Dal Trecento al Cinquecento in Europa avvennero delle trasformazioni che incisero profondamente sulla
mentalità collettiva, tanto da arrivare a mutare il significato dell’esistenza umana e le relazioni uomo-natura
e uomo-Dio.
Tutti queste trasformazioni trovano il loro punto di riferimento nella cultura greca e romana e, per questo,
indichiamo quindi questo periodo con il nome di Rinascimento, in riferimento alla “rinascita della cultura
antica”.
In Italia ciò avvenne per mezzo degli Umanisti e soprattutto grazie a:
- una grande vitalità socioeconomica, soprattutto a Firenze
- un maggior sviluppo delle humanae litterae, ovvero delle discipline che hanno per oggetto l’uomo,
al contrario della teologia che ha per oggetto Dio.
In particolare, un’umanista, Pietro della Mirandola, esprime nell’orazione De hominis dignitate delle parole
(che egli immagina rivolte da Dio a Adamo nella creazione) che chiariscono la centralità attribuita all’uomo,
capace di definire sia il proprio successo che fallimento.
L’interesse verso il mondo naturale arrivò ad interessare anche la parte fisica della persona: il compito
dell’uomo era coltivare in sé le doti che gli permettevano di dominare la natura e modificarla, si radicò così
l’idea che l’uomo pienamente dignitoso fosse quello che esprimeva al meglio tutte le sue potenzialità. Si
sviluppa quindi un'esaltazione non del singolo individuo ma della collettività, della vita associata e del
confronto dialettico.
Il dialogo è considerato una prova dell'importanza attribuita al dibattito e alla riflessione condivisa. Il fatto
che questo tipo di esposizione venisse prediletto ci conferma che conoscenza e ricerca della verità erano
viste come percorsi sperimentali e soggetti a revisioni.
Questa verità aveva però un prezzo, infatti, nel momento in cui l'uomo metteva alla prova le sue capacità,
sperimentava anche l'angoscia dell'ignoto e la difficoltà della scelta.
La piena consapevolezza di questi temi era un patrimonio che apparteneva ad una cerchia assai ristretta, che
si esprimeva in latino.
Tuttavia però, questi temi avevano origine da valori condivisi da fasce sociali più ampie.
Gli artisti occupavano una posizione mediana: erano partecipi alla nuova visione umanistica (e in parte
contribuirono a fondarla) ma in genere avevano una formazione vicina ai generi mercantili.
Le loro opere, spesso, erano cariche di significati civili e riuscivano a suscitare l'interesse popolare,
acquistando così la funzione di tramiti silenziosi ma efficaci della nuova visione del mondo.
Inoltre, grazie ad artisti di particolare rilievo, si maturò l'idea che l'importanza di un'opera non stesse solo
nella sua perfezione artigianale ma anche nella sua forza espressiva.
Questa rivoluzione artistica avvenne anche grazie alle signorie, che finanziarono la figura dell'artista. Non
essendo più finanziati dalla chiesa, i temi si spostano quindi su personaggi appartenenti alla vita comune e
sulle stesse signorie, dando origine al fenomeno del mecenatismo.
Gli artisti, infatti, erano fondamentali per la propaganda della propria famiglia e si creò dunque un legame
dell’artista con il mecenate (colui che finanzia e dà sostegno economico all'artista ed organizza dei cenacoli
intellettuali).
Un luogo preciso in cui prese il via la prima fase del Rinascimento è Firenze.
All'inizio del 400 questa città attraversava una congiuntura politica ed economica che stimolò l'avvio di
numerose commissioni pubbliche, nelle quali si esprimeva l’orgoglio civico.
In questo clima vitale operarono tre artisti considerati già dai contemporanei come i fondatori del
Rinascimento, ovvero: Filippo Brunelleschi, Donatello e Massaccio.
Questa ricerca di un'arte nuova non si fondò su enunciati teorici, ma si espresse attraverso le realizzazioni
concrete: gli autori si conoscevano, collaboravano ed ogni nuova invenzione veniva raccolta, magari
contraddetta, ma comunque elaborata.
Per questa ricerca di una più convincente resa naturalistica e proporzionale fece da guida privilegiata lo studio
degli esempi antichi, soprattutto romani.
Tra gli strumenti messi a punto in questo periodo, quello che introduce un nuovo rapporto con la realtà e
diventa simbolo del Rinascimento è la prospettiva, ovvero la necessità di guardare la cultura e l'arte secondo
un punto di vista umano.
Brunelleschi, ai primi del Quattrocento, mise a punto una tecnica per restituire la profondità e i rapporti di
proporzione.
Questa tecnica si basa sul concorrere delle rette ortogonali tra loro parallele in un unico punto detto di fuga:
fissando un punto di vista e un punto di distanza ideali dallo spettatore rispetto al dipinto si può, applicando
dei teoremi geometrici, stabilire la diminuzione delle dimensioni, in modo proporzionale alla distanza dallo
spettatore.
L'occhio umano, però, non vede secondo queste regole della prospettiva rinascimentale, infatti, esse sono
più che altro una ricostruzione intellettuale secondo un chiaro principio ordinatore.
In questo stesso periodo inizia un rinnovamento figurativo anche nell’Europa unificata dalla diffusione del
gotico internazionale, soprattutto nei paesi fiamminghi.
Nelle Fiandre, come a Firenze, incontriamo una società in espansione e, anche qui, le ricerche figurative sono
volte alla resa del mondo visibile, dell'uomo e dell'ambiente.
Più che alla cultura antica, però, in questi paesi ci si rifà alla cura nel riprodurre i particolari concreti.
Nei dipinti fiamminghi è infatti la luce a restituire con vivezza la diversa consistenza dei materiali e delle
superfici, facendo perdere quindi all'uomo la centralità cara dell'umanesimo italiano.
BRUNELLESCHI E GHILBERTI
Filippo Brunelleschi nasce nel 1377 ed è la prima grande figura del Rinascimento italiano.
Fu un architetto, inventore, ingegnere e scultore e la sua importanza fu subito colta dai contemporanei.
Era figlio di un notaio ed aveva probabilmente una cultura superiore alla media, ma tipica medievale.
Lorenzo Ghiberti, invece, fu un architetto, pittore e scultore d'istruzione classica che si scontrò, nel 1401 con
altri artisti, quando partecipò (contro anche a Filippo Brunelleschi) ad un concorso per scegliere l'artista a cui
assegnare l'esecuzione della Porta Nord del Battistero di San Giovanni di Firenze.
I partecipanti dovevano rappresentare in una formella l'episodio del Sacrificio di Isacco, ovvero quello in cui
Dio chiede al vecchio Abramo (come prova della sua fede) di sacrificargli il suo unico figlio, Isacco; quando
Abramo è sul punto di sacrificare il figlio interviene però un angelo per fermarlo, che chiede di sacrificare al
suo posto un ariete.
FORMELLA DI GHILBERTI
La formella di Ghilberti venne ottenuta in un'unica fusione con un sistema a stampo a bassorilievo; Ghilberti
ci offre di questa vicenda un'illustrazione ordinata e piacevole.
Ecco le caratteristiche principali dell'opera di Ghiberti:
- Una diagonale rocciosa separa i piani di posa dei due episodi, dividendo nettamente l'ultra terreno e
il terreno
- A sinistra i due servitori discutono tra loro, divisi dall'asino che allunga il muso verso lo spigolo
- A destra Abramo alza il coltello all'altezza della gola del figlio, che subisce senza lottare; entrambe le
figure sono antidrammatiche e non lasciano trasparire alcuna espressione
- In alto a destra l'angelo sta giungendo in volo, ma non è ancora stato visto
- L’ariete è accasciato con le corna impigliate in un cespuglio
- I personaggi hanno una loro proporzione
- Vigono la sinuosità e il dinamismo grazie all'alternanza del concavo e del convesso e soprattutto alla
curva data dal corpo di Abramo che avanza con il corpo e arretra con il busto.
FORMELLA DI BRUNELLESCHI
La formella di Brunelleschi sottolinea il carattere drammatico profondamente umano di un evento che non
è più percepito come lontano. le caratteristiche principali di quest'opera sono:
- il paesaggio che quasi non esiste ma la presenza della profondità per i piani successivi
- Abramo che stringe con violenza il collo di Isacco spostando il peso del corpo mentre il ragazzo cerca
di ribellarsi puntando i piedi e piegando il busto
- l'angelo che piomba dal cielo a fermare il patriarca afferrandogli il polso
- l'asino che deriva da un modello giottesco e il gesto del servo a sinistra che riprende una nota scultura
antica
Il vincitore di questo concorso fu Ghilberti, e questo ci dimostra come Firenze non fosse matura per le novità
rinascimentali.
Inoltre assunse, fin dal primo decennio del Quattrocento, compiti da ingegnere militare e progettò delle
architetture che formarono un gruppo compatto, concentrato in gran parte a Firenze che ha come
caratteristiche: una limpidezza strutturale, l'uso di figure geometriche semplici e la coincidenza rigorosa tra
forma e struttura.
La bellezza di queste architetture non sta nell’ ornamentazione, che è sempre raffinatissima ma essenziale,
bensì nel rigore dell'idea che le governa
LO SPEDALE DEGLI INNOCENTI
Tra le più antiche realizzazioni giunte fino a noi troviamo lo spedale degli innocenti, un orfanotrofio
commissionato a Brunelleschi nel 1419.
Si tratta della prima vera opera del Rinascimento.
All'esterno troviamo un porticato rettilineo che dà accesso a un cortile quadrato e a due edifici rettangolare
di uguale dimensioni (la chiesa e la sala dove si trovavano i lati dei fanciulli).
Nel piano sottostante invece si trovavano i saloni per la scuola e l'officina.
La facciata esterna è sollevata su un basamento di 9 gradini ed è scandita da 9 archi a tutto sesto retti da
colonne in corinzie, che delimitano campate quadrate coperte da una volta a vela, che poggia solo sugli archi
perimetrali.
Ad ogni arcata del portico corrisponde a livello superiore una finestra sormontata da un timpano, ispirata a
quelle del Battistero di Firenze.
Brunelleschi lavora per moduli, ovvero ricava le dimensioni dei suoi edifici da multipli e sottomultipli di alcune
misure di base.
In questo edificio, per esempio, tutte le altezze sono collocate a partire dall'altezza del piedritto,
corrispondente a 10 braccia; vi è anche un'alternanza di colori tra le strutture portanti, in pietra serena grigia,
e i supporti murari più chiari.
Brunelleschi inoltre realizza i suoi progetti secondo un modulo matematico compositivo, ricorrendo ad
elementi classici ma portando loro delle modifiche.
Nel 1487, per rendere chiara la funzione dell'edificio, furono aggiunti tra le arcate dei tondi in terracotta con
infanti in fasce, realizzati da Andrea della Robbia.
Brunelleschi inserisce un nuovo elemento, il pulvino, che serve a rendere ancora più leggera la struttura e
funge da architrave; è posizionato sulle colonne quindi troviamo fregio, architrave eccetera, ma con una
rivisitazione.
L'uso degli ordini antichi serve a Brunelleschi anche a ridurre l'infinita varietà decorativa del gotico,
sostituendola con l'alternanza di pochi modelli codificati.
Tra gli esempi più significativi vi è quello del dado brunelleschiano presente nella basilica di San Lorenzo a
Firenze.
Si tratta di un elemento inserito tra il capitello e l'imposta dell'arco, concepito come se fosse un frammento
di trabeazione (si riconoscono infatti architrave fregio e cornice).
Poiché la novità delle opere deve consistere nel ricorso alla logica strutturale dell'architettura antica
Brunelleschi non si sente confinato alle forme esteriori degli esempi classici ma decide di recuperare anche
la tradizione medievale, in particolare quella Toscana con le sue decorazioni sobrie e geometrizzanti.
Ciò non era considerato come decadente ma come a fine in continuità con l'architettura romana stessa.
La chiesa è a croce latina a tre navate con cappelle che in origine dovevano essere a pianta quadrata e fasciare
l'intero perimetro.
Le coperture sono:
- piane sul vano centrale
- a vela nelle navate laterali
- a botte nelle cappelle
La scansione degli spazi è affine a quella del portico degli Innocenti e la pianta è costruita sulla ripetizione di
una campata quadrata con il lato di 11 braccia fiorentine che coincide con la larghezza delle navate laterali
mentre la navata centrale è di larghezza doppia.
Questo modulo è proposto anche dell'alzato e sottolinea l'andamento longitudinale dell'edificio in modo che
lo strumento della prospettiva sia utilizzato per condurre lo sguardo direttamente verso la zona absidale.
LA PROSPETTIVA
Nell'antichità romana al termine perspectiva indicava la scienza della visione e corrispondeva alla parola
greca optike, termine da cui deriva ottica.
La prospettiva lineare fu messa a punto all'inizio del 400 da Brunelleschi probabilmente grazie alla
collaborazione con l'amico matematico Paolo del Pozzo Toscanelli.
Brunelleschi elaborò il suo metodo a partire da alcuni esperimenti condotti attraverso l'uso di due tavole che
ritraevano vedute urbane, ovvero:
- una tavola più antica che ritraeva il Battistero di Firenze
- una che ritraeva piazza della Signoria
Brunelleschi dipinse queste vedute su tavole di circa 30 cm di lato su argento brunito in modo che attorno
alla raffigurazione dell'edificio si rispecchiasse il cielo vero; aveva poi praticato un foro passante in
corrispondenza del punto centrico e del punto di fuga (ovvero la proiezione sul dipinto del punto di vista
dell'osservatore).
Per osservare l'immagine Brunelleschi accostava l'occhio al retro della tavola e attraverso il foro ne guardava
l'immagine riflessa in uno specchio tenuto parallelo alla tavola ad una distanza corrispondente alla lunghezza
del braccio che lo reggeva.
Dunque, a partire da regole matematiche e da dati imposti a preferenza dell'artista, si poté elaborare una
prima prospettiva lineare.
LEON BATTISTA ALBERTI
Brunelleschi non lo illustrò mai in un trattato il sistema da lui individuato: ciò venne fatto da Leon Battista
Alberti nel trattato De Pictura del 1435.
In questo testo Alberti espone in maniera analitica un sistema di resa prospettica che definisce costruzione
legittima, basato sulla imitazione della realtà.
Ciò serviva anche a sottolineare il ruolo centrale dell'uomo in quanto il dipinto prospettico riproduce la
percezione del singolo.
In un'opera impostata secondo la prospettiva centrica tutti i prolungamenti delle linee ortogonali convergono
verso un unico punto di figa ed è qui che deve porsi l'occhio per avere una corretta visione.
Va inoltre ricordato che, se in campo geometrico esiste un solo metodo prospettico, non possiamo
dire lo stesso nel campo della rappresentazione artistica.
Nel caso della Firenze quattrocentesca, per esempio, la resa prospettica dello spazio traduce l'idea
di un mondo armonicamente ordinato dall'uomo.
La prospettiva, dunque, non è unica ma molteplice e relativa e risponde ad una volontà artistica
precisa e a specifiche visioni del mondo.
LA SACRESTIA VECCHIA
La sagrestia vecchia per la basilica di San Lorenzo è cosiddetta per distinguerla dalla successiva opera
di Michelangelo ed è l'unica opera di cui Brunelleschi potè seguire per intero i lavori.
Riconosciamo infatti qui il rigore costruttivo fondato su regole geometriche e la chiarezza con cui
Brunelleschi realizza una forma razionale e visivamente armonica grazie al controllo matematico di
spazi e proporzioni.
Il piccolo ambiente collegato al braccio sinistro del transetto della basilica fu commissionato a
Brunelleschi da Giovanni Di Bicci De Medici come cappella di famiglia e venne realizzato tra il 1419
e il 1428
All'esterno l'edificio si presenta come un parallelepipedo in muratura quasi nudo sormontato da un
tetto conico a squame appoggiato su un tamburo circolare che nasconde la forma della copertura.
L'interno è suddiviso in due ambienti, quello principale, cubico, è coperto da una cupola a ombrello
ripartita in 12 spicchi alla base di ciascuno dei quali si trova un oculo che garantisce un'illuminazione
diffusa.
Sul lato di fondo si apre una piccola abside a pianta quadrata e coperta da una cupola.
Come possiamo ben notare anche qui come nello Spedale degli innocenti l'architetto compone per
moduli quadrati o cubici.
All'effetto unitario concorre il ripetersi di un modulo quadrato utilizzato anche per l'altezza, che può
essere divisa in tre sezioni rettangolari identiche corrispondenti alle pareti, alle finestre e alla
copertura.
Ognuno di questi rettangoli è costituito dall'unione di due quadrati all'interno dei quali possono
essere iscritti i cerchi da cui si deducono le dimensioni dell'attacco della cupola, degli oculi e delle
centine delle finestre.
Il quadrato con il cerchio inscritto con i suoi multipli e sottomultipli è il modulo alla base degli spazi
di Brunelleschi.
Dunque, la sacrestia appare come una sorta di teorema ritmico e l'elemento numerico assume tanta
forza da essere anche caricato di un valore simbolico: le tre finestre strette in unità dagli arconi sono
allusioni alla Trinità mentre i quattro quadrati che formano il pavimento alludono agli Evangelisti,
così come i 12 spicchi alludono al numero degli apostoli.
Sulle pareti chiare la pietra serena grigia sottolinea i profili dell'ambiente e la terracotta invetriata
rossa e verde delle paraste e del fregio delimita un perfetto quadrato.
La parete di fondo invece è molto più articolata dal punto di vista plastico e le paraste sono
raddoppiate per inquadrare le porte laterali racchiuse in nicchie poco profonde e per sottolineare
l'ingresso all'abside, in asse con il quale si trova il sarcofago di Giovanni De Medici e della moglie.
La trabeazione che corre senza soluzioni di continuità e l'illuminazione diffusa collegano i due vani
La necessità di ridurre il peso conduce alla realizzazione di una doppia calotta, separata da un’intercapedine
(spazio tra due calotte) percorribile.
Le due calotte sono sorrette da 8 costoloni, visibili all'esterno, tra i quali si estendono vele a sezione
orizzontale rettilinea, la quale permette di assorbire le spinte orizzontali dei costoloni e ridurre al minimo il
rischio di deformazioni.
Ogni vela della calotta esterna poggia anche su due costoloni intermedi, che sono collegati da murature
orizzontali che conducono in alto, dove si concludono con una serraglia.
Sulla serraglia è impostata la lanterna, che contribuisce a far scaricare a terra le forze e ha funzione di
contrastarle, riportando in equilibrio le spinte verticali e orizzontali.
La lanterna è inoltre un elemento che trova dialogo con le costolature esterne
Il problema delle centine fu risolto utilizzando esempi romani antichi con murature a spina di pesce
autoportanti mentre per quanto riguarda i punteggi l'architetto fece costruire un'impalcatura aerea interna
che permetteva di lavorare contemporaneamente a 8 squadre di operai.
Possiamo dire che Brunelleschi usa una forma a sesto rialzato tipicamente tardo medievale per fini opposti
all'estetica gotica dell'infinito poiché essa sarebbe inconciliabile con la misurabilità di uno spazio
proporzionato all'uomo.
All'interno della Chiesa il vano gigantesco della cupola svolge la funzione di raccogliere gli spazi a trifoglio del
capocroce e la forma della calotta (ora ricoperta dagli affreschi realizzati nel 500) aveva inizialmente il suo
invaso che conduceva l'occhio alla lanterna.
I costoloni in marmo bianco esterni invece collegano gli angoli del tamburo ai pilastrini della lanterna e sono
come le linee di fuga di un dipinto.
Eretta la calotta e avviata la lanterna l'architetto inserì quattro tribune semicircolare nei lati del tamburo
lasciati liberi: in questo modo poteva contenere le forze prodotte dalla cupola indirizzarle verso il suolo.
Le tribune, con un alternarsi di parti concave e convesse, sono assai diverse dalla semplicità lineare della
calotta e dimostrano l’interesse nei confronti del chiaroscuro da parte di Brunelleschi.
La pianta è a croce latina, articolata attorno a una cupola posta all'incrocio dei bracci.
Le navate laterali fasciano l'intero perimetro della Chiesa, il cui profilo esterno doveva essere animato da
cappellette di larghezza e altezza pari alle campate delle navate.
Gli spazi appaiono definiti da un modulo metrico costante: le misure delle diverse parti sono multipli e
sottomultipli della metà del lato delle campate.
Rispetto ai precedenti edifici brunelleschiani l'articolazione degli spazi è più ricca e complessa, in armonia
con una nuova interpretazione della classicità.
Attraverso la riflessione sull'antico viene ripresa la tradizione medievale rappresentata per l'uso del
colonnato continuo che abbraccia anche il transetto e per la cupola all'incrocio dei bracci.
Se osserviamo l'interno percepiamo con nettezza l'impostazione prospettica delle navate data dal procedere
di robuste colonne.
Acquistano più rilievo gli elementi strutturali, le diverse cromie dei materiali e le illuminazioni contrastanti:
la luce infatti invade la navata centrale mentre le navate laterali sono immerse in una crescente penombra.
Il perno spaziale è il capocroce, dove tre bracci di uguale ampiezza convergono verso la cupola (il punto di
massima luminosità)