Sei sulla pagina 1di 67

enrico castelnuovo

Il significato del ritratto pittorico nella società

Sommario

1. Il Medioevo 5
2. Il Quattrocento 12
3. Cinquecento e Seicento 31
4. Dal Settecento all’avanguardia 56

Storia d’Italia Einaudi


2 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

Da: Storia d’Italia, vol. 5**, I documenti, Giulio Einaudi Editore, Torino 1973.

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 3

Pochi anni dopo la morte di Bonifacio VIII, il re di Francia Filippo


il Bello intentò contro il defunto pontefice un processo di eresia. Una
accusa di idolatria era portata all’ottavo punto: Bonifacio avrebbe fat-
to collocare nelle chiese statue d’argento a sua immagine inducendo i fe-
deli ad adorarlo, fuori delle chiese avrebbe fatto erigere propri simula-
cri in marmo, particolarmente sopra le porte delle città, là dove in anti-
co solevano essere posti gli idoli. Secondo le accuse Bonifacio avrebbe
utilizzato il proprio ritratto a fini magici, piú che religiosi, di autocele-
brazione1. Nella seconda metà del Cinquecento, in epoca di piena ri-
presa neofeudale, alcuni teorici dell’arte ricondussero la nascita del ri-
tratto proprio a questo tipo di utilizzazione. Scrive infatti Lomazzo nel
suo Trattato (1584):
L’uso del ritrarre dal naturale cioè di far le imagini de’ gli uomini simili a loro
sí che da chiunque gli veda sono riconosciuti per que’ medesimi credo io che sia tan-
to antico che nascesse in un punto insieme con l’arte stessa del dipingere la quale
da prima non fu ritrovata ad altro che a fare le imagini cioè ritratti di grandi uomi-
ni come di idoli in terra2.

In un articolo apparso su «Lacerba» nel 1914 dal titolo Il cerchio si


chiude Papini rimprovererà a Severini di aver fatto un ritratto polima-
terico «con i baffi veri e il bavero di velluto vero», e aggiungerà qual-
che settimana dopo (in «Cerchi aperti»):
Je comprends – mi diceva Picasso l’altro giorno – qu’on emploie les poils des
moustaches pour faire un œil, mais si vous mettez les moustaches vrais à la vraie
place des moustaches vous tombez dans le Musée Grevin3.

1 c. sommer, Die Anklage der Idolatrie gegen Papst Bonifaz VIII und Seine Porträtstatuen, Frei-
burg 1919.
2 g. p. lomazzo, Trattato dell’arte della pittura, Milano 1584, p. 430.
3 I due articoli sono stati rispettivamente pubblicati sui numeri del 15 febbraio e del 15 mar-
zo 1914 di «Lacerba». Cfr. Archivi del Futurismo, vol. I, Roma 1958, pp. 189 e 193.

Storia d’Italia Einaudi


4 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

L’accusa di Papini – l’arte che torna natura greggia – si appunta pro-


prio su un ritratto, come su ritratti si appuntavano quelle di idolatria di
Filippo il Bello. Le motivazioni possono essere cambiate, l’una si vuole
estetica, l’altra politico-religiosa, ma dietro ad ambedue, equivoco, oscu-
ro, in fondo temibile si profila il ritratto.
Per i giudici istruttori di Filippo il Bello i ritratti di Bonifacio («ima-
gines» è il termine che compare negli atti, ma la traduzione non è arbi-
traria: «imagini cioè ritratti» scrive Lomazzo) stanno per il ritrattato,
ne affermano e moltiplicano la presenza ovunque, particolarmente nei
luoghi sacri e importanti, le chiese, le porte d’accesso alla città; sono ele-
menti sostitutivi che hanno funzione magica, come gli antichi idoli. Die-
tro il ritratto c’è l’uomo che di esso si vale come di un magico strumen-
to di potenza. Papini non crede apparentemente alla funzione magica
del ritratto, ma è disturbato dall’uso di elementi naturali che si auto-
rappresentano invece di lasciare questo compito sostitutivo alla pittura.
Non erano stati proprio i futuristi a proclamare «che il ritratto per es-
sere un’opera d’arte non può né deve assomigliare al suo modello»4? Da
una parte si rimprovera a Bonifacio un cattivo uso dell’immagine, che
non deve prestarsi a utilizzazioni magiche, dall’altra a Severini si con-
testa una erronea concezione dell’immagine, che in alcun modo non de-
ve prestarsi a equivoci con il dato naturale. Sei secoli giusti separano
questi due episodi, lungo quest’arco di tempo si svolge in Italia la vi-
cenda del ritratto in continua dialettica tra le proprie potenzialità e i
propri limiti.
I giudici che istruirono il processo contro Bonifacio VIII non inten-
devano però, parlando di «imagines», ciò cui Papini alluderà parlando di
ritratto e questo non solo per una questione di termini. Questi possono
rimanere identici mentre il significato, con il tempo, ne varia notevol-
mente. Si può quindi discutere se i due fenomeni possano essere ridotti
sotto un comune denominatore. Se da un verso la riduzione pare arbitra-
ria, non meno arbitraria è la limitazione che obblighi a seguire il fenome-
no, o piuttosto i differenti fenomeni che si susseguono sotto lo stesso no-
me, entro i confini di un’area geografica prescelta per ragioni politiche o
linguistiche. Il problema andrebbe impostato tenendo conto dell’area tut-
ta intera in cui il fenomeno si manifesta. Occorre che questi limiti impo-
sti e queste possibilità di equivoco siano ben presenti a chi si accinga a se-
guire un «genere» solo apparentemente unitario e univoco entro un cam-

4 La pittura futurista. Manifesto tecnico, Milano, 11 aprile 1911, ripubblicato in Archivi del Fu-
turismo cit.

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 5

po artificialmente delimitato. Le peggiori difficoltà nasceranno proprio


dal trovarsi a dover assortire tempi lunghi e spazi ristretti.
Per scendere finalmente nel cuore del nostro argomento occorrerà
chiedersi in cosa il ritratto sia un elemento caratteristico della storia ita-
liana o meglio come questa storia appaia se la si consideri da questo pun-
to di vista, molto particolare. Una prima constatazione si potrà fare: che
cioè se facciamo iniziare la nostra vicenda dai tempi di Bonifacio VIII,
lasciamo nell’ombra un tempo assai lungo. Che ne è stato del ritratto in
questo periodo, e perché prendere le mosse proprio da questo partico-
lare momento?

1. Il Medioevo.

Durante il secolo iii d. C. il ritratto, che era giunto nell’arte romana


a una complessità e a una ricchezza eccezionali, subisce una profonda
modificazione, legata ovviamente alla trasformazione dell’intero siste-
ma artistico. All’illusionismo avanzatissimo che aveva fornito all’artista
le possibilità di fermare con finezza nel marmo ogni tratto fisionomico
e caratteristica personali, ogni percettibile variazione del carattere e
dell’umore del ritrattato, succede un atteggiamento profondamente di-
verso. L’attenzione si sposta dalla vita esterna quale si manifesta nei li-
neamenti e in ciò che essi rivelano, delle particolarità fisiche e dei trat-
ti del carattere, a una vita interna segreta e visionaria. Un processo di
idealizzazione e di astrazione muta profondamente i dati della rappre-
sentazione. L’attenzione si rivolge all’interno dell’individuo e, al di là
delle sue qualità morali, addirittura alla sua anima, alla sua sacralità, al-
la sua «santità». Agli inizi del v secolo Paolino da Nola cosí rispondeva
a chi gli chiedeva un suo ritratto: «Quale ritratto vuoi che ti mandi,
quello dell’uomo terreno o quello dell’uomo celeste?» aggiungendo poi
«arrossisco di farmi dipingere cosí come sono, non oso farmi dipingere
come non sono». Era d’altra parte mutata l’ideologia imperiale, e pa-
rallelamente, l’immagine dell’imperatore. Questi è situato ora in una su-
prema sfera, quella della potestà universale che domina il fato, in un
tempo immobile, lontano dalle contingenze della quotidianità. Cosí nel
iv secolo Ammiano Marcellino descrive il solenne ingresso a Roma di
Costanzo II: «... sembrava eretto cosí rigidamente come se avesse avu-
to una fascia di ferro intorno al collo, non girava il volto né a destra, né
a sinistra, come una statua». La massima attenzione si concentra sugli
occhi, anormalmente spalancati essi possono esprimere l’immobilità ie-
ratica del potere assoluto o portare all’esterno le profondità di una vita

Storia d’Italia Einaudi


6 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

interiore. Nello sguardo tutto si riassume. La molteplicità mobile e va-


stissima degli individui si riduce a un numero ristretto di tipi con ca-
ratteri strutturali fissi e attributi eventualmente modificabili e inter-
cambiabili. I ritratti diventano «caratteri» largamente ripetuti, tanto da
poter costituire una tipologia. Per rendere l’uomo simile a Dio5 si adot-
tano forme geometriche cui si conferisce un valore particolare e privile-
giato: si sottolinea cosí per esempio la struttura quadrangolare del vol-
to. Una volta determinatene le caratteristiche, il ritratto di Cristo di-
viene il ritratto per eccellenza, imperatori apostoli e santi assumono
caratteristiche fisse; anche i tratti fisici prendono significati simbolici
in quanto il ritratto come studio fisionomico del volto di un singolo in-
dividuo è al di fuori degli scopi dell’arte medievale.
Sarebbe troppo sbrigativo affermare che l’arte dell’alto Medioevo
non conobbe il ritratto. È vero che gli interessi che a una tale ricerca
potevano spingere erano venuti meno o avevano cambiato direzione, e
che d’altra parte gli artisti avevano gradualmente abbandonato i mezzi
espressivi atti a tradurre in opere questa ricerca, ma in realtà un natu-
ralismo di tipo nuovo, specificatamente medievale, si sostituí al natura-
lismo ereditato dai tempi classici. Si è parlato a questo proposito di na-
turalismo simbolico, di un naturalismo delle singole parti in cui la tipi-
cità si sostituisce alla autenticità. In questo contesto ha una particolare
importanza l’interesse che poteva insorgere per la creazione e la con-
servazione di ritratti di determinati personaggi. La teoria dei pontefici
romani viene rappresentata all’interno delle basiliche di San Pietro e di
San Paolo sviluppandosi sulle mura delle navate come una grandiosa se-
rie di biografie dipinte, come un monumentale catalogo figurato. Il ri-
tratto papale (divenuto categoria autonoma a partire dal secolo v), in cui
singoli elementi individualizzanti sono calati entro la struttura di un ti-
po, costituisce un capitolo significativo della vicenda del ritratto nei se-
coli dell’alto Medioevo. In questo caso la precisa esigenza di conserva-

5 Sui caratteri del ritratto alla fine dell’antichità e nell’alto Medioevo cfr. p. e. schramm, Das
Herrscherbild der Kunst des frühen Mittelalters, in «Warburg Vorträge», II, 1, 1922-23, pp. 162 sgg.;
id., Die deutschen Kaiser und Könige in Bildern ihrer Zeit, 752-1152, vol. I, Leipzig 1928; g. von ka-
schnitz-weinberg, Spätrömische Porträts, in «Die Antike», n. 2, 1926, pp. 36 sgg.; r. delbrück,
Spätantike Kaiserporträts. Von Konstantinus Magnus bis zum Ende des Westreiches, Berlin 1933; g. b.
ladner, The Concept of the Image in the Greek Fathers and the Byzantine Iconoclastic Controversy, in
«Dumbarton Oaks Papers», n. 7 (1953), pp. 1-34; h. p. l’orange, Studien zur Geschichte des spä-
tantiken Porträts, Oslo 1933; j. kollwitz, Bild, in Reallexikon für Antike und Christentum, vol. II,
1954; g. ladner, Ad Imaginem Dei. The Image of Man in Mediaeval Art, Latrobe (Penn.) 1965; h.
p. l’orange, Tardo Antico e Alto Medioevo, in Atti del Convegno del 1967 promosso dall’Accademia
nazionale dei Lincei, Roma 1968, pp. 309 sgg.; m. cagiano de azevedo, Storiografia per immagini,
in Storiografia altomedievale, Spoleto 1970, pp. 119 sgg.

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 7

re le immagini dei successori di Pietro come elementi di una serie inin-


terrotta, come tramite del passato nel presente, come affermazione di
legittimità e di primato è alla base dello sviluppo di un certo tipo di ri-
trattistica. Si riconosce un senso all’elaborare e al conservare le imma-
gini di questi individuali protagonisti investiti da una finalità e da una
missione superiori6.
Per secoli e secoli questa situazione si protrarrà; il ritratto esiste, ma
è ritratto «tipico», non «autentico», esiste per certe categorie (i papi,
per esempio) e per certi tipi di situazioni sociali, pitture celebrative e
commemorative, monumenti tombali, immagini di committenti o di de-
stinatari di un’opera. L’abate che costruisce, rinnova o fa decorare la
sua chiesa vorrà vedervisi effigiato in atto di offrire, come una preghie-
ra, il suo monumento, la sua opera alla divinità; colui che nello scripto-
rium del proprio monastero fa miniare un libro sacro da offrire all’im-
peratore vorrà veder rappresentata la cerimonia dell’offerta. Anche l’ar-
tista, l’orafo, l’illustratore, il copista, lo scultore scriveranno il loro nome
sotto le piccole figure che li rappresentano piú che non li descrivano.
Nel corso del secolo xiii la situazione muta profondamente. In un
primo tempo nella scultura, in seguito – e ciò avverrà nel secolo seguente
–, nella pittura. Dal ritratto «tipico» si muove di nuovo verso il ritrat-
to dell’individuo. Sorge un interesse diverso e nuovo e un luogo impor-
tante di questa vicenda è la corte di Federico II. Vennero qui eseguiti,
appunto per essere messi sulle porte delle città là dove stavano gli anti-
chi idoli, come si rimproverò a Bonifacio VIII, numerosi ritratti dell’im-
peratore e dei suoi consiglieri. Si tratta di opere la cui presentazione al-
tamente classicizzante, se ha un preciso senso politico, assume anche un
valore culturale. Questi busti legati a prototipi classici non sono ancora
gli incunaboli del nuovo ritratto fisionomico, ma esprimono tuttavia una
precisa volontà di rompere con il sistema figurativo medievale e con la
concezione del ritratto che fin qui aveva prevalso. Per far questo si rie-
sumano moduli antichi, si cercano nel mondo classico esempi di un na-
turalismo perduto. Accanto agli studi e alle rappresentazioni naturali-
stiche che nell’ambiente federiciano hanno avuto origine, un posto im-
portante occupa il problema del ritratto. A una tendenza comune, a una
comune ricerca risalgono l’interesse per la rappresentazione naturalisti-
ca delle piante e degli animali e quella per il volto dell’uomo7.

6 g. ladner, Die Papstbildnisse des Altertums und des Mittelalters, vol. I, Città del Vaticano 1941.
Cfr. la recensione di e. kitzinger, in «Speculum», xxiii, 1948, pp. 312 sgg.
7 e. langlotz, Das Porträt Friedrichs II vom Brückentor in Capua, in Beiträge für Georg Swar-
zenski, Berlin 1951, pp. 45 sgg.; g. von kaschnitz-weinberg, Bildnisse Friedrichs II von Hohen-

Storia d’Italia Einaudi


8 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

L’episodio federiciano dura pochi anni, ma lascia tracce capitali nel-


la storia del ritratto; si manifesta in questo momento una trasformazio-
ne profonda dell’idea di natura, della funzione e dell’aspetto dell’imma-
gine. Pochi decenni dopo appare una serie di ritratti caratterizzati da un
impressionante verismo fisionomico, quale non si era piú ritrovato dalla
fine del sistema figurativo classico. Si tratta di immagini che fanno par-
te di monumenti funerari, ottenute grazie alla pratica del calco preso di-
rettamente sul volto del defunto8. L’impiego di questo procedimento,
conosciuto nell’età classica e poi completamente abbandonato, travolto
dalle migrazioni dei popoli e dalla profonda modificazione subita dal con-
cetto di ritratto, svela che un preciso interesse individualizzante va fa-
cendosi strada. Se un primo caso in cui il volto della statua è attenta-
mente controllato su una maschera funebre è quello della tomba della re-
gina Isabella, moglie di Filippo III, a Cosenza (1271), esso è seguito molto
da vicino da quello del monumento funerario di Clemente IV a Viterbo
scolpito dal marmoraro romano Pietro di Oderisio. Qui la rassomiglian-
za del ritratto, di portentosa caratterizzazione, con la struttura fisica del
volto del defunto è stata confermata da una ricognizione delle ossa con-
dotta alla fine dell’Ottocento. A partire da questo momento gli esempi
si moltiplicano. Il servirsi della maschera funebre ha evidentemente ori-
gine nella volontà di conservare una immagine precisa e veritiera delle
fattezze esterne del ritrattato, non solo della sua vita interiore o del suo
ruolo sociale. Non si è piú di fronte all’imperatore, al pontefice, al ve-
scovo, ma a quel particolare uomo che in un tempo preciso si trovò a oc-
cupare quella carica. È questo il momento in cui si moltiplicano anche le
immagini dei viventi, il re, il papa: Carlo d’Angiò e, appunto, Bonifacio
VIII. Le maestose statue sedute dei vivi non hanno quel carattere diret-
to e icastico che si avverte nei monumenti funerari. A causa senza dub-
bio dell’assenza della maschera come punto di partenza nella formazio-
ne dell’immagine e come insostituibile strumento di controllo, ma a cau-

staufen, in «Mitteilungen des deutschen archäologische Institutes Römische Abteilung», voll. LX-
LXI, 1953-54, pp. 1 sgg., LXII, 1955, pp. 1 sgg.; a. prandi, Un documento d’arte federiciana, Di-
vi Friderici Caesaris imago, in «Rivista dell’Istituto nazionale d’archeologia e storia dell’arte», n. s.,
ii, 1953, pp. 263 sgg.; k. wessel, Bildnisse des Königs Manfred von Sizilien, in «Staatliche Museen
zu Berlin, Forschungen und Berichte», 1958, pp. 38 sgg. Sull’importanza dell’ambiente federi-
ciano per la nascita di osservazioni naturalistiche cfr. le osservazioni di o. pächt, in Early Italian
Nature Studies («Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», 1950), e di f. bologna, I pit-
tori alla corte angioina di Napoli 1266-1414, Roma 1969, pp. 24 sgg.
8 j. pohl, Die Verwendung des Naturabgusses in der italienischen Porträtplastik der Renaissance,
Würzburg 1938, pp. 20 sgg. In generale sul ritratto di questo periodo cfr. h. keller, Die Ent-
stehung des Bildnisses am Ende des Hochmittelalters, in «Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte»,
iii, 1939, pp. 227-365.

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 9

sa anche di una diversità di funzioni. I simulacri offerti nelle chiese alla


venerazione dei fedeli, o troneggianti sulle porte delle città come sigilli
di possesso e di dominio, come strumenti attivi di magica tutela, hanno
un carattere che volutamente prescinde dalle particolarità fisiche e psi-
cologiche dell’uomo limitato e contingente, mentre all’opposto queste
qualità sono proprio quelle ricercate nel monumento funebre, nella vo-
lontà di distinguere, di individualizzare, di rappresentare il modello, per
parlare come Petrus Aureolus come «qualcosa singolare di per se stesso
e non a causa di qualcosa d’altro»9. È appunto in questo momento che
prende inizio il capitolo piú significativo della storia del ritratto in Ita-
lia. La scoperta del volto umano in pittura subirà invece qualche ritardo.
Se la fisionomia di Clemente IV, come appare nella tomba di san Fran-
cesco a Viterbo con la fronte prominente e gli zigomi sollevati è in-
confondibile, quella di Enrico degli Scrovegni, in atto di presentare alla
Vergine la cappella che in espiazione dei peccati del padre usuraio aveva
fatto erigere e decorare a Padova, non si distingue granché da quella de-
gli altri personaggi del ciclo giottesco. Un fatto importante è che il do-
natore sia rappresentato alla stessa scala dei personaggi divini – cade con
questo un limite che per molto tempo non era stato valicato – ma man-
ca una precisa caratterizzazione che lo distingua. Lo schema polivalente
prevale e non è modificato – almeno se lo si confronta con la ritrattisti-
ca scolpita del suo tempo – dalla osservazione individualizzante. Eppu-
re appare chiaro dall’esame delle fonti che i contemporanei attribuirono
a Giotto una precisa e innovatrice capacità di rappresentare con ecce-
zionale potenza persuasiva, e ricchezza e complessità non prima viste, il
dato naturale. Ci si può dunque chiedere perché i suoi ritratti appaiono
meno aderenti e convincenti di quelli di Pietro di Oderisio o di Arnolfo
di Cambio.
Giotto cercò da un lato di mutare gli schemi rappresentativi dei sin-
goli oggetti della rappresentazione: personaggi, architetture, piante,
animali, dall’altra di intervenire radicalmente nel rapporto esistente tra
gli elementi rappresentati. Il mutamento che egli perseguí andò nel sen-
so di una razionalizzazione della rappresentazione, della sua organiz-
zazione in uno spazio misurabile, oggettivamente interpretabile, non
trattato secondo principi gerarchici, non soggetto a variazioni a secon-
da dell’avvenimento rappresentato o dell’importanza e della funzione
dei personaggi. Con la sua pittura diede informazioni e messaggi altri-
menti complessi di quelli che i suoi predecessori avevano trasmesso, e

9 e. panofsky, Gothic Architecture and Scholasticism, Latrobe (Penn.) 1951.

Storia d’Italia Einaudi


10 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

tuttavia il suo problema essenziale fu di creare dei nuovi rapporti, en-


tro uno spazio nuovo, di creare una umanità nuova, senza soffermarsi
all’irripetibile dell’individuale. Secondo Filippo Villani, una fonte non
troppo lontana dal suo tempo, egli avrebbe dipinto con aiuto di spec-
chi un autoritratto, rappresentandosi accanto a Dante nella cappella del
Palazzo del Podestà, tuttavia ciò che si cela dietro a questo aneddoto
non è tanto un fatto storico quanto una adattazione di Plinio. Tutta-
via il linguaggio grottesco era perfettamente atto ad essere adoperato
nella creazione di ritratti riconoscibili, e ne fanno fede i volti nelle fa-
sce ornamentali della Cappella Peruzzi. Frederick Antal pensando che
in questi medaglioni fossero ritratti membri della famiglia Peruzzi, ar-
rivò a concludere che «essi furono i primi tra i ricchi fiorentini ad es-
sere rappresentati fuori da un affresco o da un quadro religioso, in ri-
tratti quasi del tutto autonomi, anche se inseriti nella cornice dei di-
pinti». Che si tratti di membri della famiglia Peruzzi è difficile
affermare. Si osservi solo che la volontà caratterizzante è presente qui
a ben piú alta concentrazione che nei personaggi delle scene leggenda-
rie. E a questo proposto viene fatto di ricordare un parallelo significa-
tivo. Nella Cappella degli Scrovegni i due coretti «segreti» alla base
dell’arco trionfale sono presentati in una prospettiva rigorosa ben di-
versa dal tipo di rappresentazione spaziale adottata per le storie. In am-
bedue i casi i tentativi piú avanzatamente illusionistici e naturalistici
sono confinati ai margini, senza entrare nella struttura e nella compo-
sizione delle sacre vicende.
Ci si può chiedere se la struttura stessa della società fiorentina del
primo Trecento non sia stata una remora al manifestarsi di un preciso
interesse verso il ritratto individualizzato. Una società retta da un re-
gime monarchico o autocratico poteva rivelarsi terreno piú fertile per
la nascita del ritratto moderno, proprio per l’utilizzazione strumenta-
le che di queste immagini poteva essere fatta. Alcuni indizi spingono
in effetti a ricercare in questa direzione: per esempio il ritratto di re
Roberto d’Angiò nella grande icona con san Ludovico di Tolosa che Si-
mone Martini eseguí alla corte di Napoli. In questo caso il personaggio
del monarca va al di là della consueta immagine del donatore ed entra
come protagonista nel quadro che ha un preciso significato politico-di-
nastico. Si tratta dell’incoronazione del re da parte del santo, suo con-
giunto; è chiaro che una simile investitura celeste conferisce a chi la ri-
ceve una inattaccabile legittimità. D’altra parte, esiste al Louvre un ri-
tratto su tavola del re di Francia Jean le Bon, che sarebbe il primo
ritratto autonomo della pittura europea, il primo dipinto in cui le fat-
tezze di un personaggio siano rappresentate non come quelle di un do-

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 11

natore, o di partecipante a una piú vasta scena, ma isolatamente, come


fine a se stesse10.
Questi due episodi, che si collocano ambedue nel clima delle corti,
hanno singolare importanza e sono legati, in quanto il ritratto di Jean le
Bon è opera di un artista perfettamente a conoscenza del linguaggio pit-
torico toscano. Tramite in questi rapporti fu il centro di Avignone, ove
artisti italiani lavorarono alla corte dei pontefici. È significativo che la
corte angioina di Napoli, quella parigina dei Valois e quella papale di
Avignone, siano i punti nodali di una vicenda che abbiam visto pren-
dere le mosse ancora nel Duecento dalla corte di Federico II e da quel-
la di Roma.
Pochissime testimonianze sono rimaste dell’attività avignonese di Si-
mone Martini, ma due testi capitali nella storia del ritratto vennero qui
creati, l’effigie del cardinale Stefaneschi nella decorazione dell’atrio del-
la cattedrale e la celeberrima immagine di Laura di cui parla il Petrarca.
Se questi, nella sua evocazione dell’opera («ma certo il mio Simon fu in
Paradiso»), non mostra di volere uscire dalle regole del «topos», ciò non
toglie nulla al fatto che il dipinto in questione fosse stato compiuto con
una certa intenzionalità e che finalmente fosse, a tutti gli effetti; un ri-
tratto. Purtroppo queste opere di Simone sono scomparse o gravissima-
mente deteriorate, ma altre testimonianze importanti dell’inclinazione
avignonese verso un ritratto riconoscibile esistono. Negli affreschi che de-
corano le cappelle del palazzo papale, come in quelli della prossima Cer-
tosa di Villeneuve, un’attenzione fisionomica singolarissima è prodigata
nella rappresentazione degli astanti delle sacre scene. La varietà delle fi-
sionomie, la unicità di certi personaggi, la non riconducibilità di molti di
essi alla tipologia tradizionale e il loro contrastare, all’interno della me-
desima scena, con altri, trattati secondo gli abituali stereotipi, inducono
a credere che l’artista abbia qua e là voluto introdurre nelle sue sacre vi-
cende degli autentici ritratti. Può avere giocato in questo senso la volontà
di attualizzare le leggende sacre, come vedremo piú tardi a Firenze. In ef-
fetti tutto porta a credere che in san Marziale, preteso evangelizzatore
delle Gallie cui è dedicata una cappella del palazzo, Matteo Giovannetti,

10 Su questo ritratto, giunto sino a noi in pessime condizioni, cfr. m. kahr, Jean Le Bon in Avi-
gnon, in «Paragone», n. 197, 1966; c. richter sherman, The Portraits of Charles V of France, New
York 1969, pp. 73 sgg. Sullo sviluppo del ritratto autonomo nel Nord verso il 1360 cfr. e. panof-
sky, Early Netherlandish Painting, Cambridge (Mass.) 1958, p. 170. D’altra parte se ragioni dina-
stiche ne hanno facilitato il sorgere sia in Francia che in Austria (ritratto del duca Rodolfo IV di
Asburgo al Museo diocesano di Vienna, cfr. catalogo esposizione Europäische Kunst um 1400, Wien
1962, pp. 145 sg.) i mezzi rappresentativi, gli strumenti pittorici adoperati nel corso di questo svi-
luppo, erano stati creati in Italia nei decenni precedenti.

Storia d’Italia Einaudi


12 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

il pittore viterbese autore di questi dipinti, abbia rappresentato le fattez-


ze del papa Clemente VI. L’identificazione dei due personaggi ha un va-
lore politico facilmente intuibile. Il numero dei ritratti è piú grande nella
cappella di San Marziale, il cui ciclo ha un significato politico piú preciso
e una iconografia meno canonizzata da illustri precedenti, che nella sot-
tostante cappella di San Giovanni. D’altra parte, ritratti di Innocenzo VI
e dei suoi nipoti erano riconosciuti da eruditi visitatori secenteschi negli
affreschi, ora molto erosi, della Certosa di Villeneuve11.
Se Avignone, come tutto porta a credere, ha avuto una tale impor-
tanza nella vicenda del ritratto, si deve credere che questo sia avvenu-
to e per il preciso significato politico attualizzante che l’immissione di
ritratti di contemporanei in episodi di leggende agiografiche poteva ave-
re (in questo caso per provare la legittimità dello stabilirsi in Francia del
successore di Pietro), e per le possibilità formali che artisti come il Gio-
vannetti appunto avevano tratto dallo studio di opere di Giotto o di Si-
mone Martini, per il carattere meno costrittivo infine che regole, con-
venzioni e schemi – che sarebbe stato impossibile non rispettare in To-
scana – potevano avere in un ambiente nuovo, in cui meno grave era il
peso della norma e della tradizione.
Senza volere ora seguire il grande significato e le conseguenze
dell’esperienza avignonese per la ritrattistica europea della seconda metà
del Trecento e del gotico internazionale veniamo ora a un altro capito-
lo significativo nella storia del ritratto italiano: quello del Quattrocen-
to, e segnatamente del Quattrocento fiorentino.

2. Il Quattrocento.

In una delle prime pagine del De Sculptura di Pomponio Gaurico, ri-


corre un’immagine dal sapore curiosamente metafisico. Per vantare i ti-
toli di nobiltà di questa tecnica, e servendosi di una formula che rimonta
a Cassiodoro, Gaurico evoca un’immaginaria Roma classica abitata da
un popolo di statue pubbliche e private di numero non inferiore a quel-
lo dei cittadini in carne e ossa12. Quando si effettui qualche mutamen-
to, e alle sculture si sostituiscano piú generalmente i ritratti scolpiti e
dipinti, una tale immagine potrebbe applicarsi alla Firenze del Quat-

11 Sull’importanza degli affreschi avignonesi per la storia del ritratto cfr. e. castelnuovo,
Avignone rievocata, in «Paragone», n. 119, 1959; id., Un pittore italiano alla Corte di Avignone, To-
rino 1962; kahr, Jean Le Bon in Avignon cit.
12 pomponio gaurico, De Sculptura (Firenze 1504), ed. Chastel, Genève 1971, p. 53.

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 13

trocento. Una folla dipinta si accalca sulle pareti delle chiese celebran-
do i fasti del presente e riempiendo le scene tradizionali dei racconti
evangelici. Personaggi apparentemente riconoscibili che si direbbero at-
tinti alla vita contemporanea si sostituiscono addirittura ai sacri prota-
gonisti e assicurano i ruoli principali.
Quale il significato di questo fenomeno, come si è manifestato e che
cosa sta a indicare? Prima di tutto dovremmo tentare di verificarne l’esi-
stenza e la consistenza. Le cose stanno veramente come le abbiamo de-
scritte o siamo sviati nel giudicarle dal peso di una tradizione secolare,
ma non per questo piu attendibile?
Se ricerchiamo l’origine della tradizione troveremo che un posto fon-
damentale vi occupa Giorgio Vasari. Una chiave importante per la no-
stra ricerca è data dalla vasariana vita di Masaccio. A piú riprese la fi-
gura di questo grande artista è messa dal Vasari in rapporto con i pro-
blemi del ritratto. Nel corso di questa Vita sono affrontati vari aspetti
della ritrattistica del Quattrocento, e del resto già nella caratterizzazio-
ne dello stile di Masaccio il problema del ritratto è presente. Secondo
Vasari infatti Masaccio cercò «di fare le figure vivissime e con bella pron-
tezza a la similitudine del vero»13.
Lo troviamo quindi confrontato con il tipo piú tradizionale di ri-
tratto, quello dei committenti di un’opera religiosa. Parlando della Tri-
nità di Santa Maria Novella, Vasari annota: «Dalle bande sono ginoc-
chioni due figure che per quanto si può giudicare sono i ritratti di colo-
ro che la feciono dipingere»14.
Il problema che segue è piú complesso: in ricordo della consacrazio-
ne della chiesa del Carmine Masaccio, secondo le parole del Vasari,
di terra verde dipinse di chiaro e di scuro, sopra la porta che va in convento dentro
nel Chiostro, tutta la Sagra com’ella fu. E vi ritrasse infinito numero di cittadini in
mantello e in cappuccio che vanno dietro alla processione; fra i quali fece Filippo di
Ser Brunellesco in zoccoli, Donatello, Masolino di Panicale stato suo maestro, An-
tonio Brancacci che gli fece fare la cappella, Niccolò da Uzzano, Giovanni di Bicci
de’ Medici, Bartolomeo Valori... Ritrassevi similmente Bartolomeo Ridolfi che in
quei tempi era ambasciadore per la repubblica fiorentina a Vinezia. E non solo vi
ritrasse i gentiluomini sopraddetti di naturale, ma anco la porta del convento et il
portinaio con le chiavi in mano15.

Purtroppo gli affreschi della Sagra sono perduti, tuttavia nessun equi-
voco è possibile, si parla quindi di ritratti, e di ritratti dal naturale. Tro-

13 g. vasari, Vite, ed. Della Pergola - Grassi - Previtali, vol. II, Milano 1962, p. 227.
14 Ibid., p. 228.
15 Ibid., p. 232.

Storia d’Italia Einaudi


14 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

viamo anzi le stesse parole del Vasari impiegate un secolo dopo da Fi-
lippo Baldinucci nel suo Dizionario de le Arti del Disegno per definire il
ritratto: «figura cavata dal naturale»16.
Nel caso della Sagra si trattava del ricordo di un avvenimento con-
temporaneo – la consacrazione della chiesa era avvenuta nel 142217 – e
la presenza di un tale pubblico trova una giustificazione, ma il caso che
segue è diverso: all’interno della stessa chiesa del Carmine Masaccio fin-
se un san Paolo,
e dimostrò veramente infinita bontà in questa pittura, conoscendosi nella testa di
quel santo, il quale è Bartolo di Angiolino Angiolini, ritratto di naturale, una terri-
bilità tanto grande che e’ pare che la sola parola manchi a quella figura18.

e come aveva rappresentato Bartolo nelle vesti di san Paolo, in un apo-


stolo del Tributo della Cappella Brancacci rappresentò, sempre per ci-
tare il Vasari: «il ritratto stesso di Masaccio fatto da lui medesimo allo
specchio tanto bene che pare vivo»19.
Rispetto all’affresco della Sagra che voleva essere ricordo e celebra-
zione di un avvenimento contemporaneo siamo in presenza di una si-
tuazione di altro tipo, quale del resto l’avevamo trovata in Avignone, e
cioè all’immistione di individui contemporanei in rappresentazioni ap-
partenenti a un tempo diverso. Ciò sembra voler significare la volontà
di attualizzare la scena, eventualmente anche di attribuirgli un signifi-
cato politico, e sulla base delle parole del Vasari, e grazie alla eccezio-
nale caratterizzazione dei personaggi della Cappella Brancacci, sono sta-
ti fatti ripetuti tentativi di identificazione – e di lettura in chiave con-
temporanea – talvolta con risultati che sembrano convincenti20. Tuttavia
rimane un dubbio che sarà bene affrontare prima di procedere oltre. Po-
tremo formularlo cosí:
a) Vasari scrive oltre un secolo dopo il compimento degli affreschi
Brancacci.

16 f. baldinucci, Vocabolario toscano dell’arte del disegno (1681), in Opere complete, ed. dei
«Classici italiani», vol. III, Milano 1809, p. 98.
17 L’affresco venne eseguito alcuni anni dopo l’avvenimento e vi furono rappresentati anche
dei personaggi che a questo non avevano partecipato, come Antonio Brancacci, morto nel 1391.
Cfr. j. pope-hennessy, The Portrait in the Renaissance, New York 1966, p. 5.
18 vasari, Vite, ed. cit, II, p. 231.
19 vasari, Vite, ed. cit., II, p. 233.
20 Una interpretazione in chiave politica contemporanea degli affreschi della cappella Bran-
cacci quella di p. meller, La cappella Brancacci, problemi ritrattistici ed iconografici, in «Acropoli»,
i, 1960-61, pp. 186 sgg., 273 sgg., che vi vede delle precise allusioni al conflitto tra Milano e Fi-
renze e riconosce nei tratti del tiranno Teofilo quelli di Gian Galeazzo Visconti conte di Virtù.

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 15

b) Vasari, e la sua consuetudine con l’eruditissimo collezionista Pao-


lo Giovio lo prova, partecipava a una tendenza culturale neoari-
stocratica, nel cui seno, per ragioni politico-dinastiche, veniva ela-
borandosi il fittizio edificio del mito mediceo.
c) Di questo mito proprio Giorgio Vasari con la decorazione tra 1555
e 1559 dell’appartamento di Leone X in Palazzo Vecchio sarà uno
dei massimi responsabili illustrando nelle stanze gli alti fatti del-
la famiglia nel secolo precedente.
In questo senso i Ragionamenti che lo stesso Vasari scrisse per de-
scrivere e spiegare le sue pitture in Palazzo Vecchio contengono elementi
rivelatori:
principe ...che ritratti son quelli con abiti da centinaja d’anni indietro ritratti
di naturale? Per che gli avete voi fatti?
giorgio Signore, già se gli è detto che tutto ha da aver significato; i ritratti
sono in ogni stanza la discendenza de’ figliuoli del Magnifico Cosimo Vecchio, co-
sí degli amici e suoi servitori, che appartatamente ogni camera ha i suoi, tutti ri-
tratti di naturale da luoghi ove ne è rimasta memoria...
principe Voi avete preso, Giorgio mio, una gran fatica ed una impresa mol-
to difficile; ma ditemi, come avete voi fatto, che tanti ritratti di uomini di tante sor-
ti, quanti sono in queste stanze, abbiate potuto ritrarre?
giorgio Signor mio, egli si è usato una gran diligenza in cercarli, e ci ha aiu-
tato assai che questi, di chi si ragiona, sono state tutte persone grandi, e la diligen-
za de’ maestri di que’ tempi, che sono pure stati assai eccellenti in pittura e scultu-
ra, i quali n’hanno fatto memoria nell’opere, che in que’ tempi dipinsero in Fio-
renza, come nel Carmine nella Cappella de’ Brancacci dipinta da Masaccio ve n’è
parte, e nell’opere di Fra Filippo e di fra Giovanni Angelico, e in Santa Maria Nuo-
va da Domenico Veneziano e da Andrea del Castagno nella cappella de’ Portinari,
il quale Andrea fu allevato di Casa Medici, che molti amici di Cosimo, Piero e Lo-
renzo Vecchio vi ritrasse in quell’opera, e tanto fece in Santa Trinità alla cappella
Maggiore Alessio Baldovinetti e nella medesima chiesa nella cappella de’ Sassetti
Domenico Grillandajo, che tutta l’empié d’uomini segnalati, seguendo il medesimo
ordine in Santa Maria Novella nella Cappella grande de’ Tornabuoni, dove oltre a
molti cittadini e amici suoi fece molti letterati del suo tempo...21.

Vediamo qui quale repertorio di immagini abbiano costituito i gran-


di cicli fiorentini del Quattrocento per Giorgio Vasari storico e pittore
e una conferma può venire dal confronto tra i personaggi che sono de-
scritti nei Ragionamenti a proposito delle storie di Cosimo il Vecchio e
quelli evocati dallo stesso Vasari nella vita di Domenico Veneziano e
Andrea del Castagno, a proposito degli affreschi ora distrutti di Santa

21 g. vasari, Ragionamenti sopra i dipinti da lui eseguiti nel Palazzo Vecchio di Firenze (le cita-
zioni sono prese dall’edizione pisana del 1823, pp. 91 sg.).

Storia d’Italia Einaudi


16 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

Maria Nuova. Si può dire che tutti o quasi i personaggi dipinti dal Va-
sari nei riquadri rappresentanti l’imprigionamento e l’esilio di Cosimo,
da Rinaldo degli Albizzi al gonfaloniere Bernardo Guadagni, da Puccio
Pucci a Federigo Malevolti che teneva le chiavi dell’alberghetto (il pic-
colo ambiente nella torre del Palazzo Vecchio dove fu imprigionato Co-
simo), al Falgavaccio che corruppe il gonfaloniere per liberare Cosimo
eccetera eccetera si ritrovino nella descrizione delle storie della Vergi-
ne di Santa Maria Nuova22. Può legittimamente dunque nascere il so-
spetto che nella ricerca di modelli «dal naturale» per le sue pitture il Va-
sari abbia forzato i riconoscimenti, contribuendo cosí in modo deter-
minante alla nascita dell’interpretazione in chiave contemporanea delle
pitture sacre del Quattrocento fiorentino.
Ma una testimonianza piú antica e inattaccabile, quella di Leon Bat-
tista Alberti, mostra indiscutibilmente che il costume di introdurre in
una «storia» le sembianze di un personaggio contemporaneo era prati-
cato. Il passaggio in questione si trova nel terzo libro del trattato Della
Pittura e suona cosí
poiché in una istoria sarà uno viso di qualche conosciuto et degnio uomo, bene che
ivi sieno altre figure, di arte molto piú che queste perfette et grate, pure quel viso
conosciuto ad se in prima trarrà tutti li occhi di chi la storia raguardi. Tanto si ve-
de in se tiene forza ciò, che sia ritratto dalla natura23.

Sembra dunque di poter risolvere in senso positivo – anche se in misu-


ra minore di quella accettata dal Vasari – il problema dell’esistenza di
ritratti contemporanei in grandi scene.
Se volgiamo ora la nostra attenzione ai ritratti «autonomi» di que-
sto periodo, vale a dire a quei dipinti che presentino esclusivamente un
personaggio – o eccezionalmente due – e le cui finalità ritrattistiche sia-
no indiscutibili, potremo constatare che essi sono poco numerosi e che,
diversamente da quanto si poteva vedere negli affreschi, adottano esclu-
sivamente un unico schema di presentazione, il profilo24. Di fronte al
numero imponente, alla eccezionale qualità e alla varietà di impostazio-
ne del ritratto fiammingo della prima metà del Quattrocento questa si-

22id., Vite, ed. cit., II, pp. 506 sgg.


23l. b. alberti, Della Pittura, libro III, ed. Mallé, Firenze 1950, p. 108.
24 j. lipman, The Florentine Profile Portrait in the Quattrocento, in «The Art Bulletin», xviii,
1936, pp. 54 sgg.; r. hatfield, Five Early Renaissance Portraits, ivi, xlvii, 1965, pp. 315 sgg.; j.
mambour, L’évolution esthétique des profils florentins du ’400, in «Révue Belge d’Archéologie et
d’Histoire», xxxviii, 1969 (1971), pp. 43 sgg. Sui ritratti fiorentini del Quattrocento e le loro ori-
ginarie destinazioni cfr. anche m. wackernagel, Der Lebensraum des Künstlers in der florentinischen
Renaissance, Leipzig 1938, pp. 176 sgg.

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 17

tuazione è singolare, lo è anzi a tal punto da indurre a domandarsi se a


questa disparità corrisponda una varietà di funzioni. Occorrerebbe an-
che chiedersi donde derivi l’esclusiva preferenza per questa formula. È
vero che il profilo ha avuto un ruolo capitale nello svolgersi del ritratto
trecentesco, ma in questo tempo erano già presenti altre formule. D’al-
tra parte se la presentazione di profilo è quella tipica del committente-
donatore nella tradizione trecentesca, questa regola comporta numero-
se varianti ed eccezioni25. Sarebbe del resto erroneo far derivare stret-
tamente il ritratto di profilo fiorentino del Quattrocento dall’immagine
del donatore. Altri elementi entrano in gioco e, in primo luogo, l’in-
fluenza classica.
In un passaggio del trattato Della Pittura Leon Battista Alberti mo-
stra l’interesse che portava per le proprie immagini, e la funzione cele-
brativa che attribuiva loro:
Ebbi da dire queste cose della pictura, quali se sono commode et utili a’ picto-
ri, solo questo domando in premio delle mie fatiche, che nelle sue istorie dipingano
il viso mio ed ciò dimostrino se esser grati et me esser stato studioso dell’arte26.

Un’anonima vita dell’Alberti conferma questo interesse narrando come


egli amasse ritrarre se stesso e i propri amici; infine il Vasari ricorda in
casa di Palla Ruccellai un autoritratto dell’Alberti fatto «alla spera».
Ora quest’uomo cosí profondamente interessato alla propria immagine
ci ha lasciato due autoritratti in bronzo, per l’appunto di profilo27. Sen-
za voler parlare di rapporti non verificabili tra queste immagini e i ri-
tratti dipinti fiorentini, è interessante notare la simiglianza delle solu-
zioni e avvertire che se l’umanista Alberti si rappresentava di profilo,
non era certo per continuare la linea del donatore trecentesco, ma per
una voluta influenza classica, numismatica. Un centro di irradiazione di
tali influenze dovette essere a Firenze la casa dell’umanista Niccolò Nic-
coli, ove questi, come scrive Vespasiano da Bisticci, «aveva... infinite
medaglie di bronzo e di ariento e d’oro e molte figure antiche di otto-
ne». Il ritratto del Niccoli dato da Vespasiano è tra i piú vivi e diretti,
e, come nota il Garin, «pittorici» che si possan trovare:
Fu di bellissima presenza, allegro, che sempre pareva che ridesse, piacevolissi-
mo nella conversazione. Vestiva sempre di bellissimi panni rosati, lunghi in fino a

25 d. kocks, Die Stifterdarstellung in der italienischen Malerei des xiii.-xv. Jahrhunderts, Köln
1971.
26 alberti, Della Pittura, ed. cit., p. 114.
27 Cfr. k. badt, Drei plastischen Arbeiten von Leon Battista Alberti, in «Mitteilungen des Kun-
sthistorischen Institutes in Florenz», viii, 1957-58, pp. 78 sgg.; pope-hennessy, The Portrait cit.,
p. 66.

Storia d’Italia Einaudi


18 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

terra… Quando era a tavola mangiava in vasi antichi bellissimi, e cosí tutta la sua
tavola era piena di vasi di porcellana, o d’altri ornatissimi vasi. Quello con che egli
beveva era coppa di cristallo o d’altra pietra fina. A vederlo in tavola cosí antico
com’era, era una gentilezza28.

È un peccato che a questo ritratto letterario non se ne possa contrap-


porre uno dipinto, ma il Niccoli muore nel 1437 e a questa data un ri-
tratto di tal genere era impensabile; del resto ancora attorno all’anno
1490, vale a dire quando Vespasiano lo scrive, non se ne trovano equi-
valenti nella pittura fiorentina.
La consacrazione della formula di profilo per il ritratto autonomo
sembra proprio discendere dalla medaglia antica e ad esclusione di altre
questa formula doveva essere impiegata a fini celebrativo-commemora-
tivi. È probabile anzi che a un certo punto avesse assunto un autentico
e immediato significato simbolico: in un dittico di Piero di Cosimo ad
Amsterdam, rappresentante Giuliano da Sangallo e suo padre France-
sco Giamberti, è il ritratto del defunto, quindi l’immagine che per ec-
cellenza ha valore commemorativo, a esser rappresentata di profilo. È
questo il valore dei ritratti di Giuliano de’ Medici di Botticelli, fatti do-
po la congiura dei Pazzi, o piú tardi della Simonetta Vespucci di Piero
di Cosimo o ancora ma questa volta con valore volutamente arcaizzan-
te del ritratto di Savonarola di Fra Bartolomeo29.
Il particolare significato che il profilo assume nella tradizione fio-
rentina deve essersi stabilito a un certo momento e sovrapposto a quel-
lo originale (che era quello di porre su piani diversi la sacra immagine e
il terrestre donatore) quando il ritratto di profilo esisteva già da tempo.
Ha rilevato il Panofsky che la pittura nordica – derivandolo dall’ita-
liana – aveva conosciuto il ritratto di profilo, e l’aveva praticato, sep-
pur non esclusivamente, fin verso il 1420, l’aveva quindi abbandonato
completamente a favore di altre formule, per riprenderlo nel primo Cin-
quecento ai tempi di Quentin Metsys30. Ora il profilo di vecchio di Met-
sys del Musée Jacquemart-André di Parigi (1513), non ha piú il signifi-
cato della dama limburghiana di Washington (1420 circa), non è prova
di una ripresa arcaistica, cioè di ritorno a moduli che erano stati già pra-
ticati, ma piuttosto testimonia che all’immagine era stato attribuito un

28 vespasiano da bisticci, Vite di Uomini illustri, a cura di A. Mai e A. Bartoli, Firenze 1859,
p. 480. Sull’importanza del Niccoli per gli artisti fiorentini suoi contemporanei cfr. r. krauthei-
mer, Lorenzo Ghiberti, Princeton 1956, passim e in particolare pp. 301 sgg.
29 m. bacci, Piero di Cosimo, Milano 1966, p. 83; pope-hennessy, The Portrait cit., p. 37.
30 panofsky, Early Netherlandish Painting cit., p. 334.

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 19

nuovo significato, che la formula umanistica era particolarmente atta a


conferirle. Riprendere la formula di profilo non significava dunque per
Metsys tornare indietro alla tradizione del gotico internazionale, ma
piuttosto fare una citazione «rinascimentale», attraverso di questa da-
re all’immagine una nuova dignità. Per Metsys al principio del Cinque-
cento il prestigio del profilo era dovuto al suo sapore italianeggiante, per
i fiorentini del primo Quattrocento era dovuto all’influenza della glitti-
ca e della numismatica classica, ma trovava anche una sua giustificazio-
ne negli antichi testi di teoria artistica.
È noto come nelle culture occidentali (e anche in quelle orientali) i
miti della nascita della pittura siano sempre stati visti in rapporto con
la demarcazione lineare dell’ombra di un corpo, in altre parole con la
silhouette. Ne parlano Plinio e Quintiliano e le osservazioni di quest’ul-
timo sull’origine della pittura sono riprese appunto da un sostenitore del
ritratto di profilo, Leon Battista Alberti31. È possibile dunque che la
presunta alta antichità di questo tipo di rappresentazione abbia contri-
buito ad aumentarne ancora il prestigio. Non furono d’altra parte estra-
nei all’adozione della formula di profilo per ritratti che dovevano avere
valore di testimonianza familiare, i ripetuti accenni che si trovano in au-
tori classici, da Plinio, a Livio, a Ovidio, agli alberi genealogici in cui i
vari ritratti dipinti dei membri della famiglia (probabilmente profili en-
tro medaglioni) erano collegati da linee32.
Possiamo perciò concludere che il ritratto di profilo nel Quattrocento
fiorentino è fortemente dipendente dalla tradizione classica, che esso
ebbe una funzione genealogico-familiare determinata e una limitata uti-
lizzazione. L’altro tipo di ritratto esistente in questo tempo a Firenze è
il ritratto «civile», quello che si trova nei grandi affreschi delle chiese e
di cui si trovano anche derivazioni su tavola. Nella prima metà del Quat-
trocento il ritratto fiorentino appare piú celebrativo che descrittivo. È
un fenomeno che va di pari passo con l’impegno civile degli umanisti,
che traduce in pittura l’elogio di Firenze di Leonardo Bruni, è il mezzo
espressivo adatto al nuovo modo di vivere e di sentire della borghesia
fiorentina.

31 quintiliano, Institutio oratoria X 2.7: «non esset pictura, nisi qua lineas modo extremas um-
brae, quam corpora in sole fecissent, circumscriberet» (cfr. g. becatti, Arte e Gusto negli scrittori
latini, Firenze 1951, pp. 180, 376); plinio, Naturalis Historia XXXV 15; alberti, Della Pittura,
ed. cit., p. 78. Sull’interesse destato dal tema della «nascita della pittura» alla fine del Settecento
cfr. r. rosenblum, The Origin of Painting, a problem in the iconography of Romantic Classicism, in
«The Art Bulletin», xxxix, 1957, pp. 279 sgg.
32 Cfr. becatti, Arte e Gusto cit., p. 18.

Storia d’Italia Einaudi


20 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

A poca distanza dalla città toscana la situazione era differente. A Fer-


rara nel 1441 una celebre gara aveva messo a confronto Jacopo Bellini
e Pisanello per un ritratto di Leonello d’Este. Un sonetto commemora-
tivo ricorda come il Bellini «novello Fidia», vincesse la contesa quando
già da sei mesi Pisanello lavorava a «convertir l’immagine in pictura»;
vale la pena di citarlo per intero:
Quando il Pisan fra le famose imprese
sargumentò cuntender cum natura
et cunvertir l’immagine in pictura
dil nuovo illustre lionel marchexe
già consumato avea il sexto mese
per dar propria forma ala figura
alor fortuna sdegnosa che fura
fumane glorie con diverse onfexe
strinse che dala degna et salsa riva
se movesse il Belin summo pictore
novelo Fidia al nostro ziecho mondo
che la sua vera effigie feze viva
ala sentencia del paterno amore
onde lui primo et poi il Pisan secondo33.

Questa disputa è evocata, nel dialogo De Politia Literaria di Angelo


Decembrio, dalla stessa bocca di Leonello che ricorda le rivalità e le dif-
ferenze di approccio al proprio ritratto dei due pittori, ognuno dei qua-
li sottolineava, enfatizzandola, una caratteristica diversa del ritratta-
to34. In un ambiente di corte come quello di Ferrara il ritratto del prin-
cipe veniva ad avere un significato e una funzione che nella repubblica
fiorentina, a questa data, erano impossibili. Nella Lombardia, alla stes-
sa ora, la funzione del ritratto è ancor piú che a Ferrara quella della glo-
rificazione cortese. Come nota Roberto Longhi:
Si fanno, non so se a sfondo d’oro, persino i ritratti dei cani delle mute ducali
«retrato da un cane giamato Bareta» e «nell’ordinare affreschi per le sale dei castelli
la preoccupazione del committente è che si veda bene che la Sua Signoria mangia
in oro»35.

33 Il testo del sonetto è pubblicato da Adolfo Venturi in «Archivio Veneto», 1885, e nell’edi-
zione delle vite vasariane di Gentile e del Pisanello. L’originale, dovuto a un «poeta Ulisse», è con-
servato alla Biblioteca estense a Ferrara (codice III d 22).
34 m. baxandall, A dialogue on art from the court at Leonello d’Este, in «Journal of the War-
burg and Courtauld Institues», xxvi, 1963, pp. 321 sgg.; id., Giotto and the Orators, Oxford 1971,
pp. 17 sg.
35 r. longhi, La restituzione di un trittico d’arte cremonese circa il 1460 (Bonifacio Bembo), in
«Pinacotheca», 2, settembre-ottobre 1928, pp. 79 sgg., ora in Opere complete, vol. IV: Me pinxit
e problemi caravaggeschi, Firenze 1968, pp. 57 sgg.

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 21

Si può ricondurre a una sopravvivenza di questa estetica – per citare an-


cora una volta il Longhi «araldica arciprofana, non divina ma, ahi! sem-
plicemente ducale» – la lettera inviata il 12 ottobre 1494 da Francesco
Mantegna a Francesco Gonzaga marchese di Mantova:
Illustrissime et invictissime princeps et D.D. mi singhularissime etc.
Avendo per certo inteso della efiggie del Serenissimo Re di Francia, et quella
avere grande difformità sí degli occhi grossi et sporti in fuori, si etiam peccare nel
naso grande aquilino et difforme con pochi capilli et rari in chapo, la immaginazio-
ne e ammiratione de tanto homo piccolo et gobo fece in me sognandomi caso; don-
de subito levato quello mi venne fatto mando alla Eccelenza Vostra…36.

Nelle corti il ritratto ha una funzione importantissima, si sviluppa


per celebrare il signore, per mostrarne il potere, la ricchezza, lo sfarzo
(sua signoria mangia in oro!), per esaltarne le virtú, i legami familiari,
le imprese, la vita, le abitudini (si pensi agli affreschi di Schifanoia o al-
la Camera degli Sposi a Mantova). Curiosità per la rassomiglianza na-
turalistica, come gusto per il lusus naturae, per il grottesco, trovano fa-
vorevole accoglienza là dove il potere astraente, generalizzante, norma-
tivo del canone fiorentino cede di fronte alla volontà sovrana e
autocratica del singolo signore. Una chiara predilezione si esercita an-
che qui verso il ritratto di profilo, considerato celebrativo grazie alla sua
ascendenza numismatica, e d’altra parte in questo caso non c’è soluzio-
ne di continuità tra le soluzioni araldiche del gotico internazionale e
quelle antiquario-numismatiche del Rinascimento. Cosí la formula resta
la medesima, pur cambiando completamente la struttura, dal ritratto
fiorito del Pisanello ai due piú bei dittici a ritratto del Quattrocento ita-
liano, quello celeberrimo dei Montefeltro di Piero della Francesca, og-
gi agli Uffizi, e quello dei Bentivoglio di Ercole de’ Roberti, oggi a Wa-
shington.
Ritornati a Firenze, troviamo una situazione in pieno mutamento.
E innanzitutto un ritratto individuale – è il primo! – rappresentato di
faccia. Si tratta del ritratto attribuito ad Andrea del Castagno a Wa-
shington. Non sappiamo quello che sta dietro a questo cambiamento
di formula, né chi sia il personaggio rappresentato (forse un membro
della famiglia Torrigiani). Qualcuno anzi ha voluto negare che si trat-
ti di un ritratto37. Quello che è certo è che uno stretto rapporto uni-
sce questo ritratto agli Uomini Famosi del Castagno, fatti per decora-

36In g. gaye, Carteggio inedito d’artisti, vol. I, Firenze 1839, p. 327.


37c. gilbert, recensione a pope-hennessy, The Portrait cit., in «The Burlington Magazine»,
cx, 1968, pp. 284 sgg.

Storia d’Italia Einaudi


22 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

re una stanza della Villa Pandolfini a Legnaia: uno dei cicli fiorentini
consacrati a questo tema (un altro, di Bicci di Lorenzo, si trovava nel
vecchio palazzo Medici), non privo di importanza nelle vicende del ri-
tratto.
Intorno a questi stessi anni – siamo verso la metà del secolo – si svi-
luppa a Firenze il gusto del «busto-ritratto»38. Ne restano esempi nei
piú importanti musei del mondo, a Berlino, al Louvre, al Victoria and
Albert, al Bargello. Sono busti virili al massimo caratterizzati nell’espres-
sione, nei lineamenti, nei minimi tratti del volto, busti riconoscibili di
giovani donne, di bambini. Per certi aspetti ci troviamo di fronte agli
equivalenti plastici del ritratto fiammingo. Il fenomeno si sviluppa con
estrema rapidità, vi sono implicati i massimi artisti della nuova genera-
zione: Antonio Rossellino, Desiderio e Mino. In molti casi si tratta di
busti commemorativi di defunti, gloria della famiglia, le cui immagini si
vogliono conservate, esibite e onorate, in altri, piú semplicemente, dei
signori della casa, di coloro che fecero costruire la dimora, in altri an-
cora di giovani donne che hanno lasciata la casa per sposarsi. I busti era-
no esposti al pubblico, talvolta addirittura sull’architrave dei palazzi –
e si avvertono le ingiurie causate da questa collocazione nel busto di
Matteo Palmieri al Bargello – o ancora collocati come sovrapporta all’in-
terno di una stanza (Vasari ricorda che i ritratti di Piero di Lorenzo de’
Medici e della moglie «stettono molti anni sopra due porte in camera di
Piero in casa Medici sotto un mezzo tondo»39). Presto si venne a ese-
guire i busti in terracotta, gesso e altro materiale facilmente modellabi-
le, «onde si vede – è ancora il Vasari che parla – in ogni casa di Firen-
ze sopra i camini, usci, finestre e cornicioni, infiniti di detti ritratti tan-
to ben fatti e naturali che paiono vivi»40.
La voga travolgente di questi busti deve essere messa in rapporto con
un certo numero di fattori e prima di tutto con il culto tributato da Pli-
nio al ritratto monumentale. Alla osservazione del Vasari intorno alla
collocazione dei ritratti su «camini, usci, finestre, cornicioni», va acco-
stato un passaggio della Naturalis Historia, là ove l’autore, rimpiangen-
do l’antico uso, caduto in abbandono, di decorare la casa con i grandi
personaggi della famiglia, ricorda:
Altri ritratti delle figure piú grandi della famiglia erano fuori della porta e in-
torno alla soglia fra le spoglie appese dai nemici, che neanche al compratore era le-

38 Cfr. i. lavin, in «The Art Quarterly», 1970, pp. 207 sgg.


39 vasari, Vite, ed. cit., III, p. 57 (Vita di Mino da Fiesole).
40 Ibid., p. 233 (Vita del Verrocchio).

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 23

cito schiodare, e rimanevano a simbolo di trionfo anche quando mutavano i padro-


ni della casa stessa41.

Quanto all’eccezionale attenzione naturalistica dei volti, il fenome-


no va collegato in parte al ricorso crescente al calco in gesso42. La ma-
schera mortuaria del Brunelleschi, tuttora conservata nel Museo
dell’Opera del Duomo, era servita al Buggiano quando aveva dovuto
scolpire il monumento commemorativo del grande architetto. Una cer-
ta importanza va data anche al vivo interesse per gli studi di Physio-
gnomonia, anch’essi di derivazione classica. In realtà i busti realistici
di Mino di Desiderio o del Rossellino devono poco o niente alla carat-
terologia schematica e tradizionale dei trattati fisiognomici, che inve-
ce potettero influenzare le forme piú astratte e generiche del ritratto
eroico, dove sono rappresentati tipi ideali cui si intendono conferire
particolari caratteristiche (il condottiero rappresentato secondo un ti-
po leonino come nel caso del Colleoni, ecc.)43. Tuttavia il solo interes-
se archeologico non spiega l’apparizione di ritratti cosí potentemente
caratterizzati e l’uso del calco, del resto già da tempo introdotto, non
offre una spiegazione sufficiente per i ritratti di Matteo Palmieri, Gio-
vanni Chellini da San Miniato, ecc. Per illuminare l’autentico bisogno
di caratterizzazione e individualizzazione presente in questi ritratti è
stato giustamente citato un passo del De Statua di Alberti in cui si ri-
leva la diversità degli uomini e come nessuna voce o nessun naso siano
esattamente simili a un’altra voce, a un altro naso. Sono stati d’altra
parte messi in luce i rapporti che univano il piccolo gruppo di commit-
tenti cui si devono alcuni tra gli esempi piú fortemente caratterizzati
di ritratto44. Ma la volontà del committente poteva trovare realizza-
zione solo ove essa potesse disporre di mezzi stilistici, di formule, di
procedimenti: in breve di un linguaggio artistico sufficientemente ela-
borato e tale da poter apportare una risposta soddisfacente alle domande
che venivano poste. È chiaro che in tale contesto il linguaggio di Do-
natello ha dovuto svolgere un ruolo analogo a quello svolto dallo stile
di Masaccio.
Con tutta probabilità Donatello non scolpí ritratti. Il busto di Nic-

41 plinio, Naturalis Historia XXXV. Cfr. becatti, Arte e Gusto cit., pp. 226 e 404.
42 j. pohl, Die Verwendung des Naturabgusses in der italienischen Porträtplastik der Renaissance,
Würzburg 1938.
43 p. meller, in Studies in Western Art, Acts of the twentieth international congress of the history
of art, 1961, Princeton 1963, vol. II, pp. 53 sgg.
44 l. b. alberti, De Statua, ed. C. Grayson, Bath 1972, p. 122; pope-hennessy, The Portrait
cit., pp. 72 sgg.

Storia d’Italia Einaudi


24 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

colò da Uzzano del Bargello non è piú oggi considerato come suo e
tuttavia i nomi di alcuni protagonisti della vita fiorentina restano le-
gati ai Profeti che egli fece per il Campanile del Duomo. Il Libro di
Antonio Billi – una fonte importantissima del primo Cinquecento –
ci dice in effetti che in due statue egli rappresentò dal naturale Gio-
vanni di Barduccio Chierichini e Francesco Soderini, due personag-
gi implicati nell’arresto di Cosimo il Vecchio45. Ancora una volta è
molto probabile che questa identificazione sia fittizia, dovuta a si-
tuazioni storiche ben posteriori, ma ancora una volta, come nel caso
di Masaccio, sono le potenzialità realistiche ed espressive di queste
opere che hanno potuto giustificare una identificazione precisa. È ap-
punto sfruttando le grandi potenzialità di questo linguaggio che ha
potuto svilupparsi la tradizione del ritratto scolpito che sarà deter-
minante anche per l’evoluzione del ritratto dipinto. Uno dei capola-
vori del Ghirlandaio, il ritratto di vecchio col nipotino del Louvre
probabilmente (ma l’ipotesi trova degli oppositori) tratto da una ma-
schera mortuaria, è indicativo su questo punto. Per molti tramiti il
realismo outré del busto di terracotta, della maschera in gesso e del-
la statua di cera, come Aby Warburg ha magistralmente indicato agli
inizi di questo secolo, avrà conseguenze importanti sullo sviluppo del-
la pittura.
Il confine che corre tra maschera propiziatoria, ex voto e ritratto è
dei piú fluidi. Verrocchio, un personaggio chiave nel mutare della sen-
sibilità fiorentina, ebbe, come è noto, un ruolo importante in questa vi-
cenda. Il passaggio del Vasari in cui descrive gli ex voto con l’immagi-
ne di Lorenzo fatti dal Verrocchio e dal «ceraiuolo» Orsino è partico-
larmente evocativo:
Onde venuta l’occasione per la morte di Giuliano de’ Medici e per lo pericolo
di Lorenzo suo fratello, stato ferito in Santa Maria del Fiore, fu ordinato dagli ami-
ci e parenti di Lorenzo che si facesse, rendendo della sua salvezza grazie a Dio in
molti luoghi l’immagine di lui. Onde Orsino fra l’altro con l’aiuto et ordine di An-
drea, ne condusse tre di cera grande quanto il vivo, facendo dentro l’ossatura di le-
gname, come altrove si è detto, et intessuta di canne spaccate, ricoperte poi di pan-
no incerato con bellissime pieghe, e tanto acconciamente che non si può veder me-
glio né cosa piú simile al naturale. Le teste poi, mani e piedi, fece di cera piú grossa
ma vote dentro, e ritratte dal vivo e dipinte a olio con quelli ornamenti di capelli et
altre cose secondo che bisognava naturali e tanto ben fatti che rappresentavano non
piú uomini di cera, ma vivissimi46.

45 Il libro di Antonio Billi, ed. Frey, Berlin 1892, pp. 38 sg.


46 vasari, Vite, ed. cit., III, p. 234 (Vita del Verrocchio).

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 25

Amici e parenti di Lorenzo avevano dunque commissionato queste


immagini feticistico-stregonesche, e amici e clienti di Lorenzo troviamo
come committenti di opere in cui ritorna costantemente l’immagine del
Magnifico. L’Adorazione dei Magi, oggi agli Uffizi, di Botticelli e un tem-
po in Santa Maria Novella, appare descritta in questo modo dal Vasari:
evvi dentro l’Adorazione de’ Magi, dove si vede tanto affetto nel primo vecchio che
baciando il piede al Nostro Signore e struggendosi di tenerezza benissimo dimostra
aver conseguita la fine del lunghissimo suo viaggio. E la figura di questo re è il pro-
prio ritratto di Cosimo Vecchio de’ Medici; dí quanti a’ di nostri se ne ritrovano il
piú vivo e il piú naturale. Il secondo, che è Giuliano de’ Medici, padre di Clemen-
te VII si vede che intentissimo con l’animo divotamente rende riverenza a quel put-
to e gli assegna il presente suo. Il terzo inginocchiato egli ancora pare che adoran-
dolo gli renda grazia e lo confessi il vero Messia è Giovanni, figliuolo di Cosimo47.

Ai personaggi citati da Vasari possiamo aggiungere Lorenzo, che si ve-


de in primo piano appoggiato alla spada, ma ciò che interessa mag-
giormente è la figura del committente, di cui il Mesnil48 è riuscito a
rintracciare il nome e la professione: Gaspare di Zanobi del Lama, sen-
sale dell’arte del Cambio. Questo autentico omaggio ai Medici è sta-
to dunque commissionato da qualcuno i cui rapporti di affari con la
grande dinastia di banchieri dovevano esser stati assai positivi. Cosí
deve essere interpretato anche il celebre ritratto di giovane con me-
daglione di Cosimo de’ Botticelli. E in modo analogo un omaggio a
Lorenzo troviamo nella Conferma della Regola francescana dipinta dal
Ghirlandaio nella cappella Sassetti in Santa Trinita. Nella quale sto-
ria – dice il Vasari – «finse la sala del Concistoro co’ cardinali che se-
devano intorno, e certe scalee che salivano in quella; accennando cer-
te mezze figure ritratte di naturale et accomodandovi ordini di ap-
poggiatoi per la salita. E fra quegli ritrasse il Magnifico Lorenzo
Vecchio de’ Medici»49. Le «scalee» che si innalzano nella sala del Con-
cistoro e le «mezze figure ritratte di naturale» che vi montano, costi-
tuiscono un episodio dei piú singolari, un autentico caso limite nella
storia del ritratto rinascimentale.
Dinnanzi ai piedi di Lorenzo – nota il Warburg nel suo celebre saggio – si spa-
lanca improvvisamente il duro lastricato di piazza della Signoria e per una scala sal-
gono a lui tre uomini e tre fanciulli. Evidentemente una deputazione salutatoria i
cui membri (benché siano indicate solo teste e spalle) vediamo caratterizzati con tut-
to il brio di un improvvisatore fiorentino, ognuno con una sfumatura mimica del

47 vasari, Vite, ed. cit., III, p. 197 (Vita del Botticelli).


48 j. mesnil, Quelques documents sur Botticelli, in «Miscellanea d’arte», maggio-giugno 1903.
49 vasari, Vite, ed. cit., III, p. 155 (Vita di Domenico Ghirlandaio).

Storia d’Italia Einaudi


26 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

tutto personale nel devoto approssimarsi al signore e padrone Lorenzo. Il muto col-
loquio fra Lorenzo e questo gruppo è cosí eloquente che considerando piú da vici-
no tutta la composizione ben presto si avverte che «la deputazione salutatoria sul-
la scala» ne è il punto centrale di gravitazione sia artistico che spirituale e affiora il
desiderio di conferire l’uso della parola a tanta muta vivacità. Si tratta dunque di
far parlare quelle persone la cui comparizione tanto sta a cuore a Francesco Sasset-
ti ch’egli cede ad esse in modo cosí strano il primo piano del dipinto50.

E tanto bene il Warburg seppe far parlare quelle figure che esse gli ri-
velarono i propri nomi: Poliziano, il Pulci, Matteo Franco e i tre figli di
Lorenzo, Piero, Giovanni e Giuliano. Il centro della composizione è Lo-
renzo,
verso questi si dirige la deputazione salutatoria che sorge dal suolo come spiriti del-
la terra che fiutino il loro signore e padrone. Li arresta Lorenzo, oppure non fa piut-
tosto cenno che anch’essi possono salire? Egli sta come un poeta-regista che sia in
procinto di improvvisare, sulla scena di una sacra rappresentazione, un moderno
dramma di grande sfarzo… È giunto il momento della trasformazione scenica: è già
calato lo sfondo moderno su cui sono dipinti Palazzo Vecchio e la Loggia de’ Lan-
zi; la compagnia degli attori del Sassetti attende tra le quinte la battuta di chiama-
ta, e ora emergono dal sottosuolo tre piccoli principi e il loro professore pagana-
mente dotto, il segreto maestro di danze di ninfe toscane, l’allegro cappellano di fa-
miglia e il cantastorie di corte; vogliono recitare il preludio per occupare
definitivamente, non appena giunti sopra anche lo stesso spazio rimasto libero su
cui si affollano san Francesco, papa e Concistoro come arena di cose mondane.

La Conferma della Regola nella Cappella Sassetti è un’altra cele-


brazione medicea, fatta eseguire questa volta dal piú stretto associato
della ditta. Un terzo caso è quello degli affreschi del Ghirlandaio nel-
la cappella Maggiore di Santa Maria Novella, commissionati da Gio-
vanni Tornabuoni, imparentato con i Medici. Qui nella scena dell’An-
nunciazione a Zaccaria un’iscrizione su un arco trionfale proclama che
correndo l’anno 1490 la piú bella città del mondo fruiva di potenza,
vittorie, arti, architetture, ricchezza, salubrità e pace. A piú riprese e
in diverse scene, spesso attualizzate ambientandole nei sontuosi in-
terni dei palazzi borghesi, si incontrano i membri dell’aristocrazia com-
merciale fiorentina: Tornabuoni, Tornaquinci, Popoleschi, Giachinotti
e giovani associati del Banco mediceo come Andrea de’ Medici, Fe-
derico Sassetti, Gianfrancesco Ridolfi. Nella scena dell’Annunciazio-
ne a Zaccaria ci sono oltre venti ritratti, un’autentica galleria patrizia;
per facilitare i riconoscimenti era stato addirittura preparato una sor-
ta di schema:

50 a. warburg, Bildniskunst und florentinisches Bürgertum, Leipzig 1902, p. 14 (trad. it. in La


rinascita del paganesimo antico, Firenze 1966, p. 121).

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 27

Terminata questa cappella ne fu fatto un disegno di tutta insieme intitolato Ri-


tratti ecc. e fatto di esso piú copie forse per distribuirlo a le varie famiglie che ne
erano padrone o che avevano fatto la spesa nell’adornarla51.

Per riuscire a ricostruire esattamente l’identità di ognuno un Torna-


quinci interrogava nel 1561 l’ottantanovenne Benedetto di Luca Lan-
ducci «i quali personaggi disse lui aver conosciuto tutti vivi». La cosa
piú singolare è trovare a far riscontro nello stesso affresco ai tre giova-
ni membri del Banco mediceo i ritratti di quattro intellettuali partico-
larmente legati a Lorenzo: Poliziano, Ficino, Cristoforo Landino e Gen-
tile de’ Becchi vescovo di Arezzo, «i piú scienzati uomini che a quel tem-
po si trovassero a Fiorenza» come nota il Vasari qui rappresentati «per
mostrare che quella età fioriva in ogni sorte di virtú e massimamente
nelle lettere»52.
Il processo di attualizzazione dell’affresco sacro iniziatosi nella Fi-
renze degli Albizzi appare dunque raggiungere il suo apice in quella del
Magnifico. I dubbi che si potevano avere sull’identificazione di perso-
naggi storici nella cappella Brancacci non hanno qui piú luogo. Da un im-
pegno propagandistico, patriottico e civile piú generale e attuato da per-
sonalità diverse si passa qui a una esaltazione piú precisata di un gruppo
egemone e del suo entourage. È interessante notare come questi cicli non
siano stati ordinati direttamente dai Medici, ma da associati, collabora-
tori, beneficiati, un po’ secondo il costume classico che voleva l’erma del
patrono esposta e glorificata nell’atrio del cliente. Si tratta del resto di
imprese sfarzose la cui realizzazione era relativamente poco costosa se si
pensa che l’intera decorazione della cappella Tornabuoni in Santa Maria
Novella era costata 1000 fiorini, mentre un celebre pezzo della raccolta
medicea, la tazza Farnese, era a quel tempo valutato a 10 000 fiorini53!
Ancora possiamo ritornare a interrogarci sul significato della mas-
siccia introduzione di ritratti di contemporanei nella scena sacra, che va
di pari passo a quella del paesaggio urbano e dell’interno borghese. Par-
lando dei ritratti introdotti dal Ghirlandaio nella Apparizione dell’An-
gelo a Zaccaria, il Vasari ci dà una spiegazione che potrebbe essere defi-
nita neofeudale:

51 g. b. cavalcaselle - j. a. crowe, Storia della pittura in Italia, vol. VII, Firenze 1897, pp.
392 sg.
52 vasari, Vite, ed. cit., III, p. 163 (Vita del Ghirlandaio).
53 m. wackernagel, Der Lebensraum des Künstlers in der florentinischen Renaissance, Leipzig
1938; e. gombrich, The Early Medici as Patrons of Art, in Italian Renaissance Studies, a cura di E.
F. Jacob, London 1960, pp. 303 sg., poi ripubblicato in Norm and Form, Edinburgh 1966, pp. 35
sgg. (trad. it. Torino 1972).

Storia d’Italia Einaudi


28 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

Nella quale storia mostrando che a sacrifizi de’ tempii concorrono sempre le
persone piú notabili, per farla piú onorata ritrasse un gran numero di cittadini fio-
rentini che governavano allora quello stato e particolarmente tutti quelli di Casa
Tornabuoni, i giovani et i vecchi54.

Questa unione dei «sacrifizi nei tempii» e delle «persone piú notabili»,
questa pretesa di «rendere piú onorata» la scena sacra, grazie alla no-
biltà dei personaggi rappresentati (un po’ come dire che la nobiltà degli
attori dà lustro al dramma sacro piuttosto che viceversa) sembrano for-
temente databili. E databili piú al tempo del Vasari e di Cosimo I che a
quello del Ghirlandaio e di Lorenzo il Magnifico. In realtà, come ha be-
ne dimostrato il Warburg, in questa irruzione di contemporanei nei sa-
cri avvenimenti vi erano fini propiziatori, analoghi a quelli che spinge-
vano a collocare realistici simulacri di cera accanto alle sacre immagini,
per assicurarsene la protezione. Quanto agli scopi propagandistici, essi
sono troppo evidenti perché vi si insista ulteriormente. In poche altre
occasioni l’immagine dipinta e scolpita ha assunto un tale ruolo nella ce-
lebrazione di una civiltà. Con Giotto la pittura era diventata un ele-
mento fondamentale della cultura fiorentina, e lo svolgersi del Quat-
trocento aveva consacrato questa posizione. Il nascere della riflessione
sull’arte e della storiografia artistica ne testimoniano. Esistono tuttavia
dei limiti.
Per molto tempo il ritratto fiorentino resta civile e biografico prima
che psicologico. Paragonando i mercanti fiorentini degli affreschi del
Ghirlandaio ai confratelli johanniti di Haarlem in una tavola di Gert-
geen tot Sints Jans, oggi a Vienna, Alois Riegl, nel suo saggio sul ritrat-
to di gruppo olandese, notò come i primi, anche laddove sono spettato-
ri passivi, ostentano autocompiaciuti e avidi di conquista la loro bella
esistenza, mentre gli occhi dei secondi sono piuttosto volti verso l’in-
terno e raccolgono in loro, come in uno specchio, il mondo esterno55.
Per una sorta di paradosso le stesse motivazioni – civiche, commemo-
rative, razionalmente cognitive – che avevano permesso nel Trecento di
elaborare gli strumenti atti a creare il ritratto moderno hanno costitui-
to in seguito – ma solo temporaneamente – un limite allo sviluppo del
«genere».
Di privilegi assai maggiori che a Firenze l’artista poté godere nella
seconda metà del Quattrocento nelle corti, e specialmente a Urbino, Fer-
rara, Mantova e Milano. I compiti demandati all’artista erano diversi,

54 vasari, Vite, ed. cit., III, p. 163 (Vita del Ghirlandaio).


55 a. riegi, Das holländische Gruppenporträit, Wien 1931.

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 29

diverso il valore delle immagini, come diversa ne era la fruizione. Cer-


ti schemi e certe formule sono meno coercitivi e sarà a Milano che Leo-
nardo giungerà a esternare e a realizzare al massimo le potenzialità
espressive del ritratto.
Ancora diverso il caso di Venezia. Parte di qui, dalla «degna et sal-
sa riva», Jacopo Bellini per vincere il certame estense contro un ag-
guerrito pittore di corte. Il figlio di Jacopo, Gentile, fatto conte palati-
no probabilmente per meriti ritrattistici nel 1469 all’occasione del pas-
saggio per Venezia dell’imperatore Federico III, sarà, come è noto,
addirittura inviato a Costantinopoli quando il sultano, dopo la pace del
1479, chiederà alla Serenissima un pittore abile nel fare i ritratti. La si-
tuazione veneziana differisce sia da quella fiorentina che da quella del-
le corti. Se da una parte il ruolo riservato all’immagine dogale l’avvici-
na alla particolare estetica «che i melanesi accampa», dall’altra i grandi
teleri delle scuole, dalla duplice funzione civile e religiosa, sono gli equi-
valenti dei cicli murali fiorentini. Prima ancora che la pace col turco fos-
se conclusa e che Gentile, sedicente ambasciatore della ritrattistica oc-
cidentale, ma in realtà, come ha ben visto il Longhi, superbo e arcaico
profilatore orientale, partisse per Costantinopoli, a Venezia era acca-
duto qualcosa di molto importante per la storia del ritratto quattrocen-
tesco: l’arrivo di Antonello da Messina. È, quello di Antonello, il caso
eccelso di un incontro a suo modo unico nel secolo e che produce i piú
alti risultati. Un pittore formatosi nel Mezzogiorno aragonese cosí aper-
to alle suggestioni nordiche, educato a comprendere il valore non civi-
le, celebrativo, generalizzante, ma profondamente specifico, cangiante,
personale del volto dell’uomo, trova nell’esperienza spaziosa e prospet-
tica dei toscani il modo di conferire un significato solenne, essenziale,
eroico all’immagine senza gravarla col peso della citazione erudita.
L’esempio di Antonello è ripreso, sviluppato, trasformato da Giovanni
Bellini. I ritratti veneziani dell’ultimo quarto del Quattrocento sono tra
i piú alti che conti la pittura europea contemporanea. Fatti di questo ge-
nere, uniti alla ricca gamma di potenzialità delle immagini, aiutano a
comprendere come molto presto certi ritratti veneziani abbiano perso
la loro funzione genealogica, etica o storica per essere oggetto preci-
puamente di una fruizione estetica. È un atteggiamento diverso da quel-
lo prevalente a Firenze o da quello che guidava Paolo Giovio, l’erudito
ispiratore del Vasari, nel costituire il suo grande museo di ritratti. Quan-
do attorno al 1525-30 il patrizio veneziano Marco Antonio Michiel
esplora le collezioni dell’Italia settentrionale, annotandone i quadri piú
notevoli non si ferma a ricercare i dati biografici dei ritrattati, ma ri-
corda piuttosto in un ritratto di Antonello «la gran forza e vivacità, mas-

Storia d’Italia Einaudi


30 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

sime in li occhi»56. Il passaggio del ritratto da oggetto di pietas familia-


re o da pezza d’appoggio genealogica a oggetto di collezione, fruibile es-
senzialmente su piano estetico, era fenomeno che si era già verificato
nella Roma classica: e Plinio aveva duramente criticato chi tappezzava
con vecchi quadri le pinacoteche e teneva care immagini straniere57. È
significativo che il fenomeno si ripresenti nella Venezia del primo Cin-
quecento.
Con l’approfondirsi dell’osservazione, e della rappresentazione psi-
cologica, con la modificazione, almeno parziale, di certi compiti genea-
logici e civili che avevano marcato il suo sviluppo, ma che erano in se-
guito divenuti limiti gravosi, si conclude un periodo cruciale, vario, ric-
co di possibilità e di potenzialità della storia del ritratto.
Nel frattempo l’autoritratto dell’artista, che avevamo trovato agli
inizi di questa vicenda, in quella vita vasariana di Masaccio dove la pro-
blematica del ritratto ha avuto una prima completa espressione, ha co-
nosciuto mutamenti fondamentali di funzione e di significato: È una
lunga vicenda, ma quando, nell’anno 1500, all’interno della Loggia del
Cambio a Perugia troviamo l’effigie del Perugino in un quadro appeso
a uno dei finti pilastri dell’ambiente avvertiamo subito che un passo im-
portante è stato fatto da quando nell’Adorazione dei Magi medicea Bot-
ticelli sogguardava verso lo spettatore. L’epigrafe, dettata dal Matu-
ranzio («Pietro Perugino, egregio pittore, ritrovò la perduta arte della
pittura e la inventò se mai non fosse stata creata») è forse postuma, ma
non fa che tradurre letterariamente, enfatizzandolo, il messaggio con-
tenuto nell’immagine. L’anno seguente, 1501, il Pinturicchio dipinge
addirittura il suo ritratto come addobbo casalingo su una delle pareti
della loggia dove si svolge il sacro episodio dell’Annunciazione. La dif-
ferenza tra i due casi è stata avvertita dal Gombrich58: nel primo il ri-
tratto posa su uno dei pilastri che offrono un inquadramento architet-
tonico in trompe l’œil agli episodi rappresentati, fuori dello spazio del-
le scene sacre. Nel secondo l’immagine del Pinturicchio fa parte del décor
familiare, sotto la scansia della natura morta. «Johannes van Eyck fuit
hic», il ruolo della celebre iscrizione dei coniugi Arnolfini, è qui svolto
dal ritratto. L’immagine dell’artista è il suo sigillo, attraverso ad essa

56 m. e. michiel, Notizie d’opere del disegno, ed. Frimmel, in «Quellenschriften für Kunstge-
schichte und Kunsttechnik des Mittelalters und der Neue Zeit», n. s., 1, Wien 1888, p. 80.
57 plinio, Naturalis Historia XXXV 4. Cfr. becatti, Arte e Gusto cit., pp. 225 e 404.
58 e. gombrich, Tradition and Expression in Western Still Life, in Meditations on a Hobby Hor-
se, London 1963, p. 102 (trad. it. A cavallo di un manico di scopa, Torino 1971, p. 155); e. benkard,
Das Selbstbildnis vom 15. bis zum Beginn des 18. Jhdts., Berlin 1927, pp. xviii sgg.

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 31

egli intende prendere definitivamente possesso del suo prodotto, ren-


derlo non piú totalmente alienabile, e profittare nel tempo stesso della
partecipazione alla scena sacra.
In questi stessi anni Luca Signorelli è a Orvieto alla cappella di San
Brizio. Nella scena della Predicazione dell’Anticristo egli si rappresenta
insieme all’iniziatore del ciclo, il Beato Angelico. I due personaggi non
partecipano in alcun modo all’avvenimento rappresentato, anzi se ne di-
stanziano fissando lo spettatore con l’inconfondibile sguardo del ritrat-
tato. La presa di possesso dell’opera qui è diretta, diversa; l’autore non
è piú mischiato agli astanti, ai protagonisti, né accetta di entrare nella
scena sotto l’umile aspetto di un oggetto, di un elemento dell’arreda-
mento. Egli è vivo e presente, ma su un altro piano. La sfrag…j impo-
ne all’opera il suggello dell’artista e gli permette di distanziarsene: l’ope-
ra parlerà per lui. Rispetto al proprio affresco Signorelli si mette nella po-
sizione di Orazio quando, rivolgendosi al proprio libro, aveva scritto:
Quando il sole piú tiepido ti avvicinerà maggior numero di uditori tu dirai loro
che sono figlio di un liberto di poca fortuna e che ho spiegato le ali piú di quanto il
mio nido non lo consentisse. Aggiungi cosí ai miei meriti ciò che toglierai ai miei
natali, racconta che sono stato apprezzato da coloro che nella guerra e nella pace so-
no i primi cittadini, di’ loro che sono di corpo minuto, bianco prima del tempo,
amante del sole facile alla collera ma anche rapido a calmarmi. E se qualcuno per ca-
so ti chiederà la mia età...59.

«Tu dirai loro...» L’opera potrà parlare, ma è l’effigie dell’artista che


imprime ad essa il suggello del creatore. Divenuta autonoma essa può
staccarsi da chi l’ha dipinta. La scena e il ritratto distanti si completa-
no. L’artista, appartato, contempla il trionfo di Pigmalione.

3. Cinquecento e Seicento.

Il ritratto italiano del Cinquecento ha una vicenda tanto complessa


quanto esemplare. Nel corso del secolo i modi di presentazione mutano
profondamente. Se i primi anni del secolo vedono l’affermarsi di un’im-
magine ove la caratterizzazione psicologica trionfa, ove il massimo pe-
so viene dato alla personalità del rappresentato, la seconda metà vedrà
piuttosto prevalere
quello speciale tipo di ritrattistica giusta il quale le caratteristiche fisiche della per-
sona effigiata vengono fissate ed esaltate in modi di estrema minuzia, e in una mes-

59 orazio, Epistola XX.

Storia d’Italia Einaudi


32 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

sa in posa rigidamente aulica, quasi ieratica, che sottrae la figura alla mutevole con-
dizione dell’atto momentaneo e all’instabile riflesso dello stato d’animo60.

Dietro il grande mutamento nei modi della presentazione, dietro il vol-


gere dell’attenzione da certi particolari elementi ad altri, dietro ai cam-
biamenti nell’atteggiamento stesso nei riguardi del ritratto, quale si ri-
vela nello scorrere, ordinati cronologicamente lungo l’arco del secolo, gli
scritti di letteratura artistica, c’è il mutare della funzione della immagi-
ne, c’è soprattutto la storia dell’Italia del Cinquecento, con le sue profon-
de lacerazioni, con i suoi problemi, con le lotte che mettono gli uni con-
tro gli altri diversi strati della sua classe egemone e che trovano provvi-
soria conclusione nella rifeudalizzazione, nei nuovi metodi di governo,
nello stabilirsi di strutture burocratiche, nella Controriforma. La situa-
zione d’altronde non è eguale in tutte le regioni d’Italia, né si può parla-
re in termini assoluti di uno svolgimento unitario; almeno per un certo
tempo esisteranno aree caratterizzate da uno sviluppo divergente del ri-
tratto. Dietro la molteplice varietà dei suoi aspetti si rivela l’opposizio-
ne tra i domini imperiali e i principati ad essi connessi e la repubblica di
Venezia, e all’interno di questa tra la dominante e la terraferma. Certo
occorre tenere conto delle culture figurative locali, delle singole tradi-
zioni e, ovviamente, della personalità degli artisti; ma precise tendenze
si delineano che comprendono e abbracciano piú di un centro culturale,
piú di un artista. La prossimità geografica spesso non lascia segno quan-
do vi contrasti la lontananza politica. Scrive Roberto Longhi61 della cre-
monese Sofonisba Anguissola, celeberrima in tutt’Europa per i suoi ri-
tratti e a cui lo stesso Van Dyk vorrà rendere omaggio trovandola de-
crepita e cieca, ma ancora lucida, tanto da dichiarare «che da questa cieca
matrona piú aveva appreso che da qualunque altro veggente» (Lanzi):
A giudicare dalle insistenze di Sofonisba sulla ritrattistica, ci si aspetterebbe
che, per la generazione quasi identica, essa dovesse guardare al Moroni ch’era a Ber-
gamo poco distante. Ma sebbene lo si dica, io non ne trovo segno. Cremona era città
imperiale e si modellava sul gusto di corte, eguale dappertutto salvo le varianti per-
sonali di qualità, da Firenze a Madrid, da Parigi ad Anversa, dal Bronzino al San-
chez Coello, a François Clouet ad Antonio Mor. Cresciuta in clima di controrifor-
ma eppure non inclinata ai soggetti devoti, Sofonisba applicava alla specialità dei
ritratti quella forma di devozione alienata che è la diligenza.

Alle nuove esigenze di presentazione dei signori ecclesiastici e lai-


ci, dei papi e degli imperatori, dei sovrani, dei principi, risponde un

60 f. zeri, Pittura e Controriforma. Torino 1957, p. 15.


61 r. longhi, Indicazioni per Sofonisba Anguissola, in «Paragone», n. 157, gennaio 1963.

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 33

nuovo tipo di ritratto, il cosiddetto «State portrait» (ritratto di Sta-


to)62. Già le dimensioni ne sono nuove e imponenti, il soggetto è poi
rappresentato in modo da far risaltare il carattere pubblico e del ri-
trattato e dell’immagine. Si tratta di mettere in evidenza i segni carat-
teristici dell’esercizio del potere, nelle vesti, negli attributi, nella posa,
come nell’espressione del volto. Il ritratto si depersonalizza, vengono
messi in risalto piuttosto i caratteri pubblici che i privati; tuttavia non
si torna di certo al Medioevo, non si rinnegano le possibilità formali ac-
quisite nel corso degli ultimi due secoli. Se un paragone si può fare è
piuttosto con Roma antica che aveva conosciuto un suo tipo di «State
portrait». Ancora una volta si tratta di spostare l’attenzione da un li-
vello di segni a un altro.
La formula dello «State portrait» conosce una lunga elaborazione, i
passi decisivi si compiono nella Roma di Giulio II e di Leone X ad ope-
ra di Raffaello; si crea dapprima un nuovo tipo di presentazione e si dà
al ritratto una dimensione che abitualmente non aveva. Uno dei primi
esempi è il ritratto di Giulio II fatto per la chiesa romana di Santa Ma-
ria del Popolo, dove al tempo del Vasari veniva mostrato al tempo del-
le «feste solenni», e attualmente alla National Gallery a Londra63. Il pa-
pa è rappresentato seduto, imponente, su un’ampia poltrona, la figura
non è a mezzo busto ma è tagliata immediatamente sotto le ginocchia,
una forma di mise en page che era finora riservata ai soggetti religiosi e
che da questi probabilmente era derivata64. Il vecchio pontefice non
sembra guardare lo spettatore secondo la formula abituale, posto di tre
quarti ha lo sguardo fisso verso il basso e questo isolamento accentua le
caratteristiche di monumentalità del dipinto che colpirono Tiziano il
quale alcuni anni dopo ne fece una copia (ora a Palazzo Pitti). Successi-
vamente Raffaello fece il ritratto di Leone X (Uffizi). In quest’opera il
papa è rappresentato di tre quarti, posto in diagonale rispetto al piano
del quadro, assiso davanti a un tavolo, in posizione di dare udienza, una
mano aperta su un libro miniato, l’altra stretta attorno al manico di una
lente. Il suo sguardo, come già quello di Giulio II, non si porta verso lo
spettatore, ma fissa invece un personaggio alla sua destra, il cardinale
Giulio de’ Medici, il futuro Clemente VII. Per parte sua gli occhi del
cardinale sono volti verso il pontefice e questo intrecciarsi di sguardi

62m. jenkins, The State Portrait. Its origin and Evolution, New York 1947.
63c. gould, Raphael’s Portrait of Pope Julius II, London 1970.
64 k. oberhuber, Raphael and the State Portrait, I: The Portrait of Julius II, in «The Burlington
Magazine», 1971, pp. 124 sgg.

Storia d’Italia Einaudi


34 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

conferisce al ritratto un valore dinastico65. Sulla destra del quadro, ap-


poggiato alla poltrona papale, il cardinale Luigi de’ Rossi guarda invece
in direzione dell’osservatore, ponendosi come tramite tra questi e i due
Medici immersi in un colloquio silenzioso. L’origine di questo tipo di
ritratto è stata ipoteticamente ravvisata in un’opera di Fouquet66 «il
quale fece a Roma papa Eugenio e due altri de’ suoi appresso di lui; che
veramente parevano vivi proprio. I quali dipinse insu un panno collo-
cato nella sagrestia della Minerva»67. Il rapporto col dipinto di Fouquet
è interessante. Per certi aspetti infatti la funzione del ritratto nella Fran-
cia monarchica di Fouquet prelude alla funzione che il ritratto avrà
nell’Italia del Cinquecento, mentre diverge da quella che qui il ritratto
aveva avuto nel secolo precedente68. Una trentina d’anni dopo la sua
esecuzione il Vasari descrive il quadro e mostra di essere colpito piú an-
cora dalla eccezionale resa delle vesti, degli oggetti, del mobilio che dai
volti e dalle espressioni dei personaggi:
quivi è il veluto che ha il pelo, il damasco adosso a quel papa, che suona e lustra; le
pelli della fodera morbide e vive, e gli ori e le sete contraffatti sí che non colori, ma
oro e seta paiono. Vi è un libro di carta pecora miniato che piú vivo si mostra che
la vivacità et un campanello d’argento lavorato, che non si può dire quanto è bello.
Ma fra le altre cose v’è una palla della seggiola brunita e d’oro nella quale, a guisa
di specchio si ribattono (tanta è la sua chiarezza) i lumi de le finestre, le spalle del
papa et il rigirare delle stanze69.

Ciò facendo il Vasari interpreta questo quadro secondo un criterio ac-


cettato nel suo tempo, ma ancora da venire a quelli di Leone X, veden-
dolo cioè come rappresentazione minuta, precisa e parlante di oggetti,
di «status symbols». Altri due ritratti usciti dall’atelier di Raffaello e
non a caso destinati alla Francia70 mostrano lo sviluppo dello «State por-
trait» sulla via della spersonalizzazione, verso un, ritratto che non mo-
stra la persona nei suoi caratteri individuali, ma piuttosto come rappre-
sentante di una certa classe sociale: sono i ritratti di Lorenzo de’ Medi-
ci duca d’Urbino, probabilmente destinato alla futura sposa, Madeleine

65 pope-hennessy, The Portrait cit., p. 121.


66 k. schwager, Über Jean Fouquet in Italien und sein verlorenes Porträt Papst Eugen IV, in Ar-
go. Festchrift für Kurt Badt, Köln 1970, pp. 210 sgg.
67 antonio averlino, filarete, Treatise on architecture, ed. Spencer, New Haven 1965.
68 o. pächt, Jean Fouquet: a study of his style, in «Journal of the Warburg and Courtauld In-
stitutes», iv, 1940-41, p. 99.
69 vasari, Vite, ed. cit., IV, p. 89 (Vita di Raffaello).
70 k. oberhuber, Raphael and the State Portrait – The Portrait of Lorenzo de’ Medici, in «The
Burlington Magazine», cxiii, agosto 1971, pp. 436 sgg.

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 35

de La Tour d’Auvergne, e quello di Giovanna d’Aragona, dono del car-


dinal Bibbiena al re di Francia.
Accanto a Raffaello, Tiziano occupa un posto capitale nella creazio-
ne dello «State portrait» e il suo ritratto di Alfonso d’Este duca di Fer-
rara si situa d’altronde a poca distanza cronologica da quelli usciti
dall’atelier dell’urbinate. Con i ritratti del duca di Mantova, del duca
di Ferrara, del duca di Urbino, con quelli di Carlo V, di Filippo II, di
papa Paolo III egli offre al ritratto di corte superbi modelli. Non pro-
venendo da una società, né da una cultura cortesi potrà realizzare una
stupefacente «gageure», quella di attorniare un personaggio di un’aura
simbolica, parcamente evocata da attributi, strumenti, oggetti carichi di
allusioni, di presentarlo in modo che la sua immagine occupi intiera-
mente il campo dei significati allegorici e superindividuali che gli si vo-
gliono attribuire, ma in modo che nello stesso tempo essa non appaia in
nulla spersonalizzata, in modo che possa essere letta come metafora e
come storia. È il caso per esempio del ritratto equestre di Carlo V alla
battaglia di Mühlberg (Prado).
Il 24 aprile 1547 le truppe protestanti guidate dal grande elettore di
Sassonia furono sconfitte dall’imperatore sulle rive dell’Elba.
Quel 24 aprile segnava una volta ancora una delle grandissime giornate della
sua vita, – scrive un moderno biografo dell’imperatore71. – Aveva conquistato il
successo con la sua costanza, con l’ostinazione, con tutti i mezzi, ma anche a spe-
se della sua quiete, della salute e della vita; aveva cooperato a dirigere il passaggio
dell’Elba e la relativa azione di fuoco, partecipando con i suoi soldati a quella bat-
taglia serale.

L’anno dopo Tiziano è ad Augusta, alla corte imperiale, dove gli si chie-
de di dipingere un’immagine commemorativa dell’avvenimento. L’Are-
tino nell’aprile di quell’anno gli scrive, evocando quello che doveva es-
sere a suo parere l’aspetto del quadro:
... Vorrei vedere a lo incontro fermarsi in piedi e moversi… la Religione e la Fa-
ma, l’una con la Croce e il Calice in mano che gli mostrassi il cielo; e l’altra con le
ali e le trombe che gli offerisse il mondo. Conciosia che per acquisto di quello e di
questo il deificato monarca combatte e travaglia non pur il verno come la state, ma
il dí al pari della notte; tolerando la guerra de le malvagie indisposizioni che lo af-
fliggono con una maniera di costanzia, che piú non se ne scorge in un corpo senza
detrimento e disturbo72.

Tiziano rinuncia agli emblemi e alle allegorie che l’Aretino gli sug-

71 k. brandi, Kaiser Karl V München 1937 (trad. it. Torino 1961, p. 563).
72 l. aretino, Lettere sull’Arte, ed. Pertile-Camesasca, Milano 1957-60.

Storia d’Italia Einaudi


36 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

gerisce. Tuttavia – come nota il Von Einem73 – l’opera che egli esegue
non il ritratto di un qualsiasi cavaliere che esce da un bosco durante una
battaglia, è la statua equestre dell’imperatore, del Defensor Fidei, è la
personificazione del Miles Christianus, del san Giorgio, del primo im-
peratore cristiano, Costantino la cui memoria è evocata dalla lunga lan-
cia. Il fiume del fondo è l’Elba, il cui passaggio aveva dato la vittoria al-
le truppe imperiali, ma è anche il Rubicone, secondo il paragone di Luis
de Avila (Commentariorum de bello Germanico a Carolo V Caesare Maxi-
mo gesto libri duo, 1549). Con tutto questo il ritratto è quello di Carlo
V, quelli che vediamo sono i tratti fisici caratteristici dell’imperatore,
sue sono l’espressione intenta, le labbra leggermente aperte.
Confrontando la ritrattistica di Tiziano a quella di Tintoretto Ro-
berto Longhi ha scritto:
Rammento tutte le individuazioni di Tiziano, dall’Ariosto al Jacopo da Strado;
ma stento a ricordare piú d’uno o due fra i mille effigiati tintoretteschi. Ricordo,
s’intende, i roboni dei procuratori a massa bruna e i ventisette «sfregazzi» di lacca
o di carminio, ricordo il fiotto d’ombra sotto ogni naso e molte barbe bianche e fa-
rinose; la solita tenda a «spegazzoni», le solite mani spioventi; a stento ricordo un
uomo74.

È solo questione di qualità, di genio individuale, è solo colpa di una sor-


ta di industrializzazione della produzione o non è anche segno che lo
«State portrait» nella sua ultima fase, quella appunto in cui l’uomo vie-
ne messo da parte, si è installato anche a Venezia?
Quasi una ventina d’anni prima del Carlo V a Mühlberg Il Parmi-
gianino aveva dato dell’imperatore un’immagine «metaforica»: «... in
un quadro grandissimo, e in quello dipinse la Fama, che lo coronava di
lauro, e un fanciullo in forma di un Ercole piccolino, che gli porgeva il
mondo, quasi dandogliene il dominio»75; una presentazione che non sa-
rebbe spiaciuta all’Aretino, e che è molto diversa sia da quelle che ad
Augusta ne darà Tiziano, sia da quella – piú vicina nel tempo – che lo

73 k. von einem, Karl V und Tizian, in «Arbeitsgemeinde für Forschung des Landes Nordrhein-
Westfalen Geisteswissenschaften»« Arbeitsgemeinde für Forschung des Landes Nordrhein-We-
stfalen Geisteswissenschaften», fasc. 92, Köln-Opladen 1960. Sull’argomento cfr. anche w. braun-
fels, Tizians Augsburger Kaiserbildnisse, in Kunstgeschichtliche Studien für Hans Kauffmann, Berlin
1956, pp. 196 sgg.; a. cloulas, Charles Quint et le Titien, in «L’information d’histoire de l’art»,
ix, 1964, pp. 213 sgg.; e. panofsky, Problems in Titian, mostly iconographic, Glückstadt 1969, pp.
85 sgg.
74 r. longhi, Viatico per cinque secoli di pittura veneziana, Firenze 1946, p. 30; Cfr. t. hetzer,
Tizians Bildnisse, in Aufsätze und Vorträge, vol. I, Leipzig 1957, p. 54; e. hüttinger, Zur Porträt-
malerei Jacopo Tintorettos, in «Pantheon», 1968, p. 468.
75 vasari, Vite, ed. cit., V, p. 25 (Vita di F. Mazzuoli).

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 37

stesso Tiziano aveva eseguita a Bologna. A proposito di quest’opera è


stato osservato:
Il calcolo formale quasi assoluto che domina nel quadro... è... piú del solito il
pretesto per una prova stilistica, tende in realtà una rete fittissima di allusioni let-
terarie e metaforiche, che vanno al di là dei simboli allegorici già ben in vista... La
difficile dislocazione del gesto di Carlo vuol essere di per sé, in quanto avvenimen-
to figurativo, una metafora della vastità della potenza imperiale... La stessa scelta
del punto di vista rialzato... è la proiezione del significato, caro agli umanisti, del
potente protetto, in un’aura di apoteosi dove l’umano è sublimato, ma non tanto da
star a pari col superumano,

fino a concludere che la freddezza avvertita da molti in questo ritratto


«non è tanto il sintomo di una riuscita esteticamente difettosa» quanto
il segno di una svolta76.
Il processo di depersonalizzazione è dunque già da tempo in corso in
Italia, ma questa tendenza non avanza di pari passo in ogni centro. A
Roma è già presente in germe verso il ’20, verso il ’29 il Parmigianino
sembra aderirvi, a Venezia Tiziano vi contrasta fino all’ultimo propo-
nendo come alternativa la sua superba sintesi cromatica di personalità
e di «status», mentre a Bergamo il Moroni non ammette per il ritratto
quella riduzione a formula senza tempo che pur praticava nella pittura
religiosa. E del resto anche nei casi in cui gli artisti mostrano di ab-
bracciare la nuova poetica e di volersi identificare con l’ideologia dei
committenti principeschi
in Italia, almeno fino al 1560 non accadrà mai che la persona dell’artista ceda al pa-
radigma iconografico e tenda a minimizzare e ad annullare la propria presenza; o
che nel personaggio effigiato i tratti fisionomici vengano a sortire il medesimo pia-
no gerarchico delle vesti, degli ornamenti e dei segni della condizione sociale...77.

Sarebbe schematico ridurre la vicenda complessa e ricchissima del ri-


tratto italiano nella prima metà del Cinquecento a quella della inelut-
tabile progressione verso l’egemonia di una formula spersonalizzante.
La sua problematica è molto piú vasta di quanto questo schema po-
trebbe comprendere e d’altronde per giustificare una reazione «sper-
sonalizzante» occorre ipotizzare una «personalizzazione» generale e
precedente. Essa appunto aveva preso strade diverse, conosciuto di-
versi destini e in molti casi era stata stimolata da motivazioni e situa-
zioni diverse.
Un fatto importante, e come tale sempre ricordato, era stato quello

76 f. bologna, Il Carlo V del Parmigianino, in «Paragone», n. 73, 1956, p. 8.


77 zeri, Pittura e Controriforma cit., p. 16.

Storia d’Italia Einaudi


38 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

di aver puntato alla caratterizzazione psicologica, e al di là di essa


all’espressione di uno stato d’animo proprio a un particolare momento,
piuttosto che atto a indicare un carattere universale. E si sa quanto Leo-
nardo sia stato sensibile alla rappresentazione pittorica dei «moti degli
affetti» e quanto seguito abbiano avuto i suoi prototipi. Un passo deci-
sivo verso il ritratto – espressione di uno stato d’animo è fatto da Gior-
gione, nel ritratto di ignoto del Museo di San Diego realizzato in quel-
la sua maniera immediata, pittorica e senza disegno di cui parla il Vasa-
ri nella vita di Tiziano quando afferma che, dopo il 1507, Giorgione
... cominciò a dare alle sue opere piú morbidezza e maggior rilievo con bella ma-
niera; usando nondimeno di cacciarsi avanti le cose vive e naturali e di contrafarle
quanto sapeva meglio con colori, e macchiarle con le tinte crude e dolci, secondo
che il vivo mostrava, senza far disegno tenendo per fermo che il dipingere solo con
i colori stessi, e senz’altro studio di disegnare in carta, fusse il vero e il miglior mo-
do di fare ed il vero disegno78.

Nel passo del Vasari è evidente il carattere che si vuole diretto e imme-
diato della pittura di Giorgione79, e risulta chiaro come l’assenza di di-
segno corrisponda a una scelta deliberata, all’abbandono di uno schema
razionale e astraente di rappresentazione, a vantaggio di un altro sche-
ma che per la sua stessa natura meglio poteva prestarsi a una individua-
lizzazione sempre diversa, condotta caso per caso e corrispondente nel
fluire del tempo a un punto determinato e a uno solo. Pochi lustri sono
passati da quando Antonello fermava su tavola i tratti determinati ed
essenziali del commerciante borghese, del capitano, del marinaio. L’uo-
mo rappresentato da Giorgione sfugge a una elementare classificazione,
è un personaggio inquieto e umbratile. Egli non volge con tranquilla si-
curezza il suo sguardo acuto a certificare del suo stato e della sua presa
sul reale, scruta piuttosto lo spettatore di sfuggita mentre le labbra si
contraggono in una smorfia amaramente enigmatica. Non è la certezza
nella conoscenza e nell’azione propria a una nuova classe che Giorgio-
ne vuole mostrare, quanto una irripetibile condizione esistenziale. Lun-
gi dal voler fornire delle immagini fisse, a cui può venire attribuita una
sola interpretazione, una sola lettura, una sola qualità, coraggio, fierez-
za, magnanimità, intelligenza, il ritratto giorgionesco vuole fornire
un’immagine leggibile in piú di un modo che gli spettatori possono in-

78 vasari, Vite, ed. cit., VII, p. 308 (Vita di Tiziano).


79 Sul carattere «diretto» della sua pittura Vasari insiste anche nella Vita di Giorgione: «E at-
tese in tutto quello che egli vi fece, che traesse al segno delle cose vive e non a imitazione nessu-
na della maniera» (ed. cit., III, 419).

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 39

terpretare diversamente e in cui possano trasferire le proprie preoccu-


pazioni, i propri sentimenti. Come la tecnica pittorica è profondamen-
te cambiata, come lo sfumato, la pittura tonale, tutte insomma le carat-
teristiche della «terza maniera», la «maniera moderna» di cui parla il
Vasari, contrastano efficacemente la delineazione lineare e cromatica
dell’immagine, cosí il soggetto, il contenuto, rifiuta una univoca collo-
cazione. È il momento di piú stretto rapporto tra pittura e poesia, nel
ritratto come nel paesaggio. Il successo di questa formula indica l’esi-
stenza di un pubblico estremamente colto, sino alla sofisticazione di un
gruppo sociale che cerca nel ritratto altra cosa che un’immagine fissa,
univoca, a funzioni ben determinate, che vuole dare di se stesso, e del
suo rapporto con gli altri uomini, col mondo, con la natura, una certa
immagine.
Nello spazio di qualche decennio non si assiste solo a un mutamen-
to nel campo delle possibilità formali (dovuto all’uso del chiaroscuro,
della pittura «pura», ecc.), ma anche a una trasformazione degli elementi
considerati come prioritari e significativi. Riconosciuti valore e senso
della introspezione si vuole apparire riflessivi, pensierosi, addirittura
meditabondi, mostrare la propria sensibilità, la propria cultura. Si mol-
tiplicano cosí le espressioni appassionate, le mani sul petto ad indicare
il cuore, gli sguardi eloquenti. Cambiano anche gli attributi. All’anello,
pegno di matrimonio, al guanto, alla medaglia, all’elmo, alla spada, al
cartiglio si aggiunge un piccolo libro, un «petrarchino» tenuto aperto a
una pagina significativa, verso cui il ritrattato indirizza uno sguardo ca-
rico di allusioni80; altre volte si tratterà invece di uno strumento musi-
cale. Sempre con maggior frequenza d’altra parte appaiono effigi di poe-
ti, di scrittori, di intellettuali. In un certo numero di tele si è creduto,
non sempre con fondati motivi, di ravvisare le sembianze dell’Ariosto;
il Castiglione, Pietro Bembo, Sperone Speroni, l’Aretino sono soggetti
di celeberrimi ritratti. Se il borghese, e piú tardi anche l’aristocratico,
vuol farsi rappresentare come intenditore di musica e di poesia, come
essere pensante e problematico, l’intellettuale, lo scrittore, il poeta ven-
gono glorificati per la loro funzione di ideologi, eventualmente di orga-
nizzatori, di nuove strutture culturali e politiche.
A proposito delle nuove strutture messe in opera, e del contempora-
neo sviluppo della burocrazia, è interessante seguire lo sviluppo di un
nuovo tipo di ritratto a due personaggi, il «ritratto con il segretario».
Indispensabile strumento e aiuto nell’esercizio del potere il segretario

80 j. shearman, Andrea del Sarto, Oxford 1965, vol. I, p. 123.

Storia d’Italia Einaudi


40 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

appare a fianco del cardinale Ferry Carondelet in un ritratto di Seba-


stiano del Piombo, a fianco di Guillaume d’Armagnac vescovo di Ro-
dez in un ritratto di Tiziano81. In questo caso il segretario è un celebre
intellettuale del suo tempo, Guillaume Philandrier, teorico e dilettante
di architettura. Lo sviluppo di questo tema apporta cosí nuovi elemen-
ti per una storia dei rapporti tra intellettuali e potere.
L’inquietudine esistenziale dell’ultimo Giorgione trova scarsa eco
nella ritrattistica di Tiziano, anzi è deliberatamente isolata e contrad-
detta; verrà continuata senza innovazioni di rilievo nella cerchia gior-
gionesca e troverà un parallelo, autonomo e indipendente, nei perso-
naggi del Lotto. Il ritratto appassionato, enigmatico, intimo, sensibile a
inquietudini morali e religiose piú che moraleggianti che fu proprio del
Lotto, non ebbe successo a Venezia, per sopravvivere dovette rifugiar-
si in provincia, segno che la formula destava qualche preoccupazione e
si preferiva scartarla a vantaggio di soluzioni piú confortanti e afferma-
tive. Analogamente a Firenze l’inquietudine che in circostanze e modi
diversi, ma per motivi di fondo non dissimili, si manifesta in certi ri-
tratti del Rosso, del Pontormo e del primo Bronzino si sublimerà rag-
gelata fino a divenire inoperante nel duro nitore dei ritratti medicei. I
gesti e le espressioni degli appassionati e preoccupanti personaggi del
Lotto, gli sguardi allucinati che spiovono dalle orbite profonde nei ri-
tratti del primo manierismo fiorentino manifestano una crisi profonda,
un timore dell’avvenire, e allo stesso tempo una ricerca di bellezza nuo-
va e diversa, fondata su una situazione differente dell’uomo nel mon-
do, su una sua differente dignità. Ma queste proposte non verranno
ascoltate. Emarginate o trasformate fino a far perdere loro qualsiasi ca-
rica innovatrice solo potenzialmente rappresenteranno una soluzione al-
ternativa – respinta dalle classi dominanti – al ritratto «cesareo» di Ti-
ziano, alle fredde e splendide effigi dinastiche del Bronzino.
L’inquietudine del Lotto e dei primi manieristi fiorentini discendeva
sia da una profonda riconsiderazione degli elementi formali, resa neces-
saria dopo le accelerazioni tremende impresse al corso della pittura nei
primi anni del Cinquecento, sia da una piú generale crisi dei valori occa-
sionata dal crollo del sistema degli Stati italiani. Le invasioni straniere,
la riforma, la ristrutturazione politica e la restaurazione dinastica, la co-
stituzione di governi assoluti, la rifeudalizzazione, l’emarginazione degli
antichi gruppi dirigenti borghesi – e quindi spesso degli antichi commit-

81 m. jaffè, The picture of the Secretary of Titian, in «The Burlington Magazine», 1966, pp.
114 sgg.

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 41

tenti – costituiscono la tela di fondo di questa vicenda. Venezia mantie-


ne la propria indipendenza e la propria struttura politica – e questo si ma-
nifesta anche nella particolare fisionomia della pittura veneziana – ma a
prezzo di piú di un compromesso, e finalmente le tendenze di fondo che
si fanno sentire nel resto d’Italia e in Europa, sono presenti anche là. La
provincia veneta subisce con un certo ritardo i contraccolpi di questa si-
tuazione, e ciò si avverte nella particolare fisionomia della ritrattistica. I
pittori dell’entroterra veneto dipingono per una media borghesia e per
un’aristocrazia sovente priva di potere politico reale.
Anche quando si trova a Venezia un pittore di origini bergamasche
come Bernardino Licinio è preferito da strati sociali non egemoni. Nel-
la sua opera si incontrano significativi ritratti di famiglia e di gruppo. A
volte la parola interviene a rendere piú esplicita la pittura, come nel grup-
po di artista con allievi (nella collezione del duca di Northumberland,
già in Palazzo Manfrini a Venezia) dove i giovani apprendisti si volgo-
no al maestro mostrando fogli disegnati e annotati: «Varda si sta ben sto
disegno», «Lè difficile sta arte», o quello della famiglia del fratello a Vil-
la Borghese dove l’iscrizione latina proclama «Licinio ha qui rappre-
sentato il fratello con tutta la sua famiglia, ad essi prolungando la vita
con l’immagine, a se stesso con l’arte». In un altro quadro di un berga-
masco rimasto in patria, Andrea Previtali, contro un paesaggio di costa
una coppia sostiene tra le braccia un bambino, e questi mostra un bi-
glietto con i precetti dettatigli dai genitori. Sono esempi che mostrano
la straordinaria popolarità che il ritratto ha nella prima metà del Cin-
quecento, la sua destinazione, il suo consumo da parte di strati sociali
non elevatissimi. Del resto i ritratti di artigiani si moltiplicano in que-
sto periodo, dal celebre sarto del Moroni, di cui dice il Boschini «l’ha
in man la forfe e vui ’l vede a tagiar» al calzolaio Maestro Ercole a cui
il Lotto ad Ancona fa il ritratto in cambio di scarpe per sé, e un aiuto e
di un «par de pianelle fodrate de pano per donna Caterina nostra go-
vernatrice». Lo avverte l’Aretino che fulmina: «A tua infamia secolo,
che sopporti che sino i sarti e i beccai appaiano là vivi in pittura» e alla
fine del secolo se ne lamenta il Lomazzo:
... mentre ai tempi dei romani solo si rappresentavano i principi e gli uomini vitto-
riosi, ora l’arte di ritrarre dal naturale è divulgata tanto che quasi tutta la sua di-
gnità è perduta, non solamente perché senza alcuna distinzione si tolera da’ princi-
pi e dalle repubbliche che ogn’uno con ritratti cerchi di conservare la memora sua
eterna et immortale, ma perché ogni rozzo pittore che appena sa come impiastrare
carte vuol ritrarre82.

82 l. lotto, Il Libro di Spese Diverse, a cura di P. Zampetti, Venezia-Roma 1969, pp. 50-53.

Storia d’Italia Einaudi


42 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

Si pone qui un problema significativo, quello di chi (membro di qua-


le gruppo sociale) sia soggetto degno di essere ritrattato, e di come deb-
ba esserlo. Su questo terreno il trattato del Lomazzo (1584) è ottima
guida. Se il problema del soggetto è grave, quello del decoro, del modo
di rappresentarlo mettendo in luce le sue qualità, le sue funzioni, il suo
peso sociale non lo è da meno. E questo si risolverà con la scelta delle
espressioni – viste in rapporto alla manifestazione di una qualità –, de-
gli attributi, delle vesti, e soprattutto in una idealizzazione del perso-
naggio, che possa occultarne i difetti fisici, e, quando il soggetto lo ri-
chieda, nel conferirgli un’aura che lo elevi sopra al comune. Caso limi-
te, quello dell’imperatore. Egli
... soprattutto si come ogni re e principe vuol maestà, e haver un’aria a tanto grado
conforme, si che spiri nobiltà e gravità; ancorché naturalmente non fosse tale. Con-
ciosia che al pittore conviene sempre che accresca nelle faccie grandezza e maestà
coprendo il difetto del naturale83.

Il problema di attribuire ad ogni personaggio quell’aspetto, quelle


espressioni e quel comportamento che dato il suo stato, la sua funzione,
l’azione in cui è impegnato egli dovrebbe avere, secondo un canone e
un’etichetta immutabili che occorre rispettare è fondamentale:
Il decoro artificiale è da quando il prudente pittore dipingendo uno Imperato-
re o un re fa il ritratto loro grave e pieno di maestà, ancora che per avventura egli
naturalmente non l’habbia. O dipingendo un soldato lo mostra pieno di furore e di
sdegno piú di quello che egli veramente non fu nella scaramuccia. Il che hanno os-
servato molti valenti pittori con grandissima ragione, essendo questo il debito dell’ar-
te, rappresentare il Papa, l’Imperatore, il Soldato e ciascheduno persino col decoro
che la ragione comanda ch’ella habbia, et in ciò si dimostra il pittore perito ne l’ar-
te sua, rappresentando non l’atto che faceva per avventura quel Papa o quell’Im-
peratore, ma quello che doveva fare rispetto a la maestà e decoro del suo stato84.

Piú di un secolo dopo questa problematica è ripresa tale e quale da


Sir James Tornhill che deve rappresentare in un grande soffitto del Na-
val Hospital di Greenwich lo sbarco in Inghilterra di Giorgio I e si giu-
stifica delle licenze prese con la verità storica annotando su un disegno:
1) che il fatto si era svolto di notte quando nessuna grande nave era in
vista, ma solo piccoli battelli che nella composizione sarebbero stati di
un ben modesto effetto, 2) che molti dei nobili che avevano partecipa-
to allo sbarco erano ormai caduti in disgrazia, 3) che l’abito del re in
quell’occasione non era né bello né degno di lui tanto da essere trasmesso

83 lomazzo, Trattato cit., p. 432.


84 Ibid.

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 43

alla posterità, e finalmente, 4) che al fatto assisteva una gran folla che
sarebbe stato sgradevole rappresentare e falso non rappresentare. La de-
cisione di Sir James va nel senso del Lomazzo, vale a dire dipingere il re
cosí come avrebbe dovuto essere piuttosto che come era in realtà, e at-
tenersi a questi principî per il resto della scena85.
Maestà, gravità, solennità: questi stereotipi del comportamento che
già si affacciavano nelle pagine del Cortegiano trovano un modello pre-
stigioso nell’etichetta della corte di Spagna e nel contegno dei suoi mo-
narchi. Nella sua Civile Conversazione (1583) scrive Stefano Guazzo:
Mirate per esempio la grave et venerabile Maestà del re di Spagna con la quale
empiendo gli animi di riverenza è quasi come idolo adorato da Prencipi e Signori –
e confessate che egli con ragione si fa conoscere Re e conserva con dignità la sua
Real grandezza86.

Meno seguito sembra trovare nella ritrattistica italiana il modello pro-


posto dal re di Francia con il suo «benigno e gioviale aspetto e la sua fe-
licità incredibile». L’internazionale delle corti impone un suo tipo di ri-
tratto augusto «eguale dappertutto salvo le varianti personali di qua-
lità»», diceva Roberto Longhi, e di questo cosmopolitismo dei sovrani
si ha un significativo esempio ancor una volta negli esempi proposti nel
Pantheon del Lomazzo:
... et de’ moderni pittori Scipione Gaetano, massime nel ritratto di Gregorio XIII
e del Cardinale Granvela dove vediamo tutto il piú bello della natura, come la di-
gnità del volto in quello e in questo la magnificenza, di Giovanni Monte Cremasco
e Gioseffo Arcimboldi Milanese ne’ ritratti di Massimiliano Imperatore ove si ve-
de risplendere la maestà imperiale, si come nel cattolico re Filippo, nel ritratto del
principe suo figliolo di mano di Sofonisba Anguisciola, di Antonio del Moro e di
Antonio Sanchio riluce nell’uno la grandezza et gravità et nell’altro l’altezza dell’ani-
mo et finalmente quello di Carlo Emanuello Duca di Savoia di Giorgio Soleri, d’Ales-
sandro Ardente Lucchese e del Decio dove parimenti si vede osservato questo de-
coro87.

Modelli per eccellenza atti ad essere ritrattati sono dunque per il Lo-
mazzo imperatori, papi, re, principi, cardinali, poeti anche, purché in
ognuno venga messa in rilievo una facoltà essenziale che possa conve-
nire al decoro: «... come fece Giotto quale espresse in Dante la profon-
dità, Simone senese nel Petrarca la facilità, frate Angelo la prudenza del
Sannazzaro, e Titiano nell’Ariosto la facundia e tornamento e nel Bem-

85 e. wind, The Revolution of History Painting, in «Journal of the Warburg and Courtauld In-
stitutes», ii, 1938, pp. 122 sgg.
86 stefano guazzo, Civile Conversazione, Venezia 1583, p. 132.
87 lomazzo, Trattato cit., p. 435.

Storia d’Italia Einaudi


44 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

bo la maestà e l’accuratezza»88. Non conforme ai paludati precetti del


Lomazzo sembra il ritratto che il Moroni fece del Tasso e che cosí il Bo-
schini ci descrive: «Un Tasso coi bragoni e l’bareton | Sentà in cariega
con un libro in man» dove l’immediatezza del dialetto traduce l’icasti-
cità della posa89. Anche per i bragoni e le berrette esistevano norme da
non infrangere; infatti
in questa parte di distribuire gli abiti o per ignoranza o per poca avvertenza si veg-
gono grandissimi errori. Come per esempio gli imperatori con le berrette in testa
che gli fa rassembrar piuttosto mercatanti che imperatori... Per incontro poi i mer-
canti e banchieri che non mai videro spada ignuda ai quali propriamente si aspetta
la penna nell’orecchia con la gonella in torno e il giornale davanti si ritraggono ar-
mati con bastoni in mano da generali, cosa veramente ridicola90.

Il principio della rassomiglianza conta assai meno che quello della


conformità dell’immagine alla funzione. È noto quanto disinteresse Mi-
chelangelo abbia ostentato verso il ritratto: scrive Niccolò Martelli nel
1544:
Michelangelo... havendo... a scolpire i Signori illustri della felicissima casa de’
Medici non tolse dal Duca Lorenzo né dal Sig. Giuliano il modello apunto come la
natura gli avea effigiati e composti, ma diede loro una grandezza, una proportione
un decoro... qual gli parea che piú lodi loro arrecassero, dicendo che di qui a mille
anni nessuno non ne potea dar cognitione che fossero altrimenti91.

Questo atteggiamento può essere spiegato come una particolarità del ca-
rattere di Michelangelo, meglio ancora con la sua adesione a principi
neoplatonici, ma occorre scorgere anche come bene esso si leghi alla ten-
denza generale del tempo. E non a caso i due principi delle tombe me-
dicee sembravano esemplari al Lomazzo che, senza preoccuparsi della
plausibilità storica del loro aspetto fisico, li loda perché «si veggono ar-
mati col bastone in mano e con gli habiti tanto accomodati all’anticha
che di piú eccellente per nobiltà e artificio non si può vedere»92.
Se da una parte la nuova organizzazione assolutistica necessitava di
un certo tipo di ritratto, dall’altra le esigenze della religione rinnovata,
o quanto meno riorganizzata portavano a interrogarsi sulla moralità e

88 lomazzo, Trattato cit., p. 433.


89 m. boschini, Carta del Navegar Pittoresco, a cura di A. Pallucchini, Venezia 1967, p. 360.
90 lomazzo, Trattato cit., pp. 433 sg.
91 Il primo libro delle lettere di Niccolò Martelli, Firenze 1546.
92 Cfr. la recensione cit. di gilbert al libro di Pope-Hennessy. J. Pope-Hennessy (La scultura
italiana. Il Cinquecento e il Barocco, vol. II, Milano 1966, p. 337) mette tuttavia in dubbio la defi-
nizione di queste sculture come di «Portraitlose Statue». Il passo del Lomazzo sui monumenti me-
dicei si trova nel Trattato cit., p. 434.

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 45

sulla legittimità stessa di questo genere. Cosí il cardinal Paleotti dedica


al ritratto parecchi capitoli del suo Discorso intorno alle immagini, di-
stinguendone minuziosamente vari tipi, da accettare gli uni, da respin-
gere gli altri. Quanto alle statue dei principi egli non prende posizione,
le considera simboli di governo, «segno e dimostrazione di quella pote-
stà», né piú né meno che lo scettro, il diadema, le vesti,
servendo la statua al prencipe non solo per la sua propria insegna regale, che rap-
presenta la suprema maestà, ma ancor per essecuzione dell’ufficio regale, poiché
produce effetto verso i sudditi... rinnovandoli la memoria dell’autorità regia et ri-
svegliandoli l’affetto di onorare et obedire il suo prencipe.

Per gli altri tipi di ritratti l’essenziale è che essi abbiano fini onesti – ri-
cordo di un congiunto lontano, prova fisionomica per accertare una pa-
rentela, testimonianza dell’aspetto degli sposi promessi in un matrimo-
nio deciso da lontano. Per il resto «non dovriano porsi in ritratto se non
le persone le quali o con bontà morale o con santità cristiana potessero
essere incitamento alla virtú»93. E ancora occorrerà andar cauti e
nei ritratti di persone di grado e dignità dovriano i patroni procurare che fossero
espressi con la gravità e decoro che conviene alla condizione loro e non con cagnuoli
o fiori o ventarole in mano, non con ucelletti o pappagalli o bertuccie appresso, non
con abiti poco lodevoli, massime le persone ecclesiastiche, non in atti di diporto,
non in altre maniere poco degne di persone mature et essemplari94.

Un caso particolare indica ancora una volta la peculiare situazione di


Venezia e l’accentuazione civica e secolare della sua cultura. A partire
dalla metà del Cinquecento le facciate di alcune chiese saranno trattate
come autentici monumenti funerari alla gloria di una persona o di una
famiglia, con stupefacenti ritratti che dominano o inquadrano l’entrata
del tempio. Il primo caso è quello di San Zulian, ricostruito a spese del
medico e scienziato ravennate Tommaso Rangone. Il suo ritratto – ope-
ra del Sansovino – seduto tra tavoli e leggii su cui si ammonticchiano li-
bri e globi terrestri e celesti domina sotto un arco trionfale l’ingresso al-
la chiesa. In una supplica presentata al doge nel 1553 il Rangone, cui
era stato rifiutato il permesso di erigere il proprio monumento a San Ge-
miniano, di fronte al lato di San Marco, in uno dei luoghi piú prestigiosi
di Venezia, si impegna a ricostruir la chiesa a sue spese purché gli ve-

93 c. paleotti, Discorso intorno alle immagini, a cura di P. Barocchi, in Trattati d’arte del Cin-
quecento fra Manierismo e Controriforma, vol. II, Bari 1961, p. 339. Cfr. p. prodi, Ricerca sulla teo-
rica delle arti figurative nella Riforma Cattolica, in «Archivio italiano per la storia della Pietà», iv,
1962, p. 154; e. battisti, voce Ritratto, in Enciclopedia universale dell’arte, cc. 589 sg.
94 Ibid., p. 340.

Storia d’Italia Einaudi


46 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

nisse concesso di «mettere et eternamente stare una sua figura dal vivo
et imagine di bronzo in piedi over sedendo, come par a V. Serenità, fat-
ta a spese sue»95 ... Poco dopo sulla facciata di Santa Maria Formosa
prospiciente il rio, Vincenzo Capello, il vincitore dei turchi, con in ma-
no il bastone di comando domina l’entrata della chiesa. Piú tardi, nel
Seicento inoltrato, sarà il caso di Santa Maria Zobenigo sulla cui fac-
ciata tra l’Onore e la Virtú, la Fama e la Sapienza trionfa Antonio Bar-
baro in uniforme da generale, accompagnato dai suoi quattro fratelli che,
nel piano sottostante, si muovono, dialogano e declamano, mentre sul-
lo zoccolo le piante a rilievo, di varie città e fortezze, Roma, Padova,
Zara, Candia, Corfú, Spalato, alludono alla carriera diplomatica e mili-
tare del capofamiglia96 e, poco lontana, la facciata di San Moisè innal-
za con i suoi busti il prestigio e l’onore della famiglia Fini. Questa for-
mula che tanto successo ha avuto a Venezia da svilupparsi durante un
secolo e mezzo non sarebbe stata evidentemente gradita al Paleotti, ma
altre immagini che traducono una sorta di laicizzazione dell’iconografia
religiosa potrebbero accostarsi a queste. La Madonna dei Tesorieri del
Tintoretto (già nell’Ufficio dei Camerlenghi a Rialto, oggi all’Accade-
mia) è un’Adorazione dei Magi secolarizzata: i Camerlenghi Michele Pi-
sani, Michele Dolfin, Marin Malipiero, le cui effigi sono eternate nella
tela, portano in omaggio alla Vergine sacchetti d’oro, come i loro illu-
stri modelli di cui ripetono gesti e atteggiamenti97.
Quei ritratti che a Venezia erano trionfalmente esibiti sulla facciata
delle chiese, a Roma si nascondono nel buio delle nicchie, all’interno. I
busti di questo periodo testimoniano del mutamento profondo subito
dalle immagini, dall’età aurea del Rinascimento a quella posttridentina.
Sono barbuti volti severi di prelati, di teologi fanatici, di giureconsulti,
di storici (Ciacconio a Santa Maria di Monserrato), sono accigliati con-
dottieri (Camillo Pardo Orsini e Michelangelo Saluzzo all’Aracoeli), let-
terati (Annibal Caro in San Lorenzo in Damaso), dame devote emacia-
te dalla preghiera e dalla malattia (Vittoria Orsini all’Aracoeli). Nell’atrio
di Sant’Antonio dei Portoghesi la sinistra immagine di un vegliardo in
agonia, studiata su una maschera funebre, accoglie il visitatore. È Martín
de Azpilcueta (morto nel 1586); un erudito teologo del tempo e uno dei

95 r. gallo, Contributi su Jacopo Sansovino, in «Saggi e memorie di storia dell’arte», 1, 1957,


pp. « Saggi e memorie di storia dell’arte, I, 1957. pp. 96 sgg.; pope-hennessy, La scultura italiana
cit., II, pp. 418 sg.»96 sgg.; pope-hennessy, La scultura italiana cit., II, pag. 418 sg.
96 m. brunetti, Santa Maria del Giglio volgo Zobenigo nell’arte e nella storia, Venezia 1952; f.
haskell, Patrons and Painters, London 1963, pp. 248 sg.
97 hüttinger, Zur Porträtmalerei cit., p. 468.

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 47

piú allarmanti esempi di questo tipo di ritrattistica, severa, devota, am-


monitrice. L’uso di pietre diverse suscita impressionanti effetti illusio-
nistici, le teste di marmo bianco dei porporati contrastano con le vesti
di porfido, le mozzette nere o rosse fanno risaltare il pallore dei volti98.
Quelli della fine del Cinquecento saranno anni cruciali per la storia del
ritratto italiano. Se alcuni artisti erano divenuti tra i piú celebri rap-
presentanti della ritrattistica internazionale, cosí Federico Zuccari che
è chiamato a Londra, Sofonisba Anguissola o Scipione Pulzone ammi-
rato dal Granvelle, se nella stessa Venezia il ritratto, dopo Veronese,
tende a spersonalizzarsi, pur sempre vive erano le tendenze naturalisti-
che al Nord e la grande lezione del Moroni, non dimenticata, sarà un
punto di partenza per uscire dalle secche del ritratto di corte. E un soc-
corso in questo senso giunge anche dalla precettistica della riforma cat-
tolica: nella polemica del Paleotti verso i ritratti disonesti è presente ed
esplicita la condanna dell’idealizzazione, dell’amplificazione oratoria:
… si dovria curare ancora che la faccia o altra parte del corpo non fosse fatta o piú
bella o piú grave o punto alterata da quella che la natura in quella età gli ha conce-
duto, anzi, se vi fossero anco defetti, o naturali o accidentali, che molto la defor-
massero, né questi s’avriano da tralasciare, se non quando con l’arte si potessero
realmente dissimulare99.

Il pittore insomma deve piuttosto seguire «la regola dell’historico che


narra il fatto come è stato, et non dell’oratore che spesso amplifica et
estenua le cose»100. Queste parole sono state scritte a Bologna, e Bolo-
gna appunto avrà un ruolo importante nella trasformazione in senso quo-
tidiano, immediato del ritratto. Un quadro come la famiglia Tacconi di
Ludovico Carracci è, in questa vicenda, significativo.
Lodovico sembra ancor piú convinto che non occorre alla verità naturale di ciò
che si rappresenta molta pittura... È un fare dimesso, quasi senza stile... È una fa-
miglia di tutti i tempi, umana come in tutti i tempi, vestita come si può alla meglio
in tutti i tempi...101.

A Bologna nascerà la ritrattistica di Annibale Carracci, e appunto nello


studio di Annibale nascerà con la caricatura il «ritratto caricato» e sarà
questo un passo decisivo nella storia del ritratto moderno.
Caricare – precisa il Baldinucci nel Vocabolario Toscano dell’arte del disegno
(1681) – dicesi anche da pittori e scultori un modo tenuto da essi in far ritratti,

98 a. grisebach, Römische Porträtbusten der Gegenreformation, Leipzig 1936.


99 paleotti, Discorso intorno alle immagini, ed. cit., p. 341; prodi, Ricerca cit.
100 Ibid., p. 344.
101 f. arcangeli, Sugli inizi dei Carracci, in «Paragone», n. 79, 1956, pp. 24-25.

Storia d’Italia Einaudi


48 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

quanto si può somiglianti al tutto della persona ritratta; ma per giuoco e talora per
ischerno, aggravando o crescendo i difetti delle parti imitate sproporzionatamente,
talmente che nel tutto appariscono essere essi, e nelle parti sieno variati102.

Ora che una tale invenzione sia giunta proprio a questo punto induce a
pensare che un mutamento profondo fosse intervenuto nel concetto stes-
so di ritratto e nel compito che al ritratto si affidava. Caricare il ritratto
significò una presa di posizione polemica e giocosa contro la «spersona-
lizzazione». Se in questo caso ciò che contava era il privilegiare gli ele-
menti «pubblici» della persona rappresentata, quelli che esprimevano la
sua posizione sociale e rispetto ai quali veniva eventualmente modificato
ogni elemento della presentazione acconciando «ciò che era» alla luce di
ciò che «avrebbe dovuto essere», il ritratto caricato intende all’opposto
privilegiare il privato, il peculiare, l’irripetibile, sforzando «ciò che è» per
vanificare, ridicolizzandola, la pretesa di ciò che «avrebbe dovuto esse-
re». E tutto, dalla tecnica, al tempo dell’esecuzione, alla durata, al tipo di
circolazione sembrano opporre il disegno tracciato alla prima su un foglio,
già ingombro di altri schizzi consimili e destinato a scomparire dopo una
rapidissima circolazione confidenziale, alle sontuose tele, lungamente ela-
borate, concepite per suscitare sentimenti di rispetto, di obbedienza, di
ammirazione. Ma dietro l’invenzione della caricatura v’è anche dell’altro.
Se la sopravvivenza, malgrado le tendenze opposte di isole di natu-
ralismo in Lombardia, l’azione duramente avversata di artisti contro-
corrente come il Barocci103, le esigenze della Riforma cattolica di un lin-
guaggio semplice, diretto e comunicabile, e i richiami del Paleotti sui
compiti del pittore simili a quelli dello storico avevano contribuito a far
uscire il ritratto dalla strada della formalizzazione a oltranza, sarebbe
falso ridurre la problematica del ritratto di questi anni a quella di un re-
cupero naturalistico. I suoi problemi saranno quelli di attingere una ve-
rità piú profonda, e che vada al di là della registrazione del dato natu-
rale, di arrivare a un prodotto che non sia imitazione ma che realizzi le
condizioni di una sua autonomia qualificandosi come creazione. Dirà
piú tardi il Bernini, a proposito del busto di Luigi XIV cui stava lavo-
rando, che egli voleva fare un originale, non una copia104.

102 baldinucci, Vocabolario cit.


103 Cfr. il capitolo dedicato alla ritrattistica nella monografia di h. olsen, Federico Barocci,
Copenaghen 1962.
104 m. de chantelou, Journal du voyage en France du cavalier Bernin, Paris 1930, p. 88. Si può
evidentemente discutere se l’espressione «copia» e «originale» si applichino ai disegni (il busto non
deve essere una copia di questi, ma un originale) o al ritrattato. In ogni caso è presente l’idea
dell’opera d’arte come creazione autonoma.

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 49

Nell’epoca dei Carracci e di Poussin «arte» non significa piú semplicemente


«imitazione della natura». L’artista mira a penetrare nell’intima essenza della realtà,
nell’«idea platonica» (Panofsky 1924). E cosí non è piú la semplice abilità mecca-
nica a contraddistinguere l’artista, bensí l’ispirazione, il dono della visione, che gli
consente di scorgere il principio attivo operante dietro la superficie dell’apparenza.
Espresso in questi termini il compito del ritrattista è quello di rivelare il carattere,
l’essenza dell’uomo nel suo significato eroico; quello del caricaturista ne rappresenta
la controparte naturale – rivelare l’uomo vero dietro la maschera della boria, «ma-
nifestarne» l’essenziale piccolezza e deformità105.

Agli inizi del Seicento, e dopo la battuta d’arresto subita dal ritrat-
to di corte, la situazione sembra aperta. Non esiste uno stile egemoniz-
zante, piuttosto delle alternative. A Roma ci sono Caravaggio e Anni-
bale Carracci. Ambedue hanno lottato, sia pure da punti di vista diffe-
renti, per modificare la situazione, per creare nuove formule che
potessero soppiantare gli sperimentati schemi tardo-manieristici, e que-
ste nuove formule sono arrivati a imporle. Tuttavia Caravaggio è co-
stretto all’esilio per un sanguinoso incidente che è il culmine di una se-
rie di provocazioni, mentre Annibale, una volta terminata la Galleria
Farnese, è ridotto quasi all’inazione da una grave crisi psicologica in cui
conta certamente la coscienza della propria alienazione, crescente da
quando è entrato al servizio del cardinale. Ambedue hanno una profon-
da coscienza della loro solitudine, del loro isolamento. Ne fan fede i lo-
ro ritratti. Caravaggio ritrae i propri lineamenti nella testa tagliata di
Golia brandita da Davide (Villa Borghese), Annibale rappresenta la sua
segregazione alla seconda potenza: si ritrae in un quadro dentro il qua-
dro (Ermitage). In una stanza vuota, vicino a un’erma antica i cui inde-
cisi contorni sfumano nella luce della finestra, l’immagine del pittore
sogguarda da una piccola tela posata su un cavalletto vegliato da un ca-
ne e da un gatto106.
Fiducioso e pieno di speranze Domenichino giunge a Roma giova-
nissimo, a seguito di Annibale. Un autoritratto (Darmstadt) – se di es-
so veramente si tratta – ce lo mostra inquadrato dagli stipiti di una por-
ta contro il paesaggio della Campagna, vestito di nero, il cappello ser-
rato contro il petto mentre la laconicità di una iscrizione non maschera
l’emozione e la fierezza che si scorgono anche nei tratti del volto di ado-
lescente pensoso: «A dí 12 aprile 1603 in Roma». II massimo cronista

105 e. kris, Ricerche psicoanalitiche sull’arte, Torino 1967, p. 186.


106 Sulla ritrattistica del Caravaggio si vedano le indicazioni di r. longhi, Il vero «Maffeo Bar-
berini» del Caravaggio, in «Paragone», n. 165, 1963; per quella di Annibale, d. posner, Annibale
Carracci, London 1971, pp. 20 sgg.

Storia d’Italia Einaudi


50 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

– e che cronaca fece proprio attraverso i ritratti «i quali per la maggior


parte sono di gesso, e similissimi; ed alcuni sono tocchi di lapis rosso,
che pajono coloriti e di carne, tanto sono naturali e vivi»107 – della Ro-
ma di quei tempi fu Ottavio Leoni, il «Cavaliere Padovano» che dise-
gnò con un’attenzione e una oggettività straordinaria «non solo i Som-
mi Pontefici dei suoi tempi, ma i Principi, Cardinali e Signori titolati e
d’ogni altra qualità» e, potremmo aggiungere, gli artisti, i poeti, i lette-
rati della Roma tra Caravaggio e Bernini. La stringente attenzione di
Ottavio Leoni, quel suo voler fare storia – o almeno cronaca – attraverso
il ritratto, ma disegnato e non dipinto, quasi a voler fuggire l’eloquen-
za e attenersi alla precisione del referto, indicano un’altra possibilità che
al ritratto si apriva nella Roma di quegli anni.
Nel frattempo Rubens era venuto in Italia, era stato a Mantova, a
Venezia, a Roma, a Genova soprattutto, aveva rivolto «tutto il suo stu-
dio a Tiziano e a Paolo Veronese» (Bellori)108 e in questo studio si era
forgiato le armi per trasformare il «ritratto internazionale», per far vi-
brare e vivere il pesante costume spagnolo dai pizzi inamidati, per rin-
novare profondamente la presentazione, per far che le figure sembras-
sero «eseguite in un corso di pennello ed inspirate in un fiato» (Bello-
ri). Le sue dame genovesi, Spinola, Doria, Grimaldi, ritratte contro una
terrazza o nel salone del palazzo familiare, i suoi ritratti equestri, sa-
ranno prototipi che avranno un peso per tutto il secolo. Vent’anni do-
po è la volta di Van Dyck «tutto rivolto al colorito di Tiziano e Paolo
Veronese; nel qual fonte si era imbevuto anche il suo maestro». Vene-
zia, Genova, Roma, di nuovo Genova, le stesse tappe, lo stesso itinera-
rio di Rubens, quasi una ricerca del padre. E a Genova sotto la spinta
dei committenti che gli indicavano quei modelli insuperabili, sotto l’emo-
zione della scoperta del Rubens italiano la «conversione» ai modi piú
antichi del maestro109. A Roma Van Dyck aveva lasciato dei capolavo-
ri, il ritratto del cardinale Bentivoglio o quelli della coppia Shirley
«nell’abito persiano, accrescendo con la vaghezza degli abiti peregrini
la bellezza de’ ritratti» (Bellori), a Roma aveva anche mostrato la sua
morgue aristocratica che si esprimeva nelle maniere «signorili piú tosto

107 La frase è del Baglione. Su Ottavio Leoni cfr. r. longhi, Volti della Roma caravaggesca, in
«Paragone», n. 21, 1951; l. grassi, Lineamenti di una storia per il concetto di ritratto, in «Arte an-
tica e moderna», 1961, p. 484; h.-w. kruft, in «Storia dell’arte», 4, 1969, pp. 447 sgg.
108 g. p. bellori, Vite dei pittori, scultori ed architetti moderni, tomo I dell’edizione pisana (1821),
p. 226; j. müller hofstede. Rubens und Tizian: Das Bild Karls V, in «Neue Zürcher Zeitung», n.
266, 1° ottobre 1966, pp. 19 sg.
109 zeri, Un ritratto di Pietro Paolo Rubens a Genova, in «Paragone», n. 67, 1955.

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 51

che di uomo privato», nel «ricco portamento di abito e divise», nelle


singolarità dell’abbigliamento («... oltre di drappi si adornava il capo
con penne, e cintigli, portava collane d’oro attraversate al petto»), nel
rifiuto di aderire al costume dei «bentvueghels», gli uccelli dello stor-
mo come si proclamavano gli artisti fiamminghi e olandesi stabiliti a Ro-
ma, «avezzi in quel tempo a vivere giocondamente insieme». A questa
inclinazione psicologica egli darà libero corso a Genova dove; a diffe-
renza del Rubens,
abbandona spesso la pur variatissima specie umana che richiedeva i suoi impegni
sulla tranquilla falsariga di una cifra – mai pienamente scoperta ma tuttavia pre-
sente – che ruota attorno alla cristallizzazione del «bello e nobile», del «dolce e
grazioso», incorniciato da sfarzosissimi sfoggi di tessuti, sul palcoscenico di aulici
scenari110.

Alla straordinaria ricchezza di proposte della ritrattistica del primo


Seicento non fa riscontro né un approfondimento teorico dei suoi pro-
blemi, né un riconoscimento della sua importanza e della sua novità. Ciò
sembra almeno di poter dedurre e da una lettera di Rubens al Duca di
Mantova e dalla celebre epistola del marchese Vincenzo Giustiniani sui
gradi della pittura. Nella scala in ordine crescente dall’uno al dodici il
ritratto occupa un posto molto basso:
Quarto, saper ritrarre bene le persone particolari, e specialmente le teste che
siano simili, e che poi anco il resto del ritratto, cioè gli abiti, le mani e i piedi, se si
fanno interi, e la postura, siano ben dipinti, e con buona simmetria, il che non rie-
sce ordinariamente, se non a chi è buon pittore111.

Altrimenti sottili le considerazioni di Giulio Mancini, che dopo varie


distinzioni conclude
... potendosi dar un ritratto che somigli, dove non sia arte, e che vi sia arte e che
non assomigli, ricordandomi aver visto un Pittore che faceva i ritratti assomiglian-
tissimi ma senza sorte alcuna d’arte, e senza disegno, et altri sono di buonissim’ar-
te, ma senza similitudine che cosí ha fatto il Caravaggio112.

Non somigliante forse, ma di «buonissima arte» (per dirla col Mancini),


un altro ritratto fatto a Roma, nel 1622, quello che fece del padre il ge-

110 zeri, Un ritratto, cit.


111 v. giustiniani, Lettera sulla pittura a Teodoro Amideni, in bottari ticozzi, Raccolta di let-
tere sulla pittura, scultura ed architettura, vol. VI, Milano 1822, p. 122. Cfr. longhi, Il vero «Maf-
feo Barberini» del Caravaggio cit., p. 5. Sulla «incapacità» teorica a intendere il ritratto vedi le os-
servazioni del longhi, in «Paragone», n. 215, 1968, pp. 59 sgg.
112 Il passo sulla classe dei ritratti tratto dal Cod. Pal. 597 della Biblioteca nazionale di Firen-
ze è stato pubblicato da j. clark, in «Paragone», n. 17, 1951, p. 49. Cfr. con il testo pubblicato in
g. mancini, Considerazioni sulla pittura, a cura di A. Marucchi, Roma 1956, vol. I, p. 136.

Storia d’Italia Einaudi


52 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

niale ticinese Giovanni Serodine, allora ventottenne. Nel suo saggio


sull’artista Roberto Longhi fa parlare il ritrattato: «seduto di traverso...
par che dica...» e giú lamenti sulla mala sorte sua e della sua famiglia per
arrivare a concludere: «E sarà poi questo il modo di farmi il ritratto?»
Sul filo di questa interrogazione di comodo, suggerita dall’aria tra so-
spettosa e crucciata del vecchio, corre la risposta dello storico:
Se mai se lo chiese il vecchio Cristoforo aveva qualche scusante, perché l’ope-
ra davvero avanzava di troppo i suoi tempi... un prodigio di verità schietta, ma vi-
sta rapidamente e a distanza; un’impaginazione anche piú moderna che nei ritratti
piú spinti di Frans Hals o del Rembrandt... e, dappertutto, un fare arsiccio, crepi-
tante, rabbuffato, «senza disegno e con manco decoro» per buona sorte della pit-
tura che spira dove vuole e che, nelle mani di Giovanni Serodine, anno millesei-
centoventidue, stava alla punta estrema dell’arte di tutta Europa113.

Su questa ricchezza e varietà di alternative ancora aperte a Roma agli


inizi del terzo decennio del secolo si impose poi, fino a sovrastarle e a
spegnerle, il busto barocco del Bernini. I suoi ritratti godettero di un ta-
le prestigio ed esercitarono una tale influenza che il ruolo di tecnica-pi-
lota, nella ritrattistica italiana del Seicento, passò dalla pittura alla scul-
tura. Attraverso di essi si affermò un nuovo tipo di rappresentazione,
un nuovo modo di concepire il ritratto, un nuovo linguaggio. D’altra
parte il diario che il signore di Chantelou ha tenuto nel 1665 durante il
soggiorno del Bernini in Francia permette di avere, sulla creazione di
una sua celebre opera, il busto di Luigi XIV, una tale messe di infor-
mazioni (dal modo e dai tempi dell’esecuzione alla concezione del ri-
tratto, al rapporto tra idea generale e fisionomia particolare del ritrat-
tato) da costituire un dossier unico nel suo genere. Sappiamo di que-
st’opera, delle intenzioni dell’artista, del modo di realizzarla, molto di
piú di quanto non si sappia di qualsivoglia altro ritratto nella storia
dell’arte italiana114. Il nuovo linguaggio del Bernini non nasce da un mo-
mento all’altro, si impone piuttosto per fasi successive. I primi ritratti
(busto funerario del vescovo Santoni a Santa Prassede, di Giovanni Vi-
gevano a Santa Maria sopra Minerva, busto di Paolo V alla Borghese)
discendono, nella «deferente, ma acuta fedeltà ritrattistica», dalla gra-
fica di Ottavio Leoni115. Si giunge poi a un modo piú chiaroscurale di
lavorare il marmo per ottenere degli effetti piú vibranti e pittorici. Tro-
vare i mezzi piú atti a trasformare la materia, ottenendo con soluzioni

113 r. longhi, Giovanni Serodine, Firenze 1951, p. 20.


114 r. wittkower, Bernini’s bust of Louis XIV, «Charlton Lectures on Art», Oxford 1951.
115 longhi, Volti della Roma caravaggesca cit., p. 37.

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 53

plastiche effetti cromatici era problema centrale per il Bernini. Ricorda


lo Chantelou come egli ritornasse sovente sull’aneddoto dell’«uomo
bianco»:
Se qualcuno si imbiancasse i capelli, la barba e i sopraccigli, e, ammesso che ciò
sia possibile, la pupille degli occhi e le labbra e si presentasse in questo stato a co-
loro che lo vedono tutti i giorni, questi stessi stenterebbero a riconoscerlo, e a pro-
va di ciò aggiungeva: quando una persona sviene il pallore che si diffonde sul volto
è sufficiente perché quasi non lo si riconosca piú e si dica non parea piú desso. Di
conseguenza è molto difficile far rassomigliare un ritratto di marmo che è tutto d’un
colore... e qualche volta in un ritratto di marmo bisogna, per bene imitare il natu-
rale fare ciò che non è naturale.

Cosí
per rappresentare il livido che certuni hanno intorno agli occhi bisogna scavare nel
marmo là dove dovrebbe trovarsi il livido, per rappresentare l’effetto di questo co-
lore e supplire in questo modo al difetto della scultura cui non è in potere di dare
colore alle cose116.

In Bernini c’è dunque la volontà di arrivare a una scultura che abbia le


stesse capacità espressive e illusionistiche della pittura, il che comporta
una ricerca di equivalenze, di mezzi atti a produrre questi effetti. C’è
in lui una volontà di personalizzare il ritratto in un modo che vada al di
là della semplice caratterizzazione dei lineamenti, che attinga il livello
dell’espressione e del movimento, c’è, in questo momento, il passaggio
da una contenuta interiorizzazione a una forma di brillante estrover-
sione. Si apre cosí la serie dei ritratti piú personali, piú immediati e di-
rettamente colloquiali (busti di Urbano VIII, del cardinal Borghese, di
Costanza Bonarelli, di Thomas Baker, di Paolo Giordano Orsini). Fa-
cilità, estroversione, mobilità, tutto è messo in opera dal Bernini per
creare un ritratto fluido, accostante, gentilmente mondano, profonda-
mente espressivo, un ritratto in movimento dove si vogliono cogliere le
espressioni piú abituali, colte nel momento di volgere la testa, di getta-
re indietro i capelli, di socchiudere la bocca. Sono sfruttati in questo
senso i mezzi superlativamente individualizzanti della caricatura117. In
questo periodo il Bernini lavora in esclusiva per i Barberini e il loro grup-
po. Il cardinal Borghese, Richelieu e Carlo I d’Inghilterra dovranno mol-

116 chantelou, Journal du voyage cit., p. 26.


117 Cfr. l’interessante definizione della caricatura data da Paolo Giordano Orsini nelle sue sa-
tire in terza rima sul Parallelo fra la città e la villa. Il brano opportunamente riesumato nella mo-
nografia su Bernini (1967) di Maurizio e Marcello Fagiolo dell’Arco (p. 203) mostra come l’Orsi-
ni e il Bernini abbiano insieme praticato questo genere e getta nuova luce sull’aspetto tutto parti-
colare del busto di Paolo Giordano Orsini.

Storia d’Italia Einaudi


54 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

tiplicare suppliche e concessioni per avere dal papa l’autorizzazione a


essere ritrattati e da una interdizione papale sarà interrotto il lavoro al
busto di John Baker. C’è da chiedersi quale ruolo abbiano avuto l’atti-
vismo, la vitalità aggressiva, le speranze e le attese, l’immagine che di
se stesso voleva dare questo gruppo di committenti, questi businessmen
toscani proiettati al governo della cristianità, nella creazione del nuovo
tipo di ritratto. Alla morte di Urbano, quando il partito spagnolo avrà
trionfato e sarà stato eletto un papa Pamphili, quando le grandi fami-
glie della tradizionale aristocrazia romana avranno rialzato la testa, sarà
il momento in cui prevarrà la severa e classica ritrattistica dell’Algardi.
Questi è lodato altamente dal classicista Bellori, che ne scrive la vita e
lo considera, insieme a François Duquesnoy, come colui «nelle cui ma-
ni fu restituito lo spirito ai marmi», volendolo opporre al Bernini che
procura di ignorare. Bolognese di origine e di educazione Alessandro Al-
gardi persegue un ideale ritrattistico di composto realismo nobilitato da
frequenti richiami classici. La sua problematica deve molto a quella dei
Carracci la cui accademia aveva frequentato. Nobili e dignitosi i suoi
personaggi sono piú riflessivi, piú sobri, meno estroversi, mobili, diret-
ti ed eloquenti di quelli del Bernini. Nella preferenza che gli accorda pa-
pa Pamphíli c’è da una parte la volontà di rompere con l’entourage dei
Barberini, scegliendo degli uomini nuovi o, come nel caso del Borromi-
ni, degli oppositori di vecchia data al precedente establishement. E c’è
anche probabilmente una preferenza estetica per una forma di presen-
tazione piú moderata che rispetti la gravità e il contegno. Se il Bellori
comprenderà in questo senso l’opera dell’Algardi e la sfrutterà stru-
mentalmente nell’intelaiatura delle sue Vite per combattere l’odiato ba-
rocco, non è certo che i contemporanei abbiano sentito profondamente
questa differenza. Difatti
nel 1650 il duca di Modena volendo due busti, uno suo e uno del cardinale Rinal-
do d’Este suo fratello, propose che il Bernini e l’Algardi scolpissero un busto cia-
scuno «dichiarandomi di avere il gusto indifferente che il Bernini faccia la mia sta-
tua o quella di Vostra Eminenza» e aggiunse che se il prezzo del Bernini era esage-
ratamente alto avrebbe affidato ambedue i busti all’Algardi118.

D’altra parte l’ostracismo cui fu soggetto il Bernini da parte di papa


Pamphili durò poco, in breve piovvero di nuovo le commissioni papali.
Tuttavia i tempi erano cambiati, e nei capolavori degli ultimi trent’an-
ni il Bernini non ricercherà piú l’insouciance, l’allegria, la felice legge-
rezza del tempo di Urbano VIII, di Paolo Giordano Orsini, del cardi-

118 pope-hennessy, La scultura italiana cit., I, p. 124.

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 55

nal Scipione Borghese, piuttosto una maggior serietà, una coscienza piú
acuta del prestigio e delle responsabilità sociali (busti di Luigi XIV e di
Francesco d’Este), e anche una piú travagliata riflessione morale (busto
di Gabriele Fonseca). Per tutta la vita d’altronde conserverà il ricordo
del Barberini. È una delle prime cose che nota lo Chantelou: «A ogni
occasione è da lui citato il papa Urbano VIII da cui fin dalla piú tenera
giovinezza è stato amato e considerato»119. Quando lavora al busto di
Luigi XIV quegli anni sono ormai lontani. Ora egli fa di tutto per mo-
strare di condividere il gusto classicista di corte: ostenta disprezzo per
il Caravaggio aderendo alla condanna che lo Chantelou esprime sulla
Zingara («Povero quadro senza spirito né invenzione»), ammira il Re-
ni («Questo quadro non è bello... è bellissimo; io vorrei non lo haver vi-
sto; sono quadri di paradiso» – a proposito di una Maddalena), si pro-
sterna davanti a Poussin, il «grande favoleggiatore» («Voi mi avete da-
to oggi un grandissimo disgusto, mostrandomi la virtú d’un uomo che
mi fa conoscere che non so niente» – allo Chantelou che gli mostra i Sa-
cramenti). Cosí accomoda il ritratto del re secondo lo schema di un Ales-
sandro, («A parte la rassomiglianza in questo tipo di ritratto occorre
mettere ciò che deve trovarsi nella testa di un eroe»), inventa un piedi-
stallo – un globo terrestre tra trofei d’armi – e una divisa – «piccola ba-
se» – per fare intendere come il mondo intero sia limitato di fronte al-
la grandezza del re. Ma nello stesso tempo rimane l’occhio acutissimo
di un tempo, rivela straordinarie capacità di osservazione che gli sono
necessarie per arrivare a individualizzare inimitabilmente il ritratto pur
accentuandone l’aspetto traslato e metaforico, vuole «insupparsi»
dell’immagine del re e nell’arguta botta e risposta col sovrano evoca il
delicato rapporto tra realtà, osservazione e ricreazione («Sto rubando»,
«Sí ma è per restituire», «Per restituire meno del rubato») con termini
che fanno pensare ai ritratti fatti «senza notizia dei padroni» nella ca-
sistica del Paleotti o ai «ritratti rubati» di cui parla il Malvasia120.
Cosí fino all’ultimo Bernini domina il secolo e i pur bellissimi ritrat-
ti della fronda berniniana (Finelli, Bolgi, ecc.) non avevano proposto al-
ternative d’avvenire. L’unica, forse, sarebbe stata quella del grande Du-
quesnoy, ma si è spenta senza seguito. E del resto quale alternativa? Co-
me Tiziano, e sia pure in un contesto ben diverso e in un’Italia diminuita,
Bernini domina con le sue invenzioni, le sue impennate, i suoi muta-
menti di stile, la sua capacità di seguire o addirittura di anticipare le

119 chantelou, Journal du voyage cit., p. 25.


120 Cfr. grassi, Lineamenti per una storia cit. p. 486.

Storia d’Italia Einaudi


56 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

svolte e le inversioni di tendenza, l’intero percorso del secolo. Egli stes-


so propone le proprie alternative. Quale opposizione sarebbe stata pos-
sibile? Non certo un classicismo unidirezionale e finalmente meno ric-
co e problematico. Né era possibile rivivere la crisi profonda, e allo stes-
so tempo le grandi speranze, degli inizi del secolo, né, alla fine del
Seicento, la confidente fiducia del barocco intorno al 1630. Il limite
massimo veniva dalla situazione italiana. Né uno Hals, né un Rem-
brandt, né un Velàzquez potevano trovarvi posto, mancandovi sia la for-
za irrompente di una nuova borghesia proiettata – almeno nelle inten-
zioni presto deluse – verso l’avvenire, sia una meditazione radicale sul-
la condizione umana, sia il sentimento acuto del declino di una
responsabilità, di una potenza, di un dominio, mai prima visti. Cosí il
ritratto secentesco italiano guidato ed egemonizzato dal Bernini si con-
clude nel segno della devozione, nello sguardo tutto rivolto all’al di là,
fervente ma fiducioso, di Gabriele Fonseca, nella intensa ma rassicu-
rante preghiera di Alessandro VII. Dopo l’austerità indagatrice e intro-
spettiva della Controriforma, dopo il breve tempo dell’ottimismo trion-
falista del barocco, prevale una tranquilla rassegnazione, una preghiera
perpetua, opportunamente esibita come pubblico spettacolo sotto la re-
gia efficiente e discreta di Gian Paolo Oliva, generale dei gesuiti, con-
fessore del papa, intimo del Bernini.

4. Dal Settecento all’avanguardia.

In termini di ritratto il Settecento significa in Europa Hogarth, Rey-


nolds e Gainsborough, Houdon e La Tour, Liotard e Goya. Il «genere»
attinge in questo periodo punte mai prima raggiunte. In Italia il secolo
è da poco iniziato quando giunge l’eco dell’affermazione internaziona-
le, davvero trionfale, di Rosalba Carriera. Dopo il viaggio del Bernini
nessun artista straniero era stato accolto a Parigi con ammirazione e ri-
spetto maggiori. Il successo della sua tecnica, il pastello, può dar da pen-
sare. Che il Seicento abbia preferito per il ritratto il marmo e la pietra
e il Settecento il tocco leggero e prezioso, il tenue segno del pastello ha
evidentemente un significato. Questo medium sembra perfettamente
rendere una certa concezione della pittura e si presta con straordinaria
leggerezza a effetti particolari. Se si vuole spogliare l’immagine dell’uo-
mo da tutto un ingombrante bagaglio storico, dalla pompa e dalla gra-
vità del costume, da tutta la panoplia allegorica, dal codice rigido dei ge-
sti e degli atteggiamenti, per ritrovarla cangiante, mutevole, diretta, il
pastello, libero da una gravosa tradizione, vi si presta a meraviglia. Co-

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 57

sí i ritratti di Rosalba trionfano, i principi tedeschi fanno a gara per pro-


curarseli e il re di Polonia ne riunirà una ricca collezione, Crozat la in-
vita a Parigi, le fa conoscere Watteau – che mostra di apprezzare i suoi
pastelli e di cui dipinge il ritratto –, le apre le porte della corte e quelle
dell’Académie. Il suo «morceau de reception» entusiasma Mariette, che
per tutta la vita le consacrerà una devota ammirazione, l’imperatrice la
chiama a Vienna, gli stranieri di passaggio a Venezia cercano di farsi ri-
trarre da lei, cosí le piú celebri stelle dell’opera lirica. A Venezia tutta-
via lo stile di Rosalba non si afferma esclusivamente, ma convive con il
convenzionale formulario dei ritratti di apparato, dove il costume ha
grande importanza. Sono dogi, procuratori di San Marco, senatori,
provveditori generali, capitani di mare, savi di Consiglio, di Terrafer-
ma, agli ordini, cancellieri, avogadori, avvolti in toghe di damasco, in
robe di seta, di panno, con o senza stole, di color dorato, carminio, ne-
ro, azzurro. Ogni foggia d’abito, ogni stoffa, ogni colore ha un suo si-
gnificato, si va dalla massima pompa alla maggiore semplicità. Apposi-
te raccolte, come quella del Grevembroech, ne regolano la casistica. Co-
sí sotto la raffigurazione del Doge in corruccio corre l’iscrizione: «Al caso
di esprimere duolo il doge di Venezia porta un mantello di scarlato
senz’altro significante segno poiché nulla meno si conviene al capo del-
la repubblica quando esce dalle stanze». Esistono specialisti «nel di-
pingere le Effigi e le Clamidi di gravissimi soggetti: Dogi, Procuratori
e Generali sovra vaste tele»121, e tra questi «pittori di clamidi» è un tal
Fortunato Pasquette, autore di un ritratto di parata a suo modo esem-
plare, quello di Gerolamo Maria Balbi nella veste di procuratore gene-
rale in Dalmazia, tutto giocato su una presentazione alla francese in
un’ultima trasformazione dello «State portrait». Famiglie intere perpe-
tuavano il mestiere di ritrattista ufficiale – è il caso dei due Nazzari, di
origine bergamasca, fornitori di padre in figlio di ritratti in «miniature,
come pure in pastelli ed anche a olio in grande ed in piccolo, e tutto di
buon gusto»122 e spesso sulle formule consacrate di statisti, burocrati e
aristocratici paludati fanno spicco le piú libere tele dipinte in modo infor-
male per la clientela straniera (come nel Lord Boyne con alcuni amici di
Bartolomeo Nazzari a Castle Howard)123. Non tutti però la pensavano
cosí e v’era chi fulminava:

121 La definizione, di Pietro Gradenigo, è citata da t. pignatti, I ritratti settecenteschi della


Querini, in «Bollettino d’Arte», 1950, p. 218. Sul ritratto del Balbi cfr. id., Il Museo Correr, Di-
pinti dal xvii al xviii secolo, Venezia 1960, p. 277.
122 Lettera di B. Nazzari a Giacomo Carrara in bottari-ticozzi, Raccolta cit., IV, p. 111.
123 levey, Painting in xviii Century Venice, London 1959, pp. 148 sgg.

Storia d’Italia Einaudi


58 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

Adesso nel comporre s’introducono i modi inglesi e francesi, strani e barbari, e


cosí nel fabbricare e nel dipignere; e se il Bonarroti fosse ora attorno a dipignere il
suo Giudizio, gli converrebbe fare il suo Cristo Giudicante un qualche Milord; e i
santi e le sante, madame e madamoselle; e sarebbe un belvedere madama Giuditta
col teschio in mano di Mossú il maresciallo Oloferno. Povera Italia124!

Del resto il piú grande ritrattista italiano del secolo, Fra Galgario,
non ha bisogno di una clientela straniera per sentirsi incoraggiato a tra-
scurare le formule consuete. Bergamasco anche lui, come i Nazzari – era
stato maestro di Bartolomeo –, ma d’altra levatura, il suo genio matura
lentamente in decenni di studio e di apprendistato, ma si rivela poi con
uno scatto che lo porta in testa alla ritrattistica europea di quegli anni.
«Con certo impasto di colori attivo | esprime in quel disegno che colo-
ra | l’effetto naturale e sensitivo», dirà di lui un contemporaneo125, acu-
tamente cogliendo gli aspetti piú salienti della sua pittura. Che non è
pittura di corte panegirica e adulatrice, piuttosto, e con un certo anti-
cipo, pittura per eccellenza del secolo dei lumi, con quello che ciò com-
porta di probità, di serietà, di impegno morale. Impegno che si manife-
sta a partire dall’esecuzione, dalla preparazione stessa della materia.
Quelle lacche che renderanno celebre il Ghislandi le prepara lui stesso
e gli sono invidiate da tutti. Sebastiano Ricci, all’apice della sua cele-
brità internazionale, cerca di procurarsele con l’aiuto di un suo altolo-
cato corrispondente bergamasco:
bramerei che ella si pigliasse l’incomodo di pregare il Padre Ghislandi, Paolotto, co-
sí singolare ne’ ritratti, che dimora in Bergamo, ed è molto mio amico; vorrei, dico
che V. S. illustriss. lo pregasse da parte mia a volermi dare cinque o sei once, o, se
potesse, ancor una libbra di quella lacca fina che il detto Padre sa comporre; ma la
vorrei avere della piú bella che mai sapesse fare. So che ne fa per adoperarle lui me-
desimo di un’estrema bellezza; se di quella ancora ne potessi avere almeno un paio
d’once, sarebbe veramente il mio caso. Se mai colla interposizione di V. S. illu-
strissima potessi avere questa lacca, la supplico a volergliela pagare tutto quello che
chiederà il virtuoso Padre126.

Tra gli exploits tecnici e la nuova obiettività nei confronti del ritratta-
to non c’è soluzione di continuità, sono due aspetti concomitanti di una
poetica che si esprime nei fatti piú che nelle parole e che indica un ri-

124 Lettera di G. P. Zannotti a monsignor G. Bottari, in bottari-ticozzi, Raccolta cit., IV,


p. 221.
125 g. b. angelini, Descrizione di Bergamo in terza rima (1720) (manoscritto alla Biblioteca ci-
vica di Bergamo, carta 20), tra l’altro citata nel catalogo I pittori della realtà in Lombardia, Milano
1953 p. 55, e in g. testori, Fra Galgario, Torino 1970, p. 50.
126 Lettera di Sebastiano Ricci al signor conte Gian Giacomo Tassis, in bottari-ticozzi, Rac-
colta cit., III, p. 384.

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 59

getto del primato dell’idea sull’esecuzione, una concezione moderna del-


la pittura che esiste solo nel suo farsi. Aristocratici, grandi e piccoli ric-
chi e spiantati, uomini d’arme dalla sinistra reputazione («quel scelera-
to del capitano Antonio Brinzago di Lodi»127) dame, dottori, artigiani,
prelati di diversa origine («dal parroco acceso di estrazione contadine-
sca, al fanatico predicatore di Collegiata, al vecchio religioso dal viso
solcato da una clemenza degna del Cottolengo, al monsignore invece
mondano, elegante, strizzato come una dama»128), compongono la gal-
leria del Ghislandi. Tra questi il severo Bruntino, libraio, antiquario,
collezionista e mercante di quadri corrispondente di pittori, e veramente
«mordu» per la pittura («in Egestate natus, Picturae ac Librorum Ama-
tor», lo definisce l’iscrizione sul quadro) è descritto con singolare viva-
cità in una lettera del conte Giacomo Carrara:
... fu un uomo da nulla, ma oltremodo maraviglioso. Egli era nato villano e perciò
ignorante, talché sapea poco altro che leggere, e a mala pena; tuttavia innamorato
de’ buoni libri, e de’ bei quadri, come un dotto e ricco letterato e un gran signore.
Sicché quello che sarebbe stata magnificenza in due personaggi cosí fatti in lui era
follia. Impiegò la sua lunga età in andare in traccia di pitture eccellenti, delle stam-
pe piú belle, e dei buoni libri e in ciò spendeva tutto il suo denaro; onde sempre vis-
se meschinamente tanto di vitto che di vestito e in un alloggio tapino. Né bastan-
do a supplire alle sue indigenze un cotanto stringato trattamento, era talora neces-
sitato a rivendere quello che aveva comperato; nel che aveva l’avvertenza di privarsi
sempre de’ quadri meno rari e meno eccellenti. Visse peraltro contentissimo, ben-
ché cosí disagiato, ritenendo fino alla sua morte una raccolta non dispregevole di li-
bri e di quadri, di cui con la lunga pratica aveva acquistata una tal quale cognizio-
ne aggiustata. Di esso ho un superbo ritratto di mano del P. Ghislandi, paolotto,
con libri e gessi e simili arnesi che esprimono il suo genio veramente singolare e (ri-
spetto al suo stato) si può dire stravagante129.

Quest’uomo singolare si comportò dunque in maniera «stravagante» «ri-


spetto al suo stato», raccogliere libri, stampe e quadri era affare di gen-
tiluomini; ma, nonostante il suo «stato», e si vorrebbe dire proprio a cau-
sa di questo, il Ghislandi gli dedicò uno dei suoi ritratti piú toccanti.
Senza riguardo allo «stato» e anzi con una profonda propensione ver-
so soggetti popolari, operò nella campagna bresciana – e quindi sempre
nei domini veneziani di terraferma – Jacopo Ceruti. Egli è celebre e lo
è divenuto da non molto – per i suoi quadroni con contadini, lavandaie,

127 Testamento del marchese Pier Antonio Rota (1740) citato nel catalogo I pittori della realtà
cit., p. 46.
128 Prefazione di r. longhi al catalogo I pittori della realtà cit., p. xv.
129 Lettera di Giacomo Carrara a monsignor Bottari, in bottari-ticozzi, Raccolta cit., V, pp.
358 sgg.

Storia d’Italia Einaudi


60 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

mendicanti, «portaroli», sbirri, soldati fatti per le gallerie patrizie bre-


sciane, o per decorazione delle ville. Fu anche ritrattista, di gentiluo-
mini di campagna, studiosi, prelati, giovinette. I suoi grandi dipinti ple-
bei non sembrano tradire alcun intento satirico, apparentemente egli
non attribuí ai suoi contadini «il privilegio di essere i buffoni di corte
della civiltà cortigiana»130, ma nella scelta di questi soggetti esistono, è
chiaro, intenti traslati, metaforici. Tuttavia la riduzione – pur proposta
– a «tipi», e in questo caso veramente a «topoi», dei suoi personaggi,
non arriva del tutto a convincere. E con questo non si nega l’ascenden-
za di un repertorio prestabilito di formule, schemi e situazioni, ma si
vuole piuttosto affermare che al momento della sua realizzazione, nel
passaggio dallo schema generale alla versione particolare, avvenga qual-
cosa. E questo qualcosa è l’individualizzazione dei personaggi, il tra-
sformare una casistica generale in una serie di problemi storici partico-
lari. Dovrebbe del resto far riflettere il fatto che non vi siano mutamenti
di registro tra i quadri «di genere» e i «ritratti» del Ceruti: la materia
è la stessa, sobria, scarna, povera, affine la presentazione. Ritratti gli
uni e gli altri, di uomini «comuni e infelici» e di altri uomini, piú for-
tunati. La liberazione dell’aneddoto allusivo avviene appunto attraver-
so la riconduzione di ognuno, quale che sia il suo «stato», a una comu-
ne condizione. Resta il fatto che i committenti di queste opere erano dei
patrizi bresciani e che queste tele non erano certo stendardi per bande
di contadini in rivolta. Come interpretarle allora? «Exempla Virtutis»
come i grandi cartelloni del Greuze che esaltavano la solida moralità del-
le classi subalterne e che erano subito acquistati dal «Surintendant aux
bâtiments Royaux» Marigny o da Caterina di Russia, e che in questo
caso avrebbero vantato una condizione dolorosa sopportata con ferma
rassegnazione, o piuttosto alibi per una classe dominante che stava sce-
gliendo la via delle riforme? E del resto le due alternative si riducono a
una; l’exemplum è un alibi.
Altri artisti, i piú geniali, i piú moderni, i piú europei avvertirono,
nell’Italia dell’età dei lumi le esigenze e i problemi che avevano mosso
Fra Galgario e il Ceruti. A Napoli fu Gaspare Traversi, autore di scene
che partendo dal «genere» imboccano la strada della «tranche de vie»,
in virtú, come nel caso del Ceruti, della coscienza di un preciso momento
storico e ciò non solo e non tanto attraverso un generico repertorio di
situazioni, quanto grazie a una caratterizzazione dei volti che esprimo-

130 Cfr. a. warburg, Contadini al lavoro in arazzi di Borgogna (1907), ora in id., La rinascita del
paganesimo antico cit., p. 210.

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 61

no con silenziosa profondità la gamma delle tendenze, delle inclinazio-


ni, degli umori, e direi anche delle idee e delle certezze di uomini che
appartengono a un certo tempo, a una certa cultura, a una certa società.
Un quadro del Traversi, oggi alle Gallerie dell’Accademia a Venezia,
rappresenta un giovane ferito che, confortato da una fanciulla, alza la
camicia per far esaminare al medico la lesione. Tema di genere se ve ne
è uno, quello della rissa, che si presta alle piú sgradevoli caricature. Ma
qui il centro dell’attenzione non è l’aneddoto, piuttosto il volto del me-
dico che esamina la ferita, un volto intento, grave, preoccupato.
E ci pare – è Roberto Longhi che parla – che il «sembiante» dell’ignoto chi-
rurgo napoletano prenda posto fra quei ricordi dell’uomo che ci dicono qualche co-
sa di sicuro, di veracemente attuale sui sentimenti possibili ad un uomo in un seco-
lo; senza cedere troppo a quei sentimenti medesimi; cosí come ci dicono l’Erasmo
dell’Holbein o il Voltaire dello Houdon131.

In forme, in modi, in tempi diversi i ritratti di Fra Galgario, di Ce-


ruti, di Traversi, sembrano proporre analoghi problemi, affermare le me-
desime esigenze. Accadeva che l’artista andasse al di là delle intenzioni
e delle strumentalizzazioni dei committenti. Nei due ultimi casi non vi
è, al limite, piú differenza tra ritratto e genere, e ciò è significativo. Di
fronte all’impegno moralistico cadono le separazioni tra «storia», «ge-
nere», «ritratto». Il Caravaggio l’aveva avvertito molto tempo addie-
tro, quando aveva affermato che per lui «tanta manifattura gli era a fa-
re un quadro buono di fiori, come di figure»132. Il suo punto di vista si
fondava su posizioni in un certo modo immanenti alla pittura. I generi
erano vanificati in nome dell’impegno creativo, dell’attività pittorica
appunto, ma la sua posizione geniale e rivoluzionaria era rimasta isola-
ta dato il corso che aveva preso la storia. Ora, nel Settecento, il pro-
blema del valore morale delle immagini è oggetto di appassionate di-
scussioni. Potremo trovare punti di partenza diversi: per gli uni, come
Fra Galgario, la moralità era innanzitutto nella fattura, per gli altri piut-
tosto nella scelta e nella presentazione dei soggetti. Moralità significa
rappresentazione critica della realtà contemporanea, proposta di modelli
di comportamento. Rousseau, nella seconda parte del suo Discorso
sull’utilità delle scienze e delle arti per l’Accademia di Digione (1750)
adotterà una posizione radicale:

131 r. longhi, Di Gaspare Traversi, in «Vita Artistica», 1927, pp. 145 sgg., ora in Opere com-
plete, vol. II, tomo I: Saggi e ricerche 1925-28, pp. 189 sgg.
132 Lettera del marchese Giustiniani a Teodoro Amideno in bottari-ticozzi, Raccolta cit.,
VI, p. 122.

Storia d’Italia Einaudi


62 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

I nostri parchi sono ornati di statue, le nostre gallerie di quadri. Che mai pen-
sereste che rappresentino questi capolavori dell’arte esposti alla pubblica ammira-
zione? I difensori della patria? O quegli uomini ancor piú grandi che l’hanno ar-
ricchita con le loro virtú? No. Sono le immagini di tutti i traviamenti del cuore e
della ragione scelti accuratamente nella mitologia antica e presentati di buon’ora ai
nostri figli perché possano avere sotto gli occhi dei modelli di cattive azioni ancor
prima di aver imparato a leggere133.

In modo piú o meno esplicito il problema è sentito da Diderot e da


Hogarth. L’uno, pur non volendo contestare il primato della pittura di
storia, insorge contro una concezione che ne sia troppo limitativa. È sto-
ria una pittura che presenti esempi morali anche in un contesto attuale
e quotidiano («... e io sostengo che il Padre che fa la lettura alla sua fa-
miglia, il Figlio ingrato o il Fidanzamento di Greuze... sono quadri di sto-
ria allo stesso titolo che i Sacramenti di Poussin, la Famiglia di Dario di
Lebrun o la Susanna di Van Loo»134). Il secondo accetta volentieri e f a
suo l’appellativo di «Comic-History painter» che gli attribuisce Fiel-
ding, e il cui compito è di «esprimere su tela i sentimenti degli uomini»
(«Si è pensato che era un grande elogio dire del pittore che le sue figu-
re sembravano respirare, ma certo è ben maggiore e nobile elogio dire
che esse sembrano pensare»135). Ora in Italia ritratti come quelli di Fra
Galgario, Ceruti, Traversi, hanno un piú stretto rapporto, proprio gra-
zie al tipo di presentazione, alla verità che ricercano e a cui intendono
conferire valore morale (in quanto appunto non è adulazione) con certe
scene di «genere», dagli intenti moralizzanti piuttosto che con altri ri-
tratti, i quali solo in apparenza appartengono alla stessa categoria, ma
che in realtà se ne distinguono profondamente. Un ritratto di Tiepolo,
sia esso un capolavoro di genere «storico» come l’Antonio Riccobono di
Rovigo, o di carattere «attuale», come il Procuratore Querini della rac-
colta Stampalia, ha in realtà maggior rapporto con la tradizionale pittu-
ra di storia di quanto non l’abbia con i ritratti del Ghislandi, del Ceru-
ti, del Traversi. E potremo chiamare questi artisti «pittori della storia»
– o meglio – della «vita contemporanea»: intendendo ciò nel senso di
quei «Comic-History painters» di cui parla appunto Fielding. Se in In-
ghilterra il loro equivalente letterario sono i romanzi di Richardson (im-
portanti per Greuze) o meglio ancora dello stesso Fielding, in Italia so-
no le commedie di Goldoni. E il ritrattista di Goldoni, Alessandro Lon-

133 j.-j. rousseau, (Œuvres complètes, a cura di B. Gagnebin e M. Raymond, Dijon 1964, vol.
III, p. 25.
134 diderot, Essai sur la peinture, in Oeuvres, a cura di A. Billy, Bruges 1962, p. 115.
135 h. fielding, prefazione a Joseph Andrews (1742).

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 63

ghi, appartiene alla loro schiera136. I suoi ritratti piú belli sono proprio
quelli in cui eterna su tela gli esempi delle nuove virtú. Goldoni appun-
to, il grande teorico del razionalismo architettonico, Carlo Lodoli, «for-
se il Socrate Architetto», la cui immagine incisa era circondata da un
fregio su cui correva la frase: «Devonsi unir e fabrica e ragione | e sia
funzion la rappresentazione»137, o ancora Bartolomeo Ferracina, inge-
gnere della repubblica, «Novus Archimedes». Non è tuttavia privo di
significato il fatto che non esista nel ritratto italiano del Settecento una
critica cosí radicale nei confronti dei massimi rappresentanti del grup-
po sociale egemone, quale si avverte, per esempio, nei ritratti di Goya.
Del resto, e a parte qualche grande eccezione, la storia del ritratto ita-
liano, a partire almeno dalla invenzione dello «state portrait» che, non
per coincidenza, avvenne proprio qui, è piuttosto quella di una giustifi-
cazione e di una idealizzazione del presente – un presente che può ave-
re molte facce date le diversità e i contrasti tra i diversi gruppi sociali –
piuttosto che prefigurazione critica e profezia d’avvenire.
Altre vie avevano permesso ad altri artisti di uscire dalle norme e
dai limiti del ritratto di parata barocco. Il lucchese Pompeo Batoni
seppe creare per esempio a Roma un ritratto che si distaccava dagli
schemi comunemente usati. La formula che verso gli anni cinquanta
egli mise a punto rispondeva a un’esigenza che era stata teoricamente
posta mezzo secolo addietro e che aveva avuto conseguenze quanto
mai importanti. L’identificazione del gusto e del senso morale, dell’ar-
te e della moralità avanzata dallo Shaftesbury aveva dato uno stimolo
capitale all’apprendimento del bello, considerato come un fattore fon-
damentale del processo educativo. D’altra parte l’importanza da lui
accordata all’ordine, alla proporzione, all’armonia e la sua critica
all’«entusiasmo» stanno alla base di canoni estetici nuovi che si op-
pongono ai processi persuasivi del barocco e preludono alla «ragione»
dello stile classico. Lo Shaftesbury fu il mentore della nuova genera-
zione britannica e le sue idee ebbero pratiche conseguenze nel formarsi
dell’abitudine al «grand tour» che i gentiluomini inglesi presero rego-
larmente a fare per educare il proprio gusto, e che regolarmente li con-
dusse in Italia e a Roma, tappa d’obbligo e suprema di questo viaggio
iniziatico. Ben presto Batoni divenne il ritrattista alla moda dei mi-
lords inglesi e degli aristocratici che passavano da Roma. Li rappre-
sentò spesso circondati dalle piú celebri statue antiche, di cui posse-

136 levey, Painting in xviii Century Venice cit., pp. 156 sg.
137 haskell, Patrons and Painters cit., p. 322.

Storia d’Italia Einaudi


64 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

deva i calchi nel suo studio, oppure attorniati da vasi classici, o anco-
ra all’aperto, appoggiati a un’ara, a un cippo, a un’antica balaustra,
mentre sul fondo, a precisare la posizione del ritrattato, si stagliava-
no i grandi monumenti romani. Creò cosí in un certo modo un ritrat-
to intellettuale: invece di sottolineare particolarmente certi elementi,
rilievo sociale, maschera mondana, ecc. (ma anche senza passarli sot-
to silenzio), i suoi ritratti esaltano le caratteristiche di sensibile cono-
scitore, di uomo di gusto della persona rappresentata. Cosí il ritratto
con statue antiche, il ritratto con rovine vengono a imporsi, quasi un
punto di incontro tra il ritratto e la veduta archeologica, come se si
volesse dare la parola al personaggio in posa per fargli dire, qui sono
stato, queste opere ho visto, questi monumenti, questo paese. Tutta-
via mentre Batoni «non perdeva di vista l’incarico sociale e ufficiale
del ritrattista che col pennello crea il quadro della società come essa si
rispecchia negli occhi del pubblico»138, ben piú avanti di lui andò il
«pittore filosofo» (come lo ricorda l’iscrizione posta al Pantheon, pres-
so la tomba di Raffaello), il sassone, ma d’elezione romano, Anton
Raphael Mengs. Nei ritratti degli amici piú cari, Winkelmann, De Aza-
ra, nell’impressionante serie degli autoritratti, Mengs ricercò un tipo
di ritratto essenziale, profondamente spoglio e introspettivo. Scrisse
Onorato Caetani:
Mengs mi ha dipinto e letto nella mia fisionomia il carattere; che voi vedete nel-
le mie lettere, Batoni mi ha dipinto con quella fisionomia con la quale io mi na-
scondo. Insomma Mengs mi ha dipinto come mi conosce Mr de Felice [corrispon-
dente del Caetani], Batoni come mi conosce Roma139.

Contro il ritratto come maschera (la fisionomia con la quale ci si na-


sconde, per usare le parole del Caetani), Mengs aveva preso una preci-
sa posizione anche per iscritto:
Nei ritratti regna un altro vizio che tiene infetta qualche nazione intera. Raro
è chi si contenta di ritrarre, o di essere ritratto come Dio l’ha fatto. Si ha da situa-
re in una positura che viene detta spiritosa senza sapersi perché. Gli occhi, la boc-
ca, il gesto si hanno da torcere, ritorcere secondo l’idea che si è fantasticata di que-
sto benedetto spirito; e scorciando o divincolando il corpo in senso contrario, e but-
tando indietro e vita e testa, si modellano in attitudine di ballarmi. Si fa insomma
il possibile per far mentire il ritratto...140.

138 s. röttgen, I ritratti di Onorato Gaetani dipinti da Mengs, Batoni e Angelica Kauffmann, in
«Paragone», n. 221, 1968, pp. 61 sg.
139 Ibid., p. 58.
140 a.r. mengs, Opere, vol. I, Parma 1780, p. 113; cfr. grassi, Lineamenti per una storia cit.,
p. 488.

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 65

Partito da premesse sia teoriche che tecnico-linguistiche lontane da quel-


le degli illuministi lombardo-veneti (e napoletani) il Mengs arriva di fat-
to a conclusioni simili. Ed è significativo in questo senso che per Lava-
ter e per Goethe il ritratto abbia un’importanza paragonabile al tema
storico poiché «des Menschen Gegenwart, sein Gesicht, seine Physio-
gnomie der beste Text zu allem ist»141.
Da molte parti si andava giungendo dunque alle medesime soluzioni
quando Napoleone venne a mescolare le carte. Quella concezione del ri-
tratto fondata su un’esigenza morale di fedele introspezione quale era
richiesta da Mengs non sarà piú rispettata da Appiani o da Canova quan-
do dovranno misurarsi con l’immagine del primo console o dell’impera-
tore. «La France n’a rien produit de comparable», esclamerà Stendhal
a proposito dell’apoteosi imperiale nell’affresco della Sala del Trono del
palazzo reale di Milano. La volontà di legittimare il nuovo potere è oc-
casione di riaprire ancora una volta il vaso di Pandora dello «State por-
trait». Profondamente differente, piú singolare, ma non meno inquie-
tante l’unica opera cui si possa paragonare l’Apoteosi dell’Appiani (1805)
è il Napoleone sul trono imperiale commissionato nel 1804 a Ingres per
il Corps Legislatif, e oggi al Musée de l’Armée agli Invalides, un qua-
dro che si direbbe eseguito in una intemporale Bisanzio dove l’aquila,
lo scettro, il trono esprimono la maestà di un essere fatto di una sostanza
translucida, non umana. Una autentica icona imperiale.
Fu una battuta d’arresto per la pittura borghese del filone Traversi
Longhi, fu per il movimento neoclassico una perniciosa deviazione che
fece accantonare l’appassionata serietà del Mengs. Questo arresto for-
zato in una situazione già periclitante ebbe delle gravi conseguenze: a
causa della situazione storica le proposte dei moderni pittori del Sette-
cento italiano non avevano ricevuto infatti nel paese l’appoggio attivo
e propulsivo di un forte gruppo borghese, come era avvenuto in Fran-
cia o in Inghilterra. Si interruppe una linea di sviluppo che avrebbe man-
tenuto l’arte italiana al passo con quella europea.
Cosí il ritratto dell’Ottocento italiano ebbe un modesto destino, sof-

141 j.k lavater, Physiognomische Fragmente, Winterthur 1784 sgg., vol. II, p. 76, citato in
röttgen, I ritratti di Onorato Caetani cit., p. 71, nota 39. Una ricerca sul ritratto italiano del Set-
tecento e sul suo background socio-culturale dovrebbe prendere a modello lo studio di e. wind,
Humanitätsidee und Heroisiertes Porträt in der Englischen Kultur des 18 Jahrhunderts, pubblicato in
«Vorträge der Bibliothek Warburg», Berlin 1932, in cui l’atteggiamento differente verso il ritratto
che si manifesta nelle opere di Reynolds e Gainsborough è studiato in rapporto alle profonde di-
vergenze e alla diversa concezione dell’uomo e della natura che opponevano nella cultura inglese
del Settecento il dottor Johnson a David Hume. Data però la relativa ristrettezza della situazione
italiana, se comparata a quella inglese, è probabile che i risultati sarebbero meno fecondi.

Storia d’Italia Einaudi


66 E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società

frendo cronicamente di una mancanza di vigore e di spessore. Nei pri-


mi tempi, all’ora del neoclassicismo, linguaggio internazionale per ec-
cellenza, o del Biedermeier, il passo è ancora tenuto, ove specialmente
si confronti la situazione italiana con quella austriaca o tedesca e non
con quella francese. Ma quando altrove battono le ore del romantici-
smo, del realismo, o peggio dell’impressionismo, è la dégringolade. Una
crisi linguistica senza precedenti interrompe e conclude il corso dell’ar-
te italiana. Spentesi le scuole locali, sostituiti o arrivati a esaurimento i
gruppi tradizionali di committenti, ridotte a capoluoghi amministrativi
le antiche capitali, gli artisti italiani perdono rovinosamente i contatti
con le piú vive culture figurative europee e dimenticano quella capacità
che avevano avuto per secoli, e anche in tempi di profonde crisi politi-
co-economiche, di esprimere visualmente le tendenze profonde di
un’epoca, di una società. Bernini, giunto a Parigi da una Roma sull’or-
lo del collasso, aveva creato con il suo busto di Luigi XIV un prototipo
di ritratto regale che si impose all’intera Europa. Rosalba Carriera, e piú
tardi Canaletto e Bellotto, avevano dettato soluzioni, immediatamente
accolte; al ritratto e al paesaggio urbano del Settecento europeo. Ora
non piú.
Ci sono le eccezioni, alcuni artisti tengono il passo europeo, ma so-
no proprio quelli che non hanno perso i contatti, che si sono trapianta-
ti a Parigi, Zandomeneghi e Medardo Rosso. È significativa che non so-
lo manchino artisti e gruppi «di punta» (tranne il caso di limitata por-
tata e di scarse conseguenze dei «macchiaioli»), ma che siano assenti
anche, a livello europeo, gli artefici del ritratto «grande borghese», qua-
li li ebbe la Francia di Napoleone III e della terza repubblica, l’Inghil-
terra tardo-vittoriana, la Germania della Gründerzeit, l’Austria di Fran-
cesco Giuseppe e della Ringstrasse. Morelli e Mancini non hanno la, pur
discutibile, tenuta e lo spessore, di Carolus-Duran, di Whistler, di Sar-
gent, di Makart. Quanto ai flebili «europei» De Nittis e Boldini è a Pa-
rigi che trovano i maggiori successi e i migliori clienti.
Nello stesso momento, in cui la borghesia europea celebra nei ritratti
i suoi fasti e i suoi trionfi e in cui si assiste a una moltiplicazione e a una
miniaturizzazione industriale del ritratto tramite il francobollo (caso li-
mite della svalutazione del «genere»), si assiste alla riscoperta e alla ri-
valutazione del ritratto italiano del Rinascimento. Jacob Burckhardt par-
la a Basilea su Le origini della ritrattistica moderna142 e scrive il bellissi-

142 Conferenza pronunciata a Basilea il 10-3-1885, pubblicata in Vorträge, Basel 1918, ed. it.
Letture di storia e di arte, Torino 1962, pp. 417 sgg.

Storia d’Italia Einaudi


E. Castelnuovo - Il significato del ritratto pittorico nella società 67

mo saggio sul Ritratto nella pittura italiana143. Intanto l’Italia si impo-


verisce di molti capolavori che vanno a prendere posto nelle grandi col-
lezioni europee e americane. Tout se tient, se l’Italia dell’Ottocento par-
tecipa molto marginalmente all’epopea del ritratto borghese ciò è do-
vuto e alla grave crisi linguistica che condanna i suoi artisti al
provincialismo, e alla scarsezza mentale e materiale di quel gruppo so-
ciale da cui, in altri paesi, erano usciti i committenti dei ritratti «gran-
de borghese». E ciò spiega anche l’esodo degli antichi ritratti, ricercati
altrove come gli incunaboli della pittura moderna; ma che da noi i grup-
pi sociali egemoni procurano di svendere.
Dopo questa lacerante soluzione di continuità il nuovo contatto con
la cultura europea si ebbe in Italia solo con la nascita dell’avanguardia.
Nei suoi piú coscienti rappresentanti l’incubo della distanza da percor-
rere per mettersi all’ora europea è dovunque presente. Leggendo gli scrit-
ti di Boccioni, guardando le sue opere si avverte, insistente, dominante
il leit-motif del tempo da riguadagnare, del presente da ritrovare, pas-
sando – è la famosa immagine del treno blindato – attraverso le posi-
zioni altrui per riemergere in prima linea. L’accelerazione forzata è av-
vertibile anche, e si vorrebbe dire particolarmente, nei ritratti. Dappri-
ma non v’è coscienza della crisi europea del «genere». Sospinto da una
confusa urgenza espressiva il ritratto, in Boccioni, in Balla, in Carrà oc-
cupa ancora un posto privilegiato. Sarà poi la vaga consapevolezza del
mutamento nello stato dell’immagine e l’ingenua dichiarazione del «ma-
nifesto tecnico» che, per essere un’opera d’arte, il ritratto non deve ras-
somigliare al suo modello. Infine il presentimento della morte del ri-
tratto, causata dalla rivoluzione industriale, dalla riproducibilità tecni-
ca e dalla alienazione della società capitalista. A questo punto il cerchio
si chiude, e ritorniamo là donde eravamo partiti, al ritratto di Severini
«con i baffi veri e il bavero di velluto vero».

143 In Beiträge zur Kunstgeschichte von Italien, Basel 1898, pp. 145 sgg.

Storia d’Italia Einaudi

Potrebbero piacerti anche