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Fare l’analisi di un testo significa scomporlo e per poterlo fare, sono richiesti dei livelli:

1. Livello METRICO → descrizione in forma schematica, mediante segni


convenzionali, della struttura metrica di un componimento poetico, indicandone
strofe, tipo di versi e disposizione delle rime.
2. Livello MORFOLOGICO →studio della struttura grammaticale delle parole e ne
stabilisce la classificazione e l’appartenenza a determinate categorie: nome, verbo,
pronome, aggettivo.
morfologia: studio delle forme delle parole
3. Livello SINTATTICO → studio dei modi in cui il linguaggio si unisce per creare una
preposizione
sintassi: organizzazione del testo, che può essere paratassi (privilegia la
coordinazione) o ipotassi (privilegia la subordinazione)
4. Livello LESSICALE → individuare le figure del significato o semantiche.
il lessico molto spesso può essere influenzato dal latino. Va subito detto se è culto,
alto, un latinismo, provenzaleggiante o un francesismo.
5. Livello SEMANTICO → area che viene privilegiata attraverso il componimento
poetico e indica il significato.
6. Livello di INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA → indica le intenzioni e i motivi
dell’autore per scrivere un determinato componimento.

Questi livelli vanno ricomposti per dare una visione di insieme.

IACOPONE DA TODI
Iacopone da Todi, nacque nel 1236 circa. Dopo essere diventato dottore in legge e praticò la
professione di notaio. Un anno fondamentale della sua vita è il 1268, quando dopo la morte
della moglie decise di darsi per dieci anni alla penitenza, pertanto si convertì entrando a far
parte dell’ordine francescano.
La sua produzione poetica si esprime nella forma di “LAUDA”, aperta ad accogliere una
certa varietà di temi e di motivi. Fu autore di circa 90 laude (scritte in volgare, in forma di
ballate di settenari e ottonari) di argomento religioso, infatti tra i temi ritroviamo: la lode di
Dio, il rifiuto dei beni terreni e dei piaceri mondani, la mortificazione del corpo, il lamento e
l’invettiva contro la corruzione del mondo e della Chiesa.
Le laude diventeranno successivamente drammatiche (siamo agli esordi del teatro, il primo
teatro era di tipo religioso e si svolgeva sull’ambone della chiesa che successivamente si
laicizza [corrispondenza con il teatro greco nato come omaggio a Dioniso]).
Tra le laude più famose ci sono “Donna de Paradiso” conosciuta anche come “Pianto della
Madonna”.
Fu anche autore di opere in latino, tra le quali vanno ricordate “Stabat Mater” (sequenza
liturgica in onore della Madonna), “l’epistola a fra Giovanni della Verna”, “i Detti” e “il Trattato
sull’unione mistica”.
Morì nel 1306.

LAUDA: componimento poetico di argomento religioso e di carattere popolare, tipico della


letteratura italiana medievale. Nacque probabilmente tra l’Umbria e la Toscana e si diffuse
in relazione al movimento dei flagellanti fino alla fine del XV secolo. Privilegia i temi
inerenti a fatti del Vecchio e del Nuovo Testamento e le leggende sacre. Le laude erano
spesso musicate, specie quando avevano forma lirica o lirico-narrativa.

LA CIVILTA’ DEI COMUNI


A partire dal XII e poi per tutto il XIII secolo in tutta Europa le comunità urbane ambivano a
svincolarsi dai signori feudali, dai principi e dai re. Ad alimentare questo desiderio vi erano
fattori come: lo sviluppo dell’economia con la circolazione dei beni e della moneta che portò
alla nuova classe sociale, ovvero la borghesia.
Nell’Italietta (si parlerà di Italietta fino all’Unità) questo fenomeno si sviluppò nella parte
centro-settentrionale con la nascita dei COMUNI, cioè nuove forme di governo cittadino
basata sulla condivisione e la collettività. Infatti il comune si presentava come
un’aggregazione di persone che abitavano in uno stesso luogo e condividevano la stessa
legge. Inoltre questo nuovo governo e questa nuova classe sociale portarono ad una
apertura dei confini mentali ancor prima che geografici.
Inoltre, nei primi decenni del 1200 c’era uno scontro tra le due grandi identità del Medioevo:
IMPERO e PAPATO (=due universalismi), e il comune era inteso come entità territoriale
legato a una città che si ritagliava uno spazio di autonomia nello scontro tra i due
universalismi, successivamente si legavano o all’imperatore o al papa.
Questa belligeranza continua vede l’Italia con la fortissima presenza del papato, ma con
vaste zone ghibelline legate alla presenza dell’imperatore.

Firenze: era alterna, con Dante che è priore [lotta tra guelfi (sostenevano il papa) e ghibellini
(sostenevano l’imperatore)] ma all’interno della fazione guelfa essi erano divisi in bianchi:
autonomia e neri che volevano avvicinarsi al papato per scontrarsi con i ghibellini.

La civiltà comunale favorì l’emergere di nuovi modelli intellettuali, a luoghi simbolici o


conventi si sostituirono università e altri luoghi culturali. Questa dimensione aveva tra l’altro
davanti a sé un pubblico mutato che richiede e apprezza questioni culturali da quelle cortesi,
più adeguate ad esprimere la nuova realtà borghese e comunale.
Di conseguenza emerse anche una nuova figura di intellettuale chiamato a confrontarsi con
una dimensione laica, pubblica, civile che impone l’utilizzo del volgare. I nuovi intellettuali si
svilupparono nelle università e quindi oltre a essere figure culturali assunsero anche una
funzione poetica e civile.
Una grande innovazione nella trasmissione del sapere fu portata dalla capillare diffusione
delle scuole urbane laiche, ormai del tutto svincolate dalla Chiesa; questo nuovo modello
scolastico si basava sulla libera associazione e gli studenti seguivano il “magister” ossia il
professore.

Durante il XII secolo vedevano l’Italia come se fosse divisa in tre parti:
1. centro-nord, i comuni volevano ottenere l’autonomia dall’imperatore. Vediamo
pertanto conflitti tra i comuni e interni;
2. centro Italia, lo stato della Chiesa rese il Papa capo di Stato, pertanto ci furono delle
alleanze per appoggi politici sia in Italia che all’estero;
3. sud Italia, stato feudale accentratore. nel 1100 si insediarono i Normanni, il cui forte
controllo non permise la formazione dei comuni. Qui avvenne il matrimonio tra
Costanza d’Altavilla ed Enrico VI, il quale fece in modo che il patrimonio tedesco si
unisse a quello italiano. Dalla loro unione nacque lo STUPOR MUNDI, ovvero
FEDERICO II DI SVEVIA.

FEDERICO II DI SVEVIA
Federico II di Svevia nacque nel 1194 a Jesi e divenne imperatore a soli 16 anni nel 1220.
Egli fu una figura impressionante che univa nelle sue mani il potere che gli derivava da parte
di padre dagli Svevi (grandi famiglie della Germania) e da parte di madre (grandi
possedimenti dell’Italia meridionale soprattutto il regno di Sicilia).
Suo padre, Enrico VI, morì quando Federico aveva solo tre anni per cui la madre, Costanza
d’Altavilla lo affidò al Papa, il quale lo allevò e lo educò con il metodo religioso, tra l’altro il
Papa gli concesse in senso feudale il potere sul mezzogiorno dato che sperava in questo
modo di poterlo ottenere anche lui (Federico venne definito inoltre PUER APULIAE “ragazzo
di Puglia” → denominazione identificaria).
Una volta imperatore promise di non unire mai i domini tedeschi e il sud Italia, ma non riuscì
a mantenere questa promessa.
Era un uomo molto intelligente e amante della cultura (conosceva 7 lingue tra cui il greco e
l’arabo) , inoltre aveva una chiara concezione del potere e per questo rivolse le sue
attenzioni all’Italia meridionale, considerata da lui la vera sede dell’Impero.
Veniva molto spesso in Puglia (anche se il centro del suo impero era Palermo), ma quando
lo faceva era un seguito larghissimo con astrologi, medici, scienziati, legislatori e un caravan
serraglio (=zoo ambulante anche con belve del NordAfrica).
Attorno a lui cresceva il fervore letterario, artistico e scientifico. Fu un grande accentratore,
non si fidava dei nobili, crea una monarchia accentrata, promulga le leggi dalla sua corte
pubblicando le costituzioni del suo impero a Melfi (=Costituzioni melfitane/statuto della
monarchia federiciana. Questo fu un segnale di una monarchia moderna nel cuore dell’Italia
e dell’Europa), valorizza i suoi funzionari preparati e istruiti nominati “misti dominici” ovvero
“funzionari dell’imperatore”, infine egli ha l’esatta cognizione delle entrate e delle uscite del
regno e dell’applicazione delle leggi.
Si ritenne garante di pace e giustizia e si scontrò con i comuni, dichiarando illegali tutte le
attività a loro collegate, ordinando la distruzione dei castelli costruiti senza il suo permesso e
condannò a morte coloro che ricoprivano la carica di console e podestà.
Fu quindi il PRIMO GRANDE ESEMPIO DELLA MONARCHIA MODERNA.
Morì nel 1250 a Lucera a soli 53 anni.

Fondazione della SCUOLA NAPOLETANA → studio di Napoli (università)

LA SCUOLA POETICA SICILIANA


Il primo movimento poetico italiano nasce in Sicilia, nell'ambito della Magna Curia
dell'imperatore Federico II: la Scuola Siciliana.
Essa fu fortemente influenzata dalla tradizione provenzale, adotta dai trovatori temi come
quello amoroso, poi le forme e le immagini.
Il tratto distintivo è rappresentato dalla lingua: il siciliano illustre, un volgare filtrato e
nobilitato alla luce del latinno e del provenzale.
Con la scuola siciliana la poesia si incentra sulla realtà della corte di Federico, difatti l'amore
come vassallaggio e gli elementi cortesi si svuotano di qualunque riferimento alla realtà
sociale e concreta per diventare modelli puramente astratti. Nuova poi è la concezione della
poesia pensata come uno “svago”, un'evasione dalle occupazioni quotidiane. Inoltre, in
Provenza spesso i testi erano accompagnati da musica (per cui venivano cantati più che
recitati) mentre in Sicilia questo non avviene più e la musicalità si ottiene attraverso la
parola.
Dei siciliani ci sono giunti circa 150 componimenti di cui molti anonimi, mentre i restanti sono
suddivisi tra 25 autori, impiegati e funzionari della corte imperiale, tra questi:
❖ JACOPO DA LENTINI, caposcuola la cui massima produzione si verifica tra il
1233-1240;
❖ Pier delle Vigne (o Pier della Vigna), originario di Capua (Campagna) e il quale fu il
Primo Ministro di Federico II, per cui è colui che formula le costituzioni di Melfi,
legislatore, funzionario del diritto, e poeta;
❖ Rinaldo d’Aquino (oggi laziale), appartenente (cugino o fratello) alla famiglia del
filosofo Tommaso;
❖ Giacomino Pugliese (non si ha la certezza del suo paese di origine, ma comunque il
cognome “Pugliese” è un epiteto che viene attribuito a coloro che abitavano nel
territorio meridionale);
❖ Guido delle Colonne (poeta messinese);
❖ Ugo di Massa (città in area senese);
❖ Stefano Protonotaro (Messina);
❖ Percivalle d’Oria (genovese), nome reso in volgare di uno dei cavalieri della tavola
rotonda;
❖ Compagnetto da Prato (toscano);
❖ Folcacchiero dei Folcacchieri (senese);
❖ Abate di Tivoli (30km da Roma).
Tra i poeti della scuola siciliana, c’era anche Federico II stesso il quale oltre ad aver scritto
alcuni componimenti in volgare, scrisse il “Trattato di falconeria”.

Al centro dei componimenti c'è quasi sempre la figura femminile. Il fulcro lirico dei
componimenti è spesso costituito da una meditazione sulla natura e sugli effetti dell'amore,
ciò fa sì che venga data maggiore importanza all'interiorità del poeta e una tendenza ad
analizzare l'esperienza amorosa in modo intellettualizzato con accostamenti al mondo
animale vegetale.
L'importanza storico-letteraria e culturale della Scuola siciliana risiede nel fatto che per la
prima volta il volgare passa da lingua d'uso a lingua letteraria. I testi però non ci sono giunti
nel “siciliano illustre” ma nelle versioni toscanizzate a opera dei copisti che ce li hanno
tramandati.
Il lessico è piuttosto fisso e limitato e la lingua subisce un processo di selezione: c'è retorica,
raffinatezza compositiva è una rigorosa selezione delle strutture metriche, tra le più utilizzate
troviamo:
➢ la canzone, forma più nobile composta di endecasillabi e settenari;
➢ la canzonetta, composta di settenari, doppi settenari, ottonari e novenari, dotata di un
ritmo semplice, con temi leggeri e spesso dalla struttura dialogica e narrativa;
➢ il sonetto, la forma italiana per eccellenza la cui invenzione tradizionalmente
attribuita a Jacopo da Lentini. Questo è un componimento poetico di 14 versi divisi in
due quartine e due terzine.

Tradizione del “sonetto caudato” ovvero fornito di coda che può essere un distico, o nel
caso di una sonettessa di 22-23 versi.
Il sonetto è importante perché dalla scuola poetica siciliana, si spande per l’Europa
(Shakespeare).
Si dice che sia la fronte della canzone (=componimento dal punto di vista dottrinale e
tematico più ampio della nostra tradizione lirica).
Grande maestro del sonetto: PETRARCA.

Alla morte di Federico II (1250), il figlio Manfredi (grande personaggio della Divina
Commedia) per rivendicare l’autorità del padre combatté contro coloro (signori feudali) che
volevano prendere il posto di suo padre.

Alto celebre re, è re Enzo: figlio naturale di Federico II, il quale combatté contro i bolognesi
che si sono legati al papato, la sconfitta di Bologna avrebbe significato un grande rilancio
della presenza ghibellina e degli eredi di Federico II, ma nel 1249 i bolognesi vincono e re
Enzo viene fatto prigioniero per 23 anni, con libertà confinata (lui poteva continuare ad avere
un seguito ai quali trasmette il senso della poesia siciliana, ovvero il senso di poetare in
volgare siciliano illustre). Re Enzo morì nel 1272, egli fu importante perché tramite la sua
figura la poesia siciliana si conobbe a Bologna.

Il tramite della poesia siciliana nella penisola dal punto di vista politico avviene con Re Enzo,
mentre dal punto di vista letterario con Guittone d’Arezzo (primo componimento in volgare di
argomento politico).

JACOPO (GIACOMO) DA LENTINI


Jacopo da Lentini fu il più grande interprete della Scuola poetica siciliana. Nacque a Lentini
(Siracusa, Sicilia orientale), studiò all’università laica (questo perchè Federico II pur
rispettando il Papa volle sottolineare che la cultura non è soltanto di carattere religioso ma
anche di carattere laico cioè del popolo che ha coscienza della bellezza, dell’arte, della
poesia, della filosofia che formava la Magna Curia) di Napoli (di studi giuridici, a Salerno era
di stampo medico) e fu notaio imperiale e collaborò con Pier delle Vigne (suo miglior amico
che fu accusato malignamente di tradimento e per questo si suicidò), capace di rivoluzionare
la metrica europea.
Il periodo più proficuo e più importante della sua vita è tra il 1230 e il 1248. Della sua vita
poche solo le informazioni che ci sono pervenute, autore di un canzoniere composto da una
quarantina di testi: 16 canzoni, 1 discordo (tipo di componimento della struttura irregolare a
causa della varietà delle strofe), 19 sonetti, più altri 3 che fanno parte di due tenzoni e tre
attributi.
Jacopo da Lentini, non potendo parlare di politica in quanto il potere di Federico II era
assoluto, tratta temi come: la bellezza spirituale (modello di eleganza e grazia) e fisica della
donna (c’è una spiritualizzazione della donna quasi come se fosse un angelo; ancora non lo
è ma è in gloria insieme al suo amato il che vuol dire che è beata perché insieme a lui
contempla Dio), il tema dell'amore (Iacopo da Lentini scrive anche delle canzoni che
riflettevano sul significato filosofico dell’amore, ispirandosi ad Andrea Cappellano) esso è
concepito non dal punto di vista terreno, ma viene spiritualizzato in quanto lui vorrebbe
andare con lei in Paradiso per contemplare il sorriso, il portamento onesto e nobile della
donna che rappresenta per lui una forma di ascesi e nobilitazione (attraverso il contatto con
la donna, l’uomo diventa migliore e degno di accostarsi a Dio).
Con lui la concezione religiosa è Laica e l'amore si scende in amore sacro e amor profano
come si vede anche nella sua opera “Io m’aggio posto in core a dio servire”, questi due
elementi non si fondono perché l’autore riesce a partire da un sentimento che riesce a
smuovere anche la componente fisica per assurgere a quella spirituale.

Da Jacopo da Lentini l'utilizzo del sonetto si protrasse fino a Carducci, perché il volgare e
questa forma metrica sono l'antilingua e la ricerca delle radici per eccellenza (lo stesso
Dante terrà conto di Jacopo da Lentini nella Divina Commedia con il nome de “Il Notaro”).

Morì prima del 1250.

Dante parla di lui nel “De vulgari eloquentia” e nel Purgatorio nel 24° canto versi 52-57.

IO M’AGGIO POSTO IN CORE A DIO SERVIRE


E’ un sonetto di Jacopo da Lentini, particolare poiché racchiude al suo interno il sentimento
religioso e amoroso.
Io m’aggio posto in core a Dio servire, “Io” → indica l’aspetto soggettivo della lirica.
com’io potesse gire in paradiso, Sono pochi i poeti che cominciano una
al santo loco, c’aggio audito dire, poesia con “io”, ma in questo caso c’è una
rivendicazione della soggettività e della
o’ si mantien sollazo, gioco e riso.
dignità del poeta.

PARAFRASI: “m’aggio” (tipico della parlata siciliana), e


Io mi sono messo nel cuore (sentimento un’espressione che riprende un riflessivo
che viene dal profondo senza alcun tipo di con l'ausiliare avere e indica un
costrizione) di servire Dio, affinché io possa meridionalismo.
andare in paradiso, in quel luogo santo, di (m’aggio posto=toscanismo)
cui ho sentito parlare, dove si durano
ininterrottamente divertimento, gioco e riso. “gire”, “audito” → latinismi

Visione popolaresca del Paradiso. “o’” che sta per “obi” → APOCOPE
=troncamento della sillaba finale.

“sollazzo” → provenzalismo

“gioco e riso”: indicano i valori tipici della


società cortese, richiamati dai trovatori nei
loro componimenti.
E’ presente un parallelismo tra la
descrizione del Paradiso e le corti orientali
e di Provenza (in cui si svolgevano feste
che duravano giorni).

La rima in questa quartina è alternata


(ABAB)

Sanza mia donna non vi voria gire, “donna” → termine usato dai provenzali per
quella c’à blonda testa e claro viso, definire la loro amante. Qui ha il significato
che sanza lei non poteria gaudere, (rima di “domina” e il poeta lo ripete per ben tre
volte, per evidenziare un sentimento di
siciliana, penultima “e” lunga =i)
sudditanza nei suoi confronti.
estando da la mia donna diviso. Vuole quindi far sapere che è stato lui a
scrivere il componimento senza scrivere
mai il nome della donna (i provenzali
utilizzavano il senhal).
PARAFRASI: E’ un’anafora caratterizzante.
Ma non vi vorrei andare senza la mia
amata, colei che ha i capelli biondi e il viso “gire” → latinismo
luminoso, perché senza di lei non potrei
essere felice, stando separato dalla mia “blonda testa (SINEDDOCHE = i capelli
donna/signora. sono una parte della testa) e claro viso”,
espressione che indica i canoni di bellezza
della donna nelle liriche cortesi.

il “viso” è un riferimento al visus, cioè allo


sguardo luminoso della donna.

“claro” → latinismo

“poteria gaudere” → latinismo

La rima di questa quartina è alternata


(ABAB)

Ma non lo dico a tale intendimento, “Ma” → avversativa che ci fa comprendere


perch’io pecato ci volesse fare; come l’autore non sia capace di
se non veder lo suo bel portamento, un’espressione soffusa e interna alla
versificazione. Anzi concettualmente teme il
giudizio del lettore e rischia di essere
frainteso, per quanto nobili possano essere
le sue intenzioni (questi sono funzionari laici
PARAFRASI: di straordinario livello per cui nessuno di
Ma non lo dico con l'intenzione di loro si confonde con il popolo).
commettere peccato, ma solo per Si percepisce che la strutturazione della
vedere/contemplare il suo virtuoso poetica e della volontà e della disposizione
contegno/portamento. psicologica ancora non si fonde perché i
due elementi dell’amor sacro e profano si
verticalizzano.
Qui Jacopo da Lentini non canta la donna
del signore, progressiva spiritualizzazione e
la tematica che fa da modello (provenzale)
perchè è svuotata del suo risvolto socio
economico perchè sono tutti funzionari e
non marchesi e conti. Per cui da questo
punto di vista è un mirabile componimento.
“estando” → protesi da origine al vero
essere.
il “ma” spezza il componimento
concettualmente, ideologicamente ci fa
capire che pur partendo da premesse
profane per accedere a un amore sacro i
due fattori non si sono fusi interamenti.
Tra le quartine e le terzine c’è un cambio di
situazione perché le quartine sono
ambientate sulla Terra e sui propositi di
servire Dio per poter accedere al Paradiso,
mentre nelle terzine viene segnata la
dimensione ultraterrena. C’è pertanto un
CLIMAX che dal piano terreno delle
quartine ci fa salire a quello soprannaturale
delle terzine ambientate in Paradiso (inteso
come contemplazione della gloria della
donna che è riflesso della gloria proiettata
sulla donna).

“intendimento”, “portamento” →
provenzalismo.

“bel portamento”, espressione dal valore più


morale che fisico e sta per donna di onesti
costumi.

“bel” → aggettivo usato anche da San


Francesco, che significava un qualcosa di
splendido.

La rima è incatenata (CDC)

Tra i versi 11-12 è presente un piccolo


enjambement: ovvero accavallamento o
inarcatura, perché il pensiero logico
sintattico non si interrompe in un verso ma
continua nel verso successivo. Questo
enjambement non è molto forte come
quando il verbo si trova in un verso e il
complemento oggetto nel verso seguente,
oppure quando aggettivo e il sostantivo ad
esso legato sono divisi dal fine verso.

e lo bel viso e ’l morbido sguardare: “morbido sguardare” → SINESTESIA= si


che l mi teria in gran consolamento, accostano due percezioni sensoriali
veggendo la mia donna in ghiora stare. differenti, in questo caso tra un’espressione
tattile e una visiva.

“che” → AFERESI
PARAFRASI:
“consolamento” → provenzalismo
e il bel viso e il dolce sguardo: perché lo
riterrei una gran consolazione vedere la mia
“ghiora” → forma popolare del termine
amata stare in gloria.
“gloria”, è un’IPERBOLE che eleva la donna
amata a creatura angelica.

Guardando la donna beata, lui diventa


beato attraverso lei (ecco perché la donna è
il mezzo che avvicina l’uomo a Dio).

La rima è incatenata DCD.

Sonetto con misura aurea.


Formato da 2 quartine e 2 terzine, capace di rivolgere una sorta di regalo poetico
sorprendente.

Livello metrico: 2 quartine e 2 terzine di versi endecasillabi (11 sillabe) indicati con la lettera
maiuscola (versi più brevi, indicati con la lettera minuscola).
La scelta del metro e del verso è finalizzata anche al ritmo, ogni verso ha la sua funzione e
predispone il lettore colto.
Lo schema metrico è ABAB ABAB (rima alternata per 2 quartine) CDC DCD.

Livello sintattico: a differenza del “Cantico di Frate Sole” dove c’è la paratassi, qui è presente
l’ IPOTASSI = la principale e subito dopo c’è una relativa “Io m’aggio posto in core a Dio
servire,com’io” / “al santo loco, c’aggio audito dire, o’ si mantien sollazo, gioco e riso”;
oppure c’è una causale “che sanza lei non poteria gaudere”, una temporale “estando da la
mia donna diviso” (=dal momento in cui).

Riassunto del testo: Il poeta dichiara di volersi mettere al servizio di Dio per conquistare il
premio eterno, ovvero il Paradiso, il quale viene immaginato come il più piacevole dei luoghi
terreni, come una sorta di prolungamento terreno della gioia e dei piaceri della vita di corte.
Il poeta tra l’altro non vuole commettere peccato, ma vedere la sua donna in Paradiso
significherebbe conciliare l’amore profano per la sua amata con l’amore sacro per Dio: la
gioia che egli immagina di condividere con la sua signora scaturisce infatti dalla
contemplazione della sua bellezza nella gloria del Paradiso.

La domanda a questo punto è: “lui si pone in core di servire Dio o la donna amata?”, quindi il
vassallaggio è nei confronti di Dio o della donna?
In questo sonetto, così come in altri componimenti appartenenti alla Scuola poetica siciliana,
il personaggio fulcro è la donna. L’omaggio alla donna, tipico della tradizione cortese, qui si
arricchisce di religiosità e culmina nella divinazione della donna: il poeta infatti elogia
caratteristiche fisiche e morali della donna (“capelli biondi e sguardo luminoso, il bel viso,
l’intensità dello sguardo”) e la nobiltà d’animo, il decoro (“il portamento”) tipiche della cultura
cortese.
Il poeta, inoltre, mostra un atteggiamento di sudditanza e di fedeltà nei confronti della donna,
tant’è che nel testo dice che senza di lei non potrà provare gioia, come dimostra la
ripetizione anche del sintagma “mia donna” ovvero “mia signora”. Manca qualsiasi
riferimento al desiderio erotico, alla volontà di esplorare anche la dimensione fisica e carnale
dell’amore. Siamo all’inizio del processo di spiritualizzazione e divinazione della donna che
verrà portato a termine nello Stilnovo.
Per quanto riguarda il rapporto con Dio, invece, è inteso in termini feudali come se fosse un
rapporto vassallo-signore, fondato sul “servire”. Servendo, il poeta mira alla beatitudine del
Paradiso, pertanto si viene a creare un conflitto tra amore e religione.
Il fatto che la donna sia sublimata fino a divenire quasi una divinità, non può entrare in
conflitto con Dio, per questo il poeta si giustifica nei primi due versi delle terzine; non vuole
la donna con sé per commettere peccato, ma ribadisce che la bellezza sovrumana della
donna sia degna della gloria celeste.

Di questo componimento anche altri poeti si ricorderanno. Solo un altro poeta userò l’IO,
ovvero Petrarca nel Canzoniere (declinazione dell’Io).
"sollazzo, e riso” (Leopardi)

L’endecasillabo è un verso di 11 sillabe, ma non sempre questo accade in quanto può


averne in più o in meno:
● di meno se termina con una parola tronca, avremo 10 sillabe (l’ultima parola vale
per due);
● di più se termina con una parola sdrucciola, avremo 12 sillabe (si accorcia l’ultima
parola);
● 11 sillabe se termina con una parola piana.

PAROLA CON ACCENTO SULL’ULTIMA SILLABA: TRONCA


esempio: bontà; felicità; libertà; civiltà

PAROLA CON ACCENTO SULLA PENULTIMA SILLABA= PIANA


esempio: Fran-cè-sca

PAROLA CON ACCENTO SULLA TERZULTIMA SILLABA= SDRUCCIOLA


esempio: plà-ti-no

La differenza del sistema vocalico italiano e latino:


LATINO = quantitativa (dura nel tempo)
“gaudere” → la lunga vale due “e”
“legere” → la breve vale una sola “e”
queste due coniugazioni latine (2° e 3°) hanno dato vita alla seconda coniugazione
italiana.
ITALIANO= tonico accentuativa, di qualità (maggiore o minore apertura della bocca).

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