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UMANESIMO

PARTE STORICA DELL'UMANESIMO


Già in Boccaccio e in Petrarca troviamo degli elementi pre-umanistici, infatti dalla
seconda metà del 300 si può cominciare a parlare dell’autunno del Medioevo, cioè
l’inizio del suo tramonto che cederà il passo a una nuova epoca, completamente
differente da quella precedente, un’epoca che nasce quando l’Italia era divisa in 5
grandi Stati regionali che saranno spesso in conflitto tra di loro, guidati dai capitani di
ventura nei conflitti, per motivi espansionistici e territoriali. Questi erano: il Ducato di
Milano, la Repubblica di Firenze e di Venezia, lo Stato della Chiesa e il Regno di Napoli.
Il Ducato di Milano inizialmente aveva come famiglia di riferimento i Visconti, infatti
Gian Galeazzo Visconti cercò di espandersi anche nei territori della Repubblica di
Venezia, aprendo un lungo scontro che terminò solo nel 1433, con un
ridimensionamento del Ducato di Milano. Nel 1447 la famiglia Visconti si estinse,
perciò salì al potere Francesco Sforza, un ex capitano di ventura al servizio dei Visconti.
La Repubblica di Firenze sarà l’ultima a trasformarsi in una signoria a causa della
resistenza delle istituzioni repubblicane, fino al 1434 quando Cosimo de Medici, poi
succeduto da Lorenzo il Magnifico, accentra il potere nelle sue mani facendo nascere la
signoria Medicea, la base dello sviluppo dell’Umanesimo e del Rinascimento, tant’è
che Lorenzo de Medici sarà autore di importanti poesie, come quella di Bacco e
Arianna, in cui emerge uno spirito edonistico tipicamente laico e umanistico
rinascimentale. Inoltre Firenze diventa il principale centro artistico e culturale d’Europa.
In tutto ciò c’è un rimando all’Umanesimo civile, cioè la prima fase dell’Umanesimo
che si affermò soprattutto a Firenze, durante la quale gli umanisti desideravano lasciare
un segno nella società e volevano trasmettere i valori classici alle nuove generazioni.
L’umanesimo civile però volse al termine con la caduta delle ultime repubbliche per
dare spazio alle Signorie.
Troviamo poi la Repubblica di Venezia, situata in una posizione strategica tra Oriente
e Occidente, che si scontrerà spesso con il Ducato di Milano per affermarsi soprattutto
nella pianura padana, dove iniziarono ad esserci delle attività produttive più avanzate.
Anche Firenze entrerà in conflitto con le varie città per affermarsi in tutto lo stato
regionale.
Il grande Stato della Chiesa consolida il suo potere nel centro dell’Italia e divenne uno
dei centri di prestigio culturale della civiltà rinascimentale, ma vedrà anche un forte
declino morale.
Nel Regno di Napoli gli Aragonesi presero il posto della corte francese dei d’Angiò e
conquistarono prima la Sicilia e poi, nel 1442, tutto il Regno di Napoli. Nel 1458 il Sud fu
diviso a Ferdinando che ottenne il Regno di Napoli, e al fratello Giovanni al quale
spettarono l’Aragona (in Spagna) e il Regno di Sicilia. L’Italia meridionale non visse
l’esperienza comunale e il passaggio dal comune alle signorie, generando una marcia
diversa sul piano economico che ancora oggi troviamo. Alla vita politica dei comuni
partecipavano solo i nobili e i borghesi mentre ne erano esclusi i contadini e gli artigiani.
Tutto ciò generò degli scontri che raggiunsero un compromesso con la pace di Lodi del
1454, quando, grazie alla politica d’equilibrio di Lorenzo il Magnifico venne compreso
che questi conflitti avrebbero portato l’Italia ad un indebolimento che sarebbe andato
a vantaggio degli stranieri. In realtà non sarà così perché, con l’arrivo in Italia di Carlo
VIII di Valois dalla Francia nel 1494, avvenne un tentativo di rivendicazione del Regno
di Napoli; da questo momento in poi, l’Italia sarà sotto il dominio degli stranieri, in
particolare francesi e spagnoli, fino al 1861 con l’unità d’Italia.
Nel frattempo in Europa si formarono gli Stati nazionali. La guerra dei 100 anni tra
Francia e Inghilterra, che volgerà al termine nel 1453, portò la Francia a perdere tutti i
suoi feudi e l’Inghilterra a consolidare i suoi domini nei mari ma con una sanguinosa
lotta interna, ovvero la guerra delle Due Rose, fra Lancaster e York, che arrivarono
alla pace con la salita al trono di Enrico VII Tudor nel 1485, che diede inizio alla dinastia
dei Tudor. Nel 1492 Cristoforo Colombo scoprì l’America, segnando una nuova
prospettiva geografica.
I PRINCIPATI
Tra il 300 e il 400 terminano le esperienze dei comuni, sostituiti dalle signorie che in
seguito si trasformarono in principati, visti come un potere legittimo, a differenza delle
signorie, che erano viste come un potere usurpato. I principati erano stati regionali
governati da un principe e caratterizzati dalle corti con le quali il potere diventa
ereditario, quindi passa di padre in figlio, proprio come in un regno nel quale il sovrano
cedeva il trono al suo erede. Un altro elemento principale era il riconoscimento del
principato stesso sia da parte dell'imperatore che da parte del pontefice. Sul piano
politico il potere era nelle mani di una sola persona per quanto riguarda la politica
interna, estera e l'amministrazione del territorio. Alcuni cambiamenti si verificarono
anche nella passiva partecipazione dell’aristocrazia e della borghesia, a differenza del
periodo comunale, e anche nella figura del cittadino che diventa suddito, che
obbedisce e subisce ma non può più prendere parte attiva alla vita istituzionale del
proprio territorio. Sul piano letterario, la corte non solo sarà composta da funzionari e
amministratori, ma anche da artisti e intellettuali che verranno protetti da principi e
signori al fine di procurarsi prestigio internazionale, consenso presso la popolazione e
per dare lustro alle proprie corti, dando vita al fenomeno del mecenatismo. I 5 stati
regionali si trasformano quindi in principati e diedero vita a un potere accentrato che
offriva molto spazio alla cultura e alla letteratura.
I TIPI DI INTELLETTUALE
L’intellettuale cittadino nel periodo umanistico sopravvisse solo a Firenze, perché
l’instaurazione della signoria Medicea avvenne solo negli anni ‘30 del 400 con Cosimo
de’ Medici. L’intellettuale cittadino non trae sostentamento dalla sua attività intellettuale,
ma dalla libera professione. Nelle loro produzioni emergono alcuni temi ancora attuali
perché l’intellettuale cittadino è un intellettuale impegnato, che partecipa fortemente
alla realtà che lo circonda, per cui si rivolge proprio ai suoi concittadini, per risvegliare
le loro coscienze.
L’intellettuale cortigiano invece vive della sua attività intellettuale, grazie alla
protezione economica dei signori e dei principi, che nelle loro corti ospitano questi
intellettuali, i quali lavorano anche come segretari di corte, bibliotecari e diplomatici
perché, avendo una grande proprietà dialettica, venivano mandati spesso in viaggio
per siglare degli accordi sul piano diplomatico, come avviene per esempio con Petrarca.
L’intellettuale cortigiano non è più impegnato nella politica, perché quest’ultima è
accentrata nelle mani del principe, per cui la sua produzione letteraria è
completamente distaccata dalla realtà e non si rifà a temi urgenti. Inoltre non poteva
esprimere le sue idee se erano in contrasto con quelle del signore; così sorge il
problema della libertà di espressione e di parola, poiché lo stesso potere politico che lo
finanzia e lo protegge e per il quale lavora, limita la sua libertà di parola e di pensiero,
stabilendo un rapporto asimmetrico con il principe. Il pubblico a cui si rivolgeva era un
cerchio ristretto ed elitario, quindi coloro che frequentavano le corti e riuscivano a
comprendere il latino.
Sopravvive poi l’intellettuale chierico, cioè colui che lavorava presso la corte
pontificia, lo Stato della Chiesa, al servizio del pontefice, di vescovi o cardinali, e si
dedicava unicamente all’otium litterarium, l’attività che riguardava la riflessione, lo
studio e la scrittura, affiancata da incarichi politici, soprattutto per via diplomatica. La
scelta letteraria del chierico non era obbligatoriamente religiosa, e anche questa aveva
un pubblico di poche persone.

LA VISIONE
L’umanesimo è portatore di una visione antropocentrica, quindi pone l’uomo al centro,
che è superiore a tutti gli altri esseri viventi ed è in grado di controllarli, a differenza del
teocentrismo medievale, che poneva Dio al centro di tutto. L’uomo è visto come un Dio
terreno, in cui c’è una compresenza di corpo e anima e in cui la sfera divina e terrena
hanno la stessa dignità e sono poste sullo stesso piano. In età umanistica il ruolo
dell’uomo è quindi centrale e nevralgico, tanto che si parla di individualismo e di
antropocentrismo che vede l’uomo come il protagonista e l’autore della sua vita,
generando l’esaltazione delle sue capacità ed evidenziando in particolare l’ingegno e
l’intelligenza. Dato questo nuovo uomo, gli umanisti considerano l’età precedente un’età
oscura, di decadenza e di barbarie rispetto alla propria con la quale pensano che sia
iniziata la storia Moderna: proprio questo infatti determina la scelta del nome
“Medioevo”, cioè “media etas” che significa età di mezzo, un periodo che si trova tra la
civiltà classica, a cui gli umanisti si ispirano, e la civiltà moderna. Questa percezione del
Medioevo durerà fino all’800, con il Romanticismo, dove questo periodo viene
rivalutato e ne viene compresa la complessità, viene visto quindi come un’epoca
importantissima che ha fatto da base alla civiltà moderna. Nel “De Hominis Dignitatae”
di Pico della Mirandola, uno dei più grandi intellettuali e filosofi umanisti dell’epoca,
troviamo una frase detta da Dio ad Adamo, che esprime in pieno il concetto
dell’umanesimo e dice che l’uomo è collocato al centro del mondo affinché egli possa
vedere meglio tutto quello che c’è nel creato; Dio poi precisa che egli non è né divino né
totalmente terreno perché è una parte dello spirito, infatti in lui convivono entrambe le
dimensioni che tuttavia non lo rendono immortale, però lo rendono superiore a coloro
che non hanno una doppia dimensione. Pico dice inoltre che l’uomo è l’artefice del suo
destino, facendo cadere totalmente la visione provvidenzialistica della storia dell’uomo
del Medioevo, in cui era Dio a progettare il disegno divino della storia attraverso una
visione figurale in cui la vera dimensione era quella ultraterrena. Nell’umanesimo invece
è l’uomo che è posto al centro del suo destino e ne è anche responsabile, infatti Pico
dice che l’uomo può fare scelte cattive oppure può migliorarle, avvicinandosi all’alto, ma
questo solo in base alla sua volontà. I latini definivano quest’ultimo concetto con la
parola “faber”, cioè fabbro, che vuole far intendere che quindi l’uomo si costruisce la
vita e la forgia attraverso delle scelte. Anche Dante parlava di libero arbitrio, ma egli
sottolineava che al suo interno esisteva comunque un disegno divino. L’umanesimo
determina quindi una profonda rivoluzione culturale perché cambia completamente la
prospettiva, introducendo quella storica, avviata già da Petrarca che differenzia il
presente e il passato. Anche la visione della natura cambiò e non si aveva più paura di
conoscere, ma l’uomo comincia a vedere l’ignoto come un fenomeno da scoprire e da
esplorare, di cui bisogna comprenderne le leggi e a cui bisogna approcciarsi attraverso
l’esperienza e le osservazioni, ed è per questo che si intraprendono nuovi viaggi e
spedizioni.
Grazie agli umanisti è avvenuta la rivoluzione scientifica con Copernico e Galilei, ed è
nato il concetto di dignità con l’uomo che è posto al centro ed è legato alla dignità, e la
perde nel momento in cui non rispetta sé stesso. Il canone medievale vedeva l’uomo
come inferiore rispetto alla grandezza di Dio e lo costringeva a mortificare tutte le sue
passioni terrestri, un concetto dell’uomo dispregiativo. Al contrario, gli umanisti
pongono al centro l’uomo e lo legano alla dimensione del rispetto verso sé stesso e le
proprie tendenze senza alcuna censura, perché altrimenti perdeva la sua dignità.
Manetti invece va oltre ciò che dice Pico, e afferma che l’uomo è signore del mondo e
tutto è opera sua e grazie a lui possiamo provare stupore. A partire dall’800 questa
visione dell’uomo si sgretolerà completamente per dare spazio a un uomo che non ha
più una centralità nel mondo, ma che è invece disorientato.
IDEE E CULTURA
L’Umanesimo si impose già nel XV secolo e vide il rifiorire dello studio dei classici, ma
il loro recupero fu un processo molto lungo che cominciò con la ricerca dei manoscritti
della civiltà greco-romana e con lo studio del latino classico, al quale si aggiunsero il
greco e l’ebraico, 2 lingue ritenute importanti per ristabilire la verità del pensiero antico.
La cultura classica viene ripresa in ogni suo aspetto: essa aveva l’uomo al centro del
mondo ma ciò non comportava l’eliminazione della sfera religiosa. Accompagnato da
questi valori dell’umanesimo, c’è il mito della rinascita, che darà proprio il nome
all’epoca del Rinascimento, l’età che segue quella umanistica e che ne potenzia alcuni
aspetti.
Il testo classico, in quest’epoca, era anche un testo da cui trarre ispirazione, anche se
non si può parlare di imitazione, ma di emulazione, due concetti diversi poiché
l’emulazione è un’imitazione creativa, cioè assimilata a una sensibilità moderna; per cui
verranno riprese la limpidezza formale, l’armonia e le varie figure dell’ordine. Questo
ideale di perfezione verrà ripreso con un contributo anche nuovo e moderno degli stessi
umanisti, così anche come gli argomenti e i temi affrontati nei testi che vedranno
sempre l‘uomo in tutti i suoi aspetti: civile, individualistico e personale. Scompariranno
invece quelle tematiche che erano fortemente legate alla realtà esterna, perché gli
umanisti opereranno nelle corti, i luoghi principali in cui viene sviluppata la cultura
anche se non gli unici, perché ci furono anche le Accademie, le Università e le
Botteghe di stampa, nate nella metà del 400, quando Gutenberg scopre la stampa a
caratteri mobili, un procedimento che permetteva di recuperare i caratteri mobili in
piombo e riutilizzarli per comporre altri testi in meno tempo e lavoro, scoperta che
determina una vera e propria rivoluzione nella produzione del libro e nell’accessibilità
ad esso. Questa invenzione è ripresa da una tecnica cinese, ma Gutenberg, a
Magonza, la perfeziona ed introdurrà per la prima volta un libro stampato, cioè la
Bibbia in latino, poi tradotta in tutte le lingue volgari delle varie nazioni. Così si diffuse
più facilmente il libro, oggetto che in passato era visto come un lusso; si svilupparono
le biblioteche grazie anche ai signori che provvedevano ad arricchire i volumi di
traduzioni e manoscritti. In Italia la bottega di stampatori più importante fu quella di Aldo
Manuzio nella città di Venezia, veniva ritenuto un uomo prestigioso perché produceva
dei libri stampati in modo molto raffinato e ne curava anche la parte iconografica. Le
botteghe degli stampatori si aggiunsero ai centri di produzione culturale, insieme alle
corti principesche e signorili, diffuse con il loro mecenatismo, le Scuole e le Università,
le botteghe dei copisti affiancate da quelle degli stampatori, e le Accademie. Con la
stampa si affermò la figura dell’editore-stampatore avente appunto una bottega, luogo
che diventa un centro di raccolta e diffusione della cultura umanistica in cui le discipline
letterarie erano quelle che assunsero una dignità superiore rispetto a tutte le altre, la
cultura umanistica si incentrava unicamente sull'uomo, attraverso le materie della
letteratura, della filosofia, fatta di interrogativi e sviluppo del logos in maniera sempre
più complessa, materie più privilegiate e ritenute prioritarie rispetto alle altre che
passeranno in secondo piano. Anche la filologia è una vera e propria disciplina che
richiede una vasta cultura, e si applica sui testi antichi attraverso un metodo scientifico
che riporta i testi nel loro aspetto originale. Questo lavoro richiedeva 2 conoscenze: la
lingua nella sua evoluzione, e la storia, perché se si doveva restituire un testo alla sua
epoca lo si doveva contestualizzare e attraverso la conoscenza storica si potevano
correggere gli errori fatti, come fu fatto ad esempio con il Puer di Virgilio. Così si
scoprirono anche alcuni documenti storici falsi, come “la donazione di Costantino”
quale non autenticità fu dimostrata dall’umanista Lorenzo Valla sostenendo che la
lingua utilizzata non era quella dell’epoca dell’imperatore Costantino, anche se la
Chiesa su questo documento aveva fondato la propria forza religiosa e politica. Il
filologo talvolta era obbligato a fare un confronto tra le varie opere, perché spesso non
erano autografate quindi doveva in primo luogo cercare di capire quale fosse
l’originale, cosa che richiedeva molto tempo. I filologi scoprirono anche dei manoscritti
abbandonati sotto le macerie delle biblioteche e dei monasteri, alcune opere per
esempio di Cicerone verranno scoperte nel 400.
LA LINGUA
L’affermazione della cultura classica privilegerà il latino classico nella scelta letteraria,
di conseguenza i destinatari si riducono e si crea una cultura elitaria, dato che al latino
classico potevano accedere solo i più colti. Il volgare però non fu eliminato, ma veniva
parlato nella cultura popolare dai giullari, o negli usi pratici, ad esempio in alcuni
documenti giuridici che avevano a che fare con una persona incompetente nel latino, o
con dei documenti amministrativi in modo da essere più comprensibili possibile.
Questo predominio del latino cesserà di esistere nella seconda metà del 400, quando
viene ripreso il volgare fiorentino 300esco, che riprendeva l’equilibrio formale della
sintassi classica, ma anche questa scelta era inaccessibile per molti poiché era una
lingua lontana da quella dell’epoca umanistica. La maggior parte quindi parlava un
volgare “dialettale” e in Italia si creò una separazione che vedeva da un lato la lingua
letteraria, accessibile a pochi, e dall’altro la lingua parlata, fino alla metà dell’800,
quando Manzoni scrisse i Promessi Sposi nel volgare fiorentino parlato. Pietro Bembo,
intellettuale umanista, nel 1525 pubblicò un trattato sulla lingua molto importante,
intitolato Prose della volgar lingua, in cui tratta la questione della lingua e indica come
lingua letteraria il volgare fiorentino, e sostiene Petrarca e il suo Canzoniere come
modello indiscusso, e invece per la prosa indica Boccaccio, ma quello delle novelle
tragiche, quello legato ai temi cortesi e quindi più nobili. Questo trattato sarà sempre un
documento di riferimento.
L’Accademia era un luogo istituzionale e finanziato dai signori, nel quale c’erano regole
e finalità. Un luogo in cui gli intellettuali si riunivano per dibattere rispetto a un tema
dato, quindi era molto attiva la forma dialogica, il confronto, la lettura e il commento
delle opere. Erano luoghi in cui la cultura si confrontava in tutti i suoi aspetti, spesso i
dibattiti venivano proprio riportati in alcune opere o in trattati. Nasceranno a fine 500
anche delle Accademie dedicate ai sostenitori della scienza grazie alla rivoluzione
scientifica. La storia di questi luoghi comincia nel 387 a.C. con Platone, il quale fonda
una scuola filosofica che indica con il termine Akademeia, nome derivante da un bosco
vicino la città di Atene dedicato all’eroe Academo, ma venne chiusa con un editto
emanato dall’imperatore Giustiniano. Si riprende però a Roma con Cicerone, che
traduce il termine greco in latino come Academìa, nella quale si ritirava al suo interno
per meditare. Nel Medioevo invece il termine fu tradotto da Dante in italiano con il
significato di “scuola platonica”, la prima accademia moderna è l’Accademia
Platonica a Firenze, o l’Accademia della Crusca ancora oggi operante, fondata nel
1583 e il suo nome deriva dall’intento di separare la lingua italiana (“la farina”) da
francesismi, regionalismi e quant’altro (“la crusca”).
GENERI LETTERARI UMANISTICI
Nell’età umanistica le forme letterarie privilegiate erano:
 Le epistole, uno strumento di discussione di carattere polemico tra gli
intellettuali del tempo e divulgazione di questioni culturali, lettere non rivolte in
maniera intima al destinatario, ma destinate alla pubblicazione che trattavano
del confronto rispetto a temi scelti.
 I dialoghi furono la forma letteraria privilegiata dell’epoca a causa dell’assenza
dell’ipse dixit con una nuova verità inter dialogica, ricercata attraverso un dibattito
in cui convivono e non si annullano posizioni diverse. Il dialogo è un colloquio tra
due o più persone su un argomento in particolare, che prevede quindi diverse
opinioni e la loro esposizione; scegliendo questo genere emerge il desiderio di
una fiducia nella forza persuasiva della parola.
 La storiografia assunse un’importanza vitale perché, attraverso la nuova
prospettiva storica, nacque anche un nuovo interesse per la materia, anche per
la più antica. Fu data molta attenzione anche alle vicende politiche, tanto è che
il tema politico si ritrova anche nei trattati, per esempio in quello di Machiavelli.
 La poesia si sviluppò soprattutto in modo petrarchesco, il modello assoluto
dell’età umanistica, ma ci furono anche delle poesie dedicate al tema del piacere,
quindi dell’edonismo e proprio Lorenzo de’ Medici ne scrisse una, quella del
Trionfo di Bacco e Arianna, una poesia in cui viene cantata la bellezza di essere
giovani, elogiata perché ci si approccia in maniera più spontanea al mondo dei
piaceri riferendosi quindi anche al tema della caducità del tempo. Questi temi
sono ripresi anche nella poesia burlesca.
 I poemetti mitologici ed encomiastici ripresero stili e tematiche della
letteratura classica e trattarono una poesia narrativa e descrittiva. Il poemetto
encomiastico, molto diffuso, era quello in cui si esaltava una famiglia
aristocratica, i signori e prìncipi presso i quali gli intellettuali risiedevano.
 La poesia bucolica, ispirata a Virgilio che esaltava una vita naturale, quella
costituita da piccole cose, dalla spontaneità e dalla naturalezza, quindi lontana
dalle lotte e intrighi delle corti.
 La poesia epico-cavalleresca, molto colta e raffinata, che si impegnò per
esaltare il codice cortese-cavalleresco e cercare di riprenderlo nelle corti.
 La novellistica vide come protagonista indiscusso Boccaccio e ebbe scopo
didascalico, moraleggiante, etico o edonistico in cui trionfa una battuta di spirito
o un motto tagliente.
 La poesia latina, che ebbe come riferimento i grandi scrittori latini antichi e fu
composta da versi molto raffinati ed eleganti.
 Il teatro, in cui si vedono da una parte delle rappresentazioni sacre con spazi
comici, che hanno quindi un’ispirazione religiosa e destinate al popolo, da
un'altra parte ci sono le favole pastorali, che hanno come soggetto il mito.
Quest’ultimo ricorre in più generi letterari.
 Si affermarono le due correnti del petrarchismo e dell’antipetrarchismo: il
primo quindi si ispirava al poeta, mentre l’altro era un rovesciamento, una
parodia della poesia di Petrarca.
LA DONNA
Durante l’umanesimo, la donna che apparteneva a un ceto sociale elevato, in
particolare il ceto aristocratico, diventava autrice di Canzonieri, entrava nelle scuole e
arrivava anche a perfezionare i propri studi all’interno delle università. Boccaccio
stesso si rivolge a loro all’interno del Decameron, ciò determinava l’inizio di
un’evoluzione molto lenta in cui alle donne fu concesso di entrare nel mondo della
cultura. Le più importanti poetesse dell’età umanistica furono Vittoria Colonna e
Gaspara Stampa. La presenza delle donne, benché ridimensionata visto che
inizialmente erano escluse, divenne quindi più che viva.
LA TRATTATISTICA DELL’UMANESIMO
Il trattato nacque in Italia tra il 400 e il 500 ispirandosi sempre alla letteratura e alla
prosa classica e fu il genere letterario privilegiato poiché rappresentava lo strumento
più adatto per esprimere e diffondere la nuova visione del mondo. I trattati si
occupavano di vari aspetti come la politica, la filosofia, l’arte, la famiglia, la lingua e
anche questioni legate alle corti e all’uomo che viveva al suo interno, temi che
valorizzavano l’esistenza umana, i suoi ruoli e i suoi comportamenti. I trattati umanistici
valorizzavano anche la discussione e il confronto di più idee mostrate dai dialoghi,
dalle epistole e dalle orazioni, dei discorsi argomentativi che usavano la retorica come
metodo di persuasione per il pubblico a cui erano rivolte. Tutto ciò differenziava dalla
trattatistica medievale che era più come un’enciclopedia finalizzata a dimostrare le
verità assolute.
TRATTATO FILOSOFICO
La trattatistica filosofica fu rappresentata dall’Accademia neoplatonica fiorentina di
Marsilio Ficino, il quale riteneva che il mondo fosse un sistema unitario in cui l’uomo
faceva da intermediario tra cielo e terra e l’amore fosse artefice dell’armonia universale.
Ad appoggiare le idee di Ficino, ci fu Pico della Mirandola che nel De Hominis
Dignitatae parla della centralità dell’uomo nell’universo e della sua superiorità rispetto
agli altri esseri viventi.
TRATTATO FILOLOGICO E LINGUISTICO
La trattatistica filologica si collega alla ricerca e allo studio dei testi classici per poterli
ricostruire e interpretare alla loro forma originaria, lavoro che aveva bisogno della
filologia. Per cui agli umanisti serviva la conoscenza della lingua latina, infatti la
ripresero e fu ritenuto un modello esemplare per la sua eleganza e la sua forma, perciò
ritornò ad essere uno strumento fondamentale per la comunicazione culturale.
Nacquero però alcune discussioni tra coloro che traevano ispirazione dal latino e altri
che volevano adattarsi alla lingua viva del tempo. Questa discussione fu placata
grazie al trattato Prose della volgar lingua di Pietro Bembo.
TRATTATO PEDAGOGICO
Vista questa visione antropocentrica, per gli umanisti era importante l’educazione,
sempre sotto influenza dei modelli classici. L’educazione consisteva in una formazione
che il fanciullo doveva seguire, affinché avesse uno sviluppo culturale completo e
armonioso, secondo il principio latino “mens sana in corpore sano” suggerito da Leon
Battista Alberti nella parte pedagogica del dialogo Della Famiglia. L’educazione quindi
consisteva nella cura del corpo e dell’anima, in cui entrambi gli esercizi devono essere
equilibrati.
TRATTATO SUL COMPORTAMENTO
Nel 500, c’erano diversi trattati che affrontavano il tema del comportamento, la cui
opera più famosa fu il trattato dialogico di Baldassarre Castiglione, intitolato Il libro del
Cortigiano, un’opera ambientata nella corte dei Montefeltro, a Urbino. Al suo interno è
proposto un ideale umano basato sullo sviluppo psico-fisico, sull’equilibrio e
sull’autocontrollo. Castiglione nell’opera cerca di insegnare a un uomo di corte ad
essere un perfetto cortigiano. Quest’ultimo si può definire tale se segue, nei rapporti
sociali, la regola universale della misura, dell’equilibrio e della grazia, che si indentifica
con la disinvoltura che non deve essere esibita, perché l’affettazione (comportamento
innaturale di eleganza) rischia di tendere alla grossolanità. Del comune cittadino invece
si occupa Giovanni Della Casa, con il trattato del Galateo, in cui troviamo delle regole
date da un anziano signore a un giovane per guidarlo nei suoi comportamenti all’interno
di alcuni casi della vita privata e dei rapporti sociali.
RINASCIMENTO
Il Rinascimento completa la civiltà che viene chiamata umanistico-rinascimentale e
comprende un periodo di circa un secolo, fino a che arriva, alla fine del 500, ad una
profonda crisi.
PARTE STORICA DEL RINASCIMENTO
Dopo la pace di Lodi e l’equilibrio ritrovato tra gli Stati regionali, nel 1494 ci sarà una
crisi perché il sovrano di Spagna e quello di Francia iniziano a contendersi il territorio
italiano, visto che il Regno di Napoli apparteneva agli Aragonesi, di casata spagnola,
ma prima a governare c’erano gli Angioini, che erano francesi, quindi Carlo VIII
rivendica la corona e il diritto al trono del regno di Napoli. Da questo momento in poi si
scatena una guerra che travolge tutta l’Italia che acquisisce, dopo uno scontro estremo
tra Spagna e Francia che fu chiuso nel 1559 con la pace di Cateau-Cambrésis, un
nuovo assetto geografico. Diversamente dall’umanesimo, il rinascimento, che coincide
con la fase del 500, si configura come un periodo di crisi che va in netto contrasto con il
nome attribuitogli. Quest’epoca determina un nuovo scenario: il ducato di Milano, il
regno di Napoli, Sicilia e Sardegna diventano domini diretti della Spagna, ciò significa
che quest’ultima vince la guerra e prende la parte d’Italia più strategica perché la
repubblica di Genova, alla quale appartenevano anche la Corsica, i ducati di Mantova,
Modena e Parma, diventano dei domini indiretti e quindi liberi, ma erano alleati e
vassalli della Spagna. Rimangono invece indipendenti la Repubblica di Venezia, che
avrà 7 secoli di autonomia e sarà anche l’unica in Italia senza l’invasione dello straniero,
il Marchesato di Saluzzo, che coincide con il Ducato di Savoia, e ovviamente lo Stato
della Chiesa, sempre posizionato al centro dell’Italia. Il resto ha una configurazione di
dominio, diretto o indiretto, dagli spagnoli.
ASPETTO ECONOMICO-SOCIALE: La Spagna era uno stato molto arretrato, ancora
caratterizzato da fortissimi privilegi da parte dell’aristocrazia improduttiva, e dipendenti
da un’economia agraria di tipo latifondista, per cui era un’agricoltura estensiva.
L’assetto economico quindi era caratterizzato dal settore agricolo ancora di tipo
feudale, questo generava un’economia caratterizzata da una bassissima produttività, di
sussistenza (solo per vivere) che porterà a un periodo di recessione economica in cui
la produttività diminuisce e con essa anche profitti e occupazioni. Ciò influenza molto
anche il piano sociale perché da un lato l’aristocrazia rappresenta un ceto immobile e
da un altro la borghesia inizia a convertirsi in aristocrazia, quindi invece di investire il
proprio denaro in attività imprenditoriali produttive, lo investe in terreni e immobili che
producevano una rendita di cui potevano godere solo i borghesi. Con questo però si
amplia la disoccupazione che va a danno dei ceti sociali inferiori, il cui svantaggio socio-
economico verrà peggiorato dalle varie guerre, da epidemie e malattie e talvolta anche
dal clima, elementi che fanno da sfondo a questo periodo storico.
LETTERATURA E CULTURA: Sia nell’umanesimo che nel Rinascimento l’età classica
diventa un modello ideale a cui aspirare perché in quell’epoca si celebra una bellezza
intesa come armonia perfetta tra corpo e spirito, come equilibrio portatore di uno
spirito quasi celestiale e come una grandezza che appunto ispira l’uomo, sia sul piano
estetico ma anche etico-civile, ciò vuol dire che il classicismo era portatore di imprese
straordinarie e atti eroici e quindi ispirava gli umanisti e i rinascimentali da tutti punti di
vista. Il principio che si adotta verso il mito classico è un principio di imitazione e di
ripresa di alcuni temi, ma anche un principio creativo. Quando si parla di classicismo
durante quest’epoca si intenda la cultura greco-latina ma anche la tradizione medievale
italiana che vedeva Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa come due modelli
di riferimento. Tra di loro però non è presente Dante perché lui non ha una
categorizzazione poiché ha sperimentato una vasta quantità di generi e proprio per
questo non è un modello perseguito in quest’epoca dove prevale la selezione dei
termini. Tutto ciò accade nella letteratura ma anche nell’arte che riprende i modelli
classici. Però parallelamente alla tradizione classica si afferma anche quella anti-
classicistica con un ribaltamento dei valori e i principi tradizionali, quindi
all’idealizzazione del classicismo si contrappone una tendenza verso il realismo
presente per esempio in Niccolò Machiavelli oppure in Ludovico Ariosto con l’Orlando
furioso. Di conseguenza questo ribaltamento si ha anche sul piano formale con il rifiuto
dell’equilibrio, il decoro e la compostezza tipici dell’età classica.
LUOGHI DI PRODUZIONE E DI DIFFUSIONE DELLA CULTURA
Rimangono i vecchi luoghi di diffusione della cultura come le scuole e le università, ma
anche i luoghi della cultura ecclesiastica come i monasteri con le loro biblioteche, le
abbazie e le scuole episcopali. I luoghi che subentrano sono le corti dei principi e dei
signori che accolgono gli intellettuali cortigiani, per dare prestigio alla propria corte,
facendoli godere anche di mecenatismo e protezione. A differenza dell’umanesimo,
nelle corti del Rinascimento cambia il rapporto tra il signore e l’intellettuale, se nella
prima fase dell’umanesimo l’intellettuale è abbastanza libero e può dedicarsi al suo
otium litterarium e alle proprie passioni, nel Rinascimento si hanno degli obblighi
imposti dal signore come anche il dovere di occuparsi di burocrazia, di stilare
documenti amministrativi e a volte anche di fare da segretario stesso del signore, quindi
ricoprire un ruolo quasi burocratico che lo vincolava, godendo sempre di uno stipendio e
quindi di una sicurezza economica che però viene pagata a caro prezzo poiché
l’intellettuale aveva poca libertà di espressione e indipendenza non potendo criticare la
politica o il signore, quindi quando la cultura è vincolata da un finanziamento politico
perde la sua libertà di espressione. La corte divenne un luogo sempre più chiuso
proprio perché il signore sfruttava l’intellettuale per essere esaltato nella sua grandezza,
ma mano però questo sistema iniziò ad entrare in crisi. Anche le accademie, luoghi di
cultura già presenti nell’umanesimo, si trasformarono in degli organismi ufficiali
controllati dai principi e dai signori che ne saranno anche i finanziatori, facendo perdere
anche ad esse la propria libertà di espressione che le caratterizzava in passato. Un
altro luogo importante è la stamperia, che diventerà un luogo in cui gli intellettuali si
recavano per proporre la pubblicazione di un libro scritto da loro e quindi dove c’era la
possibilità di incontrarsi con altri intellettuali. Queste botteghe saranno i luoghi più
liberi perché rispetto alle corti, alle accademie e alle università, gli intellettuali lì erano
svincolati dai loro obblighi e potevano esprimersi, infatti qui nasceranno anche delle
opere anticonformiste che andavano contro i canoni, come le 6 giornate di Pietro
Aretino dove una madre istruisce la figlia a diventare prostituta, un’opera scandalosa
che andava contro ogni principio etico, ma nonostante ciò l’autore riuscì a trovare uno
stampatore che gli diede la possibilità di diffonderla e fu un successo pubblico,
sempre però rivolto ad un pubblico stretto ed elitario sia per il linguaggio usato che per
i temi, creando una separazione tra la produzione letteraria e il contesto storico nel
quale vivevano.
LA LINGUA LETTERARIA
Il canone che prevaleva era quello indicato da Pietro Bembo, con il quale nelle prose
indica il volgare-fiorentino 300esco letterario, tentando di superare la frammentazione
della lingua nelle regioni con i vari volgari. Ci sarà anche la teoria cortigiana difesa da
Baldassarre Castiglione nel trattato il Perfetto Cortigiano, ovvero che ciascun
intellettuale doveva usare la lingua della corte presso la quale lavorava, questo
ovviamente generava un problema poiché gli altri intellettuali non sarebbero stati in
grado di capire il testo scritto in un volgare parlato solamente in una corte, Machiavelli
propose la teoria fiorentinista, sosteneva che dovesse essere usato il fiorentino
parlato nella sua epoca, ma anche qui c’erano dei problemi poiché la lingua era in
continua evoluzione e chi non apparteneva a quel territorio avrebbe avuto molte
difficoltà e per questo fra le tre soluzioni fu adottata quella di Pietro Bembo.
LA TRATTATISTICA DEL RINASCIMENTO
Era una sorta di testo argomentativo che poteva essere monologico, come
Machiavelli che è il solo a parlare e ad esporre la sua tesi sulle debolezze degli stati
italiani, oppure poteva essere dialogico, come quello di Baldassarre Castiglione. C’è
anche un trattato sul comportamento famosissimo a cui ancora oggi si fa riferimento ed
è il Galateo di Giovanni della Casa, che indica le regole di comportamento adeguate
che dovevano essere perseguite. Ci sono anche altri generi come la storiografia, delle
relazioni e diari di viaggio, perché nel rinascimento ci furono delle scoperte
importantissime, la novellistica che verrà ripresa secondo il modello di Boccaccio, il
filone dell’epica con poemi cavallereschi e poi le commedie, riprese e rappresentate
nelle corti.
IL PUBBLICO E L’EDITORIA
L'introduzione della stampa che si afferma nella prima metà del 500, consente un'ampia
circolazione dei testi letterari grazie anche al minor costo dei libri. Gli scrittori
incominciano a considerare la loro attività come una fonte di guadagno e ciò deriva la
particolare attenzione nei confronti delle richieste del pubblico. Quindi l’editoria ha un
forte sviluppo che cerca di soddisfare i gusti e le attese di lettori anche al di fuori della
corte.

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