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IACOPONE DA TODI
Iacopone da Todi, nacque nel 1236 circa. Dopo essere diventato dottore in legge e praticò la
professione di notaio. Un anno fondamentale della sua vita è il 1268, quando dopo la morte
della moglie decise di darsi per dieci anni alla penitenza, pertanto si convertì entrando a far
parte dell’ordine francescano.
La sua produzione poetica si esprime nella forma di “LAUDA”, aperta ad accogliere una
certa varietà di temi e di motivi. Fu autore di circa 90 laude (scritte in volgare, in forma di
ballate di settenari e ottonari) di argomento religioso, infatti tra i temi ritroviamo: la lode di
Dio, il rifiuto dei beni terreni e dei piaceri mondani, la mortificazione del corpo, il lamento e
l’invettiva contro la corruzione del mondo e della Chiesa.
Le laude diventeranno successivamente drammatiche (siamo agli esordi del teatro, il primo
teatro era di tipo religioso e si svolgeva sull’ambone della chiesa che successivamente si
laicizza [corrispondenza con il teatro greco nato come omaggio a Dioniso]).
Tra le laude più famose ci sono “Donna de Paradiso” conosciuta anche come “Pianto della
Madonna”.
Fu anche autore di opere in latino, tra le quali vanno ricordate “Stabat Mater” (sequenza
liturgica in onore della Madonna), “l’epistola a fra Giovanni della Verna”, “i Detti” e “il Trattato
sull’unione mistica”.
Morì nel 1306.
Firenze: era alterna, con Dante che è priore [lotta tra guelfi (sostenevano il papa) e ghibellini
(sostenevano l’imperatore)] ma all’interno della fazione guelfa essi erano divisi in bianchi:
autonomia e neri che volevano avvicinarsi al papato per scontrarsi con i ghibellini.
Durante il XII secolo vedevano l’Italia come se fosse divisa in tre parti:
1. centro-nord, i comuni volevano ottenere l’autonomia dall’imperatore. Vediamo
pertanto conflitti tra i comuni e interni;
2. centro Italia, lo stato della Chiesa rese il Papa capo di Stato, pertanto ci furono delle
alleanze per appoggi politici sia in Italia che all’estero;
3. sud Italia, stato feudale accentratore. nel 1100 si insediarono i Normanni, il cui forte
controllo non permise la formazione dei comuni. Qui avvenne il matrimonio tra
Costanza d’Altavilla ed Enrico VI, il quale fece in modo che il patrimonio tedesco si
unisse a quello italiano. Dalla loro unione nacque lo STUPOR MUNDI, ovvero
FEDERICO II DI SVEVIA.
FEDERICO II DI SVEVIA
Federico II di Svevia nacque nel 1194 a Jesi e divenne imperatore a soli 16 anni nel 1220.
Egli fu una figura impressionante che univa nelle sue mani il potere che gli derivava da parte
di padre dagli Svevi (grandi famiglie della Germania) e da parte di madre (grandi
possedimenti dell’Italia meridionale soprattutto il regno di Sicilia).
Suo padre, Enrico VI, morì quando Federico aveva solo tre anni per cui la madre, Costanza
d’Altavilla lo affidò al Papa, il quale lo allevò e lo educò con il metodo religioso, tra l’altro il
Papa gli concesse in senso feudale il potere sul mezzogiorno dato che sperava in questo
modo di poterlo ottenere anche lui (Federico venne definito inoltre PUER APULIAE “ragazzo
di Puglia” → denominazione identificaria).
Una volta imperatore promise di non unire mai i domini tedeschi e il sud Italia, ma non riuscì
a mantenere questa promessa.
Era un uomo molto intelligente e amante della cultura (conosceva 7 lingue tra cui il greco e
l’arabo) , inoltre aveva una chiara concezione del potere e per questo rivolse le sue
attenzioni all’Italia meridionale, considerata da lui la vera sede dell’Impero.
Veniva molto spesso in Puglia (anche se il centro del suo impero era Palermo), ma quando
lo faceva era un seguito larghissimo con astrologi, medici, scienziati, legislatori e un caravan
serraglio (=zoo ambulante anche con belve del NordAfrica).
Attorno a lui cresceva il fervore letterario, artistico e scientifico. Fu un grande accentratore,
non si fidava dei nobili, crea una monarchia accentrata, promulga le leggi dalla sua corte
pubblicando le costituzioni del suo impero a Melfi (=Costituzioni melfitane/statuto della
monarchia federiciana. Questo fu un segnale di una monarchia moderna nel cuore dell’Italia
e dell’Europa), valorizza i suoi funzionari preparati e istruiti nominati “misti dominici” ovvero
“funzionari dell’imperatore”, infine egli ha l’esatta cognizione delle entrate e delle uscite del
regno e dell’applicazione delle leggi.
Si ritenne garante di pace e giustizia e si scontrò con i comuni, dichiarando illegali tutte le
attività a loro collegate, ordinando la distruzione dei castelli costruiti senza il suo permesso e
condannò a morte coloro che ricoprivano la carica di console e podestà.
Fu quindi il PRIMO GRANDE ESEMPIO DELLA MONARCHIA MODERNA.
Morì nel 1250 a Lucera a soli 53 anni.
Al centro dei componimenti c'è quasi sempre la figura femminile. Il fulcro lirico dei
componimenti è spesso costituito da una meditazione sulla natura e sugli effetti dell'amore,
ciò fa sì che venga data maggiore importanza all'interiorità del poeta e una tendenza ad
analizzare l'esperienza amorosa in modo intellettualizzato con accostamenti al mondo
animale vegetale.
L'importanza storico-letteraria e culturale della Scuola siciliana risiede nel fatto che per la
prima volta il volgare passa da lingua d'uso a lingua letteraria. I testi però non ci sono giunti
nel “siciliano illustre” ma nelle versioni toscanizzate a opera dei copisti che ce li hanno
tramandati.
Il lessico è piuttosto fisso e limitato e la lingua subisce un processo di selezione: c'è retorica,
raffinatezza compositiva è una rigorosa selezione delle strutture metriche, tra le più utilizzate
troviamo:
➢ la canzone, forma più nobile composta di endecasillabi e settenari;
➢ la canzonetta, composta di settenari, doppi settenari, ottonari e novenari, dotata di un
ritmo semplice, con temi leggeri e spesso dalla struttura dialogica e narrativa;
➢ il sonetto, la forma italiana per eccellenza la cui invenzione tradizionalmente
attribuita a Jacopo da Lentini. Questo è un componimento poetico di 14 versi divisi in
due quartine e due terzine.
Tradizione del “sonetto caudato” ovvero fornito di coda che può essere un distico, o nel
caso di una sonettessa di 22-23 versi.
Il sonetto è importante perché dalla scuola poetica siciliana, si spande per l’Europa
(Shakespeare).
Si dice che sia la fronte della canzone (=componimento dal punto di vista dottrinale e
tematico più ampio della nostra tradizione lirica).
Grande maestro del sonetto: PETRARCA.
Alla morte di Federico II (1250), il figlio Manfredi (grande personaggio della Divina
Commedia) per rivendicare l’autorità del padre combatté contro coloro (signori feudali) che
volevano prendere il posto di suo padre.
Alto celebre re, è re Enzo: figlio naturale di Federico II, il quale combatté contro i bolognesi
che si sono legati al papato, la sconfitta di Bologna avrebbe significato un grande rilancio
della presenza ghibellina e degli eredi di Federico II, ma nel 1249 i bolognesi vincono e re
Enzo viene fatto prigioniero per 23 anni, con libertà confinata (lui poteva continuare ad avere
un seguito ai quali trasmette il senso della poesia siciliana, ovvero il senso di poetare in
volgare siciliano illustre). Re Enzo morì nel 1272, egli fu importante perché tramite la sua
figura la poesia siciliana si conobbe a Bologna.
Il tramite della poesia siciliana nella penisola dal punto di vista politico avviene con Re Enzo,
mentre dal punto di vista letterario con Guittone d’Arezzo (primo componimento in volgare di
argomento politico).
Da Jacopo da Lentini l'utilizzo del sonetto si protrasse fino a Carducci, perché il volgare e
questa forma metrica sono l'antilingua e la ricerca delle radici per eccellenza (lo stesso
Dante terrà conto di Jacopo da Lentini nella Divina Commedia con il nome de “Il Notaro”).
Dante parla di lui nel “De vulgari eloquentia” e nel Purgatorio nel 24° canto versi 52-57.
Visione popolaresca del Paradiso. “o’” che sta per “obi” → APOCOPE
=troncamento della sillaba finale.
“sollazzo” → provenzalismo
Sanza mia donna non vi voria gire, “donna” → termine usato dai provenzali per
quella c’à blonda testa e claro viso, definire la loro amante. Qui ha il significato
che sanza lei non poteria gaudere, (rima di “domina” e il poeta lo ripete per ben tre
volte, per evidenziare un sentimento di
siciliana, penultima “e” lunga =i)
sudditanza nei suoi confronti.
estando da la mia donna diviso. Vuole quindi far sapere che è stato lui a
scrivere il componimento senza scrivere
mai il nome della donna (i provenzali
utilizzavano il senhal).
PARAFRASI: E’ un’anafora caratterizzante.
Ma non vi vorrei andare senza la mia
amata, colei che ha i capelli biondi e il viso “gire” → latinismo
luminoso, perché senza di lei non potrei
essere felice, stando separato dalla mia “blonda testa (SINEDDOCHE = i capelli
donna/signora. sono una parte della testa) e claro viso”,
espressione che indica i canoni di bellezza
della donna nelle liriche cortesi.
“claro” → latinismo
“intendimento”, “portamento” →
provenzalismo.
“che” → AFERESI
PARAFRASI:
“consolamento” → provenzalismo
e il bel viso e il dolce sguardo: perché lo
riterrei una gran consolazione vedere la mia
“ghiora” → forma popolare del termine
amata stare in gloria.
“gloria”, è un’IPERBOLE che eleva la donna
amata a creatura angelica.
Livello metrico: 2 quartine e 2 terzine di versi endecasillabi (11 sillabe) indicati con la lettera
maiuscola (versi più brevi, indicati con la lettera minuscola).
La scelta del metro e del verso è finalizzata anche al ritmo, ogni verso ha la sua funzione e
predispone il lettore colto.
Lo schema metrico è ABAB ABAB (rima alternata per 2 quartine) CDC DCD.
Livello sintattico: a differenza del “Cantico di Frate Sole” dove c’è la paratassi, qui è presente
l’ IPOTASSI = la principale e subito dopo c’è una relativa “Io m’aggio posto in core a Dio
servire,com’io” / “al santo loco, c’aggio audito dire, o’ si mantien sollazo, gioco e riso”;
oppure c’è una causale “che sanza lei non poteria gaudere”, una temporale “estando da la
mia donna diviso” (=dal momento in cui).
Riassunto del testo: Il poeta dichiara di volersi mettere al servizio di Dio per conquistare il
premio eterno, ovvero il Paradiso, il quale viene immaginato come il più piacevole dei luoghi
terreni, come una sorta di prolungamento terreno della gioia e dei piaceri della vita di corte.
Il poeta tra l’altro non vuole commettere peccato, ma vedere la sua donna in Paradiso
significherebbe conciliare l’amore profano per la sua amata con l’amore sacro per Dio: la
gioia che egli immagina di condividere con la sua signora scaturisce infatti dalla
contemplazione della sua bellezza nella gloria del Paradiso.
La domanda a questo punto è: “lui si pone in core di servire Dio o la donna amata?”, quindi il
vassallaggio è nei confronti di Dio o della donna?
In questo sonetto, così come in altri componimenti appartenenti alla Scuola poetica siciliana,
il personaggio fulcro è la donna. L’omaggio alla donna, tipico della tradizione cortese, qui si
arricchisce di religiosità e culmina nella divinazione della donna: il poeta infatti elogia
caratteristiche fisiche e morali della donna (“capelli biondi e sguardo luminoso, il bel viso,
l’intensità dello sguardo”) e la nobiltà d’animo, il decoro (“il portamento”) tipiche della cultura
cortese.
Il poeta, inoltre, mostra un atteggiamento di sudditanza e di fedeltà nei confronti della donna,
tant’è che nel testo dice che senza di lei non potrà provare gioia, come dimostra la
ripetizione anche del sintagma “mia donna” ovvero “mia signora”. Manca qualsiasi
riferimento al desiderio erotico, alla volontà di esplorare anche la dimensione fisica e carnale
dell’amore. Siamo all’inizio del processo di spiritualizzazione e divinazione della donna che
verrà portato a termine nello Stilnovo.
Per quanto riguarda il rapporto con Dio, invece, è inteso in termini feudali come se fosse un
rapporto vassallo-signore, fondato sul “servire”. Servendo, il poeta mira alla beatitudine del
Paradiso, pertanto si viene a creare un conflitto tra amore e religione.
Il fatto che la donna sia sublimata fino a divenire quasi una divinità, non può entrare in
conflitto con Dio, per questo il poeta si giustifica nei primi due versi delle terzine; non vuole
la donna con sé per commettere peccato, ma ribadisce che la bellezza sovrumana della
donna sia degna della gloria celeste.
Di questo componimento anche altri poeti si ricorderanno. Solo un altro poeta userò l’IO,
ovvero Petrarca nel Canzoniere (declinazione dell’Io).
"sollazzo, e riso” (Leopardi)