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I.

GLI ELEMENTI CHE DIFFERENZIANO L’UMANESIMO DAL


RINASCIMENTO:
L’UMANESIMO:
 ORIGINE DEL TERMINE:
Nella critica contemporanea il termine “Umanesimo” designa di norma,
pragmaticamente, i fenomeni culturali e letterari che caratterizzano il
periodo a cavallo tra il 1300 e il 1400, nel momento storico che vede
l’instaurarsi in Italia di alcune grandi formazioni politiche regionali, nate
dal superamento della frammentazione due-trecentesca. Il termine
Umanesimo è entrato in uso nell’Ottocento.

 CONTESTO CULTURALE:
Anche la cultura tende a un processo unificante, sì che il movimento
umanistico interessa i vari centri culturali, come tendenza unitaria
sovranazionale. I dati comuni sono la riscoperta dell’antico (mondo greco
e latino), unita a un nuovo interesse storico e filologico; l’affermarsi di un
ideale di umana razionalità, in antitesi al principio di autorità e alle
gerarchie intellettualistiche del Medioevo; il diffondersi, di conseguenza,
di interessi pedagogici funzionali alla formazione libera e autonoma
dell’individuo, alla sua responsabilità etica e civile. L’umanesimo pone
quindi l’individuo al centro del mondo; esso diviene dunque artefice e
padrone del proprio destino e non risulta più, come accadeva nel
Medioevo, sottomesso alla chiesa e alla religione.
L’umanesimo è un fenomeno culturale omogeneo e unificante, meno per
quanto riguarda la letteratura in volgare, molto più, invece, per quanto
riguarda la letteratura in latino, diffusa e fiorente. Si assiste a un
recupero del latino, dopo il successo del volgare nel corso del Trecento,
ma questo recupero del passato s’associa a un approfondimento degli
studi filologici. La letteratura quattrocentesca si caratterizza per
particolari aree geografiche, con un marcato aspetto plurilinguistico.
L’area fiorentina, la più importante, si distingue per uno specifico
umanesimo civile.
Gli umanisti (secondo già l’esempio di Petrarca), piuttosto che a una
realtà territoriale, sono appartenenti a una comunità di studiosi liberi e
indipendenti, uniti da condivisi ideali culturali. Viene superata la barriera,
tradizionale di area medievale, tra sapere intellettuale e sapere pratico,
per evitare inutili astrazioni, in nome di una compiuta e concreta e
versatile organicità della conoscenza (è l’epoca di Brunelleschi, Alberti,
Leonardo). L’indagine culturale non si dissocia dal pragmatismo della vita
sociale. Esemplare il caso del romanzo Lorenzo Valla, il più celebre dei
filologi umanisti, che tenta di dimostrare falsa la cosiddetta donazione di
Costantino.
Il pensiero umanistico, di cui l’arte è parte essenziale, modifica
profondamente la concezione dello spazio e del tempo, li organizza infatti
in sistema razionale. Nascono coì la prospettiva e la storiografia
moderna: la prima è “la rappresentazione secondo ragione dello spazio”,
la seconda è “la rappresentazione secondo ragione del succedersi degli
eventi”. La prospettiva dà il vero spazio, cioè una realtà da cui è
eliminato tutto ciò che è occasionale irrilevante o contradditorio; la storia
dà il vero tempo, cioè un succedersi di fatti da cui è eliminato ciò che è
occasionale, insignificante, irrazionale. La prospettiva costruisce
razionalmente la rappresentazione della realtà naturale, la storia la
rappresentazione della realtà umana: poiché il mondo è natura e
umanità, prospettiva e storia si integrano e, insieme, formano una
concezione unitaria del mondo. La scoperta e la prima formulazione della
prospettiva sono opera del Brunelleschi; la teorizzazione è dovuta
all’Alberti.
In primo luogo, gli uomini di cultura ricominciano a dare un’importanza
centrale agli “studia humanitas”, cioè alle discipline letterarie e
filosofiche più che a quelle che hanno un’applicazione pratica: la poesia,
la storia, la filosofia morale, la grammatica e la retorica diventano, nel
“sistema elle scienze”, più importanti del diritto o della medicina. In
secondo luogo, prendendo a modello l’antichità greco-romana, le
“humanae litterae” (le discipline che studiano l’uomo) prevalgono di
nuovo su quelle “divinae”, cioè sui testi religiosi attorno a quali,
soprattutto, si era sviluppato il pensiero cristiano medievale. Il fatto che
le “humane litterae” prevalgano su quelle “divinae” non implica che
l’umanesimo sia una tendenza culturale avversa alla religione: molti
umanisti sono ecclesiastici, e uno di loro, il senese Enea Silvio
Piccolomini, diventerà addirittura papa.
In questo periodo nasce e si afferma la filologia, ossia la disciplina
relativa alla costruzione e alla corretta interpretazione dei documenti
letterari di una specifica cultura. In questo contesto sorgono inoltre le
prime biblioteche e le scuole private.
L’umanesimo è contraddistinto da un’assoluta certezza nelle capacità
dell’essere umano.
Gli umanisti principali sono: Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Luigi
Pulci, Matteo Maria Boiardo, Leon Battista Alberti, Lorenzo de’ Medici,
Angelo Poliziano, Leonardo da Vinci, Iacopo Sannazzaro.

 CONTESTO STORICO:
Dalla seconda metà del Trecento, il crollo demografico dovuto alla peste
nera aveva indebolito le città e rallentato fortemente l’economia. Intorno
alla metà del Quattrocento, però, la popolazione europea iniziò ad
aumentare secondo un trend che sarebbe continuato per tutto il
Cinquecento. La popolazione si ritira dalle campagne per spostarsi poi
nuovamente verso le città, è il fenomeno dell’urbanizzazione.
Dal punto di vista politico, nel Quattrocento cominciano a consolidarsi i
grandi stati nazionali: la Francia, l’Inghilterra, la Spagna, il Portogallo.
In Italia la forma di governo nel Comune entrò in crisi. Il potere si
concentrò nelle mani di poche famiglie e di pochi individui ai quali
l’imperatore aveva concesso i titoli di duca o di marchese. Intorno alle
città nelle quali si affermò il potere di queste dinastie (come gli Sforza a
Milano, i Medici a Firenze, i Gonzaga a Mantova, gli Este a Ferrara)
vennero ad aggregarsi veri e propri stati regionali, e le corti cittadine
diventarono i motori di un’intensa attività culturale e artistica.

RINASCIMENTO:
 ORIGINE DEL TERMINE:
Il termine “Rinascimento” venne usato, tra i primi, da Giorgio Vasari alla
metà del XVI secolo, per sottolineare il concetto di rinascita dell’arte e
della cultura classica a partire dal XV secolo in contrapposizione con il
periodo artistico precedente denominato “età di mezzo” (poi Medioevo),
poiché era visto come un’interruzione tra la classicità e il Rinascimento.
Fu definito in modo sprezzante “gotico”, un termine privo di fondamento
storico, derivante dalla convinzione che i Goti (intendendo con esso i
barbari in generale) avessero distrutto la tradizione artistica rendendo
l’arte mostruosa.

 CONTESTO CULTURALE:
Il processo messo in moto da Petrarca e poi rilanciato dagli umanisti del
primo Quattrocento ruotava intorno al concetto di “rinascita”. L’idea che
una rivoluzione delle arti, delle lettere e di tutto il sapere filosofico e
scientifico si potesse riflettere positivamente sull’intera società è alla
base dell’idea stessa di Rinascimento.
Il Rinascimento non è una semplice ripresa dell’antichità classica: si lega
indissolubilmente all’arte medioevale ed è un’arte propria del suo tempo.
Esso è inizialmente fiorentino perché la misura, la definizione di spazi e
volumi, la chiarezza della ragione sono patrimonio tradizionale della città,
che in questo senso è classica.
Grazie al Rinascimento lo stato italiano diviene il centro di questa nuova
cultura, la cui diffusione avviene attraverso diverse corti: Napoli, Roma,
Ferrara, Mantova, Venezia, Milano e Urbino.
Il Rinascimento, come conseguenza della crisi che predomina in vari
campi, è contraddistinto dalla sfiducia e dall’incertezza nelle possibilità
umane. È il secolo della crisi, dei dubbi e della ricerca.

 CONTESTO STORICO:
Nel corso del XVI secolo, in seguito alle grandi scoperte geografiche,
l’asse dell’economia europea si spostò verso l’Atlantico, e il Mediterraneo
vide assai ridimensionato il suo ruolo di centro degli interessi delle
principali potenze. L’Italia del Cinquecento cessò di essere politicamente
indipendente. Tra la fine dl XV secolo e la metà del XVI fu un campo di
battaglia per le monarchie di Francia e Spagna e per l’Impero tedesco.
Dopo la morte di Francesco I il nuovo re di Francia, Enrico II, spostò l’asse
del conflitto dall’Italia alla Germania. Nel 1556 Carlo V abdicò e divise
l’impero tra il fratello Ferdinando I e il figlio Filippo II. La guerra tra i due
stati si concluse con la pace i Cateau-Cambresis nel 1559. In questo arco
di tempo, l’Europa fu attraversata da conflitti religiosi che ruppero l’unità
della Chiesa cristiana d’Occidente. Il XVI secolo fu inoltre caratterizzato
da un notevole aumento della popolazione che, anche a causa
dell’immigrazione, interessò in modo particolare le città. Alla fine del
secolo, tuttavia, una grave crisi di mortalità segnò un rovesciamento
delle tendenze demografiche. In questo periodo storico la Spagna
conquista l’America del Sud e impone un proprio modello politico e
religioso. All’inizio del Cinquecento si avvertiva da più parti l’esigenza di
una profonda riforma della Chiesa che mettesse fine all’eccessivo
coinvolgimento del papato nelle questioni temporali. Martin Lutero portò
così avanti una riforma, definita protestante, per modificare la situazione
attuale.

II. LA NOVELLISTICA:

 DEFINIZIONE:
La novella è una narrazione in prosa breve e semplice (di modesto
respiro), generalmente più breve di un racconto (secondo molti critici, la
distinzione tra le due modalità narrative è labile o nulla), nella quale c'è
un'unica vicenda semplice e in sé conclusa, colta nei suoi momenti
essenziali, i cui personaggi si possono facilmente ritrovare nella vita
quotidiana. Essa nasce, non si sa con precisione dove e quando, nel
contesto della letteratura orale. La novella non è un genere letterario
indipendente, poiché è inglobata all'interno di altri generi.
 IN PASSATO:
Tracce di novella sono presenti nelle letterature dell'antico Egitto e della
Mesopotamia (Sumeri, Babilonesi). Il genere è presente nelle letterature
orientali in particolare in quella indiana dove vi sono varie raccolte, tra
cui la celebre Pañcatantra. In India nasce anche la struttura delle novelle
precedute da una cornice narrativa, struttura che poi avrà diffusione
anche in Occidente con il Decameron. La novella ebbe scarsa autonomia
nelle letterature greca e latina. Si ricordano gli arguti e burleschi
Racconti sibaritici e la Fabula Milesia.
Nella letteratura orientale celeberrima è la raccolta “Le mille e una
notte”.
Alla base della struttura che la novella assumerà poi nel Medioevo
troviamo l'exemplum, un genere che si potrebbe definire una forma
semplice di novella ma che possiamo descrivere anche come a metà
strada tra la fiaba e la parabola. Anche l'exemplum è inglobato in altri
generi, come la vita dei Santi perché era usato molto spesso dai
predicatori con finalità educative e morali. I predicatori se ne servivano
allora per ricondurre sulla giusta strada coloro che avevano commesso
qualche peccato. Nel Medioevo il fabliau è un altro antecedente della
novella.
La novella sorge più tardi, in età medievale, nell'ambito di culture molto
diverse tra loro

 LA NOVELLA NEL DUECENTO:


La novellistica ha, nel Duecento italiano, un carattere di freschezza e
originalità che si esprime in alcuni validi testi come il ”Libro de' sette
savi” opera di traduzione dal francese di una trama che in seguito si è
diffusa in tutte le letterature, i “Conti di antichi cavalieri”, anch'essi
derivati dal francese, un poema formato di varie storie cavalleresche e,
soprattutto, il “Novellino”, chiamato anche “Le cento novelle antiche” o
“Libro del bel parlare”, che trova nella borghesia comunale che stava
affermandosi in quel periodo, con i suoi ideali di gentilezza, di cortesia, di
sottile intelligenza e del bel parlare, la sua migliore celebrazione.

 LA NOVELLA NEL TRECENTO:


Se nel Duecento la novella aveva mirato sia ad educare che a dilettare,
nel Trecento queste finalità prendono vie diverse: da una parte novelle di
pura ispirazione morale e religiosa, dall'altra novelle che intendono
essenzialmente dilettare. Il periodo che va dai primi decenni del Trecento
alla seconda metà del Quattrocento fu caratterizzato da una profonda
crisi economica e sociale europea, dovuta a più cause concomitanti che
la resero particolarmente grave. Nei primi decenni del 1300 si verificò un
peggioramento delle condizioni climatiche, una serie di carestie e di
epidemie e il fallimento in Italia di alcune grandi famiglie di banchieri
fiorentini. L’Europa fu colpita dalla peste nera che provocò la morte di
circa un terzo della popolazione e un’ondata di panico collettivo. I prezzi
subirono forti oscillazioni per poi stagnare per un lungo periodo e la
carenza di manodopera fece aumentare i conflitti fra contadini e
proprietari terrieri, fra mercanti, maestri artigiani e salariati dell’industria,
con conseguenti rivolte popolari.
o Di ispirazione religiosa e morale sono le novelle di Jacopo
Passavanti, frate domenicano, che incluse nel suo libro di prediche
intitolato “Lo specchio di vera penitenza”. Si tratta di racconti di
grande rilievo drammatico, in cui si avverte sempre la presenza
dell'al di là come conseguenza della condotta dell'uomo sulla terra.
o Un altro domenicano, Domenico Cavalca, è da ricordare per la sua
prosa religiosa tra aneddoto ed exemplum.
o Anche “I Fioretti” di San Francesco, aneddoti sulla vita del Santo
raccolti da un ignoto frate francescano, sono pervasi di profondo
spirito religioso: non cupo come nei racconti del Passavanti, ma
gioioso, sereno, tipicamente francescano.
o Scritte invece per dilettare ed indifferenti ad ogni pretesa morale
sono le novelle di Giovanni Boccaccio, novelle tra le più belle non
solo di questo secolo, ma di tutta la letteratura italiana. Sono cento
e sono tenute insieme da un racconto cornice che è il seguente:
nella peste del 1348 dieci giovani fiorentini, tre uomini e sette
donne, per evitare il contagio si rifugiano nel contado e qui, per
trascorrere lietamente il tempo, raccontano per dieci giorni una
novella ciascuno, per questo il titolo dell'opera è “Decameron”,
che, secondo l'etimologia greca, significa, dieci giornate. La
caratteristica dell'opera risiede innanzi tutto nell'utilizzo da parte di
Boccaccio della cornice, espediente di cui l'autore si serve per
indicare i temi delle giornate e dare giudizi al riguardo delle
novelle. Queste vengono pertanto ad inserirsi in questo complesso
apparato narrativo proveniente dalla tradizione indiana che nel XIII
secolo trova nella toscana fiorentina il centro narrativo più prolifico
della storia. Inoltre da sottolineare è l'interesse boccacciano per il
mondo femminile, al quale per l'appunto viene destinato il libro
nell'intento di distrarle dai mali d'amore. Argomento delle novelle
sono la gaia vita cortese, l'esuberanza esplosiva dell'amore in tutti i
suoi infiniti atteggiamenti, l'astuzia sottile che pone in ridicolo i
creduloni. Un mondo, insomma, in cui l'intelligenza e la bellezza
dominano incontrastate e non conoscono remore morali. In questo
mondo vivono mille personaggi, uomini e donne, giovani e vecchi,
buoni e cattivi, furbi e sciocchi, onesti e furfanti, nobili e sguatteri,
tutti così vivamente rappresentati, che una volta incontrati non si
dimenticano più. Nel “Decameron” vi sono frequenti richiami
all’erotismo bucolico del tempo. Per quest’ultimo aspetto infatti il
libro fu in molte epoche censurato.
Boccaccio ebbe nel suo secolo diversi imitatori.
o Tra questi il migliore fu Franco Sacchetti che scrisse il “Trecento
novelle”, ideato intorno al 1385, ma realizzato in parte tra il 1392 e
1396, senza un piano e un ordinamento. Si tratta appunto di
trecento novelle che si rifanno ad alcuni temi boccacceschi, per lo
più brevi e piene di brio, ma lontane dalla grande arte di Boccaccio.
L'opera esordisce con un proemio nel quale l'autore dichiara i suoi
intenti: secondo il modello del Boccaccio, il Sacchetti raccoglie
tutte le novelle dalle antiche alle moderne, oltre ad alcune in cui
egli stesso fu protagonista. Il testo, che è costruito sul tipo
dell'exemplum, si rifà al Decameron ma anche alla tradizione orale
del popolo, ed è scritto in una lingua che risente di dialettismi,
parole del gergo, modi della lingua parlata e con notevoli libertà di
carattere sintattico. Si ricava pertanto dall'opera la predisposizione
all'autobiografia e un marcato senso moralistico, che viene
spiegato dall'autore stesso quando dichiara di voler prendere a
modello. Le novelle non sono incluse in una “cornice narrativa”, ma
si dipanano liberamente senza seguire alcun progetto unitario di
contenuto. Sacchetti si rifà alla tradizione duecentesca della
raccolta disorganica di tipo arcaico, mostrando uno spiccato gusto
per la narrazione aneddotica, comica e realistica. La grande
innovazione di Sacchetti sta nel suo proporsi come narratore delle
proprie novelle, assottigliando la distanza fino allora esistente tra
narratore e destinatario.
o Altri autori di novelle, precedute da una cornice narrativa, furono
Giovanni Fiorentino (Il Pecorone) e Giovanni Sercambi.

 LA NOVELLA NEL QUATTROCENTO:


La novellistica quattrocentesca, come accade per molti aspetti della
cultura del XV secolo, è in parte connotata da una ripresa del volgare in
chiave umanistica. Pienamente coerenti con lo spirito Umanista, le
novelle mettono al centro l'ingegnosità umana e il suo valore che spesso
viene esaltato nei racconti disegnando personaggi intelligenti e arguti
che riescono, con l'aiuto di un eloquio brillante, a volgere anche le
situazioni più complesse a loro favore.
o Vedono così la luce il “Paradiso degli Alberti” di Giovanni Gherardi
da Prato e “Le Porrettane” del bolognese Giovanni Sabbadino degli
Arienti.
In questo periodo però il fenomeno più importante nell'ambito del genere
è rappresentato dall'affermazione della novella spicciolata, cioè
trasmessa come testo singolo avulso da qualsiasi struttura organica o
'incorniciata' di ascendenza decameroniana. Fra le spicciolate si
distinguono la “Historia de duobus amantibus” (rielaborata da Enea Silvio
Piccolomini in forma di epistola umanistica) e soprattutto la “Novella del
Grasso legnaiuolo” (la cui versione più elaborata è quella pervenutaci
sotto il nome dell'astrologo Antonio Tucci Manetti), in cui si racconta con
dovizia di particolari la beffa ordita da Filippo Brunelleschi (con la
complicità di Donatello) ai danni di un ingenuo ebanista.
o Sono da ricordare anche la novella del Bianco Alfani e la novella di
Lisetta Levaldini, abbinate in quattro manoscritti.
Il clima culturale dell'umanesimo, volto all'esaltazione dei valori
individualistici dell'ingegno e dello spirito critico, recupera da Boccaccio
soprattutto il tema del motto e della facezia, cioè di un parlare pronto e
scaltrito grazie al quale il personaggio manipola a suo vantaggio una
situazione problematica. Vanno ricondotte a questo filone la raccolta
Motti e facezie del Piovano Arlotto, compilazione anonima di 218
aneddoti conclusi da un motto arguto, ma anche il “Liber facetiarum” di
Poggio Bracciolini, gli “Apologhi” di Leon Battista Alberti e i “Detti
piacevoli” di Poliziano.
o Un posto a sé, nel panorama della novellistica quattrocentesca,
spetta infine a Masuccio Salernitano, autore del “Novellino”. In
questa raccolta (costituita da 50 testi suddivisi in cinque decadi
tematiche) una notevole inventività narrativa e linguistica perviene
a esiti ambigui, ora di pura e cruda comicità, ora di cupezza
grottesca, assai distanti dall'equilibrio del modello decameroniano
rispetto al quale si rafforza notevolmente lo spunto misogino.
L'opera venne messa quasi subito all'Indice per la frequenza del
tema osceno e anticlericale.

 LA NOVELLA DEL CINQUECENTO:


La novella del Cinquecento è boccaccesca: boccacceschi sono i temi,
boccacceschi i personaggi. Solo che quella che era stata licenza in
Boccaccio, diventa ora, molto spesso, oscenità. La ragione sta nel fatto
che la novella in questo secolo, più che proporsi un intento letterario,
persegue un intento di intrattenimento e divertimento, divertimento di
una società sensuale, tutta intrisa di terrenità, disinteressata ai grandi
temi della morale, della fede, della politica.
o Il modello più vicino al Boccaccio fu Matteo Bandello, autore di
poco più che duecento novelle. Non senza ragione Bandello
chiamava "casi" le sue novelle. In esse, infatti, il caso e non il
personaggio (come era stato invece in Boccaccio) è il vero
protagonista.
o Novelle tra le più vivaci e interessanti del secolo le compose Anton
Francesco Doni, un letterato che scrisse e si interessò di tutto.
o Anche le novelle di Giovanni Francesco Straparola, riunite nelle
“Piacevoli notti”, si fanno leggere con piacere per il modo sciolto e
garbato con cui l'autore racconta le sue storie, alcune delle quali di
argomento fiabesco.
o Altri autori di novelle furono Pietro Fortini, Agnolo Firenzuola e il
Lasca, e lo stesso Niccolò Machiavelli, fu autore di una notevole
novella, intitolata “Belfagor arcidiavolo”.

 LA NOVELLA NEL SEICENTO:


Nel Seicento ebbe poca valenza letteraria, investita anch'essa dalla
decadenza di questo secolo.
o Autore di un libro di novelle e facezie, alcune piacevoli e vivaci, fu
Giovanni Sagredo autore de “L'Arcadia in Brenta”.
o Altro autore fu Lorenzo Magalotti che, pur essendo soprattutto uno
scienziato, seppe raccontare alcune novelle con una prosa spigliata
e moderna.

 LA NOVELLA NEL SETTECENTO:


Sembra che il Settecento, pur avendo tante cose da dire in campo di
rinnovamento dei costumi, della politica, della giustizia, dell'economia,
della letteratura e della lingua, non abbia trovato il tempo di scrivere
novelle. Poche, infatti, ne furono scritte, ed anche queste poche, mosse
più da un interesse pedagogico che dal disinteressato gusto del
raccontare.
o Un'eccezione possono essere considerate le novelle di Gaspare
Gozzi, arguto riformatore, scritte in una lingua semplice e priva di
artifici e di piacevole lettura.
o Più studiata, invece, perché modellata su quella di Giovanni
Boccaccio, è la lingua con cui Antonio Cesari scrisse le sue novelle,
che certamente non sono dei capolavori di fantasia.

 LA NOVELLA NELL’OTTOCENTO:
L'Ottocento fu un secolo fondamentalmente romantico nella prima parte,
verista nella seconda e la novella ne seguì le correnti.
o Il romantico Giuseppe Giusti, poeta di satire politiche, ma anche
autore di belle pagine di prosa, scrisse alcune novelle argute e
briose.
o Agli ideali romantici s'ispirò anche Edmondo De Amicis, autore del
popolarissimo libro Cuore, scritto principalmente per i ragazzi.
Scrittore per ragazzi fu anche Carlo Lorenzini, noto con lo
pseudonimo di Collodi, autore di Pinocchio ma anche di fiabe e
novelle.
Esiti più ricchi e vitali ebbe la novella verista.
o Il catanese Giovanni Verga, che del verismo fu il più illustre
rappresentante, scrisse bellissime novelle, le più famose raccolte
sono “Novelle rusticane” e “Vita dei campi”. In queste novelle,
come nel suo più famoso romanzo, “I Malavoglia”, egli s'ispirò agli
stenti, alle fatiche, al duro destino della povera gente della sua
Sicilia e lo fece con una prosa che sarebbe dovuta essere oggettiva
ed impersonale ed invece è personalissima e ricca di tanta umana
empatia.
o Alla gente semplice di campagna toscana s'ispirò, invece, Renato
Fucini, che fu un fecondo autore di novelle, raccolte nei volumi “Le
veglie di Neri”, “Nella campagna toscana”, “All'aria aperta”.
o Grazia Deledda, anche se vissuta tra Ottocento e Novecento, fu
assai vicina all'arte del Verga e alla poetica verista. Il mondo rude e
primitivo della sua Sardegna è scenario di buona parte dei suoi
romanzi e delle sue novelle.
o Gabriele D'Annunzio, anche lui vissuto tra Ottocento e Novecento,
fu poeta, romanziere, drammaturgo ed anche autore di novelle. E
fu proprio con le novelle che compì le prime esperienze letterarie,
che nonostante fossero ancora legate all'arte verista,
intravedevano numerose direzioni di innovamento, segnando la
fine della narrazione del "dato umano" tipica del verismo ed
inaugurando una scrittura che poco dopo darà i suoi miglior frutti
nel versante del decadentismo europeo. Nelle sue raccolte “Terra
vergine” e “Le novelle della Pescara”, l'ambiente è sempre la sua
aspra terra d'Abruzzo, altera, pagana e selvaggia.
o Un posto a parte spetta a Ugo Tarchetti, che, pur essendo vissuto a
metà dell'Ottocento, sembra preludere con la sua narrativa a temi
e gusti che torneranno nel secolo seguente. I suoi “Racconti”,
infatti, ispirati da una pura acrobazia intellettuale, si muovono ai
confini dell'assurdo.

 LA NOVELLA NEL NOVECENTO:


Nel '900 la novella assume molteplici aspetti, diverse le finalità molti i
contenuti e spesso è genericamente assimilata al breve racconto. Novella
diventa un diario di viaggio, una riflessione o commento su un tema
specifico, novella diventa un momento intimo di introspezione oppure
una pagina di impegno sociale o di satira politica, novella diventa un
esercizio letterario come una pagina ben scritta. Il Novecento è il
continuo fermento di idee ed umori in contraddizione che si esprimono
proprio in questa varietà; non a caso sarà un secolo particolarmente
fecondo attraversato da istanze forti; la ricerca dì se, l'indagine dei
propri confini emozionali aprono le porte a narrazioni senza confini;
l'assurdo però convive insieme con la necessità del realismo neutrale che
descrive la realtà così come la vede, l'autore può dire ciò che accade,
l'autore cerca la realtà vera per affermarla ma non per giudicarla.
Innanzittutto i suoi confini geografici e storici diventano meno precisi,
perché non è facile distinguerla dalla pagina di memoria, dall'appunto di
viaggio, dalle riflessioni su tema, dal documento socio-ambientale, dalla
satira di costume e spesso si fa confluire in quel genere letterario che
viene definito del racconto breve. La novella del Novecento non sempre è
trama, ma molto spesso è memoria, riflessione, intimismo, documento,
satira, partecipazione sociale, ricerca della bella pagina.
o Agli inizi del secolo, Alfredo Panzini, autore di romanzi e di novelle,
appare come un narratore un po' antiquato, ma dalla prosa nitida
ed elegante con venature di satira e di costume.
o Nella prima metà del Novecento, Luigi Pirandello è l'autore più noto
anche al di là dei confini d'Italia. Più famoso come autore di
commedie, scrisse anche romanzi e novelle, “Novelle per un anno”.
A base delle sue opere è l'indagine sui recessi più misteriosi della
coscienza, sull'essenza stessa dell'io. Il Novecento fu caratterizzato
dalla scienza e dalla psicoanalisi che rivoluzionarono il modo di
vedere il mondo e la letteratura. Quest’ultima, infatti, fu
caratterizzata dall’interiorizzazione della realtà, inoltre il tempo
viene visto in modo soggettivo, creando nell’individuo una
sensazione di smarrimento e solitudine. Proprio per questo fra i
temi di Pirandello troviamo l’estraniamento e il conflitto interiore.
Le caratteristiche principali delle sue novelle sono: il nucleo
essenziale è quello del dramma quotidiano e privato, che rende,
tutti i giorni e nel piccolo microcosmo dei personaggi, l'esistenza un
travaglio; la famiglia è subita come un peso schiacciante di doveri e
responsabilità, un luogo di finzione e adempimento di convenzioni
sociali; il lavoro è alienato, ripetitivo, deprimente e grigio, poco
apprezzato e mal retribuito; i personaggi sono spesso degli inetti e
dei vinti; umorismo e relativismo, già teorizzati nel saggio
“L'umorismo”, sono applicabili alla maggior parte delle novelle,
anteriori o posteriori ad esso; la maschera: i protagonisti sono
paralizzati in ruoli da cui non possono uscire, che si sono attribuiti
da soli o che la società ha provveduto ad attribuir loro; il
paradosso: la rappresentazione utilizza spesso il registro del
caricaturale e del grottesco; la follia: quando si squarcia,
inquietante, l'abisso tetro della pazzia per i protagonisti delle
novelle, esplode la tensione accumulata per anni e compromette
irrimediabilmente l'equilibrio precario di una normalità solo
apparente. Le novelle di Pirandello si caratterizzano quindi in
particolare per la presenza di tratti surrealisti, la denuncia delle
convenzioni sociali, la tendenza al grottesco, la ricerca della verità
relativa e la narrazione discorsiva.
o Massimo Bontempelli, anche lui drammaturgo e narratore ebbe il
pregio di raccontare storie irreali ed impensabili con lucida e
realistica chiarezza.
o Narratore elegante, ma per certi versi legato agli interessi del
verismo è Corrado Alvaro, che con la sua narrativa, fatta di romanzi
e novelle, si ispira spesso alla vita problematica della gente del
meridione d'Italia.
o Per buona parte del secolo Alberto Moravia autore di romanzi e
novelle, “I racconti romani”, ha rappresentato un importante punto
di riferimento nella narrativa italiana. Con una prosa precisa,
aderente alle cose, realistica. Moravia ha espresso un ricco quadro
di costume, borghese e popolare, rappresentato con oggettività e
senza alcuna pretesa morale.
o Contemporaneamente Dino Buzzati, autore di romanzi e novelle fa
argomento della sua narrativa le ansie, le paure, le angosce, gli
incubi che vivono nel fondo della coscienza dell'uomo, creando
situazioni di surrealistica potenza.
o Una trascrizione surrealistica della vita contemporanea ispira anche
le novelle di Achille Campanile ed Ennio Flaiano.
o Il mondo della memoria e delle esperienze di vita è invece il motivo
ispiratore fondamentale delle novelle di Michele Saponaro, Natalia
Ginzburg, Giorgio Saviane, Vittorio Gassman.
o Alla rievocazione d'ambiente, condotta in chiave tra ironica e
sentimentale si rifanno le novelle di Giuseppe Marotta, Luca
Goldoni, Ugo Gregoretti, Luciano De Crescenzo, Gianni Rodari,
Massimo Grillandi e di tanti altri scrittori, noti e meno noti, che
vanno ad arricchire questo genere letterario ancora oggi, e forse
più che mai, attuale pur con le sue mille sfaccettature.
o Importante è anche la novellistica femminile: tra le autrici più
importanti e di successo del Novecento, va ricordata Ada Negri, che
con Le solitarie apre alla problematica della condizione femminile,
attraverso un insistito autobiografismo.

III. IL VIAGGIO IN DE AMICIS:


L’interesse per i viaggi di De Amicis ha origine dal suo lavoro di giornalista che
lo portò a viaggiare fuori dall’Italia come inviato speciale a partire dal 1871. È
significativo il fatto che De Amicis nelle sue “Memorie” dedicò un capitolo della
sezione riservata ai “viaggiatori”, al genovese Carlo Piaggia, esploratore
lucchese. Fra gli altri personaggi, uno spazio è dedicato anche a Jules Verne,
colto in occasione di una visita ad Amiens.
Lo sguardo curioso di De Amicis, reporter e giornalista, attento a cogliere i
dettagli, si sofferma anche sulle grandi capitali d’Italia. Il suo sguardo
interpreta quella nuova compagine sociale “borghese” che si delinea come la
classe dirigente che guida il Paese verso l’unità.
De Amicis fu senz’altro un grande viaggiatore fuori dall’Italia, attività da cui
nacquero diversi scritti, ma risulta interessante considerare quelle opere che
hanno contribuito alla dimensione del suo viaggio in Italia; il viaggio, quindi,
inteso come “fonte di emozioni e di diletto, più che come occasione di indagine
e conoscenza, e il resoconto dello stesso concepito di conseguenza come
strumento atto a sollecitare le stesse sensazioni in chi legge e a catturarne
pertanto l’attenzione e la curiosità, a colpirne la fantasia”. Questa capacità di
attrarre l’attenzione del lettore è un tratto caratteristico di De Amicis scrittore
di viaggio. Occorre sottolineare, però, che, se è vero che De Amicis “è
portatore di una cultura del viaggio come dimensione non secondaria della
cultura generale dell’epoca”, è anche vero che per De Amicis il viaggio diventa
un vero “veicolo sociologico”, è attento, cioè, a coglierne non solo l’ambiente
paesaggistico ma anche quello umano e culturale.
Alcune opere che paiono interessanti nell’ambito odeporico sono le
“Impressioni di Roma”, che contengono una serie di quadri relativi al momento
in cui De Amicis svolgeva le funzioni di corrispondente e osservava l’esercito
del generale Cadorna impegnato a liberare Roma. “Le tre capitali” è un libro
che testimonia il suo esercizio per la scrittura di viaggio; l’opera si configura
come un apprendistato, in cui De Amicis “incominciò a collaudare i tratti poi
caratteristici delle sue prose di viaggio”. Temi presentati sono il Risorgimento,
la lotta per l’indipendenza, i sentimenti patriottici, ma la caratteristica
fondamentale è che il viaggio è inteso come “un viaggio speciale: che assume
una grande attualità e che descrive non solo esituazioni, paesaggi, ambienti,
fatti, uomini e cose ma che riporta anche atmosfere, atteggiamenti, opinioni,
inclinazioni, timori, speranze. In altri termini, ricompone il quadro di una
cultura, fortemente connessa agli straordinari eventi che l’Italia viveva in
quello scorcio di secolo”.
È poi sempre lo sguardo di un piemontese che, dovendo andare a Roma, sente
il bisogno di salutare Firenze dalle colline di Fiesole; lo fa con un tono accorato,
che indugia sul planare della vegetazione e sulla morbidezza delle colline. La
descrizione della città procede per impressioni, soffermandosi su aspetti inediti
a chi guarda; egli stesso, da spettatore, ha l’impressione di vedere le case per
la prima volta.
Il senso della meraviglia e dello stupore torna anche a Roma, davanti alle
terme di Caracalla. Altre volte l’immagine è quella della città caotica, in cui si
ammassano case, persone e oggetti senza ordine, trasmettendo, in maniera
opposta, ancora più fascino. Si tratta di un viaggio compiuto nel momento in
cui Roma vedeva l’entrata dell’esercito nel settembre del 1870. In queste righe
impressionistiche della città De Amicis si configura come un viaggiatore diverso
rispetto all’atteggiamento che mantiene in altri suoi scritti, ad esempio
“Marocco”, “Costantinopoli” o “Sull’oceano”, dove l’attenzione del reporter
mette in luce i dettagli in quanto appare sotto i propri occhi, ma soprattutto
informa, annota, mantiene lo sguardo del giornalista. Qui ciò che vede lo
spettatore meravigliato diviene tutt’uno con le sensazioni che prova, si lascia
percorrere dalle emozioni che nascono dalla vista dei resti archeologici; rivive,
a modo suo, un passato che c’è stato e non è più.
Le città sono le mete preferite rispetto ai piccoli centri, soprattutto nella
seconda metà dell’Ottocento, in linea con quell’evoluzione della società
industriale che le colloca al centro del processo di cambiamento.
L’opera “prima” di De Amicis è “Cuore” e anche qui, pur se non in maniera
esplicita, il tema del viaggio è presente e percorre tutto il racconto,
sottendendo all’intreccio. Fin dalle prime pagine è chiaro il motivo politico ed
etico che sta alla base del libro, ovvero l’aspirazione ad avvicinare la borghesia
e il proletariato sulla base di valori condivisi da nord a sud. L’appartenenza dei
personaggi a tutte le categorie sociali realizza proprio questo ideale di un’Italia
unita, con tutte le sue contraddizioni e le sue varietà, che si riconosce in valori
comuni, anche se dal punto di vista politico il suo territorio non è ancora
completamente unificato.
Nel racconto mensile “Il piccolo patriota padovano” De Amicis ci regala
l’immagine di un’Italia che dopo l’Unità port con sé nuovi problemi. Non manca
infatti lo spaccato di un Meridione dove ancora regna il brigantaggio. Ma si
viaggia anche in America; il tema dell’emigrazione è presente anche solo nelle
righe dedicate a Crossi, compagno di classe che gli amici incontrano per strada
e di cui condividono la gioia per aver ricevuto una lettera dal padre emigrante.
Altri viaggi di De Amicis sono ricollegabili alla sua passione per la montagna;
questa sua passione la si può infatti notare nelle pagine in cui dipinge i monti,
ad esempio “Il Moncenisio”. La magnificenza del paesaggio alpino è colta in
tutti i suoi aspetti, dalla flora alla fauna, al mutare della luce che cambia e
definisce linee e contorni. Anche questi sono viaggi compiuti attraverso gli
occhi di chi ha scalato quelle montagne impervie, di chi è ritornato a salire in
cima, ha conquistato una vetta, una meta, perché il salire è anche un viaggio
dentro noi stessi. Sono percorsi compiuti nel silenzio della solitudine che porta
con sé la montagna, viaggi interiori che non possono essere rilevati da altri.

IV. LA NARRATIVA DEL SECONDO OTTOCENTO:


Nel secondo Ottocento italiano finiscono con l’esaurirsi gli ideali romantici e
questo fa sì che si sviluppino diversi movimenti letterari, tra cui il Verismo,
movimento che prende le basi dal Naturalismo francese. Se si osserva dall’alto
il panorama culturale del secondo Ottocento, l’impressione che si ricava è
quella che quasi tutti, pittori, scultori, fotografi, filosofi, letterati, vogliano, nelle
loro opere, dare una rappresentazione esatta, originale, profonda della realtà, o
almeno di un suo frammento. A fine secolo, nel 1898, Luigi Capuana, nel suo
scritto Gli “ismi” contemporanei, tornava a definire con chiarezza quel metodo
dell’impersonalità nell’arte e nel romanzo che in Francia aveva trovato i suoi
più tenaci assertori e realizzatori in Flaubert, nei fratelli Goncourt, in Zola e che
in Italia avrà la sua più alta espressione nelle opere di Giovanni Verga e
Federico De Roberto. Scriveva: “Un romanziere ha l’obbligo di dimenticare, di
obliterare se stesso, di vivere la vita dei suoi personaggi. Il romanziere non
deve avere nessuna morale, nessuna religione, nessuna politica sua
particolare, ma penetrarle e intenderle tutte, spassionatamente almeno per
quanto è possibile”. Questo metodo dell’impersonalità, nel quale si sente la
lezione desanctisiana del realismo, era per Capuana l’ideale dell’opera dell’arte
moderna. Agli occhi dei suoi contemporanei Capuana, personificò, grazie
soprattutto alla sua brillante e polemica carriera di giornalista, l’assertore più
convinto e teoricamente agguerrito del verismo. Il suo capolavoro è “Il
Marchese di Roccaverdina”. Al metodo dell’impersonalità tipico del naturalismo
e del verismo italiano ed europeo aderì, e ne diede maggiori risultati, l’opera di
Giovanni Verga, certo il maggior romanziere con Federico De Roberto, delle
nuove “Italia unita”. Questo nuovo metodo venne utilizzato per la prima volta
con la novella “Nedda”. I primi romanzi di Verga risentono fortemente delle
suggestioni dell’ambiente letterario costituito dai suoi maestri, tra cui Antonio
Abate, i quali auspicavano il rinnovamento delle lettere ed erano dotati di
spirito patriota (amor di patria, ricostruzione storica, dramma intimo e
psicologico). A Firenze, il giovane scrittore, diede inizio a una nuova fase della
sua narrativa: il “ciclo mondano”. La fase storico-patriottica era ormai conclusa:
in opere come “Eros”, “Storia di una capinera”, “Una peccatrice”, ciò che ora
predomina è l’introspezione psicologica, è la passione d’amore sensualmente
esagitata, è l’intreccio non raramente melodrammatico, è la descrizione
dell’ambiente borghese o altoborghese o addirittura nobiliare, è anche la vita
degli artisti e il sentimento dell’arte. Tra i due romanzi si inseriscono le grandi
raccolte delle novelle verghiane, del tutto immerse nel clima potentemente
drammatico, brutale, nudamente elementare di un’umanità di paese in cui le
passioni della lotta per la vita e dell’ambizione risultano in certo modo così
schiette da divenire palpabili. L’espressione forse più compiuta della narrativa
di Verga è quella contenuta nel suo primo grande romanzo verista: “I
Malavoglia”. Ciò a cui lo scrittore mirò fu il tentativo di dare, attraverso una
semplicità di linee e un’uniformità di toni, l’efficacia della coralità dell’insieme,
e far sì che, a libro chiuso, tutti i personaggi che lo scrittore aveva posto. Verga
descrive nelle sue opere, servendosi di apposite tecniche come lo
straniamento, la regressione e l’impersonalità, la situazione dell’Italia
postunitaria, caratterizzata da profonde differenze tra nord e sud, riportando
nero su bianco il dramma della disumanizzazione e del cinismo tipici della
classe borghese in seguito all’avvento del progresso industriale e ponendo
l’obiettivo verso il gradino più basso della classe sociale dell’umile Sicilia
soffermandosi sull’interiorità degli individui.
Oltre al Verismo, subito dopo l’unità d’Italia, si sviluppa la letteratura per
ragazzi, rivolta in particolare ad un ampio pubblico borghese e orientata a fini
educativi. Libri e periodici per l’infanzia nel neonato Regno d’Italia veicolano i
valori della classe dominante e naturalmente la grammatica italiana,
sconosciuta ai più data la preponderanza dei dialetti nella lingua parlata. Essa
nasce perchè l’educazione era un’esigenza fortemente sentita nell’Italia
postunitaria e proponeva esempi di integrità morale, forza di carattere,
dedizione al dovere, amor di patria, rispetto della famiglia, della religione, delle
istituzioni, laboriosità, onestà, solidarietà con i meno fortunati. In Italia due
scrittori in particolare si sono interessati all’universo infantile lasciando dei
capolavori ancora oggi amati e ricordati malgrado la loro sostanziale diversità,
ma entrambi caratterizzati da una visione laica della società tesa a sviluppare
nel bambino l’idea di futuro suddito del regno. Da un lato troviamo quindi
Collodi e dall’altro De Amicis.
Carlo Lorenzini, noto come Collodi, è autore dell’immortale Pinocchio. Collodi
pone ogni riuscita nella laboriosità, offre il successo anche a colui che, di
origine più che umile (vegetale, il pezzo di legno), con il lavoro, l'obbedienza, il
sacrificio, si sappia fare avanti; sono più o meno le stesse tematiche affrontate
da De Amicis ma in questo caso non c’è il peso pedagogico, punta infatti ad
una straordinaria inventività fantastica e avventurosa. Viene anche analizzato il
rapporto familiare ragazzo-adulto, il quale riflette il rapporto sociale lavoratore-
padrone: emergono i doveri del ragazzo lavoratore «in nuce» e il sistema degli
adulti e dei padroni non è mai discusso. Il riferimento costante come
degradazione da evitare è il vagabondo, il non inserito (Lucignolo, Gatto e
Volpe, gli abitatori di Acchiappacitrulli, del paese dei Balocchi); chi non si
inserisce in tempo è emarginato definitivamente senza possibilità di recupero
(Lucignolo muore asino stanco).
Edmondo De Amicis, con il suo “Cuore”, propone una scuola che “agisce da
filtro ideologico e da motore di interpretazione … luogo di formazione etica e
civile, fulcro di una emancipazione universale”. È un libro dall’intento
pedagogico che mira a “fare gli italiani”. Propone un galateo sociale, morale,
sentimentale per i giovani figli delle famiglie borghesi. Egli vede tali giovani
come i primi futuri nuovi dirigenti dell'Italia unita da istruire eticamente al
progresso moderato nell'amore dell'esercito, della famiglia, della scuola, del
lavoro, della pace tra le classi sociali. L'età umbertina vi è rappresentata
attraverso la vita di una scuola elementare torinese in cui si trovano ragazzi
anche di altre regioni e delle diverse condizioni. Non pochi dei problemi trattati
erano scottanti: analfabetismo, dissidio conseguente alla repressione del
brigantaggio effettuata dai «feroci» piemontesi contro i «barbari» siciliani e
calabresi, problema sociale, problema meridionale. Anche nel “Cuore” il
sistema borghese è salvaguardato nella sua superiorità. In questo romanzo
inoltre De Amicis è convinto dell'esaurimento della funzione storica della
borghesia e dell'avvento del Quarto Stato.
In questo contesto si sviluppa anche la Scapigliatura. Si tratta di un movimento
che ha origine nell’ultimo trentennio dell’Ottocento a Milano. Gli scapigliati
sono un gruppo di intellettuali giovani, ribelli, maledetti con qualche
ascendenza nel Verismo per l’intento artistico di natura realistica e
antiborghese, che viene esasperato e assume una svolta dissacrante e
antiperbenista, ma che in definitiva non riesce a elaborare una proposta. Essi
assumono un atteggiamento di ribellione e non accettazione della società in cui
vivono (maledettismo). Tuttavia elaborano nuove tematiche: il vero e l’ideale
infatti assumono un atteggiamento ambivalente: da un lato si aggrappano ai
valori del passato (bellezza, arte, natura) che il progresso va distruggendo, e
dall’altro rendendosi conto che ormai questi ideali sono perduti si rassegnano a
rappresentare il vero. Questo atteggiamento viene chiamato dualismo da
Arrigo Boito e quindi divisi tra ideale e vero, bene e male, virtù e vizio, bello e
orrido. Vivono continuamente nell’angoscia, nell’incertezza, nella disperazione
esistenziale e nelle loro opere è evidente la frantumazione della linearità
temporale (confusione dei tempi verbali). Gli scapigliati più famosi furono
Emilio Praga, Arrigo Boito e Carlo Pisani Dossi.

V. IL REALISMO MAGICO:
“Precisione realistica di contorni, solidità di materia ben poggiata sul
suolo e intorno come un’atmosfera di magia che faccia sentire, traverso
un’inquietudine intensa, quasi un’altra dimensione in cui la nostra vita si
proietta”; questa è la definizione del realismo magico fornita da
Bontempelli nel 1938. Fantasia e realtà sono i due elementi cardine delle
opere di Massimo Bontempelli, in equilibrio tra due opposti che,
respingendosi, si attraggono. La libertà assoluta della fantasia e la
consistenza distaccata della realtà conferiscono alla sua arte una volontà
di assoluto, di assurdo ed imprevedibile come una favola: il “realismo
magico”.
Un’altra definizione viene invece data da Giovanni Cappello,
ambasciatore e armatore italiano: su tratta “Di una sorta di ossimoro in
cui vengono opposti e mantenuti in contatto due elementi
semanticamente in contrasto: da una parte ‘realismo’, sostantivo, con
tutte le implicazioni, dalle più ovvie alle più tecniche; dall’altra,
l’aggettivo ‘magico’”.
Verso la prima metà del Novecento si sviluppa una particolare stile
narrativo identificato con il termine di “realismo magico”, il cui iniziatore
è Massimo Bontempelli. Esso è costituito dalla presenza di un fattore
magico e soprannaturale, generalmente neanche spiegabile, ma che
agisce sulla vita dei personaggi, ne determina le azioni ed è inevitabile.
Questo fattore magico, in sostanza, non è altro che la realtà stessa, la
quale è l’inevitabile sovrastruttura sociale e culturale contro cui ognuno
dei protagonisti di un romanzo si trova a confrontarsi nella quotidianità.
Questo particolare stile si basa sull’irruzione del fantastico, dell’inconscio,
dell’assurdo nella banalità della vita quotidiana; vi è inoltre esaltazione di
sorpresa, terrore, umorismo, la presenza di un oggetto in quanto sogno, il
quale funge da mediatore che segnala di passaggio (passaggio dalla
realtà al sogno) e il sogno perturbante. Per quanto riguarda le tecniche
utilizzate gli autori del realismo magico prediligono la descrizione
minuziosa e particolare, l’utilizzo dell’ellissi e della metafora.
I seguenti elementi si ritrovano in molti romanzi del realismo magico, ma
non tutti si possono trovare in ogni romanzo e molti si ritrovano in
romanzi che ricadono in altri generi.
o Contiene un elemento magico e sovrannaturale (o paranormale).
o L'elemento magico può essere intuito ma non è mai spiegato.
o I personaggi accettano invece di mettere in questione la logica
dell'elemento magico.
o Esibizione di ricchezza di dettagli sensoriali.
o Distorsioni temporali, inversioni, ciclicità o assenza di temporalità.
Un'altra tecnica è quella di collassare il tempo in modo da creare
un'ambientazione in cui il presente si ripete o richiama il passato.
o Inversione di causa ed effetto, per esempio un personaggio può
soffrire prima che una tragedia avvenga.
o Incorporare leggenda e folklore.
o Presentare eventi da prospettive multiple, ad esempio il credere ed
il non-credere o il colonizzatore e il colonizzato.
o Può essere una evidente ribellione contro un governo totalitario o
contro il colonialismo.
o Può essere ambientato in o provenire da un'area di mescolanza
culturale.
o Usa un riflettersi del passato e del presente, dei piani astrali e fisici,
o dei personaggi.
Il termine "realismo magico" può non essere visto solo come uno
specifico movimento storico-geografico, infatti spesso viene inteso come
un elemento di stile che può essere rilevato in una grande varietà di
romanzi, poesie, dipinti e opere cinematografiche non solo del
Novecento. Ad esempio ultimamente il realismo magico è stato ripreso
dal regista messicano Iñárritu, che grazie al successo dei suoi film lo ha
portato ad un pubblico più vasto.

VI. IL SEGRETO DEL BOSCO VECCHIO:

 TRAMA:
Antonio Morro, proprietario di una vasta tenuta boschiva muore lasciando
in eredità a suo nipote Sebastiano Procolo e al nipote di quest’ultimo,
Benvenuto Procolo, il suo bosco. Lo scambio per il colonnello (il sig.
Procolo) sembrava ineguale: a lui era toccata una parte piccola della
tenuta, il Bosco Vecchio, ed una casa in cima ad una collina appena fuori
il bosco centenario, mentre a Benvenuto una parte più vasta. Appena
Procolo arriva alla sua nuova villa e vede il bosco pensa che tutta quella
legna gli sarebbe fruttata bene; ma i suoi sogni vengono infranti dal
signor Bernandi, membro della commissione forestale. Sebastiano cerca
in tutti i modi di sopraffare il Bernardi per poter abbattere il bosco e di
uccidere il nipote Benvenuto per acquisire la sua parte di foresta. I sogni
del colonnello prendono forma quando conosce, dopo averlo liberato
dalla sua prigionia, il vento Matteo che per gratitudine gli promette che lo
avrebbe servito fino alla sua morte. Il vento fa vari tentativi per uccidere
il nipote di Procolo, ma tutti falliscono a causa della sua prolungata
prigionia. Però una notte Sebastiano attratto da voci provenienti dal
Bosco Vecchio ne scopre il segreto: il bosco è abitato da genii, e fra
questi c’era il sig. Bernardi. Nel frattempo il vento Matteo scopre che è
stato rimpiazzato da un altro vento: il vento Evaristo, dopo una cruenta
battaglia fra i due il secondo vince sul primo che si ritira isolandosi. Il
colonnello decide così di uccidere con le sue mani suo nipote, lo porta nel
Bosco Vecchio con l’intento di abbandonarlo, ma si perdono entrambi.
Procolo perde le tracce di Benvenuto, passa alcuni giorni solo nel bosco,
finché non ritrova il nipote vivo, riportandolo così alla sua tenuta.
Dopo di ciò il colonnello viene processato da un tribunale di uccelli e
condannato colpevole di aver tentato di uccidere di uccidere il proprio
nipote. Come condanna la sua ombra si rifiuta di essere l’ombra di un
assassino. Dopo alcuni giorni Benvenuto si ammala gravemente,
nemmeno i dottori lo potevano aiutare, così Sebastiano va dal Bernardi e
poiché lui è un genio gli chiede di aiutare suo nipote. Il genio lo fa, ma in
cambio vuole che Procolo smetta di tagliare la legna al Bosco Vecchio.
Tornando a casa il colonnello scopre che la sua ombra rea tornata. Il
giorno della vigilia di capo d’anno, durante la notte Matteo da una notizia
al suo padrone: Benvenuto era stato travolto da una slavina mentre
sciava. Appena il vento se ne va via il colonnello va a cercare suo nipote,
lo cerca ma non lo trova, nella foresta intanto si sparge la voce e molti
animali accorrono a vedere, dopo una lunga ricerca nella neve
Sebastiano Procolo è appoggiato morente ad un albero. Matteo accortosi
di ciò rivela al suo proprietario che era tutta una burla per tirarlo su di
morale per il primo giorno dell’anno, così Procolo prima di morire chiese
scusa al suo servo per avergli mentito riguardo ai suoi sentimenti per
Benvenuto. Il vento va in fine dal nipote del deceduto a dargli la
spiacevole notizia, spiegandogli che anche lui si sarebbe disciolto col suo
padrone. Benvenuto decide di seguirlo fino alla sua fine, al momento
della morte del vento egli disse al ragazzo che sarebbe diventato un
degno successore di suo zio, e che dal giorno successivo sarebbe tutto
cambiato, lui non avrebbe più sentito le voci della foresta.
Altra trama: racconta le vicende di Sebastiano Procolo, colonnello in
pensione dal carattere rigido e meticoloso, che riceve in eredità una
porzione di tenuta boschiva, chiamata Bosco Vecchio dagli abitanti del
luogo, presso la località Valle di Fondo. Presto gli interessi del Procolo
vengono a scontrarsi con le ragioni degli spiriti abitanti della foresta, che
cercano di opporsi al taglio degli alberi voluto dal nuovo padrone. Il
colonnello riesce poi a stabilire un patto con gli spiriti silvani grazie
all’alleanza con un’entità temuta in tutta la foresta, il Vento Matteo. É
così che, stabilita la propria supremazia sul Bosco Vecchio, Sebastiano
comincerà a provare l’oscuro e perverso desiderio di uccidere il nipote
Benvenuto, dodicenne orfano residente in un collegio poco distante e
beneficiario della porzione di bosco più ampia, per godere pienamente
delle sostanze lasciate in eredità.

 LA STESURA DEL ROMANZO:


Fu terminata nel 1934, in pieno regime fascista, in piena censura e
serrato controllo delle pubblicazioni e allora si può capire come la strada
letteraria della narrazione fantastica fosse quasi obbligata per poter
continuare a raccontare, anche se con il velo delle metafore e l’aspetto
della letteratura per l’infanzia.

 IL MITO:
I protagonisti sarebbero, dunque, dei veri e propri archetipi; il saggio
“Figure mitologiche e immagini archetipiche” di Vittorio Caratozzolo
mette in relazione la figura di Sebastiano a quella mitica di Urano e
Crono/Saturno, i quali “con violenza rifiutano i propri figli per timore di
esserne detronizzati”. Il personaggio di Benvenuto, invece, sarebbe
accostabile all’immagine del fanciullo divino, creatore di conflitti
all’interno dell’uomo. La figura del Bosco Vecchio sarebbe, secondo
Caratozzolo, accostabile all’Ade, a cui viene attribuita, nell’analisi
psicologica del mito, la funzione di regno delle anime e dell’inconscio.
Dunque, una volta chiarite le rispettive immagini archetipiche che si
celano dietro a queste tre figure, è facile giungere ad una sensata
conclusione interpretativa. Benvenuto, figura dionisiaca, riesce a
comunicare col Bosco Vecchio, cioè con l’inconscio, cosa che Sebastiano
non è più in grado di fare e per questo adotta un atteggiamento
aggressivo verso il ragazzo, minaccia di una primitività caotica. Questa
linea di lettura dell’opera è avvalorata dal fatto che “Il romanzo di Buzzati
sembra addirittura giovarsi del vento propulsivo che al tempo stesso
sospinge Jung nelle sue ricerche sull’inconscio collettivo”.

 ANALISI DEI PERSONAGGI:


o Sebastiano Procolo: era un ex colonnello militare prima che
andasse in pensione, è una persona alta e magra, con due
appariscenti mustacchi bianchi. Il suo carattere è stato forgiato
dalla vita militare, nell’esercito, come nella vita, era un
comandante rigido e meticoloso; nella vita era una persona
burbera, che si arrabbiava con tutti per una minima imprecisione,
ma sotto questo suo aspetto si nasconde un’insicurezza dovuta alla
mancanza di amici, e nel corso della storia questo lo segnerà
perché riuscirà a scoprire che ha amici solo al momento della sua
morte.
o Vento Matteo: vent’anni prima che il colonnello lo liberasse era il
vento più forte che fosse mai esistito, ma fu imprigionato.
Sebastiano Procolo lo liberò e gli fece giurare eterna libertà. Matteo
è l’unico amico del colonnello. Tutto quello che il suo padrone gli
ordinava lo faceva, però allo stesso tempo era orgoglioso, voleva
essere, nonostante i vent’anni di prigionia, il migliore, e proprio il
suo orgoglio lo farà sconfiggere dal vento Evaristo.
o Signor Bernardi: membro della commissione forestale della valle, in
realtà un genio del Bosco Vecchio, è alto e molto robusto,
dall’espressione cordiale. Durante l’intera narrazione il genio cerca
in tutti i modi, prima con il sig. Morro e poi con Procolo, di
salvaguardare il suo bosco e tutti i suoi abitanti. E’ una persona
testarda, per raggiungere i suoi scopi è capace a far di tutto.
o Benvenuto Procolo: ragazzino di dodici anni dal fisico gracile,
orfano di entrambe i genitori e destinato ad essere tutelato dal
signor Morro prima della sua morte e dopo dal colonnello. E’ un
ragazzino che deve affrontare i suoi compagni del collegio che lo
discriminavano, e il passaggio dall’infanzia in cui ogni sogno si può
avverare alla sua crescita intellettuale e quindi alla vita d’adulto.

 ANALISI DELLO SPAZIO:


Nel romanzo prevalgono gli spazi aperti: infatti tutto il romanzo è
ambientato nel Bosco Vecchio e nella valle intorno ad esso, rare volte la
narrazione è ambientata nella casa di Sebastiano Procolo (ad esempio
quando Benvenuto si è ammalato). Secondo me il Bosco Vecchio e tutto
ciò connesso ad esso, è una rappresentazione di come le persone
cambiano nel corso della loro vita, o tutti gli animali che ci abitano sono
animali che in un qualche modo rispecchiano alcuni difetti delle persone
portati un po’ all’eccesso. Le vicende narrate ruotano attorno al Bosco
Vecchio, “la foresta sacra dove affondano le loro radici l’infanzia dello
scrittore e quella dell’umanità”, dimora magica e misteriosa di spiriti
degli alberi e animali parlanti. Proprio la parola, facoltà esclusiva
dell’essere umano, è qui concessa sia ad animali sia ad oggetti inanimati.
Ecco, dunque, una gazza che recita poesie, il vento che intrattiene gli
abitanti del bosco con le sue canzoni, un topo che si lamenta di dover
dividere il proprio letto con un ragazzo. La personificazione di animali ed
oggetti è certamente un tratto caratteristico del racconto favolistico-
fantastico, ma Buzzati riesce con il suo stile a farlo proprio e ad esporlo in
modo originale.

 ANALISI DEL TEMPO:


Il tempo della storia non è collegato direttamente con il tempo del
racconto, spesso da capitolo a capitolo passano mesi. La fabula e
l’intreccio non coincidono: il racconto è ricco di ellissi, pause e analessi.
Molte ellissi le troviamo nei passaggi tra giorno e notte; delle analessi le
si trovano quando il signor Bernardi racconta a Procolo la storia del vento
Matteo; le ellissi sono le più presenti fra le differenze tra fabula e
intreccio, anche perché Buzzati è un giornalista, e si sofferma a
descrivere minimo particolare delle varie vicende, dalle ore precise in cui
avvenimenti accadono a descrizioni di piccoli rumori o piccoli
cambiamenti di persone quasi impercettibili se non evidenziate
dall’autore. Il mondo fiabesco entra in contatto, nel romanzo, con un
tempo che a tratti si fa quasi cronachistico. Avviene così che,
nell’originalità artistica di Buzzati, il genere a-temporale o fuori dal tempo
del racconto popolare si amalgama con quello del giornalismo. Abbiamo
dei riferimenti temporali così precisi da poter calcolare con esattezza la
durata della vicenda: più o meno un anno e mezzo, dalla primavera del
1925 al primo di gennaio del 1927. Questo avviene perché l’autore vuol
far rientrare il suo “fantastico” nei confini del reale. Ma nell’opera vi sono
altre due tipologie temporali. Prima di tutto, il tempo lineare della fabula
e dell’intreccio, spezzato da alcune alterazioni come analessi e prolessi o
da alcuni episodi a sé stanti; d’altra parte, il tempo inteso come
dimensione della giovinezza e della maturità. La giovinezza è l’età in cui
è ancora possibile stabilire un rapporto con l’aspetto magico della natura,
mentre la maturità determina una rottura con esso. Ecco, quindi, che i
due protagonisti, Benvenuto e Sebastiano, incarnano rispettivamente
l’uno e l’altro aspetto.

 TIPOLOGIA DEL NARRATORE E SUO PUNTO DI VISTA:


Il narratore è interno alla vicenda ma non collegato direttamente ad essa;
la narrazione sembra che avvenga quasi come se qualcuno raccontasse
la storia a voce, la focalizzazione è mista perché ci sono momenti in cui
sembra che ne sa di più dei protagonisti, ma anche momenti in cui non
sa bene cosa sia successo.

 TEMATICHE:
o L'irrazionale ossequio a una regola inconoscibile e tirannica;
o L’angosciosa ricerca di un senso della vita;
o Luoghi metafisici, immagini simbolo della solitudine e della
impossibilità di sfuggire al proprio destino (qui Bosco Vecchio,
come in Barnardi delle montagne la montagna e nel Il deserto dei
Tartari il deserto);
o L'inesorabilità dello scorrere del tempo ("...l'assillante scansione
delle ore, del tempo, delle stagioni";
o La sacralità della natura, qui rappresentata dal Bosco Vecchio
popolato di geni, alberi viventi e animali parlanti;
o Il passaggio dall'infanzia alla maturità, dalla fantasia alla
razionalità: è il percorso compiuto da Benvenuto, che abbandona
un mondo costituito da spiriti del bosco e altre creature fantastiche,
per entrare nell'età della coscienza, nel mondo degli uomini spesso
fatto di cattiverie e crudezze;
o La caduta e la redenzione: Sebastiano, divorato dal demone
dell'avarizia, riscopre il contatto con la natura e l'altruismo fino al
sacrificio. Indicativa in tal senso la narrazione della perdita
dell'ombra di Sebastiano, che sembra alludere allo smarrimento
dell'immagine di sé come causa di depressione, dalla quale l'uomo
si risolleva (l'ombra ritorna) ritrovando l'affetto per il nipote. È
inoltre presente una tematica di tipo ecologico con riflessioni sulla
necessità della convivenza tra l'uomo e l'ambiente naturale per la
sopravvivenza di entrambi;
o La paura e il rifiuto della vita di città, il cui emblema, di contro alla
nuda e sincera verità della montagna, è la pianura: il luogo di esilio;
o La dimensione onirica, manifesta il bisogno di immergersi nella
potente e incontrollabile forza della natura, rigeneratrice e
devastante; il recupero di un contatto con le presenze animali e
vegetali, proiezioni fantasmatiche che popolano e animano il
“regno segreto” di Buzzati, colorano e accompagnano l’inevitabile
commistione tra il piano realistico, caparbiamente difeso dal
colonello Procolo, e quello fantastico, dato dall’aura che avvolge
tutti i personaggi umani e non del racconto;
o È un percorso iniziatico, una prova di coraggio, una ricerca di
sentimenti puri e di umanità che deve portare al trionfo del bene
sul male; proprio come nelle favole. Sebastiano Procolo è
intenzionato ad abbattere il bosco per fini speculativi e spinto dalla
bramosia vuole impossessarsi anche della parte di proprietà che è
toccata a Benvenuto; la sua avidità lo condurrà persino a stipulare,
contraddicendo la sua razionalità di uomo dell’esercito, un’alleanza
col terribile vento Matteo per progettare l’omicidio del nipote. Alla
fine però Sebastiano fa spazio nel suo cuore all’affetto per il nipote
e rimedia alla situazione che tragicamente precipita sacrificando sé
stesso. Il romanzo quindi è un vero e proprio percorso di
formazione che riflette sul senso delle occasioni perdute e sulla
solitudine, e porterà il colonnello e il nipote ad essere persone
diverse alla fine della loro storia; entrambi mutano i propri punti di
vista, il colonnello riacquista dignità, il nipote saggezza: c’è chi
cresce e c’è chi muore.

 RIFLESSIONI PERSONALI:
La riflessione che questo libro vuole infondere è da ricercarsi nell’ultima
frase che il vento Matteo dice a Benvenuto prima di svanire: «Tu domani
sarai molto più forte, domani comincerà per te una nuova vita, ma non
capirai più molte cose: non li capirai più, quando parlano, gli alberi, né gli
uccelli, né i fiumi, né i venti… rideresti anzi di queste cose». Questa
frase, secondo me, sta a significare che solo se si resta semplici come
bambini si possono scoprire o apprezzare cose che se così non fosse non
si sarebbero nemmeno notate. l segreto del Bosco Vecchio è, dunque, un
invito a riscoprire la parte più intima e genuina nascosta in noi, alla
ricerca del piccolo Benvenuto che può aiutarci a ristabilire, o, almeno, a
ricordare l'entusiasmo con cui da fanciulli sapevamo guardare alla vita.

VII. L’ALFABETIZZAZIONE EMERGENTE:


 COS’E’ L’ALFABETIZZAZIONE EMERGENTE:
In generale, “alfabetizzazione” è un termine italiano non
pienamente corrispondente al polisemico inglese “Literacy”, che si
riferisce sia al fatto di possedere una certa familiarità con la lingua
scritta, sia i modi con cui si perviene a questa familiarità.
L’esperienza del bambino con la lingua scritta precedente
l’insegnamento formale di lettura e scrittura è definita come
alfabetizzazione emergente.
Nell’accezione attuale, l’alfabetizzazione emergente designa un
costrutto complesso di abilità, atteggiamenti e processi tra loro
interdipendenti, che si presume siano i precursori evolutivi della
lettura e scrittura convenzionali. Sullo sviluppo di questi processi
influiscono sia le opportunità ambientali a carattere informale, sia
le pratiche che mirano intenzionalmente a incrementarli, anche se
al di fuori di un quadro sistematico di istruzione. Questa forma di
alfabetizzazione privilegia l’esplorazione attiva dei materiali scritti
anziché l’analisi di segni e suoni, incentiva la costruzione di regole
su base intuitiva, valorizza lettura e scrittura spontanee, fa entrare
il bambino con il mondo dell’alfabeto.

 QUALI SONO I PRECURSORI EVOLUTIVI DELL’ALFABETIZZAZIONE


EMERGENTE:
I precursori sono intesi come l’insieme delle abilità di base che gli
allievi devono dimostrare di possedere per poter accedere
all’insegnamento formale di lettura e scrittura. I precursori evolutivi
nella prospettiva dell’alfabetizzazione emergente sono:
o Consapevolezza fonologica: è la capacità di decentrarsi dal
significato delle parole orali e di rendersi conto che esse
costituiscono anche ?? di suoni, suddivisibili in unità sub-
lessicali più piccole: sillabe e fonemi. È componente della più
generale consapevolezza metalinguistica; essa ha valore
predittivo nei confronti della capacità di decifrazione e di
codifica alfabetica, questa può essere potenziata, soprattutto
per quanto concerne le abilità di individuazione e di controllo
dell’unità fonologica.
o Consapevolezza semantica: è la sensibilità al significato delle
parole. Essa si basa dapprima su caratteristiche percettive e
fisico-geometriche tipiche di certi oggetti, dando luogo a
fenomeni di sottoestensione (il bambino utilizza il termine
“bambola” per riferirsi solo alla sua bambola) e
sovraestensione (utilizza il termine “cane” per riferirsi in
generale agli animali a quattro zampe). Poi, con
l’acquisizione del linguaggio, il significato è costruito su
sistemi categoriali di appartenenza, in cui le parole sono
progressivamente inserite all’interno di reti che includono
significati connessi tra loro da qualche relazione.
o Scrittura inventata: è predittiva della correttezza e fluidità di
lettura e scrittura, rientra la consapevolezza linguistica, ossia
la capacità di segmentare il discorso in parole.

VIII. LA COMPRENSIONE DEL TESTO:

 COSA SI INTENDE PER COMPRENSIONE DEL TESTO:


Per comprensione del testo si fa riferimento all’attività di
costruzione del significato del testo in cui concorrono aspetti
linguistici e attività di pensiero (memoria, attenzione,
ragionamento). La comprensione è un’attività di elaborazione
cognitiva finalizzata alla costruzione il significato del testo ed è un
processo dinamico che richiede la produzione di rappresentazione
coerenti e di inferenze a molteplici livelli. Tale processo può essere
descritto sinteticamente nei termini seguenti:
o La memoria prende in carico il materiale linguistico e lo
sottopone ad elaborazione;
o Attraverso questa attività, le informazioni linguistiche
vengono rielaborate in una forma adatta ad essere
conservate;
o La mente del lettore utilizza le strutture di conoscenza
disponibili in memoria per riconoscere il significato delle
informazioni linguistiche;
o Tali strutture sono continuamente aggiornate e create
mediante l’interazione con informazioni nuove.
Il processo del comprendere si svolge a più livelli: il primo riguarda
l’analisi di superficie in cui vengono elaborate singole parole e frasi
del testo (comprensione letterale); il secondo livello si riferisce alla
coerenza locale, risultato della costruzione del significato di brevi
frequenze frasali (comprensione inferenziale); il livello più profondo
è relativo alla coerenza globale e consiste nella costruzione della
rappresentazione semantica. Quest’ultima si basa su informazioni
esplicite e informazioni inferite dal lettore grazie alle sue
conoscenze del mondo.
Più precisamente ricordare un testo significa essenzialmente
saperlo riprodurre più o meno fedelmente in forma parziale o
completa e lo sforzo cognitivo è volto alla memorizzazione.
Apprendere è un processo che implica i primi due e significa saper
usare l’informazione del testo in funzione di un determinato
compito per l’acquisizione di nuove conoscenze.

 COSA IMPLICA LA COMPRENSIONE DEL TESTO:


Il processo di comprensione implica un lavoro di costruzione di una
rappresentazione mentale ovvero modello della situazione. Per
ottenerla, il processo di comprensione della lettura si articola nei
due processi:
o Costruzione dei significati usando input linguistici e
conoscenze pregresse;
o Integrazione dei significati intervenendo su singole frasi o
brevi periodi.

 COSA SONO LE INFERENZE:


Le inferenze sono informazioni attivate durante la lettura e non
esplicitamente affermate nel testo che concorrono alla costruzione
di una rappresentazione semantica coerente. Just e Carpenter
sostengono che il ruolo principale delle inferenze consiste nel
creare connessioni tra frasi, quando tali connessioni non sono
espresse in modo esplicito; inoltre permettono al lettore di
attribuire il significato più adatto a parole polisemiche.

 QUALI SONO GLI ELEMENTI CHE INFLUISCONO NELLA


COMPRENSIONE:
Per comprendere ciò che si legge non sono sufficienti le
conoscenze linguistiche. Vi sono infatti dei fattori che influiscono
nella comprensione di un testo: lo schema e lo script. Lo schema
funge da riferimento utile per discriminare il grado di importanza
delle informazioni, fornisce una struttura ordinata in base alla quale
organizzare informazioni nuove, ha funzione predittiva e permette
di trarre inferenze dal testo, facilita la memorizzazione e il recupero
del contenuto del testo. Lo script, un particolare tipo di schema, è
un’espressione con cui ci si riferisce a strutture di conoscenza
possedute dalle persone adulte circa situazioni o attività quotidiane
molto comuni e stereotipate. Essi sono contenuti della memoria
autobiografica, mentre gli schemi lo sono della memoria
semantica. Schemi e script hanno una funzione duplice: predittiva
poiché consentono di anticipare quello che il resto dirà più avanti, e
connettiva, in quanto dirigono il collegamento delle informazioni
del testo in forma coerente: essi stanno alla base, cioè, della
produzione di inferenze.

 QUALI SONO I DIVERSI TIPI DI INFERENZE:


si possono identificare diversi tipi di inferenze:
o Inferenze di tipo culturale: riferite al contesto spazio-
temporale;
o Inferenze dall’enciclopedia del mondo: indotte dalle
conoscenze quotidiane del lettore;
o Inferenze sugli stati interni dei personaggi: emozioni,
credenze, affettività;
o Inferenze sulle scelte linguistiche: lessicali, di registro e stile;
o Inferenze indotte dallo scopo dello scrittore: relative al punto
di vista dell’autore.
Van Den Broek ha distinto inoltre due tipi di inferenze causali:
retroattive e proattive. Le retroattive, dette anche inferenze ponte,
connettono un evento a quelli precedenti e concorrono a stabilire la
coerenza globale della narrazione. Le inferenze proattive non sono
essenziali per la comprensione poiché generano aspettative che
anticipano ciò che si dirà in parti successive del testo.

IX. LA SCRITTURA:
 DEFINIZIONE DI SCRITTURA:
La scrittura si definisce come l’insieme dei diversi comportamenti
che la producono e non tanto e non solo come prodotto finale.

 COSA SONO LE FACILITAZIONI PROCEDURALI:


Sono le azioni didattiche volte a sviluppare la consapevolezza dei
processi di scrittura.
L’insegnante alleggerisce lo sforzo cognitivo del compito, portando
l’alunno a occuparsi selettivamente dell’uno o dell’altro dei
processi di scrittura.

 DESCRIVI LE TRE FASI DELLA SCRITTURA:


All’interno del processo di scrittura si possono distinguono tre fasi:
pianificazione, trascrizione e revisione.
o La pianificazione consiste in un’attività di prefigurazione dello
sviluppo del testo ed è un processo essenzialmente
strategico, in quanto rivolto alla valutazione di alternative e
all’assunzione di decisioni conseguenti. Vi concorrono tre
sotto-processi: la generazione di idee, la loro organizzazione
e il porre obiettivi.
o La trascrizione rappresenta la fase esecutiva ed osservabile
dello scrivere, durante la quale i piani elaborati in precedenza
sono trasformati in testualità. Trascrizione vuol dire dunque
trasformare il progetto del testo in prodotto vero e proprio e
fare continue prove, scritture provvisorie e apportare
modifiche.
o La revisione si definisce come l’insieme dei tentativi effettuati
da uno scrittore per migliorare il testo o il piano che ne sta
alla base e si compone della rilettura e della correzione. Il
processo di revisione si compone di due operazioni: rilettura
del testo completato o prodotto fino a un certo punto,
correzione di una o più parti. Rivedere il testo significa quindi
controllare il testo prodotto per verificare se corrisponde a ciò
che si voleva comunicare e apportare le modifiche
necessarie. La revisione porta a modifiche locali (correzioni
che cambiano la superficie del testo, ma non la sua
impostazione, né il piano della scrittura) e globali (correzioni
che intervengono sull’organizzazione delle idee, sull’ordine di
presentazione delle informazioni, sull’impostazione generale
del testo).

 SCRITTURA COME PROCESSO RICORSIVO:


Il modello di Hayes e Flower, oltre ad aver ispirato la ricerca
psicologica sulla scrittura per oltre un decennio, ha riscosso
notevole successo anche in ambito scolastico.
Hayes e Flower, studiosi dei processi cognitivi della scrittura, sono
stati tra i primi a dimostrare che un’abilità complessa come lo
scrivere è un processo ricorsivo e che quindi implica alcune fasi
precise:
o Pre-scrittura (o pianificazione del testo che comporta: la
ricerca, la memoria, la selezione e l’organizzazione delle idee
e dei piani per esprimerle);
o Scrittura e riscrittura (controllo dei singoli paragrafi/capoversi
ed eventuale riscrittura di ciò che non funziona o funziona
poco);
o Revisione o post-scrittura (controllo finale del testo per
cambiare e/o migliorare sensibilmente il proprio testoo
cambiandolo e potenziandolo nei suoi aspetti comunicativi).
Il termine “ricorsivo” fa riferimento al fatto che la scrittura sia
intesa come un processo unitario, nel quale le diverse fasi si
accompagnano l’una all’altra, a volte anche interrompendosi a
vicenda.
Sostanzialmente chi scrive passa attraverso queste fasi per diverse
volte.

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