratteri man mano


che saliamo, dalle oneste che ci danno il massimo delle
esenti da anomalie, alle prostitute, che non ci danno
alcuna esente – e che, viceversa, colle omicide ci danno
il numero massimo delle molteplici anomalie.
È evidente, però, a chi conosce la frequenza dei ca-
ratteri anormali dei rei tipici maschi, che in confronto a
questi le ree più tipiche sono quasi normali.
Ragioni atavistiche e sociali della scarsezza del tipo
Questa straordinaria scarsezza delle anomalie, che an-
cor più esattamente ci si rivelò nei cranii (i rei maschi
ne diedero 78%, mentre le ree 27% e le prostitute 51%)
(Ved. pag. 286), non è un fenomeno nuovo nella don-
na, anzi nella femmina, e non è in opposizione col fatto
verissimo, che essa è più indietro nello stadio atavistico,
e quindi dovrebbe essere più ricca di mostruosità. Noi
vedemmo che solo alcune mostruosità sono in lei in au-
mento, ma questo quando si tratta di vere forme morbo-
se, che accennano a completo turbamento dell’ovulo; in-
vece, l’inverso accade quando la mostruosità si riduce a
quell’anomalia più ristretta, la fisionomica, che costitui-
sce il carattere degenerativo, il tipo, tanto che nel cretini-
smo, nella pazzia, e, quel che più importa a noi, nell’epi-
lessia, esso si manifesta nella donna assai meno spiccato
e frequente; e, come vedemmo a pag. 35 e 36, le anoma-
lie scarseggianvi, anche nelle normali, in modo straordi-
nario in confronto all’uomo; e noi vedemmo che, meno
poche eccezioni in animali inferiori, ciò si verifica in tut-
ta la scala zoologica, che ci presenta una minore variazio-
ne nella femmina in confronto al maschio; perciò, come
ben nota Viazzi ( Anomalo, 1893) le femmine delle varie
specie danno meglio nelle loro forme i caratteri comuni
al genere al quale appartenevano; e suol dirsi quindi dai
naturalisti179 che il tipo di una specie è rappresentato più
schiettamente dalla femmina che dal maschio; ciò che si
può estendere anche al mondo morale.

Storia d’Italia Einaudi 591


Cesare Lombroso - Genio e follia

Ora, ammesso come generale il fatto che il tipo pri-


mitivo di una specie è rappresentato più schiettamente
dalla femmina, se ne deve necessariamente arguire che
le forme tipiche della nostra razza, meglio organizzate e
fissate nella donna per ragione di tempo e di lunghissima
eredità, poiché minori furono le variazioni anche nei pre-
decessori, più difficilmente vi si trasformano o si defor-
mano sotto l’azione di quelle influenze che determinano
variazioni speciali e regressive nel maschio (Id.).
Un’altra influenza evidentemente grande ebbe poi in
ciò la scelta sessuale, perché il maschio rifiutava, in origi-
ne, anzi, mangiava la donna deforme, preferendo e con-
servando la aggraziata che gli favoriva l’estro sessuale; es-
sendo la scelta ormai nelle sue mani come del più forte.
E noto l’aneddoto di quel selvaggio Australiano che in-
terrogato perché non ci fossero donne vecchie nel paese,
rispose: «Perché le mangiamo», e a chi gli obbiettava co-
me potevano trattar così le loro mogli, rispose: «Per una
che perdiamo, ne restano ancora mille». – Certo quella
che perdettero più presto non era la più bella, ne la più
aggraziata. Solo quando alcune anomalie non incontrano
l’ostacolo della scelta sessuale, perché l’uomo se ne gio-
va per altre cause, o non ne ha fastidio, o non vi dà im-
portanza, come nell’anomala disposizione delle piccole
labbra, come nello strano cuscino delle Ottentotte (Ved.
Tav. I e II), che se ne giovano pel trasporto dei figli; so-
lo allora esse predominano nella donna di una data tri-
bù e, per quella tenacia che presentano tutti i caratteri
femminili, vi assumono un carattere stabile, perpetuo.
Un’altra ragione che rende nella donna meno frequen-
te il tipo, è che la vera criminale-nata vi è assai più rara;
e ciò per causa atavistica, perché è minore la sua ferocia
allo stato selvaggio (Ved. pag. 83) e tanto più quanto
più s’incivilisce (pag. 88); perciò la criminale d’occasio-
ne, che non si distingue fisionomicamente dalle normali,
vi prende assai più piede: quindi non vi è ragione perché

Storia d’Italia Einaudi 592


Cesare Lombroso - Genio e follia

la rea abbia caratteri speciali: tanto più che quando an-


che la criminalità vera vi fa capolino, appartiene di più a
quella specie, come adulterio, calunnia, truffa, manuten-
golismo, che necessariamente ha minori caratteri, perché
una fisionomia ripugnante sarebbe un ostacolo preventi-
vo, insuperabile a quei reati.
Ma se la donna primitiva non fu che di raro assassina,
fu, come provammo sopra (pag. 213, 215, 218), sempre
prostituta, e restò tale quasi fino all’epoca semi-barbara;
quindi anche atavisticamente si spiega che la prostituta
debba avere più caratteri regressivi della donna crimina-
le.
A queste osservazioni, che tutte convergono a risolve-
re il singolare problema, credo si possa aggiungere: che
nella donna come negli animali inferiori, specialmente
nella donna poco civile, nella barbara, essendo meno at-
tiva che nell’uomo la corteccia cerebrale, specialmente
nei centri psichici, la irritazione provocata dalla degene-
razione vi si fissa meno costantemente e meno tenace-
mente, e produce con più facilità l’epilessia motoria ed
isterica o la anomalia sessuale, che non la criminale, allo
stesso modo che così raramente vi provoca la geniale.
Così le febbri e le sostanze narcotiche provocano nel-
l’uomo delirii, ebbrezze, pazzie, ecc. (e più nell’incivili-
to che nel selvaggio) – mentre negli animali, specie negli
inferiori, anche i più forti narcotici non provocano feno-
meni psichici notevoli.
E questo spiegherebbe perché la criminalità femmini-
le cresca colla civiltà. – Sarebbe dunque la criminale, in-
somma, una specie di reo d’occasione, con pochi carat-
teri degenerativi, poca ottusità, ecc., e che, come questo,
si moltiplica sempre più, quanto più le occasioni si fanno
numerose: mentre le prostitute riprodurrebbero più ata-
visticamente la donna primitiva, la Venere vaga, e perciò
darebbero, come vedremo poi, maggiore ottusità tattile,
gustativa, più frequente tatuaggio, ecc.

Storia d’Italia Einaudi 593


Cesare Lombroso - Genio e follia

Insomma, la criminale ha meno tipica fisionomia, per-


ché è meno criminale del maschio: perché la donna pre-
senta già, in tutte le degenerazioni, meno deviazioni del
maschio; perché la donna, essendo organicamente con-
servatrice, conserva i caratteri del tipo medio anche nel-
le aberrazioni: inoltre, essendo suprema necessità per lei
la bellezza, questa sornuota agli assalti delle degenera-
zioni. Ma non si può negare che, quando la malvagità è
profonda, allora la legge generale, che marchia col tipo
il delitto, vince ogni ostacolo, almeno nelle razze più ci-
vili (Ved. Tav. V): ma ciò sopratutto quando è prosti-
tuta, perché questa assai più della criminale richiama il
tipo primitivo della donna.
Atavismo Né manca, nelle linee precipue di questo
tipo, l’influsso atavistico. – Lo vedemmo spiegarne la
scarsità.
Anche la precocità che spicca tanto in alcune prostitu-
te (Ved. fig. 12 e 13), che illude tanti sulla loro bellezza,
è notorio carattere atavistico.
Ed è pure fenomeno atavistico, quella virilità che for-
ma quasi tutto il nucleo del tipo criminale: perché noi
nella femmina sopratutto cerchiamo la femminilità; e
quando vi troviamo l’inverso, concludiamo pel massi-
mo dell’anomalia. Per ben comprendere la portata e la
ragione atavistica di questa anomalia, ricordiamo come
uno dei caratteri speciali della donna selvaggia sia ap-
punto la virilità. Io non ho, per provarvelo, miglior mo-
do che quello di presentarvi, tolti dalle tavole del Ploss (
Das Weib, terza ediz., 1890) i ritratti di Veneri america-
ne (Ved. fig. 14 e 15) e negre, che si stenterebbero a cre-
dere di donne, tanto la mandibola e gli zigomi sono vo-
luminosi, i tratti duri e grossi: e così accade spesso del
cranio e del cervello (v. s.).
Siccome il crimine è soprattutto un rigermoglio del-
l’uomo primitivo, così quando si manifesta nella donna
– ci presenta i due caratteri più salienti della donna pri-

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Fig. 14. Femmina negra

Fig. 15. Fanciulla patagona

Storia d’Italia Einaudi 595


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mitiva, che è la precocità e la minore differenziazione dal


maschio – minore differenziazione che la segue nella sta-
tura, nel cranio, nel cervello, nella forza assai superiore
a quella della donna moderna (Ved. sopra, pag. 25, 26,
31), – caratteri questi, del resto, che possiamo trovare in
parte nei nostri contadi, specie delle isole.
Tale è in complesso la fisonomia morale della crimina-
le-nata, che mostra cioè una tendenza fortissima a con-
fondersi col tipo maschile. Quell’atavica diminuzione
dei caratteri sessuali secondari, che notammo già nell’an-
tropologia, ritroviamo ora nella psicologia della donna
criminale, che per l’erotismo eccessivo, la debole mater-
nità, il piacere della vita dissipata, l’intelligenza, l’auda-
cia, il predominio sugli esseri deboli e suggestionabili, ta-
lora anche per la forza muscolare, il gusto degli esercizi
violenti, dei vizi e fin degli abiti, riproduce a vicenda ora
l’uno, ora l’altro dei tratti maschili. A questi caratteri vi-
rili vengono ad aggiungersi spesso le qualità peggiori del-
la psicologia femminile: esageratissima l’inclinazione al-
la vendetta, l’astuzia, la crudeltà, la passione pel vestia-
rio, la menzogna, formando così frequentemente dei tipi
d’una malvagità che sembra toccare l’estremo.
Naturalmente tutti questi caratteri si trovano in diver-
se proporzioni nei singoli individui: c’è per es. la crimi-
nale dotata di forza muscolare virile, ma a cui fa difet-
to l’intelligenza, come la Bouhours, la P...; e la criminale
debole, che supplisce con l’ingegnosità dei suoi piani al-
la mancanza di forza, come la M... Solo quando per una
disgraziata combinazione questi caratteri si trovano tut-
ti riuniti in una sola persona, si hanno i tipi più terribili
della criminalità femminile.
Delinquenti epilettiche Quello stesso rapporto che ab-
biamo scoperto nei maschi fra la pazzia morale e l’epi-
lessia, noi l’abbiamo trovato ancora nelle femmine. Se-
nonché qui, la epilessia come appunto la follia morale,
è straordinariamente più scarsa che nei carcerati maschi.

Storia d’Italia Einaudi 596


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E ciò dicasi anche per la epilessia motoria, che da uno


studio del Marro vi risulta inferiore di 1/3 ai maschi rei.
Secondo i suoi calcoli in 6 anni e 1/2 si notarono nel
carcere di Torino su 23333 rei, 0,66% epilettici maschi;
su 3358 ree, 0,22% epilettiche; mentre, prendendo una
media della statistica di Morselli e Sormani, si hanno
nella popolazione media maschile in Italia al più 0,25 a
27% di epilettici e 0,27 in Francia (Charvin).
Ma molto più scarsa è l’epilessia psichica, la follia
epilettica: come si può verificare studiando le statistiche
dei pazzi epilettici nelle carceri.
Questa straordinaria differenza, che non è d’accordo
colla differenza dell’epilessia motoria, non può spiegar-
si se non perché la corteccia cerebrale nella donna, se è
ugualmente irritabile che nel maschio nei centri motori,
lo è molto meno nei centri psichici, appunto perché que-
sti sono meno prevalenti. Infatti, Tonnini pure osserva
che l’epilessia nelle femmine provoca più spesso demen-
za, imbecillità, che pazzia: vi desta, cioè, minori anoma-
lie psichiche, come, del resto, assai minori anomalie de-
generative, 16 in femmine a 27 in maschi, mentre l’in-
verso accade delle pazze le cui anomalie sono superiori a
quelle dei maschi, come 8 a 12.
Avendo uno di noi dimostrato che una gran parte del-
le psicopatie sessuali, specialmente le più gravi e straor-
dinarie, le sadiche, le masochistiche, sono varietà epilet-
toidi che fissano il primo momento dell’eccitazione ses-
suale nell’epoca pubere lo perpetuano nella vita dell’in-
dividuo, la loro quasi completa mancanza nella donna,
che pure nella vita di prostituzione vi avrebbe tante oc-
casioni, e pretesti, e ragioni più che il maschio, è, a chi
ben vi pensi, una nuova prova che le irritazioni corticali,
che si trasformano in epilessie psichiche, in esse avven-
gono assai più di rado.

Storia d’Italia Einaudi 597


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Infine, la prevalenza del sesso maschile sul femminile


appare anche per la pazzia morale che ha, come dimo-
strammo, tanta affinità colla reità-nata e coll’epilessia.
Questa grande scarsezza di pazzi epilettici e pazzi mo-
rali ci spiega in parte quella della criminalità femminile e
nello stesso tempo ci spiega come sieno più frequenti nel-
le femmine le ree d’occasione e come le stesse ree di pas-
sione, non commettano quasi mai il reato in un accesso
d’impeto, che ha sempre qualcosa d’epilettoide; e come
nei reati comuni esse, così spesso, aggiungano quell’esa-
gerazione della premeditazione, quell’aggrovigliamento,
che è l’antitesi completa del reato commesso nell’irrita-
zione istantanea del moto epilettico: e ci spiega perché
esse sieno così spesso tardive nei reati; e così, mentre in-
direttamente si confermano i rapporti dei rei-nati coll’e-
pilessia, si trova in questa la spiegazione delle differenze
sessuali.
Però, come vedemmo, le poche volte che una donna
è criminale-nata, io vi ho potuto trovare sempre, come
nel maschio reo-nato, la fenomenologia epilettica. – E
perciò nei reati gravi l’epilessia si mostra più frequente.
Quello che ci ha colpito ad ogni modo percorrendo le
principali anomalie psichiche delle isteriche e i loro pro-
cessi più celebri, è che precisamente, come per le epilet-
tiche, non offrono alcuna differenza dalla delinquente-
nata, se non fosse che il morbo vi fornisce un virus spe-
ciale che vi acuisce, vi invernicia le loro tristi facoltà, per
cui se anche, come non parmi, abbondassero nel mondo
criminale, non sarebbe mai prudente il lasciarle libere.
Aggiungo che nemmeno il fatto, che bisogna ammettere,
della grande suggestionabilità, deve parlare in loro favo-
re, perché noi vediamo che in genere la subiscono sem-
pre nel senso del male, mentre non sarebbero capaci di
subirla nel bene.
Prostitute isteriche Vista questa completa analogia del-
l’isterica coi rei-nati, salvo la maggiore intensità del men-

Storia d’Italia Einaudi 598


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dacio, della volubilità, e della preoccupazione sessuale,


specie paradossa, vediamo subito che il posto dell’epiles-
sia è sostituito dall’isterismo nelle prostitute, in cui, dun-
que, scarseggiano le epilettiche perché più abbondano le
isteriche.
Infatti, Legrand du Saulle trovò il 12% di prostitute
per puro dilettantismo senza bisogno nelle isteriche, e la
Tarnowsky segnalò il 15% di prostitute isteriche; vi so-
no comprese le poche intelligenti e colte, alcune aman-
ti dei piaceri rumorosi, altre avide, vanitose, che si ap-
propriano in qualunque occasione tutto ciò che trovano;
hanno grande precocità e passioni sessuali esagerate, sì
che ebbero amanti ad otto anni, e ne cambiarono, pas-
sando con questi, come è costume delle isteriche, dall’a-
more all’odio più profondo. Il 13% di queste ebbero dei
veri attacchi isterici.
Dopo tutto ciò, e conoscendosi come spesso l’isteri-
smo psichico, al pari dell’epilessia, si possa manifestare
senza chiari accessi convulsivi e sia allora più cinico ed
impudico, diventa assai probabile che la cifra delle pro-
stitute a base isterica sia molto maggiore di quella finora
conosciuta.

4
Ree d’occasione e per passione

Le ree d’occasione, che formano la maggioranza delle


criminali, si possono dividere in due categorie, una che
rappresenta la criminale-nata più attenuata, ed a que-
sta più vicina che alla donna normale; un’altra che com-
prende le ree che si differenziano pochissimo dalla don-
na normale, e che qualche volta non sono se non don-
ne normali, poste in tali condizioni di vita che ne hanno
sprigionato quel fondo d’immoralità che latente si trova
in ogni donna. Alla prima categoria appartengono so-

Storia d’Italia Einaudi 599


Cesare Lombroso - Genio e follia

prattutto le suggestionate, ree di delitti di sangue e con-


tro le persone; alla seconda le ree di delitti contro la pro-
prietà. Per queste il delitto spesso non ha ai loro occhi
altra importanza che quella che hanno i furti per i ragaz-
zi; l’importanza cioè di un trascorso un po’ audace, ma
pel quale si ha da render ragioni e saldare i conti col pro-
prietario della cosa, non con la giustizia, rappresentante
la società; una specie di offesa individuale, più che di of-
fesa sociale, come era nei periodi primitivi dell’evoluzio-
ne umana e come è anche ora in molti popoli barbari.
Prevalgono nelle ree per passione i sentimenti buoni,
anzi, essi sono più vivaci che nella donna normale, sino
a raggiungere talora un grado straordinario di intensità.
I sentimenti famigliari, aboliti nella criminale-nata, qui
non mancano mai.
Dell’incendiaria R. Antonia, narra Ellero: Una sola
fu la voce di quanti ebbero a deporre su lei; ottima
moglie, madre amorosissima, compassionevole con tutti
gli infelici e bisognosi. Donna nella quale, per mo’ di
dire, il cuore soverchiava la mente. In lei la nozione del
bene e del male si può dire fosse sangue del suo sangue,
un vero istinto; ma appunto, come tale, poco illuminato.
Fu lei, che non una, ma più volte indusse il marito a
farsi garante, mediante obbligazioni cambiarie, di tutti
gli impegni che minacciavano la miseria alla famiglia di
sua sorella.
La B. .., con fisonomia virile ma pochi caratteri anor-
mali, era sposa affezionatissima, madre esemplare, e così
onesta, che nel quartiere da lei abitato si fece, durante il
suo arresto, una sottoscrizione plebiscitaria per attestare
della sua illibatezza.
La Myers, che uccise l’amante infedele, divenne poi
una madre esemplare.
La passione che in queste donne è più intensa, e che
più spesso le trascina al delitto, è l’amore. Straniere a
quella freddezza erotica che trovammo nella donna nor-

Storia d’Italia Einaudi 600


Cesare Lombroso - Genio e follia

male, esse amano con l’entusiasmo di Eloisa, e trovano


una vera voluttà a sacrificarsi per l’uomo adorato, vio-
lando per lui i pregiudizi, i costumi e financo le leggi so-
ciali.
La Vinci sacrificò per l’amante i lunghi capelli, sua
unica bellezza. La Jamais mandava all’amante, soldato,
denari e doni, sebbene dovesse mantenere se e i due fi-
gli con il suo lavoro. La Dumaire amava disinteressata-
mente ma violentemente il Picart, lo aiutò nei suoi stu-
di pagandogliene le spese; e non esige mai che la spo-
sasse, purché avesse continuamente a convivere con lei.
La Spinetti, sposatasi con un tristo, che essa cercò inva-
no di ricondurre sulla via buona, si adattò, essa già ric-
ca, a far la serva per lui. La Noblin amava così tenace-
mente il Souguret, che, sebbene fosse in fondo onesta,
non se ne staccò dopo che l’ebbe conosciuto delinquen-
te: tre volte consentì, per fargli piacere, ad abortire, e in-
fine commise essa stessa un delitto a cui la sua naturale
bontà ripugnava.
Tale intensità nelle loro passioni d’amore, ci spiega
perché quasi tutte queste ree siano cadute in amori ir-
regolari dal punto di vista sociale, senza che per questo
si possa dir nulla sul conto della loro purezza. La vergi-
nità, il matrimonio, sono istituzioni sociali adattate, co-
me tutti gli usi e le istituzioni, al tipo medio, vale a dire,
in questo caso, alla freddezza sessuale (v. s.) della donna
normale: ma queste donne amano troppo appassionata-
mente per non infrangerle: come Eloisa, che rifiutava le
nozze con Abelardo per paura di nuocergli, e dichiarava
gloriarsi del titolo di sua meretrice.
E gran numero degl’infanticidi per passione hanno
per origine un amore imprudente, che trascura il rispetto
per gli usi sociali. Così quella infanticida, di cui la
Grandpré narrò la storia, s’innamorò in poco tempo
perdutamente e si diede a un forestiero che nella stagione

Storia d’Italia Einaudi 601


Cesare Lombroso - Genio e follia

dei bagni era venuto nel suo paese e che essa incontrava
per la campagna.
Quindi sotto questo aspetto la rea per passione è ben
diversa dalla rea-nata, che solo la lussuria e il gusto dei
piaceri e dell’ozio traggono a violare i doveri della castità.
Ma tutte costoro, per quella fatale tendenza della don-
na buona ed appassionata ad innamorarsi dell’uomo cat-
tivo, si incontrano con amanti leggeri, volubili o addirit-
tura malvagi, che non solo le abbandonano dopo aver-
le godute, ma aggiungono spesso alla crudeltà del tradi-
mento, la crudeltà anche maggiore dello scherno e della
calunnia. Quindi il movente al delitto è sempre in que-
ste ree gravissimo e quasi mai è costituito dal solo dolore
dell’abbandono.
Si aggiunga, specialmente per le amanti abbandonate,
l’ingiusto disprezzo del mondo per quello che è detta la
loro colpa e che non è se non un eccesso di amore peri-
coloso in una società, in cui la gran forza è l’egoismo. La
derisione degli uni, spesso la inumana severità dei paren-
ti, accrescono il loro dolore già tanto grande: così la Ja-
mais si vide per il suo fallo respinta dal padre moribon-
do che ne sdegnò l’ultimo bacio; la Provensal ricevette
dal fratello una lettera che la dichiarava disonore della
famiglia e divenuta una estranea. Questo movente, che
per costoro è secondario, diventa il principale e più forte
per il maggior numero delle infanticide; congiunto spes-
so però ad una specie di bisogno di vendicarsi sul bam-
bino del padre infedele. «Quando nacque – confessava
alla Grandpré una infanticida – pensai che sarebbe sta-
to sempre un bastardo, che era figlio di lui e che sarebbe
stato vigliacco come lui, le mie dita allora gli si attorci-
gliarono intorno al collo». Ce ne danno la prova palmare
le statistiche comprovanti che il numero degli infantici-
di e quello delle nascite illegittime è in rapporto inverso,
e non, come parrebbe più naturale, diretto: ciò che con
altre parole significa che nei luoghi dove essendo più ra-

Storia d’Italia Einaudi 602


Cesare Lombroso - Genio e follia

re le nascite illegittime sono considerate con occhio più


severo, l’infanticidio è più frequente. È dunque la paura
del disonore che spinge al delitto. Infatti tale è il rappor-
to fra gli accusati d’infanticidio nelle campagne e nelle
città:

Differenze evidentemente dovute alla maggior facilità


che la città presenta di nascondere il fallo.
Sono questi insomma delitti di passione determinati
dall’opinione pubblica e dai suoi pregiudizi.
Come nei reati, così nei suicidi, una fortissima quota è
data dall’amore: qui le cifre relative sono così superiori
nella statistica femminile, che si vede la donna eguagliare,
e anche superare, nelle cifre assolute, l’uomo. Sul totale
dei suicidi commessi da ciascuno dei due sessi, i suicidi
per amore rappresentano infatti in:
U. D.
Germania (1852-1862) 2,33 % 8,46 %
Sassonia (1875-1878) 1,83 5,18
Austria (1869-1878) 5,80 17,40
Vienna (1851-1859) 5,89 14,13
Italia (1866-1877) 3,80 7,50
Belgio 9,53 12,08

Fanno però eccezione alla legge la:


U. D.
Prussia (1869-1877) 12,50 % 8 (%

Storia d’Italia Einaudi 603


Cesare Lombroso - Genio e follia

Francia (1856-1868) 15,48 13,16

Queste cifre fanno vedere chiaramente che per la don-


na appassionata il suicidio è il mezzo più usato per far
fronte ai disinganni e ai dolori dell’amore: ora, per quel-
la legge ben nota di antagonismo tra il suicidio e il delitto,
ciò deve influire, scemare notevolmente le quote dei de-
litti passionali. E questa predominanza del suicidio sul-
l’omicidio per amore è perfettamente in accordo coi ca-
ratteri generali dell’amore femminile, che noi rilevammo
studiando la donna normale (v. Parte I, cap. V). Noi ve-
demmo infatti che l’amore per la donna è una specie di
schiavitù accettata con entusiasmo, un sacrificio fatto di-
sinteressatamente di tutta se stessa all’amante; ora que-
sti caratteri, che nelle donne medie, per quanto vivi, pu-
re lasciano campo alle passioni egoistiche di potere al-
l’occasione prevalere, si esagerano nelle donne appassio-
nate, in modo che questo bisogno quasi furioso di sacri-
ficarsi non cessa, anzi si acutizza coi maltrattamenti e le
crudeltà dell’amante. In simili casi è evidente che la più
violenta passione non potrebbe portar mai al delitto.
L’abbandono, insomma, dell’amante non eccita nes-
sun sentimento di vendetta; è considerato quasi come
una morte, che è causa di un grande dolore, e dopo lui
non resta alla donna per consolarsi che di morire ancor
essa, quando non impazzisce; perché dai calcoli di Marro
(o. c.) appare che
Nei maschi Nelle femmine
l’amore non corrisposto 1,5 % 2,5 %
provoca pazzia
l’amore tradito 0,3 1,7
l’abbandono o la morte 0,6 3,2
del coniuge

con proporzioni doppie e fin sestuple nella donna.


Ora, se riconnettiamo queste considerazioni alla os-
servazione dei frequenti caratteri virili nelle ree per pas-

Storia d’Italia Einaudi 604


Cesare Lombroso - Genio e follia

sione, avremo forse la chiave dell’enigma che ci è posto


innanzi: le ree per passione delinquono contro l’amante
perché l’amano virilmente.
Ecco perché è così raro trovare una rea per passione
d’amore, che presenti compiuto e genuino il quadro del-
la criminale passionata; ma in quasi tutte si vede che il
delitto, più che dall’amore, è eccitato da sentimenti più
egoistici, che i disinganni hanno fatto fermentare. La pu-
ra e grande passione per se stessa conduce la donna in-
namorata più al suicidio od alla pazzia che al delitto; se
conduce al delitto è segno che essa ha potuto sprigiona-
re un fondo latente di cattiveria, o che la virilità del ca-
rattere dava alle veementi passioni i mezzi del delitto che
una donna interamente donna non avrebbe mai compiu-
to. Il vero reato adunque per passione d’amore è nella
donna – se reato si può chiamare – il suicidio; gli altri
reati invece non sono per lo più che forme ibride.
Non sono scorsi molti anni, nella ridente Ivrea vive-
vano accosto due famiglie numerose, patriarcali. Venne
il giorno in cui un giovinotto di queste dove allontanar-
si per finire gli studi a Torino; pregò la mamma di pre-
parargli un certo cibo per la sera; scherzò allegramente
col padre, ma la notte non fu più veduto; nel frattempo
la ragazza della vicina famiglia, a cui egli era avvinto da
antico affetto, aveva richiesto alla madre lo stesso cibo; si
era vestita, per la prima volta, d’un abito che aveva a bel-
la posta da lunghi mesi ricamato; aveva detto alla madre:
E non ti pare ch’io sembri una sposa? Ed era scompar-
sa pure in quella notte. I due padri, presi da un sospetto
stesso, si riunirono che appena albeggiava, e dopo aver
trovato una lettera dello studente che diceva preferire la
morte al distacco, corsero al Naviglio, ne fecero asciuga-
re il letto, e lì ambidue li rinvennero, nel fondo, avvin-
ti insieme, composto il volto ad un calmo sorriso, come
se la morte li avesse colti nel più lieto momento della lo-
ro vita. La madre, rovistando nella cameretta verginale,

Storia d’Italia Einaudi 605


Cesare Lombroso - Genio e follia

trovò un diario della ragazza, che già un anno prima ave-


va fermato il ferale proposito, e scriveva sorridente pen-
sando a «quel giorno».
Dicano pur ciò che vogliono moralisti e teologi; ma in
questo secolo banchiere e procaccevole, queste vicende,
lungi dal destare il ribrezzo del crimine, ci empiono
gli occhi ed il cuore di una commozione profonda; ci
dimostrano che anche ora sappiamo e possiamo sentire
delle forti, ideali, disinteressate passioni e morire per
esse.
Non è difficile il capire la fisiologia di questa causa,
così diffusa, di suicidio, ricordando come l’amore sia
l’effetto di una specie di affinità elettiva moltiplicata da
quella degli organi riproduttori, resa ancor più forte dal-
l’abitudine per cui le molecole dell’organismo dell’uno
formano, direi quasi, parte di quello dell’altro e non pos-
sono sopportarne il distacco.

5
A nostro vantaggio

Fra le molte, nuove, ricerche dell’antropologia criminale,


quelle sulla donna delinquente e prostituta, più di qua-
lunque altra riconfermano il vantaggio della cieca osser-
vanza dei fatti, l’unico segreto dei nostri trionfi sugli av-
versari aprioristici, che ci opponevano solo la logica ed i
sillogismi.
I principali risultati, infatti, a cui fin dalle prime inda-
gini giungemmo, erano in opposizione alle comuni pre-
messe; anche le singole, parziali osservazioni parevano
contrastarsi l’una coll’altra: sicché, chi per amore del si-
stema avesse voluto essere logico, avrebbe dovuto esita-
re nelle definitive conclusioni. Ma noi, fedeli alla massi-
ma che ci ha sorretti in tutta: la vita, abbiamo seguiti cie-
camente i fatti, anche quando parevano più contraddir-

Storia d’Italia Einaudi 606


Cesare Lombroso - Genio e follia

si fra loro, anche quando parevano cacciarci su una fal-


sa strada. Né mal ci apponemmo; perché, allo stringer
delle reti, i fatti più opposti, incastrandosi pei loro an-
goli come i lapilli di un mosaico, formarono un disegno
organico e completo: che se il modo di raccoglierli sulle
prime tornò incerto ed uggioso come a chi brancica al-
l’oscuro, quando alla fine ci si aperse una mèta lucida e
chiara, gustammo l’aspro piacere del cacciatore che ac-
ciuffa la preda per balze e discese, e sente raddoppiata la
gioia del successo dalle ansie delle perdite e dalle fatiche
della conquista.
Non di raro poi questi rimbalzi, come le ondate del
mare, ci trascinarono molto più lungi dalla mèta prefis-
sa, e, quel ch’è meglio, più in alto, aiutandoci così ad
appianare le continue contraddizioni che si affacciavano
sin dalle prime linee. Così vedemmo la femmina nelle più
basse serie zoologiche essere superiore al maschio il vo-
lume, in complicazione degli organi, quasi padrona del-
la specie, per poi calare ad esserne l’umile schiava, me-
nomata in forza, in variabilità, ecc.; e così nella razza no-
stra essa appare uguale o superiore all’uomo prima del-
la pubertà in forza e statura, spesso in ingegno, ma poi
man mano gli resta indietro, lasciando nella stessa mo-
mentanea prevalenza una prova di quella precocità che è
comune alle razze inferiori.
La stessa relativa scarsezza di stigmati degenerative,
che sembra a tutta prima evidente carattere di superiori-
tà, si lega invece alla minore sua variazione, che è un ca-
rattere inferiore; benché, quanto ai mostri, le condizioni
si pareggino o quasi, nuova anche questa e curiosa inter-
ferenza, cui solo la selezione umana sessuale può toglie-
re.
La minore sensibilità trovata da noi nella donna, cau-
sa questa della sua maggiore vitalità, pare in aperto con-
trasto colle tradizioni e leggende comuni e colla maggio-
re, od, almeno, colla più rumorosa reazione al dolore, di

Storia d’Italia Einaudi 607


Cesare Lombroso - Genio e follia

cui essa ci dà prove così evidenti, ma la contraddizione si


spiega per la maggiore sua eccitabilità e per la sua minore
inibizione.
La minore frequenza del tipo criminale e della crimi-
nalità nata nella rea, che paiono contrastare alle linee fon-
damentali della teoria dell’uomo delinquente, la consoli-
dano, invece, quando si vedon collegarsi alla minor fre-
quenza della degenerazione e della irritazione corticale
epilettica (pag. 605), che è la base del crimine.
Singolarissima contraddizione ci offre la coesistenza
della crudeltà e della pietà nella donna: e ci venne appie-
no risolta dall’influenza della maternità, che innestando-
si sul fondo crudele ne fa sopranuotare spesso la dolcez-
za, come la mancanza di ingegno, di forza e di variabili-
tà ci dà la ragione perché, essendo congenitamente meno
morale, pure sia meno rea: e questo e l’atavismo e i pre-
potenti ardori maschili ci aiutano a comprendere come
l’equivalente della reità-nata sia in esse, più che il delitto,
la prostituzione, che pure non dovrebbe sorgere, a filo di
logica, in chi ai bisogni sessuali è tanto meno sensibile.
Queste interferenze abbiam voluto notare fin dal prin-
cipio perché vi hanno timidi ingegni, incapaci non solo
di iniziare proprie, ma di seguire le altrui ricerche, ignari
che la natura non è logica mai, i quali partono da queste
interferenze, per scemare agli occhi del volgo ogni fede
alle nuove teorie.
A chi ci accusasse di aver perduto troppo tempo sulla
donna onesta, ricordiamo che nessuno dei fenomeni del-
la donna delinquente poteva spiegarsi se non se ne ave-
va nelle mani il profilo normale; e che quando andammo
a cercar di questo, nulla trovammo o ben poco di cer-
to, perché, mentre quegli inutili sciupatori di tempo e di
metro che sono gli antropologhi, consumano (salvo po-
che eccezioni, Pagliani, Sergi, Tarnowsky) risme di carta
in sterili misure di tribù nostre o selvaggie, non ci seppe-
ro precisare neppure l’estesiometria nelle varie età della

Storia d’Italia Einaudi 608


Cesare Lombroso - Genio e follia

donna, sicché era impossibile dire quando cominciava il


patologico e quando finiva lo stato normale.
Coloro che, nei libri sulla donna, non si contentano
della logica serrata dei fatti, ma continuando, o meglio,
falsificando le tradizioni medioevali, vogliono anche la
cavalleria verso quella parte gentile che più ci infiora la
vita, troveranno che, spesso, nella nostra opera, le ab-
biamo mancato di riguardo. Ma, se non abbiamo por-
tato rispetto ai nostri preconcetti più cari, come all’idea
del tipo, del reo-nato, se non abbiamo avuto paura del-
l’apparente contraddizione che agli occhi volgari avreb-
be potuto sembrare deleteria d’ogni nostra opera, come
potevamo farci pedissequi a una menzogna convenziona-
le, punto scientifica, che non acquista una forma che per
perderla subito?
D’altronde, se dovemmo provare che la donna ri-
produce, e più numeroso forse, un equivalente del
criminale-nato maschile nella prostituta, bisogna ben
convenire che questo equivalente, per quanto abbia la
stessa origine atavistica e la stessa nota d’infamia nel-
l’opinione pubblica, ha però una portata e un’influenza
meno perversa, meno dannosa e meno temibile; e mentre
non vi è delitto che non rechi con sé una iattura, il mere-
tricio può essere invece una valvola alla sicurezza ed al-
la morale: né, ad ogni modo, sarebbe sorto, ne sarebbe
permaso se non lo nutrisse il vizio maschile, di cui è uno
sfogo tanto utile quanto vergognoso, sicché si potrebbe
dire che la donna, anche dove più s’abbrutisce, dove più
pecca, ci è ancora profittevole.
Che, se dovemmo provare che nella mente e nel corpo
la donna è un uomo arrestato nel suo sviluppo, il fatto
che essa è assai meno delinquente di lui, e che ne è
di tanto più pietosa, può compensarne a mille doppi la
deficienza nel mondo dell’intelletto.
Allo stesso modo che l’armonia musicale, e meglio an-
cora la bellezza, conquista tutti i ceti e tutte le classi, co-

Storia d’Italia Einaudi 609


Cesare Lombroso - Genio e follia

sì il rispetto che si ha all’intensità del sentimento, e spe-


cie del sentimento materno, è molto più universale e du-
revole che non quello per le vittorie dell’intelletto. Uno
scienziato avrà cento ammiratori, che presto scompaio-
no: un santo, miliardi, e per tutte le età.

7
Devianza e leggi sociali

1
Natura e funzione del delitto

Dopoché Cognetti De Martiis applicava la zoologia al-


l’economia politica, ed Espinas alla psicologia, ed Hou-
zeau alla sociologia, sarebbe una vergogna se la nostra
nuova scuola non facesse altrettanto colla antropologia
criminale180 . Ma la bisogna non è facile; certo se doves-
simo seguire le orme delle vecchie scuole, quelle della
giustizia eterna, ci sarebbe agevole raccogliere un’ampia
messe sul delitto in natura, anzi, non solo fra gli animali,
ma perfino nelle piante.
Prendiamo la Dionaea muscipara che si rinserra sul-
l’insetto appena esso vi si posa e lo divora, la Drosera R.
che, come è noto, attrae con sostanze zuccherine gli ani-
maletti fino a certe sue piccole tane e ve li soffoca den-
tro digerendoli lentamente, e facendo un vero rifiuto per
le sostanze non azotate, precisamente come un bandito
per un bottino troppo scarso. Certo un procuratore del
Re ed un giurista alla vecchia ne avrebbe abbastanza per
incriminare; e, se si trattasse di un buon cristiano e non
d’una pianta, per trovarvi la prava malvagità ed anche la
premeditazione e l’agguato, come il fisiologo per sospet-
tare d’un sistema nervoso che finora sfugge alle indagi-
ni; ed infatti nel Medio Evo, quando i giuristi erano più

Storia d’Italia Einaudi 610


Cesare Lombroso - Genio e follia

sinceri e logici nelle loro convinzioni, giudicavano e con-


dannavano piante ed animali: il vescovo d’Autun sco-
municò i ratti che entravano fra gli arredi sacri: il vesco-
vo di Parigi scomunicò i bruchi della piralide della vite:
il Municipio di Torino (mediatore l’ambasciatore) com-
perava al Vaticano contro i bruchi una maledizione che
il vescovo, in gran pompa, insieme al sindaco ed assesso-
ri scagliava da un palo in piazza Castello. Ed altrettanto
frequenti erano i processi con opportune accuse e dife-
se. E a Vercelli ci fu discussione se certi bruchi si dove-
vano condannare dal tribunale civile o dagli ecclesiastici
perché avevano intaccato viti della parrocchia (Vedi Les-
sona, Nemici del vino, 1880, Torino), il che a noi appa-
re certo più logico di quelli che condannarono per pra-
va malvagità un cretino come Grandi, o grafomani mat-
teschi come Passanante e Guiteau.
E ancora più grande sarebbe la messe nella zoologia in
cui la rapina, il furto (la gazza), l’omicidio per prava mal-
vagità (gatto, tigre), con premeditazione (volpe, ragno,
formica, leone), le ferite leggere o gravi (scimmie, pulci,
vampiro, sorci), le risse e lotte per amore (cervi, uccel-
li, ecc.), sono, si può dire, la legge generale, specie poi
pei mammiferi carnivori; e così troveremmo il ratto di
minori nelle formiche rosse, la sostituzione d’infante nel
cuculo che mette l’ova nel nido dei passeri sottraendovi,
pare, qualcuno dei suoi per meglio ingannarli, ferimen-
to per vendetta (elefante, cavallo), per imitazione (scim-
mia), associazione nel delitto (lupi, sciacalli, linci col leo-
ne). Forse potrebbesi aggiungere avere spesso gli anima-
li più crudeli, una speciale fisionomia che in embrione
presenta alcune analogie con quella dei delinquenti: co-
sì l’occhio grigio che s’inietta di sangue, della tigre, del-
la iena, è veramente proprio degli assassini: «Gli uccelli
predatori, p. es. i rapaci, dice Brehm (II, 5) hanno bec-
co breve, ricurvo, mascella superiore spesso munita di
dente acuto a cui risponde nell’inferiore un intacco; or-

Storia d’Italia Einaudi 611


Cesare Lombroso - Genio e follia

bita grande (come nei criminali: Tamassia) e che s’inietta


di sangue». Negli insetti in cui la fisionomia manca, per
l’immobilità della faccia, molte tetre appendici e la robu-
stezza delle mandibole segnalano le specie che più vivo-
no di preda. – Ma pure il solo annunciare che reputia-
mo delitti codesti atti parrebbe poco serio (come è poi
poco seria la prava malvagità); al più, quando sarà diffu-
sa la convinzione che le differenze psicologiche dall’uo-
mo agli animali sono soltanto di grado, sarebbero come
un’eloquente critica delle antiche teorie giuridiche; per-
ché è ovvio comprendere come quelle azioni che a noi
appaiono misfatti, in loro sono invece l’effetto necessa-
rio dell’eredità e della loro struttura organica, che si giu-
stificano pel bisogno della conservazione della specie, es-
sendo una ripetizione necessaria, per quanto però diret-
ta da un’intelligenza spesso vivacissima, di atti atavisti-
ci. Così la Chaetocompa processionaea e la Thyatira vivo-
no in comune; ma le più forti divorano le più deboli o
le rese più torpide dal troppo cibo; e così le manthe, gli
scorpionidi, le formiche-miele Messicane. – Sono assas-
sinii cannibaleschi, imposti dalla concorrenza per la vi-
ta; e, malgrado tendano alla distruzione della specie, non
appaiono delitti, perché essendo eseguiti in grande scala,
rientrano nelle abitudini della specie stessa, e appaiono
imposte dalla legge della concorrenza per la vita, ma, in-
tanto giovano a mostrarci la vanità del concetto assoluto
della giustizia, così come fra i selvaggi il cannibalismo, il
parricidio, che divenuto per molti costumi nazionali fino
rito religioso, l’eseguiva fra noi il predecessore dei papi,
il pontifex, non può in loro tenersi per delitto, benché, ai
nostri occhi, sembri il più tristo di tutti.
Comincierebbe, forse, il delitto negli animali addome-
sticati a cui noi apprendiamo colle minaccie e colle batti-
ture alcune azioni giuridiche, ed invero quando questi vi
mancano si mostrano profondamente avviliti, specie se
comprendono che noi ce ne accorgemmo.

Storia d’Italia Einaudi 612


Cesare Lombroso - Genio e follia

L’avvilimento qui è pari al preteso rimorso del delin-


quente, nato da paura di una pena o meglio sotto la sua
strettoia.
Chi non conosce le belle osservazioni che dopo
Darwin181 , Drude, Kohn, Rees e Will, si fecero sulle pian-
te insettivore, in non meno di 11 specie di droseracee, 4
di saracenacee, 5 di nepentacee, 11 di utricolarie, non
che nel Cephalotus follicularis che commettono delle ve-
re uccisioni sugli insetti? Quando, p. es., un insetto per
piccolo che sia, anche meno pesante di un 124 millesimo
di grano, si ferma sul disco fogliare di una drosera (e pa-
re che ciò non sempre accada per caso, ma ve lo attrag-
gano anche gli odori di certe secrezioni della foglia), ne
è da queste subito invischiato e compresso dai tentaco-
li numerosissimi, circa 192 per foglia, che gli si ripiega-
no addosso in 10 secondi e raggiungono in 1 ora e 1/2
il centro della foglia, né si sollevano che quando la vitti-
ma sia morta ed in parte digerita, grazie ad un acido e ad
un fermento molto analogo alla nostra pepsina, secreti in
gran copia dalle glandole, che influiscono sul tentacolo
vicino e sui circostanti, con un movimento simile, crede
Darwin, a quello del moto reflesso negli animali.
Quando l’insetto si arresta su un lato del disco, i ten-
tacoli circostanti curvansi tutti verso il punto di eccita-
mento ovunque sia; l’impulso motore, quando si diffon-
de da una o più glandole, attraversa il disco, si propaga
fino alla base dei tentacoli vicini, agisce, a sua volta, so-
pra il punto di eccitamento, aumenta la secrezione delle
glandole e le acidifica, e queste a loro volta agiscono sul
protoplasma.
Nella Dionea muscipula non si provocano le contrazio-
ni delle setole omicide col soffio ne con corpi liquidi, ma
solo con corpi solidi, che siano nitrogenati ed umidi; di
più notasi che le setole incrociate lasciano scappare gli
insetti minuti che non gioverebbero alla loro nutrizione.

Storia d’Italia Einaudi 613


Cesare Lombroso - Genio e follia

Nelle Pinguicole le goccie d’acqua non fanno arriccia-


re le foglie ne molto più vi riescono le sostanze solide che
non siano organiche. I fluidi non nitrogenati, ma densi,
provocano sì secrezione delle glandole, ma non copiosa
e non acida, mentre copiosissima e fatale è la secrezio-
ne e rapido l’incurvamento quando si tratta di un corpo
azotato.
La Genlisea ornata prende gli animaletti precisamente
come i pescatori usano nella trappola d’anguilla.
La Utricularia neglecta attira gli insetti con certi pro-
cessi quadrifidi; giuocando con questi, essi si impegna-
no inavvertitamente in una valva che, essendo elastica, si
chiude solo dietro a loro e li incarcera in un otricolo ove
muoiono (Darwin).
Io cito, minutamente, questi fatti, ove parmi di intra-
vedere i primi albori della criminalità, potendovisi so-
spettare, da chi non ne conosca la assoluta dipendenza
dalle condizioni istologiche, la premeditazione, l’aggua-
to, l’uccisione per cupidigia, e fino a un certo punto quel-
la certa libertà di elezione (rifiuto di insetti troppo minu-
ti, di sostanze non azotate) su cui tanti, erroneamente,
fantasticarono la base della responsabilità.
Tanto più chiara riesce l’analogia quando si passa al
mondo zoologico. E già solo pei crimini d’uccisione fra
gli animali il Ferri (op. cit.) ha potuto distinguerne non
meno di 22 specie, di cui non poche sono analoghe a
quelle contemplate dai nostri codici.
Così l’uccisione per ricerca del cibo: di cui credo inu-
tile dare gli esempi tanto sono comuni, e corrispondereb-
be ai delitti nostri per fame o nelle carestie; e così i mal-
trattamenti e l’uccisione pel comando della tribù, che sa-
rebbero i nostri delitti per ambizione, ecc., e che si ha nei
cavalli, tori, cervi.
Ma pure il solo annunciare che reputiamo delitti code-
ste uccisioni, e così pure il furto con destrezza e per asso-
ciazione nelle scimmie, il domestico nei gatti, il ratto di

Storia d’Italia Einaudi 614


Cesare Lombroso - Genio e follia

minori nelle formiche rosse, la sostituzione d’infante nel


cuculo, che mette l’ovo nel nido dei passeri, sottraendo-
vi qualcheduno dei suoi per meglio ingannarli – parreb-
be poco serio, perché è ovvio comprendere come code-
ste azioni che a noi appaiono misfatti sono invece effetto
necessario dell’eredità, della struttura organica o impo-
ste dalla concorrenza per la vita (uccisione dei pecchio-
ni); dalla scelta sessuale, dalla necessità sociale per im-
pedire discordie (uccisione dei capi) e dal bisogno d’ali-
mento negli animali voracissimi, lupi, sorci, o dalle con-
secutive guerre che li fanno somiglianti a noi quando ci
battiamo col nemico – o quando mangiamo i polli ed i
buoi senz’ombra o sospetto di essere incriminati. Anche
quando tendono alla distruzione della specie propria, so-
no attuate in così grande scala da entrare nelle abitudi-
ni della specie medesima; ma intanto giovano a mostrar-
ci la vanità del concetto assoluto della giustizia e porger-
ci già un primo amminicolo per spiegarci il sorgere, con
sì perpetua costanza, delle tendenze criminose anche in
mezzo alle razze più incivilite, e con forme che ci fanno
ricordare le più tristi fra le specie animali, ed a spiegar-
ci perché, nelle epoche antiche, che erano forse più lo-
giche delle moderne, si condannassero, in tutta forma,
gli animali nocivi o poco rispettosi delle cose che l’uomo
reputava per sacre.
Per volerci approssimare un po’ più al delinquente
umano con un criterio che non paia quello dei nostri
buoni antenati del Medio Evo, bisogna fermarsi più spe-
cialmente negli animali domestici e fra i selvatici, fra
quelli che vivono a gruppi formando quelle (come dice
Espinas) società animali che offrono gli elementi primi
delle società nostre, e mostrano in germe anche le nostre
mostruosità.
L’educazione imposta da noi, e trasformata coll’eredi-
tà in istinto, i bisogni ed i rapporti della convivenza vi
hanno ingenerato delle abitudini speciali a cui gli indi-

Storia d’Italia Einaudi 615


Cesare Lombroso - Genio e follia

vidui non vengono meno se non per straordinarie circo-


stanze, come accade dei nostri delinquenti.
Ma l’analogia più curiosa è quella delle cause che nelle
grandi linee, si può dire, riescono uguali nel mondo
animale e nell’umano.
Importantissimi, poi, sono quei casi in cui, proprio co-
me nell’uomo, delitto e pazzia si fondono insieme inestri-
cabilmente, inquantoché le tendenze delittuose si vedo-
no originarsi od all’improvviso dopo una speciale malat-
tia, puerperio, ninfomania, senilità, o dalla nascita, grazie
all’eredità, e soprattutto per la mala conformazione cra-
nica, che è precisamente la causa più frequente dei cri-
minali nati (microcefalia frontale dei cavalli) presentan-
do, anche qui, una perversità senza causa in completo
contrasto cogli individui della stessa specie.
Forse, come appunto vedremo nei popoli barbari, un
movente al delitto è l’antipatia delle bestie intelligenti per
ogni novazione che le sorprende ed impaurisce, ed è a
sua volta considerata probabilmente da loro come un’of-
fesa individuale, chi sa anche, forse un delitto – e Bret
Harte finamente osservò come spesso i cani abbiano un
vero fanatismo conservatore ed abbaino e s’accaniscano
contro le ferrovie, il gaz, le musiche, quando vi s’imbat-
tono per la prima volta. Vi son cavalli avvezzi ad esser
montati da un ufficiale in divisa che s’impennano se il ca-
valiere non abbia almeno il cappello militare, né lo sop-
portano in sella182 .
Abbiamo visto delle analogie assai curiose nella con-
formazione cranica. Non è difficile che uno studio accu-
rato sugli individui, ci mostri una differenza nella fisono-
mia, e qui ricordo avere spesso gli animali più feroci una
speciale fisionomia, che in germe offre alcune analogie
con quella dei delinquenti: così l’occhio grigio che s’i-
nietta di sangue, della tigre, della iena, è veramente pro-
prio degli assassini.

Storia d’Italia Einaudi 616


Cesare Lombroso - Genio e follia

Tuttavia, per quanto si voglia affaticarci nelle distin-


zioni, ci è forza confessare: che vi ha una continuità, un
passaggio insensibile da molti di quegli atti che noi chia-
miamo criminali a quelli che sarebbero delitti solo per
l’uomo e viceversa. Così i furti delle scimmie, le vendet-
te dei cani, le uccisioni delle formiche possono, fino ad
un certo punto, entrare nella categoria dell’uccisione in
guerra – od in quelle per procurarsi il cibo – nella lotta
per la vita – appunto come l’uccisione per cupidigia che
perciò dovemmo compenetrare nella prima serie. Molte
delle uccisioni con cannibalismo – e peggio con parrici-
dio ed infanticidio – in alcune specie, p. e., nella Chaeto-
campa, negli orsi, lupi, si sono originate, come nelle ca-
restie, per la concorrenza vitale, come che la fecondità
esagerata della specie finiva per essere di danno alla sua
prosperità. In questi casi la distruzione degli individui
serve al mantenimento della specie: ed altrettanto dica-
si dei casi, in cui (galline) i neonati son malaticci e poco
vitali: la frequenza stessa in cui si ripetono tali atti in al-
cune specie, proverebbe non essere essi sempre anorma-
li. E quelle stesse ferocie, non provocate, che riprodu-
cono negli animali domestici il tipo della brutale malva-
gità, possono benissimo spiegarsi per la riproduzione di
tendenze atavistiche (come nel cane per l’eredità del lu-
po), per un effetto delle condizioni organiche cerebrali,
come certo si riscontrò nei cavalli cattivi à nez busqué. –
Ed allora che differenza può egli trovarvisi colle uccisio-
ni commesse dalle Drosere e dalle Dionee in grazia della
loro struttura organica?
Come non concludere che, già, sin nella sua prima ma-
nifestazione, il delitto è legato alle condizioni dell’orga-
nismo, ne è un effetto diretto?183
Mentre a pochissimi si riducono i veri crimini per i sel-
vaggi, anche già bene organati, e mentre anzi questi me-
desimi non son riconosciuti che ben tardi ed irregolar-
mente, mentre quello che per noi è delitto, spesso, per

Storia d’Italia Einaudi 617


Cesare Lombroso - Genio e follia

essi non lo è, ve ne hanno altri che son considerati gra-


vissimi per loro, e che non sarebbero mai riguardati per
tali da noi, sarebbero, anzi, creduti segni di maggiore in-
civilimento: – sono le mancanze contro l’uso invalso e
contro la religione, il che, dandosi la generale tendenza
delle religioni a perpetuare le usanze, qualunque siano,
rendendole sacre, finisce ad essere tutt’uno.
Così nell’Australia non è permesso gustare della carne
dell’Emou che ai vecchi ed ai capi. Se un giovane onesto,
cedendo alla tentazione, dopo uccisolo ne mangia, è pre-
so dai rimorsi, resta malinconico e domanda egli stesso
di essere punito (Stuart, Histoire universelle des voyages,
43).
Altrettanto accade all’Indostano che beve certe birre
consacrate al solo Bramino o all’Ebreo che mangia del
porco, o alla Chinese che non vergogna di prostituirsi,
ma sì di mostrare il piede.
Quella medesima morale che regola la distribuzione
dell’Emou, regola la vendetta, ma una vendetta cieca;
p. es., uno è offeso da un bianco, se la prende, non
coll’offensore, ma con tutti i bianchi.
Così nell’Australia non vi è morte che non sia causata
da maleficio e non meriti, quindi, vendetta.
Un Australiano, racconta Sander (Letourneau, o. c.),
perdette la moglie di malattia e dichiarò che avea dovere
di uccidere una donna di qualche altra tribù. Venne per-
ciò minacciato di prigione; da quel giorno rimase silen-
zioso, pieno di rimorso, nell’idea di mancare al suo do-
vere, finche fuggì e dopo qualche tempo tornò contento,
perché avea pagato il suo obbligo sacro. Si vede (com-
menta qui il Letourneau) che certe associazioni di idee
si sono lentamente scolpite nei nostri centri nervosi co-
scienti ed a un dato movente devono fatalmente scoppia-
re.
E ciò accade anche perché se l’uomo per le piccole
novazioni prova un vivo piacere (come il bimbo a cui si

Storia d’Italia Einaudi 618


Cesare Lombroso - Genio e follia

porga un giocattolo, il selvaggio a cui si muti il tatuaggio


elittico in un circolare), esso prova un profondo ribrez-
zo quando le innovazioni siano troppo radicali, ribrez-
zo con cui esprime o vendica od evita il dolore che pro-
va nel doverle afferrare, nel dovere far subire al proprio
cervello dei passaggi più rapidi, che non siano della sua
portata, essendo naturale nell’uomo volgare e negli ani-
mali tutti l’inerzia e la ripetizione dei moti già eseguiti,
proprii od atavistici. Così abbiamo veduto come gli ani-
mali domestici non sopportino, senza protesta e reazio-
ne, ogni grande novità, per es., del gaz, del vapore (pag.
21, 22). Anche il bimbo, che pur ama giuocare, s’irrita
e diventa perfino feroce se sia cambiato d’appartamento
(il che ho osservato io stesso in due piccini di miei ami-
ci), e si impaurisce ad ogni mobile nuovo e vuole rive-
dere sempre la stessa pittura o risentire la solita novella
cogli stessi termini.
E la donna, che è pure così tenera della moda, quando
si tratti invece di novazioni sociali, religiose, politiche, ne
è la più tenace avversaria184 .
Ricordando ciò: ricordando come l’impulso che più
contribuì a reagire contro il delitto fu quello della ven-
detta: che la promiscuità della Venere scomparve grazie
all’incesto introdotto per ticchio di nobiltà, alla polian-
dria e poliginia, originate, assai più che per la scarsezza
o abbondanza di donne, per la predilezione che aveva il
capo o il più prepotente della tribù per una data femmi-
na, così come accadrebbe in un postribolo per le violen-
ze di un ganzo, e più tardi pel ratto e pel maggior pre-
dominio di un capo, sicché era delitto toccarne la moglie
quando non lo era toccare le altre femmine (v. s.): e co-
me la pena pel furto cominciò a comparire sotto il preva-
lere delle conquiste, dei capi o dei più prepotenti, i qua-
li vollero conservare i possessi carpiti e non dividerli più
coi meno validi, sicché era soprattutto dai furti ai capi
che s’iniziava la giustizia come s’iniziò la reazione contro

Storia d’Italia Einaudi 619


Cesare Lombroso - Genio e follia

l’adulterio – si può ben concludere senza che paia un’au-


dace bestemmia, che la moralità e la pena nacquero, in
gran parte, dal crimine.
È un fatto sfuggito forse ai più degli osservatori, ap-
punto per la sua semplicità e frequenza, e appena av-
vertito ora con chiarezza da Moreau, Perez e Bain, che
i germi della pazzia morale e della delinquenza si trova-
no, non per eccezione, ma normalmente, nelle prime età
dell’uomo, come nel feto si trovano costantemente cer-
te forme che nell’adulto sono mostruosità; dimodoché il
fanciullo rappresenterebbe come un uomo privo di sen-
so morale, quello che si dice dai freniatri un folle mora-
le, da noi un delinquente nato. E ne ha tutta l’irruenza
della passione.
Collera Perez185 ha dimostrato la frequenza e la preco-
cità della collera nei fanciulli.
«Nei primi due mesi esso mostra coi moti delle soprac-
ciglia, delle mani, dei veri accessi di collera quando lo si
vuol bagnare, quando gli si vuol togliere un oggetto. A
un anno la sua collera va fino a battere le persone, rom-
pere i piatti, gettarli contro chi gli dispiace, precisamente
come i selvaggi, i Dacota, che entrano in furore quando
uccidono i Bisonti, come i Fidjiani che mostransi nelle
emozioni eccitabilissimi, ma poco tenaci» (Perez).
Questo studio ci permette di concludere che quelle
anomalie nel carattere morale, che costituirebbero nel-
l’adulto la delinquenza, si manifestano in proporzioni as-
sai più grandi e cogli stessi indizi, grazie specialmente a
cause ereditarie, nel bambino: che, però, sono soggette,
più tardi, in parte pel soccorso di una educazione conve-
niente, a sparire, senza di che resterebbe inesplicabile la
minor proporzione dei tipi criminali negli adulti, anche
tenuto conto delle differenze portate dalla mortalità e da
quella quota che sfugge alla giustizia legale.
Le anomalie fisiche si troverebbero in proporzione
più che dupla in questi giovanetti immorali (come 69

Storia d’Italia Einaudi 620


Cesare Lombroso - Genio e follia

in confronto al 30 p. 100 dei normali), e l’eredità si


noterebbe in essi in proporzione più che tripla, come
52 in confronto a 15. – Ma sta il fatto che ed anomalie
fisiche ed eredità si possono trovare, benché in quota
più scarsa, anche nei più integri, così come più volte
potemmo notare ragazzi onestissimi, malgrado la tristizie
dei parenti; ed esse si manifestano più spesso ancora che
nei criminali in certe altre affezioni probabilmente legate
ad arresto di sviluppo, come i ciechi-nati ed i sordo-muti.
Voglia il pubblico perdonarmi questo paradossale e
immoralissimo titolo, che deve disgustare sopratutto gli
onesti, i quali, già nauseati dei trionfi del vizio e del
delitto nella vita pratica, vorrebbero illudersi di vedere,
almeno nel roseo mondo delle lettere e delle scienze,
dove il pensiero più leale predomina, rinnegati i trionfi
dei tristi e proclamata quanto più fosse possibile la loro
sconfitta.
Ma considerino essi che non son io che creo i fatti
o li favorisco, ma solo, mio malgrado, li constato, pure
acremente deplorandoli, davanti al pubblico. Ed ecco il
come.
È noto come, secondo le teorie darwiniane, non so-
pravvivono che le istituzioni e gli organi, i quali abbia-
no una qualche utilità per l’umanità, perché altrimenti la
selezione li atrofizza e li spegne.
Ora, per quanto dica lo Spencer, il delitto va continua-
mente aumentando se non in intensità, certo in estensio-
ne; e pigliando e inventando dei nuovi rami di truffa o di
intrigo politico, o di peculato, lo vediamo anzi tanto più
crescere quanto più la civiltà si va avanzando.
Questo, unito alla legge darwiniana sopra citata, mi fa
sospettare che anche il delitto abbia una funzione sociale.
Tutti sanno che nei tempi antichi, e anche ora nei
popoli meno civili, i più nefandi delitti sono adoperati
come arma politica; e noi possediamo anzi una specie di
codice (quello di Machiavelli), che è tutta una serie di

Storia d’Italia Einaudi 621


Cesare Lombroso - Genio e follia

progetti, di delitti a scopo politico, di cui il Borgia fu il


praticato esecutore, o meglio il modello.
Dal Consiglio dei Dieci di Venezia che paga sicari ed
avvelenatori a scopo politico, alla fucilazione del duca di
Enghien, alla S. Barthélemy, o alla orribile carneficina
di Algeri, quando il generale Bougeaud soffocava miglia-
ia di infelici nelle caverne; alle infamie degli Americani
e dei Portoghesi, che, per diradare e vincere gli indige-
ni, spargevanvi il vaiuolo e la sifilide, è il delitto che re-
gna sovrano nella storia antica dell’uomo e, pur troppo,
anche nella più vicina a noi.
Tutti ricordano le corruzioni parlamentari di Pitt e di
Guizot, le menzogne ed i tradimenti di Fouché e di Tal-
leyrand, e, a pochi giorni quasi di distanza, le persecu-
zioni sanguinose degli Ebrei e dei Polacchi; e, nei mo-
dernissimi tempi come nei più antichi usata la menzo-
gna, la violenza, la rapina contro i popoli deboli dai po-
poli più forti; quella violenza che nei privati sarebbe con-
siderata delitto, che non fu mai ritenuta tale nelle conqui-
ste dei deboli, anzi considerata come politica giusta: Re-
ticenza e bugia è oggidì diventato sinonimo di linguaggio
diplomatico.
Di recente, i processi del Panama e della Banca Roma-
na hanno mostrato che, anche nei popoli sufficientemen-
te civili, la morale politica è disgiunta da quella privata, e
che si può essere ministri immorali – anche essendo alta-
mente stimati, od almeno senza destare quel ribrezzo che
si desterebbe per una uguale azione in privato. A lor vol-
ta gli anarchici, equivalendosi, dichiarano di considerare
il delitto come arma di guerra.
Una triste osservazione in Italia mi ha dimostrato che,
da Cavour in poi, non vi fu un ministero completamen-
te onesto che potesse reggersi. Se vi prevalevano uomi-
ni troppo integri, il ministero era certo di una brevissi-
ma durata, perché non aveva abbastanza energia, furbe-
ria, tristizia contro le mene parlamentari. Il peggiore mi-

Storia d’Italia Einaudi 622


Cesare Lombroso - Genio e follia

nistro per l’Italia fu quello che dichiarava: «Saremo inca-


paci, ma onesti» e ahi! la storia postuma rivelò che non
era onestissimo neppur esso.
Il ministro certamente più carico di delitti poté non
solo reggersi da noi davanti alla Camera, ma anche da-
vanti all’opinione pubblica, e governare senza una ve-
ra opposizione del paese, che gli si prostrava sommesso,
tanto più adorante, quanto più s’allontanava dalla legge.
Io credo, infine, che la tolleranza verso parecchi grup-
pi di delinquenti, rei se non di sangue, certo di truffe e di
ricatti, ecc., che noi vediamo, quasi generale in Europa,
parte dalla tempra stessa di alcuni delinquenti.
E già ho dimostrato come essi sieno propensi alla
neofilia e la portino dappertutto, nei commerci, nelle
industrie.
Nei Palimsesti del Carcere, in mezzo a tristizie e ad or-
ribili malignità, ho trovato a intermittenze una genialità,
che non si trova nell’uomo medio, certo perché i crimi-
nali acquistano dalla degenerazione una irritazione cor-
ticale che l’uomo medio non ha. Così trovai scritto nelle
pareti di un carcere: «Oh codice penale! perché colpi-
sci la truffa di pene severissime, mentre il libero Gover-
no d’Italia, coll’immorale giuoco del lotto, è dei truffato-
ri maestro e donno?».
Così vi ho trovato una dimostrazione dei danni degli
studi arcaici, in cui potrebbero specchiarsi molti Ministri
della Pubblica Istruzione, che ci ribadiscono sempre più
la catena dei classici, così dannosa ai cervelli mediocri.
Anche le frasi di quella lurida prostituta che si rivolge
ai futuri clienti e scopre la sua foja, sono d’una potenza e
d’una novità veramente strane.
Sono lampi fugaci, ma che ci confermano l’esistenza
di quel contrasto, di quei due eccessi intellettuali, di cui
l’uomo medio non è capace, critico abilissimo come è,
ma niente creatore.

Storia d’Italia Einaudi 623


Cesare Lombroso - Genio e follia

Gli è che in costoro l’anomalia organica prepara il


terreno al minore misoneismo, che è il carattere normale
dell’uomo onesto, normale.
Ed è certo che costoro vedono, forse inspirati dalla
passione, i difetti dei Governi che ci reggono, meglio
e più giustamente che non faccia la media degli onesti;
e che anche da questo lato si intravvede una ragione,
che si aggiunge all’impulsività e al bisogno del male, per
spingerli in prima linea nelle ribellioni.
Ed essi odiano lo stato presente, credendo che non
l’ordine naturale, ma l’ordine di quel dato Governo co-
stituito sia quel che li frena e li punisce; s’aggiunga ch’es-
si, più impulsivi degli altri, sono più inclini all’azione, e a
prendere a pretesto la prima bandiera che loro si offra.
Anormali essi stessi, non sentono la ripugnanza del
pubblico, per l’anomalia, per la novità, e molti avendo, o
per l’insensibilità o per l’agilità una straordinaria energia,
l’adoperano, oltreché pei proprj vantaggi e per eseguire i
loro tristi colpi, nel sostenere e propagare le nuove idee,
mentre gli onesti apatici ne rifuggerebbero.
E lo stesso spirito innovatore che essi portano nelle
truffe, mentre a volte danneggia molti a vantaggio di po-
chissimi criminali, spesso poi favorisce delle immense in-
novazioni. Se si considera bene l’apertura del canale di
Suez è stata una truffa gigantesca, compita colle stesse
mani criminose del Panama, che a sua volta, se fosse rie-
scito, sarebbe stato coronato dall’approvazione univer-
sale.
Gli imbroglioni, i truffatori, è vero che lavorano solo
per sé, ma grazie alla stessa loro smania d’attività, appli-
cano l’ingegno a vantaggio degli altri; nello stesso tempo
mettono in moto una tal quantità di fermenti, che dàn-
no una spinta fortissima al progresso e alla civiltà; di più
per la mancanza di scrupoli, per l’energia che presta loro
l’impulsività violenta e per l’imprevidenza degli ostacoli

Storia d’Italia Einaudi 624


Cesare Lombroso - Genio e follia

e delle sventure, riescono là dove gli onesti non giunge-


rebbero mai.
Essi poi, per l’antipatia del normale, del vecchio, del
costituito, sono un baluardo, potente contro i partiti
retrogradi clericali, ecc.
E così, almeno in Italia, si vedono gli onesti abbondare
nel partito dei clericali. Cesare e Catilina non trovarono
sulle prime partigiani che tra i birbanti, mentre l’antico
partito consolare era tutto composto di onesti. E io ho
dimostrato che il nucleo dei grandi ribelli politici è, quasi
sempre, criminale.
E la civiltà li saluta costoro, non ostante le loro maga-
gne, perché sono i soli che riescono a innestarle il nuo-
vo: ed essa, inconsciamente o ripugnante, pure non può
negare o rifiutare la loro utilità.
D’altronde essi le si impongono in tal modo, appro-
fittando dei congegni complicati della vita parlamenta-
re, che il cacciarli non sarebbe possibile senza pericolo e
senza altri gravissimi danni, come non era possibile cac-
ciare i tiranni antichi, che anch’essi erano criminali... ma
utili.
Essi coll’ingegno, coll’energia, colla mancanza d’ogni
scrupolo, creano delle istituzioni che riescono poi utili a
tutto il paese; così la flotta inglese deve la sua origine ai
pirati.
La via nuova che ci si apre e cui questo libro ha
solo in pane preparato colla critica spietata delle pene
e coll’accresciuta importanza data ai mezzi preventivi,
come a più saldo soccorso diretto contro il delitto, la via
nuova è quella di creare istituzioni che ci permettano di
utilizzare il delinquente a pari degli onesti con vantaggio
di entrambi, tanto più che il delitto (e il reato anarchico
ne sarebbe una più bella prova) spesso ci può rivelare ove
maggiormente s’annida la piaga sociale, come si vede il
colera colpire di preferenza i quartieri più poveri e più

Storia d’Italia Einaudi 625


Cesare Lombroso - Genio e follia

sudici della città, e quindi indicarci ove debbansi più


convergere le nostre cure profilattiche.
Ed a ciò tanto più miriamo, allontanandoci dall’anti-
ca crudeltà repressiva, in quanto che mano a mano che
modificandosi i tempi, le condizioni nostre sociali sem-
pre più migliorano, il delitto stesso, se aumenta di nu-
mero scema di crudeltà, si spoglia sempre più della fero-
cia atavica e va assumendo le vesti certo meno ripugnan-
ti e meno selvaggie del falso, della truffa e della banca-
rotta, contro cui la repressione cruenta è meno urgente
e la coltura e l’accorgimento degli uomini sono maggio-
re salvaguardia. E quanto più i tempi avanzano, più le
dure disuguaglianze sociali vanno attenuandosi; e come
mano amano i più urgenti bisogni umani si sono quasi
inconscientemente, gradatamente riparati coi mezzi col-
lettivi, come per l’illuminazione, l’istruzione, la viabili-
tà, così si intravvede che si andrà riparando con rimedi
collettivi, alle ingiustizie sociali, e riparando così radical-
mente a una delle più forti cause del delitto occasionale,
che è l’insufficienza del lavoro per la lotta dell’esistenza,
mentre nello stesso tempo si previene un’altra causa po-
tente didelitti che è l’eccesso stesso della ricchezza. Che
se vi è un gruppo di rei nati pel male, sui quali, come
sul bronzo si rifrangerebbe senza alcun vantaggio, anzi
con danno, ogni cura sociale, noi pure, qui ammetten-
do la dolorosa necessità dell’eliminazione completa, sia
pur colla morte, per la nostra difesa, vediamo però che
anche qui queste tristi necessità, almeno pei meno gravi,
pei criminaloidi, andranno sempre più diradando: e che
più frequenti ci si offriranno i mezzi di adattamento alla
vita, sia che la medicina ne modifichi e smussi gli ango-
li più acuti, sia che utilizzandoli per alcuni lavori più ri-
pugnanti agli uomini normali e che più sono adatti agli
istinti atavici, come p. es., la guerra agli omicidi, lo spio-
naggio poliziesco ai ricattatori, truffatori, la prostituzio-
ne alle oscene, l’estetica ai psicopatici sessuali, come le

Storia d’Italia Einaudi 626


Cesare Lombroso - Genio e follia

colonizzazioni in terre selvaggie e malariche in cui la vi-


ta è più esposta ai pericoli, e meno legata alle fisse di-
more ai vagabondi, non solo la società ne permetta, e ne
tolleri, ma fin ne provochi in certi limiti la connivenza,
cavandone essa i maggior vantaggi.
È così che se la storia naturale [...] ci ha dimostrato l’e-
sistenza perfino nelle piante di organi appropriati ad uc-
cidere implacabilmente gli animali per nutrirsene (piante
carnivore), essa anche ci ha appreso, quasi come simbo-
lo e ammaestramento della trasformazione suprema del-
la carità umana, i non rari casi di simbiosi di piante che
per se nocive, tuttavia unendosi ad altre, senza uccidere,
anzi aiutando la loro, giovano alla propria esistenza. Così
la ricchezza delle leguminose, specialmente del lupino in
azoto, si deve a uno schizomiceto, al Rhizobium legumi-
nosarum Frank, che si agglomera in un vero bitorzolo o
tubercoletto nelle sue radici in enorme quantità [...], pe-
netrando dal terreno per i peli radicali nel loro interno,
dove si moltiplicano finché giungono nella regione corti-
cale della radice, annidansi nelle cellule del parenchima
e trovandosi in condizioni atte, vi si moltiplicano enor-
memente, mentre le cellule che le ospitano, irritate, a lor
volta si segmentano dando luogo a un tubercolo. Duran-
te la formazione del seme i tubercoli si disfanno, una par-
te è utilizzata dalla pianta per le riserve del seme, un’altra
nel terreno si sparge dando luogo a nuove e utilissime in-
fezioni aumentando sempre più la ricchezza d’azoto del
terreno186 .
Analogo è il caso del commensalismo trovato dal Lu-
nel, tra il pesce [...] scomberoide detto Caranx melampy-
gus, e la Medusa Combessa palmipes; il Caranx sta diste-
so orizzontalmente attraverso gli orifizi del suo portico
sottogenitale per ciò deformato e allargato e deve quin-
di procedere orizzontalmente contro al suo abito, ma vi
trova il suo conto, perché la presenza della medusa, così
nociva a chi la tocca, lo difende dai pesci grossi ( Chro-

Storia d’Italia Einaudi 627


Cesare Lombroso - Genio e follia

nique scientifrque, mai, 1896); e così il paguro, invece di


divorare l’actinia, la lascia fissarsi sulla dimora di cui si è
fornito, ed essa gli serve col colore brillante ad attirar le
vittime e, a sua volta ha da lui casa e trasporto.
Forse il tempo si avvicina in cui anche nella civiltà
umana, le piante carnivore andranno sempre più dira-
dandosi, e moltiplicandosi invece quelle simbiotiche.
E se la scienza ora ci addita la fusione di due ordini
di piante, inutili o dannose, i funghi e le alghe, dar luo-
go ad un terzo ordine utilissimo, come il lichene, il tem-
po si avvicina in cui la società troverà il modo di far vive-
re con una opportuna coltura simbiotica, il criminaloide
in mezzo al fiorire della civiltà progredita, non solo sop-
portandolo, ma anche utilizzandolo a proprio vantaggio.
Ci bisognerà, perciò (e qui l’opera della nuova scien-
za antropologica sarà potente perché può individualizza-
re l’assistenza), sorprendere le speciali tendenze che fino
dalla pubertà e qualche volta anche prima, si manifesta-
no fortissime in costoro, per cercare di incanalarle e uti-
lizzarle quando siano men antisociali. È notissimo come
Nino Bixio, da ferocissimo rissatore, vagabondo e diser-
tore (Guerzoni, Vita, 1880) divenne quell’uomo che tut-
ti sanno, per quanto spesso impulsivo, quando fu diret-
to nella marina e nella guerra. E non sono pochi gli uo-
mini che l’impresa di Garibaldi trasformò da vagabondi
e feritori in eroi. Ho sentito ladri e assassini che aveva-
no tentato le loro imprese per ottenere quanto bastasse
per diventar comici, biciclisti o avvocati, protestarmi con
uno di quegli accenti che non ammettono dubbio, che se
avessero raggiunto quel loro ideale, sarebbero diventati
celebri e avrebbero sfuggito sempre dal delitto. La con-
vinzione che essi erano nel vero mi è rassodata dall’aver
veduto più volte (vedi vol. I) nel mondo, dei delinquen-
ti nati, posti in alte posizioni, sfogarsi, è vero, in modi
crudeli, anche iniqui, ma non criminosi, nei loro capric-
ci, nelle loro vendette, ma sopratutto sfogarsi nell’eser-

Storia d’Italia Einaudi 628


Cesare Lombroso - Genio e follia

cizio della stessa loro professione, diventando da antiso-


ciali che erano naturalmente, individui utili al consorzio
umano, per quanto a loro modo e inegualmente. Così
tutti conoscono nel popolo di R... un celebre operato-
re che ha nel cranio e nel volto tutti i caratteri del de-
linquente nato, non esclusa un’esagerata eredità in asce-
sa e discesa di pazzia morale, ma che sfoga le sue crude-
li energie in una chirurgia forse qualche volta arrischiata,
ma sempre geniale.
I miei studii anteriori hanno mostrato187 come essendo
a base di epilessia il genio come la pazzia morale, questa
non di raro vi si mescola rimanendone per ciò non solo
non dannosa ma utile alla società come nei grandi creato-
ri di conquiste, di rivoluzioni, per modo che le note cri-
minali passano in seconda linea e non sono nemmeno av-
vertite dai contemporanei, anche quando esse erano tan-
to potenti come le geniali.
E chi ha letto la vita dei pionieri d’Australia e d’Ame-
rica ha capito che essi erano criminali nati, pirati e assas-
sini, utilizzati dall’umanità nella conquista di nuovi mon-
di, e che sfogavano nelle tribù selvaggie quei bisogni d’a-
zione, di lotta, di stragi e di novità che sarebbero divenu-
ti un mostruoso pericolo nella madre patria.
E così bisogna anche approfittare poi della trasforma-
zione, della metamorfosi contraddittoria, polarizzatrice
che la pazzia epilettica acutizza, inducendo a volte dei
criminali nati egoisti e crudeli all’eccesso dell’altruismo,
alla santità la quale spinge a sua volta non solo l’indivi-
duo, ma le masse intere, a una virtù epidemica. Tale è il
caso di Loiola, San Giovanni di Ciodad.
Non occorre il dire come in questi casi lo Stato invece
di opporsi, dovrebbe favorire in mille modi il sorgere di
questi nuovi soli, per quanto la loro origine sia fangosa,
senza imitare quei ministri che ne spensero nel sangue e
nelle carceri i rari esemplari, Lazzaretti, p. es., che aveva
ed ha lasciato dietro a se un’orma di virtù singolare.

Storia d’Italia Einaudi 629


Cesare Lombroso - Genio e follia

Ma è a proposito del delitto per passione, e del delit-


to politico che la idea della simbiosi deve trionfare nelle
proporzioni più grandi; sfogare in grandi opere altruisti-
che quella energia, quella passione del bene, del giusto e
del nuovo che anima costoro, dovrebbe essere una del-
le mete di un grande popolo, il quale così utilizzerebbe
quelle forze che potevano diventargli di danno, senza in-
correre in alcun modo in quei pericoli che non possono
mancare nei contatti coi delinquenti nati. Quel rigoglio,
quell’eruzione di passione che animano il vero reo per
passione, ed il vero delinquente politico sono immense
energie che tutte possono utilizzarsi nel bene, e che sole
forse possono trasformare le apatiche masse.
Le rivoluzionarie sono energie rivolte verso il nuovo,
verso l’utile futuro: solo che l’esagerata precocità non
le rende accettabili ne utili momentaneamente: quindi la
pena, se pur vi si deve applicare, non solo dev’essere spo-
glia d’ogni infamia e d’ogni dolore, ma pure impedendo
che l’opera loro si applichi prima del tempo, deve mira-
re che appena sia maturata, venga utilizzata e nell’inter-
vallo non sia impedita dal gettarsi in quelle direzioni in
cui possa riescire vantaggiosa.
Se la palla che colpì prima o il processo che colpì
dopo Garibaldi ce l’avessero allora spento, quante opere
magnanime non sarebbero state impedite! E chi sa se
la morte non ce l’avesse infine troppo presto rapito, chi
sa se non si sarebbe veduto avverare il suo sogno di
trasformare le terre paludose d’Italia invece di gettarci
a capofitto nelle sterili lande africane.
In una nazione aduggiata da un’onnipotente e triste
burocrazia, la Russia, noi abbiam veduto l’energia dei
settari perseguitati (e così nella terra libera d’America,
i Mormoni) trasformare regioni quasi inabitabili in cam-
pagne straordinariamente ubertose, dove sorsero intere
e popolose città. – Ecco la simbiosi.

Storia d’Italia Einaudi 630


Cesare Lombroso - Genio e follia

Se a questo altissimo scopo divinato dal grande Salva-


tore che perdonando alla Maddalena pentita, sentenzia-
va: Chi non ha peccato getti la prima pietra, e dal profe-
ta che ci prometteva un’epoca in cui: «il lupo e l’agnel-
lo pastureranno insieme; e il leone mangierà lo strame
come il bue; e queste bestie non faranno danno né gua-
sto» (Isaia, LXV, 25), e da quella santa dei nuovi tem-
pi che dettava: «tutto conoscere è tutto perdonare» – Se
a questa meta l’antropologia criminale potesse trarre gli
uomini e trovare un Brockway, un Don Bosco, un Bar-
nardo che la facessero conseguire, oh! certo le sarebbe
perdonato quanto di troppo crudele ha dovuto suggeri-
re per raggiungere il supremo suo scopo, – quello della
sicurezza sociale.

2
Le rivoluzioni e il delitto

A che servirebbero gli studi se dovessero tenere dietro e


non precedere i portati della pubblica opinione? A che
servirebbe una vita passata in mezzo a ricerche speciali,
se non desse diritto a sorridere alle risa degl’ignoranti, e
ad imporsi, senza spavalderia, ma senza esitanza, a coloro
che, essendo colti negli altri rami, pretendono e nol sono
nel vostro?
L’allontanarsi dalla leggenda non è, del resto, già per
se, sempre un progresso? E non ci permette di spiegarci
dei fatti che, finché vagoleggiano in un mondo nebuloso
ed incerto, potran destare negli uomini volgari stupore
ed anche diletto, ma rimanendo pei savi un muto ed
inutile enigma?
Prendiamo, ad esempio, il Cola da Rienzi. Come, col-
la sua leggenda, connettere il suo principio colle replica-
te cadute, le sue vane imprese colle sue gigantesche pro-
poste, ecc.? E, ammessa la leggenda, quali applicazioni

Storia d’Italia Einaudi 631


Cesare Lombroso - Genio e follia

utili se ne possono cavare di più che dalle epiche imprese


di Orlando e di Rinaldo? Mentre, invece, seguendo solo
i lumi della storia e rettificando la leggenda coi lumi della
psichiatria, se ne spiccia un raggio che non solo rischiara
una serie di fatti storici male compresi, ma ci aiuta a spie-
gare alcuni fatti che non ci sappiamo spiegare, malgrado
si svolgano sotto i nostri occhi, come i trionfi di Lazza-
retti e di Coccapieller: e ci fa intravvedere anzi una teo-
ria sulla genesi di quei grandi avvenimenti storici che so-
no le rivoluzioni, cui molti anche non miopi ingegni deri-
vavano così spesso da casuali incidenti, oppure lasciava-
no inesplicati, anzi (che è peggio) non presentendo che
alcuno credesse necessario di trovarne la soluzione.
La ragione intima, però, di tutto questo sta nella pro-
fonda ignoranza che c’è, anche nel pubblico colto, per
quanto tocchi la psichiatria. La nostra educazione classi-
ca, classica così per dire, che nel fondo la maggior parte
non fa che imparare (Dio sa con qual vantaggio!) come
lo stesso oggetto si chiami e si declini in vecchie lingue,
portandoci via i più begli anni e le più belle forze della
nostra giovinezza, non ci lascia, si può dire, un margine
sufficiente per le cognizioni più solide e più utili. Non
v’è nessuno della buona società che ignori chi sia Romo-
lo o Ulisse, o ignorandolo non se ne vergogni; ma, vi-
ceversa, cosa sieno i terribili bacteri che sono i padroni
della nostra vita, come si respiri e come e perché si cam-
mini, oh! questo pochissimi sanno, e pochissimi si ver-
gognano d’ignorarlo; arrivederci poi in certi problemi di
psichiatria, sconosciuti persino a molti medici!
E intanto fenomeni psicologici e storici, anche volga-
ri, restano completamente un enigma; per esempio, noi
non sappiamo spiegarci come si manifestassero quelle ve-
re epidemie psichiche del medio evo e dei tempi antichis-
simi, né comprendiamo cosa fossero le streghe, i profeti,
i santi, gli oracoli, i miracoli, e, come vedremo, ci sfugge
la causa di una gran parte delle rivoluzioni.

Storia d’Italia Einaudi 632


Cesare Lombroso - Genio e follia

Chi, per cavarne una legge, spinge lo sguardo entro


agli intricati fenomeni del mondo morale, vi trova emer-
gere, sovrana, quella d’inerzia, così come nel mondo
inorganico e nell’organico, che ne sembrano i più lon-
tani, mentre in realtà, e per la natura e per l’origine loro,
si confondono insieme.
Certo, questa influenza, quanto più ci allontaniamo
dalla materia bruta, in cui le leggi del moto si svolgo-
no quasi senza interferenze, ci sembra sfuggire di mano,
poiché noi, giunti ai vertici della salita, non vediamo più
le umili scaturigini, dacché l’infusorio e il molle amphio-
xus sono diventati il primate, il primo, anzi, dei prima-
ti – l’uomo: e fra gli uomini, il selvaggio muto e sangui-
nario dell’epoca della pietra greggia, il Neandertaloide, è
divenuto un Darwin, un Virchow, un Pasteur.
Progresso Ma se questi passaggi ci sorprendono per la
loro straordinaria differenza e parlano per un progresso
indefinito, vorticoso, necessario (e tale è pure l’opinione
di Spencer), un esame spassionato ci mostra non esser-
si questo manifestato, nell’uomo, mai universalmente, e
d’un tratto, o per sbalzi creatori, subitanei, ma per mo-
dificazioni lentissime – in parte – dovute agli incidenti
esterni, eternatisi e fattisi sempre più spiccati colla scel-
ta naturale, e colla lotta per l’esistenza, che non permet-
tevano la vita e la propagazione se non alle specie meglio
armate contro i vecchi e nuovi pericoli – in parte – pu-
re alla stessa legge d’inerzia, da che una volta iniziato un
movimento non si fermava più e procedeva sempre più
veloce: comeché ogni causa attiva di mutamento provo-
chi, contemporaneamente, molteplici effetti in direzioni
diverse (Spencer, Progrès, 1886): ed aumenta l’eteroge-
neità.
Ma la prova più sicura della estensione e della pre-
potenza della legge d’inerzia nel mondo morale, è quel-
l’odio del nuovo, così poco avvertito, che noi chiamia-
mo misoneismo, che nasce dalla difficoltà e dal ribrezzo

Storia d’Italia Einaudi 633


Cesare Lombroso - Genio e follia

che sentiamo quando dobbiamo sostituire una sensazio-


ne nuova ad una vecchia, ed è tanto comune negli anima-
li, da doversene dire un carattere fisiologico. – Nella Re-
vue scientifique, ad una nostra prima comunicazione su
questo argomento nel 1884, piovvero i fatti in appoggio;
ne accogliamo alcuni.
Una scimmia, fatta vestire all’europea, ritornata nei
suoi monti di Cabilia vi fu accolta con orrore e sfuggi-
ta dalle compagne in causa del vestiario. Un pittore in-
verniciò di verde una gallina bianca che aveva disertato
il suo orticello; la poveretta, ritornata al suo pollaio, vi
destò un terrore vivissimo: ne fu respinta a colpi di bec-
co fino a che il tempo non ne scolorò completamente le
penne.
Noi sappiamo tutti come i cani abbaino sempre, anche
senza il bisogno o il dovere della guardia, ad ogni vettura
che passi per le vie silenziose del villaggio: sono noti i casi
di cavalli che s’impennano se il cavaliere abbia mutato la
foggia del vestire, perché non lo riconoscono.
Altrettanto avviene nell’infanzia dell’uompo; un fan-
ciullo a cui si affaccia la prima volta un viso od un ani-
male nuovi, dà in ismanie e tenta fuggire, e ciò solo per
paura del nuovo; perciò voi lo vedete farsi perfino fero-
ce se lo cambiate di stanza, ed impaurirsi ad ogni mobi-
le nuovo; se ne osservarono di quelli che volevano vede-
re sempre la stessa pittura e riudire la solita novella con
gli stessi termini. Guai a mutarli!
Varigny racconta come un fanciulletto di due anni, cui
egli era carissimo, s’allontanò da lui con orrore quando
dove, per un reuma, infagottarsi una gamba nell’ovatta; il
bimbo lo guardava sospettoso e poi gettava urli frenetici;
anche dopo che egli guarì cercava evitarlo e gridava se gli
si avvicinava un po’ troppo; solo passati parecchi mesi, in
presenza di un terzo, acconsentì ad ascoltarlo, ed a dargli
la mano.

Storia d’Italia Einaudi 634


Cesare Lombroso - Genio e follia

E come sono misoneici i fanciulli, vediamo anche le


donne tener molto alla religione, ai costumi, ed in alcune
regioni alla lingua degli avi, tanto che parlano differente-
mente dai maschi quando questi, come in America, nel-
l’Orenoco, negli Abiponi, hanno adottata la lingua delle
tribù vicine.
Quest’odio per il nuovo, che si osserva nei fanciulli e
nelle donne più civili, si nota a maggior ragione nei po-
poli selvaggi, la cui debolezza psichica fa sì che una volta
assimilate alcune sensazioni, impediscano l’assimilazione
di altre, massime se la differenza sia viva, e non vi sia un
passaggio, una sfumatura che le colleghi – così nelle lin-
gue primitive elefante è bue con i denti; nella chinese i
cavalli sono cani grandi; nelle sanscrite per dire stalla di
cavalli si usa stalla di buoi di cavalli; per dire un paio di
cavalli si usa un paio di buoi di cavalli.
Mancando i punti di passaggio, la percezione si associa
a tale fatica da produrre un vero dolore, che alle volte si
traduce in orrore.
Succede allora nell’uomo normale quanto uno di noi
ebbe a riscontrare in una alienata, che, quando usciva di
casa, restava colpita dal primo oggetto o dalla prima per-
sona che le si parava dinanzi e per l’intera giornata sosti-
tuiva quella prima sensazione a tutte le altre. La confu-
sione diventava ancora più completa quando le persone
o gli oggetti incontrati in seguito le fossero ignoti: allo-
ra non riusciva a rettificare il giudizio. Si irritava special-
mente con la figliuola, a cui portava amore grandissimo e
che, pur riconoscendola, vedeva sotto l’aspetto della pri-
ma persona o bestia anche, che aveva incontrato dianzi; e
se ne sdegnava fino a pensare ad ucciderla. Questa stes-
sa donna non poteva recarsi, nemmeno accompagnata,
in una regione nuova, dove, cioè, non fosse stata prima,
perché l’orrore e la confusione che la prendevano allora
erano tali da indurla al suicidio.

Storia d’Italia Einaudi 635


Cesare Lombroso - Genio e follia

Le menti deboli, o indebolite, o primitive, si mostra-


no dunque maggiormente esposte alla repulsione contro
il nuovo: ben inteso che delle piccole innovazioni, co-
me sarebbero la moda per la donna, il mutamento del ta-
tuaggio da elittico in circolare per il selvaggio, i balocchi
per il bambino, non solo non hanno orrore, ma anzi vi-
vissimo desiderio, perché vellicano, senza irritarli o ad-
dolorarli, i centri nervosi che hanno pur bisogno di qual-
che mutamento.
Ma quando l’innovazione sia troppo radicale, allora
non è solo il selvaggio ed il bimbo che ne sentano orrore;
la gran maggioranza degli uomini, per i quali il misonei-
smo è legge di natura, ne prova ribrezzo e ciò per il do-
lore che produce il dover far subire al proprio cervello
dei passaggi più rapidi che non siano della sua portata;
essendo naturali nell’uomo volgare, come in tutti gli ani-
mali, l’inerzia e la ripetizione dei moti già eseguiti, pro-
prii od atavistici.
Si potrebbe paragonare l’uomo comune, così chiuso
alle innovazioni, all’ipnotizzato che, quando abbia avu-
to una suggestione inibitrice, non vede una data immagi-
ne che pure ha sott’occhio e si comprende pertanto co-
me gli debba sembrare ridicolo od empio chi queste in-
novazioni approvi ed addotti. E la parola trovare vien da
turbare (troubadour, troviere).
Fondamento del delitto politico Ora, se per tutto quan-
to abbiamo visto, il progresso organico ed umano non ha
luogo che lentamente e per attriti potenti, provocati dal-
le circostanze esterne ed interne, e se l’uomo e la socie-
tà umana sono conservatori istintivamente, è forza con-
cludere che i conati al progresso, che si estrinsecano con
mezzi troppo bruschi e violenti, non sono fisiologici: che
se costituiscono qualche volta una necessità per una mi-
noranza oppressa, in linea giuridica, sono un fatto anti-
sociale e quindi un delitto.

Storia d’Italia Einaudi 636


Cesare Lombroso - Genio e follia

Ed un delitto spesso inutile: perché essi destano una


reazione in senso misoneistico, che basandosi solidamen-
te sulla natura umana, ha una portata maggiore dell’azio-
ne anteriore. – Ogni progresso per esser adottato deve
esser lentissimo, altrimenti riesce un dannòso ed inutile
sforzo.
Coloro che vogliono imporre una novazione politica,
senza tradizioni, senza necessità, intaccano il misoneismo
e destano così la reazione negli animi aborrenti dal nuo-
vo, con che giustificano l’applicazione della legge puniti-
va.
Rivoluzioni, ecc. E qui si pare la distinzione tra le ri-
voluzioni propriamente dette che sono un effetto lento,
preparato, necessario, al più reso di un poco più rapido
da qualche genio nevrotico, o da qualche accidente sto-
rico – e le rivolte o sedizioni, le quali sarebbero un’incu-
bazione precipitosa, artificiale – a temperatura esagerata
– di embrioni tratti perciò a certa morte.
La rivoluzione è l’espressione storica della evoluzione:
dato un assetto di popolo, di religione, di sistema scien-
tifico, che non sia più corrispondente alle nuove condi-
zioni, ai nuovi risultati politici, ecc., essa li cambia col
minimo degli attriti e col massimo del successo, per. cui
le sommosse e le sedizioni che provoca, se pure ne sono
una parte necessaria, sono appena avvertite e svampano
appena comparse: è la rottura del guscio del pulcino ma-
turo.
Uno dei suoi caratteri distintivi, dunque, è il successo,
che può raggiungersi presto o tardi, secondo che sia più
maturo o no l’embrione e secondo che sieno i popoli e i
tempi adatti alla evoluzione.
Un altro carattere è il suo moto lento e graduato, al-
tra ragione questa del successo, perché allora è tollerato
e subìto senza scosse; malgrado, non di rado, una certa
violenza vi appaia necessaria contro i partigiani del vec-
chio che si trovano sempre, per quanto grandi siano le

Storia d’Italia Einaudi 637


Cesare Lombroso - Genio e follia

ragioni del nuovo: e ciò sempre per l’universalità del mi-


soneismo e della legge di inerzia.
Le rivoluzioni sono più o meno diffuse, generali e se-
guìte da tutto un paese; le sommosse sono sempre par-
ziali, opera di un gruppo limitato di caste o d’individui;
alle prime non prendono parte quasi mai i ceti elevati;
alle seconde tutti i ceti, anche ed anzi gli elevati, ben in-
teso quando essi non sieno presi di mira dagli altri per
livellarsi con loro.
Le sedizioni rispondono a cause poco importanti188 ,
non di rado locali o personali, spesso in rapporto all’imi-
tazione, all’alcool, e più al clima, come si vedrà dal pa-
rallelismo con i crimini di ribellione e di ferite e dura-
no di una vita tanto più corta, quanto più vivace. Come
non mirano ad alti ideali, così non raggiungono uno sco-
po o lo raggiungono contrario al benessere generale e so-
no frequenti in popoli meno progrediti: esempi il Mes-
sico, S. Domingo, le piccole repubbliche medioevali, e
già non più ora, quelle dell’America settentrionale; come
nei ceti meno colti e nel sesso più debole – e assai più vi
partecipano i criminali che gli onesti.
Le rivoluzioni invece appaiono sempre di raro; mai
nei popoli poco progrediti, e sempre per cause assai
gravi o per alti ideali; vi prendono parte più gli uomini
appassionati, cioè i rei per passione od i genii, che i
criminali.
«Nessuna rivoluzione riesce se non vi è un uomo che
ne sia alla testa», lasciò scritto il Machiavelli; e altrove:
«Una moltitudine senza capi è inutile». E Coco, parlan-
do della Rivoluzione napoletana: «A Napoli v’eran tutti
gli elementi della rivoluzione, ma mancava l’uomo, e così
essa non ebbe lunga durata».
E ciò è naturale, perché il genio essendo essenzialmen-
te originale ed amante dell’originalità, è il naturale oppo-
sitore delle vecchie tradizioni, della conservazione189 : è
il rivoluzionario-nato, e quindi egli è il precursore ed il

Storia d’Italia Einaudi 638


Cesare Lombroso - Genio e follia

preparatore più attivo e fortunato delle evoluzioni: il che


spiega il perfetto parallelismo che noi trovammo tra le
cause e le diffusioni, tra il genio e le rivoluzioni.
Che enorme cumulo di doti morali ed intellettuali
presentano questi grandi, e che felice adattamento alle
necessità del momento storico!
Ambiente del genio Però anche l’opera dei genii non
è che una sintesi, un acceleramento rapido d’idee senti-
menti già maturi e pronti a svilupparsi nel seno d’un po-
polo.
Ecco dove consiste veramente l’opera del genio. La
nostra inerzia è sì grande che se tutto anche è predisposto
ad una riforma, essa non si eseguisce subito se un genio
o un pazzo di genio non vi accende la miccia.
Molti, per esempio, se non tutti gli uomini colti in Ita-
lia, sono convinti che lo studio classico è più un orna-
mento che un vantaggio dell’istruzione, e con me l’han-
no scritto e ripetuto Graf, Sergi, Angiulli, Morselli, Vac-
caro, e si sono perciò mosse interpellanze parlamentari
(Siacci), ma non si ottennero che vaghe promesse o ten-
tativi timidissimi e sterili; che senza un politico di genio
che trascini le opposizioni rampollanti dalle antiche abi-
tudini, dall’ignoranza, dalla timidità, anche dei convinti,
passeranno secoli senza vederlo abolito.
Viceversa, però, senza l’ambiente adatto ai genii, que-
sti, se anche esistono, non vengono a galla, non perché
non sorgano, ma perché non vengono compresi: onde
le scoperte antiche numerose, sul gas, sull’elettricità, sul-
le ferrovie, sul Nuovo Mondo, sull’ipnotismo, passaro-
no inavvertite; e perciò vedemmo nel mio Delitto poli-
tico che la rivoluzione è in un parallelismo matematico
colla genialità e la coltura di un popolo. E basta per
convincersene dare un’occhiata alla Tavola (XXI-XXII)
della Francia orografica, in cui si vedono i dipartimen-
ti che hanno dato la massima scarsezza di genii, come
ne et Vilaine, Morbihan, Côte du Nord, essere i diparti-

Storia d’Italia Einaudi 639


Cesare Lombroso - Genio e follia

menti più reazionari; e ben si disse che se può sospettarsi


che il grande numero dei genii ateniesi abbia influito so-
pra la coltura e la politica di Atene, viceversa è più certo
che la grande coltura degli Ateniesi, il rapido succedersi
dei partiti contribuivano a mettere in luce i genii quando
sorgevano; in questo senso va compreso come nei pae-
si retti a repubblica od in preda a partiti violenti, si os-
servi un maggior numero di grandi uomini (il dimostra-
rono anche Firenze e l’epopea di Garibaldi) che non in
tempi tranquilli e in paesi retti a monarchia assoluta. Ma
quando la genialità vuole forzare gli ostacoli del tempo e
del popolo e precede di secoli il loro sviluppo, potrà per
qualche tempo, grazie alla propria energia, imporsi alla
sua epoca, dar luogo ad una rivoluzione; ma questa, al
pari delle sommosse, per quanto più grandiosa e più no-
bile, o non lascia più traccia di se o provoca una reazione
in senso contrario.
Genii reazionari Ve n’ebbero, è vero, dei reaziona-
ri. Savonarola, Sant’Ignazio, San Domenico, Metterni-
ch, furono veri genii del misoneismo. Chi ha veduto che
l’originalità del genio non esclude il misoneismo, in al-
cune direzioni, anzi, ve lo acuisce e lo rende intolleran-
te del nuovo, non ha difficoltà a comprendere come, da-
ta una educazione teologica o feudale, una tendenza ere-
ditaria (De Maistre, Chateaubriand, Schopenhauer, Bi-
smarck), e degli avvenimenti terrifici, come quelli che ac-
caddero a Sant’Ignazio, a Manzoni, o delle necessità sto-
riche, esso diventa gigante, come lo è nei rari accademi-
ci di genio che respingono tutte le scoperte altrui (Vel-
peau nel 1839 negava gli anestetici); ma non manca però
mai in essi l’originalità ed un’originalità evolutiva; e Bi-
smarck, pure adorando feudalmente il suo re, seppe in-
coronare i sogni socialistici; e Napoleone fuse nelle ten-
denze atavistiche di un condottiero medioevale le idee
della rivoluzione, l’eguaglianza delle classi sociali, quel-
la dei culti; e Savonarola, pur soffocando i germi del ri-

Storia d’Italia Einaudi 640


Cesare Lombroso - Genio e follia

sorgimento, avrebbe ottenuto il trionfo di una vera de-


mocrazia; e Schopenhauer, debellando le masse rivolu-
zionarie, avrebbe però fatto trionfare il positivismo filo-
sofico.
E le rivoluzioni reazionarie, ad ogni modo, per quan-
to ben dirette, dai genii, se sono contro l’andazzo, divi-
dono la sorte delle sommosse, benché con minor preci-
pitazione, con minore insuccesso, avendo un vecchio ad-
dentellato nella natura umana.
Genii nella ribellione Si aggiunga poi che i popoli
prescelgono quasi sempre gli ingegni mediocri, mattoidi
o criminali, ai talenti ed ai genii che non sieno d’azione;
e così, se essi pur giungono al potere, è sorprendendo la
maggioranza, inforcandola come un domatore un cavallo
selvaggio.
Ma se il genio entra nelle rivoluzioni, se, anzi, è esso
sempre una rivoluzione, è in minoranza nelle rivolte,
dove predominano, invece, il volgare ed il mattoide; ben
notando Coco (op. cit.), non essere i dotti che possano
influire sul popolo, ma quelli che hanno maniera di
sentire e parlare pari alla sua.
Trasformazione della tendenza criminale in delitto po-
litico Non è raro di trovare, viceversa, la tendenza crimi-
nale innata mutarsi in attività rivoluzionaria, poiché que-
sta, oltrecché soddisfarne gli istinti impulsivi, offre a loro
una vernice di generosità, una specie di alibi morale pei
reati commessi, e così dà loro modo di conquistare quel-
la influenza anche sugli onesti, che è naturale sia nel più
vivo desiderio di costoro, vanitosi fino alla megalomania.
È strano come, allora, in molti di questi si riscontri
anche nel delitto una relativa onestà; così i socialisti
viennesi Engel, e Flegger rubano per la cassa anarchica,
ma nulla ritengono per sé fuorché l’uno il prezzo degli
occhiali perduti, l’altro quello del viaggio a Praga.
Succede per loro ciò che si vede in natura della putre-
fazione, che è nello stesso tempo effetto e causa dei fer-

Storia d’Italia Einaudi 641


Cesare Lombroso - Genio e follia

menti, e a sua volta aiuta e feconda la vita vegetale, favo-


rendo così l’eterno circolo della vita.
Così si spiega come siansi veduti dei Principi malva-
gi, come Comodo ed Eliogabalo, essere, all’inverso del-
l’onestissimo M. Aurelio e di Giuliano, tolleranti coi cri-
stiani, comecché appunto la follia morale, causa della lo-
ro criminalità, li rendesse meno avversi alla grande rivo-
luzione di Cristo.
Un esempio singolare ne abbiamo in un certo Vise...,
ladro fino dai sette anni e nevropatico, legato a tutte
le grandi associazioni di malfattori d’Italia, che tentò
parecchi suicidi, perché non sapeva resistere alla smania
dei furti, di cui poi si vergognava tanto, che prima di
tentare il suicidio scriveva: «Devo finirmi per non essere
di danno ulteriore alla società»190 .
Costui, salvato dalla morte, un bel giorno disse: «Non
voglio più rubare, voglio dedicarmi alla redenzione dei
popoli, alla dinamite, sollevando gli operai», e per molti
giorni non si occupò che di economia, di morale, di asso-
ciazioni; guarì poi, ma restando di così esagerato altrui-
smo, che andò in collera perché gli rifiutai di servirmi del
suo sangue per una trasfusione.
Qui dunque la tendenza al crimine ed al suicidio, si
trasformava, tutto ad un tratto, in una tendenza rivo-
luzionaria, mostrandone la connessione, come l’accesso
convulsivo dell’epilettico si trasforma talora in un acces-
so criminale e ne rivela la comune origine.
[...] Epilessia politica La connessione della criminalità
congenita coll’epilessia191 ci spiega la frequenza nei rei
politici di quei casi che chiamerei di epilessia politica.
Invero la vanità, la religiosità, le allucinazioni vivissime
e frequenti, la megalomania, la genialità intermittente,
insieme alla grande impulsività degli epilettici, ne fanno
dei novatori religiosi e politici.
Per noi, adunque, base dell’imputabilità del delitto
politico è il diritto della maggioranza dei cittadini al man-

Storia d’Italia Einaudi 642


Cesare Lombroso - Genio e follia

tenimento della organizzazione politica da essi voluta; il


delitto qui consiste appunto nella lesione di questo dirit-
to.
Né può dirsi che questa legge della maggioranza sia
arbitraria come che spesso le minoranze, di fronte alla
massa misoneistica, rappresentano il vero ed il giusto; se
questo è, le forme politiche vagheggiate non tarderanno
a raccogliere l’adesione dei più; ma il fatto di non averla
ancora raggiunta, dimostra come esse non siano mature,
che, come nella natura nulla procede per salti, così nella
vita politica, quella che il Comte chiama legge dinamica,
si svolge lentamente e non tollera scosse.
E come chi tentasse di sorpassare pur di una linea le
leggi di natura è condannato a perire, così, chi voglia
attuare progressi sociali troppo rapidi o intempestivi,
è colpito dalla reazione della società, offesa nella sua
naturale tendenza all’inerzia (V. pag. 11 e segg.).
La legge della maggioranza è dunque in fondo legge
di natura; ed è su questa che lo Stato si basa, perché esso
in fondo non rappresenta se non la concorde volontà
dei cittadini, i quali, in potenza, partecipano tutti alla
formazione del Governo.
Che se questa maggioranza fu ligia dapprima ai capi
ed agli ottimati, e piegò sotto la potenza militare delle
monarchie, rialzò il capo appena si sentì la forza di
governare se stessa; e dopo lotte secolari per la conquista
del potere politico, trionfò coll’assicurare all’elemento
popolare la dovuta parte nella formazione del Governo.
Ma affermato il diritto, l’esercizio doveva esserne di-
sciplinato; le grandi masse popolari non potevano par-
tecipare tutte alla direzione della cosa pubblica, e fu al-
lora appunto che, pur tenendo a base dei Governi sor-
ti dai grandi cataclismi sociali dell’ultimo secolo, quella
sovranità popolare, che ne fu una delle più grandi con-
quiste, s’idearono dei meccanismi, per i quali la direzio-
ne del Governo fosse assicurata ai più capaci. – Sorse-

Storia d’Italia Einaudi 643


Cesare Lombroso - Genio e follia

ro così le Costituzioni, per le quali il popolo affidò alle


assemblee, ai deputati, la rappresentanza di tutti o qua-
si i proprii poteri, coi plebisciti, col suffragio universale,
col referendum, ecc., coll’azione popolare, col diritto di
petizione, colle elezioni di primo e secondo grado, ecc.
Oggi pertanto il Governo si può dire l’emanazione
della maggioranza dei capaci, o tali presunti nelle for-
me di legge; e finche essa dura, la sola presunzione am-
missibile legalmente è che sia voluta dalla maggioranza
stessa.
Di qui tutte le sanzioni che mirarono a tutelare l’or-
ganizzazione politica come espressione della volontà dei
più; finche dei fattori antropologici, fisici o sociali non vi
imprimano lentamente, in guisa di non perturbare il sen-
timento pubblico, un altro indirizzo, dando forza nume-
rica o morale ai fautori di nuove forme politiche.
Ma qui non èi tutto: si questiona da molti se nei
politici debbano comprendersi anche i reati così detti
sociali e religiosi.
Ora, dimostrare i legami che le questioni sociali hanno
colle politiche, sarebbe inutile per noi, dacché abbiamo
veduto quanta relazione le rivoluzioni e le rivolte abbia-
no colla economia sociale: si può dire, anzi, che la lotta
delle varie classi per la conquista del potere politico si ri-
solva in fondo nell’aspirazione al proprio miglioramento
economico.
Forse mai anzi, come ora, i due campi tendono ad in-
vadere i rispettivi confini; che da un lato le classi ope-
raie, mercé l’energia del socialismo militante, tendono a
contrastare la supremazia politica alle classi privilegiate,
non rifuggendo i più fanatici da delitti che sono né più
né meno politici, come abbiamo veduto dei Feniani in Ir-
landa e degli anarchici in Francia, in Belgio ed in Germa-
nia; dall’altro, le classi governanti si difendono, non so-
lo opponendo la forza alla forza, ma cercando con mez-
zi indiretti, per es., col socialismo di Stato, di attenua-

Storia d’Italia Einaudi 644


Cesare Lombroso - Genio e follia

re gli attriti e curare le piaghe più vive, per conservare il


potere.
E furonvi negli ultimi tempi questioni politiche, e gra-
vissime, occasionate da sole cause economiche; come ad
esempio, in America, quella della schiavitù, che portò al-
la guerra di secessione, e quella dei Coolies che mise gli
Stati Uniti in condizioni difficili verso l’Impero Chinese.
Ed ora in Francia la guerra all’operaio italiano, la pro-
tezione economica in America, ed in Inghilterra la que-
stione dell’alcoolismo entrano nella lotta dei partiti par-
lamentari.
Certo le questioni economiche non sono politiche fin-
che rimangano parziali e corrispondano alle risse ed alle
ribellioni in confronto al delitto comune. E così gli scio-
peri in piccola scala. Ma sono essenzialmente politici, so-
no espressione di un malessere sociale, quando abbiano
(ved. pag. 200) una vasta estensione. E nell’origine loro
come nella loro repressione entra quasi sempre il criterio
politico.
E giova qui notare un fatto che, meglio che nel testo,
appare nelle ricerche speciali che diamo nell’Appendice
I: come gli scioperi seguano esattamente le leggi e l’anda-
mento dei reati politici – più frequenti nei mesi caldi, nei
maschi, e nei dipartimenti a voti repubblicani e in quel-
li dove maggiore è il benessere e l’oppressione relativa-
mente minore (V. Appendice I).
In armonia di questi concetti, delitto politico è per noi
ogni lesione violenta del diritto costituito della maggioran-
za, al mantenimento e al rispetto dell’organizzazione poli-
tica, sociale, economica, da essa voluta.
Questa definizione, basata sul concetto obbiettivo del
diritto leso, risolve, a parer nostro, molte questioni, che
nel campo giuridico si sono fatte, p. e., dal Morin,
dall’Ortolan, e fra i nostri, dal Grippo e dal Mecacci,
i quali vorrebbero che reato politico fosse ogni reato
avente scopo politico: ora, per noi, la ricerca dello scopo

Storia d’Italia Einaudi 645


Cesare Lombroso - Genio e follia

sarà una guida per cogliere l’oggettività del diritto leso,


ma non può bastare a costituire il reato.
Vi possono essere infatti dei reati comuni cui l’autore
annetta uno scopo politico, come nel caso, p. e., di
omicidio settario; ma quando l’organizzazione politica
non ne viene lesa, esso resta un delitto comune; e la
passione politica che armò la mano del colpevole, servirà
a misurarne la punibilità, in confronto a reati mossi da
passione più ignobile, ma non mai ad elevare quello fra i
delitti contro lo Stato.
In Roma repubblicana, al perduelle, al nemico del po-
polo romano e della patria, si troncava il capo; nel Me-
dio Evo si videro gli stessi nostri liberi Comuni, Vene-
zia p. es. e Firenze, per un semplice sospetto politico,
comminare le pene più atroci. Ed anche ora, in Istati
democratici, come quelli di Nord-America, la morte è
comminata ai rei di offesa contro la Costituzione, non-
ché di complotto manifestatosi con atti esterni ( Statut.
of New-York, titolo 1°).
È duopo convenire, tuttavia, che se le leggi, anche
dei popoli più liberi, non rispondono su questo punto ai
progressi storici e scientifici, essi non si accordano oggidì
neppure colla coscienza popolare, almeno fra le classi più
illuminate, le quali non accettano misure tanto severe;
e lo manifestano nella giuria con esagerate assoluzioni,
o nei comizi elettorali con suffragi, i quali spogliano
d’ogni prestigio l’autorità della giustizia, quand’anche
non riescano a paralizzarne del tutto l’azione.
Perciò, malgrado che questo studio avesse preso l’ab-
brivo dal contemplare le gloriose effigie dei nostri marti-
ri esposte a Torino nel 1884, e fosse proseguito sotto la
scorta di una scuola certo poco sospetta di idee retrive,
non solo non ci meravigliammo dell’opposizione levataci
contro anche da egregi compagni d’arme192 , ma tanto ne
comprendemmo il generoso movente, che più volte l’a-
vremmo noi stessi condiviso, se la serenità della ricerca

Storia d’Italia Einaudi 646


Cesare Lombroso - Genio e follia

e la fredda ragione non avessero finito col trionfare del


primo impulso, che ci spingeva a simpatizzare, in questi
casi, ben più spesso coi pretesi rei che coi loro giudici.
Ed anzi, se fosse lecito mettere a paro le piccole col-
le grandi cose, ci imbrancheremmo noi stessi fra questi
rei, convinti che il fatto solo d’essere partigiani dell’an-
tropologia criminale, la quale cerca di portare un così
grande mutamento nelle vecchie idee giuridiche, sareb-
be sembrato un delitto in altri tempi ed in altri paesi: e lo
sarebbe anche attualmente nel senso giuridico della pa-
rola, se noi volessimo con audace improntitudine e con
mezzi estranei alla scienza, precipitarne l’attuazione nel
mondo.
E noi stessi, del resto, conveniamo fin d’ora dover
sembrare impropria la denominazione di delinquente ap-
plicata ai rei politici, sopratutto, poi, se la si confondes-
se con quella di criminale-nato; il quale dà, è vero, il suo
contributo al reato politico, ma in piccola parte e con ta-
li caratteri che lo fanno, a primo colpo, distinguere dalla
schiera, tutt’altro che ignobile, a cui si frammischia.
Se non che noi, qui, abbiamo dovuto cedere ad una
necessità di espressione tecnica, pur restando convinti
che il reo politico, anche quello che per noi giuridica-
mente è tale, non lo sia quasi mai dal punto di vista mo-
rale e sociale.
È vero poi che, ogni giorno che passa sembra rendere
meno urgente, meno viva questa questione: mentre se
pare certo frutto d’una illusione la sentenza di Spencer,
che il delitto comune debba sparire col tempo, non lo è
applicata al delitto politico; e già lo dimostra la dolcezza
della repressione che si travede, se non sempre nella
lettera, nello spirito moderno della legge: certo, poi, in
quello dell’opinione pubblica, che foggia la legge e la
riforma o rinnega quando ne diverga; e ben ce lo prova
il numero sempre più scarso dei reati politici che si van
commettendo nelle nazioni colte d’Europa.

Storia d’Italia Einaudi 647


Cesare Lombroso - Genio e follia

Gli è che da una parte si comincia a comprendere co-


me tra rivoluzione e ribellione vi sia quella immensa di-
stanza che separa l’evoluzione dal cataclisma, l’accresci-
mento naturale dal tumore patologico; come fra esse vi
sia più antagonismo che analogia, il che fa distinguere
quasi del tutto dai grandi fautori di rivoluzioni, quelli
che vissero di sommosse, sterili sempre, anche quando
provocate da onesto proposito e da riguardarsi, quindi,
fra quei delitti, che pur partendo da onesta spinta, non
possono perciò escludersi dai codici.
D’altra parte, una serie di cause che rendevano, in pas-
sato, quasi permanente il delitto politico, come l’oppres-
sione delle nazionalità e l’intolleranza delle opinioni reli-
giose e filosofiche, andò scomparendo o per lo meno sce-
mando e scemò con loro la reazione che essa necessaria-
mente destava.
Tuttavia non si può dire che ogni causa sia del tutto
svanita; sia perché poco discosto da noi (relativamente
felici per questo riguardo – gemono popoli a cui si nega
il diritto del libero esame o della autonomia; sia perché
anche fra noi, come accade ai viziosi od ai viziati, la
sazietà non basta a portare la calma, ma anzi ridesta ed
eccita nuovi, disordinati appetiti, almeno in un gruppo
d’uomini, cui la nevrosi o le sventure della vita rendono
incapaci di sosta.
Dobbiamo, dunque, cercare se al disopra degli abusi
dei despoti e delle apoteosi di piazza, esista un delitto
politico, causa di pericolo sociale e quindi inducente una
responsabilità: – e in che esso consista, di fronte ad un
organismo politico ed ai diritti dei cittadini che ne fanno
parte.
Se noi, in questo studio, seguissimo le vie battute
dai giuristi antichi, dovremmo cominciare col formulare
una definizione aprioristica, al più appoggiata a citazioni
autorevoli, sopratutto antiche; e da ciò, come fa il ragno

Storia d’Italia Einaudi 648


Cesare Lombroso - Genio e follia

coi suoi fili maestri e probabilmente colla stessa solidità,


fissare la tela di tutto il lavoro.
Ma siccome per noi il reato è subordinato allo studio
del reo, così non intendiamo dettare definizioni, che ad
ogni modo entrerebbero per noi in seconda linea, – se
non dopo aver esposto, coll’appoggio dell’antropologia
criminale e della storia, i fattori ed i caratteri di questa
nuova specie di delinquenti.

3
Gli anarchici

In questi tempi, in cui si tende sempre più a complicare


la macchina di governo, non puoi considerare una teoria
come l’anarchica, che accenna al ritorno verso l’uomo
preistorico, prima che sorgesse il paterfamilias, che come
un enorme regresso.
Però, come ogni favola contiene una parte di vero,
ogni teoria, per quanto assurda, massime quando è se-
guita da un gran numero di persone, deve contenere una
qualche parte di giusto. Né deve allontanarcene il pen-
siero del suo strano ritorno all’antico, perché è solo la
sconfinata vanità umana che ci può far credere in un con-
tinuo progresso sul vecchio e sull’uomo primitivo. Il no-
stro progresso, invece, non è una parabola in continua
ascesa, ma è una linea a zig-zag molte volte rientrante; e
(ricordisi il Multa renascentur quae jam caeciderunt) non
sempre il ritorno all’antico segna un regresso; esempio:
il divorzio, che, fino a un certo punto, è un ritorno alle
abitudini preistoriche; esempio: le teorie ipnotiche e spi-
ritiche che ritornano in campo molte di quelle profezie e
di quelle magie che noi relegavamo fra le fiabe più fan-
ciullesche dei tempi antichi; esempio: le nuove teorie sul
monismo, sulla difesa sociale, sul diritto di punire, che

Storia d’Italia Einaudi 649


Cesare Lombroso - Genio e follia

si avvicinano a quelle delle epoche antichissime, come si


avvicina il suffragio universale, il referendum, ecc.
La prima spiegazione dell’insorgere di questo strano
partito si trova, del resto, nello esame delle condizioni
nostre, – certo, se noi chiediamo ad un impiegato ben
pagato, ad un proprietario chiuso nell’intelligenza, e an-
cor più nel senso etico, come vada la società umana at-
tuale, essi ci risponderanno andar essa di bene in meglio;
essi stanno bene: chi altri può mai stare male? Ma se noi
invece interroghiamo uomini d’alta coscienza, Tolstoi, p.
es., Richet, Sergi, Hugo, Zola, Nordau, De Amicis, essi
vi diranno che la nostra fine di secolo appare ben triste.
Sopratutto noi soffriamo pel difetto dell’assetto eco-
nomico. Non già che veramente esso sia peggiore di
quello dei nostri padri; le carestie, anzi, che mietevano
a milioni le vittime, ora non ne mietono che poche centi-
naia, e le nostre operaie han più camicie delle più super-
be castellane antiche. Ma sono aumentati in isproporzio-
ne alle rendite i bisogni e la repugnanza contro il modo
di soddisfarli: la carità conventuale, monastica, è ancora
il modo più esteso che ci offra a medicare le troppe mi-
serie, ne essa appaga tanto le prime necessità, quanto ir-
rita la naturale alterigia dell’uomo moderno; quanto alla
cooperazione, essa ha una zona di azione troppo limitata:
anzi, nelle campagne nostre manca quasi affatto.
E fossero anche l’una e l’altra feconde e potenti, non
basterebbero a calmarci, perché cieco e violento come
ogni altro fanatismo va sorgendo, anzi straripando, fra
noi, il fanatismo sociale ed economico sulle ruine del
patriottico, del religioso, ecc.
Gli è che: gli ideali religiosi, famigliari, patriottici,
quelli di campanile, di casato, di spirito di corpo o di
casta andaronsi sotto i nostri occhi dileguando.
E come l’uomo di qualche ideale ha pur sempre biso-
gno, si è avvinghiato all’economico, il quale, essendo più
positivo, più legato alle necessità della vita, non poteva

Storia d’Italia Einaudi 650


Cesare Lombroso - Genio e follia

come gli altri sfatarsi sotto alla logica inflessibile dell’a-


nalisi moderna; ed in questo concentrava tutte le energie,
prima negli altri disseminate.
Del resto qualunque proposta utile ci venisse dall’a-
narchismo riuscirebbe inapplicabile o assurda, perché,
come ho dimostrato nel mio Delitto politico, nessuna ri-
forma si può introdurre in un paese se non lentissima-
mente, quando non si voglia destare una reazione che
distrugge ogni anteriore lavoro; l’odio del nuovo (miso-
neismo) essendo così radicato nell’uomo che ogni sforzo
violento contro l’ordine stabilito, contro il vecchio, è un
delitto poiché ferisce le opinioni della maggioranza; e, se
costituisce una necessità per la minoranza oppressa, re-
sta pur sempre un fatto antisociale e quindi un delitto, e
sovente un delitto inutile, poiché risveglia una reazione
in senso misoneico.
Ora, se il progresso organico e umano non ha luogo
che lentamente, e se l’uomo e la società sono per istin-
to conservatori, è logico dedurne che i conati al progres-
so i quali si estrinsecano con mezzi violenti destano ripu-
gnanza e formano le basi e le ragioni del delitto politico,
che quando si vollero ricercare altrove vennero sempre
mancando.
Se invece una riforma chiesta con mezzi anche poco
energici è accettata dai più, è segno ch’essa doveva ma-
nifestarsi precisamente in quel dato momento in cui s’è
manifestata; è segno ch’essa non urta il misoneismo, che
non viola quindi la legge d’inerzia, che è un fenomeno
fisiologico, non patologico; in una parola, segno che la
rivoluzione non è veramente un delitto politico.
E infatti: la condizione prima perché un atto sia an-
tisociale, vale adire un delitto, è ch’esso sia l’opera d’u-
na minoranza. Quando la maggioranza lo approva esso
diviene un’azione normale.
Ma dove il delitto politico si confonde col delitto co-
mune, è quando codesci novatori dal campo teorico, li-

Storia d’Italia Einaudi 651


Cesare Lombroso - Genio e follia

bero a spaziare da chiunque abbia la mente sana, pre-


tendono scendere alla pratica, volendo, come vidimo,
raggiungere la meta con ogni mezzo, anche col furto e
coll’assassinio; credendo, cioè, colla uccisione di poche,
spesso innocentissime vittime, che naturalmente desta
una reazione violenta in tutti, ottenere quell’adesione che
gli opuscoli e le propagande orali non riescono a strap-
pare. Qui il delitto e l’assurdo si sposano e si raddoppia-
no, e se uno scopo raggiungono, è l’opposto a quello che
costoro si erano prefisso: destano, cioè, l’impopolarità in
basso, il disgusto dei savi in alto; sono come certi colpi
troppo audaci di barcaiuoli impazienti che allontanano
per sempre dalla riva lo schifo invece di ravvicinarvelo
più presto.
Ma qui sorge pel psichiatra e il socialista uno strano
problema. Com’è che in costoro, pazzi, criminali pur
quasi tutti, e nevrotici ed anche fervidi passionali, spicca
così grande l’altruismo che non si trova nel comune degli
uomini, e meno ancora nei pazzi e nei criminali, i più
tristi egoisti del mondo?
E questo uno dei caratteri che, con gran meraviglia,
trovammo sempre mescolato in Vaillant, in Henry, in
Caserio ed anche in molti anarchici che erano anche as-
sai più criminali di lui. P. Desjardins nota pur egli questi
caratteri. «V’han degli anarchici scellerati: ma molti che
son buoni, trasformansi per la troppa sensibilità in ribel-
li: ne vidi uno che divenne anarchico vedendo un padro-
ne rompere un braccio al suo garzone. – E. Reclus è co-
nosciuto per la sua eccessiva bontà»193 . Tutti sanno che
Pini e Ravachol facevano gettìo di quasi tutti i denari ru-
bati in pro dei compagni o della loro causa, Spiès, mi fu
scritto da Chicago che era venerato come un santo dai
suoi compagni cui dava tutto il suo: guadagnava 19 fran-
chi per settimana, e due ne dava ad un amico malato; aiu-
tò perfino un uomo che l’aveva insultato: sicché i com-
pagni dicevano che se la causa avesse trionfato, bisogna-

Storia d’Italia Einaudi 652


Cesare Lombroso - Genio e follia

va incarcerarlo per impedirgli di nuocere alla rivoluzione


anarchica colla sua sentimentalità194 .
Per spiegare questa contraddizione di due sentimenti
opposti, l’altruismo e la crudeltà, che spicca così bene in
Vaillant, in Henry e nei suoi predecessori, bisogna aver
presente quello che succede negli isterici a cui apparte-
neva certo il Vaillant.
L’isteria, che è la sorella dell’epilessia e si lega simil-
mente a perdita dell’affettività, ci mostra ancora spesso,
accanto all’egoismo esagerato, altre tendenze d’altruismo
eccessivo, che ci provano come questo non sia spesso che
una variante della follia morale.
Nella filantropia l’altruismo è escluso nei puri crimi-
nali. È noto come non vi sieno peggiori uomini dei gran-
di filantropi, e come, viceversa, molti criminali abbiano
usato tratti di carità veramente singolari, rischiato la vita
o la libertà per salvare un gattino, un uccello.
Gli è che la psiche nostra, come i nostri nervi, è sog-
getta alla legge dei contrasti: esaurita la bontà, si inchina
alla cattiveria, e sfogata la crudeltà, si inchina alla bontà,
così come la retina stanca del rosso vede verde e vicever-
sa. S’aggiunga che in molti la criminalità consiste special-
mente nell’impulsività, nello scoppio violento che spin-
ge ad una data azione: e quest’azione, criminosa e vio-
lenta quasi sempre, può sorgere in un terreno tutt’altro
che cattivo, come negli epilettici, che, fuori dell’accesso,
possono essere un modello di bontà.
Oltre che, anche i veri crudeli, sentendosi anomali,
sentendosi come fuori dell’orbita umana, si sentono beati
di rientrarvi, almeno per poco, dando ai malvagi istinti la
vernice dell’altruismo.
In altri casi la contraddizione si spiega perché quando
molti s’associano per commettere un delitto politico, o
per iscopo altruistico per giovare al Comune, al partito,
proprio all’inverso di quanto accade nelle comuni asso-
ciazioni criminose, nella coscienza degli autori, anche del

Storia d’Italia Einaudi 653


Cesare Lombroso - Genio e follia

pubblico, quel delitto scema di gravità, sia perché «pec-


cato di tutti, peccato di nessuno», sia perché è nel pare-
re del mondo che lo scopo altruistico giustifichi qualche
volta il mezzo disonesto (G. Ferrero, nella Nuova Rasse-
gna, 1894).
Il commettere un’azione anche vergognosa per far del
bene a un terzo e non a se stessi (per esempio, chieder
l’elemosina o il sussidio per un terzo per quanto pure sia
intinto nella stessa pece di chi la chiede direttamente),
non desta più un triste effetto nei più; pare perfino in
alcuni casi un’opera meritoria. E così spiegasi come
individui che non sono nati tristi facciano in questi casi
delle azioni nefande; e tanto più quando si pensi a che
cecità enorme conduca il fanatismo: e così spiegasi come
i torturatori delle inquisizioni potessero essere gente pia
e onestissima, pur facendo opere degne di assassini.
Nota giustamente Desjardins che in molti la bontà
porta al delitto, perché, credendo tutti gli uomini buoni
(Reclus e Krapotkine sostennero contro me che perfino
i selvaggi son buoni ed onesti), hanno come un diritto di
colpire quelli che, essendo tristi, fanno torto all’umanità.
– Noi finiamo per esecrare alcuni a forza d’amare, scrive
Radon (Revue Anarchiste, 15 novembre 1893.) .
Se Caserio, come affermano, ha detto nelle sue ultime
ore: «Il mio non fu che un atto politico» ci ha dato una
nuova prova di essere il delitto politico considerato dai
suoi attori, diversamente, anzi all’inversa che dal pubbli-
co; la passione facendoli ritornare agli stati primitivi del-
l’uomo, in cui la vendetta è un diritto ed un dovere, e tut-
ti i delitti, in genere, non sono che atti (nel latino facinus
deriva da facere e crimen deriva da cri fare, in sanscrito) –
al che, ripetiamo, l’educazione classica ha enormemente
contribuito, innalzando ad eroi i sanguinari vendicatori
politici: Bruto, Timoleone, Aristogitone, ecc.
Caserio è un mirabile esempio di questa forma. Ha 21
anni, è di Motta Visconti.

Storia d’Italia Einaudi 654


Cesare Lombroso - Genio e follia

La sua famiglia si compone di padre, madre e di otto


fratelli, tutti sani, di cui il Sante è il penultimo nato.
Quanto alla fisionomia ha nulla del tipo criminale:
ha occhio dolce, mite, bellissime forme del cranio e del
corpo. Adorato dalla mamma, e religiosissimo, serviva
con passione la messa, sognava di entrare in seminario e
diventare un prete, un apostolo. S’irritava coi compagni
se rubavano anche una mela pei campi (V. Atlante).
Aveva circa dieci anni, quando abbandonò improvvi-
samente e di nascosto la famiglia, e calò a Milano, ove si
mise però subito a lavorare da fornaio. Qui l’importante
è che non attese mai al vino, al gioco, alle donne, come
i compagni, ma alle letture e alle discussioni con quelli,
in una delle quali, egli però, pur mite d’ordinario, ruppe
una bottiglia sul capo all’avversario (a 13 anni).
A 17 anni diventò uno degli anarchici più infervorati,
nelle poche ore lasciategli dall’intenso lavoro non fa che
leggere libri e fogli d’anarchia e farne propaganda persi-
no fra gli zotici campagnuoli di Motta che gli ridono sul
muso.
Due anni fa, quando gli anarchici distribuirono fo-
glietti volanti ai soldati a Porta Vittoria, il Caserio fu ar-
restato e condannato a quattro giorni di carcere. E avan-
ti al giudice istruttore egli dichiarò che solo nel 1891 si
era iniziato definitivamente al partito anarchico, e che lo
aveva fatto in seguito alla lettura di parecchi opuscoli ed
a colloquii avuti con altri, che non nominava, in un’oste-
ria.
Quello che importa notare poi qui [è] l’epilessia del
padre, la quale spinse alla ferocia più grande una natu-
ra che prima era mite e spinse agli eccessi del fanatismo
ed alle prime file un contadino che per solito è apatico,
o al più si contenta di andare tra gli ultimi gregari: quin-
di lo si vede, mentre la notte lavora, impiegare il giorno
a legger giornali, a rischiare la libertà in un’impresa dif-

Storia d’Italia Einaudi 655


Cesare Lombroso - Genio e follia

ficilissima, come quella di dispensare manifesti anarchici


ai soldati.
Egli, ignorantissimo, che appena balbetta, vuol dirige-
re un giornale: finalmente va fino a giungere ad un fe-
roce delitto senza commuoversi né prima, né dopo, co-
me fosse un indurito assassino avvezzo al sangue; ma il
fanatismo raddoppiato dall’epilessia rende cieco, feroce,
indomabile.
A ciò contribuì il monoideismo (la preoccupazione as-
soluta di una sola idea) favorito dalla scarsissima coltura,
che non gli permise ceno di far la critica delle dottrine
onde l’indettarono e dall’apatia singolare per tutto quel-
lo che interessa di più i giovani sani, come la donna, il
giuoco (in tutto il suo epistolario non un cenno alle don-
ne, al gioco, ai costumi nuovi, agli spassi che son proprii
della sua età): e questo spiega perché, non esperto pun-
to nei delitti di sangue, abbia nel suo primo reato potu-
to riuscire a quel modo, e come l’indignazione pubbli-
ca, la stessa reazione che succede in molti monomani do-
po il reato, non gli sia venuta, tanto che pare egli repu-
tasse di uccidere in Carnot, invece del mite uomo di Sta-
to, una specie di Dionisio, di Tiberio. A questo ha con-
tribuito la grande ignoranza: povero contadino fornaio,
non ha potuto, passando dal forno alla vita politica, suc-
chiare altro latte che quello che gli fornivano gli anarchi-
ci; e, come succede di alcuni bigotti, che non vedono se
non quanto leggono nei libri superstiziosi, egli non sape-
va delle cose politiche che quanto gli venivano innestan-
do le canaglie anarchiche; e quando un uomo è tutto ri-
volto ad una sola idea, vi diventa d’una energia straordi-
naria: basta pensare agli assassini del Vecchio della Mon-
tagna Sira: agli ipnotici sotto la suggestione monoideiz-
zante che corrono alla meta loro indetta con slancio irre-
sistibile non pensando ad ostacoli di sona. Ma a raddop-
piare questa energia deve aver contribuito molto l’eredi-
tà dell’epilessia paterna, che forse si è trasfusa in lui sot-

Storia d’Italia Einaudi 656


Cesare Lombroso - Genio e follia

to forma di quella che io chiamo epilessia politica, mania


di commettere reati a scopo politico e di cui diedi alcuni
esempi.
Godo di poter ritornare, a mente più riposata, sul
mio lavoro, per completarlo ove più era manchevole e
per aver modo di rispondere ai numerosi appunti che vi
fecero critici cortesi ed illuminati.
Mi si obbietta, p. es., da persona veramente autore-
vole, dal prof. Angelo Majorana, autore della Teoria so-
ciologica della costituzione politica: «Voi ci date una pa-
tologia individuale più che una sociale; voi fate capo ad
una psichiatria sociale, anziché alla individuale. Ora, co-
me e perché accade che colui il quale in altre condizio-
ni di tempo e di spazio sarebbe stato brigante o pirata o
bravo, diventa oggi anarchico, nel senso peggiore della
parola?»
La mia risposta sta nell’esposizione che ho tentata nel
capitolo I delle condizioni della società attuale, tutta
retta a menzogne ed in preda a un fanatismo economico
che va fino al delirio. I pazzi, i criminali con tendenze
altruistiche e soprattutto gli appassionati divamparono
in tutti i tempi, anche nell’epoca selvaggia: ma essi si
sfogavano colle religioni, prima, colle fazioni e colle
congiure antimonarchiche dopo: furono prima crociati,
poi ribelli, poi cavalieri erranti, martiri o della fede o
dell’ateismo, come Bruno, Arnaldo da Brescia, o tribuni
come Marcel, Cola di Rienzi, o regicidi come Bruto,
Damiens, Ravaillac.
Ma chi ora si mettesse a capo di una di codeste impre-
se, come tentò pure Lazzaretti, e in altro campo Cocca-
pieller, Lavigerie, in breve cadrebbe nel ridicolo.
Ora quando questi altruisti fanatici sorgono, specie
nella razza latina, non trovano altro sfogo possibile, nel
mondo, ben s’intende, normale, che quello sociale od
economico; nella Germania e nell’Inghilterra avrebbero

Storia d’Italia Einaudi 657


Cesare Lombroso - Genio e follia

ancora il pietismo religioso, e lo spirito di casta, od


almeno lo spirito di santa e vera carità.
Viceversa: «Come è accaduto, mi chiede qualche gior-
nalista anche benevolo, che Caserio, contadino ignoran-
te, d’un tratto arrivi a concepire ed eseguire con tan-
ta freddezza, audacia, precisione un delitto che avrebbe
sgomentato il più provetto dei recidivi?
Questo sarebbe stato bene che ci aveste detto, perché
in verità l’epilessia paterna, la pellagra fraterna, il fanati-
smo personale potranno anche aver facilitato una trasfor-
mazione così profonda e straordinaria, ma non bastano
per i profani a determinare il procedimento psicologico,
le cause immediate ed efficienti» ( Fanfulla).
Rispondo: Gli è che i profani ignorano aver la scienza
psichiatrica dimostrato che la passione violenta e la ere-
dità epilettica e pellagrosa, come predispongono il cer-
vello alle tendenze più eccessive, innalzano, direi, l’espo-
nente del sentimento ordinario, concentrandolo, polariz-
zandolo in una speciale direzione, e così appianano la di-
stanza immensa dall’apatico contadino al violento setta-
rio; senza dire che qui le condizioni infelicissime del con-
tadino lombardo offrono, più che un pretesto, una ragio-
ne a chi si appassioni, sia pure pazzamente, ai dolori al-
trui.
Sono quelle condizioni, in cui mi sono abbattuto stu-
diando per trent’anni la pellagra, che dimostrai195 , sven-
turatamente inascoltato, essere causata dai proprietari
distributori, al sicuro da ogni pena, del veleno maidico.
Certamente però quelli che non sono edotti delle varie
trasformazioni che assume la pellagra e l’epilessia, specie
ereditaria, e che non leggono abbastanza per potersene
erudire, non comprenderanno che relazione vi sia fra un
delitto politico e queste malattie; e invece di accusare
se stessi troveranno più comodo di ridere dell’ignoranza
altrui.

Storia d’Italia Einaudi 658


Cesare Lombroso - Genio e follia

A quelli che vi dichiarano ( Fanfulla): «Un grande


delitto fu commesso: dunque deve essere punito»; e che
pensano l’enormità del delitto non doversi così attenuare
dalla psichiatria, non abbiamo altro da rispondere: «Noi
facciamo il nostro mestiere, voi fate il vostro. Volete
condannare, volete tornare anche alla tortura? E fatelo
senza badare a noi, ma senza voler che torciamo i fatti
per vostro comodo».
Come una volta si condannavano e bruciavano le iste-
riche sotto il nome di streghe o di sante, si potrà, ora,
ben ammazzare un pazzo, un epilettico, un fanatico per-
ché ha rivolto lo strale del suo delirio in tal punto da de-
stare un’enorme indignazione, che si appaga solo col san-
gue. Ma questo non deve menomamente turbare la dia-
gnosi dell’alienista: sarebbe come si volesse imporre ad
un botanico di cancellare dalla flora l’aconito e la cicu-
ta perché sono malefici, e non sono sì cari come la rosa
e la viola. Ma può il botanico loro rinnegare la natura di
fiore perché a noi non piacciono, perché invece di essere
profumati e soavi, sono involontari avvelenatori?

4
Folla e follia

Perfino lo storico maturo che ha veduto librarsi per se-


coli interi i destini dell’uomo fra le passioni più bizzar-
re e li inganni più grossolani, freme d’orrore scorgendo
a qual grado di potenza riuscissero le più strane allucina-
zioni in quel tempo. La storia della pazzia si riassume co
’l dire, che veniva temuta o venerata dai più, imitata da
molti, sconosciuta da tutti e spesso punita co’l carcere e
co’l rogo – La pazzia non è più un morbo, è un avveni-
mento storico. Molti infelici affetti da mania ambiziosa,
o da teomania, son presi per profeti, le loro allucinazio-
ni per rivelazioni, e così si originò una quantità di sette

Storia d’Italia Einaudi 659


Cesare Lombroso - Genio e follia

che aumentarono e rincrudirono le tristi lotte di religio-


ne, di libertà e d’indipendenza nel Medio-Evo. Picard
per es. imagina di esser figlio di Dio e spedito su la terra
per insegnare agli uomini a vivere nudi e nella commu-
nione dei matrimonj; egli è creduto, imitato, e ne nasco-
no li Adamiti. Così li Anabattisti a Münster, ad Appen-
zell ed in Polonia credono di vedere li angeli o i drago-
ni luminosi e lottanti nel cielo tra loro, di ricevere ordine
di occidere i fratelli, i figlioli più cari (mania omicida), o
di astenersi dal cibo per mesi, o di paralizzare li eserciti
co’l soffio o con lo sguardo, e così da poi ebbero analo-
ghe origini, come dimostrò Calmeil, le sette dei Calvini-
sti, dei Giansenisti, che fecero spargere tanto sangue alla
Francia.
Le più strane forme di pazzia si communicano da in-
teri villaggi ad intere nazioni, come un vero contagio, dai
bimbi ai vegliardi, dai creduli agli scettici più risoluti. La
demonomania più o meno mista di ninfomania, di con-
vulsioni; ecc., costituiva ora le streghe, ora li ossessi, se-
condo che era vantata e propalata, o con orrore sofferta
dalle sue vittime. Si manifestava con allucinazioni le più
oscene, specialmente di commercio con li spiriti inferna-
li o con bestie che li rappresentavano, con orrenda an-
tipatia per le cose sacre o credute tali (p. es. per le os-
sa credute reliquie), con sviluppo straordinario, ora del-
le forze muscolari, ora delle intellettuali, per cui balbet-
tavano lingue di cui appena aveano avuta lontana cono-
scenza, o rannodavano le più lontane e complicate remi-
niscenze: associavasi talora ad estasi erotiche, ad aneste-
sie parziali: spesso vi era tendenza a mordere, ad occide-
re, o ad occidersi, non di rado un ribrezzo, e sempre poi
una convinzione profonda della verità delle fosche allu-
cinazioni. Sotto l’una o l’altra forma dominò per tutto il
Medio-Evo, e molto tempo ancora da poi, partendo dalle
isteriche, dagli epilettici (come il cholera ultimamente si
diceva partire dai diarroici) e specialmente dai conventi

Storia d’Italia Einaudi 660


Cesare Lombroso - Genio e follia

femminili, come accadde delle religiose di Madrid, delle


orsoline di Loudun, di Auxonne, ecc., ed irraggiandosi
in Svizzera, Italia, Germania, Spagna e spesso colpendo
li stessi esorcisti, li stessi giudici che le puniano, o meglio,
le rattizzavano con spettacolosi tribunali e col rogo.
Il primo movente di questa tendenza della mania a
prendere forma epidemica fu la venerazione per li indivi-
dui che n’erano colpiti, per cui essi dovettero esser presi
a modello.
Il secondo e non meno importante fu l’istinto dell’imi-
tazione. Inutile è il dimostrare quanta parte abbia nelle
azioni dei selvaggi questo istinto, primo a manifestarsi ed
ultimo a spegnersi nelle varie gradazioni della intelligen-
za umana. Si videro tribù selvagge imitar all’unissono,
come scimmie, i gesti del loro oratore, e omicidj e suici-
dj, come convulsioni e sbadigli, moltiplicarsi per imita-
zione, a per tutto la plebe per imitazione giunse ad ap-
plaudire il giorno dopo, quelli che prima avea condanna-
to. Brierre narra della pazzia dei Samojedi detta Imera-
ch, che li spinge ad imitare tutti i gesti e le parole dei lo-
ro compagni, ed i dottori Boyle e Gangeron ebbero es-
si stessi il coraggio di accennare essere nell’imitazione,
più che nell’influenze diaboliche, la causa delle terribi-
li demonopatie che infierivano alloro tempo. Si dirà che
nel Medio-Evo appunto come nei popoli selvaggi la man-
canza delle strade, della stampa, della posta, delle gran-
di Capitali, e sopratutto della concordia civile, rendea le
communicazioni difficilissime, minimo l’agglomero del-
la popolazione (e ciò si dica per Guislain che a quest’ul-
timo attribuisce una gran parte nella produzione della
pazzia), ma è appunto per questo che l’istinto dell’imita-
zione prendeva più radice. È sopra tutto l’avanzare del-
la civiltà, il maggior contatto di una maggior quantità di
persone che fa sbocciare il sentimento dell’individualità,
aguzzandolo con l’interesse, con la diffidenza, con l’am-
bizione, con la concorrenza, fino co ’l ridicolo, ma sopra

Storia d’Italia Einaudi 661


Cesare Lombroso - Genio e follia

tutto con la varietà continua di sensazioni, e quindi con


la conseguente varietà di idee, e permette così di rado,
che intere masse sieno del pari predisposte ed impressio-
nabili dallo stesso movente. Ed in fatto anche nei tem-
pi recentissimi l’epidemie di alienazioni si manifestaro-
no, è vero, ma fra le classi più ignoranti delle popolazio-
ni, e nei paesi lontani dai grandi centri di communica-
zione, a Cornwallis, a Galles, in Norvegia, nella Bretagna
(abbajatrici di Josselm) e nelle colonie più rimote dell’A-
merica. L’epidemia di predicare della Norvegia (1842)
era detta Magdkrankheit – malattia delle serve – perché
si attaccava alle serve, alle isteriche e ai bimbi del popolo
(V. Ideler. Versuch eine theorie, 1848, 225). L’epidemia
di Redrouth si diffuse sempre fra le persone del più li-
mitato intelletto, whose intellect is of the very lower class
(1814. Nasse, Zeitschrift, I, p. 255), mentre quando in
questi ultimi anni (quantunque già commossi da guerre
di principii, ed infelici) si manifestò e sparse il pregiudi-
zio del magnetismo, e quello ancora più stolido dei tavo-
li parlanti – questo non sorpassò mai il confine d’un er-
rore diffuso, e l’alienazione da questo lato non ebbe che
vittime isolate, sporadiche.
La terza ragione della frequenza di quelle epidemie è
che la pazzia trova molto più facile accesso dove ven-
ga meno la civiltà; la metamorfosi regredente delle facul-
tà intellettuali ha minori gradi da percorrere nel barbaro
che nel civilizzato; il primo sa distinguere molto più dif-
ficilmente le illusioni dalle realtà, le allucinazioni dai de-
sideri, il possibile dal sopranaturale, e domare le sfrenate
passioni.
La civiltà, grazie alle ferrovie, alle concentrazioni bu-
rocratiche, commerciali, ecc., tende sempre ad aumenta-
re i grossi centri, ed a popolare sempre più i capo-luoghi.
E, come è noto, è in questi, che si condensa la maggior
parte dei delinquenti abituali. Questo malaugurato con-
corso si spiega per i maggiori profitti o le maggiori im-

Storia d’Italia Einaudi 662


Cesare Lombroso - Genio e follia

munità che offrono ai rei i grandi centri. Ma questa cau-


sa non può esser la sola, perché se nella capitale è mino-
re la vigilanza, più attiva e concentrata è la repressione, e
se vi sono maggiori incentivi alle seduzioni, si aprono an-
che più larghe le vie al lavoro. Io credo vi agisca un’altra
influenza, più potente di tutte, quella dell’agglomero, il
quale spinge da per se solo al delitto od all’immoralità.
Chi ha studiato l’uomo, o meglio ancora se stesso, in
mezzo ai gruppi sociali, di qualunque genere siano, avrà
osservato come esso sovente vi si trasforma, e da onesto
e pudico che egli era e che è tutt’ora da solo e nelle pareti
domestiche, si fa licenzioso, e fino immorale196 .
Quanti radunati in un club od in un’assemblea, per
quanto assennata, non hanno lasciato, senza ribrezzo,
insultare l’amico ed il maestro? E quanti non hanno
gettato vilmente la pietra contro colui, che poco prima
avrebbero sostenuto col massimo ardore! Un passo più
in là, e voi vedrete l’uomo onesto rubare per parere buon
compagnone, giuntare al giuoco il novizio, o gettarsi
nella più immonda libidine.
Questa tendenza si fa maggiore quanto più i gruppi si
fanno popolosi; dai cinque o sei scolari di campagna, al-
le migliaja d’operaj di una fabbrica (ed ecco perché i di-
stretti manifatturieri197 danno più delinquenti degli agri-
coli), fino all’enorme massa d’uomini che la più lieve cau-
sa raggomitola nelle vie di Napoli e di Parigi, ed il cui
grido si trasforma in una sentenza di morte. Una pro-
va quasi diretta ce ne forniscono i gerghi, che abbiamo
veduto assumere organismi sempre più complicati e te-
naci, quanto più dalle associazioni innocenti e poco po-
polate si procede alle più fitte e criminose, e che anche
nelle prime accennano pure ad una specie di ostilità o di
congiura verso gli estranei.
Gli istinti primitivi del furto, dell’omicidio, delle libi-
dini, ecc., che esistono appena in embrione in ciascun
individuo fino che vive isolato, massime

Storia d’Italia Einaudi 663


Cesare Lombroso - Genio e follia

In quel di Cervia l’associazione clandestina dei lavora-


tori nel 10 marzo appiccò un proclama ad un’osteria. –
L’oste lo tolse via e la sera quattro scherani esplosero i
fucili carichi sulla massa dei suoi clienti (Id.).
A Ferrara nel 1874-75 non poche associazioni operaie
con apparenza di idee di mutuo soccorso, di coalizzazio-
ne contro il consumatore, erano vere associazioni crimi-
nali, una delle quali di 50 individui aveva commesso 48
delitti, 23 furti e 19 grassazioni (Pref. Scelsi, Documen-
ti Cantelli relativi alle leggi, ecc. di Pubblica Sicurezza,
1875).
Il Tammany-Ring ci ha mostrato che un pericolo simi-
le si può avere anche nella nazione la più civile e libera
del mondo.
Perfino le associazioni infantili delle grandi città furo-
no trovate essere una delle cause precipue dei delitti così
isolati che associati.
Gli è che gli istinti primitivi del male, che esistono
appena in embrione in ciascuno di noi quando siamo
isolati, s’ingigantiscono al contatto degli altri.
Applicazioni alla psicologia Si è detto che i fenomeni
ipnotici offrono come l’autopsia delle singole facoltà del-
la psiche; fanno di più: ci danno dei veri esperimenti di
psichiatria sperimentale, in cui i fenomeni della allucina-
zione e delle passioni, portati alla massima potenza, so-
no riprodotti così esattamente come i fenomeni infettivi
colle iniezioni di bacteri.
Niuno può comprendere così bene la perfetta convin-
zione dell’allucinato e la causa dell’allucinazione come
dopo aver veduto l’ipnotica suggestione. E la forza irre-
sistibile, il raptus, è esattamente riprodotto dai loro atti.
Quando si racconta di un giudice che svenne creden-
do sentire l’odore di un cadavere ad una esumazione
mentre il cadavere non esisteva nella cassa, si porta un
esempio isolato, quasi poco verosimile, per dimostrare

Storia d’Italia Einaudi 664


Cesare Lombroso - Genio e follia

fino a che punto l’immaginazione entri a sostituirsi alla


sensazione attuale.
Ma l’ipnotismo ce ne dà migliaia di prove parlanti; e
ci spiega i fanatismi delle masse per un uomo o per un
principio anche men degno, e quelle vere allucinazioni
epidemiche delle plebi, che credevano veramente di ve-
dere le spade di fuoco, gli untori, che non esistevano se
non nella loro immaginazione.
L’educazione ipnotica ci mostra fino a che punto l’e-
ducazione comune può trasformare un uomo nato mora-
le in un criminale e viceversa.
L’ipnotismo ci mostra quanto poco sia libera la volon-
tà umana, fatta mancipia di un altro merce un coccio di
vetro o un pezzo di magnete. E nella trasmissione del-
la volontà, anche a distanza – mentre ci prova (v. sopra)
che la volontà è soggetta alle leggi del moto – ribadisce,
con una nuova prova, che per quanto singolari, quei fe-
nomeni non escono dal mondo e dalle leggi della mate-
ria.
Ora, queste epidemie imitative, se sono favorite spesso
da condizioni speciali d’ambiente, come carestie, guerre
sfortunate, ecc., lo sono assai più frequentemente dal-
le strane, morbose virtù personali di alcuni apostoli, da
cui partì il primo impulso; la cui forza aumentata, l’in-
sensibilità al freddo, alle ferite, la vantata ispirazione di-
vina, o l’eloquenza e la vera convinzione in quanto van-
no propalando, trascinano le masse, ignare dei fenomeni
psichiatrici ancor più delle classi côlte.
Già uno di noi198 ebbe a dare numerosi esempi di que-
ste epidemie di pazzia, specie nel campo religioso, in cui
dai Santoni arabi e indiani ai demonomaniaci, i cui ulti-
mi rampolli si trovarono non è guari in Italia (Verzegni)
ed in Ispagna, fino agli Anabattisti, ai Giansenisti, ecc.,
è manifesta la trasmissione per contagio delle più strane
forme di pazzia, e talora anche di concetti grandiosi, ma

Storia d’Italia Einaudi 665


Cesare Lombroso - Genio e follia

sproporzionati al grado di coltura delle popolazioni che


vi soggiaciono.
Così gli Anabattisti a Münster, ad Appenzell ed in Po-
lonia credevano di vedere gli angeli o i dragoni lumino-
si e lottanti nel cielo tra di loro, di ricevere ordine di uc-
cidere i fratelli, i figliuoli più cari (mania omicida), o di
astenersi dal cibo per mesi, o di paralizzare gli eserciti
col soffio o con lo sguardo; più tardi, analoghe origini
ebbero, come dimostrò Calmeil, le sette dei Calvinisti,
dei Giansenisti, che fecero spargere tanto sangue.
Chi ben vi guardi, trova che le grandi rivoluzioni, an-
che le letterarie e religiose, specialmente queste, furono
accompagnate o precedute da delirii epidemici. Il vero
rinascimento tedesco (1749-1833) è noto che si associava
a due moti pazzeschi, uno dei quali non ingiustamente
prese il nome di Sturmisch, o cioè periodo della tempe-
sta e battaglia, preceduto prima da un altro di vero fetici-
smo pazzesco per Klopstock, rappresentato dalla socie-
tà del bagno sacro (Kainbad), che nutriva un odio pazzo
per Wieland.
La grande rivoluzione di Cristo fu preceduta ed ac-
compagnata da una vera epidemia psichica, da una ve-
ra mania religiosa epidemica: tali erano la setta di Giu-
da il Gaulonita, quella di Teuda, che prometteva, nuovo
Giosuè, di far passare il Giordano a piedi asciutti, nuo-
vo battesimo che doveva annunziare la liberazione (an-
no 44); e pochi anni prima la Samaria s’era commossa al-
la voce di uno che pretendeva di conoscere, per rivela-
zione, il luogo dove Mosè aveva nascosto certi strumen-
ti sacri del culto. Dall’anno 45 in poi correva in Gerusa-
lemme uno strano fermento di sicarii-teologi: si acciava-
no nella folla e uccidevano quelli che essi pretendevano
mancassero alla legge (Rénan).
«Fantasticherie analoghe a quelle di Teuda si rinnova-
vano da ogni parte. Personaggi che si asserivano inspira-
ti, sollevavano il popolo e lo traevano con loro al deser-

Storia d’Italia Einaudi 666


Cesare Lombroso - Genio e follia

to, col pretesto di fargli vedere, mediante segni manifesti,


che Dio lo avrebbe tantosto liberato. L’autorità romana
sterminava a migliaia le vittime di codesti agitatori. Un
Giudeo d’Egitto, che andò a Gerusalemme verso l’anno
56, ebbe l’arte di attirare a se co’ suoi prestigi trentami-
la persone e quattromila sicari. Dal deserto volle menarli
sul monte degli Ulivi, per vedere di là, diceva, cadere alla
sua parola le mura di Gerusalemme. Felice, allora pro-
curatore, mosse contro di lui e dissipò quella masnada;
l’Egiziano fuggì e non comparve più. Ma in quella guisa
che in un corpo malsano i mali si succedono gli uni agli
altri, non andò guari che si videro parecchie bande mi-
ste di maghi e di ladri che istigavano apertamente il po-
polo a ribellarsi contro i Romani, minacciando la mor-
te a chi continuasse nella obbedienza. Sotto questo pre-
testo uccidevano i ricchi, mettevano a ruba gli averi, ar-
devano i villaggi, ed empievano tutta la Giudea dei segni
del loro furore. Annunziavasi una spaventevole guerra;
dovunque regnava uno spirito di vertigine che teneva le
immaginazioni in uno stato prossimo alla follia»199 .
Un fenomeno, affatto somigliante, precedette e ac-
compagnò in Russia la Rivoluzione nichilista. Son cen-
tinaia e migliaia i settari religiosi o sociali, non di raro
pazzeschi, che si andarono diffondendo in questi ultimi
50 anni in Russia. Tsakni li calcola non meno di 13 mi-
lioni ( La Russie sectaire). Vi hanno i vagabondi o solda-
ti di Cristo che non vogliono fissarsi sulla terra, e i Cri-
sti che credono portare un Dio in se medesimi: gli Asceti
muti che esigono il silenzio, e si lasciano torturare pur di
non parlare: i Nemoliochi che rinnegano il prete; i Ne-
gatori che negano tutto; gli Stundisti che vogliono tutto
in comune, e vogliono il corpo si irrobustisca per salvare
l’anima; i Cholaputi estatici, adoratori degli spiriti san-
ti, che praticano il socialismo e che rinnegano ogni com-
mercio, ogni lavoro che non sia dei campi; gli Sckopzi
che si evirano, ecc.

Storia d’Italia Einaudi 667


Cesare Lombroso - Genio e follia

Si direbbe, continua, ripetendo, quasi, le frasi di Ré-


nan, che la campagna è nell’attesa di un grande avveni-
mento; solo l’agitazione prende le forme di tesi sacre.
Ed alla pazzia ed alla nevrosi epidemica s’associano gli
istinti criminali, con cui han tanti punti di affinità e che
vedemmo già spuntare nelle manifestazioni antecedenti
e prendere il sopravvento, specialmente nelle rivolte.
«L’istinto omicida (scrive Andral) che cova nel fan-
ciullo e che spesso ingigantisce nell’adulto, può diventa-
re epidemico sotto l’influenza delle passioni politiche e
religiose».
I testimoni dei macelli del 1792 affermano che al terzo
giorno gli scannatori non potevano più frenarsi200 .
È la vista del sangue che fa nascere l’idea di spander-
ne ancora (Barbaste). L’istinto omicida è come un fuo-
co che sta sotto la cenere, che esplode alla prima scintil-
la; che uno degli elementi della folla cominci ad essere
sovraeccitato, e gli altri sono presi dal contagio. Questa
riunione di particole umane eterogenee (scrive un osser-
vatore di scioperi), si trova così ben cementata dai pro-
prii atti, da formare una massa coerente; una folla che
prima era solo curiosa, è trascinata dietro un oratore di
cui non intende le parole, e partecipa agli atti di chi la
circonda senza saperne il perché (Flaubert).
Qualcuno (scrive Taine, Les origines, etc., I, p. 39),
venuto con buone intenzioni nella vertigine sanguinosa,
colpito subitamente dalla grazia rivoluzionaria, si con-
vertiva alla religione dell’assassinio. Così un certo Gra-
pine, spedito dalla Sezione per salvare due prigionieri, si
siede accanto a Maillard e sta con lui 63 ore a condan-
narne.
«La folla, scrive Maxime Du Camp ( Les convulsions
de Paris, 1881) a proposito della Comune, si fa incoscien-
te nei suoi macelli, ha bisogno di far delle vittime. Prefe-
risce ammazzare anche degli amici coi nemici, o almeno
con quelli che crede tali, piuttosto che attendere ch’essi

Storia d’Italia Einaudi 668


Cesare Lombroso - Genio e follia

ne siano sceverati. Durante la fucilazione degli ostaggi,


un Comunardo, gettato il suo fucile per terra, afferrò cia-
scuno dei preti per il corpo, e mentre la folla applaudiva,
li sollevò e li spinse al di là del muro indicato per l’esecu-
zione. L’ultimo prete oppose resistenza e cadde trasci-
nando il federato con se: gli assassini erano impazienti:
fecero fuoco e... uccisero il loro compagno».
Gli è che, come fu già notato da uno di noi201 , quei
lieviti primitivi del furto, dell’omicidio, delle libidini,
ecc., che covano, in embrione, in ciascun individuo fino
che vive isolato, massime se temperati dall’educazione, si
ingigantiscono tutto ad un tratto al contatto degli altri:
diventano virulenti nelle folle eccitate.
L’altra piaga, comune questa a tutte le razze europee,
ma più inciprignita fra noi è quella del parlamentarismo.
A popolazioni per tanti secoli tiranneggiate da un solo, è
parso per qualche tempo, che quanti più fossero a divide-
re il potere, tanto meno questo sarebbe dispotico, e tan-
to più intelligente e morale. E in parte ciò doveva esser
vero perché questo regime se non giova a sempre spec-
chiar l’idea del paese, certo giova a rivelare gli abusi de-
gli errori. Ma se, come ben dimostrò prima Machiavelli,
ogni forma di governo porta con se i germi della sua rovi-
na, massime ciò doveva avvenire in questa che non è del-
le più adatte, perché basata sulla folla: ed una folla an-
che la meno eterogenea, anche la più eletta quando deve
deliberare, dà una risultante che non è la somma, ma più
spesso la sottrazione del pensiero dei più.
È un’osservazione volgare passata in vecchio prover-
bio, che più sono i deliberanti, meno giusta e meno savia
è la deliberazione che ne risulta, perché tutto quel sotto-
strato di pregiudizi, di vizi che si doma a furia di coltu-
ra nell’individuo, pullula e si fonde in tristo veleno nelle
assemblee. È quanto accenna il proverbio Senatores boni
viri, senatus mala bestia: cosicché il merito dei consigli è
in ragione inversa al numero dei consiglieri.

Storia d’Italia Einaudi 669


Cesare Lombroso - Genio e follia

Si è veduto che anche nel proprio interesse pecuniario,


che è il più tenace negli uomini, un’assemblea erra quasi
sempre. Ora cosa non dev’essere per quelle cose che
non toccano ciascuno personalmente, come le questioni
politiche, amministrative o comunali?
È noto in proposito un vecchio proverbio: «Denari del
comune, denari di nessuno». Così molto bene osservava
Moltke che un’assemblea parlamentare molto numerosa
si lascia più facilmente trascinare alla guerra di un sovra-
no odi un ministro, il quale ne porti tutta la responsabi-
lità, mentre il deputato che delibera ne ha un cinquante-
simo o un ottocentesimo, quindi lo fa a cuor leggero202 .
Tanto più poi da noi nelle razze latine in cui a diffe-
renza delle anglosassoni, le assemblee non rappresenta-
no tutte le classi sociali, ma solo un gruppo di professio-
nisti e di impiegati, mentre gli agricoltori, gli industriali,
i proletari che formano la maggior parte della popolazio-
ne, non hanno quasi rappresentanti.
Folle E qui entrano i reati così ben studiati da Sighele
che si commettono dalle folle e per le folle.
Gli istinti sanguinari latenti dell’umanità primitiva
vengono a galla spinti dall’imitazione, dall’eloquenza al-
trui, dalla passione, dalla presenza di criminali, che vi fan
da fermento: sicché uomini onestissimi possono diventar
feroci almen per un’ora; e così Taine ci mostra un cuo-
co pacifico, suggestionato dai furori della folla del 1789,
uccidere il governatore De Launay, poi inforcatane la te-
sta portarla in processione per tutta Parigi203 ; ed un anti-
co onesto soldato strappare il cuore dal petto di Laleu e
succhiarne il sangue.
L’uomo si trova allora nella situazione del selvaggio
e dell’animale (V. Vol. I), quando il reato è un atto
fisiologico. E così le crudeltà contro gli animali ora non
sono colpevoli, ma lo potranno essere più tardi, quando
il sentimento della pietà si sarà più evoluto.

Storia d’Italia Einaudi 670


Cesare Lombroso - Genio e follia

Barbarie E siccome la morale muta secondo i paesi e


secondo i tempi, così in questa categoria entrano quasi
tutti i delitti commessi in tempi e popoli barbari. Come il
fanatismo religioso del medio evo fe’ nascere quei grandi
architetti anonimi che ci diedero le meraviglie delle no-
stre cattedrali; così l’omaggio per la forza e la violenza
ci diedero nelle epoche e popoli barbari un delitto ende-
mico, che non era antropologicamente né giuridicamen-
te tale, come non lo è quello degli animali (Ved. Vol. I,
Parte I, Cap. II). Gli Hyglanders, dice Bukle, non cono-
scevano altro mezzo di vivere che l’omicidio ed il furto,
che loro pareva un’azione onorevole.
Non sono molti anni che lavorando pel mio Uomo de-
linquente e più ancora pel Delitto Politico e le Rivoluzio-
ni, io avevo tentato di formulare una legge che prese poi
piede nella scienza, per opera in ispecie di Ferri, di Si-
ghele, di Tarde, di Lebon: secondo cui l’uomo diventa
sempre peggiore quanto più si trova unito ai suoi simi-
li, triste nelle Accademie e nelle Facoltà, tristissimo nei
Parlamenti, e sopratutto nelle folle e nelle piazze, perché
gli atti delle folle si trasformano molto facilmente in de-
litti collettivi, incoscienti, fermentando e pullulando ne-
gli attriti quel poco di criminale atavico che esiste laten-
te in ciascun uomo, anche onesto, e moltiplicandosi per
l’intrusione, che difficilmente vi manca, di qualche vero
reo-nato, sicché all’improvviso anche l’uomo più inno-
cuo può trasformarsi in criminale.
Questa teoria, che pure ha una larga applicazione e
conferma nella storia, fu da me e dai miei amici forse
troppo esagerata nel senso pessimista.
Il vero è: che osservando quanto accadde di recente
in Italia, vien proprio la voglia di concludere nel senso
opposto; essere, cioè, le folle, essere la piazza che aggiu-
stano i cocci rotti dagli individui altolocati, dalle classi
dirigenti, da quello che si dice il Governo o chi per lui.

Storia d’Italia Einaudi 671


Cesare Lombroso - Genio e follia

Chi non ricorda la triste questione africana? Quando


i ben pensanti, i savi credevano che questa fosse una del-
le grandi mete dell’Italia nuova, quando i capi dello stato
maggiore – li ho sentiti io – dichiaravano che con un mez-
zo miliardo l’Eritrea sarebbe divenuta un’altra India, fu
solo la piazza e i partiti che la rappresentano, che hanno
sempre mormorato contro quel preteso Eldorado, tanto
che in ultimo una delle misure del Governo Crispino era
di proibire nei Comizi che si parlasse dell’Africa.
Dopo avvenuta la sconfitta, ahi! troppo prevista di
Adua, fu la piazza che impedì si continuasse una guerra
che avrebbe condotta l’Italia all’ultima rovina; e il Parla-
mento ratificò la volontà della piazza contro quella delle
classi dirigenti.
Successero le reazioni del Maggio 1898 colle fucilate
e coi giudizi militari: qui la tenacia dei partiti reazionari
avrebbe voluto mantener intatte quelle sentenze spropo-
sitate. Ma da quel giorno non ci fu elezione comunale,
né provinciale, né parlamentare, che non reclamasse col-
la designazione plebiscitaria dei condannati, la loro libe-
razione, finché questa fu, più che concessa, strappata.
Più tardi quegli stessi megalomani, che già allestirono
le rovine africane, ce ne preparavano altrettante in China
e nella Tripolitania; e solo le dimostrazioni dei partiti
popolari fecero, dopo molte tergiversazioni, mandare in
aria quegli stupidi progetti.
Quando un ministro della marina volle comperare una
nave inutile per il doppio del suo prezw sotto lo specioso
pretesto di pericoli chinesi, fu la piazza che lo impedì.
Lo stesso accadde del processo Notarbartolo. Sono
quasi dieci anni che moriva il Notarbartolo, uno dei più
grandi nostri galantuomini, assassinato per aver lottato
non fortunatamente contro i ladri ufficiali del Banco di
Sicilia, contro i quali aveva stesa una dettagliata relazio-
ne, trafugata impunemente e da notissimi colpevoli al
Ministero poco prima della sua morte.

Storia d’Italia Einaudi 672


Cesare Lombroso - Genio e follia

La voce pubblica e le prime indagini segnalarono co-


me mandatari dei pezzi grossi della Sicilia, ma eccelse
mani misteriose fermarono ogni ricerca. Fu solo l’opi-
nione della piazza che forzò la mano e giunse a trovare
quel colpevole che non erano riusciti a scovare quattro
procuratori generali.
E così anche l’opinione pubblica, scossa dai tribuni
socialisti (Noè, ecc.) in Messina è riescita ad iniziare la
depurazione del Municipio da coloro che lo infestavano
– come ora aiuta la depurazione di Napoli iniziata dal-
l’inchiesta Saredo.
Un altro analogo esempio è il caso Batacchi su cui
non occorre dilungarci perché tutti sanno che si trattò di
uno di quegli errori giudiziari che la politica commette
in tutte le nazioni, anche in quelle libere come in Francia
per l’affare Dreyfus, ma che il Governo italiano si ostinò
a non voler riparare nemmeno quando la verità lampante
si era fatta strada e che le paure momentanee politiche
erano passate; e anche qui fu la piazza che riescì a vincere
le tergiversazioni del Governo.
Ma il fatto più grave di tutti è quello del famoso
decreto-legge Pelloux.
Il generale Pelloux, rompendo le tradizioni e le dichia-
razioni con cui era giunto al Ministero aveva proposto
una legge che finiva di abolire tutte le libertà costituzio-
nali di stampa, di riunione, ecc. Per quanto di mala vo-
glia, perché un rispetto alle norme costituzionali esiste
ancora da noi, una gran parte della Camera avrebbe fi-
nito, malgrado l’unanime contrarietà della stampa e del
popolo minuto, coll’approvarle; fu l’Estrema Sinistra, la
rappresentanza della piazza, come si diceva una volta, la
disprezzata Estrema Sinistra che giunse a impedirlo con
tutte le armi che erano in sua mano e perfino coll’ostru-
zionismo.
Ma il Pelloux non vi badò e con autocratismo milita-
re trasformò il progetto in decreto, ma l’opposizione si

Storia d’Italia Einaudi 673


Cesare Lombroso - Genio e follia

fece sempre peggiore, la magistratura finì col non rico-


noscerlo, ed egli dovette ripresentarlo al Parlamento, ri-
cambiato da capo a fondo per quanto forse in peggio; e
fu la Sinistra tutta unita che riuscì ad abbattere la legge.
Tutto ciò si deve alla piazza o a chi per lei. Se il
paese dunque non rotolò nel despotismo, anzi accenna
a rinvigorire e migliorare, non si deve già all’energia
delle classi dirigenti che dovrebbero stare al timone,
e dirigere le umili, ma precisamente alla influenza di
queste, credute finora le eterne nemiche dell’ordine e
contro le quali convergono tutte le forze e le energie delle
altre.
Come si spiega ciò che è in perfetto antagonismo colla
mia teoria del fermento nelle folle?
La mia teoria non è sbagliata; ma incompleta; perché
come più spesso il male, anche il bene si forma, benché
più di raro, epidemicamente nelle folle, e fermenta: in
esse se non v’ha il genio, vi sono sempre molte giuste
mediocrità: ora dalla somma delle molte mediocrità esce
quello che noi chiamiamo il senso comune, esce un giu-
dizio mediocre, ma che può esser migliore di molti giudi-
zi individuali, inceppati dagli interessi, dalle passioni, dai
pregiudizi di casta, da tutte quelle altre cause che rendo-
no così spesso errato il giudizio anche dell’uomo geniale.

Storia d’Italia Einaudi 674


Cesare Lombroso - Genio e follia

NOTE

1
In Val Sabbia certi cretini balbuzienti son detti Cacai, il
che rammenta molto i Cagots. L’epiteto di Maghi non ha
importanza etimologica, perché si lega con Magatei, Magotu,
e Macabri.
2
Perché si possa formare un’idea grossolana della difusione
del cretinesimo in Lombardia, metto qui le notizie su i sordo-
muti di Lombardia dell’illustre Sacchi, noto che nelle propor-
zioni co’l cretinesimo la cifra di Cremona è troppo piccola, è
troppo grande quella di Pavia.
Sondrio 1 sordo-muto su 345 abitanti.
Cremona 1 » su 693 »
Lodi e Crema 1 » su 1144 »
Brescia 1 » su 1192 »
Pavia 1 » su 1208 »
Bergamo 1 » su 1514 »
Milano 1 » su 1728 »
Como 1 » su 2511 »
Mantova 1 » su 3839 »

3
Se queste specie di cretini rappresentano l’uomo primitivo
arrestato nel suo sviluppo storico, avremmo in questi istinti
crudeli la spiegazione di quel carattere sanguinario di cui sono
coloriti li usi ed i riti e le leggi dei popoli primitivi, p. es. dei
Messicani, dei Negri, dei Caraibi.
4
Io crederei che si potrebbero utilizzare molto come maestri
di calligrafia e disegno, ecc. – sordo-muti intelligenti che non
mancano mai nei villaggi cretinici – e che furono educati a Mila-
no. – E così si migliorerebbe la condizione di questi ultimi che
poveretti passano senza gradazione dalla troppa agiatezza del-
la scuola alla troppa miseria del villaggio – e s’imbarbariscono
e peggio ne muoiono di marasmo, come io verificai.
Ho osservato ad Artogne uno di questi sordo-muti istrutti a
Milano, insegnare la calligrafia a molti compaesani e quello che
è più strano anche ad una cretina.

Storia d’Italia Einaudi 675


Cesare Lombroso - Genio e follia

5
Ha relazione co’l gauche, francese, o vero co’l gossum, o co’l
geal sassone? co’l gawh (inglese), stupido, o co’l gacken, stiria-
no? Spiega il goja lombardo? Nel Vallese antico (Simlero Vall.
Descriptio, 1574 Il, 4), fatui dicti gouchen. Il goja, lombardo,
s’accorda con Go, irlandese, pazzo?
6
L’egregio amico e maestro mio il Cav. Nicolucci nella sua
Stupenda opera – La stirpe Ligure in Italia lo asserirebbe bra-
chicefalo come il Piemontese – ma, a mio credere, l’illustre an-
tropologo ebbe fra le mani cranii delle vallate Liguri e non cra-
nii tipici delle Liguri città – altrimenti avrebbe trovato esiste-
re differenze assai salienti tra il cranio Piemontese ed il Ligure
moderno.
La misura dei diametri cefalici di 50 Liguri vivi di 20 a 21
anni sorpassanti 1 m. e 59 di statura diede il risultato di mm.
187 pel diam. longit. e 142 pel traverso differenza 45.
La misura dei diametri cefalici di 50 Torinesi od Alessandrini
di 21 anni ecc. diede il risultato di mm. 165 pel diam. longit. e
155 pel traverso differenza 40.
7
Vedasi per le nozioni più esatte quello stupendo Saggio
Statistico sulla Mortalità di Genova dal 1856 al 1860 del Du-
Jardin che è vero modello di statistica medica.
8
Corre per la valle tutta il detto: «O l’ha õ gosciu õ l’e
scemmu, / O l’è de Cravasco», detto che accenna ad epoca
in cui la doppia endemia infieriva certo molto più che io non
constatassi ora in quel povero paesello.
9
Nadler Untersuch. uber die angebl. Jodbeh der Luft Zurich
1861.
10
Secondo l’ultima Statistica del 1862; l’accrescimento dal
1834 in qua è abbastanza notevole. – Per esempio, nella Cala-
bria Ultra prima si contano ora 336023 abitanti, mentre erano
nel 1834, 260633. Nella Citra l’aumento fu di 73594 anime. –
Erano circa 188, ed ora sono 214 per miglio quadrato.
11
Addeo pinnao tu crasi tu carnassalu.
C’ego pinno tu nero tu piccaduo.
Altri beve il vino che fa carne. – Ma io sorbo l’acqua del
fonte col carpo della mano. – Non sarebbe un canto degno
dell’antica Grecia? Quanto non è più poetico dell’analogo e
triste motto Calabrese:
Chi zappa mbivi aqua – Chi f... mbivi alla gutte (botte).

Storia d’Italia Einaudi 676


Cesare Lombroso - Genio e follia

V’hanno poi fra essi dei canti degni di Cipro e di Lesbo per
l’estrema lascivia – per esempio: La presi per le mamme e la
portai con me! – Oh! che diletto!
12
Noto però che anche fra gli antichissimi Greco Siculi leggi
suntuarie citate da Filarco vietavano alle donne l’uscire di casa
senza permesso dei capi dello Stato (Bonnet de Presles, Recher-
ches sur l’Établ. des Greces en Sicile, 1842, p. 412.
13
Questo intisichire e degenerare della razza canina quando
trascurata dall’uomo, il quale non avendovi interesse non asse-
conda l’elezione della specie e la lascia mescersi in ignobile ve-
nere – non confermerebbe forse le teorie recenti del Darwin –
Sulle origini delle specie?.
14
Regole igieniche contro il salasso negli Arabi. – Io credo
che il grande pregiudizio in onore del salasso ci sia venuto dal
lungo soggiorno degli Arabi, o dei loro discepoli, gli Spagnuoli.
Si legge in Anabrawi che vi erano ai suoi tempi salassatori co-
sì esperti in Aleppo, che si salassavano la propria mano, pren-
dendo la lancetta col pollice del piede sinistro, dal che si può
dedurre che ne doveano aver, per giungere a tanta perfezione,
eseguiti di molti su altri. Ma appunto quell’Anabrawi, che vivea
nell’ottavo secolo dell’Egira, in una raccolta di leggi di polizia
medica in vigore fra gli Arabi del suo tempo, ci mostra di quan-
ti danni avessero essi trovato causa il salasso e quante rigorose
misure si fossero prese per prevenirla.
Poniamoci una mano sul petto e confessiamo se dopo tanti
sistemi, dopo tanto gridare delle scuole nuove e vecchie, siamo
andati di molto più in là che il buon Arabo dell’ottavo secolo
dell’Egira?
15
Moleschott. Phisiol. der Nahrungsmittel, ecc.
16
Nelle intermittenti senza complicazione gastrica (come so-
no le più in Calabria) gli «alimenti sostanziali giovano quanto
il chinino». I cibi «salati, il caviar, le aringhe, ecc., giovano pel
sale che contengono». (Moleschott, id, pag. 559, id. id.).
17
Statistica del Regno d’Italia. Movimento dello stato civile
nell’anno 1862, p. xvii. Firenze, 1864.
18
È curioso il notare che i paesi dove si raccolsero notizie
statistiche sono quelli soltanto ove esistono medici necroscopi-
ci, come Torino, Genova, o medici comunali (o esistevano dele-
gatizi) come Mantova, Pavia, Milano, Brescia, o dove gli Ospi-

Storia d’Italia Einaudi 677


Cesare Lombroso - Genio e follia

tali sono diretti da medici, come Milano, Pavia, Venezia, Bre-


scia, Bergamo.
19
Già fino dal 1600 il Bahuino accenna a una malattia ana-
loga alla pellagra negli indigeni d’America in seguito all’uso del
maiz ( Theatro botanico, 1639, pag. 495): «Indos si nimium
utantur hoc frumento tumidos et scabiosos reddit. Imo, inquit,
pueri Guinensium eo si paulo frequentius utuntur scabie se se
vindicare non possunt». Gli autori non parlano della pellagra
del Messico nell’uomo, ma solo dei cavalli, emmaysados, dive-
nuti paresici, spelati e tabifici in grazia all’uso degli avanzi del
maiz deteriorato. Informazioni speciali, però, del dottor Nib-
bi, medico italiano del Messico, ci hanno provato che in picco-
la proporzione esiste nei più poveri che usarono, nelle epoche
di carestia, di maiz avariato (Archivio di psichiatria, III, III).
20
Vedi questo studio nell’Italia Agricola, Milano, 1878.
21
Maffei ( Cose notevoli nel Veronese, cap. VIII, 1600)
aveva notata una debolezza negli individui che si cibavano di
maiz: nei paesi nativi, aggiunge, sarà migliore e meno facile a
putrefarsi, né di così poca durata.
22
Tavola sulla composizione dei cereali (Gühring).
Acqua Sostanza Sostanze Adipi Sostanze Fibra Ossido Anidride
secca protei- estrat- legnosa potas- fosfori-
in tutto che tive in sico e ca
azotate sodico
Farina 13,6 86,4 12,0 1,1 72,3 0,5 0,173 0,249
fru-
mento
» riso 10,03 89,97 11,7 2,0 48,6 15,0 2,228 3,939
» maiz 10,0 80,0 15,2 3,8 70,5 – 0,220 0,306

.
23
Si obbiettava che il male veniva dalla troppo scarsa quan-
tità del maiz stesso, ma le risultanze della mia inchiesta mostra-
rono precisamente il contrario (Vedi La pellagra in Italia, di C.
Lombroso, 1880).
24
La pellagra in Sissa, di C. Lombroso, 1884.
25
La pellagra nelle provincie dell’Umbria. Perugia, 1880.
26
Si legga la bella lettera Sulla causa della pellagra del mio
amico Marenghi. Milano, 1869. – È una pagina Rediana.

Storia d’Italia Einaudi 678


Cesare Lombroso - Genio e follia

27
Jacini – Atti della Giunta per l’inchiesta agraria. – Relazio-
ne sulla decima circoscrizione, vol. I, fasc. I, Roma, 1882.
28
Indagini chimiche e fisiologiche ecc., sul maiz guasto, di
Lombroso e Dupré, Milano, 1873.
29
Raffreddavasi il residuo della distillazione per separarne
la sostanza resinosa, si evaporava poi fino a secchezza a bagno
maria e nel vuoto. Si lavava indi con alcool rettificato, quindi
si evaporava, aggiungendo tanta acqua da ottenere un liquido
denso. Quest’ultimo si trattava con etere per togliere il grasso;
l’etere poi si eliminava esponendo la soluzione a 35°.
30
Questa difficoltà s’incontra anche in altre intossicazioni.
Kussmaul notò che tanto il mercurio, come il piombo e l’alcool
producono un delirium tremens affatto simile; – e che nei
lavoratori di mercurio e di piombo, dediti agli alcoolici, era
impossibile sceverare i sintomi prodotti dall’alcool da quelli
del metallo, tanto erano analoghi. – Mittheil. über chron.
Mercurialismus. Würzburg, 1853.
31
Lo sgranatoio di Caroly sgrana da 3 a 5 ettolitri di maiz per
ora e costa da 60 a 120 franchi.
32
I 24 curculj in una stagione sufficientemente calda proli-
ferano 75 000 individui, ogni individuo divora tre grani, cosic-
ché 24 soli curculj consumano 9 chilogrammi su 75, il 12%: poi
s’aggiunga la perdita per la bollitura, poi si aggiunga quella per
l’ammuffimento, e quella pei sorci e altri animali granivori, e
quella pei furti domestici.
33
Dialoghi popolari sulla pellagra. Pavia, 1870. –1871-72-74-
75-76. Torino.
34
Nelle Provincie, le cifre dei suicidi per pellagra, comparate
ai rendimenti in maiz dei terreni, diedero a
Udine 26 ove 10,2 Etti p. % son
a maiz
Forlì 24 » 17,0 »
Vicenza 20 » 13,5 »
Brescia 18 » 7,4 »
Bologna 17 » 9,6 »
Pavia 16 » 9,2 »
Treviso 16 » 22,1 »

Storia d’Italia Einaudi 679


Cesare Lombroso - Genio e follia

Padova 16 » 18,5 »
Pesaro 13 » 10,8 »
Milano 13 » 19,1 »
Piacenza 13 » 8,1 »
Modena 13 » 12,1 »
Mantova 11 » 10,8 »
Sondrio 0 » 1,4 »

La cifra media a
Verona 8 ove 3,7 Etti p. % son
a maiz
Parma 7 » 9,3 »
Bergamo 7 » 9,8 »
Belluno 6 » 3,5 »
Cremona 6 » 10,3 »
Como 6 » 5 »
Rovigo 5 » 17,1 »
Ravenna 4 » 17,8 »
Reggio E. 4 » 9,2 »
Arezzo 3 » 5,0 »

La minima a Cuneo 2 con 4 ett., a Torino 1 con 3 ett., a


Perugia 1 con 8,8 ett.
35
Ballardini, Della pellagra e del grano turco come causa di
quella malattia. Milano, 1847.
36
Morelli, La pellagra nei suoi rapporti medici e sociali. Fi-
renze, 1855 –Lussana, Su la pellagra. 1856.
37
Roussel, Traité de la pellagre. Milano, 1856. – Calmarza,
Memorie sopra la pellagra. Madrid, 1870. – Pretenderis Typal-
dos, Essai sur la pellagre, observée à Corfou. Athènes, 1868.
38
Ecco l’ultime analisi del maiz del Koenig ( Zusamm der
Verdaulichkeit, 1874, Berlin):
Azotati 9,94, grassi 5,56, sostanze estrattive 65,4, ceneri 2,4,
dei quali la digeribilità è calcolata per azotati 84,0, grassi 86,0,
sostanze estrattive 93,0 per %.
Per quelli che dicono infesto il cibo del contadino per la sua
troppo poca quantità e non per la qualità, gioverà conoscere col
Pavesi ( Ricerche sull’alimentazione dei contadini nella Provincia

Storia d’Italia Einaudi 680


Cesare Lombroso - Genio e follia

di Milano), che nella bassa Lombardia in un paese infestissimo


da pellagra un contadino mangia in media ogni giorno
in riso od in maiz per grammi 1332
minestra
in maiz (in pani) » 1350
in fagiuoli » 232
in grasso » 332
in erbaggi » 133 ossia
in materie amilacee » 992
ed in materia proteica » 180
circa.

Nel libro classico del Jacini ( La proprietà fondiaria, ecc.,


pag. 300) sta scritto come i famigli ivi pure ricevono 2 libbre
di maiz nei giorni più lunghi, 1 1/2 nei più corti; 2 a 3 mezze di
latte, 2 minestre di riso, più salciccia alla domenica; i garzoni o
cavallanti ricevono un vitto simile, tranne il latte.
39
C. Lombroso, Studi clinici ed esperimentali sulla natura,
causa e terapia della pellagra, Milano, 1871. – Idem. Bologna,
1872. Tip. Fava, 2ª ed. con tavola.
40
Neutra: dà precipitato fioccoso col iodio iodurato; giallo
col biclor. platino; precipitato dall’ioduro di calcio e potassio
(Dupré e Lombroso, op. cit.
41
Biffi, Relazione della Commissione nominata dal R. Istituto
Lombardo per esaminare e riferire intorno agli esperimenti del
prof. Lombroso. 1875.
42
Lombroso, I veleni del maiz e la loro applicazione all’igiene
e terapia. Bologna, 1878.
43
Lombroso, ecc., Sulla condizione dei contadini dell’Alta e
Media Italia. Milano, 1876.
44
Lombroso, I veleni del maiz guasto, ecc. 1878, pag. 118.
45
Vedi nota a pag. 59.
46
Nell’intervallo che intercesse tra l’invio e la pubblicazione
di questa nota parecchie provincie presero analoghe iniziative,
Milano, Treviso, Lucca, Udine, Vicenza. Or ora il ministero di
agricoltura, come il telegrafo annuncia, propone una legge che
proibirebbe ai mugnai la macinazione delle meliche guaste –
misura che se si trova modo di rendere pratica troncherebbe

Storia d’Italia Einaudi 681


Cesare Lombroso - Genio e follia

veramente il male alla radice – e renderebbe proprio inutili


queste righe e questi lagni (24 ottobre 1882).
47
Ad un pellagrologo, ormai provetto, il dottor Alpago-
Novello che reclamò analogamente per grosse quantità di meli-
che guaste in vendita a Cison, il preferto rispose: «Non poter-
si impedire gli smerci che si fanno nell’interno delle botteghe».
Or or ricevo, dal dottor Anselmi di Melara, lagni per uno spe-
culatore che impunemente fa incetto delle meliche guaste dal-
l’inondazioni per rivenderle mescolate colle sane. E nell’Italia
Agricola un ing. Torelli si lagna perché io suggerisco misure che
ledono la libertà dei commerci e mentre infine i contadini son
padroni di mangiarselo quel cinquantino guasto che lor si dà,
se a lor piace!!
48
Vedi però la nota precedente che dopo le notizie telegra-
fiche confermatemi privatamente, devo aggiungere a questi il
nome dell’on. ministro dell’agricoltura.
49
Quanto alla statura è evidente che quella dei dementi e
degli idioti è minore assai della media normale, e fino ad un
ceno punto anche dei maniaci. Tuttavia non rare volte ci
occorse vedere maniaci e in ispecie malati di paralisi generale,
d’alta statura. La annessa tabella craniometrica fornisce del
resto dei dati su questo rapporto.
50
Legge 34, 49, Giorgio III, cap. IV: «Chi commise omici-
dio, alto tradimento, dev’essere tenuto in sicura custodia, fin-
ché piaccia a S. M.».
51
23, 24 Vict. Cap. 75. Art, To make better provision for the
custody and cure of criminal lunatics. – Il segretario di Stato può
mandare in questi asili: 1. I pazzi criminali nel senso della legge
di Giorgio III; 2. i carcerati impazziti, incapaci di sottostare per
imbecillità o idiozia alle discipline carcerarie.
«Un alienato che commetta un delitto è un ammalato e
non un reo, e deve esservi ritenuto finché dia guarentigia di
guarigione». Legge di Scozia, Vict., cap. 60.
52
Il clima caldo in Italia dovrebbe, aiutato dalla pellagra,
aumentare più che diminuire la cifra degli alienati: quanto
poi la legge di proporzionalità si verifichi in Italia anche pei
pazzi criminali, lo dimostra il fatto della scarsezza delle donne
criminali, appunto come in Inghilterra, e la frequenza degli
omicidi.
53
In omaggio all’art. 823 Cod. Procedura Penale.

Storia d’Italia Einaudi 682


Cesare Lombroso - Genio e follia

54
Uno, D..., ebbe il padre e lo zio morti di demenza; impazzì
nei primi giorni della prigionia. Altro, P..., era stato due volte
al manicomio quando fu imprigionato. Uno era già stato folle
e recidivò alla notizia del figlio morto in quei tumulti. Tutti
mostrarono la forma dello stupore, ed ebbero, meno uno morto
dopo violenta atrofia, un decorso mite. (Alcuni fatti di pazzia
susseguiti ai disordini del macinato. Zani, 1870. Bologna.
55
Vi è, come vedremo, nell’articolo 95 del codice penale una
disposizione che comminerebbe, in simili casi, la custodia fino
a venti anni. Ma essa è sempre riguardata come una pena, e
d’altronde, mancando gli stabilimenti adattati, non viene mai
applicata, almeno pei maggiorenni, ch’io sappia, nell’alta Italia.
56
Bishop, Commentary to criminal law, 1864. Lemaire: cra-
nio asimmetrico; regione frontale piccolissima; suture suggella-
te e ossificate a 18 anni; pia madre aderente, che non si distac-
ca senza strappo di sostanza cerebrale; cervello 1183 grammi in
peso! – Benoist, parricida, ladro ed omicida, presentò: fron-
te sfuggente; dura madre ispessita ed aderente al parietale d.:
segno di pregressa meningite.
Dumonture, Observations sur l’etat pathologique du crâne,
1833.
57
Zeits. F. Psychiatrie, 1871. Berlin. Specialasyle f. Verbre-
cher Irre.
58
Nel 1868 se n’erano licenziati da Broadmoor 59, nel 68 ben
64.
59

Vedendosi egli in quel modo legare


Per lunatico e pazzo pienamente,
Berni – Orlando Innamorato.
60
Lombroso. Sulle trasfusioni comparate agli innesti, ecc..
Napoli 1876.
61
In molti delinquenti, specie di montagna, scrive Benedikt
(Vie Naturgesch. der Verbrechen, 1875), si ha un ritorno all’e-
poca nomade dell’umanità, per cui non possono trovare posa a
lungo in siti chiusi donde originansi molti ladri di bosco, gras-
satori, vagabondi.
62
Dal passo: Vedete gli uccelli del cielo, essi non seminano
né mietono e Dio li nutre. – E per meglio assomigliare agli

Storia d’Italia Einaudi 683


Cesare Lombroso - Genio e follia

uccelli si lasciano crescere la barba (Helyot, Hist. des Ordres


rel., 1774. Santo Agostino, De Op. Monach., 273.
63
Cognetti de Martiis, Le forme primitive dell’evoluzione
economica, Torino, E. Loescher, 1881. – Carle, La vita nel
Diritto, Roma, 1882. – Chironi, Sociologia e Diritto civile,
1886. – Nani, Vecchi e nuovi problemi del Diritto, Discorso
inaugurale, Torino 1886.
64
Golgi C., Sulla fina anatomia degli organi centrali del siste-
ma nervoso, nella «Riv. sperim. Di freniatria», Reggio Emilia,
1883-86 (estratto con atlante).
65
Lombroso C., La medicina legale delle alienazioni mentali,
1867, – Id., Klinische Beiträge zur Psichiatrie, trad. dal Fraenc-
kel, Leipzig, 1871. – Tamburini, Del concetto odierno della fisio-
logia normale e patologica della mente, prolusione, nello «Speri-
mentale», 1877. – Morselli, Introduzione alle lezioni di Psicolo-
gia patologica e di clinica psichiatrica, Torino, 1881. – Id., La Pa-
tologia mentale; il suo presente e il suo avvenire, Conferenza al
Congresso medico, Pavia, 1887.
66

Quod petiere, premunt arcte, faciuntque dolorem


Corporis, et denteis inlidunt saepe labellis,
Osculaque affligunt, quia non est pura voluptas:
Et stimuli subsunt, qui instigant laedere id ipsum,
Quodcunque est, rabies unde illae germina turgent.
De Rer. Nat. Lib. IV.
67
Come rilevava il curante primario dott. Stolti, che cortese-
mente mi spediva un accurato studio, di cui largamente appro-
fitto.
68

Circonferenza cranica mill. 520


Curva longit. » 372
Curva biauric. mill. 290
Lunghezza del frontale mill. 110
Lunghezza del parietale mill. 126
D. longitudinale mill. 190
D. bitemporale mill. 138
D. verticale mill. 137

Storia d’Italia Einaudi 684


Cesare Lombroso - Genio e follia

D. biparietale mill. 123


D. mastoideo mill. 122
D. bizigmatico mill. 112
D. frontale mill. 96
Indice cefalico mill. 72,8
Indice verticale mill. 72
Angolo facciale mill. 70
Peso (cranio e gr. 84
mandibola)
Peso (senza mandibola) gr. 765
Capacità orbitale cc. 68
Capacità cranica cc. 1450

69
Trovo nel Nicolucci le seguenti capacità craniche dell’isola
dei Liri: 1258, 1260, 1298, 1333, 1389, 1468, 1563, 1570, 1720.
Su nove 4 superavano quella del Gasparone e 3 di molto, ma 6
le erano di molto inferiori.
70
Una miniera di documenti interessantissimi su lui e sul
brigantaggio ho trovato in un’opera, fattasi ora rarissima, di
un ufficiale francese, che ridusse le memorie di un addetto alla
banda di Gasparone, Masi, Mémoires de Gasparone rédigés par
P. Masi, son campagnon dans la montagne et dans la prison,
Paris, 1867, Dentu. Codesto strano brigante-filosofo consacrò
gli ozii di 40 anni di carcere allo studio e alla redazione di queste
memorie, che tentava vendere ai visitatori, scritte in un cattivo
francese. Lo stile è barbaro, oscuro, ma pieno di ingenua
verità, perché, nato nel centro del brigantaggio, testimonio od
attore dei drammi di cui parla, rinchiuso, com’egli dice, in un
inferno terrestre, non aveva interesse a celare il vero. L’ufficiale
del resto poté controllarlo coi discorsi dei singoli masnadieri.
Studiò esso il Masi, che aveva perduto l’aria brigantesca, pareva
un notaio andato a male, cogli occhi languidi ma intelligenti,
l’aria triste e calma, i modi gravi. Non volle confessare le cause
che lo condussero ai delitti; del resto il suo scarso senso morale
si vede da questo passo: «Non si respinga questa, perché è una
storia di delitti; tutte le storie umane non sono che storie di
crimini peggiori di quelli dei briganti, tanto più che gli autori
ne erano spesso uomini destinati a comandare ed a servir di
modello ai loro simili. E la Bibbia non è piena di delitti? Io
dico poi la verità, benché abbia imparato che la verità è la cosa

Storia d’Italia Einaudi 685


Cesare Lombroso - Genio e follia

che più ferisce e meno si perdona, come lo provano gli esigli ed


i dolori dei tanti che le furono d’oracolo».
Gli opuscoli Delitti di sangue di A. Gasparone, Firenze,
1878, e Antonio Gasparone, ecc., Milano, 1881, ecc., non sono
che sunti di questa opera curiosissima, che devo alla cortesia
dell’egregio prof. Colasanti.
71
Diamo questa canzone come esempio della leggenda poeti-
ca che circonda i masnadieri e forma il sustrato della letteratura
popolare criminale.
72
Mémoires de Gasparone, Parigi, 1867.
73
Lombroso, Uomo delinquente, 5ª ediz., 1896, vol. I, pag.
191; Mondio, Cervelli di delinquenti (Arch. di Psich., VI, 1896);
Mingazzini, Il cervello in relazione ai fenomeni psichici, Torino,
Bocca, 1895.
74
Dottor Roncoroni, La fine morfologia del cervello degli
epilettici e dei delinquenti (Arch. di Psich., I, 1896); Lombroso,
op. cit., vol. III, pag. 638.
75
Bianchi, Ferrero, Sighele, Mondo criminale, Italia (prima
serie), 1894. Lombroso, Uomo delinquente, vol. III, parte I,
1897.
76
Pare che poscia chiedesse, strana richiesta per anarchico,
di divenir guardia carceraria e s’irritasse del rifiuto (Vedi A.
Gautier, Le Procès Luccheni. – Wien, 1899).
77
Vedi mio Delitto politico, parte III, e Gli Anarchici, 2ª
edizione.
78
Vedi mio Delitto politico, 1890.
79
Alle accuse mossemi dall’ill. Gautier (Le Procès Lucchini,
1899) di aver formulato diagnosi senza veder il malato e quin-
di inesatta, e di aver descritto caratteri degenerativi che manca-
vano, rispondo colle pagine dell’ill. Forel, l’alienista certo più
eminente dei nostri tempi, che lo seguì de visu durante il pro-
cesso tutto e la cui diagnosi poco differisce dalla mia.
80
V. Congrès d’Anthropol. Criminelle – Amsterdam, 1902,
pag. 215.
81
Uomo delinquente, vol. II, da pag. 70 a 201 e 565.
82
Giovanni Raffo, Gazzetta di Messina, 23 novembre 1901.
La conoscenza dell’epilessia, apoplessia, ecc., dei parenti di
Musolino mi viene da comunicazioni del dott. Romeo e del-

Storia d’Italia Einaudi 686


Cesare Lombroso - Genio e follia

l’avv. Raffo, e così quella sull’epilessia di Musolino stesso, sul


quale ebbi però anche notizia dal prof. Venturi prima dell’ar-
resto. Essendo fatti che io non ho potuto constatare, ne lascio
loro l’assoluta responsabilità.
83
Giornale dei dibattimenti, Catanzaro, novembre 1901.
84
Vedi Uomo delinquente, vol. I, pagg. 33, 69, 77.
85
L’importanza grande di questa osservazione viene dalla
scoperta fatta nella mia Clinica dai dottori Modica ed Audenino
che negli animali, cui si asporta il lobo frontale, scompaiono
improvvisamente i fosfati terrosi, i quali si trovarono diminuiti
notevolmente in 10 su 11 criminali-nati adulti esaminati, solo
non avverandosi il fatto in 3 bambini criminali (Archivio di
psichiatria, scienze penali ed antropologia criminale, vol. XXII,
pag. 398).
86
Vedi C. Lombroso, L’uomo delinquente, 5ª ediz., vol. I.
87
Vedi Lombroso, Gli anarchici, 2ª ediz. Torino, Bocca,
1896.
88
Idem, Nuovi studi sul genio, vol. I. Palermo, Sandron,
1902.
89
Vedi Lombroso, Il delitto politico e le rivoluzioni, vol. II.
90
Vedi Lombroso, Il delitto politico e le rivoluzioni, vol. II.
91
Lucchini, Diagnosi dolorosa (Rivista penale, settembre
1900). Egli vi deplora le amministrazioni inquinate; l’esorbitan-
za e il carattere vessatorio delle pubbliche gravezze; il mal go-
verno della giustizia, tarda e impotente; l’opinione generalmen-
te invalsa che tutto ormai proceda a base d’imbroglio e d’intri-
go; il sapere che i tanti milioni spesi, e che si continuano a spen-
dere, nell’esercito e nella marina da guerra non ci dànno alcun
affidamento né sull’uno, né sull’altra; gli ultimi fasti guerreschi
ingloriosi; le alleanze antinazionali e produttive di soli sacrifizi;
gli emigrati per fame.
Il Lucchini vi mostra la facile genesi dell’anarchismo fra co-
desti reietti della patria. Il fenomeno della propaganda sovver-
siva, come quello della criminalità comunale è «il frutto di un
improvvido sistema di governo». I moti di Sicilia e della Luni-
giana e l’assassinio di Carnot hanno tenuto dietro alle bruttu-
re della Banca Romana. Adua è stata seguìta dall’attentato di
Acciarito, dall’assassinio di Canovas, dai disordini del 1898 e
dall’assassinio dell’imperatrice Elisabetta. E ora siamo usciti da

Storia d’Italia Einaudi 687


Cesare Lombroso - Genio e follia

un anno «di vicende politiche e parlamentari, che la storia ci-


vile dell’Italia registrerà con profonda tristezza, e in cui la nota
dominante fu il disconoscimento di ogni norma e principio le-
gale e costituzionale». Ond’ei si chiede «come non avvenga di
peggio».
92
Vedi Rapporto del prof. C. Platner inserito nel numero
dello agosto 1855 nell’Appendice Psichiatrica, compilata dall’il-
lus. Cav. dottor Verga. Milano, tip. di G. Chiusi.
93
Vedi le sottilissime confutazioni del prof. cav. Bonacossa
– Saggi sul Manicomio di Torino, 1832.
94
Devo pure rendere grazie ai professori Balsamo Crivelli
e L. Maggi per gli ajuti e consigli portimi, mettendo a mia
disposizione parecchi crani di lemurini e di bimani.
95
«Nei lemurini la fossa occipitale mediana è, proporziona-
tamente, più sviluppata della laterale» (Blainville, Ostéographie,
fasc. III). Nei macachi, nei papioni, negli ovistiti il culmine del
cervelletto è elevato, i suoi grandi lobi sono più piccoli dell’u-
mano; viceversa, il vermis mediano e i vermes laterali hanno
proporzioni che non hanno paragone coll’uomo; nell’ovistiti in
ispecie, i vermes toccano l’apice dello sviluppo (Gratiolet, p.
251).
96
Vedi Cap. I, II, pag. 6 a 42.
97

«Osculaque affigunt, quia non est pura voluptas:


Et stimuli subsunt, qui instigant lædere id ipsum,
Quodcunque est, rabies unde illæ germina surgent».
De Rer. Nat. Lib. IV, verso 1070.
98
Gualda r’ povro reo, ecc. Cosa ha fatto? ecc. Eh! Cuasi
nulla – Ha strozzato ’r suo padrone
( Cento sonetti. Neri Tanfucio. Firenze, 1873, pag. 39).
99
Vedi Appendice II.
100
Maury, Mouvement moral de la société, Paris, 1860.
101
G. Ruf, Die Criminal Justiz, Ihre Wiedersprüche und die
Zukunften, Innsbruk, 1870.
102
Les forçats, par Lauvergne. Paris, 1841.
103
Un recente studio su 53 stupratori eseguito or ora mi dà
per risultato 22 con tipo criminale completo (43%); 8 con tipo
incompleto e 6 con tipo cretinoso; 3 femminei; 7 con mandibole

Storia d’Italia Einaudi 688


Cesare Lombroso - Genio e follia

voluminose; 14 con assimetria facciale; 5 con naso torto; 6 con


microcefalia.
104
Un recente studio su 53 stupratori eseguito or ora mi dà
per risultato 22 con tipo criminale completo (43%); 8 con tipo
incompleto e 6 con tipo cretinoso; 3 femminei; 7 con mandibole
voluminose; 14 con assimetria facciale; 5 con naso torto; 6 con
microcefalia.
105
Fregier, Des classes dangereuses, 1841, p. 111. Nel gergo
tedesco essere impiccato: Heimgangen, tornare a casa sua.
– In italiano: far la grinta, squinzare, mandar a Foligno, a
Casalbuttano, ecc. – In francese: Juge de paix, il boia; vedova,
veuve, la ghigliottina; raccourcir, ghigliottinare.
106
Osso dell’Incas e fossetta occipitale mediana che si trova-
no più negli Americani e quasi mai nei Negri; l’apofisi tempora-
le del frontale più nei Negri, e quasi mai negli Americani (Ved.
pure Revue scientiphique, 1883). Noi trovammo spesso nei sa-
ni e nei rei mancinismo motorio senza mancinismo sensorio e
viceversa.
107
«L’ernia inguinale, scrive Féré, che è un’infermità nell’a-
dulto, in alcuni fanciulli si manifesta colla preesistenza di un
canale permeabile che, specialmente nella scimia quadrumane,
sussiste normalmente nello stato adulto» (Vedi Rev. Philos.,
1887).
108
Si legga: Magnan, Annales Médico-Psicholog., 1886; Lom-
broso, Tre Tribuni, pag. 3 a 9, 16 a 23, 148 a 150.
109
I caratteri dei delinquenti. Torino, Bocca, 1886.
110
Gall et Spurzheim, Des dispositions innées de l’âme et de
l’esprit. – Paris, 1811.
111
Quanto al misoneismo vedi i miei Tre Tribuni, 1887.
112
Posso aggiungere fra i forti ingegni nati da genitori vecchi:
Rochefort, il matematico Siacci, il Bizzozzero, e il fondatore del
cristianesimo.
113
Ireland, Herrschermacht und Geistesskrankheit, 1887 –
Jacoby, Etudes sur la sélection dans ses rapports avec l’hérédité
chez l’homme Paris, 1884.
114
Di T. Gauthier, p. es., narrano i Goncoun, che spesso di-
chiarava non potere persuadersi d’esser veramente padre delle
sue figlie, perché era giovane ( Journal des Goncourt, 1888).

Storia d’Italia Einaudi 689


Cesare Lombroso - Genio e follia

115
Ho potuto esaminare a Siena questi tatuati, 11 sopra 500:
di essi 6 provenivano dalle carceri dove si erano praticati i pri-
mi disegni (arma del Granduca, data del 1856, croci, viva Ga-
ribaldi, àncora). Dentro il manicomio questi ultimi ripeterono
i tatuaggi con polvere di mattone, che però riuscirono confu-
si e quasi indecifrabili, ed indussero altri alienati comuni a farsi
di nuovo tatuare; ma i disegni riuscirono confusi, in alcuni non
attecchirono.
116
In questo capitolo ho seguito fedelmente e riassunto le
stupende pagine degli Studî critici di Ascoli sui gerghi, 1861; e
del nostro Biondelli; Morçau-Cristophe, Le monde de Coquines,
1870; Studî sulla lingua furbesca, 1846; il Pott, Zigeuner, Halle,
1844, e i Rotwelsche Studien di Avé-Lallemant, 1858. Di mio
non ho potuto fare che alcuni rapidi studî sui gerghi delle
Calabrie e del Lago Maggiore, e sui gerghi nostri antichi, sparsi
nel Trattato dei Bianti, Italia, tipi del Didot, 1828; considerai
ancora i gerghi di Sicilia, accennati dal Pitrè, nei Canti siculi.
117
Il ladro della valle. – Il giardiniere sanguinoso. – Addio
dei trasportati. – La morte di Puke. – Quando men vo girando
la notte, ecc.
118
L’individuo a cui la comunicazione era diretta, è stato in-
fatti assolto dal Tribunale correzionale dall’accusa di omicidio
in rissa nel mese di aprile 1886.
119
Forse al momento di andare al passeggio.
120
L’avvertimento grave è mascherato da uno scherzo di
lettere; infatti ogni parola contiene la lettera p.
121
L’avviso era diretto a Strigelli, la cui risposta è illeggibile.
122
Che fosse questa una risposta dello stesso?
123
Vedi L’Amore nei Pazzi di Lombroso. Torino, 1881.
124
Diagnosi psichiatrico-legali studiate col metodo esperimen-
tale di C. Lombroso. Milano 1869.
125
Vedi Klinische Beiträge zur Psychiatrie del dott. prof.
Lombroso. Leipzig, 1869, O. Wigand, p. 12, 18, 80.
126
Vedi Archivio di psichiatria e scienze penali. Torino, 1880,
anno l, fasc. I e II.
127
Kant, Eulero, Leibnitz, Newton, Vico furono dementi
nella loro ultima vecchiaja, come pure parecchi altri moderni
– ma dalla demenza alla pazzia è la distanza che è dalla paralisi

Storia d’Italia Einaudi 690


Cesare Lombroso - Genio e follia

alla corea. – E la demenza è pure una delle tristi crisi della


vecchiezza.
128
Guglielmo Ferrero, Violenti e frodolenti in Romagna, nel
volume già citato: Il mondo criminale italiano. Milano, 1894.
129
Azione degli astri e delle meteore sulla mente umana. Me-
moria premiata dal R. Istituto Lombardo. Milano, 1869. – Os-
servazioni meteorologico-psichiatriche. Bologna, 1871.
130
Vedi Pensiero e meteore, di C. Lombroso, 1872. – Archi-
vio di psichiatria e antropologia criminale, Torino, 1880, pag.
157, 2º fasc..
131
Vedi Pensiero e meteore, op. c., p. 145 a 163.
132
Pensiero e meteore di C. Lombroso («Bibl. int. scientif.»),
Milano, 1878.
133
Assassinio e pena di morte, Berlino 1895.
134
«Sono sobrii, pazienti, perseveranti; sentono l’amicizia;
hanno l’istinto di pervenire per vie coperte e taciturne allo
scopo; ospitali e rapaci; superstiziosi nelle classi basse, ed
altieri nelle alte. La parola malandrino perde, in Sicilia, il suo
significato: si dice, sono malandrino, come per dire: io ho
sangue nelle vene. Denunciare un omicidio è mancare al codice
dell’omertà». (La Sicilia, ecc., Firenze, 1871).
135
Nella Terre Zola mostra come tutte le popolazioni agricole
siano monarchiche: «Ils étaient pour le bon ordre, le maitein
des choses, l’obéissence aux autorités qui assuraient la vente»,
pag. 156.
136
Barce, The dang. class of New-York, 1871.
137
Dal bellissimo studio di Bosco nell’ Omicidio negli Stati
Uniti (Rivista Penale, dic, 1895).
138
Ferrero nella Riforma Sociale, 1895.
139
Broca. Bulletin de la Société d’Anthropol. 1869.
140
Studi statistico-igienici sull’Italia, di C. Lombroso. Bolo-
gna 1867. – Nei catolici di Verona si calcola il legitimo su 5 le-
gitimi, negli Ebrei appena 1 su 100: perciò la mortalità dei bam-
bini ebrei è minore, cioè di 30 per 100; mentre nei catolici lo è
del 60. Invece gli adulti ebrei hanno la mortalità del 65 per 100,
ed i catolici solo del 39 per 100.

Storia d’Italia Einaudi 691


Cesare Lombroso - Genio e follia

141
I Semiti, dice Renan, mancano di curiosità. Dio è grande,
è tutta la loro spiegazione. In tutto vedendo essi l’azione infles-
sibile dell’Ente supremo, la scienza loro finisce al proverbio e
alla lirica, come in Grecia all’epoca dei sette savj. ( Histoire des
Langues Sémitiques 1855. I. Paris).
Quanto all’inerzia ed apatia dei Semiti basta ricordate col
Despine, che «gli Arabi in Africa lasciarono minate le molte
costruzioni idrauliche dei Romani, che l’aveano fertilizzata. In
tempo di carestia, l’Arabo si lascerà morire di fame, ma non
raddoppierà il lavoro, ne cercherà supplire con nuovi raccolti
al perduto. Amano l’oro, ma per avarizia, non per goderne i
vantaggi, e lo sepeliscono in terra. Napoleone, Monge, in Egit-
to, cercarono colpire gli Arabi colla mostra di grandi esperien-
ze, di fisica e di mecanica; ma l’elettrico, che scoteva i cada-
veri, non li colpiva, e nemmeno l’areostata che fendeva l’aria»
(Despine, Psychologie naturelle 1868. Paris).
142
Nel 1861 la popolazione analfabeta in Italia era di 645 su
1000 cattolici e 58 su 1000 ebrei.
Nel 1867-68 su 100 stud. catt. delle scuole tecniche promossi 67 su 100

» ebrei » » 78 »
» catt. dei licei » 54 »
» ebrei » » 96 »
» catt. dei ginnasii » 53 »
» ebrei » » 100 »

143
Histoire des Bohémiens. Paris, 1837. – Predari, Sugli
Zingari. Milano, 1871. – Pott. Zigeuner. Halle, 1844. Vidocq,
Op. cit. id., p. 330.
144
Il verbo dovere non esiste in lingua tzigana. Il verbo
avere (terava) è quasi dimenticato dagli Zingari europei ed è
sconosciuto agli Zingari d’Asia.
145
V. Lombroso, Atavism and Evolution in Contemporary
Review, 1895, July.
146
Bosco. L’omicidio negli Stati Uniti, Roma, 1895.
147
La Delinquenza in Sardegna, Palermo, 1897.
148
Picard. Synthèse de l’antisémitisme. Bruxelles, 1890.
149
La posizione antropologica degli Ebrei, Berlin, 1892.

Storia d’Italia Einaudi 692


Cesare Lombroso - Genio e follia

150
Vedi la dimostrazione nel mio Delitto politico e rivoluzio-
ne. Parte II, 1889.
151
«Tutta una letteratura, diceva egli, nacque dal mio Insetto
e dal mio Uccello. – L’amore e la donna restano e resteranno
come che hanno due basi, la scientifica (!!), la natura stessa – e
la morale, il cuore de’ cittadini...
Definii la storia una risurrezione. – È il titolo più adatto pel
mio 4° volume e...
Nel 1870 nell’universal silenzio io solo parlai. Il mio libro,
fatto in 40 dì, fu la sola difesa della patria...».
152
Vi studia come documento il giornale delle digestioni di
Luigi XIV, ne divide il regno nell’epoca prima e dopo la fistola
– di Francesco I – prima e dopo l’ascesso! Vi son conclusioni
di questa posta:
«Di tutta l’antica monarchia di Francia non resta alla Fran-
cia che un nome, Enrico IV e due canzoni Gabriella e Marlbo-
rough».
153
Vedi lo scritto di Nocito e Lombroso su Davide Lazzaretti
nell’Arch. di Psichiatria, 1881, vol. I, fasc. I, II. – Verga,
Lazzaretti e la pazzia sensoria, 1880, Milano. – Caravaggio,
Inchiesta e Relazione su Arcidosso, 1878. Gazz. Uff., 10 ottobre,
N. 321.
154
Nocito e Lombroso. Davide Lazzaretti (Archivio di Psi-
chiatria, 1880, II, Torino). – Si vedranno ivi le cause che in-
dussero in errore i periti, errore che il paese espiò con ingenti
spese, e, quel che è peggio, con parecchie vittime umane.
155
Studi su Passanante. Napoli, Detken, 1879.
156
Esquirol raccontò di una pazza che gli diceva: «Io non ho
il coraggio di uccidermi: e per morire bisognerà che ammazzi
qualcuno», e attentò alla vita della figlia.
157
Balfour-Brown nel suo lavoro sulla pazzia morale così si
esprime: «Una pazzia morale, un’affezione psichica, i cui pre-
cipui sintomi consistano in parole ed atti delittuosi non esiste;
dovrebbe lasciarsi da parte questa denominazione malaugurata
e sostituirvi che l’individuo relativo soffre, p. es., di debolezza
psichica, ovvero di disposizione melanconica con ansia e deli-
rio di persecuzione che lo costringono ad azioni delittuose». –
Knap nega l’esistenza della pazzia morale, come specie morbo-
sa a se, e la riguarda invece come un complesso sintomatico che
si verifica talora nello stadio prodromico delle psicosi. Gli al-

Storia d’Italia Einaudi 693


Cesare Lombroso - Genio e follia

tri individui che presentano simile complesso sintomatico, dice


Knap, sono per lo più delinquenti.
È giusta l’obbiezione di Bonfigli che il termine di pazzia
suppone sempre un morbo acquisito, mentre la pazzia morale
è quasi sempre congenita. Meglio quindi sarebbe denominarla
idiozia, imbecillità morale, con cui, come col cretinismo, essa
ha tante analogie fisiche, p. es. viziature della base cranica,
mandibole ed orecchie sproporzionate, scarsa barba. Ma è però
sempre questione di parole: e delle parole è despota, spesso
cieca, l’usanza.
158
Tarde, con una lealtà che ahi! è poco comune fra noi,
conviene che questa scoperta risponde completamente all’ob-
biezione (Revue Philosopbihue, n. 9).
159
Per maggior chiarezza riassumo in queste linee le idee:
Epilettoidi
1° grado – Epilessia larvata. 1. Rei per passione.
2° » – Epilessia cronica. 2. Rei d’occasione.
3° » – Pazzo morale.
4° » – Criminale nato.

160
Vedi Genio e follia, IV ediz. – Torino, Bocca, 1884.
161
Vedine le prove nel mio Homme de Génie. Paris, Alcan,
1889.
162
Sulla natura morbosa del delitto, 1872.
163
Revue des Deux Mondes, 1886.
164
Vedi Uomo di genio, Parte IV.
165
Vedi Uomo delinquente, pag. 281 a 285.
166
R. Garofalo, Riparazione alle vittime del delitto, Torino,
Bocca, 1882. – Id., Criminologie, Paris, 1888.
167
Plinio, Panegir., 42.
168
Vedi Studi sull’ipnotismo, di C. Lombroso, 3ª ed., 1887,
e Nuovi studi sull’ipnotismo e la credulità, di C. Lombroso ed
Ottolellghi, Torino, 1889.
169
Rodolfo Laschi, La delinquenza bancaria. Torino, Bocca,
1899.
170
Rodolfo Laschi, La delinquenza bancaria. Torino, Bocca,
1899.

Storia d’Italia Einaudi 694


Cesare Lombroso - Genio e follia

171
Maret, La Justice en France. 1826-1880. Paris, 1882.
172
R. Laschi, op. cit.
173
R. Laschi, op. cit.
174
Vedi ora il Sergi, Le degenerazioni umane, Milano, 1889.
«Ogni segno (scrive, pag. 27) degenerativo è segno od indizio
di degenerazione funzionale».
175
Zur Psychologie der Frau, in Zeitschrift für Volkerpsycholo-
gie und Sprachswissenschaft. 1890, XX, 1.
176
Sagnol, L’égalité des sexes. – Paris, 1880.
177
V. Delitto politico, parte III.
178
Arch. di psich., XIV, 1, 1893.
179
Morselli, Lezioni di antropologia, in corso di pubblicazio-
ne, pag. 220.
180
Già Leroy, nel 1700 aveva scritto: «Dopo esser vissuto
a lungo colle bestie, mi accorsi che la morale del lupo poteva
schiarire quella dell’uomo». (Notizia comunicatami dall’on.
prof. Lacassagne).
181
Darwin, Insectivorous plants, 1880. – D. O. Drude, Die
Insektenfressenders Pflanzen, nell’Handbuch der Botanik herau-
sgegeben, von Prof. Schenk, Breslau, 1881. – F. Cohn, Beiträ-
ge zur Biologie der Pflanzen, Bd. II, Heft. I. – Rees und Will,
Botanische Zeitung, 1875.
182
È noto che i cani abbaiano a tutti i forestieri. Lessona
nota una sola volta un cane che li festeggiava, ma era un cane di
albergo montano, cui la venuta loro prometteva un lauto pasco.
Ed ecco l’origine di alcune riforme e di molti riformatori.
183
Vedi Vignoli T., Della legge fondamentale dell’intelligenza
nel regno animale.
184
Lombroso, Tre Tribuni. – Torino, Bocca, 1887.
185
Psychologie de l’enfant, II ed., 1882.
186
Dr Frank, Ueber die Pilzsymbiose der Leguminosen. Ber-
lin, 1890.
187
Uomo di genio, 5ª ed., Torino, 1895.
188
Sacchetti, nelle sue novelle, narra di ridicole cause di
sedizioni in Toscana; nel 1354 ve ne fu per poco una perché un

Storia d’Italia Einaudi 695


Cesare Lombroso - Genio e follia

asino appartenente agli Albizzi urtò uno dei Ricci che bastonò
l’asinaio, d’onde s’ebbero litigi fra le due famiglie.
189
«L’unique marque des hommes de génie est l’originalité;
ils créent mieux, plus, et surtout autrement que le commun des
hommes» (Richet, Prefazione al mio Homme de génie, 1889).
«Ce qui distingue les grands génies c’est la généralisation et
la création» (Flaubert, op. cit.).
190
C. Lombroso, Palimsesti del carcere. – Torino, 1890.
191
Vedi Homme criminel, vol. I. – Uomo delinquente, vol. II,
parte I.
192
Vedi Actes du Congrès d’anthropologie criminelle. – Rome,
1887.
193
Revue Bleu, dicembre 1893.
194
The Monist, ecc., july, 1891.
195
Trattato clinico della pellagra, Bocca, 1894 – Studi clinici
ed esperimentali sulla pellagra, 1872. – La pellagra ed il mais in
Italia, 1869.
196
Messedaglia espresse queste idee nelle parole: che i grandi
centri col maggior numero di contatti aumentano gli attriti. –
Nella Quarterly Review citata si legge: Tutto ciò che attira la
folla nelle vie di Londra, incendi, passaggi di truppe ecc., fa
scaturire in un baleno centinaja di ladri; li trovate ai meeting,
alle Assise, alle prediche.
197
In Inghilterra i distretti manufatturieri dànno:
6,6 per cento di rei di 15 anni.
24 » » 15 a 20 anni

I distretti agricoli
4,8 per cento di rei di 15 anni.
21 » » 15 a 20 anni

(Mayhew).
198
Lombroso, Genio e follia, cap. X, 4ª edizione, e Pazzi ed
anomali, cap. XII.
199
Ernesto Rénan, Gli Apostoli. – Milano, 1866.
200
Aubry, La contagion du meurtre, 1888.
201
Lombroso, L’uomo delinquente, cap. XIV, 2ª edizione.

Storia d’Italia Einaudi 696


Cesare Lombroso - Genio e follia

202
Lombroso e Laschi, Il delitto politico, 1890, Torino.
203
Vedi Sighele, La Foule Criminelle, 1893, 2e édit., e vedi
vol. III, Uomo Delinquente.

Storia d’Italia Einaudi 697

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