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Genio e follia
Scritti scelti

di Cesare Lombroso

Storia d’Italia Einaudi


a

Edizione di riferimento:
Delitto, genio, follia. Scritti scelti, a cura di Delia
Frigessi, Ferruccio Giacanelli, Luisa Mangoni, Bollati
Boringhieri, Torino 1995

Storia d’Italia Einaudi II


.

Sommario

Il medico, l’alienista 1
1. Etnografia e medicina sociale in Italia 1
1. Cretinismo 1
2. Per una geografia medica dell’Italia unita: 25
le Calabrie, il Napoletano, la Lombardia
3. Una statistica uniforme 67
2. «... quella triste piaga e vergogna nostra 72
della pellagra»
1. Eziologia, sintomi, profilassi 72
2. Istruzione popolare 114
3. Un appello accorato 134
3. Psichiatria 140
l. Psichiatria sperimentale e tecniche 140
manicomiali
2. Il manicomio criminale 155
3. L’influenza delle meteore 175
4. Claustrofobia e claustrofilia 184
5. Nuove conquiste 189
4. Personaggi criminali 196
1. Verzeni strangolatore di donne 197
2. Gasparone 211
3. Il brigante Tiburzi 220
4. Luccheni e l’antropologia criminale 230
5. L’ultimo brigante: Giuseppe Musolino 238
6. Enrico Ballor detto il martellatore 252

Storia d’Italia Einaudi III


7. Gaetano Bresci regicida 264
La scienza della devianza 272
1. Forme e caratteri della devianza 272
1. Lo studio dell’uomo 272
2. Anomalie e atavismo nei delinquenti 287
3. Genio e follia 313
2. Ritorno al primitivo 339
1. Come i selvaggi 339
2. Il lievito sublime 361
3. Eziologia del genio e del delitto 380
1. L’azione della civiltà 380
2. Influssi naturali ed etnici 398
3. Influssi sociali 420
4. Uguali e diversi 437
1. Una razza che si trasforma 437
2. Razza e delitto 444
3. Il soffio dell’antisemitismo 454
5. Tipi e modelli 467
1. L’anello di passaggio: mattoidi letterari, 467
politici, religiosi
2. Pazzo morale e delinquente nato 494
3. Epilettici ed epilettoidi nel delitto e nel 513
genio
4. Delinquente alcolista e isterico 545
5. Delinquente d’impeto 551
6. Delinquente d’occasione 554
7. Rei d’abitudine, latenti e protetti 566
8. L’uomo perfetto 569
6. Una variante: la donna prostituta e 571
delinquente

Storia d’Italia Einaudi IV


1. La «schiavitù rosata» 571
2. La forma della criminalità femminile 583
3. Criminali, epilettiche, isteriche 589
4. Ree d’occasione e per passione 599
5. A nostro vantaggio 606
7. Devianza e leggi sociali 610
1. Natura e funzione del delitto 610
2. Le rivoluzioni e il delitto 631
3. Gli anarchici 649
4. Folla e follia 659

Storia d’Italia Einaudi V


IL MEDICO, L’ALIENISTA

1
Etnografia e medicina sociale in Italia

1
Cretinismo

Parlare e lagrimar vedraim insieme

L’osservatore cui s’affacci il cretinesimo, non nel quieto


soggiorno di un Ospizio, ma nell’umile suo nido fra le
catapecchie delle città e dei villaggi remoti, si sente col-
pire da una singolare ambascia. L’occhio angustiato da
quell’aria oscura, da quelle vie sucide, da quei volti squa-
lidi e torvi degli abitanti, da quell’umida e bigia mise-
ria, che traspira dovunque, s’arresta ancor più tristamen-
te su quella nuova specie di uomini bruti, che barbuglia-
no, grugniscono e s’accosciano sbadati fra li apatici con-
giunti, su ’i quali l’affinità del sangue e del morbo sta di-
pinta a brutti caratteri nel volto e nella gola. – Che è poi
quando ti metti a interrogare quegli esseri, e al meschi-
no raggio d’intelligenza, che luce ancor su quelle poco
umane membra, ti è dato scorgere le forme più ignobili
dell’egoismo e della cattivezza?
Non è di quei spettacoli, che dalla spigliata acerbità
del dolore ti sollevino co’l senso della compassione, ne
che t’acquietano con l’indifferenza –; un senso ti nasce
ad un tempo ed uggioso, ed avvilente, e confuso, a cui
non poca parte hanno le cause stesse, che ingenerano il
cretinesimo; senso che ti s’appiccica quasi, e ti accompa-
gna nelle ricerche scientifiche, sicché i fatti più chiari si

Storia d’Italia Einaudi 1


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contradicono fra loro, e sfugono alla sintesi, e snatura-


no e rabbujano non solo l’essenza e le cause, ma e la for-
ma del morbo, – talché spesso non ingrata soltanto, ma
inutile riescì la fatica.
Che morbo sia il cretinesimo, risulterà sufficientemen-
te dal seguito del lavoro senza che ora mi metta in quelle
poco giovevoli pastoje della definizione; – solo preven-
go considerarlo come un effetto di una discrasia specia-
le, che si manifesta da prima con anomalie del corpo e
della glandula tiroidea, e da ultimo con la stupidità.
Morbo antichissimo ed esteso per ogni parte del glo-
bo (vedi Appendice), gode anche fra i dialetti lombardi
di una larga sinonimia, attestatrice della troppa sua di-
fusione. – Su ’l Pavese si chiamano i cretini Sor, Beli-
no, Libidock (Mirabello); a Cassano, Goj, Tamacol, Sgep,
Fat. – A Chiari e in Valcamonica Totola, Toltola, Ma-
gotu. – In Valsassina Manan (analogo al francese), Pa-
lie. – In Valsabbia Macabri, Maghi1 in generale Cristia-
nei, Martorot, Innocent, epiteti questi, come osservava il
Verga, che confermano la parallela etimologia di cretini,
e rammentano la strana considerazione in cui erano te-
nuti nei secoli scorsi, quando il superbo castellano man-
dava i suoi bimbi alla capanna dell’ebete onde, conviven-
do insieme contraessero della sua santa innocenza. – La
difusione dei lumi e forse del male fece succedere ora al-
l’ammirazione, od all’orrore (v. Appendice) una strana
indifferenza – ma non sì però che non rimangano e vi-
ve ed ostinate le tracce degli antichi pregiudizj; nella po-
polosa Treviglio, poco lungi dalla strada ferrata, mostra-
vami una madre, con una tal qual’aria di compiacenza, il
figliulo suo, brutto di tutto il cretinesimo ad ultimo sta-
dio – «Gli è proprio un angelo, dicevami, un innocen-
te che non ha mai peccato» – e peggio, innanzi alla porta
della Università di Pavia, un’altra madre interrogata su la
causa del cretinesimo dei suoi tre figlioli mi accennò mi-

Storia d’Italia Einaudi 2


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steriosamente ch’era l’opera di una vecchia maliarda sua


rivale
Il numero di questi infelici è più grande, che non si
pensi communemente. Io non credo errare di molto cal-
colandolo a 5000 – un quattro volte meno dei pellagrosi.
Ve n’hanno nelle contrade remote della stessa Milano,
a Porta Tosa principalmente –; molti ve n’hanno a Cer-
nusco, a Verdello; nella riva destra inferiore del Lago di
Como e su le vette dei monti, che mirano il Lago Maggio-
re; e a Malpago, e Casto, e Pezasa, e Ludrino, su la Bre-
sciana; ma i più si può dire, si aggruppano su la linea del-
l’Adda, dalle sue origini nella Valtellina, e nel mezzo del
suo cammino su quella ubertosa pianura, ove giacciono
Cassano, Rivolta e Treviglio; fino al suo finire in quella
specie di delta formato dai vari rami con cui sbocca nel
Po, a Camairago, Cavacurta, Bocche d’Adda.
Le contrade assolutamente immuni dal cretinesimo
sono la Valle Seriana, in cui secondo le ricerche del gen-
tile dott. Pietro Lussana, non si rinvennero che due creti-
nosi – e la provincia di Mantova su cui diligenti informa-
zioni diresse in proposito il carissimo e dottissimo amico
dott. Scarenzio.
Su molti punti della Lombardia feci personalmente ri-
cerche, che ora pubblico in questa tabella – ma, appunto
perché personali, le riescono più che incomplete, e se ba-
stano per le deduzioni patologiche, sono insufficientissi-
me per lo statista.
Non così posso dire della Valtellina, le cui notizie
aggiungo a quelle raccolte da me. Qui note officiali,
passando per le mani del Verga, non lasciano pressoché
nulla a desiderare allo statista ed al medico a un tempo2 .
Su una popolazione di 207721 abitanti si annoverano
1306 cretini e cretinosi – o sia 1 cretino su 159 abitanti, e
più particolarmente 1 su 135 abitanti in Valtellina; – 1 su
189 nelle varie altre province; ma variano singolarmente
le proporzioni da paese a paese vicino. – Così nella Val-

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sassina ad Introbbio abbiamo 1 cretino su 30 abitanti. –


A Pasturo pochi metri distante, 1 su 200. – In Valcamo-
nica, Artogne ne ha 1 ogni 40; Piano, che ne è quasi una
frazione, 1 su 175. – A Bagolino 1 su 40, a Vobarno 1
su 133. – A Collio 1 su 68, ed a Bovegno 1 su 120. – In
Valtellina, Sondrio, 1 su 91, Chiavenna 1 su 448.
È strano, che quando si voglia con tutta la potenza del-
la critica sceverare le vere cause del cretinesimo si viene
a concludere che la causa più vicina e potente, è quella
che ci sfugge – mentre dell’altre, non possiamo vedere,
che la negativa influenza, e ciò con la più sconfortante
chiarezza.
a) È impossibile p. es. che le condizioni geologiche
sieno fra i fattori diretti dell’endemia retinica.
b) Quanto poco influiscano i cibi su ’l cretinesimo
risulta dal trovarsene e dove si abusa di maiz (Chiari), e
dove di castagne (Introbbio), e segale (Valtellina), e dove
di latticini (Collio, Bagolino).
c) Io attribuiva all’abuso di matrimoni fra consangui-
nei il cretinesimo di Cassano, popolato da una dirama-
zione delle sorelle Tavola, come anche d’Introbbio, do-
ve il nucleo della popolazione è dato dalle famiglie an-
tichissime Arrigoni e Tantardini; – ma Quistello, borga-
ta del Mantovano i cui abitatori son tutti di famiglia Val-
vassini, non mostra segni di cretinesimo, e grandi inve-
ce ne dà Artogne, che è in Valcamonica, l’unico villag-
gio, in cui s’usi condurre mogli dalle lontane Valli Ber-
gamasche – ed anzi mi diceano là tutti ad una voce, esser
quelle famiglie più infette, che più s’imparentavano al di
fuori.
d) Questi fatti mettono anco in forse l’influenza dell’e-
redità su ’l cretinesimo; la quale è certamente nulla nel
cretinesimo in ultimo stadio, stante l’impotenza degli or-
gani riproduttori.
e) I medici più distinti dei paesi infetti, il dott. Zura-
delli di Bagolino, e il dott. Riva di Chiari, e il dott. Cerri

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di Cassano, e il dottore di Collio mi asserivano con stra-


na insistenza, che credevano il cretinesimo originato dal-
la pellagra – mi mostravano che quasi tutti i cretini sono
figli di pellagrosi o pellagrosi essi medesimi – e noi anno-
verammo 84 cretini pellagrosi e quel che è più 45 fra i ge-
nitori – ma il triste fatto dell’infierire il cretinesimo nel-
la Valtellina, dove pochissimo domina la pellagra, basta
a distruggere quest’opinione. ...
f) Accagionare la scrofola del cretinesimo è confonde-
re per lo meno la causa con la natura del morbo; oltre
ciò v’hanno paesi in cui la scrofola domina sovranamen-
te, per es. Vienna, e pochissimo il cretinesimo.
g) Una congettura, che a primo tratto parrebbe più
che logica, e naturale, attribuiva all’ignoranza e alla sel-
vatichezza una grande influenza su ’l cretinesimo. – Co-
me un occhio nelle tenebre si atrofizza per mancanza del-
lo stimolo naturale – così il cervello, cui non alimenti la
corrente del pensiero. Ma né meno questa congettura,
pur tanto verisimile, mi par fondata su ’l vero.
Io dimostrerò in seguito che la questione di cretinesi-
mo si riduce a questione di gozzo – ora quanto al gozzo
l’ignoranza non ci può né molto né poco.
h) La miseria non è direttamente causa di cretinesimo,
ma ne è un elemento favoritore, incubatore. È certo
che la Valtellina è il paese più misero di Lombardia;
il Jacini lo ha dimostrato con parole, e più, con cifre
eloquenti. Collio è nella Valtrompia, il paese più misero.
Vi allignano solo, e malamente le patate; le miniere,
fonte di lucro immenso per pochi, lo sono di miseria
per tutti li abitanti, i quali tutti ragazzi, femine, adulti, si
assoldano per lire 1,1/2, 2 al giorno per li scavi e trasporti
del ferro; e questa sarebbe lauta mercede, ma la è tutta
ritenuta ed assorbita dagli stessi padroni delle miniere,
che si tengono (miniera forse più ricca) il monopolio
dell’approvigionamento del vitto e del vestito – il quale
di qual maniera sia distribuito, ben lo mostra lo scarno

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e tristo volto dei minatori. Ciò pure succede a Bagolino


per i fornifusori – ma uguali tragedie finanziarie non si
ripetono pure nelle nostre floride città, senza produrre il
cretinesimo?
Ma è certo tuttavia che l’agiatezza più limitata esclu-
de il cretinesimo – non perché la miseria ne sia una cau-
sa diretta – ma perché lo seconda, o non si oppone all’a-
zione della vera causa endemica – come succede di tut-
te l’epidemie in genere e di tutti i contagi – e non è ulti-
ma ragione della brevità della vita media del povero, in
confronto del ricco.
i) Quando si riduce la quistione di cretinesimo a que-
stione di gozzo e si pensa che il gozzo dispare e ritorna
secondo che si allontani l’individuo dal paese infetto, –
si viene alla persuasione che non vi può essere che una
causa inerente al suolo che lo produca e riproduca. – E
pure la geologia si rifiuta a quest’ipotesi. – Allora il dot-
to come il volgo e come l’antichità deve ricorrere subi-
to, co ’l pensiero, all’aque. Plinio e Strabone non solo ci-
tano fontane che producono e guariscono gozzi, ma fi-
no che generano stupidità. Lo stesso pure i cronisti del
Medio Evo – (V. Appendice storica). – E tutti li abitanti
dei paesi infetti in Savoja (Niepce. Traité du goître, I, p.
385) in Boemia, [a] Radkersburg (V. Kost. Endem cre-
tinism.); in America (forte Mohawk); in India (V. Clel-
land. Rise, ecc.), al Mar Polare (Franklin) ripetono ad
una voce dall’aque l’origine del gozzo.
L’instabilità delle forme è uno anzi dei caratteri veri
del cretinesimo. Non solo il tipo varia singolarmente da
individuo ad individuo, ma da paese a paese.
Cretini, Galeotti o Calibani Tutte le forme di cretine-
simo che infieriscono in Lombardia si ponno ridurre a
quelle tre principali, – del cretinesimo atrofico, che è il
meno difuso, – del cretinesimo rachitico, che lo è ben
più, – e del cretinesimo idrocefalico, che poche volte iso-
lato (97 su 1000) quasi sempre si complica ai due primi.

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Pure nello studio dei molti individui mi pare avere tro-


vata una varietà di cretini, che non può ridursi ad uno dei
tre caratteri accennati – e che forma un singolare anel-
lo fra l’imbecillità, e l’idiozia, ed il cretinesimo, propria-
mente detto.
I caratteri di questa varietà sarebbero – cranio micro-
cefalico – statura alta, che sorpassa i 2 metri, – barba svi-
luppata, – motilità più libera, – istinti e tendenze crude-
li e feroci, – espressi da una fisionomia non così stupi-
da come si riscontra nei cretini, ma truce, e torva ben
più, – caratteri questi per cui darei loro il nome di cretini
galeotti o meglio di cretini calibani, in memoria di quel-
l’immortale psicologo, il quale se nel Re Lear ci ha dipin-
ti tutti li aspetti della mania, nel Tempesta ci diede l’ima-
gine più netta e più vera dell’idiozia primitiva. – L’ulti-
mo carattere è la mancanza assoluta così di anomalie del-
l’ossa che a glandula tiroidea, le quali invece ricorrono
nei consanguinei della famiglia. – Eccone alcuni casi.
A Maleo, paese vicino all’Adda, vive con sufficienti
mezzi di fortuna una famiglia composta di 8 fratelli; di
questi, tre sono sani di mente, ma affetti dal gozzo, e d’un
ingegno finissimo, ma misto a molta bizzarria e malizia –
tengono un caffè e coltivano i campi. – La loro madre
era donna molto maliziosa, anzi cattiva, ed era con tutta
la sua famiglia affetta da gozzo. – Il padre non lo aveva,
ma era molto bizzarro, e morì apoplettico come l’avo, il
quale, [a] quanto si ricordano quei del paese, era anche
microcefalo.
Giovannino è il primo dei fratelli cretini ed il tipo
più completo dei miei Calibani, – ha 35 anni, è alto
2 m. 59; la testa nella sua circonferenza misura solo
0,411, – la curva longitudinale (dalla glab. del naso al
tubercolo occipitale) 0,200, – la curva trasversale media
superiore 0,151, – la curva occipitale media 0,200, –
l’altezza del frontale non arriva i 0,025, – la fisionomia
non ha quella mancanza d’espressione che è propria ai

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cretini, ma invece ha quel muso sporgente, e solcato di


rughe, tipo ignobile e torvo che è proprio dei galeotti.
La memoria e l’abitudine lo facea condurre di nuo-
vo alle case ove era solito trovare cibo, mai la gratitudi-
ne. Domandato se volea bene a suo fratello Augustino,
rispose: «Mi Autin, mi ben, mi baton, mi pan». Feroce
epigramma storico del governo popolare. Imperocché
pigro ed inerte al lavoro, era il bastone e la paura che in-
cutevagli il fratello Augustino, che lo faceva lavorare; egli
covava odio profondo contro costui, ma odio cui frena-
va paura. –Un sentimento di vanità si mescea insieme a
quello dell’odio. – Ei funziona nel paese come portato-
re della bara dei morti, e niuno più di lui fortunato, se
muore alcuno del paese; ora ei desiderava e pregava che
si facesse morire il suo collega d’officio, onde essere il so-
lo in carica; – egli spesso domandava ai vecchi se volea-
no morire e che facessero presto, e collocatasi alle porte
dei moribondi per timore che gli scappasse la preda. – In
ciò si fa chiaro quell’istinto particolare cannibalesco pro-
prio di questi infelici, imperocché ei si godeva avidamen-
te della vista del sangue, e correva le miglia per assiste-
re agli accoppamenti degli animali, e cercava maltrattare
i ragazzi e le bestie quando il poteva impunemente3 .
Aveva strane idee di religione, la religione era per lui
un seguito di esequie e di messe – Dio non esiste per
lui; ma sì bene ha idee molto chiare e molto paurose
di Satanasso, e dell’inferno, del luogo, mi dicea, cattivo,
dove non c’è polenta.
Franceschino, suo fratello, ha 40 anni circa, alto 2 1/2
metri, la testa ha di circonferenza 42 centim. Misura tra-
svers. 22, occipitale 9 cent., ha una vera faccia batracia-
na. Mangia altretanto che il fratello, e quello che non
può mangiare cerca distruggere perché altri non ne go-
da. – Odia e serve come il fratello, ma è più taciturno, e
più terribile nel suo odio, – lo si sospettò già di un omi-
cidio.

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Rosa di 35 anni, alta 3 1/2 metri, microcefala (cranio


circonf. 45 cent.), ha un viso egualmente batraciano,
mangia fino alle 9 libbre di polenta ed odia i fratelli tutti.
Maddalena, alta 1 metro 1/2 ed ugualmente microce-
fala. – La testa misura 40 centim. di circonferenza, 20 di
curva trasversale, 1 1/2 di altezza frontale, – forma l’an-
nello co ’i veri cretini. Ella non mangia più tanto come
i suoi fratelli, e non ha quegli istinti feroci, è rachitica e
leggermente gozzuta, mestruata. – Se la sua fosse favel-
la, più che grugnito di suoni automatici, si potrebbe dirla
una ciarlona. Ella è imitatrice più che una scimmia; nel
tempo stesso che parla ad uno, imita involontariamente
i gesti dell’altro, così che fra molti individui è una vera
machina in moto. – Ha anch’essa vanità, ma la più mal
collocata; è capace di mettersi del fieno per ornamento
del capo, e delle foglie per vezzo su ’l vestito. Del resto
così corta di senno, che prende un calamajo dipinto per
un ritratto.
Colombina, di 44 anni, microcefala, mangia moltissi-
mo, non vuol vedere nessuno, e quando alcuno dei suoi
entra nella stanza dà grida feroci; a 5 anni divenne epi-
lettica nel vedere (si dice) un accesso di un altro. – A 40
anni dietro accessi di epilessia le si sviluppò un’osteoma-
lacia, prima della clavicola, poi delle coste e degli arti.
Uno dei fratelli sani, Pietro, calzolajo, con gozzo trilo-
bato, bizzarrissimo, uomo su ’i 39 anni, ha già un figlio
di 8 anni gozzuto, stupido e pigmeo.
Mi sono difuso a lungo su questa famiglia, perché of-
fre un curioso esempio della stretta analogia del cretine-
simo con l’idiozia e l’imbecillità – tanto che la diagno-
si differenziale non viene data dall’individuo stesso, ma
dai suoi consanguinei. – Essa offrivami anche un’impor-
tanza filosofica, perché osservando quanto co’l pane, co’l
bastone e con la paura giungesse il fratello sano a domi-
nare e ad utilizzare quelle incerte e reluttanti creature mi
pareva di ritornare ai primi tempi delle umane società, e

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alle ferocie luttuose ma pure necessarie dei primi tesmo-


fori.
Io ritrovai altri undici individui, 8 maschi e 3 femine,
simigliantissimi a Cassano, ad Artogne ad Abbiategrasso,
e non potrei dire se nella Valtellina abondino di più,
e pare probabile che ad Albosaggio. Questa varietà
di cretini merita particolare attenzione medico-legale a
differenza degli altri per il danno ed il pericolo che
arrecano nel seno della loro famiglia e del paese, e sono
specialmente meritevoli di sequestro.
In generale le osservazioni necroscopiche così contra-
dicenti fra loro riguardo al cretinesimo, parrebbe ci do-
vessero ridurre allo sconforto quanto ad avere un lume
su la natura di esso – ma pure una cosa ci indicano, e
chiarissimamente, che non ha il cretinesimo causa o se-
de in uno degli organi o tessuti presi di mira da prevenu-
ti autori (cervello, osso basilare, ventricoli cerebrali, cer-
velletto, ecc.), ma piglia partenza da un punto che su tut-
ti li altri domina e sovrastai solo punto in cui può in mille
guise metamorfosarsi e mostrarsi ed in vari organi depo-
sitarsi dal sangue e dalla linfa, e che quindi il cretinesimo
è una discrasia.
E di quale natura sarà questa discrasia? La scrofola,
la rachitide, la sifilide, la pellagra invadono egualmente
ed i paesi infetti e li immuni dal cretinesimo. Niuna ma-
lattia, niuna anomalia speciale distingue quelli dagli altri
abitanti fuorché la tumefazione della glandola tiroidea.
Il carattere, dunque, saliente di questa discrasia, quel-
lo che ne congiunge tutte le varietà, è il gozzo. Come nel-
la sifilide il primo sintomo e il vero carattere patognomo-
nico è l’ulcera, e l’ultimo esito è la sifilide terziaria; come
nella discrasia scrofolosa il primo sintomo è l’ingrossa-
mento delle glandole abdominali, e l’ultimo esito è la tu-
bercolosi, così in questa discrasia il primo sintomo è il
gozzo e l’ultimo è il cretinesimo. E come vi ha una der-
matite, un’iritide sifilitica, come v’ha un idrocefalo, un’o-

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tite, un’oftalmia scrofolosa, così vi ha una rachitide, un


idrocefalo, un’idiozia broncocelica o cretinosa.
Quando dopo il molto discorso su le forme, su le
cause e su la natura del morbo noi vediamo quanto poco
ci resti a dire su quell’unico argomento, che veramente
interessi l’umanità, su la cura, abbiamo di che raumiliarci
di questa così pomposa e pure così poco utile potenza
d’analisi. Imperocché il cretinesimo propriamente detto
non sia suscettibile di cura veruna radicale – come non
è curabile nessuno degli effetti discrasici arrivati al loro
apogeo (tubercolosi, sifilide terziaria, cancro molle, ecc.)
Cura palliativa L’unica cura palliativa del cretinesimo
sarebbe l’educazione. Se non che per quanto sieno gran-
di i risultati ottenuti dal Seguin, dall’Itard e (a quanto
dicevasi) dal Guggenbuhl, noi non possiamo lusingarce-
ne molto in confronto delle grandi masse d i cretini, di
più di quanto i miracoli ottenuti dall’educabilità di alcu-
ni bruti ci dieno a sperare per l’intera rigenerazione di
essi.
E la Lombardia fino ad un certo punto non ha di che
vergognarsi della Svizzera e della Francia per tentativi
operati. Ad Abbiategrasso si stanno prendendo per
questo riguardo eccellenti disposizioni. E finora la carità
di una povera donna ricoverata rinovò sotto un limite
più angusto i tentativi di Svizzera. È un fatto questo
che mostra la potenza della mente sana. Una povera
vecchietta, rachitica, pigmea è giunta a disciplinare con
la sola forza della intelligenza un’intera sala di cretine le
più bestiali del mondo.
Era cosa pur dolce e comica insieme a vedersi quando
ella non era contenta della garbatezza di un granatierone
di cretinaccia alta 6 piedi, e detta per antonomasia la ca-
valla, prendere una sedia e salitavi sopra arrivare al mu-
so di quella infelice e schiaffeggiarla a riprese; e l’altra tre
volte più grande e più forte di lei pur mansuefatta o, co-

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me direbbesi ora, magnetizzata dalla potenza della ragio-


ne starsene immobile a riceverne i positivi rimproveri.
A Pavia la casa d’Industria, specialmente nell’inverno,
conta fra più che 500 ricoverati un 40 cretini e cretine.
Vi vanno machinalmente per ripararsi dall’umido e dal
freddo, e ricevono una mercede tenue sì, ma grande in
proporzione del lavoro che vi giungono a produrre; in-
trecciare della paglia, filare lana e sminuzzare bastoncel-
lini – sono già operazioni molto elevate per essi.
Per completare questa cura palliativa non resterebbe
dunque che fondare uno stabilimento per non più che 50
ricoverati, ove sequestrare i cretini (che io dissi galeotti)
pericolosi al bene publico o alla publica morale.
Sarebbe poi utile in ciascuna delle valli o dei punti più
affetti dal cretinesimo promovere delle case d’industria
rusticana, dove si potesse, con una carità meno impu-
dente e più economica ricoverare per parte della giorna-
ta ed iniziare a qualche rozzo lavoro i cretinosi, che resta-
no oziando a puro carico delle famiglie o del commune.
Si potrebbe fino ad un certo punto giovarsi delle circo-
stanze locali e rendere così moltissimo bene con pochis-
sima spesa, per esempio, a Chiari e Cassano ed a Trevi-
glio vi hanno molte filande, e fabriche di majolica, ecc.
In Valsabbia v’hanno fucine di ferro, ecc., e miniere, si
potrebbe con un tenue ajuto ai padroni di quegli stabi-
limenti incaricarli di servirsi un certo numero di creti-
ni che stanno in quelli e nei paesi vicini. I cretini per la
regolarità delle loro abitudini, per l’ignoranza lor stessa
potrebbero supplire a molte piccole bisogne, non poco
profittevoli al benessere generale. – L’esempio che rac-
colsi a Maleo su la famiglia di cretini galeotti mi convinse
che una certa intimidazione può rendere docili al lavoro
anche i più reluttanti.
Cura profilattica Ma se non si può curare il cretinesi-
mo, si può bene prevenirlo.

Storia d’Italia Einaudi 12


Cesare Lombroso - Genio e follia

Questo è l’unico risultato confortante, che ci venga


offerto dalle molte osservazioni raccolte.
Il cretinesimo ed il sordo-mutismo non si manifestano
quasi mai negli individui, mai nell’intere popolazioni
senz’essere preceduti dal gozzo.
Ora questo è l’andamento commune di tutte le discra-
sie che elle sieno curabili nei primi sintomi (ulcera della
sifilide, scrofola del tubercolo, ecc.); incurabili negli ul-
timi effetti. Quanto al gozzo, non abbiamo dubio su la
sua curabilità. L’uso di un’altra aqua, il respiro d’un’al-
tra aria e sopra tutto l’iodio fanno sparire il gozzo. Se
dunque si sottopongano li individui affetti dal gozzo ad
una cura continua di iodio noi vedremo mano amano nei
figli disparire il cretinesimo e il sordo-mutismo.
Si dovrebbe ordinare che niuno parroco o sacerdote
lasci maritare gozzuti se non abbiano fatto la cura del jo-
dio. Bisognerebbe importare nei paesi affetti grandi dosi
di spongia bruciata e difonderne l’uso con gratuite distri-
buzioni. Bisognerebbe nei paesi che si nutrono di lattici-
ni, come in Val Sabbia, trasportare una certa quantità di
piante marine onde iodurare il latte del bestiame bovino.
Converrebbe promovere delle piccole industrie, cui non
ripugnano i montanari, con oggetti marini (come coralli,
ossi di seppie, lavori di conchiglie marine). Questi due
ultimi provedimenti non sembreranno più favolosi, ora
che con le strade ferrate, e con le vaporiere si resero così
vicini i punti lontani, ed i mari ed i laghi s’affrattellarono
co ’i monti.
Una commissione di medici e di chimici dovrebbe esa-
minare minutamente le aque sospette di produrre gozzo
ed otturarle, per es., a Cavacurta, Artogne, Chiari, Ri-
volta, ecc. In quei luoghi medesimi converrebbe scava-
re dei pozzi artesiani, o meglio con aquidotti condurre
fili di aque dai paesi che le vantino buone (così condur-
re l’aqua da Piano ad Artogne). Nelle valli ove si hanno
aque ferruginose p. es. Val Sassina, Val Sabbia, Valtel-

Storia d’Italia Einaudi 13


Cesare Lombroso - Genio e follia

lina converrebbe renderne l’uso gratuito a tutti li affetti,


essendoché dall’esperienza di Chatin e di Niepce risulta
che quando si trova ferro nell’aque vi si trova pure iodio.
Io non parlai finora di cura morale. È certo che Pavia
che pure abbonda di cretini non manca d’istruzione, ne
pe ’l volgo, ne per la classe eletta, e quando si osservi che
l’ultima classe della popolazione vi è forse più lenta e me-
no svegliata dagli abitanti di Val Sabbia e Val Trompia si
resta profondamente persuasi, che non è la mancanza di
istruzione che generi cretinesimo. Pure sarà sempre gio-
vevole di promoverne l’istruzione e lo sviluppo intellet-
tuale. E per agire su le masse converrebbe facilitare l’in-
vio di compagnie comiche, introdurre fiere e feste fra va-
ri villaggi e anche moltiplicare vale a dire compensare un
po’ più degnamente i maestri delle scuole communali4 .
Un’altra causa di questo come di tanti mali è certo la mi-
seria, ma qui il soccorso venire ci può più da statisti che
da medici. E v’hanno infatti circostanze locali che bene
esaminate dall’agronomo e dallo statista ponno suggeri-
re i facili e pronti rimedi. Così un torrente utilizzato per
una fabrica, un rivo per un prato può moltiplicare i mez-
zi di sussistenza che vengono sempre meno nelle valli re-
mote. Ma dopo converrebbe trovare il rimedio del rime-
dio, perché anche le fabriche e le miniere ci apparvero
anch’esse fonti di cretinesimo, ed il rimedio è nella faci-
lità delle communicazioni. Le strade novelle introdotte
in Val Sabbia scemeranno ai padroni delle fucine e del-
le miniere il monopolio illimitato su ’i grani di cui sono
consumatori forzosi i poveri opera.
Un grande e supremo giovamento a me parrebbe poi
l’introdurre uno spirito accorto, sì, ma disciplinato di as-
sociazioni fra li operai delle valli, onde si provedessero a
spese communi e non communi, e da loro eletti appalta-
tori per la propria sussistenza, paralizzando così il mono-
polio dei padroni e rendendoli così forzatamente miti.

Storia d’Italia Einaudi 14


Cesare Lombroso - Genio e follia

Appendice prima. Storia, geografia e sinonimia dei cre-


tinesimo Fino dall’epoche più antiche si conobbe il goz-
zo, e fino d’allora se n’accagionarono le aque. Accenna
Vitruvio al gozzo degli alpigiani propter genus aqua quam
bibunt efficiuntur tumidis guttutribus, VIII, 3 – Plinio pu-
re Il, 37, 68, e Ulpiano, 21, Eoque (gutture) laborant al-
pium incolæ propter aquarum qualitatem.
I nomi che si diedero ai fatui accennano qualche de-
formità e molta voracità; bienni, gurdi, buccones, fungi,
moriones (nani) – mucci, bardi e bienni mi pajono nomi
d’origine celtica, e bardi specialmente più che di origine
greca mi pare sia una ironica o superstiziosa applicazio-
ne del nome dei vati celti venerati dai cittadini e sprezzati
dai vincitori.
In greco sono i fatui chiamati blax, nennos, margos,
sannos e kofos, che vuol dire sordo, muto e fatuo.
Nel Medio Evo il gozzo era considerato come punizio-
ne celeste come ora in Lombardia si direbbe, segnat de
Dio.
Nella vita di Santa Gudila, santa del Brabante vissu-
ta circa il 664, si legge, che alcuni empi profanatori del-
la sua tomba vennero scomunicati da S. Emeberto e pu-
niti dal cielo nella posterità, essendoché tutti i loro figli
rimasero zoppi e le loro donne di più gozzute – super
haec faeminae gutterium obscenet – e così rimangono, di-
ce il buono Uberto, pure ai dì nostri – et manent hodie-
que multati, p. 519. Questo passo curiosissimo accenna
già alla parentela fino d’allora contratta del gozzo con la
rachitide e all’eredità del morbo, la quale è rammentata
anche nella vita di S. Remigio di Hinemann. Vi si legge
di alcuni altri colpiti per decreto divino dal gozzo «om-
nes qui hoc egerunt et qui de eorum germine nati sunt viri
ponderosi (??) et faemine gutturosae».
Ma nella vita stessa di Santa Gudila si trova un passo
che accenna al cretinesimo propriamente detto: «Ella
guarì un figlio di 12 anni, contratto, incurvo, chiragroso,

Storia d’Italia Einaudi 15


Cesare Lombroso - Genio e follia

che non potea vedere la terra, che era muto e che non
potea o sapea mangiare» Huberti, cap. IV, S. Gudila V.
Servio Tilleberiensis ( de Imp. Otio, III, 4) accenna
a fonte sanatrice di gozzo «Est in provincia Ebredunen-
si, quae pars est Arelatensis, castrum de Bartas, in eo ter-
ritorio fons scaturit a cujus aquae potu ac iavacro curantur
gutturosi».
La stessa nostra parola gosso, come si usa in Lombar-
dia e Venezia, si trova usata fino da allora; ipsa babebat
gossum et gutturem grossum (Miracuia S. Simonis, p. 9).
Nel 1500 cretini e gozzi sono notati dettagliatamente
dal Simlero nel Vallese, da Munster e da Agricola nella
Stiria e Tirolo (Malacame, p. 11: Su ’i gozzi e la stupidità,
Torino, 1789, Stamperia Reale).
Nazioni Gozzuti e cretini si trovano in tutte le nazioni
del mondo.
Nei Pirenei i cretini si chiamano caffre, fol.
Nel Vallese tressel, tschingen, tscelling, schaatten, trif-
fe’n e Goich5 .
In Stiria totteln, gacken.
In Savoja marrons, goze, frulitre, o coutou, cretines.
In Svezia tropfe, lalle, krallen.
In Scozia innocents.
Nel Würtemberg si annoverano 4944 cretini. In Stiria
5992. In Francia 7406. In Savoja 7084. In Danimarca
2000. A Baden 490, e fino in Islanda 225 (dott. Schropf.
Die krankh. in hohen nord, p. 229).
Nella Valachia e nei Monti Carpazi il celebre R. Wel-
sh, addetto all’ambasciata inglese, trovò molti gozzuti
(gunscka) ed insieme molti cretini pigmei specialmente
a Repora ( Voyage en Turquie, tom. 2, pag. 52); e l’uno e
l’altro male si attribuisce alle aque tolte dallo scioglimen-
to delle nevi.
In Lituania le lamie trasformano i bimbi, loro fanno
venire la testa grossa e i piedi storti ( Legendes lith, 1858).

Storia d’Italia Einaudi 16


Cesare Lombroso - Genio e follia

Augusto di Saint Hilaire trovò frequente il gozzo nel


piano di Villa Ricca, in America, e quivi chi sorte dal
paese si libera dal gozzo. I gozzuti di Jundihay del Rio
Magdalena sono già proverbiali. Paw trovò gozzuti a
Panama, Humboldt nel piano di Quito ed al piede delle
Novade. Fu osservato a Nuova York e al forte Moawak,
dove fino le greggie ne sarebbero affette ( Med. and
Philosoph. Journal, Londra, 1828), e ne sono accagionate
le aque.
Ma su la stessa America Meridionale il dottor Mante-
gazza, con quella bontà che è in lui pari all’ingegno, mi
communica ora le seguenti notizie che più diffusamen-
te saranno da lui dilucidate in una di quelle sue sapori-
te e feconde Lettere Mediche, che sono modello di studj
antropologici.
A Salta vi hanno quartieri intieri pieni di gozzuti e di
cretini. Ne sono affetti così li europei, come i meticci ed
indiani, non però i negri.
I gozzi vi sono detti cotos; i cretini opas, tontos, bovos.
È notabile che il gozzo e cretinesimo non si manifestò
colà che da 40 anni circa, cioè da quando il fiume Gacipa
corrodendo una roccia giunse a mescere le sue aque a
quelle del fiume Arias, delle cui aque usano i Salteni.
Proverbiati in tutta l’America sono i cretini e gozzu-
ti di Jujui, coto jujueno, come pure los Lules, nella pro-
vincia di Tucuman, ove le aque sono torbide e non sciol-
gono il sapone. Invece nella Bolivia e nel Paraguay ove
sonovi aque salse non v’hanno gozzuti né cretini.
Il capitano Franklin vide ad Edmonston, molti gozzi,
e notò che n’erano privi quelli che spesso scendevano
al mare. Forster ed i suoi compagni osservarono che la
bibita dell’aqua tolta dal discioglimento dei ghiacci del
polo provocava il gozzo.
Ida Pfeiffer trovò gozzuti tra i principi e i rajah di
Singtang. Jacquemont trovò gozzuti e cretini nelle valli

Storia d’Italia Einaudi 17


Cesare Lombroso - Genio e follia

dell’Hymalaya, a Dhun (4000 miglia su ’l mare) e a


Sotlidje. Clelland ne trovava al Bengal e in China.
In chinese, infatti, vi sono molti vocaboli sinonimi di
gozzo, e che rimontano ad epoche antichissime; bien,
kien, jeu, choei, son sinonimi di gozzo. Il suo segno im
sopratutto è antichissimo; decomposto nelle chiavi pri-
mitive – dà lu (carne), niù (femina), pei (conchiglie). Sa-
rebbe come una broche di carne attaccata al collo, riguar-
dando i chinesi antichi la conchiglia come una gemma
preziosa. Nello modo il segno di im (s. 6571) – dà lu car-
ne, e im collana, e ci, morbo. Nel 3° dà collana e carne. E
notabile che anche nel fonetico, collana e gozzo sono si-
nonimi, il che attesterebbe che fino da antichissimo tem-
po vi dominasse e divenisse abituale il gozzo e che forse
non vi fosse considerato come deformità.
Fom ’x (morbo vento; come il folle dei latini). Chi,
Van sono sinonimi di stupidità in chinese. Tien che
significa morbo articolare e stupidità (n. 6411) accenna
probabilmente al cretinesimo (V. Dict. Sinico-Latinum
Hongkong. Mongieri, 1858).
Cretinismo ligure Assistendo, nel 1860, alla leva della
provincia di Genova mi venne fatto d’osservare non po-
chi gozzuti, e qualche cretino; datomi allora d’attorno ad
investigare per vari pii istituti, di cui quella città va de-
gnamente superba, e quindi per le vicine vallate m’avvi-
di, con non poca maraviglia, esistervi epidemico il goz-
zo ed il cretinismo; con maraviglia, io dissi, perché niuno
autore ne accenna punto l’esistenza, anzi quell’eruditissi-
mo geografo-medico, che è I’Hirsch, formalmente mette
la Liguria fra le provincie esenti da quei due morbi, e ta-
le dovea renderla quella somma d’ottime condizioni igie-
niche, industriali ed intellettive che con raro, invidiabile
esempio, ci è dato d’osservarvi.
Ognuno sa come la bella Genova sieda quasi a caval-
cione del golfo, appoggiata nei fianchi al declivo di quel-
la serie di monti, che si congiungono coll’Apennino, sur

Storia d’Italia Einaudi 18


Cesare Lombroso - Genio e follia

un suolo in cui predomina il calcare fucoide, il grunste-


no, gli schisti, le ardesie e in cui, malgrado la poca fer-
tilità delle terre, verdeggiano le acacie, gli olivi, i lauri e
gli aranci; la temperatura vi è sempre dolce, i giorni sere-
ni vi sommano a 165 in media, a 125 i mezzo sereni; solo
ella è funestata, di quando in quando, da venti di sciroc-
co, e di Nord-O., cui le vicine vette alpine rendono aspri
e violenti.
Le acque vi sono eccellenti, benché scarse, come quel-
le che per lunghissimi acquidotti vi sono tratte per varie
cadute ed ascese dalle valli del Bisagno e della Polcevera.
La luce non vi scarseggia in nessun luogo, meno in certi
vicoli, meglio che vie, avanzi storici dell’antica Genova,
come Prè, Sant’Andrea, via Ravecca, Santa Maria di Ca-
stello; in cui alla foggia delle antiche città nostre, mari-
nare in ispecie, le case a moltissimi piani, sono addossa-
te l’una a petto dell’altra a distanza di pochi metri, ed in
cui, pur troppo, s’agglomera una pane della popolazione
operaia di quell’industre città.
Gli abitanti intelligenti, sobrii, attivissimi, amanti della
libertà, e più, del guadagno, dediti alla navigazione,
ed al commercio, si cibano di pane poco lievitato, di
farina impastata con uova, taglierini, cipolle, pesci, e di
verdura.
I monti che fanno letto e corona alla Ligure metropoli,
mano mano che s’allontanano da essa, per le due opposte
rive, occidentale ed orientale, e verso il nord, formano
intrecciandosi in moltiformi spire, una vera rete di valli,
ora apriche e liete di verzura, e di luce, ora umide, oscure
e ristrette, che per lo più prendono il nome del fiume, o
rivo, o torrentello, che le percorre, prima di gettarsi nel
mare.
In tutte queste vallate, l’abbondanza delle ardesie,
usufruttate per tettoie e pavimenti delle case, diminui-
va, anzi scansava i danni della troppa umidità, che è pro-
pria di tutte le valli; e l’attività industriale, lo sfogo dell’e-

Storia d’Italia Einaudi 19


Cesare Lombroso - Genio e follia

migrazione in America compensava largamente la steri-


lità della terra; sicché sarebbe difficile il trovare altre re-
gioni d’Italia, che, per ogni verso, possano vantare circo-
stanze igieniche e domestiche più favorevoli.
Un fatto topografico importantissimo va pur qui ricor-
dato; cioè che le montagne Liguri non giungono mai a
quell’altezza, cui toccano le Piemontesi e Savoiarde. Ché
mentre il Rosa, ed il monte Bianco passano i 4600 metri
e il monte Cenisio il 3400, il Varco dei Giovi non giunge
a 469 m; e quello donde sorge la Bormida, appena passa
1100 metri, e quello della Bocchetta tocca i 1061 metri.
Tutti conoscono il fiero tipo Ligure, dalla statura
mediocre, dal cranio dolicocefalo6 dal capello biondo-
scuro, dal naso arcuato od aquilino, e dai sopraccigli fol-
ti, spesso avvicinati, e dal viso leggermente prognato; dal
carattere morale che unisce la attività e la sobrietà del-
l’allobrogo, alla scaltrezza, all’eloquenza ed alla vivacità
del meridionale, e da tutte si distingue per una sua tutta
propria fierezza e personale indipendenza.
Or bene nelle valli più remote, come ad Altare, a Ba-
vari, a Campomarrone, a Cravasco, il tipo degli abitanti
s’altera affatto; il cranio diventa brachicefalo, i capelli, la
barba radi e biondi, la statura piccola e spesso pigmea,
il naso camuso, le sopracciglia poco arcuate e divergen-
ti. All’antica e tipica fierezza e attività Ligure sottentra
una singolare servilità, un torpore nei movimenti e nelle
idee; e con esso la più crassa superstizione, e’ conduco-
no ai frati la moglie sterile; accagionano le anime dei se-
polti nelle stalle delle morti dei loro animali e temono la
sbrazoa, befana proteiforme che susurra al predestinato
l’annunzio della morte.
Quanto alle malattie predominanti nella Liguria le
scrofolose prendono il primo posto; seguono le rachitidi,
le dermatiti, le tisi, le pleuriti, i cancri, l’erisipela (vento
servino – da serpere) e nella marina raramente l’elefantia-
si e le piaghe scorbutiche, poca gravità v’assumono le in-

Storia d’Italia Einaudi 20


Cesare Lombroso - Genio e follia

termittenti, meno alcuni paeselli e sezioni vicine alla Fo-


ce; poco, anzi nulla v’infierisce la pellagra7 .
Già altrove notai, come il gozzo faccia mostra di sé,
sporadicamente anche nell’interno della città, special-
mente nelle vie di Prè, di Sant’Andrea e di Santa Ma-
ria di Castello, fra le donne principalmente. Su 307 figlie
della carità di Genova si contarono fino al 3 gozzute.
Ed annotai pure due fatti principalissimi, per questo
argomento. In tre soldati del 3° reggimento, ivi stanziati,
due dei quali Lombardi ed uno Toscano, si sviluppò
senza causa apparente il gozzo, durante il loro soggiorno
in Genova.
Ma il gozzo infierisce ben più nelle vallate, e vi riesce
quasi caratteristico, endemico.
A Campomarrone, il farmacista m’asseriva, come per
la sola cura dei ricchi gozzuti di quella valle andava ogni
anno consumato un chilogramma di spugna bruciata, e
mezzo di idrojodato potassico.
Il gozzo endemico domina, senza alcun dubbio ad Al-
tare, a Millesimo, a Staglieno, Bavari, Torriglia, Pontede-
cimo e Cravasco, ove è divenuto proverbiale8 .
Ma qui meglio gioveranno i seguenti dati statistici
inediti e tolti dai rapporti officiali sulla leva del 1863.
Nel 1863 Genova contava 130 riformati per gozzo
ogni 10000 coscritti, Chiavari ne contava 100, Alberga
130.
Sull’eziologia del gozzo e del cretinismo La poca dif-
fusione ed intensità della cretinica endemia nella Ligu-
ria, mentre non mi dava luogo ad accurate cliniche ricer-
che, pure doppiamente mi parve renderne interessante lo
studio, per le ricerche eziologiche, essendoci dato di sor-
prendere la malattia in elementi molto differenti che ne-
gli altri paesi e porre a serio cimento alcune teorie ezio-
logiche ch’ebbero già tempo moltissimo grido.
Si è detto, e sostenuto, da dottissimi ingegni, dal
Chatin, dal Nadler9 , da Von Ankum, come la mancanza

Storia d’Italia Einaudi 21


Cesare Lombroso - Genio e follia

di jodio nell’aria e nell’acqua molto contribuisse alla


genesi del broncocele e forse del cretinismo.
Ora il ritrovarsi gozzuti moltissimi e non pochi cretini
in queste regioni marine o almeno certo percorse da
correnti di venti marini, invalida in gran parte queste pur
serie opinioni.
Ma v’ha di più. Nelle spiaggie della Calabria, a Bova
paese abitato da coloni Greco-Siculi, giacente in terreni
granitici sabbiosi, cinti da ripidi monti, ultima dirama-
zione degli Apennini, trovai diffusissimo il gozzo, di cui
s’accagionavano le acque del Dario e del Piscopio, due
poveri fiumicelli che bagnano quelle terre, e non solo vi
è diffuso il gozzo, ma la rachitide pure ed il cretinismo.
Questi fatti mostrano ad evidenza che gozzo e creti-
nesimo può comparire, anche dove il iodio predomina
nell’aria e nelle acque.
Il dott. Verga mi narrava egli pure aver osservato
parecchi gozzuti vicino alle saline di Salisburgo.
Parrebbe da ciò anzi che il troppo abbondare dell’jo-
dio riesca dannoso come la eccessiva scarsezza.
È curioso che la stessa osservazione potrebbe esten-
dersi ai sali magnesiaci e calcari la cui troppa abbondan-
za (come in Savoia e nel Derbyshire) pare favorevole al-
lo sviluppo del gozzo, quanto la totale mancanza come
nell’acque delle nevi disciolte o dei ghiacci Polari cui Fi-
scher, Foderé e Richter accertano come produttrici di
gozzo e cretinismo.
Ma quale che siane la causa, il gozzo pare delicato ter-
mometro, come assai bene presentiva il nostro dotto Mo-
riggia, che indichi il primo accennare delle degenerazio-
ni, ed anzi il primo affievolirsi dell’animale economia; e
si vede comparire dopo gravi malattie, dopo l’abuso di
coito, dopo il parto, dopo febbri intermittenti, nei gran-
di accumuli di genti in piccolo spazio, come nelle caser-
me (Lebert); ne’ luoghi umidi ed oscuri; fra i nati da pa-
renti consanguinei, o vecchi; e negli animali prediligere

Storia d’Italia Einaudi 22


Cesare Lombroso - Genio e follia

il mulo, che è l’espressione della vera ed ultima degene-


razione della specie. Ora nelle vallate si riuniscono qua-
si tutte quelle cause che pur bastano da sole a produr-
re gravi degenerazioni, come il freddo, l’umidità, la man-
canza di luce, di ossigeno, di elettricità positiva, di ac-
qua buona, di correnti d’aria, al che s’aggiunge, non rare
volte, (nelle valli specialmente remote) l’ignoranza, l’al-
coolismo, i matrimoni di consanguinei, la fame e la mise-
ria; che maraviglia dunque se la degenerazione, proceda
nelle vallate, sino all’ultima sua espressione, il cretino?
Anche nelle valli Genovesi specialmente nelle più
oscure, remote ed umide per le medesime ragioni do-
mina il gozzo e con esso fa capolino il cretinesimo. – Ma
quest’ultimo vi si accenna appena appena con tanta ra-
rezza da potersi a stento chiamare epidemico. E perché?
perché varie cause arrestano la diffusione ed i progressi
della discrasia broncocelica – l’abbondanza delle ardesie
– l’agiatezza indotta dall’emigrazione – la sobrietà degli
alcoolici – e, notisi specialmente, la poca elevatezza dei
suoi monti che non giungono mai a 2000 metri come il
Rosa, il Bianco, ecc. – per cui non vi sono ghiacciai – per
cui l’acque vi sono più scarse che cattive e per cui le valli
sono meno oscure ed umide delle Savoiarde ed Aostane.
Se in medicina a grandi errori conduce la sintesi pre-
cipitata e violenta dei fatti, a non minori ci trascina l’a-
nalisi cieca, esagerata, miserabile, così da voler disdegna-
re e misconoscere certi punti salienti, direi, d’ancorag-
gio, che nel pelago immenso e buio del vero, pare sian-
ci lasciati dalla natura appunto per guida e per filo: se
col voler raggruppare troppo, si strozza, col disgiungere
troppo, si dissolve e si sfrantuma.
L’associarsi del cretinismo endemico al gozzo perfino
negli animali, in tutte le parti del globo, ed in date
circostanze cosmotelluriche, il suo collegarsi con varie
altre infermità, ed in varie gradazioni d’intensità, è un
fatto saliente, netto e preciso; e per quanto sia difficile

Storia d’Italia Einaudi 23


Cesare Lombroso - Genio e follia

il trovarne la causa, noi dobbiamo, intanto, ammetterlo


come sicuro, e anzi partire da esso per rimontare alle
ignote sue scaturigini.
Ammesso che il gozzo sia il primo od uno dei primi
indizi o dei punti di partenza di una discrasia, che termi-
na poi colla rachitide, sordo-mutismo e cretinismo, ver-
rà da ciò solo spiegato perché in molti paesi non siasi no-
tato che gozzo, ed in altri tutte le altre forme della infer-
mità si dispieghino. Dato che l’inquinamento, miasma-
tico, secondo Virchow, Dagonet e Reichenhall, secondo
me minerale, agisca in debole grado, e non associato al-
la mancanza di luce, di ozono, di ossigeno e di buoni ali-
menti, esso si limita a produrre gozzo, come la scrofola
si arresta alle prime tumefazioni glandulari. Se quelle al-
tre cause si aggiungono ad aggravarlo, allora la discrasia
percorre fino al cretinesimo vero, passando nello stesso
paese per tutti i gradi intermedi, del semicretinoso, del-
l’osteomalacico, del sordo, ecc., fino al vero cretino.
Ciò osservasi nelle valli genovesi, dove appena le con-
dizioni d’aria e di luce si fanno peggiori, al gozzo si asso-
ciano subito le forme cretinose.
Probabilissimo adunque è: che il cretinismo sia un’ul-
teriore evoluzione dell’affezione broncocelica favorita
dall’imperversare sempre maggiore delle cause che pro-
dussero quest’ultima – (mancanza di luce, ozono, ossige-
no e abbondanza o scarsezza eccessiva di sali nell’acque).
– Le vallate e le spiaggie liguri presentano appunto il fe-
nomeno di un germe di endemia broncocelica-cretinica
– strozzato nel nascere appunto dalle condizioni topo-
grafiche in parte favorevoli – come la poca elevatezza dei
monti – la loro posizione parallela e non trasversale. –
Un’ultima deduzione che si trae da queste osservazioni
è: che nei paesi ove temesi o fa capolino il cretinesimo
(in seguito all’endemia broncocelica) curando il gozzo o
migliorando le condizioni topografiche ed igieniche noi
potremo arrestare e prevenire il cretinesimo – e le infini-

Storia d’Italia Einaudi 24


Cesare Lombroso - Genio e follia

te infermità che gli fanno triste corona, come la rachitide,


il sordo-mutismo e la osteomalacia.

2
Per una geografia medica dell’Italia unita: le Calabrie, il
Napoletano, la Lombardia

Ai medici militari d’Italia Molte e belle monografie par-


ziali sulle varie malattie che dominano nella nostra terra
sono sparse in effemeridi mediche od in memoriette vo-
lanti, come i cenni del Corradi e del Colletti; come le no-
te di Torchio, di Timmermann, di Garbiglietti su Tori-
no; di Du-Jardin, Granara, ecc., su Genova; di Verga su
Milano; di Castelli su Verona; di Berti, Namias su Vene-
zia; di Coletti, di Argenti su Padova; di Facen su Bellu-
no e Treviso; di Soresina su Mantova; di Pignacca e di
Tommasi su Pavia; di De Renzi, Postiglione, Flaiani su
Napoli; di De Antonio, di Pecco su Alessandria; di Bu-
falini su Fucecchio; di Poletti su Catania; di Moris sul-
la Sardegna; di Trompeo, Biffi, Verga, ecc., sui cretini di
Piemonte e Lombardia; di Ballardini e Lussana, ecc., sui
pellagrosi lombardi; di Barbi-Soncin, Zambelli e Bene-
venti sui Veneti; di Capsoni, Puccinotti, ecc., sulle febbri
miasmatiche; del commendatore Commissetti sulla tifoi-
de; di Verga, Amegno sulla lebbra ligure e romagnola; di
Bonacossa, Castiglione, Bini, Girolami, Miraglia, Bonuc-
ci sui matti di Piemonte, Lombardia, Umbria, Toscana,
Napoli, ecc. ecc.
Ma, essendosi compiuta da sì poco tempo la nostra so-
spirata unità, un trattato completo di geografia medica di
tutta Italia, una vera ed intera forma patologica di que-
sta penisola, ch’è finalmente nostra, ci manca del tutto.
– A me sembra che spetti ai medici militari il compito di
darvi principio e fondamento. Disseminati per ogni più
remoto angolo della penisola, animati da uguali sistemi

Storia d’Italia Einaudi 25


Cesare Lombroso - Genio e follia

o almeno da analoghi metodi di studio, potendo alle le-


ve minutamente ripassare le forme ed anomalie patolo-
giche delle popolazioni eseguirle più accuratamente ne-
gli ospedali e nei reggimenti in cui si hanno esemplari di
ogni regione, essi posseggono certo i migliori mezzi di
analisi e di sintesi, essi sono i soli che possano distingue-
re nelle malattie l’influenza del clima da quella della raz-
za,. e cogliere le modificazioni assunte da un morbo nel
passaggio dall’una all’altra regione.
Questo studio sarebbe, a mio credere, di una grande
importanza pratica, perché potrebbe tracciare basi stabi-
li, statistiche comparative per le leve e per le riforme, ser-
vire di regola per la fondazione e soppressione di ospita-
li, anzi potrebbe giovare direttamente alla cura degli am-
malati.
Per esempio, se riesciremo con dati precisi a prova-
re l’aggravarsi delle piaghe nelle regioni marine, si potrà
provvedere perché gli affetti da queste sieno entro terra
trasportati. Se in alcune regioni, come nelle coste sicule
per esempio, sembra venire meno o almeno ammansar-
si d’assai la fierezza dei polmonari tubercoli, non avrem-
mo noi un valido mezzo terapeutico, preventivo contro
questo male, su cui finora si spuntò l’efficacia dell’arte,
trasportando in quei paesi l’individuo a quel fatalissimo
morbo predisposto o che ne fu tocco e colpito?
Così dicasi della lebbra, che sembra al contrario pre-
ferire la marina e migliorare entro terra; così del gozzo e
del cretinismo, che alligna ostinato nelle valli, ne fa quasi
mai capolino nelle apriche pianure o nelle vette dei mon-
ti.
Non si potrebbe per ognuna di queste specialità mor-
bose fondare appositi stabilimenti nei siti più confacien-
ti, come si fece per gli ottalmici, pei sifilitici e per gli scro-
folosi delle città e diminuire così quelle schiere di croni-
ci, che, non morti ne vivi, agonizzano sì pietosamente nel
fondo dei nostri civili ospitali?

Storia d’Italia Einaudi 26


Cesare Lombroso - Genio e follia

So bene che in mezzo al turbinio delle vicende politi-


che la gracile voce del medico echeggia ben poco nelle
regioni dei potenti, ma in un’epoca ed in un paese dove
l’opinione pubblica ha tanto dominio, finiremo bene per
farci sentire; e la massa dei fatti raccolti resta lì muta ed
eterna ad attendere quell’ora fortunata.
E che tesori non potremo noi rinvenire di fatti in que-
sta terra dove tutte, si può dire, riscontransi le varietà
climateriche, dalle nevi del Cenisio ai vulcani delle Lipa-
ri; dove si trovano e commisti ed isolati, modelli purissi-
mi della razza latina, della greca, della germanica, della
slava, dell’albanese e della semitica!
Per dare principio ad un simile lavoro a me pare si
dovrebbero posare alcune larghe divisioni, le quali poi
ciascuno degli osservatori riporterebbe in più piccola
scala nella zona che gli fosse dato percorrere ed istudiare.
La prima, grande sezione, dovrebbe abbracciare le
variazioni che subisce la patologia a seconda del suolo
e dell’aria, e sarebbe la zona meteorologico-tellurica.
La seconda, o la sezione alimentare, comprenderebbe
le malattie sviluppate sotto l’influenza degli alimenti o
bevande speciali di ciascuna regione.
La terza, o la sezione etnica, tratterebbe delle forme e
specie che assumono i morbi secondo le varie razze che
popolano la nostra terra.
La sezione meteorologico-tellurica abbraccierebbe va-
rie sotto-sezioni o zone, cioè:
Zona delle vallate o zona calcare. – In questa predo-
minano il temperamento venoso, il gozzo ed il cretinesi-
mo colla triste sequela delle rachitidi, delle anemie, epi-
lessie, ottalmie, ecc., osteomalacie e del sordomutismo.
– Alcune mie ricerche nelle valli lombarde, liguri, e nel-
le Calabrie m’inducono a credere che tutte queste for-
me morbose, in apparenza sì diverse fra loro, si ripetono
con singolare uniformità, in tutte le profonde vallate, sie-
no esse costituite di terreni giurassici, o terziarii, o mar-

Storia d’Italia Einaudi 27


Cesare Lombroso - Genio e follia

nocalcari, ecc., ché molto vi contribuisce la qualità e la


quantità dell’acqua, ma più la mancanza di luce, di calo-
re, d’ossigeno e di elettricità positiva, e l’umido eccessi-
vo, difetti non compensati da un vitto sostanziale ed azo-
tato. In Lombardia contai 1306 cretini, di cui 464 era-
no sordo-muti; 332 rachitici; 270 gozzuti; 96 dei loro ge-
nitori erano gozzuti. – Ad Introbbio in Val Sassina v’e-
ra 1 cretino ogni 30 abitanti. – A Bagolino in Val Sab-
bia uno ve n’era ogni 40. – A Collio 1 ogni 30. Ad Arto-
gne in Val Camonica uno ogni 40 abitanti. – A Sondrio
in Valtellina 1 ogni 91 abitanti.
In tutti questi paesi il sordomutismo semplice, l’epiles-
sia, le coree, le rachitidi, l’arresto di sviluppo ed il gozzo
sono diffusissimi.
Nella valle d’Aosta si trovarono 2180 cretini e 3554
gozzuti su 78,110 abitanti; e moltissimi sonvi i pigmei,
i rachitici ed i sordo-muti. – A Saluzzo 4485 erano i
gozzuti e 325 i cretini. – A Susa 82 i gozzuti e 32 i cretini.
In Sardegna pare che il gozzo ed il cretinesimo sieno
affatto sconosciuti, anche nelle profonde vallate.
Ignoro se nelle complicate catene de’ monti modenesi,
umbri e toscani abbianvi, ed è probabilissimo, casi di
gozzo e cretinesimo endemico; – a voi il confermarlo.
Un’altra zona nettamente disegnata è la miasmatica,
costituita di boschi, risaie, paludi, maremme, tonnare.
Le maremme di Toscana, le lagune venete e quelle di
Comacchio; le paludi ed i boschi calabresi, siciliani,
sardi, del piano di Spagna, in Lombardia, le risaie della
Lomellina, del Polesine, del Modenese e del Pavese e
specialmente le terre di Roma, in cui la ieratica mano
funesta fino l’atmosfera, sono le regioni sciaguratamente
predilette da quell’X che si disse miasma paludoso.
Se la febbre a tipo terzanario e quartanario, o quo-
tidiano, e la perniciosa, è il carattere saliente di questa
zona, conviene aggiungervi, però anche o come sequela,
o come concomitanza, la discrasia scrofolosa, strumosa,

Storia d’Italia Einaudi 28


Cesare Lombroso - Genio e follia

spesso anche il gozzo ed il cretinismo; e le tifoidee, le mi-


gliari, le idropi, le anemie, gli infarti addominali; e spesso
anche certe strane affezioni nervose, ripetute e raggrup-
pate con tanta insistenza da essere assai probabile la loro
relazione e, forse, la loro identità coll’infezione miasma-
tica; tali, per esempio, la corea elettrica, così localizzata
a Pavia e che pare una vera perniciosa epilettica; tali le
febbri tetaniche illustrate dal Manayra, dal Nicolis e dal
Giudici, nei Sardi specialmente, e che sembrano forme
di perniciosa tetanica.
A Mantova, terra cinta d’ogni lato da paludi, su 342
coscritti 43 furono esentati per infarti addominali; 28 per
rachitismo; 67 per gracilità. All’ospitale vennero nel 185
5 accolti 98 malati di febbri perniciose; 114 di periodiche
(91 nell’autunno); 102 di malattie dell’addome e solo 122
per malattie di petto. V’ebbe un morto su 41 abitanti
(Soresina).
A Pavia, ove le risaie e le marcite predominano, s’ac-
colsero nel 1856 all’ospitale 224 malati di febbri periodi-
che; 108 idropici; 416 infarti addominali e solo 59 tisici.
Su 1156 autopsie il professore Sangalli notò 148 tisi e 48
cancri. Le periodiche costituirono l’1/11 delle affezioni.
Si contò un morto su 29 abitanti. Queste cifre darebbero
un risultato palese a favore delle risaie in confronto del-
le paludi, e chiaramente mostrerebbero la minore quan-
tità delle affezioni di petto in confronto a quelle dell’ad-
dome.
E qui prima di confermare come si sta per fare in Par-
lamento delle leggi che favoriscano la diffusione delle ri-
saie e impediscano la distruzione dei boschi bisognereb-
be con cifre esattissime della vita media, delle malattie e
della mortalità media rilevare se le paludi siano veramen-
te più dannose delle risaie e delle marcite, come pare; e
se le terre coperte da boschi rechino altrettanto danno al-
la salute quanto le paludose, il che a me, da osservazioni
fatte in Calabria, quasi con sicurezza risulterebbe.

Storia d’Italia Einaudi 29


Cesare Lombroso - Genio e follia

La zona marittima è contraddistinta dalle malattie


glandulari e dermiche, dalla frequenza dell’albinismo,
dalla scarsità delle tisi e delle pneumoniti; ed in alcu-
ni punti della Liguria (Oneglia, Varazze, Arquata), delle
coste calabro-sicule (palme e Messina) e romagnole (Co-
macchio), dall’elefantiasi, quest’ultimo retaggio del me-
dio evo che predilige ancora le coste e spare e migliora
entro terra.
Forse a questa ultima tendenza si collega quel fenome-
no a cui accenna un curioso proverbio popolare comu-
ne alla Liguria, alla Sicilia ed alla Calabria dell’incipri-
gnire e peggiorare le piaghe degli arti nei paesi di mare.
Fatto è che non vidi mai tanti cronici di piaghe alle gam-
be quanto negli ospedali di Genova. Le fasciature bain-
toniane, il nitrato d’argento, la cura interna appena fan-
no tacere il male per qualche giorno che dopo si ravvi-
va in breve tempo e peggiore. Né è raro il caso, a Pam-
matone, che una eresipola od una cancrena nosocomiale
ti venga a rendere grave una pure lievissima lesione del
vescicante e fino della lancetta. Nelle coste calabre vidi
alcune piaghe non solo resistere a tutti i mezzi dell’arte,
ma spesso degenerare tutto intorno nei margini in par-
ziali ipertrofie ed indurimenti del tessuto cellulare, quasi
primi rudimenti d’incompleta elefantiasi.
Se queste osservazioni si confermassero, se si potrà
asserire poi con certezza che l’aria del mare danneggi
queste infermità, non sarebbe egli il caso di trasportare
questi pazienti nei paesi più interni e lungi dalle coste?
La zona vulcanica è contraddistinta da malattie di pet-
to e di cuore. Quasi tutte le guide del Vesuvio patisco-
no di asma. Il dottor Poletti descrive a tratti maestri una
specie d’ortopnea preceduta da stanchezza generale, che
suole cogliere nell’inverno i contadini dei villaggi ai pie-
di dell’Etna, e che dura da tre ad otto giorni, ribelle alle
cure, recidiva anzi di spesso.

Storia d’Italia Einaudi 30


Cesare Lombroso - Genio e follia

La zona delle montagne vanta polmoni rossi di sangue


ossigenato; muscoli erculei, stomachi che ignorano i ga-
stricismi – appena è se v’abbondano le malattie di cuore,
le pneulmoniti genuine e le apoplessie; frequente questa
ultima sotto alle grandi variazioni barometriche.
Nella sezione alimentare prima d’ogni altra vorrei di-
stinguere:
La zona pellagrosa o del granturco – che mano mano
più si disegna ed estende che dall’Emilia e dalla Toscana
si passi al Piemonte ed alla Lombardia in cui assume le
più terribili proporzioni.
La Liguria, che si ciba di farina di grano, di segala, di
castagne e cipolle, non ha che casi sporadici di pellagra; e
non la conoscono neppure di nome i Siculi e i Calabresi,
mangiatori di fichi d’India, di pesce e di pane. A Padova
morirono in due anni 245 pellagrosi; a Verona 38 in
un anno. A Firenze da 6 che erano salirono a 150 nel
Mugello ove si abusa di maiz.
La Commissione sarda notò su 626 pellagrosi del Pie-
monte 522 mangiatori di polenta; e Garbiglietti contò nel
1846 ben 200 pellagrosi in Alessandria, 403 a Ivrea, 280
a Saluzzo, 25 a Cuneo e 40 ad Acqui.
In Lombardia in 10 anni il numero dei pellagrosi
raddoppiò; Ballardini ne calcolò il numero a 38,777; la
sola Valtellina, che in luogo di maiz usa grano saraceno
e segala, ha pochi pellagrosi, 1 su 300 abitanti; mentre a
Brescia e Bergamo si conta 1 ogni 30.
Nella Comarca di Roma a Palestrine nel 1861 insieme
col maiz comparve la pellagra. A Bologna dal 1842 al
1852 si curarono in S. Orsola 269 pellagrosi.
Ma uno studio tutto speciale meriterebbe, a mio cre-
dere, la zona ch’io direi minerale. Nell’occasione di alcu-
ne escursioni nei monti lombardi e liguri per studiarvi i
cretini, un fenomeno singolarmente mi colpiva. – Molti
abitanti dei paesi dov’erano fonti minerali rinomate per
virtù mediche, ferruginose, arsenicali, iodate, ecc., erano

Storia d’Italia Einaudi 31


Cesare Lombroso - Genio e follia

preda di quelle malattie su cui quelle acque avrebbero


dovuto avere più o meno benefica influenza. Così formi-
colavano gli anemici, gli scrofolosi, i rachitici nei paesi di
Taceno e Tartavalle, ov’erano fonti ferruginose e iodate.
Così gli erpetici e gli scrofolosi brulicavano a Trescore,
dove trovansi buone fonti sulfuree, e molti sono gli ane-
mici e scrofolosi, rachitici nelle valli di Reco aro. Nella
Liguria la fonte magnesiaco-ferruginosa di Montesigna-
no (vicino a Bavari) rende anemiche ed amenorroiche le
donne povere, mentre le ricche, che si servono delle ac-
que del vicino acquedotto, non soffrono alcun male.
La sezione etnica finalmente si potrebbe in due grandi
zone dividere:
La zona italica e la zona straniera. – Opera difficilissi-
ma ella è, ma tanto più curiosa ed utile quella di sceve-
rare nello andamento e nello sviluppo dei mali degl’indi-
vidui di ciascuna nostra regione la parte d’influenza che
vi apporta la razza da quella del clima e dell’alimento, e
questo tutto può farsi dai medici militari negli ospedali.
Su 50 pneumonici lombardi e 50 siciliani, trattati con
ugual metodo, in uno stesso ospedale, quanti ne muo-
iono, quanti guariscono, ecc., in quanto tempo, quanti
passano alla febbre tifoidea, alla migliarosa, ecc.?
Che andamento, che decorso prende una piaga, una
ferita, ecc., della stessa natura, nei differenti abitanti
della nostra penisola?
Da alcuni studi fatti nel 1859 risulterebbe per esempio
che i feriti sardi offrivano le suppurazioni più profuse e
le guarigioni più tardive.
Così dicasi delle sifilidi: alcuni, a dir vero, insufficienti
dati racimolati nel 1862 all’ospitale di Genova, mi indur-
rebbero ad asserire che i Napoletani offrono il maggior
numero di blennorragie e il minore di bubboni, e che i
Toscani offrivano più spesso le ulcere fagedeniche.

Storia d’Italia Einaudi 32


Cesare Lombroso - Genio e follia

La tendenza alle tifoidee è maggiore nei Sardi e nei


Siciliani, o non è che la conseguenza delle influenze
miasmatiche, dei salassi, ecc.?
La tendenza alla migliare e la sua gravità, è maggiore
nell’alta Italia e specialmente nella Venezia. A Padova in
due anni morirono 106 migliarosi; a Verona 20.
Curiosissimo poi dev’essere lo studio delle malattie cui
vanno a preferenza soggetti quegl’individui che, stranie-
ri d’origine, ma italianizzati dal clima e dal tempo, for-
mano delle specialità etniche nella penisola; tali sono gli
Albanesi che più di 10,000 di numero occupano molte
terre dei distretti di Bisignano, Rossano, Matera, Taran-
to, Otranto, Girgenti, ecc., e serbano abitudini, istinti,
vestiario e linguaggio così diverso dal resto d’Italia; tali
i Greci di Sicilia, di Bova, di Lecce, di Brindisi, in alcu-
ni dei quali potei notare qualche caso di bulimia, che es-
si curano con degli scongiuri magici a foggia di Catone
(Bova).
E i Tedeschi, dei sette e tredici comuni nel Veneto,
e quelli della valle di Gressoney; gli Slavi di Rovigno e
dell’isola di Veglia; i Catalani di Alghero; i Francesi di
Aosta; gli Arabi di Malta, certo differiranno anche nella
forma patologica come nel vernacolo e nelle abitudini e
nell’aspetto. Lo stesso dicasi degli Ebrei i quali, alcune
mie ricerche fatte nel Veneto, m’inducono a credere es-
sere meno esposti alla tisi, alle perniciose, alle pneumo-
niti, alle tifoidi; più invece alle scrofole, alle malattie del-
la pelle, all’apoplessia, al cancro e alle manie epilettiche
e religiose in ispecie, caratterizzate in essi spessissimo da
totale mancanza di allucinazioni.
E qui converrebbe aggiungere un’altra zona, quella
delle città in cui le ragioni di clima, di razza, sono dal
contatto degli stranieri, dal tumulto delle passioni, dalle
artifiziate abitudini e da vizii così fuse e confuse, da
dar luogo a veri gruppi patologici speciali. E sarebbe
a notare nelle varie professioni la diversa mortalità e vita

Storia d’Italia Einaudi 33


Cesare Lombroso - Genio e follia

media, che si eleva per es. in Genova da 72 a 87 anni nei


contadini e nei preti; a 62 nei commercianti, e discende
a 36 nei fabbri, nei braccianti, nelle cucitrici, e 46 nei
medici! poveri medici! Vi ha un tisico ogni 12 morti a
Mantova; uno ogni 12 a Napoli; uno ogni 9 a Cuneo; uno
ogni 13 a Genova; uno ogni 14 a Verona.
Vi ha un matto ogni 1267 abitanti a Milano; 1 ogni
1999 a Pavia; 1 ogni 1000 a Verona, ecc.; nell’Umbria 1
ogni 1947 (Castiglioni, Bonucci).
E qui m’interrompo; che tutto il fin qui detto è trop-
po, ed insieme troppo poco per un lavoro a cui non isfu-
mature e colpi d’occhio, ma cifre si vogliono e linee pre-
cise e geometriche; – a voi, o colleghi, sta il tracciarle;
solo che lo vogliate.
Io non so se possa esservi argomento più atto ad in-
fiammare d’ardore un medico italiano quanto questo di
rianimare e riunire le sparse membra della patologia ita-
liana; gettando le basi di una etnografia e d’una più adat-
ta legislazione igienico-preventiva. Io confesso che per
poter compire o solo iniziare una opera simile, sacrifi-
cherei le più care dolcezze della vita.
Ebbene, il compire questo disegno sta tutto, o colle-
ghi, nelle vostre mani, né con grande fatica; solo che d’o-
gni parte della nostra terra voi spediate l’obolo di qual-
che breve notizia geografica-medica, l’opera esce fuori da
sé come dai lapilli coloriti il mosaico; e l’Italia vi dovrà
così un benefizio di più.
E qui, se non temessi d’essere tacciato d’impudenza,
proporrei di riassumere così alcuni dei più salienti quesiti
di geografia medica italiana, a cui manca ancora una
vostra risposta.
Nelle vallate dei monti X, ecc., quanti furono riformati
su 100 per gozzo, cretinesimo, corea, sordomutismo,
rachitide, arresto di sviluppo, ecc.?
Nel paese X di 1000 abitanti circondato da risaie; nel
paese R di 1000 abitanti circondato da boschi; nel pae-

Storia d’Italia Einaudi 34


Cesare Lombroso - Genio e follia

se P di 1000 abitanti circondato da paludi; nel paese T


di 1000 abitanti circondato da marcite, quanti muoiono
in seguito a perniciose; quanti si ammalano di periodi-
che; quanti sono riformati per gozzo, scrofola, epilessia,
infarti addominali, edemi?
Che tipo assume a X, a P, a R, a T la periodica, e che
genere di perniciose dominanvi nella stagione tale, ecc.?
Ove dominano le febbri, dominano pure sempre le
tifoidi, le coree, le epilessie e le migliari?
Nell’isola R, nel villaggio P in riva al mare, nella città
G situata a mare, quanti furono riformati per lebbra
su 1000 coscritti; quanti per scrofola, erpete; quanti
muoiono di tisi; quanti albini vi sono?
Le piaghe erpetiche, scorbutiche, varicose, guariscono
più o men facilmente in paesi di mare? – Data una piaga
di ugual indole in due individui della stessa tempra, l’uno
curato in riva al mare, l’altro entro a terra, chi guarisce
prima?
Vi son molti casi di tisi nelle terre di Sicilia, di Sarde-
gna, di Capri, ecc.?
Che malattie speciali appaiono, o che indole prendono
le comuni a Stromboli, a Pozzuoli, a Bosco Tre Case,
Torre del Greco e nei villaggi vicini all’Etna?
Vi sono casi di pellagra in Sicilia, negli Abruzzi, nelle
Marche, nella Sardegna?
Che influenza ha sullo sviluppo e sull’andamento dei
mali l’uso smodato dell’aglio, delle cipolle, delle tomate
e della lattuga in Genova, Palermo, Reggio, ecc.?
Che malattie dominano nei paesi vignicoli, ad Asti per
es.?
Che malattie, che discrasie si osservano negli abitanti
dei paesi ove trovansi acque salsoiodiche, sulfuree, ma-
gnesiache, ecc., come per esempio ad Acqui, Sales, Giri-
falco, Gerace, Peio, Recoaro, ecc.?
Vi sono casi di vero gozzo, di scrofola nei paesi di...
sul mare?

Storia d’Italia Einaudi 35


Cesare Lombroso - Genio e follia

Su 50 pneumoniti, ecc., in Lombardi, ecc., e 50 pneu-


moniti, ecc., in Sardi trattati nello stesso paese e col-
l’eguale metodo di cura, ecc., quante guarigioni, quan-
ti morti si notano?
La sifilide predilige alcune forme nei Napoletani, nei
Siciliani, nei Toscani?
La tendenza al tifo è maggiore nei Sardi, nei Napole-
tani, od è solo conseguenza delle influenze miasmatiche
e dei salassi?
La tendenza migliarosa è circoscritta ai Veneti, all’alta
Italia, ecc.?
Gli Albanesi, i Greci, gli Ebrei, i Tedeschi, ecc., sparsi
in antiche colonie in Italia, vanno soggetti a speciali ma-
lattie? – Che indole assumono in loro le malattie comuni,
loro mortalità a confronto degli altri concittadini, ecc.?
Nella città X, qual è la media della mortalità secondo
le varie professioni? – Che malattie dominano; quanti
furono riformati su 1000 per scrofola, gracilità, epilessia,
ecc.?
A quali malattie soccombono p. e. i Sardi, ecc., curati
in Lombardia, ecc., i Lombardi, ecc., curati in Sardegna,
ecc.?
Cento feriti ad uno stesso grado, arto, ecc., nati in
Sardegna, e cento altri feriti, ecc., nati in Lombardia
curati e trattati con egual metodo nel tal paese, p. es.
a Firenze, guariscono tutti circa nella tale epoca od in
epoca e con esiti differenti, ecc., ecc.?
l. Giacciono le Calabrie in quel lembo estremo ed ac-
cidentato della nostra terra, che per la sua singolare for-
ma merita tutto solo il titolo di stivale. Pescano da un la-
to nel Jonio, nel Tirreno dall’altro; per tutta la loro lun-
ghezza, fino all’estremo punto del fatale Aspromonte, le
attraversano gli Apennini, che le limitano in alto; e dei
quali, si può dire, le due popolose marine formano i ver-
santi; versanti irrorati da piccoli fiumi e torrenti; acque
non utili al commercio, dannose all’igiene, come quelle

Storia d’Italia Einaudi 36


Cesare Lombroso - Genio e follia

che spesso impaludano o si asciugano, o ingrossano im-


provvisamente. – I terreni marno-calcari, o granitici, o
sabbiosi sotto gli Apennini, sono ricchi di galene argen-
tifere e rame a Reggio; di ligniti e carbone fossile a Ge-
race ed a S. Eufemia; di piombo a Longobuco; di ferro
a Pazzano. – I porti mal sicuri, inetti al grande commer-
cio; il mare spesso infido per pericolose e contrarie cor-
renti, più che avvicinare (come altrove) isola le Calabrie
dal mondo civile.
Eccellenti acque ferruginose si trovano al Pizzo, a
Girifalco, a Gasperino, a Cotrone; e buone fonti sulfuree
a Gerace, a Cassano, a Melissa, a Pellagona, Sambiase,
Verzia, Cerisano, Fagnano e Palestrine.
Questa ricca terra, che misura l’estensione di 5066 mi-
glia quadrate, ne conta pur troppo 490 d’incolte o bo-
schive; ma quasi a compenso della trascuranza umana
nei luoghi coltivati la natura sembra superare se stessa, e
là cresce il grasso e spinoso cactus o fico d’India (per 18
miglia quadrate nella sola Calabria Ultra I.ª) inerpican-
dosi sulle rive più deserte e scogliose; là il lucido olivo,
specialmente a Gioja, verdeggia, e l’arancio ed il berga-
motto, ed il gelso a Reggio, e il canape a Monteleone, ed
il cotone a Cotrone, e l’uva zibibba e le uve tutte a S. Eu-
femia e a Mileto; nei monti crescono giganti il castagno,
la quercia, il noce, il frassino; nelle marine verdeggiano
bellissime le palme, l’aloe ed il limone.
Ivi s’allevano robusti il capro, il porco, l’asino ed il
mulo – male vi allignano il cavallo ed il cane. Eccellenti
pesci nuotano nelle onde dei suoi mari, fra cui il tonno
ed il pesce spada, fedeli a quell’acque fino dai tempi di
Polibio e che si pescano ancora col metodo antichissimo
dei primi aborigeni.
La massima altezza termometrica nella Calabria Citra
è, almeno secondo il Del Re, di gradi 28,10; la minima è
di 2,6 sotto lo zero; nella Calabria Ultra prima 28,8 era la
massima 2,3 la minima.

Storia d’Italia Einaudi 37


Cesare Lombroso - Genio e follia

Il barometro dava 28,5,7 (pollici) al massimo; e 27,6,9


al minimo d’altezza nella Calabria Citra; 29,3,9 era il
massimo dell’Ultra prima; e 27,8,0 il minimo.
La media della pioggia caduta nell’anno 1834, secon-
do il Del Re, era di 28 pollici e tre linee nella Calabria
Citra; di 27,7 nell’Ultra prima.
Gli abitanti sommano ad 1 224 24310 . Sono dunque
sparsi a 244 per miglio quadrato; povera cosa se si pensi
che nella vicina terra di Lavoro ve ne hanno 322 per
miglio quadrato, e da noi fino a 400, ma è pure un
incremento notevole dagli scorsi anni. – Le femmine
superano i maschi; i nati superano i morti. – Si calcolano
ad 8000 i marinaj, o meglio i pescatori; a 540000 i
contadini; a 6000, pur troppo, i preti.
2. È un fatto pieno di grande interesse per l’etnogra-
fo l’esistenza in questo estremo lembo, di due colonie
straniere alla favella ed ai costumi dai Calabresi. Erano
popoli, i quali ripeterono per uguali vicende e posizione
geografica, quella stessa emigrazione che già ne apporta-
va i loro antenati Elleni e Pelasgi; – vo’ dire dei Greci e
degli Albanesi.
I Greci, che per un ben singolare sbaglio si confondo-
no anche dai Napolitani stessi, cogli Albanesi, occupano
quell’estremo punto della nostra terra, ch’è l’ultima Tule
dell’Italia continentale.
Sono sparsi, in numero di 8531 circa, a Bovi, a Roc-
caforte, Roccudi, Cardetu, Pondofuri, Galigo, Korio,
Amenda ed in un sobborgo di S. Lorenzo.
Essi conservano perfettamente parte della lingua e
l’antico tipo dei Greci; fronte alta, spazio interoculare
largo, naso aquilino, occhi grandi e lucidi, labbro supe-
riore corto, bocca piccola, cranio e mento arrotondati,
tutte le linee del corpo dolci ed aggraziate.
Il loro temperamento è linfatico o nervoso – finezza ed
astuzia, lascivia, tendenza al furto e al procaccio, grande

Storia d’Italia Einaudi 38


Cesare Lombroso - Genio e follia

motilità di idee e facilità al canto11 ; tale è il loro carattere


morale.
Confinati nell’estremo lembo dell’Italia, su aride roc-
cie, a cui s’accede per una sola straduzza; divisi da un ma-
re inospitale, non è da meravigliare se si conservarono,
come vennero, barbari, sui tristi loro tuguri di legno e di
paglia. Essi hanno quattro chiesette ed un povero ospita-
le. Osservano tutti i riti della religione cattolico-romana;
tengono a pastura capre e porci – ed affatto trascurano la
pesca, che pur potrebbe assai loro giovare – e ciò mi dà
a sospettare che non venissero dalle coste, ma dalle terre
interne della Grecia.
I più intelligenti emigrano e coll’antica finezza, e col
naturale ingegno cui stimola povertà, arricchiscono e si
fanno avarissimi.
Vivono di latte, di grano, di fichi d’India, e qualche
volta di carne di capro e di porco; usano certe ciambelle
che a modo antico fanno cuocere sotto le pietre arroven-
tate; si servono ancora per lumi, dei pezzi d’abete (pin-
ne), appunto come i nostri antenati, che ce ne lasciarono
la traccia nell’invisciar ed impizzare dei nostri vernacoli.
Sogliono piangere, ed era costume di tutta la Calabria,
i loro morti con formole prestabilite; e sei giorni festeg-
giano con pranzi e conviti le nozze, dette perciò prandia.
Le malattie più comuni sono le febbri periodiche, le
tifoidee ed una specie di bulimia che coglie i ragazzi,
e ch’essi curano con degli scongiuri cantati in coro dai
bimbi del villaggio armati ciascuno d’una ciambella.
Osservai qua e là sparse nei loro villaggi, traccie di
rachitide, di gozzo e di cretinismo, ch’essi attribuiscono
alle acque del Dario e del Piscopio.
Tutti gli autori che io consultai, ed essi medesimi
sopratutto, asseriscono essere questa colonia un avanzo
dei Locresi Zefiri; – ma l’esame della loro lingua mi
convinse, a mio malgrado, (perché l’origine antica suona

Storia d’Italia Einaudi 39


Cesare Lombroso - Genio e follia

più curiosa) che gran parte di quelli venne in tempi assai


posteriori e quasi moderni.
Tuttociò mi fa inclinare a credere che ad antiche colo-
nie greche e romane, quali erano Tropea, Taureana, ecc.,
si fossero in varie epoche sovrapposte delle popolazioni
appunto d’origine ellenica – e così s’accorderebbero i fat-
ti linguistici colla tenace tradizione, e colla completa or-
todossia del loro rituale liturgico che non si riscontra più
nelle colonie Albanesi.
3. Gli Albanesi, che già popolarono tante altre terre
dell’Italia del sud, tengono in Calabria, Maida, Longo-
buco, Celso, San Mauro, S. Agata, S. Giorgio, Alpizzato.
È strano che qualche autore li abbia potuto confonde-
re coi Greci, coi quali non hanno forse di comune che le
sventure e l’origine aria; e dai quali la loro lingua differi-
sce più che tutte le altre di Europa.
La fisionomia s’avvicina assai alla slava e più propria-
mente alla serba; hanno statura cioè elevata; contorno
della testa più alto che largo; direzione della mascella
orizzontale; naso diritto, occhi piccoli e poca barba. –
Il temperamento linfatico o muscolare. – Vestono anco-
ra alla poetica maniera dell’Epiro, e fino le donne porta-
no alla cintura l’inseparabile bedsaq o pugnale. Si ciba-
no di fagiuoli, ceci, fave, latte, grano bollito od arrosti-
to e di capre – i montanari si preparano pane di grano
turco (crocomil). I più sono pastori, ovvero insofferenti
dell’inerzia emigrano come muratori e mercanti di pan-
no. Un’intiera colonia di essi è trapiantata in Napoli e vi
primeggia per le doti dei costumi e dell’ingegno. Han-
no tutti indole assai differente dall’italiana; animo fiero,
anzi feroce; tengono la vendetta come dovere; non ille-
cito l’omicidio. Sono taciturni, pazienti, tenaci, implaca-
bili. – Milano era Albanese e il Borbone bene sel sapea,
che assai diffidandone tenne i suoi compaesani quasi sot-
to sequestro fino al 1860. Essi hanno ancora e rispetta-
no assai i loro ottimati (bugliar), già principi, ora solo ric-

Storia d’Italia Einaudi 40


Cesare Lombroso - Genio e follia

chi. – Le donne vi son trattate con un misto di venera-


zione e di rispetto; la sposa cinge la fronte di un diadema
(chesa), quasi divenisse regina, il dì che comprato lo spo-
so colla sua dote, entra nella nuova famiglia, ma pure è
tenuta lungi dai conviti e dalle danze, e deve lavorare per
l’uomo, anche nei campi.
I loro preti si maritano, e sono fra i più onesti sacerdoti
del mezzogiorno. La loro religione è ortodossa in appa-
renza, e per la tema, ancora non ispenta, dell’intolleran-
za borbonica, ma nel fondo essi appartengono alla chie-
sa greca. – Alcuni riti speciali rammentano la fragrante
e nitida purezza di cui splendeva davvero il cristianesi-
mo nelle sue prime epoche. – Nel giorno dell’Ascensio-
ne, i proprietarj di greggie dividono il latte fra la gente
del paese; a memoria della Leggenda della Vergine. Nel-
l’alba del giorno dei Morti i poveri di quei paeselli per-
corrono le vie gridando: «ude zott, perdona, o Dio» e le
porte delle case si aprono e n’escono le vergini recando
a ciascuno un piatto di grano bollito ed un pane bianco.
– L’amore di patria, vivissimo in loro, le tradizioni e le
memorie giammai spente delle antiche prodezze, e que-
sta così semplice ed ingenua religione, mantenne in loro
il profumo di quella inimitabile poesia che è propria dei
popoli primitivi; e favorì un nuovo genere di letteratura
pur troppo ignoto in Italia, ch’assomiglia molto alla sla-
va, e di cui sono campioni viventi il De Rada, il Basile ed
il Bardari.
4. Ma venendo alle popolazioni proprie delle Cala-
brie, m’è sembrato dovervi distinguere due tipi principa-
li. L’uno il semitico ha il cranio dolicocefalo, compresso
alle tempie, rigonfio al centro dei parietali, le palpebre
ravvicinate, il naso arcuato, la statura alta, i capelli neri
o castani, l’occhio nero (questo ultimo carattere che pa-
rebbe in contraddizione colle osservazioni tue [di Man-
tegazza] e di Retzius, si può spiegare dalla mistione con
le razze africane o [ca] mitiche). – Questo tipo si mostra

Storia d’Italia Einaudi 41


Cesare Lombroso - Genio e follia

più frequente nella marina, ma non così però che spesso


non si mescoli e non sia soprafatto dal muso prognato,
dai capelli ricciuti e derma bronzino dell’africano o dal
purissimo ovale dei Greci e meglio ancora dal maschio
e nobile tipo misto greco-romano, che è il prevalente; il
solo anzi nell’interno.
È il tipo dalla fronte alta, ampia, dal cranio brachicefa-
lico, direi quasi quadrato, dal naso aquilino, dal capello
lucidissimo e nero, dall’occhio vivace e prominente.
La statura è alta, il temperamento bilioso. Ad onta
adunque della tanta mescolanza coi popoli Semiti (Fe-
nici, Cartaginesi, Arabi) e Berberi, e Nordici (Norman-
ni), il tipo greco-romano prevalse forse perché impronta-
to dai primi popoli abitatori di quelle terre, Osci ed Opi-
sci. E tanto ciò è vero che anche nel dialetto di quei paesi
se ne possono trovare prove curiose; per esempio, dico-
no ciclope al brutto, ultimo vestigio della Leggenda d’O-
mero; malapanta – per tutti i mali (π αντα), bestem-
mia in cui si conserva la ricordanza della fusione dei co-
loni romani coi primi indigeni greci; tede alle torcie d’a-
bete; mancupatu per meschino; ancille (αγγoς ) chia-
mano i vasi da portare acqua, che sono fatti alla medesi-
ma foggia come quelli di Pompeja; e romane sembrano
le abitazioni cui non distrusse il terremoto.
A questa influenza greco-romana essi devono certa-
mente quella stupenda finitezza di modi che tu trovi an-
che nel contadino, la quale assai contrasta colla poca sua
educazione, e che ti fa credere alle volte di parlare a sena-
tori romani, direbbe Heine, mascherati alla villana. – Ad
essa van debitori di quella maschia fierezza, e di quel-
l’amore alla libertà, per cui tante volte si ribellarono, e
di quello stupendo senso estetico che si rivela nelle lo-
ro canzoni popolari, nei loro proverbi, ed in quelle co-
sì poco note e così finite poesie vernacole, di cui vanno
celebri colà il Cipriani, il Conia e lo Spanò-Bolani.

Storia d’Italia Einaudi 42


Cesare Lombroso - Genio e follia

Alla molta mescolanza semitica io crederei porre a


carico la troppa lascivia, e la conseguente bassa gelosia
della donna, che v’è, si può dire, sequestrata dai rapporti
sociali12 , e le molte superstizioni che improntano d’uno
strano carattere tutti i loro costumi.
Al mal seme degli Spagnuoli devono invece le abitudi-
ni anti-igieniche, di cui parleremo; e la tendenza all’ozio
per cui lasciano le migliori e più produttive loro industrie
in mano ai Genovesi o agli Inglesi – ozio che mal si sod-
disfa colla lascivia, colla caccia, e colla chiesa nei ricchi,
e col furto, e coll’accattonaggio nei poveri, e nei maestri
d’arte. Spagnuolo certamente è quel ridicolo vezzo dei
titoli per cui il merciajo abbandona la lucrosa industria
per poter carpire il suo Don – per cui nella proverbiale
Tropea v’hanno tanti cavalieri quanti uomini vivi. Iberi-
co è pure quello sfoggio d’abiti a cui spesso molti sacrifi-
cano le più strette necessità della vita.
Ma il danno peggiore fu loro portato dai Borboni. –
Non contenti d’isolarli coi passaporti e colle pessime vie,
aizzavano essi il loro odio antico coi vicini Siculi con cui
pure hanno comune l’indole, il vivere, le origini e la lin-
gua; – spedivano nei tempi di rivoluzione i galeotti, nei
tempi di pace i peggiori impiegati dell’un paese nell’al-
tro. – L’odio ne restò così radicato, che per molti anni
non successe fra loro alcun matrimonio; e una donna ca-
labrese ridotta a secco d’ogni altro argomento contro i
suoi poveri vicini osò porre a loro carico gli eroici loro
vespri. – Che direbbero i democratici?
Caduto il feudalismo i Borboni ne crearono un altro
peggiore, come più ignobile, in ogni villaggio o città, nei
loro favoriti, capi urbani, ora mutati pur troppo spesso in
sotto prefetti, od in capi di guardia nazionale; sicché agli
abitanti delle vallate la politica non è già di principj, ma
di persone. – Essi, col permettere e quasi col promovere
la venalità negli impiegati, fecero smarrire il senso della
giustizia, sicché ora spesso i ricchi negano la mercede agli

Storia d’Italia Einaudi 43


Cesare Lombroso - Genio e follia

artieri od ai coloro; e questi credono loro diritto alla lor


volta il rubarli. – Uccidere uno a fucilate, come altrove
a coltello, è uno scherzo assai poco inconveniente; – ed
ognuno perciò porta il fucile, quando esce di casa, e chi
l’ha a due canne è più rispettato, è più giusto. Vidi due
sindaci e due eletti ed ahi! un cancelliere di pubblica
sicurezza, che erano stati già condannati per omicidio!
– Il gergo dei ladri (lingua amasca) si parla in Calabria
anche da persone colte. Le scuole poche, insufficienti.
Unico pascolo che lasciassero alla mobile fantasia, e alla
naturale vivacità di quei popoli erano le pompe e le
pratiche di religione. – Un giovine assai istrutto di quei
paesi mi disse un giorno, che i liberali veri del paese
erano inscritti nella Confraternita di S. Paolo; e lì aveano
congiurato fino dal 1848!! Questo, e non è tutto, era il
retaggio borbonico.
5. Puoi dunque immaginarti in quale stato sia l’igiene
fra quei poveri nostri fratelli!
Già ti narrai come un decimo quasi del suolo (490 mi-
glia quadrate) giaccia paludoso ed incolto. Questi terre-
ni pur troppo apportano un danno gravissimo alla pub-
blica igiene, e da questo lato, non saprei se peggiori le
paludi od i boschi. Il bosco di Rosarno, per es., e quello
del Pizzo producono le febbri quanto le paludi di Gioja.
– Nella ricchissima Gioja, l’aria è così infestata dal mia-
sma, che tutti i ricchi emigrano per sei mesi dell’anno, né
vi stanno il giorno che poche ore, ritirandosi la sera in
Palme. – Ora l’asciugare quelle paludi che la contorna-
no costerebbe poco e renderebbe molto; alcune lo furo-
no già, e ridotte a frutteti e vigneti da un francese, rese-
ro il 25 per 100; e diminuirono l’intensità delle febbri. –
E perché non si deve trovare uno che l’imiti fra quei ric-
chissimi commercianti di olio, padroni di più milioni di
franchi, e che vi troverebbero triplo vantaggio commer-
ciale, igienico e domestico?

Storia d’Italia Einaudi 44


Cesare Lombroso - Genio e follia

La poca conoscenza del drenaggio fa che le pioggie


riescano a danno più che vantaggio del suolo e degli
abitanti.
Le abitazioni dei ricchi sono abbastanza comode e
bene aereate nei paesi dove la lunga serie di terremoti che
infestò le Calabrie costrinse a rifabbricare ed in larghi
piazzali, a cui poter rifuggire al bisogno. – Ma v’hanno
paesi, come Scilla, p. e., in cui le case hanno ancora
il tipo delle Romane, anzi dell’Osche; agglomerate in
piccolo spazio tra la roccia ed il mare, senz’aria né luce
– altre ve n’hanno ad un solo piano come a Laureana.
Dappertutto luride sono quelle dei poveri e dei coloni –
il pian terreno è la terra umida, nuda; le scale a piuoli;
gli altri piani sono impalcature di assi e di paglia, dove
a strati successivi come nelle stuoje dei nostri bozzoli o
nelle cabine delle navi, stanno accasciate intere famiglie.
Spesso visitando un infermo, poi che ti eri abituato al
bujo e al lezzo di quelle umide mura, vedevi sorgere
come dai sepolcri, una dopo l’altra, le numerose testoline
del suo prolifico parentado; – e si noti di più che le bestie
di casa il majale ed il pollo, vi occupano sempre il posto
migliore. – Spesso mancano anche quei compartimenti,
e v’ha un letto solo di assito per tutta la famiglia siano
pure giovinette o spose, o vegliardi.
Il contadino laggiù non è sparso nelle campagne, dove
almeno godrebbe d’un’aria ossigenata e di libero spazio
e di una certa nettezza, – ma si raccoglie e si agglomera
nelle grosse borgate anche alla distanza di molte miglia
dal suo campo, e così aumenta il sudiciume e la ristret-
tezza delle abitazioni.
Certo dalla triste atmosfera di questi giacigli sorse così
potente e diffusa la scrofola; da essa trassero l’inusato
rigore i contagi che colà infierivano negli anni scorsi,
la peste, il cholera, ecc.; essa più che non il clima e la
barbarie, promuove le precoci lascivie, portate alle volte
fino all’incesto.

Storia d’Italia Einaudi 45


Cesare Lombroso - Genio e follia

Latrine, propriamente dette, non esistono, nemmeno


negli alberghi della Calabria, e vi suppliscono ignobili
vasi.
La pulizia stradale, che perciò tu puoi immaginare
quanto difettosa, è affidata in molti paesi alla pioggia del
cielo, ed in sua assenza alla voracità dei majali; e v’hanno
di questi pubblici funzionari di nuovo genere, che sono
mantenuti e rilasciati a ciò dai municipj.
La troppa abbondanza e libertà delle bestie è appun-
to uno dei caratteri che spiccano nell’igiene pubblica di
quei paesi. Ad ogni passo tu intoppi in un coniglio, in
un pollo, in un asino od in un majale. – L’asino ed il mu-
lo; i soli che vi s’incarichino dei trasporti, vi sono mol-
to in onore, quasi quanto il majale; poco v’allignano in-
vece il cavallo ed il cane. – Quest’ultimo, anzi, il più
antico e fedele compagno dell’uomo, costretto a guada-
gnarsi il vitto per le immonde vie ed il ricovero pei bo-
schi, vi degenerava del tutto. Giammai mi venne fatto
di osservare in altre regioni un numero sì grande di ca-
ni malati13 , scabbiosi, mocciosi, tisici, idrofobi; come ne
vidi colà. Brutti, scodati, e quasi senza voce, guardava-
no timidamente i pochi e nobili levrieri, che soli godeva-
no qualche cura dall’uomo; e s’affezionavano assai al sol-
dato, che li compativa, s’attruppavano nelle sue caserme
nelle ore del rancio e mestamente seguivanlo nella par-
tenza. Molte bestie muojono di fame e di malattie per
le strade, senza che i molto azzimati e corteggiati agen-
ti di pubblica sicurezza pensino punto a levarli. – Certo
è conseguenza di tanto brulichio ed agglomero di bestie,
vive e morte, l’infestare grandissimo delle mosche, delle
pulci, e d’altri animali, anche del genere Afide ed Acarus.
Gli alimenti sono appropriati al clima; gli alimenti
nervosi, come tu [Mantegazza] primo bene li chiamasti,
vi sono in singolare onore, tali sono la cipolla, la lattuga,
il pepe e fino il caffè. Poco le carni di capra e bue,
moltissimo v’è ricercato il pesce spada ed il tonno. Il

Storia d’Italia Einaudi 46


Cesare Lombroso - Genio e follia

pane è buono, e dai ricchi si cuoce nelle case. – Assai


poco in onore vi è il riso, che pur tanto bene potrebbe
allignarvi nelle paludi. – Invece enorme è il consumo
che vi si fa dei fichi d’India (cactus) e dei poponi. – Del
resto il piatto più comune, così alla mensa del ricco, che
a quella del povero, è il proverbiale maccherone col sugo.
Il formaggio caprino, il lardo, il pomo d’oro e il cece
arrostito, completano la cucina calabrese.
I vini molto alcoolici, e mal fermentati, producono
ai noli avvezzi, fierissime gastralgie, e congiurano colla
luce solare all’eziologia delle meningiti negli stranieri che
debban affaticare troppo all’aria aperta.
Bello e generale è l’uso della neve e delle granite,
che ti riesce trovare a tuo grande conforto, fino nei più
meschini paeselli di montagna.
L’occupazione della maggior parte dei Calabresi è la
coltivazione delle terre e la pastorizia. È notevole che
molti possedono del proprio un piccolo campicello, che
essi coltivano. Questa eccessiva divisione delle proprietà
è forse più dannosa che no all’incivilimento. – Molti
si danno alla pesca del pesce spada, che vi si fa per
tutta la costa coi metodi descritti già da Polibio e con
grandissimo lucro. Pochi si danno all’industria dell’olio,
dell’essenza di bergamotto e del cotone.
Gli abitanti del villaggio di Serra emigrano ogni anno
quali cesellatori e fabbri. – Quelli di Mormanno invece
quali mercanti girovaghi.
Il costume di maritare da 9 a 12 anni le donne, fu sug-
gerito dal clima, benché alle volte io ne scorgessi pessi-
mi frutti in una prole intristita ed atrofica. Bene gli è uso
immorale e poco igienico quello di promettere in matri-
monio bimbi da 5 a 6 anni come sio pratica ancora fra la
rustica, ma non meno tenace, aristocrazia di alcune val-
late. Dannoso è pur anco quell’isolamento, per non dir
sequestro, in cui si lascia la donna, perché priva gli uo-
mini d’un centro sociale e d’un mezzo tanto più poten-

Storia d’Italia Einaudi 47


Cesare Lombroso - Genio e follia

te perché inavvertito, a mitigare e arrotondare le risenti-


te angolature e le passioni implacabili dell’animo virile –
toglie al bel sesso una fonte d’istruzione, e il rispetto di
sé medesimo, e l’influenza e l’attività; e nei lunghi e mal
soddisfatti ozj promuove le forme più svariate dell’isteri-
smo.
Forse ad equilibrio e compenso di questo costume vi
crebbe l’istituzione delle monache di casa, che vere for-
miche neutre, godono, meno i soavi piaceri del sesso, tut-
te le solerzie della maternità, e quasi tutta la attività degli
uomini; e sono sempre pressate, affaccendate, viventi.
L’uso della siesta dalle 12 alle 3 del giorno, comune a
tutta la Calabria, è certamente igienico; ed io so di mol-
ti non indigeni che nella state risentirono il bisogno di
ubbidirvi che prima ne ridevano come di infingarda biz-
zarria; e certo mi è forza di attribuire molte delle malat-
tie cui soccombevano i soldati Calabresi colà a preferen-
za degli altri, allo aver essi dovuto privarsi di quell’abitu-
dine, rifattasi forse più potente nel paese nativo.
Se non che conseguenza poco igienica della siesta si
è l’abuso della vita nelle ore notturne, quasi al paro e
peggio, che nelle grandi città; – v’hanno moltissimi che
pranzano a mezzanotte.
6. Ma ogni lamento sarebbe poco a deplorare lo stato
in cui vi giace l’educazione della mente e del cuore del
popolo.
L’ozio vi è eretto a merito e l’odio a sistema; l’accat-
tonaggio a mestiere. Io mi sentiva stringere il cuore al
vedere tanti vispi ragazzi (nei cui cervelli poteva celarsi
il genio di un Vico o di un Pagano) scorazzare seminudi
limosinando, e accoccolandosi ai raggi ardenti del sole.
Da noi sogliono i ragazzi giocare ai soldatini ed è buon
presagio d’una vita maschia ed ambiziosa; lì giocano a
fare i preti.
L’educazione ivi è nulla. A pochi uomini, a pochissi-
me donne è dato sapere leggere. Le scuole che esisteva-

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Cesare Lombroso - Genio e follia

no prima del 1860 vennero soppresse o trascurate; per


esempio, Palmi che ha 10 000 abitanti non conta che 20
scolari. Gli ispettori scolastici di quei luoghi, pedantis-
sima e burbanzosa genia, vanno d’accordo coi comuni, i
quali prevalgonsi della troppa libertà loro concessa, per
sottrarre il denaro destinato ai maestri a proprio profit-
to o per impiegarlo, il che loro cattiva maggior popolari-
tà, nelle grandi feste, che si danno nel Ramadan Calabro,
nel mese di agosto, ad onore dei Santi Patroni del paese.
Queste feste che consistono in colpi di migliaja di morta-
retti, in illuminazioni ad olio o a pezzi d’abete; in fuochi
mirabili d’artificio, in distribuzioni di ceci arrostiti, du-
rano quindici a venti giorni e costano dai 4 ai 6 ai 10 000
ducati all’anno; e sono le sole occasioni per cui tutte le
genti del paese si raccolgano in un sito a danzare e canta-
re ad onore del Santo e al suono della ciaramella. Da ciò
si comprende l’importanza che v’annettono i capi dei co-
muni, che abbisognano della popolarità; anche l’igieni-
sta, pure scrollando il capo, deve benedire queste occa-
sioni che offrono, almeno, sensazioni energiche e gaje, ed
un pretesto ai ritrovi sociali, il primo bisogno dell’uomo
civile. Ma non pertanto quando si pensi, che non v’è co-
sa ch’ecciti più alla venerazione quanto il venerare, e che
queste sono le sole impressioni nuove ed energiche, che
si offrano al popolo, si comprenderà come pure gravis-
simi ne siano i danni, restandone così la mente dell’uo-
mo informata e preoccupata, da non badare più in segui-
to alle altre più serie ed utili vicende, come quelle della
politica, e da non poterne più cancellare l’impressione.
– La superstizione allora diventa un istinto, che si eredi-
ta, e che si fa sovrano sugli altri. – Gli è perciò che ti è
dato trovare persone sensatissime, che pure non posso-
no, del tutto, spogliarsene; e vedi i ladri offrire la camor-
ra dei loro furti a S. Pasquale ed esser sicuri di ottenere
il perdono. – A Laureana i popolani adoravano una mo-

Storia d’Italia Einaudi 49


Cesare Lombroso - Genio e follia

naca di casa, che riceveva ogni notte in sogno rivelazioni


a favore dei Borboni dall’Arcangelo S. Michele.
I giornali penetrano raramente nei paesi delle coste,
ancora meno nell’interno. Sorsero qua e là dei giorna-
letti (Fata Morgana, Imparziale provinciali); ed il gover-
no avrebbe fatto assai bene a sostenerli, qualunque fos-
se il loro colore; se non per ragioni politiche, almeno per
ragioni di igiene mentale; onde scuotere i torpidi sensi e
gettare i semi di una sana discussione.
7. L’igiene degli ammalati è assai male interpretata dai
Calabresi; v’hanno distinti medici, ma sono soprafatti dai
popolari pregiudizj e dai vecchi polifarmacisti infatuati
di galenismo. E sonvi paesi assai ricchi e popolosi come
Palme, Scilla, Bagnara, ecc., senza il più magro ospitale
ove ricoverare gli infermi poveri. Altri ne hanno, ma si
riducono a luride e umide stanze con pochi pagliaricci e
una coperta di lana, in cui si porgono rimedi o guasti o
di poco prezzo, e poche paste per alimento. Chi sa come
giacciano da noi le opere pie, ed in che mani, faccia le
proporzioni e toccherà giusto.
Molti dei pregiudizj medici, che tu [Mantegazza] ri-
trovavi fra i gauchos dell’America del sud, si ripetono in
Calabria e forse con maggiore insistenza.
L’abuso sopratutto del salasso, che è comune in tutti
i popoli su cui passò la bufera degli Arabi14 o degli
Spagnuoli vi è portato ad una favolosa esagerazione.
Un giorno io vidi nel cortile di un carcere di quei luo-
ghi tutti i prigionieri schierati in corona, intorno al bar-
biere che li salassava per turno, e se ne partivano soddi-
sfatti come chi avesse ricevuto un dono prezioso. I bar-
bieri, che sono gli esecutori di questa fatale operazione,
tengono abbonamenti colle famiglie ricche, che si fanno
salassare a periodi di mesi e fino di settimane; – ma il
maggiore guadagno essi carpiscono dal povero popolo,
che trae dall’avaro borsello un carlino (40 centesimi) per
farsi cavare il sangue arrabbiato o troppo caldo – al mi-

Storia d’Italia Einaudi 50


Cesare Lombroso - Genio e follia

nimo malessere che provi, e se non le sono sedici once,


non parte contento e non li paga. – Né le febbri perio-
diche sono controindicazioni per loro, anzi sempre dopo
un accesso sogliono sfogare il male, cioè aprire la vena.
Usano per lo più salassare alla mano, e colla lancet-
ta. – Una volta adoperavano l’archetto, specie di mac-
chinetta che posta sul vaso vi fa scattare sopra una lama
tagliente – ma ora non se ne servono se non coi secchio-
ni che si rifiutano alle novazioni, anche a rischio di una
scorticatura.
Da questo enorme abuso provengono le molte anemie
e le idropi, e forse l’infingardaggine e l’inerzia, che gua-
stano quella nobile progenie.
Per un analogo pregiudizio antiflogistico essi negano il
brodo ai loro malati, dicendolo riscaldante, e danno loro
invece la pasta cotta nell’acqua, e peggio, la lattuga, i fi-
chi d’India, i melloni ed i poponi15 , della cui virtù rinfre-
scante hanno tanta fiducia, che se li serbano nelle cantine
per l’inverno a esclusivo uso degli infermi. Forse questo
bizzarro metodo dietetico, che è adottato anche dai me-
dici, si appoggia all’avversione dei cibi azotati, comune
anche nei sani, e che è legge di clima; pure il genio delle
malattie dominanti, le periodiche16 esigerebbe una dieta
del tutto opposta; ed io diedi ai miei malati, riso, brodo
e carne, e neve, e me ne trovai contento.
Inesplicabile poi mi riescì quel pregiudizio, che vi
corre, essere l’acqua gelata o la neve, anzi l’acqua in
genere, dannosa agli ammalati.
Abusano anche i Calabri degli ammollienti locali nel-
le piaghe e nelle ottalmie, se non che invece del lino lom-
bardo e della mela cotta dei Liguri essi venerano la lattu-
ga, e con esiti uguali!
Bello invece v’è l’uso dei bagni di mare, a cui acccor-
rono dalle più remote provincie, e dai quali quelle nature
eminentemente epatiche, guaste dalla scrofola e dagli an-

Storia d’Italia Einaudi 51


Cesare Lombroso - Genio e follia

tiflogistici, ritraggono grandissimo giovamento, special-


mente le donne.
8. Delle malattie cui vanno soggetti i Calabri, io non
potrei discorrere con precisione se non limitandomi a
quelle che osservai nel breve periodo di pochi mesi di
estate, e nella Calabria ultra prima.
Trovai il gozzo ed il cretinismo diffuso nella remota
vallata di Pedavoli, ove anche i cani ne erano affetti; ne
trovai traccie nelle montagne di Bovi e lì se ne accagio-
nano le acque del Dario. Ma dove mi riuscì di sorpresa il
trovarne vestigia fu nelle marine di Scilla, ove n’era col-
ta una intiera famiglia (Fara); eppure il jodio vi deve ab-
bondare, che il mare vi batte da ogni lato, e la pesca è la
sola occupazione ed è il solo alimento del popolo.
L’endemia dominante è quella delle febbri ad accessi;
tutti gli abitanti dei paesi vicini alle paludi ed ai boschi
vi sono soggetti, come pure i viaggiatori che trascurino,
nell’attraversare quel paese, di tenersi ben desti. Questa
maggior facilità di contrarre le febbri nell’ora del sonno
è conosciutissima da quegli abitanti, e bene si spiega da
quel fenomeno fisiologico che la quantità dell’acido car-
bonico eliminato è minore nel sonno; ed in conseguenza
l’energia dei nervi assai più depressa può resistere meno
alle nocive influenze, per cui anche il cholera e la peste
colgono a preferenza, nelle ore notturne le loro vittime (
Combc. The princ. of phisiol. Edimb., 1860, p. 66).
Le perniciose, rare volte vi si complicano con fenome-
ni gastrici, ma più spesso invece con fenomeni toracici o
cerebrali; vidi due casi di pleurite e pneumonite, ed uno
di febbre tetanica, guarire col solo chinino.
I vecchi pratici preferiscono il citrato al solfato nelle
febbri; e la corteccia nelle perniciose. In queste ultime
però, pur sacrificando a Galeno con salassi e sanguisu-
ghe, somministrano il chinino per uso esterno e per cli-
stere.

Storia d’Italia Einaudi 52


Cesare Lombroso - Genio e follia

In genere vanno soggetti alle febbri più gli stranieri,


che gli indigeni; perciò mi riesce bizzarro il fatto che
delle truppe che io v’ebbi in cura, più facilmente n’erano
colti i nativi delle Calabrie, che non quelli delle altre
provincie.
Molti degli individui, già da tempo guariti col chinino,
benché si tenessero lontani dalle cause occasionali, pure
venivano presi da leggieri brividi e febbricciuole a perio-
di non bene determinati, su cui nulla più poteva la chi-
na. In questi casi mi trovai contento dell’acido arsenio-
so ad un trentesimo di grano, anzi alcuni guarirono dopo
un sessantesimo.
Ma molti hanno in orrore il chinino e l’arsenico, e
non credono che alla lancetta, sicché finiscono, coll’avere
le febbri tutti i mesi dell’anno, o col morire sotto una
perniciosa, o col ridursi idropici ed edematosi.
La rachitide non si mostra che a Bovi e a Pedavoli;
ma la scrofola con tutto il suo triste seguito di adeniti,
ascessi, ulceri ed idiozie vi fa capolino per tutto.
L’ottalmia granulosa, sua prediletta congiunta, è dif-
fusa in ogni classe di persone, e trattata colla lattuga lo-
calmente o peggio intempestivamente col nitrato, perdu-
ra o degenera in stafilomi che sono i più, in ulceri e mac-
chie della cornea, in ectropi ed entropi, in trichiasi, atro-
fie del bulbo, o indurimento e raggrinzamento del tar-
so. La causa di tanta diffusione è certamente da ascri-
versi alla scrofola, e più ancora a quell’influenza clima-
terica e genetica, per cui là abbondano di tanto le blen-
norragie uretrali, che cioè tende ad attaccare le mucose;
– la causa occasionale vien fornita dall’eredità di queste,
dai molti affetti dell’esercito borbonico, che vi si trova-
no sparsi per i paesi come congedati o veterani, e dalle
ristrette e sucide abitazioni. Molto diffuso nelle coste è
l’albinismo, anche nelle bestie domestiche.
Udii da molti medici lamentare la diffusione e la gra-
vità delle sifilidi; né potrebbe essere altrimenti, quando

Storia d’Italia Einaudi 53


Cesare Lombroso - Genio e follia

si pensi che visite mediche e sifilicomi appena esistono a


Reggio; eppure il meretricio dovunque serpeggia. A me
però non accadde osservare che tre casi di sifilide terzia-
ria con periostiti, ecc., e due di secondarie; – moltissi-
me invece erano le blennorree e le blennorragie e diffi-
cilmente domabili.
La pustola maligna vi infierisce invece d’assai, e se non
a tempo limitata col ferro rovente, vi conduce alla morte;
l’osservai quasi sempre alla guancia destra, in vicinanza
alla pinna del naso. Ne attribuirei la frequenza alle molte
mosche e agli altri insetti che ronzano sui corpi morti e
lasciati putrefare sulle strade.
Trovai molto frequente l’elefantiasi e ribelle al mercu-
rio, al iodio, agli acidi vegetali, alle cure locali meccani-
che; quattro volte la notai in pescatori, due in mendican-
ti, una volta sola in una donna agiata, la quale asseriva di
sentirsi assai sollevare quando dalla marina poteva recar-
si nell’interno dei boscosi suoi monti. Tutto ciò mi in-
dusse il sospetto, che l’abuso dei cibi salati e della pesca
abbia una grande parte nell’eziologia di questa singolare
affezione, che pare sia diffusa anche nelle spiaggie sicule,
per esempio, a Messina. Questo mio giudizio forse col-
lima con quell’asserzione che corre nelle bocche di tutti
gli abitatori delle coste calabresi, cui i medici pure fan-
no eco, che cioè l’aria marina non favorisca la guarigio-
ne delle piaghe degli arti inferiori, e che invece assai gio-
vi nelle ferite del capo, le quali per gravi che siano, ven-
gono sempre a bene; mentre quelle degli arti vegetano
inerti e fungose.
I Calabresi, di temperamento bilioso i più, sono assai
soggetti all’emorroidi, all’itterizia, alle epatiti, ai calcoli
biliari e alle ostruzioni viscerali, che finiscono poi cogli
edemi e colle idropi.
Nelle donne, anche della plebe, anche vecchissime,
l’isterismo è frequente e assume le più strane forme, e
pur troppo trattato coi salassi e coi purganti degenera in

Storia d’Italia Einaudi 54


Cesare Lombroso - Genio e follia

amenorree, in stitichezze o diaree ostinate, o in anemie e


clorosi.
Il fico d’India, di cui si fa un immenso consumo e
che gode immeritata lode di aperitivo, vi produce inve-
ce spesso costipazioni ostinate con tenesmo, pneumato-
si e indebolimento dei polsi, le quali passano non di ra-
do in enteriti o ileocechiti ad aspetto tifoideo. In altri
meno frequenti casi specialmente di bambini l’accumu-
lo meccanico dei semi del frutto nel retto provoca mor-
tale proctite, se, a tempo avvertito, il medico non riesce a
vuotarlo.
Il cancro è rarissimo.
Un carattere negativo, ma importantissimo della pato-
logia calabra, è la scarsezza delle tisi e delle pneumonie
genuine. Eppure la scrofola vi imperversa, né vi manca-
no i tempi variabili, i cibi inadattati, la miseria e gli abusi
della vita.
Sarebbe il caso di quell’antagonismo che pretendeva
trovare il Rokitanski tra le febbri periodiche e la tisi? Tra
le malattie a sangue eminentemente fibrinoso, e quelle da
sangue ad eccesso venoso, ipinotico?
Certo è che quegli stessi Calabresi giunti fra noi come
soldati, vanno a preferenza degli altri soggetti a quelle
due infermità forse per la privazione della siesta e dei
preferiti alimenti vegetabili.
9. Ma perché tutto il detto fin qui non riesca ad una
vana cicalata accademica, io mi fo ardito di suggerire
quei mezzi, che, secondo me, più sarebbero adatti a
modificare le condizioni dell’igiene pubblica in quelle
contrade.
Niuno più di me rispetta quel sano e santo principio
di lasciar fare, di lasciare che gli errori inducano ai rime-
dj, i quali suggeriti e risuggellati dall’esperienza tornano
alfine più efficaci e duraturi. Ma pure qui dove una lun-
ga e volpina tirannide riescì a viziare quel nascosto seme
di buon senso pratico, che alligna dovunque, e scemò l’a-

Storia d’Italia Einaudi 55


Cesare Lombroso - Genio e follia

bitudine d’una volontà propria; qui dove tutta l’energia


degli individui e dei comuni è traviata in quistioni di per-
sone o di sagrestie; la cosa è ben diversa. Il lasciar fare è
delitto e pericolo.
Converrebbe, dunque, stringere dei contratti con del-
le compagnie commerciali, o fornire appositi prestiti ai
comuni, onde asciugare le paludi, od almeno ridurle alle
meno malefiche risaje; inalveare i fiumi, ridurre a coltivo
le molte terre non tocche ancora che dalle capre, e dibo-
scare le selve in vicinanza alle vie maestre e agli abitati.
La Calabria ha seni e non porti, per cui la lunghissima
linea delle sue coste è più percorsa da pescatori che
da naviganti; – quindi la civiltà ed il commercio non
hanno uno sbocco, ne una via d’entrata. Si dovrebbe
por mano a fondare un ampio porto per ambo i lati della
Calabria; molti mi indicarono sarebbe facile ed utilissimo
il costruirne uno nell’antico e già frequentatissimo dai
Greci, porto d’Oreste tra Sant’Eufemia e Palme.
I sotto prefetti dovrebbero invitare i grandi proprietarj
dei comuni a migliorare le abitazioni dei loro coloni e
spingerli a stabilirsi fuori della cerchia del villaggio o
delle città, all’aria aperta e salubre delle loro ubertose
campagne.
Severe leggi municipali dovrebbero proibire la circo-
lazione delle capre e dei porci per le vie, distruggere i ca-
ni vaganti senza padrone, e adottare un sistema unifor-
me per le latrine, e incaricare uomini e non quadrupedi,
della pulizia stradale.
Urgentissimo provvedimento parrebbemi quello di in-
vitare i comuni, che abbiano più di 10000 anime e si tro-
vino lontani dai centri maggiori, a fondare un Ospitale
pei poveri infermi, che spesso son costretti a portare per
le pubbliche vie il marchio deforme dei loro mali, o a rin-
tanarsi affamati e morenti nei loro giacigli. Basterebbe vi
spendessero un quarto delle somme che vanno in non ri-
chiesti onori ai loro Santi prediletti; – e così si comincie-

Storia d’Italia Einaudi 56


Cesare Lombroso - Genio e follia

rebbe anche a divezzare, senza troppo irritarla, da quelle


pompe pagane, la mobile fantasia popolare; in ogni mo-
do è indispensabile che vengano tolte alle non pie ma-
ni direttrici le amministrazioni di quei magri ospitali che
ancora vi reggono in piedi; e vengano affidate a persone
oneste, ricche, sicure – possibilmente a medici.
Le molte acque ferruginose e solforose, che già notai
possedere le Calabrie, sono ignorate dalla maggior parte
dei suoi abitanti, e non si esportano mai; cosicché anche
nelle migliori farmacie non t’è dato trovarne. Sarebbe
utilissima cosa, il popolarizzarne l’uso a vantaggio dei
tanti anemici e scrofolosi, che vi brulicano, e cui uccide
il salasso.
Io penso che il molto abuso di questo ultimo mezzo di
cura, tanto più malefico in paesi infestati dalle febbri, e
in temperamenti venosi, finirà col degenerare la nobile e
antica razza dei Calabri; né credo troppo ardito afferma-
re che esso, al paro della polizia borbonica e della società
Lojolesca, contribuì a tenerla tanti anni prona e paziente
all’ignobile giogo; – per ciò non ti sembri ridicola ed esa-
gerata la proposta che si prendano severe misure contro
i barbieri, p. es., una tassa per ogni salasso, – proibizio-
ne assoluta, e sotto comminatorie di multe, di eseguirne
senza il permesso del medico. Io proporrei, perfino, si
tentasse la graduata abolizione di quel fatale mestiere.
Converrebbe estendere colla solita severità precisione
le leggi in vigore sulla visita delle meretrici e sui sifilico-
mi, che già portarono così buon frutto nelle nuove pro-
vincie.
Un’analoga serie di misure converrebbe poi adottare
per le ottalmie granulose. Anzi per la grande estensione
del male, io crederei migliore partito l’organizzare dei di-
spensari ambulanti un mese nell’anno per ogni comune,
ove provvedere ai casi più gravi, apprendere ai cronici
od ai loro genitori i metodi più savj di cura, distribuendo
loro i pochi medicamenti riconosciuti utili, la pietra di-

Storia d’Italia Einaudi 57


Cesare Lombroso - Genio e follia

vina, quella del Desmarres, ecc.; in ogni modo porre in


guardia contro il metodo assurdo degli ammollienti e sul
pericolo del contagio.
Toccai già prima della necessità grandissima, che si
trovino e si adottino mezzi potenti a migliorare l’igiene
mentale di quelle popolazioni. Una implacabile e impar-
ziale giustizia è necessaria per riformare il senso morale,
il senso del giusto in quelle popolazioni, e forse anco il
disarmo; e insieme la distribuzione di premj e di ricom-
pense onorifiche agli atti di virtù cittadina e famigliare.
Ma per l’igiene della mente converrebbe introdurre a
pubbliche spese, diffondere e sostenere i giornaletti di
provincia, meglio ancora se scritti in dialetto; affiggere
nei caffè principali o alle porte del Municipio, i dispac-
ci telegrafici politici, che, se non erro, vengono spediti ai
sotto-prefetti; e sarebbe ottima misura anche per preve-
nire le strane ed assurde novelle fatte circolare dal clero.
Utile mi parrebbe l’introdurre dei teatri nei paesi che ne
manchino – e il favorire, cedendo loro, per es., pubbli-
ci locali; i casini di lettura, le società agrarie, le politiche
anche se avverse per esagerato, ed ignorante liberalismo;
essendo più utile avere alcuni nemici, che tutti indiffe-
renti. – Sarebbe pure assai giovevole, che si celebrasse-
ro, con gran pompa e specialmente con fuochi d’artifi-
cio, le poche nostre feste politiche. Tutto ciò onde scuo-
tere ed alimentare della nuova vita politica, l’inerte cer-
vello del popolo, tutto preoccupato dalle cerimonie di
chiesa o dalle querimonie di campanile.
Dove assolutamente è d’uopo che il Governo riprenda
del tutto l’iniziativa è nel grave argomento dell’istruzione
elementare, che affidata ad un clero avverso ed ignoran-
te da sindaci spesso reazionari, è in peggiore condizio-
ne che non fosse nel 1858, sicché tutta una seconda ge-
nerazione minaccia d’andare perduta per noi. Qui si de-
ve esigere che le scuole non figurino solo nei registri, ma
che esistano, e affidate ai laici, ed in numero proporzio-

Storia d’Italia Einaudi 58


Cesare Lombroso - Genio e follia

nale alla popolazione giovanile del comune, e questa poi


si dovrebbe allettare con premj straordinari, con regali
che dalla minestra di maccheroni e dal fico d’India vada-
no fino alle promesse d’impieghi; l’eterno sogno dei Ca-
labresi che hanno a proverbio: Dammi ufficiu che mi ve-
stu. – L’agglomero della popolazione agricola nelle pic-
cole città avrebbe il vantaggio che l’istruzione elementa-
re serale si potrebbe loro assai più facilmente, che non
da noi, compartire.
Nell’organamento delle scuole s’abbia sempre presen-
te la grande vivacità di sensi, che predomina nel popolo.
Si gettino nozioni storiche e politiche in mezzo ad aned-
doti piccanti, e le più necessarie idee della geografia ita-
liana si accompagnino con figure in rilievo e colorate. Si
allettino insieme e si colpiscano i sensi. E siccome non vi
abbonda né vi eccelle quel principale organo dell’istru-
zione, che è il maestro, converrebbe adottare quel par-
tito, che già fece buona prova in Savoja ed in Sardegna,
delle scuole normali ambulanti, le quali si portassero di
paese in paese a formare od a perfezionare i maestri.
Ma per la esecuzione di queste misure non basta af-
fidarsi alle autorità locali. I sindaci sono o borbonici, o
timidi, o soprafatti dall’opinione pubblica di campanile
che sospetta ed odia quanto viene dal governo. Le auto-
rità di pubblica sicurezza sono spesso conniventi, timide,
o di una singolare pigrizia.
Ogni altra autorità, se non si vende (e molti degli
amministrati lamentano ora di non poter più sedurre)
si lascia intimidire, o ingannare, o sotto alla continua e
nojosa lotta si irrita e poi si stanca.
Non si può d’altra parte esigere che i ministri sieno
dappertutto, come si dice accadere della provvidenza
divina; ma essi potrebbero stimolare e sorvegliare lo zelo
degli impiegati locali con visite improvvise e continue
di ispettori intelligenti, e severi che godessero, in via

Storia d’Italia Einaudi 59


Cesare Lombroso - Genio e follia

straordinaria, tutte le facoltà di un ministro, e che non


fossero avvinti da nessun legame né da alcun timore.
Solo con ciò si potrebbe ovviare ai danni della neces-
saria centralizzazione e immobilità del governo, e ridurre
salubre e fecondo un terreno, entro cui germina nasco-
sto il seme di assai nobili intelletti, e di cuori magnanimi,
antichi.
In un periodo politico com’è questo, in cui tutta l’at-
tenzione e la forza morale del popolo d’Italia si concen-
tra in quelle provincie infestate dal brigantaggio – non
sarebbe egli opportuno che il medico pure alzasse la sua
voce a pro’ dell’igiene morale e più della fisica di quelle
terre? La questione del brigantaggio è per chi sa vederci
dentro, una questione simile a quella degli entozoi uma-
ni, una questione di generazione spontanea – da risolver-
si assai più con una ben condotta cura generale, che non
con violenza e con drastici.
V’hanno molti paesi della Capitanata e del Molise che
scarseggiano singolarmente di acqua. – V’hanno paesi
specialmente in collina, con poche cisterne, od una sol-
tanto – la quale deve provvedere bisogni di più miglia-
ja di laringi; ora occupata od otturata che sia questa fon-
te, i poveri abitanti devono provvedersene a molte mi-
glia di distanza, o morire di sete – e questo caso succes-
se, se non erro, qualche volta nei tempi presenti, e più
nei tempi passati, in cui imperversava ben più fiero e ter-
ribile il brigantaggio. Questa scarsità d’acqua è pure una
delle cause predisponenti della poca nettezza dei coloni
di quelle terre.
Un uso pure biasimevole e singolare, corre, nella se-
poltura e nei funerali dei morti – e che diffuso già pri-
ma anche in Calabria, ora si limita, solo, per quanto io
sappia, al Molise ed alla Terra di Lavoro.
Morto che sia un abitante di quelle terre, specialmente
se ricco, – donne pagate, a ciò, dette tenderedde – si rac-
colgono nella sua casa a farne gli elogi, a benedirlo ed a

Storia d’Italia Einaudi 60


Cesare Lombroso - Genio e follia

piangerlo con fortissime strida – indi lo trasportano sco-


perto e vestito pomposamente, e se nubile, tutto festona-
to di lacciuoli colorati alla chiesa ove rinnovano le ceri-
monie ed i baci. Fin qui non v’è che antica e fragrante
poesia. Ma in molti di questi paeselli il cimitero non esi-
ste propriamente. V’hanno, ad uso etrusco, delle grandi
caverne, o camere sotto terra, murate a volta, in cui i bec-
chini scaraventano, datogli un ultimo bacio d’addio, il
cadavere come si farebbe di una secchia d’acqua. Quan-
do la camera, rimpinza dell’infelice carico, non cape altri
ospiti, allora separati i corpi da poco tempo morti, dagli
avanzi dei vecchi, raccolgono questi ultimi in orribili ca-
taste, cui danno il fuoco, conservando solo in lunghe fi-
liere quei teschi e quelle ossa, che il tempo benignamen-
te inaridisce. Questa operazione dura parecchie settima-
ne; nel qual periodo di tempo da quel funebre luogo si
esala tanta copia di fumo e di puzzo che infetta l’aria del
villaggio vicino e perfino i casolari più distanti. Nel 1862
nell’aprile a Rocca Mandolfi, alcuni giorni dopo, che si
era dato principio a questa misura, così poco igienica, si
sviluppò un tifo petecchiale, che in breve tempo produs-
se terribili stragi; – siccome nessun altro dei paesi circon-
vicini venne tocco del morbo né prima né poi – così è as-
sai probabile, se non certo, che lo sviluppo della malattia
lì circoscritta, si dovesse a quella barbara usanza.
Peggio è poi se per uno strano privilegio concedono
di seppellire nel sacrato della chiesa o sotto la chiesa
stessa – i morti che in vita ebbero vanto di prepotenza,
di ricchezza o di virtù.
Sepino, l’antica capitale del Sannio, ha il triste privile-
gio, di fornire essa sola, a tutte quelle provincie, i becchi-
ni, i quali sono spesati con larghissimi salari, tanto peri-
colosa è creduta la loro opera.
Una grande riforma dovrebbe introdursi nelle carceri
delle provincie, quasi tutte amministrate con norme as-
sai poco ben intese. Situate in luoghi umidi, e bassi, pri-

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Cesare Lombroso - Genio e follia

ve sempre di ventilatoj, di latrine, o di tavolati, con in-


sufficienti alimenti, sono zeppe più che le stive dei ne-
grieri, di abitatori tanto più esposti ai mali, che erano av-
vezzi alla libera e forte atmosfera dei boschi e dei mon-
ti; vi si sviluppava, non poche volte, in questi due anni,
il tifo petecchiale e castrense. I prefetti male consigliati
dalle commissioni sanitarie, invece di migliorarne le con-
dizioni igieniche, facevano vuotare le prigioni infette per
riempirne altre vicine, non peranco mal famate, ma al pa-
ro malsane, e così propagavano il male invece d’isolarlo,
a rischio pure di infettare i paesi, e ad ogni modo, au-
mentando d’assai la mortalità dei carcerati. Una disposi-
zione architettonica di quelle carceri è altamente danno-
sa e alle discipline e alla morale di que’ luoghi e che ne
spiega le frequenti evasioni dovrebbe subito essere rime-
diata.
Voglio dire che molte di quelle carceri sono terrene e
s’aprono sulla via con delle ferriate, – le quali permetto-
no la comunicazione al di fuori – per quanto severe ed at-
tente pur vigilino le sentinelle. Non è raro vedervi i pri-
gionieri invitare i passeggianti a colloquio, intrattener-
li con lazzi indecenti, chiedere e spesso esigere la carità
pubblica come se fossero innocenti o pacifici abitatori di
un pio ospizio.
Ognuno comprenderà quanto poco da simili esempj
resti vantaggiata l’igiene morale.
Un’altra pratica assai contraria all’igiene è quella dei
matrimonj precoci con ragazze di 9 e 10 anni – pratica
provocata in parte dal clima, ma più da mali intesi inte-
ressi di famiglia, – e che sfrutta l’albero alla radice dando
luogo ad una atrofica prole.
Una fonte gravissima di mortalità è poi nell’emigra-
zione, o, a meglio dire, vagabondaggio dei valliggiani. –
Molti dei Calabresi e degli Albanesi, moltissimi Abruz-
zesi (circa 20 000) e molti Pugliesi (40 000) emigrano,
o meglio girovagano nelle vicine provincie, come ferraj,

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suonatori, pastori o manuali e braccianti – e mal vesti-


ti, spesso mal pagati, in climi meno benigni, pochi ritor-
nano sani e vivi alle loro vallate, e sono facile preda delle
pneumoniti, delle tisi e delle epidemie tifose e morbillose
che fra loro singolarmente infieriscono.
Pur troppo il mondo invecchia, ma non rinsavisce;
gli errori vecchi del dotto passano a scienza nuova del
volgo. Gli è così che la panacea cavolesca di Catone era
restata ai poveri schiavi in Roma do o la diffusione dei
medici greci. – Gli è così che quella famosa teoria Araba
dell’influenza dell’aria, del caldo e del frigido, sui mali e
sui rimedj, abbandonata da molti anni, per non meno
assurde teorie, è creduta e sostenuta da tutto il volgo
d’Europa dell’India e della China.
Ed ora che si corre dietro alle scoperte di Köliker e
Wirchow, ed alla severa critica terapeutica di Skoda e
di Vunderlich, ora aspettando, che le cellule e le polveri
del Dower sieno messe fra le carte antiche, il nostro
buon popolo ha adottato per suo conto, e con maggiore
fanatismo, tutto il vecchio ciarpame delle viete teorie, e
dei relativi rimedi sovrani – i cataplasmi – i purganti –
i salassi e le mignatte – con quanto vantaggio, Dio e la
statistica vera, lo sanno!
Dei salassi non parlo. – I flebotomi di professione,
non ci sono più che nell’Italia Meridionale; e, spero, pre-
sto, anche là cesseranno. Bene è vero, che anche in Lom-
bardia il contadino palleggia molto bene quel sacramen-
tale termine di infiammazione – e reclama a viva forza il
salasso dal medico. Ma questi sa resistere, forte dei suoi
studj e della sua coscienza, e così impedisce, che agli altri
danni s’aggiunga quello tristissimo della lancetta, a gua-
stare la nostra povera razza. Il medico si direbbe che
espii in queste lotte, spesso eroe, vittima spesso, il colpe-
vole fanatismo degli avi.
Ma così non va la cosa pei purganti. – Una mezz’on-
cia di sale inglese, o di olio di ricino – è rimedio innocuo

Storia d’Italia Einaudi 63


Cesare Lombroso - Genio e follia

che qualunque buona massaja sa prescrivere e a tempo!!!


Purgare – sbarrazzare le prime vie – sono parolone e ima-
gini così chiare; le si adattano sì bene al cervello più gros-
solano, che molte menti del volgo, anche medico, ne re-
stano facilmente sedotte e preoccupate. – Non si pensa,
che dall’intestino alla strada rotabile, od alla fogna, corre
gran tratto – che la natura dei mali è cosa meno palpabi-
le, che non sieno le feci, non si pensa, che se effetto si ot-
tiene da quei beveraggi non gli è che indiretto per contro
irritazione, per derivazione, ed anche quì c’è molto del
metaforico e dell’ipotetico. – Ma intanto ad ogni picco-
lo male si regala una purga, si intacca la sottile e delica-
ta tonaca mucosa degli intestini, si fanno irritazioni vere
e pur troppo croniche, stringimenti intestinali, dispepsie
incurabili, stitichezze ostinate, anemie, ernie, prolassi del
retto, ecc. – A tutto questo non si pensa, perché l’effet-
to non si vede che tardi, mentre invece quella beata sca-
rica si vede subito e se ne sognano miracoli che finisco-
no a pericoli. – Non sarebbe egli, dunque, da proibire lo
spaccio di questi lenti veleni, se non sieno espressamente
richiesti da medica ricetta?
E delle mignatte non si fa egli un inutile, un tristissimo
scempio ed abuso? – Non è egli, in grande parte, ideale
il vantaggio che ci ripromettiamo dalle morsicature di
quegli anellidi, e certo completamente sostituibile dalle
coppette scarificate.
Il volgo dei non medici, crede che attraggano il sangue
cattivo e quindi l’applicano all’epigastrio, alle tempia, al-
l’ano, ecc., ma sapessero pure quelle povere bestioline di
patologia chimica e microscopica, non so come le riesci-
rebbero a sceverare, lì, i globuli malati dai sani!!! Ben
è vero che io le vidi propagatrici di infezioni sifilitiche,
di flemmoni gravi, dolorosissimi, specialmente alle tem-
pie nei meningitici e ai malleoli negli artritici; ma quando
mai, il volgo tien conto di queste miserie se può soddisfa-
re il suo ideale di un essere che si occupi a cavargli fuo-

Storia d’Italia Einaudi 64


Cesare Lombroso - Genio e follia

ri con tutta grazia, il male, materializzato, lì, in un punto


del suo corpo; come il N. Zelandese e l’Indiano dal sof-
fio, dalle formole, dai maneggi del suo stregone medico
attende, che il male gli venga esportato ed ispento – sotto
forma d’una mosca e d’un tafano.
Non sarebbe egli, dunque tempo, se non di impedirne
lo spaccio, certo di premunire contro l’abuso, che non
sia autorizzato da medici?
Lo stesso dicasi dei pappini di linseme, di malva, di
patate, ecc., questo genere di specifico chirurgico, di cui
tanto abusa il nostro povero popolo e con tanto danno.
Il cataplasma non ha la virtù attrattiva ed antiflogisti-
ca, se non nella mente romanzesca del volgo; egli non
agisce che rammollendo e macerando l’epidermide o ri-
scaldando per la sua temperatura, od affogando col suo
volume, le parti già irritate, con cui è a contatto; evapo-
rato l’umor acqueo, e seccato, agisce poi irritando, come
qualunque corpo ruvido; nelle piaghe è sopratutto dan-
noso, perché l’ammalato vi s’avvezza, così che provatolo
una volta non può sopportarne la rimozione, e perché ne
promuove la vegetazione, la fungosità, e le mantiene in
continuo insudiciamento. Nelle ferite di palla poi, nel-
le fratture, quei cuscini umidi, vegetanti, molli, rendono
impossibile od inutile un apparecchio; dappertutto, co-
me sollievo illusorio, che sono, cullano la naturale iner-
zia degli uomini, e quindi dei medici, che prescritto il
cataplasmo, credono aver fatto qualcosa, e invece fecero
nulla, o male; mentre con più adatto e speciale rimedio,
come ghiaccio, jodio, sublimato, ecc., avrebbero potuto
portare vantaggio reale.
Non sarebbe egli dunque necessario, limitarne, e proi-
birne la vendita a chi non ne abbia prescrizione apposita
– e persuadere il popolo a spendere meglio quei preziosi
suoi risparmi di cui pur troppo fa un inutile spreco?
Meglio sarebbe che invece direttamente si provvedes-
se con igieniche misure all’abuso dello zea-maiz e alla

Storia d’Italia Einaudi 65


Cesare Lombroso - Genio e follia

mancanza degli alcoolici che minacciano di guastare nel-


la lor prole e nella lor vita istessa i nostri poveri coloni.
Io odio le teorie dei comunisti a stomaco pieno – ed a fe-
gato ipertrofico – io venero la libertà di commercio, ma
non posso a meno di gemere notando che se la bisogna
alimentare del nostro popolo di Lombardia continua di
questo passo, noi tra cretini e pellagrosi ci troveremo de-
generata la razza peggio che nol sieno gli Otomachi e i
Boschimani. Noi abbiamo un 3000 cretini e un 40 000
pellagrosi in Lombardia. Queste cifre parlano. – Io pro-
porrei che si obbligasse, con leggi comunali, ad una se-
conda cottura e ad una mescolanza con farina di casta-
gne, di segala o anche crusca, la panificazione così bar-
bara e anti-igienica del maiz – che si popolarizzasse mag-
giormente l’uso di cibi animali di poco prezzo, per es.
di porco, di porcelli d’India, di cavallo; che si tenesse in
serbo il sangue che si getta nei macelli, e che sarebbe uti-
lissimo, e il latte che relativamente nutre assai più e co-
stando meno, forse il quinto del maiz, è singolarmente
appetito dai pellagrosi.
Si dovrebbe veder modo di distribuire, a minor prez-
zo, gli alcoolici ora tanto rincarati fra noi, o almeno so-
stituirli con una di quelle tante sostanze, che presso al-
tre nazioni ne fanno le veci, come l’oppio, la chica, la co-
ca, lo non intenderei, che queste misure si prendessero a
tamburo battente, e facendo giuocare quei famosi, e vo-
ti paroloni di quegli egoisti retrogradi di Francia, che as-
sunsero l’eredità degli Adamiti e dei Picardisti – sotto il
titolo di comunismo. – No; bisogna mostrare, ed è faci-
le, perché è vero, ai padroni ed ai fattori delle campagne,
come il soprapiù in salario od in cibo che eglino conce-
dano al contadino lor viene ad essere compensato in au-
mento di lavoro – in risparmio di medicine, di gite e di
dimore all’Ospitale. Al postutto il sangue delle macelle-
rie, il latte vaccino viene a costare meno, e nutrendo di
più, si può vendere a maggior prezzo, e quindi così com-

Storia d’Italia Einaudi 66


Cesare Lombroso - Genio e follia

pensare l’inesorabile cupidigia dei distributori padroni e


fattorie con vantaggio delle vittime. – E la beneficenza,
poi, si risolve in ben inteso interesse.
Un esempio, praticato da qualche filantropo, o provo-
cato segretamente dal governo finirebbe per convincere
cui non bastassero le tante chiare ragioni.
I Municipj, i Comuni, e specialmente i possessori di
grandi fattorie dovrebbero prendere l’iniziativa di que-
ste misure, precisamente come praticasi in Inghilterra!
Altrimenti non si parli di progresso, di civiltà, se non per
ironia. – Non è un epigramma, è una verità fisiologica;
che perché un uomo pensi, e quindi s’istruisca – convie-
ne si nutra bene. – La prima base di una buona istruzio-
ne, dev’essere un buon alimento.

3
Una statistica uniforme

I. – Perché ci manca una statistica Oh! la è pure sciagu-


rata la condizione del medico onesto in Italia. – Abusati
dal volgo, incompresi dal potente non godiamo nemme-
no pei molti sacrifizi, del tepido conforto della gratitudi-
ne. Avessimo almeno quello della sicurezza della nostra
scienza! E non l’abbiamo; ed impastojati in un linguag-
gio sempre più oscuro, in sistemi contraddittorii, discor-
di perché infelici, convergiamo contro noi stessi le fitte
crudeli che ci scaglia addosso la baldanzosa ignoranza.
Colpa nostra di certo, che dovendo essere, per troppe
cause, i più tolleranti, il siamo il meno, ma colpa ell’è pu-
ranco di quei tanti che non giunsero a comprendere co-
me l’efficacia maggiore del medico che è la preventiva, si
sfrutta ignobilmente, quando non gli si lasci libera mano
al tempo opportuno. Nelle famiglie invece bene spesso
e nella nazione quasi sempre il medico viene consultato
sol quando ormai non è uopo dell’opera sua né del suo

Storia d’Italia Einaudi 67


Cesare Lombroso - Genio e follia

consiglio, quando il male è irreparabile. E a lui non resta


che a dividerne il carico, il dolore, e peggio gli ingiusti
rimproveri.
Questa è la principalissima causa per cui si riscontrò in
molte delle nostre regioni la mortalità così grave come in
pochissime delle nazioni europee17 ; questa è la causa per
cui l’igiene in alcune provincie arieggia molto a quella
delle finitime coste barbaresche.
E questa è pure la causa per cui noi non abbiamo una
buona statistica medica18 , non che generale, parziale. A
che avrebbe dovuto affaticarsi il medico, quando nessu-
no già gli avrebbe dato ascolto. Appena è se allo zelo iso-
lato e modesto di alcuni generosi fu dato raccorre qual-
che parziale monografia, frammento spezzato del grande
edificio.
III. – Distinzione in zone – zone del maiz – del lathirus
– zone cosmotelluriche (delle vallate – miasmatica), zona
delle città Tante e sì diligenti ricerche nostre e straniere
non bastanci, tuttavia, non che a segnare una carta noso-
grafica d’Italia, nemmeno a tracciarne le prime linee.
E ciò non tanto perché le cifre difettino; comeché lo
statista che s’accontenta alla sola mostra simmetrica di al-
cune cifre schierate in colonna farebbe come il pseudo-
filologo che per l’amore dell’astruso ribobolo tradisca il
pensiero; ma gli è che spesso le espressioni annesse a
quelle cifre mancano di un significato uniforme, passan-
do da una all’altra di quelle provincie e pochi anni sono
erano anche in iscienza separate come nazioni. E volere
comporre in un fascio quelle cifre sarebbe un ingannare
gli altri e sé stessi.
Tuttavia da questo bujo caos di materiali che attendo-
no per divenir cosa viva una mano plasmatrice, noi pos-
siamo, alla meglio, intravvedere alcuni fatti, che se saran-
no di poca levatura per lo statista aritmetico, nol saranno
per l’igienista.

Storia d’Italia Einaudi 68


Cesare Lombroso - Genio e follia

Noi vediamo, per esempio, assai nettamente risaltare


da quei materiali la divisione d’Italia in due grandi zone;
la settentrionale che comprende il Piemonte, una parte
di Liguria, il Lombardo, il Veneto, l’Emilia e Romagna
e una parte della Toscana, e si distingue per malattie
speciali, come la corea elettrica, il gozzo, il cretinesimo,
la pellagra. Queste due ultime infermità, anzi, nella
Toscana disegnano appena leggerissime traccie.
La parte meridionale, o meglio la seconda zona, com-
prende le isole tutte e parte della Toscana, per esempio,
Grosseto, il territorio di Roma e tutto l’ex-regno di Na-
poli, e si distingue per la mancanza del gozzo, cretinesi-
mo e delle migliari, e pel predominio delle febbri inter-
mittenti, perniciose e tifoidee.
Si potrebbe designare intorno alle due zone una sot-
tilissima linea costituita dalle marine Ligure, di Comac-
chio, di Scilla, di Trapani, distinte per l’abbondare della
scrofola, delle malattie cutanee e della lebbra dei Greci.
Ma meglio ancora, forse, ci gioverà il distinguere le
speciali zone morbose che si organano nelle varie nostre
regioni sotto l’influenza di alcune cause costanti.
Tali sarebbero le zone alimentari, come io le direi
le zone che comprendono le molteplici malattie che si
ingenerano dall’abuso di speciali alimenti, come dello
zea maiz, del cactus opuntia e del latyrus sativus.
Tali sarebbero le zone cosmotelluriche divise in zone
delle vallate, zone vulcaniche, zone alpine e zone mia-
smatiche.
Ma una zona importantissima, e che nettamente ci si
disegna dinanzi, è quella delle città.
Nelle grandi nostre città le ragioni di clima, di razza
e di alimenti ci sono dal contatto degli stranieri, dal
tumulto delle passioni, dalle artifiziate abitudini – così
fuse e confuse da dare luogo a dei veri gruppi patologici
speciali.

Storia d’Italia Einaudi 69


Cesare Lombroso - Genio e follia

E qui noi dobbiamo soltanto lasciar parlare le cifre, le


quali per l’Italia settentrionale non ci difettano e noi da-
remo nei seguenti prospettini un sunto dei diligenti lavo-
ri redatti per la statistica medica di Torino dal Rizzetti,
per quella di Genova dal Du Jardin, per quella di Pavia
dal Pignacca, per quella di Milano dal Verga, per quel-
la di Brescia dal Menis, per quella di Mantova dal Sore-
sina, per quella di Verona dal prof. Castelli, per quella
di Padova dall’Argenti, per quella di Venezia dal Berti e
Namias, per quella di Treviso dal Liberali, per quella di
Napoli dal De Renzi, per quella di Sassari dal Manca.
V. – Proposta per la redazione d’una statistica uniforme
Chi avrà percorsi questi sunti delle statistiche mediche
delle nostre città, avrà subito compreso, come veramente
le città costituiscano delle zone speciali, in cui le malattie
e la mortalità prendono le tinte più fosche per l’accumulo
dei vecchi e malati che vengono a morirvi nei suoi Pii
Istituti, e per i figli del vizio e del delitto che vi finiscono
nelle carceri o nelle case, e nei brefotrofi spontaneamente
od immaturamente la misera vita.
Ma già in alcuni di questi prospetti la distinzione dei
morti urbani e suburbani avrà mostrato il prevalere in
questi ultimi di speciali malattie come la pellagra e la
febbre intermittente, per esempio in Padova, Genova e
Treviso.
Se non che quello che più di tutto deve aver colpito
l’attenzione del lettore nel percorrere questi quadretti
è la poca o meglio la nessuna armonia fra di loro, la
disparatezza nei titoli e nei gruppi patologici, e nelle
distinzioni loro, per cui sarebbe non difficile solo, ma
impossibile il cavarne conclusioni comparative sincere.
È necessario, adunque, che non una città soltanto, ma
tutte pubblichino le loro statistiche mediche, anzi non
solo le città, ma anche i comuni rurali.
È necessario che tutte adottino un sistema semplice,
uniforme di classazioni.

Storia d’Italia Einaudi 70


Cesare Lombroso - Genio e follia

E perciò parmi sopratutto utile che si elidano certi


termini imprecisi che non corrispondono ad una entità
patologica, come tabe, consunzione, inanizione, dolore,
ecc., sostituendovi altre parole che corrispondano a le-
sioni anatomo-patologiche, come ulcera intestinale, ecc.
È necessario ommettere certe malattie che la scienza
ci insegna ormai essere rarissime fra noi, come epatite,
cardite, ecc.
È d’uopo elidere le malattie dei bimbi, neonati o do-
dicimestri, le cui diagnosi non riescono pressoche mai
precise, e di cui la principalissima causa è l’entrata stessa
nel brefotrofio sì malamente detto pio. Volendo calcola-
re le malattie dei bambini, converrebbe almeno sempre
aggiungere l’epiteto infantile alla intitolazione del morbo
per poterle calcolare a parte.
Finalmente per aver un ufficio coscienzioso ordinato
ed uniforme di statistica medica converrebbe e’ fosse af-
fidato gerarchicamente, come lo è quello del vaccino, a
medici necroscopi di prefettura, di circondario e di co-
mune, gli uni dipendenti dagli altri, e tutti facienti ca-
po al medico della città capitale e questo alla giunta sta-
tistica. – In calce ai rapporti statistici medici mensili ed
annuali redatti su un solo modello (come sarebbe quel-
lo che segue) il medico necroscopo-statista dovrebbe ag-
giungere le cause generali influenti sul numero dei mor-
ti, e proporre i rimedj più adatti e più semplici per dimi-
nuirli; senza di che tutte queste cifre non riescirebbero
che ad un trastullo, aritmetico o burocratico.
Le proposte di questi medici mano a mano che venis-
sero trasmesse nei centri comunali, municipali, provin-
ciali dovrebbero esservi discusse ed attivate.
Ogni anno la giunta di statistica, raccogliendo dal me-
dico centrale i sunti e le proposte statistico-igieniche le
pubblicherebbe tenendo nota dei provvedimenti adotta-
ti o da adottarsi.

Storia d’Italia Einaudi 71


Cesare Lombroso - Genio e follia

Tutto ciò porterà qualche piccolo dispendio. Ma a


questo parecchi municipj già da gran tempo sottostaro-
no come Torino e le città lombarde, ed or ora Genova,
che hanno i medici comunali, i medici ispettori, necro-
scopici, ecc.
Il dispendio riescirebbe ad ogni modo lievissimo
quando si riescisse ad addossare ed ingranare questa ge-
rarchia necroscopico-statistica a quella già esistente pel
vaccino o per la sifilide.
Ad ogni modo una spesa che permette di stabilire
solidamente la cura preventiva a favore di uomini validi e
utili al paese, servirebbe a decremento di quella ben più
grande che si sperpera bugiardamente nelle così dette
opere pie, in cui non si fa quasi sempre che ospitare degli
eterni ed impotenti recidivi, i quali, ove fosse stato in uso
una cura preventiva, per esempio, ove si praticasse pel
cretinesimo, pel miasma palustre quanto si fa pel vajolo
ed ora coi bagni marini per la scrofola, non vi sarebbero
entrati giammai.

2
«... quella triste piaga e vergogna nostra della pellagra»

1
Eziologia, sintomi, profilassi

Ma mi conforta e m’accieca l’amore grande di questa


scienza medico-psicologica, a cui, se fortuna mi arrida,
tutta desidero consacrare la vita.
E qui io vorrei presentarvene dinanzi e spiegarvene i
non lievi pregi e l’alta importanza.
Non dirò come sia utile, anzi necessaria cosa, che ogni
specialità clinica, sia in questo Ateneo rappresentata e
preferita alle vaste, ma vane teorie; né come fra tutte

Storia d’Italia Einaudi 72


Cesare Lombroso - Genio e follia

le umane infermità, questa delle alienazioni per il suo


decorso, a prima apparenza, così dalle altre differente,
per la difficoltà della diagnosi, a cui vengono meno i
fisici mezzi d’analisi, e per la molta oscurità ed incertezza
nei metodi curativi – esiga ancor di più studi attenti e
speciali.
Ma noi qui in Lombardia abbiamo un’altra ragione.
Negli umili casolari delle nostre vallate, nei popolosi vil-
laggi delle nostre verdi pianure, serpeggiano, non abba-
stanza studiati ne combattuti, due tristi flagelli; la pella-
gra, vo’ dire, ed il cretinismo.
Non sono meno di 38 777 i pellagrosi e di 2000 i cre-
tini che la statistica ci rivelava nelle terre lombarde – ma
molti più sfuggirono ai non sempre solerti indagatori, e
molti furono colpiti da alcune altre crudeli infermità, che
sono con quelle due prime in diretta ed affine sequela,
come rachitide, l’osteomalacia, il gozzo, la corea, l’epi-
lessia, il tifo, il marasmo e la paralisi, ecc.
Tutti questi infelici non figurano ne’ nostri stabilimen-
ti, che per una picciola quota – i più s’accasciano mise-
ramente negli abituri delle nostre campagne, preda agli
schemi od alla fame, atti a null’altro che a propagarvi ed
eternarvi il lurido seme dei loro mali, guastando alla radi-
ce la prole robusta dei nostri coloni. Ora io confido che
studiate che siensi a fondo, e nell’eziologia, e nella lor
natura, e nelle lor conseguenze, coteste piaghe, non so-
lo riuscirebbesi a moderarne nei colpiti la bruttezza e la
ferocia, ma, con bene adatte igieniche misure, si giunge-
rebbe ad impedirne, nella nuova generazione, la propa-
gine e lo sviluppo, e quindi a farle pressoché sparire dal-
la nostra terra, come grazie all’igiene ben intesa cessava-
no le coree epidemiche e la lebra, triste retaggio dell’evo
antico e del medio.

Storia d’Italia Einaudi 73


Cesare Lombroso - Genio e follia

Diffusione della pellagra in Italia

Passeggiando sulle colline della Brianza e del Canavese,


vi sarà certo avvenuto incontrarvi in certi infelici simu-
lacri di uomini macilenti, dall’occhio immobile e vitreo,
dalle guancie gialle allibite, dalle braccia screpolate e pia-
gate quasi da scottatura o per larga ferita. Ecco voi li ve-
dete farvisi innanzi, crollando la testa e barcollando le
gambe come ubbriachi, o quasi spinti da una invisibile
forza, cadere da un lato, rialzarsi, correr in linea retta,
come il cane alla preda, e ricader ancora, dando in un ri-
so sgangherato che vi fende il cuore, od in un pianto che
vi par di bambino; pochi giorni dopo quel doloroso in-
contro sentite buccinare dagli oziosi del caffè rusticano,
fra le notizie di una campana che si rimette a novo, e di
una contadina che va a marito, come quel poveretto siasi
affogato entro una magra pozza d’acqua che non pareva
sufficiente ad annegare un pulcino; può essere invece, e
sarebbe ancor peggio, che vi sussurrino come egli abbia
freddato, senza alcuna ragione, i figli e la moglie...; senza
ragione, ho sbagliato, la causa ve la trovano subito, ben-
ché non vi comprendiate granché sulle prime. – Era un
pellagroso! E ve lo dicono colla massima indifferenza,
come se si trattasse, che so io, di un’infreddatura; – tan-
to poco anche fra noi, l’una casta si commuove alla sor-
te dell’altra e tanto facilmente il nostro cuore s’indurisce
alle vecchie sventure.
Eppure quel male è dei meno sopportabili, è dei più
atroci; che, non s’accontenta di guastare le viscere più
delicate dell’uomo, di offendere la pelle e l’intestino, il
cervello ed i muscoli, di spegnere, colla forza, la bellezza
e l’intelligenza; va oltre ancora, va fino a falciare, nel
germe, la prole.
Né si creda, come dai troppo felici abitatori delle città
nostre può sospettarsi, che si tratti di un fenomeno raro,
di uno spèttacolo doloroso, ma circoscritto a poche pla-

Storia d’Italia Einaudi 74


Cesare Lombroso - Genio e follia

ghe remote; – esso è tanto diffuso, che pure sommando


insieme i cittadini ed i ricchi borghigiani, che ne vanno
scevri, coi poveri agricoltori, che soli ne sono decimati,
se ne contavano, pochi anni sono (nel 1856),1 ogni 107
abitanti a Bergamo, 1 ogni 154 a Milano, 1 ogni 41 a Bre-
scia, 1 ogni 24 a Cremona, e d’allora in poi, fatta eccezio-
ne degli ultimi anni il male si vi estendeva sempre più,
diffondendo nella Valtellina, nell’Umbria, negli Abruzzi,
nel territorio stesso che attornia la nostra capitale. Era-
no nel 1839, infatti, 20282 pellagrosi di Lombardia; ora,
nel 1856 salivano a 38777; e nel 1869 a 40838. Il Veneto
da 20000 che ne dava nel 1853 e 1856, ne contava 29830
nel 1879.

La pellagra e l’alimentazione maidica

Tutte queste cifre, che controllano e completano quelle


raccolte nell’Inchiesta Ufficiale per opera del Miraglia,
messe a confronto colla carta della coltivazione del maiz
in Italia, pubblicata pure per cura del Ministero di Agri-
coltura, basterebbero di per se a dimostrare, oltre al suo
incremento, quello che già la storia della pellagra e la sua
patologia geografica19 così mirabilmente messa in luce da
Roussel nel suo grande Trattato sulla pellagra aveano ab-
bondantemente già fatto sospettare: essere la diffusione
sua in istretto rapporto e dipendenza col maggior uso del
maiz, specie sotto forma di pani o quando alterato, per-
ché le due quote vanno esattamente parallele20 .
Se si volessero avere novi dati in proposito a quelli ag-
giunti già, confrontasi la tavola grafica della pellagra in
Italia con quella sulla rendita del macinato del 2° pal-
mento 1877, quasi tutto (salvo l’Italia insulare e meridio-
nale) costituito dal maiz21 .
Si vede da questo che, tranne gli Abruzzi dove è
cominciato già l’uso del maiz, e pochissima è la pellagra,
e tranne Firenze, Arezzo e Siena, ove il consumo del

Storia d’Italia Einaudi 75


Cesare Lombroso - Genio e follia

maiz è scarsissimo, tutte le altre provincie in cui grande


è il numero dei pellagrosi, sono appunto quelle in cui
era forte il consumo del 2° palmento; completa è la
corrispondenza in Padova, Brescia, Cremona, Rovigo,
Ferrara, Novara, Lucca, Venezia, Bergamo e in tutta
l’Italia insulare.
Se non che nessun vero scienziato dubita più che un
rapporto tra maiz e pellagra vi sia; e perciò non vogliamo
insistervi.
Scarsezza d’azoto, ecc. Ma basandosi appunto su questi
dati, si crede da non pochi che la pellagra derivi dalla
scarsezza appunto di azoto in quel cereale, scarsezza
tanto più perniciosa per chi come il contadino (in cui
da tutti si ammette la maggior frequenza della pellagra)
è soggetto a maggiori sforzi muscolari.
Questa ipotesi si vuole giustificata dalla minore inten-
sità del male in coloro che più si alimentano di carne, i
cittadini ed i ricchi, e dalla preferenza non ancora scom-
parsa fra i fisiologi per le sostanze azotate in confronto
alle carboniose, che fa credere la loro scarsezza pericolo-
sa per l’umana salute. Io ho già dimostrato altre volte (
La pellagra e la pretesa insufficienza alimentare in Italia,
1880) come quasi tutti i proletari e tutti i contadini d’Eu-
ropa vivano di vegetali e senza danno, e così le plebi di
molti popoli assai laboriosi, come i Chinesi e i Giavanesi.
Si è parlato dell’uso esclusivo di un alimento come
causa della malattia; ma oltre che questa assoluta esclu-
sione in popoli che vivono in mezzo a frutteti, a lattici-
ni è un erroneo effetto o della mancanza di osservazio-
ne odi logica nella deduzione delle osservazioni stesse; io
l’ho mostrato erroneo in una serie d’inchieste sul conta-
do stesso nei punti più colpiti (C. Lombroso, Sulle con-
dizioni economico-igieniche dei contadini dell’alta e me-
dia Italia, Milano, Bernardoni, 1877, e meglio il Bodio in
quel suo bello studio Sui contratti agrari e sulle condizioni
materiali di vita dei contadini d’Italia, (1879).

Storia d’Italia Einaudi 76


Cesare Lombroso - Genio e follia

Che se oltre che della bontà chimica si voglia tener


conto della fisiologica, dell’assimilabilità, il maiz conti-
nua ad eccellere.
Né, del resto, è punto provato che un alimento che
contiene, come il maiz, in notevole quantità, non solo so-
stanze carboniose ma azotate e saline debba riesci re dan-
noso, anche se dato, per molto tempo esclusivamente.
Le esperienze agronomiche hanno dimostrato che ani-
mali nutriti di solo maiz ingrassarono e crebbero di pe-
so.
Insistiamo su questo, perché preoccupandosi di que-
ste influenze non vere si prendono delle false vie, le quali
impediscono di raggiungere lo scopo. È evidente, infat-
ti, che cogli scarsi mezzi di cui ponno disporre i governi
se si annette la stessa importanza profilattica a diffonde-
re l’uso di carne, fosse pure di coniglio, che ad impedire
l’ammuffimento del maiz si troveranno minori fondi di-
sponibili quando vogliasi provvedere di forni, di essica-
toi e di magazzini meccanici i paesi colpiti.
Solo, del resto, chimici male addottrinati possono so-
stenere una scarsezza eccessiva degli elementi più utili al-
la nutrizione quali gli idrocarburi e gli azotati nel maiz in
confronto ad altri cereali, mentre anzi è il contrario che
dovrebbe credersi solo che si esaminino le analisi date da
Konig, da Letheby, da Gühring.22
Una volta dimostrato che il maiz è un alimento tutt’al-
tro che insufficiente per sé23 , e che d’altronde le sostanze
azotate vi sono più digeribili che negli altri cereali, non
resta altra ipotesi se non che il maiz sia dannoso, perché
troppo facile a guastarsi. E questo emerge da tale serie di
documenti da parere fino superfluo il diffondervisi, spe-
cialmente nei paesi in cui la malattia è in istato nascente
od in recrudimento, o che sono contornati da paesi im-
muni ciò che rende più spiccato il confronto e più facile
l’induzione.

Storia d’Italia Einaudi 77


Cesare Lombroso - Genio e follia

Così in Udine dove una relazione attestava niun rap-


porto correre fra la pellagra ed il maiz guasto, succede
nel 1883 un’enorme recrudescenza della malattia; il nuo-
vo relatore, che se ne occupa sul sito, lo Zilli, trova che
l’innondazione del 1882 costrinse i contadini a mangiare
maiz putrefatto.
Così in Sissa, paese dove una Commissione officiale
dichiarava non usarsi maiz, malgrado infierisse la pella-
gra, io ho rinvenuto non usarsi che la meliga così det-
ta americana, mista cioè di quarantina nostrale e di este-
ra guasta dal mare, che si vendeva L. 5 lo staio invece di
L. 9 che costava la buona, venuta per cabotaggio; più il
paese, essendo esposto alle continue inondazioni del Po,
ha le poche sue raccolte di maiz quasi sempre guaste dal-
le inondazioni o dall’umidità che domina il paese (e che
predispone colla malaria e la scrofola all’altra infezione),
a cui si aggiunge l’uso di raccoglierlo immaturo; ed un ta-
le ivi mi dicea24 che invece di indagare chi ne abbia man-
giato di guasto si farebbe meglio a cercarvi chi non ne usi
o non ne abbia usato.
Il maggior numero dei pazzi pellagrosi osservato da
Ariani25 nell’Umbria dal 1854 al 1879 fu dato da Peru-
gia, 278, mentre eran pochi a Foligno, 11, a Orvieto, 9, 4
a Spoleto, 4 a Terni, nessuno a Rieti. Adriani trova una
delle cause del divario nel disboscamento avveratosi di
più nel circondario di Perugia, e che contribuiva all’umi-
dità e quindi all’ammuffimento del maiz; vi esclude affat-
to l’insalubrità delle abitazioni, essendo le più sucide nei
luoghi dove la pellagra non è insorta, e viceversa, e così
la qualità delle acque: di 148 sorgenti dei luoghi infesti,
9 sole essendoglisi offerte non buone, e così pure il vi-
no; che negli anni 1875-6, malgrado il suo buon prezzo,
la pellagra aumentò; e nemmeno vi può la miseria.
La pellagra non vi si trova in rapporto colla minore
quantità di ricolto. Nel 1860 e 1861, dopo 4 anni d’ab-
bondante ricolto di granturco e 2 di copiosissima produ-

Storia d’Italia Einaudi 78


Cesare Lombroso - Genio e follia

zione d’ogni genere, il numero dei pellagrosi fu maggiore


che nei precedenti, e nel 1862 in cui il prezzo dei gene-
ri, massime quello del granturco, era nuovamente accre-
sciuto. Però non v’ha dubbio che, dove la malattia esiste,
la miseria è l’occasione del suo sviluppo. Che se si svolge
anche fra i non miserabili, e perfino fra ricchi, più pre-
sto però si mostra nei poveri. Ma perché, si chiede l’A-
driani, la pellagra si ha nei poveri della campagna e non
in quelli della città? La fatica non strema forse del pari
le infralite forze del povero, quale che sia la terra che ei
trascina?
Resta unica e sola ragione della pellagra l’abuso nel
Perugino del maiz guasto.
Secondo persone meritevoli di fede, sarebbe questo da
certi padroni appositamente guastato, perché, diventan-
do di cattivo gusto, i contadini ne mangino meno. Cer-
ti altri, quando si guasta, lo danno ai contadini mescola-
to con del buono; più spesso lo fanno i fattori per altro
scopo, ed i mugnai sostituirebbero la qualità cattiva alla
buona (Cildroni).
I più poveri si cibano oltracciò di granturco in focaccia
molto erta e poco cotta in quantità di 1200 gr. di farina
che presto si guasta se anche sana, oltre che di legumi,
fave o di erbe ed in alcuni di ghiande. Non pochi nella
stagione calda usano minestra e pane misto di grano e di
granturco.
Così dall’inchiesta del Miraglia appare che molti co-
muni hanno tentato, ma non riescono ad impedire l’uso
del maiz guasto. Alcuni lo dichiarano apertamente: ad
Ivrea, per esempio, dicono: «Come impedire ai contadi-
ni, che non hanno altro raccolto che il maiz, di mangiar-
selo? Sarebbe sostituire la fame alla pellagra». E a Polo-
sella: «Per impedire l’uso del maiz guasto non basta il re-
golamento d’igiene, esso è venduto alle famiglie povere;
come inipedire vi si mangi?». E così a Candia.

Storia d’Italia Einaudi 79


Cesare Lombroso - Genio e follia

A Roma si accenna che i lavoratori dell’Agro romano


usano sempre maiz di scarto nell’inverno. A Cremona il
melicotto avariato, ne è la causa non piccola; a Ferrara
i contadini di Cento mangiano maiz per solito guasto;
a Rovigo (a Rosolina) mangiano maiz cattivo, avariato,
che viene dall’estero, e così a Badia Polesine, a Guardia
Veneta ed a Polesella.
A Sant’Apollinare si accusano (inchiesta Miraglia
1885) i signori di cambiare il maiz buono in cattivo; a
Piacenza si accusa il cattivo maiz che viene dall’Unghe-
ria, specialmente a Fiorenzuola d’Arda ed altrettanto ad
Arezzo ed a Siena, per quanto le notizie ne sieno po-
co abbondanti. A Città della Pieve, a Lucca, a Chiog-
gia, i proprietari separano il maiz buono dal cattivo, e
quest’ultimo lo dànno ai coloni in conto di roba buona
(Idem).
Una nuova prova indiretta e pure gravissima è lo sce-
mare improvviso della diffusione della pellagra in parec-
chie delle regioni più infette, in contrasto al suo diffon-
dersi nelle regioni meno colpite, e ciò per i provvedimen-
ti efficaci, specialmente per gli essiccatoi che il governo e
il paese seppero applicare nei primi dopoché la cognizio-
ne di questa causa specifica venne assodata, come meglio
vedremo nella parte ultima.
Perché si guasti il maiz Per intendere perché si guasti sì
facilmente questo cereale basta ricordare che la quantità
di grasso (63% del proprio peso, più dei 2/3 del grasso
tutto il grano) raccolto nella porzione embrionale del
maiz, porzione la più esposta all’aria, perché sprovvista
di perisperma, predispone più degli altri cereali il maiz
all’irrancidimento, quando sia esposto all’umidità; ora
questo grano venutoci dalle terre calde ed asciutte del
Messico, in molte piaghe matura tardi e male, e non si
può coglierlo se non a stagione inoltrata, da quando la
pioggia autunnale si rovescia in gran copia sui campi
e sulle aie; oppure si guasta venendo per cabotaggio

Storia d’Italia Einaudi 80


Cesare Lombroso - Genio e follia

esposto all’acque del cielo e del mare. Talvolta poi i


nostri magazzini sono di così triste fattura, che la pioggia
spesso vi s’infiltra e li bagna eziandio assai tempo dopo il
raccolto; ed ecco venire l’estate, l’epoca della bollitura
del grano, e questo allora se non viene a sufficienza
ventato, bolle e poi putrefà. Qualche volta il marcio è
nella farina, e ne è la causa non rara il mugnaio, che fa
scorrere vapore acqueo sulla turbina in movimento, così
egli ne aumenta il peso, ma ne facilita e provoca sempre
più l’ammuffimento.
Peggiore è il danno che viene dalla confezione di
quelle poco sane farine in pani grossi (pan giallo) come
tonde di formaggi sì che la cottura non vi passa la crosta,
e la parte interna restatane tutta umida, in pochi giorni
va a male. S’aggiungano le frodi del fornaio, ahi! molte
volte più tutelate che impedite dal sindaco rusticano, e
le avare angherie di certi padroni; ma bisogna sopratutto
ritenere causa principale l’umidità.
Ma si domanderà perché in Italia sono così poco dif-
fuse anche nelle alte classi queste cognizioni sulla cau-
sa della pellagra, e solo per ultima ipotesi sia ammessa
quella del maiz guasto?
Molte ne sono le ragioni:
l) Il pubblico non è vero che afferri sempre subito la
verità: è il contrario che si potrebbe dire; quando gli
si presenti una ipotesi che abbia un aspetto di serietà,
che lusinghi le sue passioni, e la cupidigia ne è una
principalissima, egli la preferisce a tutte le altre.
2) I clinici più discinti risiedono in città e non nelle
campagne e non possono farsi un’idea giusta del morbo
e delle sue cause.
3) Anche i buoni osservatori delle campagne sono
deviati dal vero da molte cause: la pellagra in alcuni
casi è ereditaria e non ha più rapporti col maiz, altre
volte essa infierisce in chi è predisposto dalla mal’aria,
dall’alcoolismo, dal puerperio, dai dispiaceri morali, ed

Storia d’Italia Einaudi 81


Cesare Lombroso - Genio e follia

è allora facile il prendere una causa concomitante per la


determinante.
E già nei nostri casi si vede che nei paesi in cui la
pellagra è comparsa da poco e non invade le intere
popolazioni, come p. es. ad Asti e poco tempo fa a
Roma ed a Perugia, e come ora in Calabria, si afferrava la
causa assai più recisamente, limitandola al maiz guasto,
che non nei paesi, come Milano, Bergamo, ecc., dove
la malattia infierisce da secoli e vi si è così complicata e
mascherata da tante altre malattie.
Ma si chiederà: Se il maiz ammorbato è causa della
pellagra, perché non ce l’accennano mai i colpiti e perché
v’è tanta difficoltà a rinvenirne? La causa è, da una par-
te la vanità e l’ignoranza e l’eccessiva docilità dei poveri
consumatori, dall’altra la tristizia dei venditori. Di maiz
ammorbato se ne trova per tutto, nei fondachi di ogni
grosso mercato di grano, anzi anche nei fondachi muni-
cipali; ma voi nol troverete che quando ivi siete presen-
tato da tali raccomandazioni, che assicurano voi non an-
darvi per indagini officiali od officiose, altrimenti i pro-
prietari ed i custodi vi negano ostinatamente di averne,
per tema che non indagini scientifiche, ma poliziesche, vi
spingano alla ricerca.
Così mi avvenne quando io faceva le mie prime espe-
rienze sugli olii egli estratti del maiz guasto; avendo sa-
puto che ad Ancona n’era arrivata una grossa partita dai
Principati [danubiani], feci richiesta per averne due sac-
chi e mi fu risposto, sospettando forse che potessero ser-
vire per indagini sanitarie, che due non ne davano, ma
che ne avrebbero venduto 50; così a Sissa la Commissio-
ne Ufficiale della pellagra e il Consiglio Sanitario Provin-
ciale avevano dichiarato non essere la pellagra in relazio-
ne coll’uso del maiz, essendovi anzi i contadini di tanta
delicatezza che non mangiavano del frumento se non so-
praffino. Ora io andando sul luogo trovai per tutto usa-
ta una certa meliga americana o meglio danubiana, com-

Storia d’Italia Einaudi 82


Cesare Lombroso - Genio e follia

pletamente guasta, e che vendevasi a minimo prezzo, lo


rivelai ai Consiglieri sanitari di Parma, e negandolo essi
recisamente li condussi io, ivi, dai due granaioli princi-
pali, dove, appena ci declinammo negozianti, ci furono
offerte centinaia di sacchi; ma fino a che ci eravamo pre-
sentati come Consiglieri sanitari non fu possibile trovar-
ne un chicco.<7p> Qualche volta il grano introdotto in
commercio pare sano e non lo è, avendo appreso non so-
lo i mercanti all’ingrosso, ma gli stessi massari a dissimu-
larne la malattia col farlo ventare e poi passare sul gesso,
onde resti ricoperta la punta sbocciata o verdognola del
grano.
Altri, senza altra preparazione, lo mettono in vendita,
mescolandolo al buono, e nascondendo il peggiore al
fondo del sacco.
Qualche volta il maiz ammorbato viene in sì piccola
copia introdotto nell’alimento generale, sopratutto frodi
dei mugnai, che il contadino non se ne accorge, e quindi
è nell’impossibilità di attribuire i suoi mali a questa cau-
sa. – L’ignoranza sua, su questo riguardo, non farà, del
resto, maraviglia al pratico, che sa quanto [in] rapporto
alle cause anche più patenti del proprio male, l’uomo, e
specialmente l’uomo dei campi, sia inclinato ad inganna-
re se ed i medici. Quanti sifilitici non parlano di ferite
che sarebbero cagione dei loro mali, quante mamme di
scrofolosi accennano i pretesi traumi a paure come a sola
causa degli ascessi dei loro bimbi? – Che sarà poi qui do-
ve la questione è controversa anche fra i dotti, e dove a
diffondere l’errore molti medici sono spinti alla comoda
scusa che ritrovanvisi alla loro colpevole inerzia?
Gli errori de’ secoli passati formano il peculio dei
pregiudizi del popolo; così ora il popolo inneggia al
defunto metodo antiflogistico. Che maraviglia, se esso,
ugualmente, abbia adottato la teoria dei vecchi medici
sull’origine erpetica o solare o scorbutica della pellagra. –
A Verona, a S. Michele i contadini credono che la causa

Storia d’Italia Einaudi 83


Cesare Lombroso - Genio e follia

della pellagra sia nei raggi del sole, che ardono la pelle; a
Parma che sia nell’umido; a Vicenza che sia nell’erpete. –
Sono le vecchie teorie scientifiche ora divenute retaggio
delle plebi.
Dissi della vanità come causa delle nostre dubbiezze,
e ne ho ben donde. – Nel Cremonese, p. es., guai al
medico che osi dire al contadino, che egli ha la pellagra
– egli potrebbe riceverne qualche brutta risposta. Egli
ha il salso, un erpete accidentale, non mai la pellagra.
Esso certo non si metterà sulla strada di fare la diagnosi
giusta26 – Certo questo dipende perché, ivi, la pellagra
passa per sinonimo di pazzia, male che nessuno vuol
ammettere di avere, nemmeno in famiglia, e meno ancora
quando non esistono ancora i sintomi.
Di più, dappertutto il misero, che è vano come qua-
lunque altro mortale, vorrebbe figurare di mangiarselo
sano, almeno quel maiz, che è l’unico suo piatto; ed egli
dissimula spesso al richiedente di averlo dovuto mangia-
re guasto, per vergogna dell’estrema povertà, di cui quel
fatto è indizio: tanto più che qualche volta la malattia del
maiz o da trascuranza ed imperizia nel raccolto e nell’a-
sciugamento, o, che è peggio, da qualche sua frode.
Molti contadini, siccome non ne furono posti in av-
vertenza dal medico, e siccome relativamente i disturbi
prodotti, sulle prime, dal maiz malato non sono gravissi-
mi, ne presentano analogia stretta coi fenomeni della ve-
ra pellagra, non possono accorgersi della correlazione tra
il male della pellagra e il maiz guasto, e quindi non gliene
fanno accusa.
Ma v’ha di peggio. – Da alcuni, ignoranti affatto dei
suoi effetti, il grano malato è preferito al sano non so-
lo per la minore spesa, ma pel gusto piccante, aromatico
che dà, quando è in piccola quota, al pane, ed è mesco-
lato perciò deliberatamente al sano. Un altro mi diceva
che esso facilitava la digestione. Un fatto simile avvenne
della segale cornuta nelle Landes, ove Costallat dice che

Storia d’Italia Einaudi 84


Cesare Lombroso - Genio e follia

era preferita dai contadini per il sapore forte, piccante


che comunica al cibo.
Altre volte è vero che la pellagra non infesta un paese
malgrado l’uso continuato del maiz, ma le circostanze
locali, che influirono sulla integrità di questo, non furono
abbastanza messe in rilievo. E giova metterle in chiaro.
Perché, si chiede Jacini27 , la pellagra, in Lombardia,
non si manifestò che tardissima e scarsa nei paesi di
montagna? Perché i mezzi di trasporto dalla pianura
erano, un tempo, molto costosi; e quando una merce
costa non si vende cattiva.
Allora non aveva luogo l’importazione del gran turco
dal mar Nero, che si può dare tutt’al più ai maiali.
Posteriormente, la facilità dei mezzi di trasporto indusse
i valligiani più disagiati a far ricerca di granturco di basso
prezzo, e quindi degli scarti del granturco non maturato
del mar Nero.
Col granturco avariato fu così introdotta in quelle
valli anche la pellagra, che sin allora non aveva potuto
penetrarvi.
Quanto alla bassa pianura lombarda una principalis-
sima causa sta nel granturco quarantino, che quando la
stagione autunnale non riesce straordinariamente sere-
na, non giunge a maturare, e, quand’anche maturi, non
ha modo di asciugare.
E siccome diviene più facile vendere merce sana che
non avariata, così, se di questa ce n’è, si procura di con-
sumarla in casa, distribuendola ai contadini disobbliga-
ti, a cui una parte del salario si corrisponde in natura.
I contadini obbligaci poi ricevono, in natura, una parte
aliquota di granturco per diritto di zappa. Se una certa
quantità di quarantino non è ne maturata, né stagionata,
essa cade egualmente nella ripartizione, e i contadini so-
no troppo poveri per far gli schifiltosi davanti ad una so-
stanza alimentare, che da essi si conosce essere scadente,
ma che né da loro, né dai conduttori si crede venefica.

Storia d’Italia Einaudi 85


Cesare Lombroso - Genio e follia

Anche Biella, citata giustamente dalla Commissione


Piemontese come esente dalla Pellagra, si ciba, è vero,
di maiz, ma la emigrazione, l’industria di quella vera
Manchester del Nord vi hanno introdotto anche nel più
basso ceto una relativa agiatezza, quindi il maiz malato si
rifiuta, né si mangia in pani.

Indagini chimiche sul maiz guasto

Osservando i grani di maiz guasto che proveniva dai


Principati, per cabotaggio, posti in digestione nell’alcool
a 90°, trovasi che da biancastri che erano assumono un
color rosso tanto più intenso, quanto più lunga era la
durata dell’immersione; e così pure che l’alcool diventa
sempre più rosso.
Trattando in egual modo dei granelli di maiz sano28 ,
io e Dupré osservammo che questi non presentavano,
anche dopo due mesi, alcuna diversità di colorazione, e
che l’alcool si era solo tinto in giallo-citrino.
Dalla tintura del maiz guasto abbiamo potuto29 sepa-
rare tre sostanze diverse:
La prima, liquida alla temperatura ordinaria, di un
colore rosso rubino, di un sapore estremamente acre ed
amaro, di un odore pronunciatissimo di maiz guasto, [...]
noi siamo portati a credere non essere altro senonché
la parte oleosa del maiz modificata e colorata da una
materia rossa che si può separare dalla soluzione eterea
colla potassa caustica.
Quest’olio per maggiore brevità e chiarezza lo deno-
mineremo in seguito olio rosso di maiz guasto.
La seconda sostanza, anch’essa di colore rosso bruno,
di consistenza vischiosa, di sapore amarognolo nausean-
te, è neutra alle carte di tornasole; è solubile nell’alcool
diluito, insolubile nell’alcool assoluto

Storia d’Italia Einaudi 86


Cesare Lombroso - Genio e follia

Chiamammo questa sostanza, pelagrozeina o sostanza


tossica del maiz guasto, perché, come vedremo, è attivis-
sima.
La terza sostanza da noi isolata, sotto l’azione dell’e-
tere si rapprende in massa, che diviene di una durezza
cornea, quando rimanga a contatto dell’aria.
Questa, per la solita ragione, chiameremo sostanza
glutinosa del maiz guasto.

Esperienze bacteriologiche

Per quanto ancora incomplete già le ricerche crittogami-


che, ma sopratutto le chimiche, facevano già sospettare
che non stesse nella serie numerosa, ma quasi tutta in-
nocua, di rnicrorganismi che infettano il maiz se non la
causa indiretta e lontana del morbo pellagroso mentre la
causa immediata era nella trasformazione chimica, mole-
colare, del maiz che avveniva sotto la loro influenza.
È inutile indugiarsi sull’innocuità del frequentissimo
penicillum.
Infatti fin dal 1871 avendo somministrato mezzo
grammo di sporidi del penicillum glaucum del maiz a
3 persone non ne osservai nessuna azione meno sapore
metallico e bruciore alla faringe. Io stesso essendomene
fatto fare una iniezione sottocutanea di 20 cg. non eb-
bi che una infiammazione locale. Due topi nutriti per 20
giorni di penicillum glaucum tolto dal pane di maiz, di-
magrirono, ma non ebbero nessun sintomo della pella-
gra.

Tintura di maiz guasto

Una volta appurato che non era dell’uno più dell’altro


bacterio al cui sviluppo nell’organismo animale si potes-
se far rimontare l’intossicamento pellagroso, ma sì alle
trasformazioni chimiche del parenchima del grano, ed

Storia d’Italia Einaudi 87


Cesare Lombroso - Genio e follia

una volta osservato che la sostanza tossica più importan-


te, e anche l’olio che è pure quasi altrettanto nocivo, si
contengono nella tintura di maiz, mi parve che la miglior
via di studiare l’azione di questi ultimi era quella di espe-
rimentare la tintura stessa, tanto più che era quella che
più si addattava alla somministrazione ad uomini.
Somministrai la tintura di maiz guasto da penicillum
glaucum per bocca per una lunga serie di giorni a 12
individui abbastanza robusti e sani, che vivevano in città
e dovevano affaticarsi, come operai e soldati, per tutta la
giornata e non godevano di lauto, ma di sufficiente vitto.
In queste esperienze noi vidimo predominare dopo i
fenomeni delle prime vie, diarrea, voracità, schifo del
cibo, inappetenza, enteralgia, rutti, feci molli, anche
sintomi cutanei, come il prurito, le punzecchiature alla
cute, il senso d’acqua calda, lo scottore, l’eritema, la
desquamazione delle parti esposte al sole, la comparsa di
efelidi, foruncoli, acne e la scomparsa di vecchia psoriasi.
Vengono poi dietro i fenomeni del sistema nervoso e
muscolare – sonnolenza, piacere vivo al veder l’acqua, e
voglia d’immergervisi, dilatazione della pupilla, cefalea,
fracasso agli orecchi, stanchezza straordinaria, diminu-
zione della forza muscolare, ptosi della palpebra supe-
riore, nebbia negli occhi; e perfino i fenomeni psichici –
diminuzione dell’affettività, melanconia senza causa.
Ma due altre serie di effetti mi colpiscono nello studio
di questi casi, l’azione sul cuore e quella sui reni.
Si notarono pure degli effetti sulla congiuntiva palpe-
brale.
Si notò infine quale rapida denutrizione sia prodotta
dal maiz ammorbato, posciaché si trovasse, dopo pochi
giorni, diminuzione sì grande del peso del corpo.
Si sarà osservato pure che, benché le esperienze vol-
gessero in così piccolo cerchio d’individui, pure svilup-
parono in essi una grande varietà di fenomeni, negli uni
predominando l’azione sul cuore, negli altri sulla cute,

Storia d’Italia Einaudi 88


Cesare Lombroso - Genio e follia

negli altri sul sistema nervoso; e come negli uni i sinto-


mi sieno stati tardissimi a svilupparsi, negli altri si svol-
gessero con spaventevole rapidità; – come in due, infine,
fossevi completa immunità dal veleno.
La diminuzione del peso variò dai 2 ai 7 e ai 10
chilogrammi, e l’aumento dai 3 ai 4. In un individuo
l’aumento del peso si giustificò colla guarigione di antica
psoriasi, in altro colla grande voracità, che l’obbligava a
divorarsi un mezzo chilo di pane di più al giorno.
I fenomeni gravi, nervosi o cutanei, comparvero in
alcuni alla quarta dose, in alcuni alla settima, in alcuni
dopo due mesi; due individui si mostrarono insensibili
al veleno. In un individuo invece, robusto del resto,
si mostrò una vera intossicazione acuta, con dilatazione
della pupilla, sincope e profusa diarrea. In un altro si
notò un catarro acuto dello stomaco.
Alcuni disturbi perdurarono dopo due mesi e mezzo,
e in uno perfino 9 mesi dopo che si era sospeso il rime-
dio, e si dissiparono dopo alcune dosi arsenicali.
Sopra 6 individui, grandi bevitori, che presero la tin-
tura, 2 restarono quasi insensibili al veleno, e 2 perdura-
rono più a lungo degli altri prima di risentirne l’azione.
Avendo, per un caso fortunato e troppo raro nelle ri-
cerche scientifiche, trovato che uno delli 12 esperimen-
tati migliorava, sotto l’uso della tintura, da una vecchia
psoriasi, ho potuto completare queste esperienze con 45
altre, somministrando la medesima tintura o l’olio diret-
tamente cavatone – internamente od esternamente, – ad
individui affetti da malattie cutanee, aiutato in ciò da
Tizzoni, Benasti, Poiteaux, Scarenzi, Husemann, Cortes,
Gamberini, Zambon, Generali, Bergonzoli.
Questi casi [...] ci mostrarono la guarigione di 4 [...]
e il miglioramento di 6 su 13 psoriasi, la guarigione di
una pitiriasi [...], di 7 su 7 eczemi [...], di due ectimi
[...] e di una scrofulide eritematosa [...]; e ciò assai più
sollecitamente nei ragazzi e nei giovani [...], ma pure

Storia d’Italia Einaudi 89


Cesare Lombroso - Genio e follia

ancora in quell’età senile [...] in cui le malattie croniche


per solito più non guariscono.
Ma quello che più importa nel nostro caso è di consta-
tare l’analogia dei fenomeni pellagrosi con quelli offerti
dai nostri esperimentati. poiché in questi ultimi si ripro-
ducono, non solo, come nei primi e negli animali, alcu-
ni fra i molti sintomi della pellagra, ma, sì bene, i sintomi
tutti più caratteristici di quel terribile morbo.

Sintomi patologici del morbo pellagroso

Non abbiamo il còmpito di descrivere qui tutti i fenome-


ni sintomatologici della pellagra, ma però, potendo na-
scere il dubbio che alcuni dei fenomeni ottenuti speri-
mentalmente non coincidano con quelli della pellagra,
faremo brevemente notare alcuni dei caratteri, che un
esame attento dei pellagrosi ci fece rilevare e che hanno
una esatta coincidenza con quelli sperimentalmente ot-
tenuti non che con quelli annotati dai grandi pelagrologi
dei tempi scorsi.
Varietà topografiche della pellagra Un fatto assai singo-
lare mi balzò subito all’occhio, nello studio di 600 pel-
lagrosi, ed è che parecchi dei sintomi della pellagra, che
si notano con insistenza in alcuni paesi, mancano, quasi
affatto, in alcuni altri.
Così, nella Provincia Pavese abbondano le contratture
degli arti e la tendenza al mutismo.
Nella provincia di Verona sono frequentissime le ano-
malie della pupilla; invece le complicazioni maniache vi
sono meno frequenti. Certo la pellagra, detta pelandria
o salso, non ha mai assunto tra il popolo quel significato
di pazzia, che ha nelle terre Pavesi, Cremonesi e Brescia-
ne; anche il sapor salso della bocca ho trovato esser più
frequente nel Veneto e nel Tirolo che non nella Lombar-
dia, ove pure ai tempi di Strambio era comunissimo; più

Storia d’Italia Einaudi 90


Cesare Lombroso - Genio e follia

comune ivi è anche il dolore infradorsale, e la dilatazione


dei vasi capillari della cute, e più raro lo scorbuto.
Nel Trentino ho trovato rare le alienazioni, e invece
frequentissime le albuminurie, e sopratutto le tisi, che
si rinvengono invece per eccezioni nelle altre regioni; e
da questo lato mi par si possa ravvicinare la pellagra del
Tirolo a quella dei tempi addietro, in ci i nostri vecchi
trovavanla così frequentemente associata alla tisi.
Nel Mantovano mi ha colpito a frequenza delle ano-
malie craniche, che non si riscontrano invece nelle al re
regioni.
Nell’Agro Milanese il pellagro va soggetto ad accessi
epilettiformi, che sono rarissimi nel vicino Agro Pavese,
e non si osservarono mai nel Tirolo.
Nel Reggiano lo scorbuto è la complicazione più co-
mune dei pellagrosi.
In Toscana invece è frequentissimo fra essi il pterigio.
Il numero delle mie osservazioni, però, è ancora co-
sì limitato, che vorrebbe essere un grave errore quello di
precipitare, da queste soltanto, un giudizio deciso. Tut-
tavia i fatti annunciati metteranno altri più fortunati sul-
la via per accertare definitivamente, se esistano anche in
grande scala queste curiose differenze, che fino ad un
ceno punto potrebbero spiegarsi per la varia qualità del
grano o del companatico, di cui si cibano i contadini,
e per le influenze del clima e della razza. Così per es.
una razza esposta a cause, che indeboliscono l’innerva-
zione del gran simpatico, è facile che, divenendo pella-
grosa, presenti la dilatazione e l’ineguaglianza della pu-
pilla. Una razza esposta per la malaria alla leucemia, alla
dissenteria, presenterà più facili le diarree e le anemie.
Varietà individuali della pellagra Come vi hanno dif-
ferenze tra paese e paese, ve ne hanno anche tra indivi-
duo e individuo, cosicché in nessun altro morbo si po-
trebbe meglio dire che in questo: – non esservi malattie,
ma malati.

Storia d’Italia Einaudi 91


Cesare Lombroso - Genio e follia

Un proverbio, assai curioso, ho potuto raccogliere su


questo proposito nella capanna di un povero pellagroso,
in vicinanza della Chiusa Trentina, proverbio che nello
stesso tempo mostra, come questa verità sia già ricono-
sciuta dal popolo, ceno purtroppo per una assai lunga
esperienza.
«Dela pellagra – sentenzia il proverbio Veneto – che
ne xe de sette sorte:

Quella che tirà matt


Quella che tira all’acqua
Quella che tira indrè
Quella che fa scavezzo (andar curvo)
Quella che fa fare i pirli (vertigini)
Quella che fa mangiare
Quella che fa pellar e c...».

Vi sono pellagrosi, in cui nullo è il disordine della


pelle e degli organi digerenti, grandissimo quello della
motilità, – che soffrono solo di continue vertigini, – e di
indebolimento generale.
Ve n’hanno, in cui tutta la fenomenologia consiste in
gravi alterazioni psichiche, della motilità o della sensibi-
lità, per cui soffrono punture, pizzicore – pellagra cere-
brale, gangliare o spinale.
Ve n’hanno, che si distinguono per un rapido e straor-
dinario dimagrimento – pellagra atrofica.
V’ha la gastrica, con ribrezzo del cibo, indigestioni,
diarree, o stitichezza, o voracità accessiva, – e la cuta-
nea, con coloramento per tutta la pelle, con eritema o
foruncoli od erpeti.
Ve n’ha una, che si distingue per un singolare eccita-
mento dei genitali.

Storia d’Italia Einaudi 92


Cesare Lombroso - Genio e follia

Pessima, fra tutte, e fortunatamente più rara, quella a


decorso florido, precipitoso, e che si potrebbe chiamare
– pellagra florida, o meglio tetanica.
Ed anche nell’esperienze fisiologiche noi vedemmo
comparire la forma paralitica, ora la tetanica nelle stesse
specie di animali, nutriti o meglio intossicati collo stesso
alimento guasto.
Fenomeni psichici, idromania e sitofobia pellagrosa È
difficile, nello studio dei fenomeni psichici dei pellagrosi,
lo scernere le anomalie prodotte direttamente dal morbo,
e quelle che vengono da accidentali complicazioni, e
specialmente dalla pazzia; e peggio quelle, che sono
prodotte dalle tristi condizioni di quegli infelici, i paria
delle terre Lombarde, in cui la melanconia non ha, pur
troppo, d’uopo di cause morbose per isvilupparsi.
Mi pare che un carattere di molti pellagrosi anche ra-
gionanti, e più alienati, è una maggiore impressionabili-
tà morale; una maggiore eccitabilità psichica che corri-
sponde alla maggior motoria già sopra notata; un picco-
lo insulto, una minaccia di lieve pericolo, li fa trascende-
re, benché, apparentemente, prima serbassero mente sa-
na. – Così una si crede dannata, perché perdette messa;
– un altro si dispera, perché un amico, cui prestò una pi-
stola, non volle più restituirgliela, e la disse sua, ed im-
pazza; – una sente le compagne, che la burlano per il ve-
stito, e ne impazza di dolore; un’altra, solo che il marito
pescatore ritardi di pochi minuti, dà in grandi smanie.
Questo è un carattere comune agli alcoolisti e ai para-
litici in primo stadio, e risponde a quella legge, che vuole
che un organo debole più facilmente soffra e si irriti. E
questa, forse, è una delle cause, per cui il volgo, che sta
sempre alle prime parvenze dei fenomeni, crede spesso
la pellagra prodotta da cause morali.
In genere negli alienati pellagrosi raro è il perverti-
mento degli affetti; più spesso anzi notai l’esagerazione;

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sicché anche da questo lato si accostano ai paralitici, qua-


si sempre affettuosissimi verso i loro parenti.
Molti si lagnano di perdita della memoria, e di debo-
lezza di mente, che cessa nel letto o stando supini. In al-
cuni pochi invece (e ciò mi rammentò la lucidità psichi-
ca, che accusarono alcuni esperimentati col maiz awele-
nato) osservai, che il morbo stesso, come suolsi qualche
volta notare nei pazzi, esaltava le facoltà psichiche.
Qualche volta i sintomi del delirio sembrano prendere
le forme vere della melanconia, e più raramente della
monomania. Così ho incontrato una donna, figlia e
nipote di pazzi pellagrosi, che essendo stata derubata,
e avendone accusato non troppo giustamente un tale,
temeva di doverne essere perseguitata; impazzì, e corse a
nascondersi entro un tombino, stando nell’acqua per tre
giorni, senza mangiare e senza moversi; ripresa, fuggi con
un suo fedele cane in un bosco, dove visse 20 giorni come
una selvaggia, facendo capanne colle frasche, mangiando
ghiande, e fuggendo a tutta gamba alla vista della gente.
Ma queste sono eccezioni, e che ben potrebbero, co-
me sospetta Verga, esser casi di monomania innestata in
pellagrosi. In genere anche quando la mania pellagrosa
assume un tipo, coglie più quello del delirio sistematiz-
zato, che non della paranoja; [...]
Un carattere assai più comune della mania pellagrosa è
una reale e, più spesso apparente, stupidità, un mutismo
ostinato. Ei stanno raggomitolati, immobili, quasi cer-
cando sfuggire, il più possibile, non solo i contatti socia-
li, ma quasi la vista della luce; sol che, se quel letargo per
qualche circostanza venga interrotto, noi siamo fatti ac-
corti, non essere quella un’abolizione, ma solo un irrigi-
dimento delle facoltà, che pur essendo integre, non pon-
no esplicarsi: ed essi vi confidano, allora, che stan così ta-
citi, perché non ponno far altrimenti, – che li perdonia-
te; – che capiscono che vi adoperate per loro. Ovvero in-

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terrompono i lunghi accessi di questa catalessi psichica,


con una verbosità senza fine.
In alcuni poi invece di mutismo, di tristezza, vi è una
gaiezza continua, senza causa, o una attività esagerata;
e’ seguitano a ripetere cene frasi, certe grida, certi canti,
con un’insistenza alle volte insopportabile, e che li fa, in
questo, simili agli alcoolisti.
Molti avvertono allucinazioni, soprattutto chenesteti-
che, e che dipendono ceno dalle condizioni anormali dei
loro visceri: abbruciano; – hanno nello stomaco dei cani;
– vedono acqua per tutto, e sentono voci, che loro dicono
di annegarsi; – sono morti. Ma in genere il delirio loro ha
un carattere sfumato, contraddittorio, come nelle manie
senili ed anemiche, e in questo poi differiscono dagli al-
tri pazzi, che non hanno quasi mai lunghi parossismi, che
durino molti giorni di seguito, ma sì bene temporarie e
deboli recrudescenze.
Due caratteri particolari alla pellagra sono la sitofobia
e l’idromania.
Sitofobia La sitofobia è in alcuni causata dalla perver-
tita innervazione del ventricolo, di cui l’inappetenza e
la voracità esagerate sono indizio chiarissimo; e diffatti
molti vi dicono, nel rifiutare il cibo, che si sentono come
un gruppo all’epigastrio, e che [non] ponno mandar giù
il cibo.
Idromania Un fenomeno caratteristico della pellagra è
la così detta idromania. Io l’ho studiata in molti indivi-
dui, e parmi poter asserire, che parta da cause più com-
plesse e contradditorie, che non paia sulle prime.
1) In alcuni la passione per l’acqua esiste veramente,
ed è giustificata dal senso di scottore generale della cute,
che si allevia coll’uso dell’acqua fredda.
2) In altri l’idromania non ha un rapporto col senso di
scottore, ma parebbe dipendere quasi direttamente dal
vivo piacere che provano alla sensazione dello specchio
lucido dell’acqua, certo per qualche particolare modifi-

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cazione della retina, che li fa simili in questo ai ragazzi,


ed ai dementi paralitici; è un’impressione forte, che rie-
sce forse a scuotere più vivamente e quindi più piacevol-
mente un organo indebolito.
3) In altri l’acqua non solo non è desiderata, ma eser-
cita un profondo ribrezzo, perché la sua vista determi-
na la vertigine, già così facile nei pellagrosi. Se non che,
quest’avversione è mal compresa dal più degli osserva-
tori, e perché ei vedono effetti così contrari, come quel-
li dell’annegamento; e perché gli infelici esprimono col-
la frase «l’acqua mi tira» quella specie di vertigine, che
l’acqua cagiona loro.
Per convincersene, però, bisogna analizzare meglio le
loro espressioni. Uno mi diceva per es.: «Quando ve-
do l’acqua, mi vengono foschi gli occhi, mi viene nau-
sea; quando sono sul ponte, cerco di chiudere gli occhi
e camminare nel mezzo, perché altrimenti cadrei». Un
altro mi diceva: «Quando vedo l’acqua, cerco di chiu-
dere gli occhi ed aggrapparmi ad un albero o ad un pi-
lastro, perché se no, mi sento tirare verso l’acqua stessa
e cadere». – Un altro mi confessava: «Se al veder l’ac-
qua non chiudo gli occhi, essa mi fa piegare il capo verso
lei, e non posso più sbrigarmene. Qualche cosa di simi-
le provo delle volte, quando sono pei campi, dove se non
posso aggrapparmi ad un albero, spesso sono costretto
ad andare in direzione opposta al mio intento». Eviden-
temente non è un’attrazione per l’acqua, che fa annega-
re questi individui, è un effetto opposto. È l’impressione
troppo viva dell’acqua, che, come lo specchio, in alcune
donne delicate, desta nausea, abbarbaglio e vertigine, e
le fa quindi cadere.
4) In alcuni il suicidio per annegamento non accade
già per odio della vita, ma per obbedire ad allucinazioni,
le quali presero radice probabilmente in reminiscenze
piacevoli idromaniache.

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5) Alle volte il suicidio per annegamento accade per


una specie di moto automatico, d’impulso istintivo, co-
me negli epilettici sotto l’accesso. Essi non sanno per-
ché lo facciano, e sottratti all’occasione, non rinnovano
in nessun altro modo il tentativo di suicidio.
6) Alcuni si gettano nell’acqua non per sommergervi-
si, ma per mitigar alcuni sintomi paresici, ed intanto pre-
si da vertigine vi affogano. Io conobbi un robusto pel-
lagroso, che non potea escreare, né mingere, se non en-
trava nell’acqua della roggia, che sola riesciva ad eccitare
gl’indeboli[ti] moti reflessi.
7) Finalmente in alcuni il suicidio accade per ferrea
determinazione della volontà, per isfuggire a sensazioni
dolorose, che li tormentano crudelmente; e nell’esecu-
zione sonovi aiutati da un profondo pervertimento del-
la chenestesi, che mentre li rende fin troppo sensibili al-
le impressioni dolorose, che partono dallo stomaco e dal
cuore, li rende invece [in]sensibili ai traumi i più doloro-
si.
Per tutte queste ragioni, si capisce come debba spes-
seggiare l’annegamento, sia per accidente sia per suici-
dio, nei pellagrosi.
E una prova di questa frequenza, si è che nei paesi
ove domina la pellagra gli annegamenti, sia accidentali
che volontari, sono più numerosi che non in quelle terre,
i cui abitanti, per essere in rapporti continui coll’acqua
per ubicazione, e per mestiere, per es. quelli delle isole e
coste di Sardegna, Napoli e Liguria, dovrebbero esservi
ben più esposti.
Un carattere della pellagra è quello di complicarsi
a molte malattie, le quali spesse volte la mascherano
completamente.
Alcoolismo La più comune complicazione è quella del-
l’alcoolismo. Io ne vidi parecchi casi, in cui era difficile
distinguere fino a qual punto il morbo era prodotto dal-
l’alcool o dal maiz ammorbato. E ciò perché alcuni af-

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fetti da incipiente pellagra cercano, come i paralitici, un


momentaneo rinforzo negli alcoolici. Altri per soddisfa-
re il vizio dell’alcool consumano il denaro necessario agli
alimenti, e sono costretti a comprare maiz ammorbato,
perché più a buon mercato. In altri pochissima quanti-
tà d’alcool, trovando un corpo già predisposto dall’avve-
lenamento del maiz malato, precipita lo scoppio del ma-
le, come lo produrrebbe una qualunque causa seconda-
ria. Molte volte è difficile farsi un criterio30 giusto, del-
la vera fra le due cause, sì perché le due cause decorro-
no parallele, e sì perché il paziente, non volendo confes-
sare dovere al vizio il suo male, vi trae forzatamente in
inganno.
Pellagra ereditaria Ma v’hanno forme pellagrose o
pseudo-pellagrose ancor più difficili a diagnosticare, per-
ché la pellagra, pure esistendo, non ha potuto manife-
starsi in tutta l’interezza dei suoi tristi sintomi. Questa è
una forma, che io chiamerei di pellagra ereditaria.
Ve n’hanno due specie, una gravissima, l’altra assai
mite.
La prima si manifesta fino dal second’anno di vita;
rare volte con desquammazione, più spesso con dolori
all’epigastrio, pirosi, voracità, camminare incerto, facile
paurosità, diarrea, aspetto giallognolo, come nelle febbri
di malaria, mancanza e tardanza nello sviluppo; ma solo
più tardi tutti i fenomeni della pellagra, che resistono con
singolare tenacia ad ogni cura. In alcuni ho osservato
una mala conformazione del cranio, una straordinaria
brachicefalia, o dolicocefalia, fronte sfuggente, orecchie
male impiantate, assimetrie nel volto, anomalie negli
organi genitali.
Ma nelle stesse terre, ove predomina questa forma,
se ne osserva un’altra, se in apparenza assai più mite,
certo, nel fondo, più degna di studio, dal lato dell’igiene
profilattica. Essa è una vera pellagra senza pellagra.
Sono individui che hanno or l’uno or l’altro dei sintomi

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della pellagra, ma non li presentano mai così completi


come nei veri pellagrosi.
Nei paesi di Pazzone nel Veneto e Favrio nel Trenti-
no, ho veduto centinaia di questi infelici, anche di clas-
se agiata, che accusavano: gli uomini, scotture ai piedi,
dolor dorsale, pirosi; le donne, leucorree, peso all’utero,
menopause, rutti, vertigini, stitichezze, diarree, colorito
giallo della pelle, eppure non avevano avuto desquama-
zione, né delirio.
Queste complicazioni mi movevano compassione più
che non la vera pellagra, perché indicavano come il male
si fosse per eredità infiltrato nel germe di tutta la popola-
zione, e quindi men facilmente riescisse sradicabile. Suc-
cede, allora, della pellagra, come del cretinesimo, che,
una volta sparso in un gruppo di famiglie, predisposte
dalla località, miseria ecc., getta degli sprazzi anche nel-
le famiglie che più ne dovrebbero essere esenti, lascian-
dovi, se non il corpo, almeno la livrea, come ben diceva
il Verga, del morbo endemico.

Profilassi della pellagra

Dati questi fatti che così completamente si accordano


a dimostrarci le origini della pellagra nell’uso del maiz
guasto, facile scaturisce una sicura profilassi.
Dire, infatti, come si pretese da molti, al colono che, se
vuol premunirsi dalla pellagra, bisogna che mangi bene
e beva meglio, è un affermare una verità, certamente,
ma verità inutile, dannosa anzi, e che piuttosto potrebbe
dirsi una crudele ironia. Il poveretto, a cui noi dal
comodo seggiolone diamo questo consiglio, non può
metterlo in pratica, e, se lo potesse, non aspetterebbe,
no certo, il nostro suggerimento.
Se non che, intanto, da questa idea preconcetta e dif-
fusa nasce un grandissimo detrimento; ed è, che quegli
infelici smarriscono l’unica via attuabile per premunir-

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si dal male, e quando una volta ne sono colpiti, abban-


donano ogni pensiero di cura, sapendo che quella uni-
ca, della buona dieta, non è alla loro portata, cosicché
in molti paesi, dov’io sono andato a studiare i pellagrosi,
ho trovato i medici condotti ignorare, perfino, l’esisten-
za dei pellagrosi del loro villaggio, i quali si rivolgevano,
per soccorso, non più all’arte medica, ma alla limosina
del pubblico e del sacerdote.
Fortunatamente l’esperimento e la clinica e l’anatomia
patologica ci dimostrano che la pellagra non proviene già
dall’uso di sostanze troppo scarse di azoto, ma dall’inge-
stione del maiz affetto da varii microrganismi; e per que-
gli incrociamenti che non mancano mai quando si cam-
mina nel vero, questa nozione ci venne or ora ribadita
dalle analisi chimiche. S’aggiunga che, come già toccam-
mo; a condizioni pari il maiz fornisce all’uomo, in rap-
porto al prezzo, una quantità d’azoto maggiore di tut-
ti gli altri alimenti, il fagiuolo eccettuato e con un prez-
zo minore. La stessa quantità d’azoto che l’avena, l’or-
zo e la segale forniscono all’uomo ad it. lire 1,90, il pa-
ne a 2,21, il riso a 3,80, le patate a 2, 77, il latte a 7,39, il
porco a 8,87, il maiz la fornisce a 1,08, [...]
Ora impedire al contadino di mangiare questo maiz,
solo quando sia ammorbato, e consigliargli di immagaz-
zinarlo e raccoglierlo in modo che non ammorbi, questo
non esce punto dalla linea del possibile.
Norme Generali Ecco quali sarebbero i provvedimenti
da consigliarsi in proposito:
1) Variare o sopprimere le colture secondo le con-
dizioni dei vari paesi, sopprimere p. es. la coltivazio-
ne del maiz quarantino, laddove non possa maturare, o,
raccolto immaturo, non possa seccare, oppure sostituir-
vi la coltivazione del grano nano o da polli, che meglio
maturai nei terreni sabbiosi impedire la coltivazione del
maiz-bianco, che vi riesce male; tanto più che non dan-
neggia punto l’economia.

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2) Nei paesi ove le pioggie sopravvengono all’epoca


dei raccolti, converrà istituire oltre gli essiccatoi, di cui
parlerò, aje di buone pietre, o di cemento idraulico,
circondate da larghi portici, in cui ritirato il grano al
sopravvenire dell’acqua, più facilmente poterlo riesporre
al sole.
E, circa questa operazione, imitare l’esempio del Mes-
sico, dove si espone il maiz al sole, e alla sera, sparito il
sole, lo si ritira; e ve lo si espone e prima e dopo la span-
nocchiatura.
3) Gioverà introdurre nei grandi possedimenti le mac-
chine sgranatrici31 , e nei piccoli il grattugione, il quale
non è che una grattugia in grandi dimensioni, che per-
mette di operare la sgranatura, senza esporsi agli acci-
denti meteorici. Si aggiunga, che, come dicevanmi due
grossi proprietari, questo sistema, permettendo di impie-
gare a questa operazione le donne, può riescire di rispar-
mio non lieve.
Nelle piccole proprietà gioverà la istituzione dei telai
mobili, a cui appendere le pannocchie, per essere soleg-
giate nei giorni sereni, come si usa in alcune vallate del
Tirolo e della Toscana e Liguria.
4) Devesi poi cambiare completamente il sistema di
magazzinaggio. Io ho percorso quasi tutti i principali de-
positi di grano, pubblici e privati, dell’alta Italia, ne mi
riuscì di vedere (fatta eccezione di un magazzino istitui-
to dagli Austriaci in Verona, e, sia detto a poca lode no-
stra, trascurato esso pure dalle nostre autorità); né, di-
co mi riuscì di vedere uno solo di quei congegni, che pu-
re hanno ottenuto l’approvazione di tutta Europa, e che
non solo proteggono il grano dall’umidità, dalla fermen-
tazione, dalle offese dei sorci, dei curculj32 , e degli alluci-
ti, ma diminuiscono in proporzione straordinaria il prez-
zo della manutenzione: io non vi ho visto in opera nem-
meno quei grossolani apparecchi, che si usano dalle po-
polazioni semiselvaggie del Messico. – Ho veduto, qua e

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là, delle eleganti tettoie di vetro, dei granai che potevano


servire da salone o da teatro, spesso non foderati nemme-
no di legno; ma in concambio non v’era in estate alcun
grosso cumulo di granturco, che non fosse in fermenta-
zione, cui invano i custodi tentavano limitare colla venta-
tura e rivoltatura, quando pure vi era spazio per l’opera-
zione. E noi osiamo vantarci un popolo eminentemente
agricolo!
Quando l’igiene s’accoppia all’economia, e ad un’eco-
nomia di tanto rilievo, il vantaggio mi par troppo gran-
de, perché non si debba passar sopra a quella libertà eco-
nomica, che qui si potrebbe chiamare libertà di star ma-
le. Io credo che farebbe bene il governo se, prenden-
do un’iniziativa troppo giustificata dalle necessità igieni-
che, obbligasse almeno tutti i municipi, che hanno gran-
di depositi di ano, ad adottare qualcuno di questi con-
gegni. Noi in questo modo potremmo offrire il maiz a
più buon mercato per due ragioni, per minori spese di
magazzinaggio, e per la minore dispersione di sostanza,
che, in luogo di essere divorata dai curculj, dai sorci e dal
penicillum, andrà tutta nei ventricoli umani.
Poter ribassare i prezzi del grano da 2 a 3 franchi
per ettolitro, chi non vede quanto non gioverebbe, ol-
treché direttamente, anche indirettamente al pellagroso,
fornendogli modo di procacciarsi una più ricca copia di
alimento?
5) Nelle terre asciutte, rocciose, ove predomini la
silice, gioverà introdurre perfezionato quel sistema dei
sili, che fa buona prova in Sicilia e Romagna.
6) Conviene introdurre nuove industrie col maiz; per
esempio, diffondere maggiormente l’applicazione del
maiz alla fabbrica degli spiriti, delle birre, e soprattutto
all’alimentazione degli animali; e introdurre quelle nuove
confezioni alimentari col maiz, che tanto son gustate nel-
l’America meridionale, come l’atola, la chica. Un’appli-
cazione nuova sarebbe, quando nuovi fatti ne confermas-

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sero l’opportunità, quella del maiz marcito alla terapia


di alcune affezioni cutanee ribelli: questa applicazione
avrebbe il vantaggio di inculcare e di rendere più diffu-
sa la nozione della influenza, che può avere il maiz mar-
cito nel produrre la pellagra, e gioverebbe, così, a dis-
suadere il volgo dal nutrirsene; perciocché è ovvio com-
prendere, come una sostanza, che serve da medicamen-
to, debba possedere proprietà buone solo pei casi di ma-
lattia, e dannose nei casi di salute, così come successe,
per esempio, della segale cornuta.
7) Gioverà proporre premi per chi trovi modo di ren-
dere utile all’alimentazione o all’industria il mais quaran-
tino immaturo, guasto, od ammuffito in modo di rag-
giungere davvicino il prezzo dello stesso mais quando sia
sano, o da essere utilizzato per l’alimentazione senza dan-
no e con una spesa non grave, che non richieda cioè ec-
cesso di combustibili.
E propongasi un premio a chi trovi il modo di panifi-
care il mais e di fame pani che resistano all’ammuffimen-
to per 8 o 10 giorni senza una spesa maggiore di combu-
stibile di quello che si spenda nel pane normale: premi
per coloro che abbiano introdotto in larga scala la tera-
pia della pellagra in campagna, a domicilio, senza mutar
notevolmente il regime dei contadini medesimi.
8) Necessarissima cosa sarà formulare leggi contro la
vendita e la macinatura di maiz ammuffito. La sorve-
glianza dovrebbe limitarsi all’epoca dei raccolti, nelle
campagne, e all’epoca dei grandi calori nei grossi magaz-
zini di grano dei capo-luoghi e delle città. I grani ricono-
sciuti non risanabili dalle macchine essicatrici, dovrebbe-
ro immediatamente essere spediti alle fabbriche di spiri-
to, o distrutti. Gravi pene dovrebbero colpire i proprie-
tari, che obbligassero i contadini ad alimentarsi di maiz
guasto, anche se frutto dei propri raccolti, ammenoché
non gli facessero subire quell’unico processo, che già ve-
demmo poter neutralizzare il veleno. E queste commi-

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natorie dovrebbero pubblicarsi per ogni villaggio, ed ap-


pendersi alle mura della chiesa. Così si fece nel Veneto
sino dal 1700; così si fa in Austria. Né vale il citare le leg-
gi sugli alimenti guasti, perché i pregiudizi che si aveva-
no sull’argomento si tradussero già più volte in assoluto-
rie dei Tribunali che restano per caposaldo di altre sen-
tenze se una legge apposita non vi fa argine. Anche la
propagazione della sifilide troverebbe nelle leggi una pe-
na come di chi inferisce una grave ferita, ma questa infe-
zione era troppo pericolosa e troppo diffusa perché non
si vedesse la necessità di provvedervi con apposite leggi
che facilitassero la repressione governativa.
L’onorevole Caccianiga e lo Zanelli mi oppongono la
piena libertà dell’alcoolismo. Rispondo. Non è vero che
non si possa e debba proibire l’abuso degli alcoolici, i
quali, anch’io l’ammetto, sono veri veleni; tutti i popo-
li veramente liberi, veramente democratici (non noi che
pretendiamo di esserlo e in fondo non facciamo che il
vantaggio di pochi tribuni) vi hanno provveduto sul se-
rio; veda l’Inghilterra con Gladstone alla testa; veda l’A-
merica del Nord che giunge fino ad ordinare il seque-
stro, nelle case, degli alcoolici, venendo meno perfino
a quel rispetto del domicilio, che è la base della libertà
anglo-sassone.
9) Converrebbe istituire panifizi economici cooperati-
vi tra i contadini, onde salvarli dalla rapacità dei fornai e
dei mugnai.
Ma per prevenire le frodi dei mugnai e sopra tutto
quelle dei fornai, credo che il miglior metodo sarebbe
quello di far adottare un processo di confezione del
maiz, il quale sottraesse l’infelice colono alle loro ingorde
speculazioni. Il metodo che si usa nel Messico, di far
cuocere per 24 ore colla calce viva il grano, non mi è
parso applicabile se non nei casi di maiz guasto, perché il
consumo del combustibile è grande, e un nuovo processo
alimentare riesce applicabile solo se presenti dei vantaggi

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economici al confronto di quello già in uso. Io ho


tentato un metodo misto, imitando in parte solo quello
del Messico, e questo meglio parmi convenire anche alle
scarse risorse economiche del nostro popolo.
10) Ma pur troppo bisogna prevedere il caso che tutte
le misure profilattiche proposte non approdino, e che
sia impossibile impedire l’uso della polenta ammuffita.
In questi casi si deve imitare il processo Messicano già
descritto sopra, e dopo aver bollito il grano colla calce
viva, per 24 ore, a 120°R., conviene arrostirlo nel forno,
triturarlo, e la polvere, sciolta nell’acqua o impastata
come pane, non riuscirà più di nocumento; [...]
11) Appena si sviluppino i primi sintomi gastrici e ner-
vosi della pellagra nel contadino, immediatamente il me-
dico dovrà sottoporlo all’uso di quelle sostanze che me-
glio corrispondono alla cura della pellagra, e sono, co-
me vedremo poi, l’acido arsenioso se adulto, il cloruro di
sodio se bambino, ecc., comeché nei primordi i sintomi
pellagrosi sieno facilissimamente domabili, come lo so-
no quasi tutti gli avvelenamenti cronici, e diventino restii
alle cure solo quando la infezione sia lasciata invadere,
senza ostacolo, per troppo tempo.
Sarà forse troppo pretesa la nostra di esigere che si
pratichi per la pellagra come per il vaiuolo e per la sifi-
lide? Nell’interesse economico dei Comuni non giove-
rà, egli, lo stabilire delle piccole ambulanze, dei piccoli
ospedali provvisori, per arrestare il male ne’ suoi primor-
di, per impedirne la diffusione e l’eredità? Questi indi-
vidui, che la spesa di poche lire, qualche volta di centesi-
mi, può rendere alla società e al lavoro, non riuscirebbe-
ro poi a carico per centinaia di lire al Comune, quando il
loro male sia diventato incurabile?
E qui ricordo un progetto del governo austriaco, che
meriterebbe esser preso in considerazione dal nostro,
quello delle Giunte comunali per soccorrere i pellagrosi
a domicilio, dipendenti dalle Delegazioni provinciali.

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12) Quando la miseria costringa, ad ogni modo, a ri-


correre al maiz ammuffito per vivere, come, per esempio,
dopo inondazioni che abbiano guastato enormi provvi-
ste, se i metodi profilattici sopraddescritti non abbiano
potuto, ancora, popolarizzarsi o attuarsi, non ci resta al-
tro che a promuovere l’emigrazione nelle terre più fortu-
nate del sud, ed anche in America. Questa misura, sol-
tanto, può eguagliare le condizioni del contadino lom-
bardo a quelle del ligure, che in una terra sì povera, pu-
re campa tanto meglio. Così, si premuniscono dagli ef-
fetti della miseria gli emigranti, e facilitando il rialzo del
prezzo del bracciante, si migliora la condizione di coloro
che restano.
13) I figli dei pellagrosi ed i pellagrosi guariti siano
di preferenza incorporati nella milizia, o consigliati ad
emigrare nei siti immuni dalla pellagra, ed a premunir-
si soprattutto dall’alimentazione di maiz ammuffito, al-
loggiandosi, per esempio, come servi presso persone di
città.
14) Si cerchi di diffondere, il più presto, queste no-
zioni profilattiche e terapeutiche nelle popolazioni agri-
cole. È una proposta questa non nuova, e già il Colet-
ti, anzi prima assai di lui il Fanzago, aveva consigliato e
tentato attivarla, e non vi è mancato in ultimo il Ballardi-
ni colla sua bellissima Igiene dell’agricoltore. Se non che,
pur troppo, tutti questi egregi hanno dimenticato che i
libri nostri, per quanto si cerchino di rendere popolari,
non sono pane pei contadini. Molti forse ignorano che il
mondo del popolo, del contado in ispecie, ha una lettera-
tura sua particolare, a cui solo s’affida, diffidando di tut-
te le altre; è una letteratura che tiene ancora della canzo-
ne selvaggia, della tradizione illetterata, a cui, solo da al-
cuni anni, si concede l’onore della stampa in certi fogliet-
ti magri, sconci, e che pure formano le delizie del popo-
lo; letteratura che ha nel Guerrino Meschino il suo Orlan-
do e nel Bertoldino il suo Dante. – È questa la forma che

Storia d’Italia Einaudi 106


Cesare Lombroso - Genio e follia

bisogna sciegliere per propagare queste nozioni, quando


non si voglia ricorrere ad un’influenza ancora più poten-
te, alla parola venerata del sacerdote. – Io ho tentato ap-
punto questa forma, e non so poi se vi riescii; certo però
ne diffusi fra le plebi agricole 10000 esemplari33 .

Terapia della pellagra

Ad ogni modo, una volta scoppiato il male, si tratta di


guarirlo. E qui di nuovo ritorna in campo la quistione
della lauta nutrizione. – Io, pel primo, convengo che la
lauta nutrizione, carnea specialmente, giovi al pellagro-
so; che molte volte, non sempre, lo conduca a momen-
tanea guarigione. Questa guarigione molto bene si spie-
ga pel marasma di alcuni visceri, del cardiaco in ispecie,
prodotto dal veleno; e che il vitto carneo arresta o fa ces-
sare; ma, sopratutto, perché il vitto carneo e l’alcooli-
co diventa per esso un vero metodo del training, meto-
do che giova in quasi tutte le malattie croniche; un orga-
nismo, sottoposto ad una completa mutazione degli ele-
menti dell’alimentazione, e alle volte anche del respiro,
deve, naturalmente, subire una trasformazione, che qui
tanto più è benefica, inquantoché esso, per la molta mi-
seria, spesso fu sottoposto ad una vera inanizione, e co-
me che, molte volte, il veleno maidico induce l’atrofia di
alcuni organi.
Ma questa cura non può attivarsi, altrimenti, che ne-
gli ospedali, e quindi appena in un ventesimo, ali volte in
un centesimo dei casi, – anche in questi casi non sempre
trionfa; comeché vi siano pellagrosi che si alimentarono,
prima, sufficientemente bene; ed a questi la buona ali-
mentazione non giova più; ed altri pellagrosi vi sieno ro-
busti, ben nutriti, e a cui quindi non giova a nulla la lau-
ta dieta, e sono forse i casi i più ribelli al trattamento. –
D’altronde, io chiamo a testimoni tutti i medici condot-
ti ed anche gli ospedalieri. Quanto tempo perdurano in

Storia d’Italia Einaudi 107


Cesare Lombroso - Genio e follia

buono stato nelle loro case questi pellagrosi guariti colla


buona carne degli ospedali? Spesso non più di una set-
timana, di un mese, e se ne possono leggere appunto qui
le prove nelle storie dei pellagrosi curati dal Marenghi e
dal Cambieri in campagna.
Lo stesso dicasi dei bagni, della doccia fredda, che ho
veduto migliorare, bensì, le condizioni paresiche, le cu-
tanee, le sensazioni dolorose di scottare dei pellagrosi;
giovare a prolungarne, o a renderne più tollerabile, l’esi-
stenza, ma non mai guarirli radicalmente.
In alcuni pellagrosi, poi, per quella contraddizione che
si nota in tutta la sintomatologia della pellagra, esiste una
vera avversione al bagno, e non è possibile applicarlo, ed,
applicato, punto loro non giova.
Io volli esperimentare, colla tenacia ispiratami dalla
convinzione di essere nel vero, se si poteva trovare, al
di fuori della dieta lauta, un presidio contro alla pella-
gra, un presidio veramente farmacologico; e tanto più mi
vi ostinai, dopo che acquistai la convinzione, che essa era
l’effetto di una intossicazione, e non di una insufficiente
alimentazione, e che quindi potea trovarsene un antido-
to, come dell’intossicazione alcoolica lo si trova nell’op-
pio, della sifilitica nel mercurio, della mercuriale nello
iodio.
Procedetti, nelle esperienze, partendo dall’idea, che
in tutte le malattie, anche in quelle per intossicazione,
non vi sono malattie tipi, ma sì bene malati, e che si deve
cercare, nella terapia, quel rimedio, che giova non tanto a
curare la radice del male, che è come la causa prima, non
troppo facile a cogliersi, ma, sì bene, il maggior numero
dei sintomi.
Ferro Mi rivolsi al ferro, sia ridotto coll’idrogeno,
sia nell’acqua di Recoaro, di Peio, sia sotto forma di
malato e di percloruro; e notai molte volte esacerbazioni
intestinali, palpitazione cardiaca aumentata, ma nessun
miglioramento, [...]

Storia d’Italia Einaudi 108


Cesare Lombroso - Genio e follia

Cloruro di sodio In quella forma di pellagra, che già


descrissi col nome di pellagra con arresto di sviluppo del
corpo e del sistema genitale, e nella pellagra che colpisce
i bambini, ebbi stupendi risultati dalla semplice cura
delle frizioni di cloruro di sodio.
Devo però aggiungere ad onore del vero, che un gran-
de coadiuvante del cloruro di sodio è la giovinezza dei
pazienti, comeché anche le altre malattie croniche, non
esclusa la pazzia, assai facilmente si vincano nella gioven-
tù, sia perché più rapido è lo scambio dei tessuti a quel-
l’età, sia perché il morbo non poté prendere ancora salde
radici.
Acetato di piombo Io aveva sentito vantare l’acetato di
piombo nella pellagra; l’esperimentai in larga scala, ma
finora mi parve riescire utile solo nei pellagrosi molto
vecchi, ed in quelli che si lagnavano di dolori vivi alle
articolazioni, e nei casi di paresi incipiente, odi tremolio
generale.
Solfito di calce e soda ecc. I tifi pellagrosi per quanto ne
variassi le cure, bagni ghiacciati, vino chinato, aromatici,
unguenti mercuriali, belladonna, rhus, aconito, solfito di
calce, ecc., percorsero sempre il loro stadio letale e se
guarirono in nulla vi pote il farmaco.
Acido arsenioso La maggior parte dei casi di pellagra
degli adulti, sopratutto dei complicati con marasma, ga-
stralgie, paresi, resisteva però a qualunque tentativo di
cura.
Avendo io letto in un lavoro del Coletti e in altro
del Perugini, come i pellagrosi molto si giovassero delle
acque di Levico, [...]
Per gli studi precedenti avendo eliminato, che dei tre
minerali predominanti nell’acqua di Levico l’elemento
terapeutico utile fosse il ferro, venni nel 1867 nella ri-
soluzione di tentare l’acido arsenioso nella cura di quei
casi, che finora aveano resistito ad ogni trattamento far-
macologico.

Storia d’Italia Einaudi 109


Cesare Lombroso - Genio e follia

Il farmaco venne somministrato sotto la forma di goc-


cie del Fowler, da 5 a 10 a 15 a 20 a 30 goccie, oppu-
re sotto forma di acido arsenioso puro, sciolto nell’ac-
qua leggermente alcoolizzata, nella dose di 1/40 a 1/20
di milligrammo, salendo secondo la tolleranza fino ala 2
a 3 milligr., rarissime volte ad 1 centigrammo, sempre in-
terrompendone per tre a sei giorni la somministrazione;
il risultato superò di gran lunga la mia aspettazione.
Io non darò statistiche, perché quando uno pretende
aver guarito 9000 pellagrosi colla dieta carnea, e un al-
tro 10000 col metodo antiflogistico, poco peso parmi ab-
biano le statistiche. Sì bene darò, quanto più in dettaglio
potrò, le storie cliniche.
I casi di guarigione coll’acido arsenioso non mi sem-
brano privi di importanza, perché avvennero in individui
nei quali non potevasi attribuire la guarigione al decorso
intermittente del male; [...]
I miei risultati d’altronde non erano isolati, concios-
siaché il Namias a Venezia, il Prof. Tebaldi a Padova,
il Dott. Vielmi a Bergamo, il Ceccarel a Treviso, Bot-
tagisio a Verona e il Dott. Manzini a Brescia ottennero
altrettanti risultati nei loro comparti ospitalieri.
Tuttavia io sono ben lungi dal pretendere aver otte-
nute guarigioni stabili, o di aver conseguito, sempre, col
metodo arsenicale quel trionfo, che era mancato agli altri
metodi. Non pochi furono i casi che resistettero a que-
sta cura, o malgrado questa ebbero a soccombere. E pri-
mi annovero i 10 casi di pellagra con arresto di svilup-
po, che sotto la cura arsenicale parvero aggravarsi, dima-
grire, esser presi da sincopi, palpitazioni, vomiturizioni,
bronchiti, mentre migliorarono col cloruro di sodio.
Dall’insieme di queste osservazioni mi pare si possa
dedurre giovare l’arsenico:

1)Nei pellagrosi che presentano grande marasmo


2) Nei pellagrosi con paresi incipiente

Storia d’Italia Einaudi 110


Cesare Lombroso - Genio e follia

3) Nei sitofobi, gastralgici


4) Nelle manie vaghe, senza, cioè, delirio sistematizza-
to
5) Nei vecchi, quando però non abbiano toccato il
limite della decrepitezza.

Non giova, pare, negli impuberi e nei troppo giovani,


non giova negli individui ben robusti e grassi (Riboldi,
Mezzabarba), né a quelli con delirio sistematizzato, né a
quelli, in cui la malattia complicata con alienazione data
da 20 o 30 anni; né giova, pare, a quelli, che soffrono di
pneumonite cruposa, né ai tubercolosi (Anselmi), né agli
albuminurici, né agli affetti da vertigine.
Cura della pellagra coll’acido arsenioso in contado senza
cambiamento di regime Dunque, malgrado le molte ecce-
zioni, fra tutti i rimedi tentati per curare la pellagra, quel-
li che hanno corrisposto al maggior numero dei casi furo-
no il cloruro di sodio negli impuberi e l’acido arsenioso
negli adulti.
Se non che per quanto evidenti mi paressero i fatti rac-
colti nella mia sala e in quelle del Tebaldi, Namias, del
Manzini e del Ceccarel, io non rimaneva senza scrupo-
lo e dubbio, che in alcuni casi, se non in tutti, la lauta
dieta ospitaliera influisce esclusivamente sulle guarigio-
ni. Mancavami, d’altronde, coraggio di esperimentare il
rimedio, tenendo gli ammalati nella scarsa dieta loro abi-
tuale.
Mi decisi, allora, ad esperimentare il rimedio nelle
campagne, laddove la scarsa dieta era non che attuabile,
dettata dalla necessità. Ed eccone alcuni risultati:
Maggi, d’anni 47, di Costa dei Nobili, alto, macilento,
con orecchie mal conformate, soffre di vertigini, rumori
agli orecchi, voracità, peso allo stomaco, prurito, e come
una sensazione di punture d’aghi alla pelle. Da 9 anni ha
desquammazione alle mani, e tale indebolimento musco-
lare, che deve interrompere due o tre volte alla settima-

Storia d’Italia Einaudi 111


Cesare Lombroso - Genio e follia

na il lavoro: ha il figlio e la moglie pellagrosa. Sottoposto


in campagna alla cura arsenicale nell’aprile 1868 alla do-
se di 1/20 di milligr. al giorno, crescendo dopo una set-
timana la dose fino ad un milligr. al giorno, nel giugno
non soffre più le gastralgie, cessa la fame, il prurito; con-
tinuano la vertigine e l’indebolimento muscolare, il qual
ultimo scompariva del tutto nel luglio, né più recidivava.
Rovati, di Verrua, d’anni 46, con parenti sani, da tre
anni soffre degli arti, di diarrea, eritema, ed edema, vora-
cità, e difficoltà di digerire, ed una singolare confusione
di idee, per cui quando vuol porsi ad un lavoro agricolo,
pensa ad un altro che dovrebbe eseguire, e non fa l’uno
ne l’altro; ha alle volte cefalea, bisogno di vociare, mo-
stra magrezza. – Al 1° giugno 1870 intraprende la cura,
all’ultimo di luglio è guarito.
In tutti i casi di gravi vertigini che l’arsenico (v. s.)
non migliorava mi sono giovato del cocculus orientalis
che io presi a prestito dagli omeopatici come molti altri
rimedi di cui mi giovo nelle cure delle malattie nervose
reputando delitto di non approfittare delle osservazioni
altrui solo perché appartengono ad una scuola diversa
dalla mia.
Il caso più caratteristico mi si offerse nel Reg... (anni
40) ch’era nato in campagna da contadini e che soffriva
di gastralgia, eritemi e sopratutto vertigini che datavano
dall’infanzia e che accortissimi medici curarono invano
col bromuro e col ferro, finche accortomi che era di
natura pellagrosa curai colla tintura di cocculus 5-10
centigrammi al giorno e guarì in 25 giorni crescendo di 8
chili di peso.
Dunque noi a buon diritto possiamo dire che l’acido
arsenioso e il cloruro di sodio giovano nella pellagra a
preferenza di tutti gli altri rimedi, anche con regime im-
mutato e se si dovesse usare una parola, di cui alcuni abu-
sano, ma che altri usano troppo poco, noi potremmo di-

Storia d’Italia Einaudi 112


Cesare Lombroso - Genio e follia

re, che essi possono chiamarsi uno specifico della pella-


gra.
Risposta ad alcune obbiezioni su questo metodo Se non
che si obbietterà da alcuni avversari: – Voi dite di curare
la pellagra coll’acido arsenioso, col cloruro di sodio, ma
voi non fate che arrestarne il decorso, che curarne i sin-
tomi, ne impedire le recidive. D’altronde, è fino ridicolo
il dire che un dato rimedio giovi per tutte le varietà di un
dato male; come non vi è mai un vero morbo tipo, così
non può esistervi uno specifico. Perfino negli stessi av-
velenamenti, come di oppio, di belladonna, di stricnina,
benché chiaramente una sola sia la causa, pure, secon-
do che vedrete predominare i sintomi narcotici o di ec-
citamento, spinali o cerebrali, voi dovrete diversamente
curarli.
Queste obbiezioni sono giustissime.
Ma io pel primo noto, che non tutti i pellagrosi si
curano coll’acido arsenioso e col cloruro sodico; che
i vertiginosi hanno d’uopo d’altri soccorsi (cocculus)
come anche quelli in cui prevalga la panofobia (oppio),
e la diarrea (doccia, calomelano, bismuto).
Siete anzi voi, miei avversari, quelli che cadete nell’er-
rore, che ingiustamente mi rimproverate, quando pre-
tendete guarire i pellagrosi tutti col solo soccorso della
dieta, non avvertendo poi, che vi sono pellagrosi che so-
no assai ben nutriti, e a cui la dieta in nulla può quindi
giovare.
Ma d’altronde, potrete voi dire che la dieta carnea è
un rimedio più radicale? Non dovete voi, se onesti, con-
fessare che la dieta carnea giova al momento, fa cioè ces-
sare alcuni sintomi, la denutrizione in ispecie, ma che es-
sa spesso è impotente, e che anche quando giova non
mai riesce a tanto da prevenire le recidive, se il pellagro-
so rientra nel suo triste regime ordinario? D’altra parte
per il suo costo essa è impraticabile al di fuori della cer-
chia della carità ospitaliera che va pur troppo, per le con-

Storia d’Italia Einaudi 113


Cesare Lombroso - Genio e follia

dizioni economiche, sempre più restringendosi addosso


alla falange numerosa dei pellagrosi. Ora, ammesso an-
che che dei due soccorsi quello della dieta carnea e quel-
lo della somministrazione dell’acido arsenioso, ambedue
servano a non altro che ad arrestare per qualche tempo
alcuni sintomi, che l’uno valga come l’altro, non dovreb-
besi ad ogni modo preferire quello che, essendo di poco
prezzo, riesce applicabile anche nelle campagne, e non
solo durante la malattia ma anche dopo, e può quindi
riuscire a prevenire la recidiva.
Ma direte: «Le vostre cure sono sintomatiche». Sì,
questo è vero. Ma, pur troppo, quante volte il medico
può pretendere di far altro nella terapia che una cura
sintomatica? Forse che noi sappiamo veramente le cause
prime di ogni male e la loro natura patologica? E in quei
casi (li ignoro) in cui le conosciamo, forse che questa
conoscenza basta per saperci additare una cura radicale?
Oh! confessiamolo una buona volta! No. Se non che,
questo è poi verissimo, che per una felice combinazione,
di cui facile è il divinare la causa, i rimedi utili alla cura
dei sintomi più gravi giovano spesso pure alla cura del
male, di cui i sintomi sono solo i segnali od i compagni,
e quindi quanti più sono i sintomi che noi possiamo
alleviare, tanto più ci avviciniamo a curare radicalmente
i mali.

2
Istruzione popolare

Dialogo primo
La pellagra si cura

Tonia(contadina) E così che le pare a lei, signor medi-


co, del mi’ uomo?

Storia d’Italia Einaudi 114


Cesare Lombroso - Genio e follia

Medico Che me ne pare? Pur troppo gli è preso da


una di quelle malattie che noi nominiamo tifo pellagroso,
il che vuol dire essere fuori di ogni speranza. Mah! Se ci
avesse pensato prima, quell’uomo sarebbe, ancora, colla
sua zappa sul campo, uno dei più forti lavoratori del
villaggio. Oh che almeno la sua triste sorte giovasse a
voi, che cominciaste, a tempo, a curarvi della pellagra
che avete indosso voi e il vostro figliuolo e non aspettaste
poi a chiedere il mio soccorso quando è diventato inutile.
Tonia Oh sor dottore, lei vuol scherzare; per un po’
di rutti che mi prendono dopo il cibo, per un po’ di
prudore (smangiazon) alla schiena, per un po’ di scottore
alle mani ed ai piedi, io dovrò andare a disturbare lo
speziale e vossioria; e poi gli è che io ho da fare e di
buono. Il mio bimbo, poi; che ha? Gli è un po’ gialletto,
ha un po’ di fame lupina, e, qualche volta, grida per
qualche doloruccio di stomaco, ma tutto poi finisce lì.
Medico Oh! la mia buona donna, ma non vi ricordate
che il discorso stesso faceva vostro marito, quando io gli
diceva: Pietro, quel vostro occhio invetrato, quelle vo-
stre vertigini (stordisca, balordone), quelle diarree (fluss),
quelle spelature delle mani e de’ piedi, sono più serie as-
sai che non credete... Ed egli scrollava le spalle, pove-
retto! Oh! credetemelo; curarsi fin da principio vuol
dir guarire e presto: non curarsi subito, vuol dire: non
guarire mai, vuol dire, pur troppo: morire.
Tonia Curarsi, curarsi! Lei ha un bel dirlo; ma come
posso farlo io? Mi piovono forse i salami dal granajo, o il
Barbera e il Chianti vanno a riempire il mio fosso? Come
vuol, ella, che mi trovi io, se non la mi vien giù dal cielo,
quella benedetta carne e vino, e latte, con cui loro dottori
suggeriscono che debbo curarla? Oh gli è proprio, che
lei vuol scherzare con me, e intanto che sua moglie è in
sul cuocerle un buon pollo e forse delle pernici, la non
pensa che i polli noi li teniamo solo per venderli, – e di

Storia d’Italia Einaudi 115


Cesare Lombroso - Genio e follia

grazia. O che forse pretenderebbe, lei, che io andassi a


mendicare dall’un o dall’altro dei meno poveri del paese
un ajuto che mi farebbe venir rossa la faccia, senza per
questo farmi star meglio; perché la carità quella buona
gente là non la san fare che una volta tanto, e il mio male
invece dura sempre, e sempre dura il bisogno di rimedio.
Medico No la mia Tonia, non ho voglia di scherzare;
e chi potrebbe averne il coraggio, alla vista di tante
disgrazie! Gli è, mia cara, gli è, che adesso in seguito
a certe esperienze fatte a Pavia, a Cremona e a Brescia i
miei colleghi, hanno trovato un altro modo per guarir
la pellagra, che è assai meno costoso e più adattato
alla tua sdegnosa e gènerosa povertà. Tu puoi tentarlo
senza domandare la limosina a nessuno, e senza che i
tuoi mezzi t’impediscano di continuarlo; insomma è un
rimedio al di fuori della cucina e che non ti guasterà
quindi il borsellino.
Tonia Oh quale? mi dica.
Medico Pel tuo bambino tu non hai da prendere
che una manata di sale, di quel sale che tu dài agli
animali, e facendola stemperare nell’acqua vi immolli
una spugnetta o due stracci di lino, con cui fai tutti
i giorni due o tre fregagioni intorno alla schiena, alle
ascelle, al petto e al ventre del tuo piccolino e, dopo
due mesi, vedrai il tuo Nanetto ridiventato il bel figliolo
di prima, né il rimedio non ti sarà costato un gran che,
perché il sale, che t’avanza, puoi darlo al tuo majale che
se n’ingrasserà anch’egli. Quanto a te gli è un altro
pajo di maniche; io ti darò una cartolina che contiene
una piccolissima quantità (un centigrammo) di acido
arsenioso: tu la scioglierai in un mezzo litro d’acqua
bollita con un po’ di spirito di vino, e ne berrai tre
cucchiai al giorno; vedi che non la è cosa che ti costi
troppo, anzi proprio non ti costerà nulla.

Storia d’Italia Einaudi 116


Cesare Lombroso - Genio e follia

Tonia Ma, signor dottore, la mi dica un po’: la cosa


m’anderebbe bene per un verso, solo che ho paura,
io, de’ veleni; L’arsenico, misericordia! È quello che
ammazza i ratti, e non vorrei poi fare la fine dei ratti,
oh no! se lo tenga lei, quel rimedio lì, che per me mi
pare peggiore del male.
Medico Che! Che! La mia Tonia, e puoi credere
che io abbia il coraggio di darti una cosa che ti faccia
male? Gli è un veleno, e te lo ammetto io pel primo, ma
in piccola quantità egli fa tanto bene, quanto in grande
fa male. Vedi: il santonico anch’egli è un veleno se tu
ne prendi molto, eppure tu lo dai in piccola quantità al
tuo bimbo, e non gli fa male. Eppoi, vuoi una prova,
proprio palpabile, che così in piccola dose male ei non
fa? Prendi il miccino di casa e dagliene a bere una
scodella di quell’acqua, e vedrai che non se ne sentirà
punto male, a rivederci te poi che sei grande e grossa e
ne prendi soli due a tre cucchiai. Se tutte le sostanze che
in piccola dose sono velenose si dovessero bandire dalla
farmacia, allora potremmo chiuder bottega.
Tonia Va bene, sor dottore, la cosa mi va, e doma-
ni vengo io a prendere il rimedio; ma, di grazia, non po-
trebbe esso giovare un poco pel mio marito? Quello lì,
sì, che sarebbe il miracolo.
Medico Oh la mia Tonia! Quanto mi duole doverti
dire di no. In quel caso lì non giova più, gli è la mia
donna che i miracoli non succedono più, ma sopratutto
non succedono e non successero mai in medicina; e c’è di
che ringraziare tutti i santi, se a furia di fatica s’è trovato
quel poco che t’ho detto, e va che te ne puoi contentare.
Tonia La mi dica un poco: Quella mia povera vicina
di nonna Paola: quella buona vecchia che trema tutta
della persona, che si lagna di quel foro dolori alle gambe,
alle braccia e alla schiena, se ne prendesse di quella sua
polvere, la guarirebbe lei?

Storia d’Italia Einaudi 117


Cesare Lombroso - Genio e follia

Medico Anche per lei mia cara, gli è un altro pajo di


maniche. Lì c’è di più, l’età, che ci fa guerra; e poi, a
quella forma lì del male non giova più l’arsenico, gio-
va un altro rimedio che anche esso costa assai poco, il
piombo (acetato cinque centigrammi), se non che l’effet-
to non è così sicuro né così pronto. Come ad ogni terra,
secondo che e grassa o magra, si conviene un dato mo-
do di concimazione, e all’una va bene la calce e all’altra il
concime ordinario e all’altra il guano, così anche a voi al-
tri poveri pellagrosi secondo l’età, secondo la forma del
male, conviene l’uno o l’altro rimedio.
Tonia E quando ci viene la diarrea che cosa dobbiamo
fare?
Medico Giusto appunto veh! Mel dimenticavo: la
prima cosa per guarire dalla diarrea è di non bevere
acqua o il meno che puoi, poi se ne hai degli spiccioli,
lascia un po’ la polenta da un lato e comprati un quattro
oncie di carne cruda di vacca e pestala, tagliuzzala bene
e poi inzuccheratala mangiatene un due volte al giorno...
Ma tu dei denari non ne hai pur troppo, abbastanza,
per queste cure, perciò gli è meglio che tu ti tenga alla
farmacia, che per quanto la sia lesta di mano la non
ti toserà tanto come fa la cucina. Dunque mandati a
comperare un grano di mercurio dolce (calomelano) e ti
costerà meno di un soldo; fatti dividere questa piccola
quantità in cinque parti, prendine una ogni due ore
finche tu vedi che ti cessa il flusso, oppure se gli è estate
fatti cadere dall’adacquatojo a una certa distanza una
corrente d’acqua sul ventre, e finalmente se tutto ciò non
ti giova, prendi un po’ d’olio di trementina ed ungitene
il ventre una o due volte al giorno, e se tuttociò non
bastasse prendi un po’ di simaruba e fattene un decotto.
A rivederci.

Storia d’Italia Einaudi 118


Cesare Lombroso - Genio e follia

Dialogo secondo
La pellagra si previene

Il Parroco Don Rebo e Luigi contadino


Don Rebo Oh! Luigi, la sai tu la novella, che mi ha
raccontato, testè, il dottore Marenghi? E pensare che io
era le mille miglia lontano da quella idea!
Luigi Mi dica, mi dica, don Rebo.
Don Rebo La novità eh? È che i dottori di lassù pare
che abbiano trovato la causa della pellagra.
Luigi E dove l’hanno trovata?
Don Rebo Nel grano turco.
Luigi Oh la bella nuova che lei mi racconta. E’
son mill’anni che l’hanno detto. Ma ci venissero pure
a dirmelo tutti i dottori di Bologna e Pavia a ripetermelo,
io per me non ci credo un’acca. Quanti e quanti non
v’hanno che mangian polenta tutto il giorno e non hanno
pellagra. Eppoi, anche, se fosse vero, e che me ne
farebbe? Dove trovare un piatto che costi meno per la
nostra povera gente di campagna? Oh se quei signori
lassù non sanno scoprir altro farebbero meglio invece di
inzaccherare le carte col loro inchiostro di venirci a dare
una mano loro alla nostra vanga.
Don Rebo Ma, mio caro Luigi, se tu mi smezzi la
parola in bocca avrai certo ragione tu; lasciami finire un
po’.
Io voleva dirti come quei signori hanno trovato che la
malattia è causata dalla polenta, quando questa sia gua-
sta, sia perché la tempesta l’abbia tocca prima del raccol-
to, sia perché stando nell’aja abbia sentito gli effetti della
pioggia, sia perché nei granai poco ben riparati o troppo
caldi abbia sofferto di bolliture nell’estate. Ora se è im-
possibile impedire al nostro povero popolo di mangiare
della polenta, perché bisognerebbe anche dargli dei gran

Storia d’Italia Einaudi 119


Cesare Lombroso - Genio e follia

denari, ed i dotti ne hanno pochi e più poca voglia di re-


galarne, tu vedi che a impedirgli di mangiare della po-
lenta marcia, solo che il Sindaco ci metta un po’ le mani,
non sarebbe difficile.
Luigi Ho una difficoltà, don Rebo, io vedo la mia
buona Rosina che mantiene i suoi pollastri allegramente,
colla polenta marcita e non mi risulta che se ne siano mai
trovati male.
Don Rebo Prima di tutto la tua Rosina non dà loro
sempre polenta guasta e fa loro regalo di scorze di frutta,
di verze, e poi senza il suo ajuto e’ sanno trovare de’
vermi e ne fanno delle corpacciate, e poi li mangi, tu,
tutti i pollastri della tua Rosina?
Luigi Eh! per me non ne mangio nemmen uno, ed
essa meno di me.
Don Rebo Ebbene, quando tu li venditi togli il modo
di verificare come e’ finiscano e che pro’ i faccia loro
quel tuo cattivo grano; anzi mi diceva giusto il dottore,
che per provare come il granoturco cattivo faccia venire
la pellagra l’hanno dato appunto ai pollastri per molto
tempo: e dopo due mesi, al più, erano divenuti magri,
spiumati, colla cresta bianca e bassa e beccolavano colla
testa da un lato, e s’inceppavano nelle gambe che era una
compassione a vederli.
Luigi Bene, don Rebo, lei ha ragione. Ma, mi dica
un po’ di grazia, lei sa che buone lane sono il fornajo
Rampigni e il mugnajo Sgraffotti: come vuole impedire,
lei, che e’ mescolino del grano marcito in mezzo al sano,
quando noi portiamo loro il nostro raccolto per ridurlo
in farina o in pane. Ella sa che essi hanno l’uso di pagarsi
tenendosene per se una porzione, e fin qui han ragione;
– ma il grosso del guadagno poi lo cavano dal mescolare
la farina cattiva colla buona, e peggio nel restituire farina
cattiva per farina buona.

Storia d’Italia Einaudi 120


Cesare Lombroso - Genio e follia

Don Rebo Te l’ho già detto, che per una parte ci


provvederà il Sindaco, ma poi m’hanno detto che han
trovato un segreto di fare un pane colla polenta che ci
salverà dalle frodi del mugnajo e del fornajo quando il
Sindaco non ci sappia o voglia metter lo zampino. – Ecco
come si fa –.
Tu prendi, oggi, il grano che occorre per il pranzo
del domani, mettiamo due chili; lo lasci macerare per
un diciotto ore nell’acqua, con uno spizzico di calce
viva, quindi lo lavi ben bene e il pesti sopra una polvere
simile a quella dei cioccolattieri, ma più piccola della
metà e senza strie, e che costa al più 4 lire, la pesti
con un cilindro o bastone pure di pietra: il grano che è
già rammollito dalla concia della calce, dopo una simile
pestata si riduce in una pasta: con questa tu farai delle
sfogliate che si mettono a riscaldare sopra una lamina di
ferro o un tegame con della brace sotto, e ti vien fuori
un piatto che è molto migliore del pan giallo poiché ha
il sapore delle nostre chicche di maiz o fioreu. Ecco che
così facciamo a meno di fornajo e di mugnajo e rendiamo
impossibili i loro inganni perché potremo lavorare colla
nostra farina. Nota bene che pare anche che con questa
preparazione, se il maiz è d’un qualche poco guasto, non
produce più i brutti effetti di prima e che la spesa è
minore anche perché così di legna ne brucieresti meno.
Luigi E una bella novità quella che mi racconta, ma
a me piacerebbe più che ella m’insegnasse il segreto,
perché il granoturco non si guastasse.
Don Rebo Oh si conosce già da un pezzo. Bisogna far
sì che non entri ne’ granai, se non bene essiccato; quindi
se tu puoi far fare dei forni essicatori dal padrone, nien-
te di meglio; se no, lascia una volta da banda quel maiz
quarantino che dà più danni che non porti vantaggi e
che non finisce mai di maturare. Di più fatti fare un’a-
ja proprio di pietra e intorno dei porticati ove ritirare il

Storia d’Italia Einaudi 121


Cesare Lombroso - Genio e follia

maiz quando la stagione si metta sul piovere. Ritirato-


lo in casa sgranalo, non più coi bastoni, ma coi gratug-
gioni o con qualche macchina, se denari ne hai di pren-
derla; che se piccolo è il tuo raccolto e su quello sia pio-
vuto puoi esporre le pannocchie al sole in tanti telai fin-
che siano asciuttate. Nei granai guarda che non filtri ac-
qua, che non vi sia troppo caldo in estate ad ogni mo-
do quando è gran caldo facci prender aria al tuo grano,
ventalo. Un certo Valery ha inventato una certa cassa o
cilindro per mantenere e ventilare il grano che si ridur-
rebbe di 560 volte, la spesa di ventarlo e mantenrlo nei
magazzini. Ma il padrone è avaro e non vorrà comprar-
la, e intanto tu potresti, quando temi che il tuo maiz bol-
la o sia per guastarsi per l’umidità prenderla a nolo come
si fa coi brillatòj del riso. E nota che con questo otter-
resti di snidare quelle migliaja di bestioline (curculii) che
divorano il grano a man salva.
Luigi Ma come si fa egli ad accorgersene sul principio
che il maiz stia per guastarsi?
Don Rebo Al naso, agli occhi, al tatto. Quando co-
mincia a fermentare si sente un umido e caldo da non
dire, mettendo la mano nei cumuli; poi, quando ha già
fermentato si vede uscir fuori dal grano una radichetta
e comparire una macchiuzza o verde o azzurra e il maiz
perdere il suo bel colore d’oro e tutto raggrinzarsi e di-
venire meno pesante e dare un odore che non è più quel-
lo della polenta cotta. In questo caso bisogna venderlo
a quelli che fanno gli spiriti, oppure mescolato a molto
sano darlo agli animali, e in ogni modo averne paura di
mangiarlo, come se fosse proprio (e tale egli è davvero)
un veleno.
Luigi Ora ho capito. Eh! per me, a mangiarne, non mi
ci colgono più! anzi, le dirò il vero, che non mi sento più
il coraggio di darne nemmeno alle bestie, perché sebbene

Storia d’Italia Einaudi 122


Cesare Lombroso - Genio e follia

non sieno cristiane io ci voglio bene a loro, poverette,


come se fossero di casa mia.

Molti al leggere sì grosse cifre si saranno detto: Per certo


di un male così atroce, che ha messo radici sì salde e
numerose per entro alle viscere dei nostri popoli, gli
scienziati avranno ormai approfondito per bene le cause,
ed un Governo nazionale come il nostro avrà fatto ogni
sforzo possibile per torle di mezzo.
Nemmeno per sogno! Il Governo ha ben altro pel
capo; e quanto agli scienziati, per questi la bisogna è
ancora più difficile.
Infatti il male data dall’epoca dell’introduzione del
maiz, come ordinario alimento; esso si osserva limitato
non già a quei soli paesi dove questo cereale più abbon-
dantemente si coltiva e si usa, anzi si abusa (Messico, Pe-
rù, ecc.), ma a quelli dove per le pioggie, inondazioni,
umidità, esso più facilmente si guasta34 .
Gli uomini, che non hanno la ventura di andare per la
maggiore, concluderebbero, subito, che dunque è il maiz
guasto il padre vero della pellagra. E così dissero quegli
osservatori che assistevano, vergini di ogni teoria più o
meno fantastica, alla sua prima comparsa, come il Guer-
reschi, il Chiarugi, il Sette, il Sachero, ecc.; così s’ingegnò
dimostrare il Ballardini, fino dal 184035 , facendo amma-
lare dei polli, cui nutriva di maiz guasto, e che si fecero
tristi, spennacchiati, paralitici.
Questo illustre esperimentatore, anzi, avendo col Ce-
sati osservato un certo fungo nuovo, cui chiamarono lo
sporisorio, vegetare di frequente in quel grano tanto fa-
tale, credette, propriamente, che solo da quel fungo si
derivasse la pellagra.
Ma simili spiegazioni erano troppo semplici e chiare,
perché vi si acconciassero le sottili e vanitose cervella dei
falsi eruditi; per essi ci volevano di quelle ragioni astru-

Storia d’Italia Einaudi 123


Cesare Lombroso - Genio e follia

se, recondite, tali, che il volgo non ci raccapezzasse nul-


la, e meno ancor se ne potesse giovare. – Non si ha no-
mea di scienziati per poco! – Ed eccoli all’opera, costo-
ro, e abbandonando la sicura ed unica strada dell’espe-
rimento e delle osservazioni, inaugurata dal grande Bre-
sciano, si danno a spigolare, fra le pagine polverose del-
le biblioteche, pochi casi studiati senza metodo, ed anzi
con quello guasto dalla prevenzione o dalla fantasia, di
malattie simili alla pellagra, e vergini da uso del maiz, e
quindi ad arzigogolare le più strane e ridicole spiegazioni
sulle cause di quel morbo, dallo scottore del sole (pove-
ra Sicilia!), all’onanismo (poveri seminari!), all’inanizio-
ne (collo stomaco e intestino dilatati e colle urine alcaline
e scarse di urea, poveri fisiologi!), all’abuso del vino (po-
veri osti!), fino alla sifilide, alla lebbra, fino a certe muffe
crittogame che piovono, giù, giù, dall’alto delle capanne
sul desco dei contadini!! Vi ebbero, perfino, degli spiri-
ti bizzarri, i quali dopo molti e lunghi studi riescirono a
scoprire che la pellagra non esistette mai.
In mezzo a tanta confusione, non saprei o vorrei dire,
se originata dalla troppa scienza, o dalla troppa ignoran-
za, un partito prevalse per qualche tempo in Italia, gra-
zia alla temperanza ed dottrina non comune de’ suoi ca-
pi, il Morelli in Toscana, il Lussana in Lombardia36 ; essi
non negavano più che un rapporto ci corresse tra la agra
ed il maiz, ma se lo spiegavano con una certa loro analisi
quantitativa del maiz, per cui questo appariva più scarso
di azoto di tutti gli altri cereali, scarsezza tanto più per-
niciosa perché l’abuso degli esercizi muscolari richiede-
va, secondo loro, più consumo di azoto nei contadini che
negli altri uomini meno accalorati dai lavori.
Se non che la verità, per quanto si infreni e imbavagli,
finisce poi sempre per farsi strada dovunque; e più tardi
Roussel, Typaldos, Costallat, Hebra37 fra gli stranieri, e
quello che più monta Manassei, Maggiorani, Michelacci,
Pelizzari, Cipriani, fra noi, constatarono che quella teoria

Storia d’Italia Einaudi 124


Cesare Lombroso - Genio e follia

tanto auspicata era più ingegnosa che giusta, comeché di


azoto scarseggino assai più le patate ed il riso; e del maiz
sano ed asciutto si usasse ed abusasse impunemente dai
coloni d’America e dai Borgognoni e Rumeni, tutelati
da opportune precauzioni igieniche; aggiungevasi che
quella famosa divisione Liebighiana degli alimenti, su
cui tanto poggiavansi gli avversarii, era stata in gran
parte abbattuta da Moleschott, e ad ogni modo l’analisi
chimica quantitativa del maiz38 non confermava quella
tanta sua scarsezza in azoto di cui l’accusavano e che
finalmente dagli esperimenti di Voit e Pettenkoffer e
Rank riescì dimostrato per gli esercizi muscolari esser
necessari quasi altrettanto i carburi del sangue (onde va
così ricco il maiz) quanto gli azotati.
Doppoiché venne così appianato il terreno, facile riu-
scì al dottore Lombroso di fare un passo più innanzi39 .
Il Lombroso fece ricerca per le campagne dell’alta Ita-
lia di maiz guasto, ne comparò la frequenza a quella del-
la pellagra; ne compose una tintura che somministrò in
piccola dose a ben quaranta individui, a dodici dei quali
per varii mesi di seguito, ed ecco manifestarsi nella mag-
gior parte di essi (alcuni rimasero indifferenti), ad uno
ad uno, i tristi sintomi della pellagra; era, ora una voraci-
tà incessante, che costringeva i poveretti a mangiare del-
le dozzine di pani in più, ora un ribrezzo del cibo, e bru-
ciori di ventricolo, scottore e prurito agli arti; in pochi,
anche, disquammazione, stizzosità senza causa, dimagri-
mento, profluvio, e tale debolezza da strascinarsi le gam-
be, e non potere sollevare i soliti pesi, e un piacere sì vivo
a tuffarsi nell’acqua, ed a contemplarla, da spiegare trop-
po bene quell’idromania, che è veramente il più spicca-
to sintomo dei pellagrosi. Né l’arrostitura né la mistione
coll’alcool, né una superficiale bollitura giovavano pun-
to a spogliare il maiz guasto dei suoi malefici effetti; non
vi si riusciva che facendolo bollire a 120° con calce viva,
e poi riarrostendolo nel forno.

Storia d’Italia Einaudi 125


Cesare Lombroso - Genio e follia

Voi sarete certo curiosi di conoscere a quali mutazio-


ni dell’interno del maiz si debbano tante sventure. L’uo-
mo che ha bisogno, quando si trova dinanzi a una se-
rie di fatti, di riattaccarli al più presto a qualche cosa di
concreto, in mancanza d’altro, si appiccica al più appa-
riscente fenomeno che gli si para dinanzi; perciò aven-
do il Lombroso rinvenuto, di frequente, nei grani esperi-
mentati, quelle macchiuzze verdi, o bluastre, che il Bal-
lardini attribuiva allo sporisorio, crede anche egli sulle
prime si trattasse di questo fungo; ma uno studio accura-
to gli mostrò come quelle tali macchiuzze eran prodotte
da certe muffe comuni, che crescono su tutte le sostan-
ze organiche irrancidite, che noi ingoiamo le mille volte
in un anno, senza provarne noia, cioè al penicillum glau-
cum; per maggiore sicurezza ne raschiava dai grani i pul-
viscoli fungosi, e se li iniettava sotto la cute senza aver-
ne alcun danno. Qui dunque il fungo era solo l’indizio,
forse l’effetto della malattia del grano, ma non la malat-
tia stessa, la quale meglio si distingue da un certo color
bigiastro, dal sapore amaro, da un odore vinoso, e dalla
presenza frequente di cellule di fermento, [...]
Anche coll’olio di maiz del commercio, ottenuto da
cereali poco sani, si provocò nei cani diarrea, rifiuto dei
cibi, vomito, sbalordimento; e nei pulcini sonnolenza,
diarrea, rifiuto del cibo, e quello che più riescì curioso, a
tre galli, dopo 51 dosi, desquamazione della cresta e dei
bargigli, apatia, tempellamento, calore aumentato (44°),
schifo del cibo e convulsioni cloniche o coree del capo
con tendenza ad andare a ritroso e difficoltà notevole al
salto, sicché parean ubbriachi.
Dalla distillazione della tintura si ottenne, oltre ad un
corpo resinoso, affatto inerte, che esiste benché più scar-
so nel maiz sano, una certa sostanza rossa, venefica, con
caratteri alcaloidei40 , che somministrata ai pulcini pro-
dusse diarrea, dispnea, paralisi degli arti inferiori, con-
vulsioni toniche e morte; nei galli adulti, dispnea, immo-

Storia d’Italia Einaudi 126


Cesare Lombroso - Genio e follia

bilità, diarrea, paresi dell’ali; nei cani, sonno, diarrea, se-


te, rifiuto dei cibi, diminuzione del peso; in un uomo,
stordimento, nevralgie, nausee, diarree, schifo del cibo,
fenomeni che passarono coll’uso del vino; in un altro, un
senso di peso al basso ventre, bruciore alla gola, perdita
dell’appetito, prurito, tristezza, onde fu chiamata sostan-
za tossica del maiz guasto.
Tanto l’olio irrancidito, esternamente, ma più ancora
la tintura, internamente, mostrarono un’efficacia notevo-
le in alcune malattie della pelle. Sopra 15 affezioni cuta-
nee (psoriasi, eczema) curate colla tintura, 8 guarirono,
5 notevolmente migliorarono e due resistettero.
La pubblicazione di questi fatti ha destato nel mondo
scientifico di alcune provincie d’Italia, dove non si cre-
dette mai alla perniciosità del maiz guasto, una specie
di reazione, quasi si trattasse di una vera eresia scienti-
fica. E perfino un corpo scientifico di una cena rilevan-
za, avendo fatto rinnovare quelle esperienze41 , conclude-
va in senso precisamente opposto. Anche un fisiologo,
molto in fama fra i più, le ripete ad una ad una e con
tutta certezza le dichiarava falsate.
Tuttavia pensando che un tanto divario non poteva
esplicarsi senza una qualche differenza nelle preparazio-
ni del veleno, il Lombroso ritentò le prove con mezzi più
perfezionati, associandosi l’Erba, uno dei chimici più va-
lenti della Lombardia, e ne ottenne preparati, che ben-
ché ancor differenti nell’azione a seconda delle condizio-
ni atmosferiche, pure erano così potenti da rendere im-
possibile ogni obbiezione ulteriore42 .
Ma voi direte: Se il maiz guasto è causa della pellagra,
perché non ce l’accennano mai i colpiti; e perché vi è
tanta difficoltà a rintracciarne? La causa del silenzio
si deve cercare nella vanità, nell’ignoranza, nella troppa
docilità dei consumatori, e nella tristizia dei venditori;
di maiz ammorbato se ne trova per ogni fondaco, ma
il triste mercante o custode non ne rivela facilmente il

Storia d’Italia Einaudi 127


Cesare Lombroso - Genio e follia

segreto, perché altrimenti mal riuscirebbe a rivenderlo


per buono mescolandolo col sano o facendolo passare
sul gesso.
L’ignoranza, del resto, del contadino a questo riguar-
do non desterà meraviglia ai medici che sanno quanto
sulle cause dei proprii guai l’uomo sia inclinato ad in-
gannare sé ed altri; quante mamme di scrofolosi non ci
accennano a certe pretese cadute o paure come a sola
causa delle piaghe dei loro bambini!! – Che sarà qui ove
la causa era controversa anche fra i dotti; e dove a dif-
fondere l’errore molti medici erano spinti dalla comoda
scusa che vi trovavano alla loro colpevole inerzia!
Ciò malgrado, Lombroso trovò 42 pellagrosi su 472
che accusavano il maiz guasto come causa del loro male;
e non è raro sentire i contadini della bassa Lombardia
chiamare il maiz col funereo appellativo di grano della
pellagra, ed anche solo di pellagra, e nella Relazione della
Commissione Mantovana si accennano a 14 Comuni ove
il maiz guasto si accusa dai Sindaci come causa della
pellagra.
Ma come accade egli, se i popolani se n’accorgono,
che seguitano a mangiarne?
È troppo facile il rispondere! Per suprema necessità;
per mancanza di altro alimento, per la docilità singola-
re, troppa, dei nostri coloni, che credono non aver dirit-
to a rifiutare il maiz guasto loro distribuito per dispensa
dai padroni; e quando ci si provano, vi rimettono il fia-
to; per es. in Albignola il carrettiere Binasco andava, nel
1861, in giro a comperare maiz guasto che poi distribui-
va ai suoi lavoratori, certi Bindolini, Essi protestarono
che l’avrebbero mangiato se l’avessero colto loro a quel
modo, ma che essi avendolo raccolto sano volevano usa-
re solo di quello là! Ma fu fiato gittato; che egli disse loro
(io ripeto, frasario di quei poveri contadini): «O mangia-
re questa minestra o saltare questa finestra, cioè andar-
sene via». Ed essi tutto l’inverno mangiarono maiz gua-

Storia d’Italia Einaudi 128


Cesare Lombroso - Genio e follia

sto, ed ora sono pellagrosi. Peggio ancora poi va la biso-


gna pei mendicanti, ai quali una carità crudele, venendo
a patti coll’avarizia, fornisce il maiz più guasto che abbia
la prudente massaia43 .
Cura Se non che tutti questi dati sull’origine della
pellagra non risolvono, per nulla, il problema, che più
deve starvi a cuore, quello della cura. Si affermava
dai vecchi pellagrologhi, ed era in parte vero, il miglior
rimedio per quegli infelici essere l’uso della carne e del
vino, ma questo era più facile a dirsi che ad eseguirsi; il
poveretto, a cui, dal comodo seggiolone, si davano questi
consigli, non poteva metterli in pratica, e se l’avesse
potuto non avrebbe aspettato chi glieli suggerisse.
Ma, intanto, poggiandosi su quelle idee esclusive, il
medico del villaggio, che non aveva a sua disposizione le
cucine di Lucullo, o di Talleyrand, scoteva tristamente
le spalle a chi nel richiedeva di aiuto, e lo rimetteva al-
la mercé di una pietà, problematica spesso, e provviso-
ria sempre. Il malato medesimo, ben sapendo che quella
tal cura non era alla sua portata, lasciava, con disperata
apatia, percorrere il morbo fino all’ultimo stadio, e tra-
piantarsi nell’infelice sua prole. Il Lombroso, dopo lun-
ghe prove, giunse a trovare alcune sostanze che avevano
virtù d’arrestare il morbo nei suoi primordi, senza aver
ricorso agli amminicoli troppo dispendiosi della cucina.
Fra queste mostrarono maggior efficacia l’arsenico ne-
gli adulti; il sal di cucina negli impuberi, l’acetato di
piombo nei vecchi, il cocculo nelle vertigini, l’amica ed il
calomelano nelle diarree.
Ma qui non è tutto color di rosa, come parrebbe
sulle prime; gli è che una parte di questi, guariti appena
da un veleno, non acquistavano punto l’immunità da
un secondo avvelenamento; come un bevone a cui una
buona dose di oppio abbia levato le fisime del vino, non
resta meno esposto a subirne gli effetti, appena ritorni
alla bottiglia.

Storia d’Italia Einaudi 129


Cesare Lombroso - Genio e follia

L’istituire, adunque, semplicemente, la cura farmaco-


logica, senza associarvi la preventiva, è un rinnovare la
triste impresa delle Danaidi. Per fare una vera cura radi-
cale bisogna salire più in alto. E qui forse cadrà in mente
a qualcuno il vecchio ritornello dell’abolizione della col-
tura del maiz! – Ohibò! – Voler impedire quella coltiva-
zione non sarebbe solamente inutile; ma assurdo; arieg-
gierebbe uno di quei consigli, che a mo’ delle grida spa-
gnuole, ed anche di certi decreti moderni governativi, co-
minciano e finiscono la loro parabola su quel foglio di
carta su cui furono dettati.
Il maiz, per la facilità di propagarsi con pochi semi,
per la copia di foraggi e combustibili, che fornisce col-
le sue foglie e col suo stelo, per la ricchezza di sostanze
grasse ed azotate che contiene, è un vero tesoro pel con-
tadino, il quale deve ad esso, se, da mezzo secolo in qua,
non subì più quelle terribili carestie, che lo decimavano
nei tempi trascorsi.
E poi, se tuttociò non fosse, già, non baderebbesi,
punto egualmente, ad un tale consiglio; tanto lontano e
discrepante suol essere l’umile pratica dalla troppo aulica
dottrina dei libri.
Ben più facilmente vi si riescirebbe attuando certe
misure che non turbano ma temperano e migliorano le
condizioni della coltivazione maidica; adattandole, per
es., alle varie specie di terreno; sopprimendo il sessantino
in tutti, e il cinquantino pei montanini; introducendo in
questi il maiz eliplicum aureum ed il umilio; nei paesi
freddi, quando il maiz non sia maturato, al tempo del
raccolto, lasciandolo in pannocchia, e non adoperandolo
che per foraggi, e sempre sgranando le pannocchie al
coperto (e cogli sgranatoi meccanici o col grattugione),
essiccandole al sole, o coll’aeroterme, ecc.
Sopratutto convien provvedere all’acquisto di buoni
magazzini meccanici, laddove il terreno umido non per-
metta l’uso dei sili; i migliori magazzini sono quelli del

Storia d’Italia Einaudi 130


Cesare Lombroso - Genio e follia

Valery, di Demaux, i quali non solo proteggono il maiz


dalla umidità, dalle offese dei sorci, degli uccelli, e degli
alluciti, ma permettono la ventilazione continua, il tutto
con un risparmio che può stare in confronto con quel-
lo dell’ordinario magazzinaggio, come 1 a 560, se si usi il
vapore, e come uno a 56 senza il vapore.
Quando l’igiene s’accoppia ad una economia di tan-
to rilievo, il vantaggio mi par troppo perché non si deb-
ba passar sopra a quella libertà economica, che qui si po-
trebbe chiamare libertà di far male. Se il Governo dun-
que trovasse modo di obbligare e incoraggiare i Comu-
ni più colpiti dal morbo a provvedersi di questi appa-
recchi per subaffittarli ai proprietarii, gioverebbe nello
stesso tempo all’igiene e alle finanze della Nazione, co-
me gioverebbe a se stesso ed al paese impedendo con se-
vere misure la vendita al minuto della polenta ammuffi-
ta, vendita spesso protetta, alle volte perfino eseguita dai
suoi diretti rappresentanti, dai Sindaci.
E converrebbe ancora favorire l’erezione di molini e
di panifizi cooperativi per salvare i contadini dalla frode
dei fornai e dei mugnai, e proibire l’uso dei pani troppo
grossi e popolarizzare quelle nuove confezioni alimenta-
rie col maiz ancor immaturo, che tanto son gustate nel-
l’America del Sud, come pure le industrie che possono
trarsi col maiz immaturo, specialmente quelle degli spi-
riti e dell’olio; quest’ultime sopratutto sarebbero di ra-
dicali giovamenti, perché nella grande quantità raccolta
nella porzione embrionale del grano sta certo una del-
le precipue ragioni del facile infracidamento, e spogliata
dell’olio, la farina si può conservare assai più a lungo sen-
za guastarsi. – Ed ecco perché io vo altero di aver sco-
perto le proprietà antierpetiche e cosmetiche dell’olio e
della tintura di maiz guasto44 , che una volta applicati in
grande scala spero potranno deviare dai commerci molte
partite di maiz putrefatto.

Storia d’Italia Einaudi 131


Cesare Lombroso - Genio e follia

Nel caso in cui tutte queste misure non approdino, e


che sia impossibile, o meglio che non si voglia impedire
l’uso del maiz ammuffito, si faccia esso bollire nella calce
viva a 120°, e rilavatolo lo si arrostisca del forno.
E appena si sviluppano gli effetti di quel tristo cibo,
a spese del Comune il malato sia sottoposto all’uso delle
sostanze trovate utili nella cura della pellagra; come l’a-
cido arsenioso negli adulti, il cloruro sodico nei fanciulli,
l’acetato di piombo nei vecchi, il cocculo nei vertigino-
si; l’arnica ed il calomelano nei diarreici. Il Comune fini-
rà per trovarvi un vantaggio economico, poiché moltissi-
mi che la spesa di pochi centesimi può rendere alla sani-
tà ed al lavoro, resterebbero poi a suo carico, per miglia-
ia di lire, quando il loro male fosse divenuto cronico ed
incurabile.
Pur troppo, però, chi è pratico delle nostre condizioni
non può sperare di veder mettere in opera neppure una
di queste misure; la indifferenza