Sei sulla pagina 1di 56

ESAME ITA

LE ORIGINI
La letteratura italiana si è sviluppata in più generi come la prosa la poesia ed il teatro ma nonostante
questo è sempre stata considerata in ritardo rispetto a quella europea, nello specifico a quella
francese. Quest’ultima inizia nel 841 con i Giuramenti di Strasburgo, dove i re giurarono in
protofracese. Ma quali sono le origini della letteratura italiana? Le prime testimonianze risalgono
all’indovinello veronese (VIII-IX sec), il quale parla dell’arte della scrittura ed è il primo
componimento in volgare che lo distacca dal latino. Poi abbiamo i Placiti di Capua (960-963),
scritte in volgare, ossia sentenze del notaio, successivamente l’iscrizione catacombe della Basilica
di S.Clemente. (XI sec), che narra di un miracolo del santo.
Le prime vere opere compaiono con S.Francesco D’Assisi con il “canto” e dopo con Jacopo Da
Lentini, opere scritte in volgare.
La cultura italiana nasce dalla rottura e frammentazione dell’impero romano. Da questo evento
storico incominciarono ad affermarsi le lingue volgari romanze : ovvero quelle lingue che si
sviluppano, sulla base del latino parlato dal popolo, in alcune aree dell’ex impero romano. Si da
inizio ad una letteratura laica che si basa sulle esigenze della società, diretta non più solo ai dotti ma
ad un pubblico sempre più ampio. Tra questa convivenza latino e lingue romanze che avrà luogo la
formazione della cultura europea.
LINGUA E LETTERATURA FRANCESE
La prima letteratura europea a delinearsi fu quella francese, in terra di Francia ossia in Provenza
(prima provincia romana al di fuori dell’Italia). Da li si divisero lingua d’oc (hoc latino) e d’oil (la
lingua si definisce con la sua affermazione). In Provenza nacque la lingua e letteratura occitanica
(agg di OC), mentre al nord nacque quella oitanica (agg di OIL).
La letteratura occitanica si fondò in particolar modo sulla lirica d’amore ossia poesia cortese o
trobadorica da “trobar=trovatori”. Quest’ultimi si dichiaravano vassalli d’amore per la loro
castellana, donna del castello. Questi trovatori sono inventori di un tropos ( nuove forme poetiche).
La lirica cortese si sviluppò tra il XI e XII sec nelle corti del sud della Francia ed era destinata al
canto e all’esecuzione pubblica. Gli esecutori materiali che cantavano queste liriche in pubblico
erano i menestrelli o i giullari. Questo nuovo tropos letterario rappresenta la massima espressione
culturale dei valori della nuova società aristocratica feudale e come soluzione di emancipazione
culturale. Il primo trovatore è stato un nobile potente Guglielmo IX duca d’Aquitania.
La poesia dei trovatori ha come argomento prediletto la tematica amorosa: si afferma così una
nuova concezione dell’amore, l’amore cortese. Esso è caratterizzato da precisi rituali e codici di
comportamento, che prevedono la dedizione assoluta e il servizio dell’amante nei confronti della
donna amata. (amore come vassallaggio). Questa a sua volta deve essere una donna superiore sia
per rango sociale, sia per bellezza e qualità morali. Questo nuovo amore rappresenta uno strumento
di educazione sentimentale e sociale perché l’amante perfeziona le sue qualità allo scopo di rendersi
degno delle sue attenzioni e del rispetto della donna amata.
NORD: Per quanto riguarda invece la lingua e la letteratura oitanica del nord presero piede altre
forme letterarie come l’epica medievale: genere letterario narrativo in versi, costituito da opere
1
anonime in cui si celebrano le gesta di eroi e si raccontano eventi storici decisivi per la vita di una
determinata civiltà. Essa viene tramandata e diffusa in maniera orale ed ha una spiccata funzione
sociale: chiamare la collettività a fondare la sua identità su alcuni valori condivisi come il coraggio,
la fedeltà al sovrano ecc. In tutta Europa venivano esaltate le gesta dei vari eroi come il Cid o
Beowulf, ma soprattutto va ricordato il ciclo dedicato a Carlo Magno : il ciclo carolingio.
Queste chanson de geste di materia carolingia rappresentano una serie di poemi incentrati sulla
figura di Carlo Magno e dei suoi dodici paladini (Pari) schierati in difesa della cristianità contro i
morischi (musulmani). Viene esaltato l’amore cristiano e la fede.
In Bretagna, accanto alle chanson de geste, si sviluppò anche il romanzo cavalleresco (ciclo
bretone), primo genere destinato ad una lettura privata e non più alla recitazione pubblica. Al centro
delle opere ci sono le vicende eroiche dei singoli cavalieri che si distinguono per il proprio coraggio
e per il proprio valore. A differenza dell’epica quindi non ci sono più eventi storici determinanti per
la comunità ed inoltre gli eventi storici presenti nel romanzo sono spesso pretesti per scopo
narrativo. Esemplari del romanzo cavalleresco sono Re Artù e i cavalieri della Tavola rotonda.
Il cavaliere è il protagonista centrale che si definisce su due concetti chiave : avventura e ricerca.
In queste storie anche l’amore cambia, esso è carnale e sofferto come nella storia di Re Artù.
Un’altra componente importante del ciclo bretone è costituita dalla vicenda leggendaria di Tristano
e Isotta (passione, meravigliose imprese, coraggio, amore e morte) divenuta un simbolo per ogni
altro amore tragico della letteratura.
LINGUA E LETTERATURA ITALIANA
Il primo movimento poetico italiano nasce in Sicilia, nell'ambito della Magna Curia dell'imperatore
Federico II: la Scuola Siciliana. Essa è stata fortemente influenzata dalla tradizione provenzale,
adotta dai trovatori i temi come quello amoroso, poi le forme e le immagini. La grande novità però è
la lingua, infatti i poeti della Scuola adottano il volgare locale depurato degli aspetti dialettali:
siciliano illustre. Con la scuola siciliana la poesia non tratta più della società feudale, ma si incentra
sulla realtà della corte di Federico. Difatti l'amore come vassallaggio e gli elementi cortesi si
svuotano di qualunque riferimento alla realtà sociale concreta per diventare modelli puramente
astratti. Nuova poi è la concezione della poesia, non più opera di poeti professionisti che prestano
“servizio” alla corte, ma pensata come uno “svago”, un'evasione dalle occupazioni quotidiane.
Infatti tutti i più grandi interpreti della Scuola ricoprivano ruoli politici: il segretario Piero delle
Vigne, il notaro Giacomo da Lentini, Federico II stesso, e poi suo figlio Re Enzo.
Inoltre le rime dei Siciliani non sono destinate alla recitazione pubblica ma alla lettura individuale, e
dunque spesso non sono accompagnate dalla notazione musicale.
Sul piano formale la Scuola Siciliana segue lo stile della lirica provenzale ossia il canso (la
canzone), ma si passa poi ad una forma più alta: il sonetto. Questa forma metrica di 14 endecasillabi
è dovuto al maestro della Scuola ossia Giacomo da Lentini, colui che fissò le forme i caratteri e i
temi fondamentali della scuola.
GIACOMO DA LENTINI: IL NOTARO

Il più grande interprete della Scuola è stato sicuramente Giacomo da Lentini. Notaio imperiale che
ha collaborato con Pier delle Vigne, capace di rivoluzionare la metrica europea. 1230-1248 fu il

2
periodo più proficuo ed importante della sua vita. Con Giacomo da Lentini e gli altri esponenti della
scuola il tema dell'amore assieme alla morale e alla politica rimangono i temi più trattati e più
importanti. Con Giacomo la concezione religiosa è laica e l'amore si scinde in amor sacro e amor
profano come è possibile analizzare nelle sue opere “Io m'aggio in core a dio servire”. Da
Giacomo da Lentini l'utilizzo del sonetto si è protratto fino a Carducci, perchè il volgare e questa
forma metrica sono l'antilingua e la ricerca delle radici per eccellenza. Lo stesso Dante terrà in
conto Giacomo nella divina commedia con il semplice nome de Il notaro.
LA CIVILTA' DEI COMUNI
A partire dal XII sec e poi per tutto il XIII sec in tutta Europa le comunità urbane ambivano a
svincolarsi dai signori feudali, dai principi e dai re. Ad alimentare questo desiderio vi erano più
fattori come lo sviluppo dell'economia con la circolazione dei beni e della moneta che portò alla
nuova classe sociale : la borghesia. In Italia questo fenomeno si sviluppò nella parte centro-
settentrionale con la nascita dei Comuni: una nuova forma di governo cittadino basata sulla
condivisione e sulla collettività. Il comune si presentava come un'aggregazione di persone che
abitano in uno stesso luogo e condividono la stessa legge. Questo nuovo governo e questa nuova
classe sociale portarono ad una apertura dei confini mentali ancor prima che geografici. Il concetto
di misura oltre che lo spazio cambia anche la concezione del tempo che ora si scinde tra tempo dei
mercanti e tempo della Chiesa. La civiltà comunale favorì l'emergere di nuovi modelli intellettuali,
a luoghi simbolici o conventi si sostituirono università e altri luoghi culturali. Questa nuova
dimensione aveva poi davanti a se un pubblico mutato che richiede e apprezza espressioni culturali
diverse da quelle cortesi, più adeguate ad esprimere la nuova realtà borghese e comunale.
Emerse di conseguenza anche una nuova figura di intellettuale chiamato a confrontarsi con una
dimensione laica, pubblica, civile che impone l'utilizzo del volgare. I nuovi intellettuali si
svilupparono nelle università e quindi oltre ad essere figure culturali assunsero anche una funzione
politica e civile, venivano anche pagati per quello che facevano.
Una grande innovazione nella trasmissione del sapere fu portata dalla capillare diffusione delle
scuole urbane laiche, ormai del tutto svincolate dalla chiesa. Questo nuovo modello scolastico si
basava sulla libera associazione e gli studenti seguivano il “magister” ossia il professore.
GLI ORDINI MENDICANTI
Alla formazione della cultura comunale contribuì anche una vera e propria rivoluzione nell'ambito
della vita religiosa intorno al XIIIsec, ossia la nascita di due nuovi ordini religiosi quello
francescano da San Francesco d'Assisi e quello domenicano da Domenico de Guzmàn. Entrambi
rinunciarono all'isolamento praticato dalla forme di vita monastica precedenti e concepirono il
servizio di Dio come azione nel mondo, infatti in questi nuovi ordini non erano più monaci ma frati
al servizio della comunità. La Chiesa all'inizio ostacolava questi nuovi movimenti ma dopo nel
1216 per quello domenicano e nel 1223 per quello francescano dovette accetarli.
Gli ordini mendicanti sono stati molto importanti per aver difeso ed aiutato i più poveri e per aver
favorito lo sviluppo della cultura della letteratura laica e cittadina. Tutto ciò perchè sono stati capaci
di introdurre un modo nuovo e diretto di comunicare con la massa dei fedeli, in particolar modo
utilizzando il volgare. Molto importante fu la loro attività di lotta contro i movimenti ereticali e la
difesa dell'ortodossia.

3
IL PROGETTO FRANCESCANO
Il progetto francescano si incentrò sul rinnovamento della fede cristiana attraverso qualsiasi canale
di comunicazione con i fedeli, fu così che nacque la figura del fratello francescano. Un frate che
girava per le strade e per le piazze come un giullare narrando e inscenando storie. Il presupposto di
questa apertura verso l'esperienza laica stava nella convinzione che ogni fenomeno terreno fosse
manifestazione di Dio.
Da questa nuova religiosità e dalla lor nuova visione del mondo nacque la prima grande
produzione poetica in lingua volgare italiana. Legata al rinnovamento spirituale e alle esigenze
della predicazione pubblica, questa poesia ha trovato come grandi interpreti prima S.Francesco e
poi Iacopone d Todi.
SAN FRANCESCO D'ASSISI:IL CANTICO
Francesco (1181/83-1226) è stato l'esempio dell'ordine francescano e simbolo di questo
cambiamento. Dopo un periodo di crisi interiore, incominciò a dedicare tutto se stesso alla
letteratura e al contatto con il popolo. La conversione fu per lui un momento importantissimo e
determinante che lo portò a cambiare totalmente visione avvicinandosi molto alla teologia
(ricerca/scienza di Dio). Il suo grande capolavoro è Cantico di Frate Sole (1226). Il testo, che nasce
come preghiera composta dal santo e messa a disposizione dei fedeli, è costruito sul modello dei
salmi e mantiene una matrice colta. Però è rivoluzionario perchè è composto in volgare umbro ed è
destinato alla recitazione pubblica accompagnato dalla musica. (vedi appunti per analisi).
IACOPONE DA TODI
Iacopone da Todi nacque nel 1236 circa e morì nel 1306. Il 1268 fu l'anno della conversione ed
entrò a far parte dell'ordine francescano. L'intera sua produzione poetica si esprime nella forma
della Lauda, aperta ad accogliere una certa varietà di temi e motivi. Queste opere sacre scritte in
volgare si incentrano sulla contemplazione mistica accompagnata dalla riflessione sulla vanità del
mondo, dall'obbligo della penitenza e dall'esaltazione della povertà. Inoltre le sue opere sono al
servizio e al sostegno della comunità per denunciare il degrado e la decadenza della Chiesa.
DALLA CORTE AL COMUNE: I POETI SICULO-TOSCANI
Alla metà del Duecento nei Comuni italiani si sviluppò anche a produzione laica in lingua volgare
fortemente ispirata all'esperienza della Scuola Siciliana. Con la fine del regno svevo, conclusa
l'esperienza della Magna Curia, la produzione dei rimatori siciliani si diffuse al nord attraverso due
direttrici fondamentali : l'area emilio-veneta e l'area toscana.
Nella prima zona spiccò Bologna come centro culturale per le università e l'ambiente, mentre in
Toscana alcuni anonimi intellettuali coordinarono una complessa operazione di selezione e riordino
dei materiali giunti dal sud affinchè questi potessero essere trasmessi. I testi recuperati però
venivano trasmessi nel nuovo contesto in una forma “toscanizzata”. Questi poeti sono oggi
comunemente noti col nome di siculo-toscani. Tuttavia, l'originalità e la diversificazione delle loro
esperienze biografiche e letterarie, impediscono di ricondurli ad una vera e propria scuola come per
i poeti siciliani. Però grazie ai poeti toscani queste opere vennero arricchite grazie al diverso
contesto sociale e culturale dei Comuni e grazie alle nuove forme metriche che daranno il via allo
Stil Novo. Mentre la poesia siciliana si incentrava sull'amor cortese ed interpretava la poesia come
svago, al contrario nell'ambiente infuocato dei Comuni toscani tornò centrale l'argomento politico,
l'attualità e la cronaca. Tutto questo con lo sfondo della continua lotta tra guelfi e ghibellini.

4
Questi poeti sono stati anche molto importanti non solo per i temi ma anche per l'ampliamento delle
forme metriche, soprattutto con l'introduzione e lo sviluppo della ballata.
Bonagiunta Orbicciani è considerato il primo rappresentante della corrente siculo-toscana, in quant
fu il primo a trapiantare in Toscana moduli poetici siciliani. Egli assunse una figura di mediatore tra
la tradizione antica dei trovatori e dei poeti della Scuola e la poesia moderna (quella del futuro
Stilnovo).

GUITTONE D'AREZZO (1235-1294)


Egli rappresenta il più autorevole esponente della corrente siculo-toscana. Grande importanza
assume nella sua biografia la conversione religiosa. Questo cambiamento è comprensibile nelle sue
opere, dove prima si incentravano sull'amore e poi sulla politica e sulla morale. Le caratteristiche
della poesia guittoniana sono lo sperimentalismo e l'innovazione metrico-formale, il vigore morale e
la sovrabbondanza retorica. In particolare la morale è l'elemento centrale sia nei testi religiosi che
nei testi di argomento politico. Attraverso i suoi componimenti l'autore cerca di condannare la
discordia tra guelfi e ghibellini, ed egli stesso era stato un partigiano di fazioe guelfa.
Con Guittone d'Arezzo è chiara la figura dell'uomo del Comune che si interessa delle proprie sorti.
E' stato un autore molto prolifico, vanta di raccolte di rime con 300 poesie, 50 canzoni e 251 sonetti.
Una delle sue opere più famose è sicuramente “Ahi lasso, or è stagion de doler”.
STIL NOVO
Nella seconda metà del Duecento, fiorì un'esperienza poetica decisiva per lo sviluppo della
letteratura italiana : Stil Novo o Dolce Stil Novo. Nella civiltà comunale la nuova classe sociale
borghese e la cultura universitaria favorirono questo nuovo movimento poetico.
Contemporaneamente anche la figura dell'intellettuale mutò. Infatti i poeti stilnovisti non erano più
solo legati alla presenza nelle corti, ma incominciarono a ricoprire ruoli civili e soprattutto politici
importanti. Erano uomini colti, istruiti e dediti alla filosofia pertanto nacque così un'elite che
rivendicava un ruolo di primo piano sia nella politica che nella cultura.
I poeti più importanti appartenenti a questa linea sono Guido Guinizzelli, Guido Cavalcanti, Cino da
Pistoia e Dante Alighieri (durante la sua gioventù). In realtà questi autori non appartengono né ad
una vera scuola né ad una vera e propria corrente letteraria. Infatti il termine Stilnovo venne
utilizzato da Dante successivamente nel XXIV canto del Purgatorio. Nonostante non si possa
definire un'ideologia comune, comunque questi autori sono legati fra loro da una forte amicizia e da
elementi poetici in comune. Il più importante tra questi è la nobiltà di cuore. Una nobiltà d'animo,
interiore contrapposta a quella di sangue o di lignaggio. Questi autori della realtà comunale
cercavano di contrapporre all'aristocrazia tradizionale il loro cor gentile, ovvero il loro prestigio
culturale ed etico.
-NOVITA' DELLO STIL NOVO: Per gli stilnovisti la piena realizzazione della gentilezza del cuore è
resa possibile dall'esperienza amorosa. Quindi la tematica amorosa recupera il ruolo centrale nella
poetica dopo che i poeti siculo-toscani avevano presentato temi differenti. Come esprime Dante nel
XXIV canto del Purgatorio, l'esperienza poetica nasce da una genesi esclusivamente interiore,
dettata da un'ispirazione trascendente e lontana da circostanze private e occasionali.

5
Ne derivano le novità rispetto alla tradizione provenzale e siciliana : 1. l'interdipendenza tra il
sentimento amoroso e la natura interiore nobile e gentile del poeta-amante; 2. l'insistenza
sull'ispirazione interiore della poesia; 3. la connessione tra il contenuto e la forma che lo esprime; 4.
il ricorso a nozioni filosofiche per sostenere e illustrare le affermazioni intorno alla natura e agli
effetti del sentimento amoroso.
La nobiltà di cuore per gli autori è una qualità puramente spirituale del tutto indipendente
dall'origine sociale o dalla partecipazione ad un ambiente aristocratico. Mentre l'amor cortese
raffinava il comportamento sociale dell'individuo, ora l'amore per gli stilnovisti è inteso come virtù
che educa e forma l'individuo sul piano morale profondo. Diventa dunque una dimensione totale,
spirituale.
STILE: la novità più evidente si colloca sul piano stilistico. Innanzitutto è importante sottolineare
una rinnovata attenzione per l'arte retorica, lo stile è fondamentale perchè deve rispecchiare ed
esprimere ciò che deriva dall'interiorità. Per questo motivo gli autori stilnovisti adottano la linea
della dolcezza o leggiadria stilistica, una scelta poi lessicale alta e raffinata tendenzialmente
selettiva. Dolcezza del suono, soavità, sottigliezza, lessico tecnico filosofico e scientifico sono le
grandi componenti stilistiche del movimento. Di conseguenza gli stilnovisti si dedicavano ad un
pubblico elitario selettivo, che condivideva gli stessi valori e interessi dell'autore.
GUIDO GUINIZZELLI
Guido Guinizzelli è considerato il poeta “padre” dello Stilnovo. Sarebbe nato tra il 1230 e il 1235 e
morto il 1276. In alcuni suoi componimenti (5 canzoni e 15 sonetti) ritroviamo alcuni principi che
definiscono il nuovo stile: il topos della lode di madonna, quello del “salutifero” e soprattutto quello
della nobiltà di cuore ossia il cor gentile. Le sue opere simbolo dello Stilnovo sono “Al cor gentile
rempaira sempre amore” considerato il manifesto di questo nuovo stile, e poi “Io voglio del ver la
mia donna laudare”. Queste opere hanno influenzato altri autori come Dante e Cavalcanti, e da
Guinezzelli derivano altri temi fondamentali come l'angoscia amorosa e la morte spirituale.
Con questo autore è anche possibile comprendere che la letteratura italiana è policentrica. Infatti in
questi anni molti autori faranno tappa a Bologna o a Ferrara, altri centri culturali per eccellenza
oltre Firenze e la zona Toscana.
-Al cor gentile rempaira sempre amore: essa afferma la totale identificazione tra Amore e “cor
gentile”. Vi è una totale indipendenza della nobiltà di cuore da quella di sangue. Questo legame
amore e gentilezza è dimostrato dalla filosofia aristotelica e difatti il componimento presenta un
lessico molto ricercato e raffinato con riferimenti alla cultura filosofica scientifica e biblica.
-LA DONNA-ANGELO: Un altro elemento fortemente innovativo introdotto dalla canzone
guinizzelliana riguarda la figura della donna, totalmente spiritualizzata, spogliata di qualsiasi
elemento relativo alla sua dimensione fisica. Questa donna si caratterizza per i suoi tratti stilizzati
ma soprattutto per l'effetto nobilitante che esercita sull'animo del poeta. Nasce così la figura della
donna-angelo. Con questa nuova figura, nei componimenti di Guinizzelli incomincia a delinearsi il
carattere trascendente del sentimento amoroso e della poesia che lo ispira. Per la prima volta è
formulata un'assimilazione esplicita fra l'amore profano per una donna terrena e l'amore spirituale e
divino.

6
EREDITA' DI GUINIZZELLI: GUIDO CAVALCANTI
Cavalcanti nasce durante la metà del XIII sec prima del 1260 e sappiamo che apparteneva ad una
delle famiglie aristocratiche più potenti di Firenze, rappresentante di spicco dei guelfi bianchi.
La personalità dell'autore è contraddistinta dal forte coinvolgimento nella vita pubblica, tanto forte
che fu costretto all'esilio. Data la sua forte partecipazione alla politica e all'ambito civile,
rappresenta una figura di intellettuale aristocratico. Eredita da Guinizzelli l'importanza della nobiltà
d'animo e sul cor gentile e si schiera contro le persone vili, per questo il suo pubblico è selezionato.
Egli si rivolge ad una cerchia di interlocutori degni, ossia in grado di comprendere e condividere
l'esperienza dell'amore spirituale. Cavalcanti è stata una figura di spicco dello Stilnovo, ma rispetto
la concezione e la posizione più pura, sostenne una posizione originale e persino contraddittoria.
Infatti l'evento amoroso costituisce sempre il nucleo centrale dei suoi componimenti ma l'autore lo
tratto in modo del tutto innovativo: spiegare scientificamente l'esperienza d'amore. Per questo viene
definito il poeta filosofo. L'amore non è una sostanza, ma un accidente che sussiste in relazione ad
un'altra sostanza. Questa causa esterna è uno stimolo percepito dai sensi in particolare dalla vista.
L'amore ha dunque origine nell'anima sensitiva e l'autore contrappone da un lato la passione dei
sensi e dall'altro l'immagine ideale della donna. Questa nuova visione sensitiva dell'amore coincide
di fatto con una visione fatalistica e deterministica. La conciliazione tra le istanze sensitive e quelle
razionali risulta impossibile per cavalcanti, e tale impossibilità viene raffigurata come una sconfitta
ed una morte del soggetto amante. Egli assorbito dall'esperienza amorosa non ha più la capacità di
agire secondo ragione. Si parla di una morte della razionalità, quindi una morte non fisica ma
simbolica. Questo processo viene spiegato perfettamente con precisione dal poeta e nessuno prima
di lui ci era mai riuscito. Inoltre Cavalcanti, rispetto a Guinizzelli, tende al superamento della
vicenda privata dell'individuo per giungere a una rappresentazione oggettiva della vicenda amorosa:
ovvero propone se stesso come esemplare universale di uomo e non più come individuo.
I POETI COMICO-REALISTI
Nella stessa realtà borghese comunale in cui nacque lo Stilnovo, operarono anche nuovi autori
definiti comici, realistici, giocosi ecc. tra cui ricordiamo in particolare il senese Cecco Angiolieri.
Questi nuovi autori si distinguono per una maniera poetica che si pone su binari diversi e persino
rovesciati rispetto la visione aulica e stilnovistica. Come forma metrica questi autori continuano a
prediligere il sonetto. La grande differenza con Guinizzelli e Cavalcanti, sta nel fatto che ad ispirare
questi autori comici è la visione del mondo borghese che mette in rilievo gli aspetti fisici e carnali
della passione amorosa. Ne deriva quindi che questi nuovi autori pongono l'accento sull'appetito
sessuale che la passione genera. Alla donna stilnovistica, che dona salvezza a chi la vede, si
sostituisce la femmina interessata al denaro, diabolica, sensuale e provocante, che danna
invece di salvare. Ne è esempio Becchina, protagonista di tanti sonetti di Angiolieri, costituisce
una perfetta rappresentazione dell'anti-Beatrice.
A livello tematico l'amore è sempre protagonista ma inteso come godimento sessuale, poi c'è anche
l'esaltazione del denaro e del lusso. Vi è un'invettiva violenta (vituperium) con cui gli autori comici
si schierano contro gli amanti che non si concedono, insomma contro tutto ciò che impedisce loro di
aderire sensualmente alla vita. Cecco Angiolieri a questi temi aggiunge anche un sentimento di
malinconia. Alla base di questi componimenti comici vi è un bagaglio retorico raffinato che
permette all'autore di rendere l'effetto parodico. Ricorrenti sono le antitesi, le anafore e le iperboli.

7
CECCO ANGIOLIERI
Nelle opere di Cecco ci sono 3 filoni ricorrenti: le alterne vicende del suo amore per la diabolica
Becchina, l'odio verso i genitori, la battaglia con monna Malinconia (in particolare nei sonetti).
Questi temi e il vitalismo è espresso in molte sue opere come “S'i' fosse fuoco, arderei 'l mondo” e
“Tre cose solamente m'enno in grado”.
DANTE ALIGHIERI
Dante (diminutivo di Durante) nasce nel 1265 a Firenze da una famiglia che apparteneva alla parte
guelfa. Fin dalla giovinezza Dante è autore di poesie liriche appartenenti per lo più allo Stilnovo.
1292-1294 risale anche l'opera la Vita Nova. Oltre che per il suo talento artistico, va ricordata la sua
attività nell'ambito civile e politico. Ha partecipato alla battaglia di Campaldino e poi entrò a far
parte del Consiglio dei Trenta e poi del Consiglio dei cento. Durante lo scontro tra guelfi neri e
bianchi, Dante venne eletto priori. Nel 1301 i Neri esiliati riuscirono a rientrare a Firenze e Dante
stesso fu costretto all'esilio e in questi anni realizzò il Convivio e il De Vulgari eloquentia.
Rientrò e si spense a Ravenna tra il 13 e il 14 settembre 1321.

IL PENSIERO E LA POETICA
Poeta, filosofo, teologo, artefice di opere in latino ed in volgare, di prosa e di versi, Dante è il
primo vero autore classico della letteratura italiana ed europea. Prima dell'esilio l'autore ha
sempre caratterizzato le sue opere con un continuo confronto con il passato e con il dialogo con i
suoi autori contemporanei. Infatti in questa fase Dante si può definire un poeta d'amore vicino allo
Stilnovo, condivide con Guinizzelli e Cavalcanti i temi come il servizio d'amore e la nobiltà
d'animo soprattutto nelle Rime e nella Vita Nova. In quest’ultima opera risulta particolarmente
evidente l'innovazione dantesca: 1 la decisione di organizzare le liriche in modo da costruire un
libro organico e unitario che ruoti intorno al rapporto fra amore e creazione poetica; 2 il processo di
totale spiritualizzazione che investe la figura di Beatrice; 3 a partire dall'amore per questa donna,
inaugura poi un'esperienza poetica inedita chiamata “stile della loda”. Secondo questa concezione,
il fine unico della poesia è lodare la superiorità della donna amata in modo totalmente gratuito,
senza chiedere nulla in cambio perchè nello stesso lodare la donna risiede la felicità del poeta. =
superamento dell'amore cortese.
Gli anni successivi alla composizione della Vita Nova, sono segnati da uno studio dottrinario e
filosofico incessante e dal coinvolgimento nella vita pubblica di Firenze. Sul piano della produzione
letteraria, in questo momento si manifesta una forte tendenza allo sperimentalismo poetico
(espressionismo, comicità, satira, ironia). Inoltre in questi anni si concentra molto sul rapporto tra
latino e volgare, riflessione evidente nel Convivio e nel De vulgari eloquentia. Dopo anni interi di
studio e di operazioni, Dante celebra la dignità culturale del volgare e la possibilità di utilizzarlo
per argomenti elevati, ma anche soprattutto la sua valenza unificatrice: veicolo di coesione
culturale politica e civile. Di conseguenza poter estendere infine i confini del proprio pubblico.
Senza i suoi studi, in Italia non ci sarebbe stata l'unità culturale e letteraria.
Dopo l'esilio Dante non dimentica il ruolo morale della poesia, mezzo utilizzato per mantenere il
confronto con i temi della politica e del vivere civile. Dante, talvolta con grande incisività, la
propria indignazione contro la corruzione morale e contro la propria utopia di unità e di giustizia.

8
Sradicato dal suo ambiente culturale, allontanato dal suo pubblico naturale, Dante è costretto a
ridisegnare la propria identità e funzione oltre i confini della realtà comunale, cercando di
estenderla in una dimensione più ampia e sovramunicipale. L'esperienza dell'esilio lo porta ad
abbandonare la visione politica precedente, per creare una nuova utopia politica delineata nella sua
opera Monarchia. In questo trattato, scritto tra il 1313 e 1318, viene formulato il principio
dell'indipendenza delle due istituzioni guida ossia Impero e Chiesa. Secondo l'autore ognuna è
sovrana nel proprio ambito, la Chiesa in quello spirituale e l'impero in quello politico, e l'una non
deve prevalere sull'altra. Così secondo l'autore si può creare una felicità terrena basata sull'armonia
sociale.
Tutti queste riflessioni portate avanti durante tutto il corso della sua vita, trovano una sintesi perfetta
nel “poema sacro”: Divina Commedia. Il cammino inizia con la scelta di Beatrice come guida del
Paradiso e della celebrazione dell'amore supremo. Il percorso morale dell'individuo e dell'umanità
intera è esposto lungo il viaggio nei tre mondi ultraterreni (inferno, purgatorio e paradiso) e culmina
nella celebrazione del libero arbitrio. Nei vari canti, Dante analizza e critica aspramente la
situazione dell'Italia e preannuncia il suo pensiero politico. Tutto il poema è scritto in volgare ma
caratterizzato da una pluralità di registri e stili (plurilinguismo e pluristilismo). Grazie a quest'opera
l'autore produce il volgare illustre, una lingua nuova che acquisisce prestigio al pari del latino.
Durante il viaggio l'autore si confronta con tanti autori e poeti del passato e del presente. Ognuno di
questi incontri diviene un modo per fare i conti con se stesso e con il proprio passato. Dimensione
biografica ed universale si intrecciano in un'unica opera che coinvolge l'umanità intera.
LA VITA NOVA
essa è la prima opera unitaria di Dante. Ha accompagnato tutta la vita dell'autore e si muove tra
rinnovamento e della memoria. La composizione della Vita Nova è da collocare tra il 1292 e il 1294
ed è costruita sul modello del prosimetro, ossia l'unione tra prosa e versi. Lo stretto legame tra
poesia e prosa mira a ricostruire un itinerario autobiografico che ruota attorno alla vicenda
dell'innamoramento di Dante per Beatrice (Bice Portinari). Vita Nova, il titolo sta ad indicare la
gioventù e il rinnovamento spirituale e poetico di cui Dante beneficia grazie all'incontro con
Beatrice. Partendo dall'esperienza biografica l'autore riesce a proiettarla su un piano allegorico e
universale, processo che si svilupperà soprattutto nella Commedia. L'opera si incentra sul primo
incontro tra Dante e Beatrice e lo sviluppo del loro rapporto fino ai presagi di morte di lei.
In questa raccolta Dante supera lo StilNovo con la svolta della loda, ma ci sono molti elementi che
ci riportano a Cavalcanti e a Guinizzelli come il gioco del saluto/salute. Beatrice, donna-angelo,
assume dei connotati che richiamano alla figura di Cristo. In quest'opera è inoltre molto chiara
l'influenza di testi religiosi e lo si può notare nello stile e nel lessico elevato e raffinato.
E' formata da 42 capitoli in prosa contenenti 31 testi poetici tra cui i più famosi sono “Tanto gentile
e tanto onesta pare” e “Donne ch'avete intelletto d'amore”.
IL CONVIVIO
L'opera risale agli anni 1304-1308 ed è un saggio dottrinario. Il titolo del trattato (banchetto), basato
sulla metafora del nutrimento di sapere e della conoscenza, allude anche alla sua scrittura, nella
quale le canzoni rappresentano la vivanda ossia il cibo e il commento il pane.
Nel primo libro, introduttivo, sono esposte le ragioni e contenuti dell'opera e l'autore giustifica la
scelta del volgare , del tutto originale per un testo di natura filosofica. Con questa scelta, l'autore
aspira ad allargare i confini del proprio pubblico e a raggiungere tutti gli uomini che desiderano la
9
conoscenza. Contro la scelta del latino vi è anche una ragione di carattere “tecnico”: i trattati del
Convivio, infatti, sono scritti a commento filosofico di liriche in volgare.
Nei tre successivi libri, l'autore offre dei commenti a delle canzoni dottrinali illustrandone i due
livelli di senso: uno letterale, l'altro allegorico. In questa parte vi è l'identificazione della donna
gentile con la Filosofia, mentre nel terzo libro è presente un vero e proprio elogio alla sapienza.
Il quarto libro infine è dedicato ai concetti di gentilezza e nobiltà, quest'ultima in opposizione alla
cupidigia. Secondo Dante solamente l'Impero può estinguere le discordie sociali diffondendo
giustizia e pace. “i quattro sensi delle Scritture” è uno dei capitoli più importanti.
DE VULGARI ELOQUENTIA
Composto intorno al 1305-1305, il trattato è di certo contemporaneo alla stesura de il Convivio.
Al contrario dell'opera precedente, Dante adotta volontariamente il latino ed è motivato dal
pubblico a cui deve dirigersi. Infatti mentre nel Convivio scrive in volgare per raggiungere un
pubblico più vasto, in quest'opera usa il latino per rivolgersi al gruppo ristretto di doctores illustres,
cioè quei poeti e prosatori che vogliono servirsi del volgare illustre. Quest'opera infatti è un trattato
dedicato all'arte del dire in volgare. Dante nel primo libro formula una distinzione tra lingua volgare
e gramatica, ovvero tra lingua naturale che i bambini imparano e una lingua di secondo grado,
regolata da principi e norme precisi. Ne sono un esempio il greco e il latino, lingue codificate su
sistemi e norme fisse. Ma Dante con questi trattati arrivò a ribaltare la gerarchia classica tra le
lingue per sostenere la maggiore nobiltà del volgare rispetto al latino. Constata la
frammentazione dei volgari municipali e locali, Dante afferma la necessità di definire un “volgare
illustre”, che superi i confini ristretti dei territori comunali. Nel secondo libro l'autore delinea le
strutture stilistiche e metriche attraverso le quali potrà realizzarsi questa nuova lingua, proponendo
un vero e proprio trattato di poetica. Nel farlo ripercorre tutte le esperienze in volgare passate e
contemporanee e ne fa una classificazione, per stabilire una gerarchia di nobiltà o altezza in base
alla materia, al genere, alla forma metrica e alla misura del verso. Viene quindi riaffermata la
tripartizione classica dei generi ossia tragico, comico e elegiaco, a ciascuno dei quali corrisponde un
diverso tipo di volgare da quello illustre a quello mezzano o umile.
Quest'opera non è solo un trattato di grammatica, poetica e retorica ma è anche un vero
trattato di politica culturale.
LA COMMEDIA
Dante iniziò la composizione del poema durante i primi anni dell'esilio, 1304-1308 l'inferno,
1309-1312 per il Purgatorio e 1316-1321 per il Paradiso. Il titolo che oggi noi tutti utilizziamo e
ricordiamo non è quello che Dante scelse. Infatti l'aggettivo Divina è stato conferito da Boccaccio e
nel 1500 questo aggettivo entrò a far parte dell'intitolazione dell'opera. Il titolo scelto da Dante ossia
Commedia richiama la tripartizione degli stili ma indica un genere e uno stile nuovo e
rivoluzionario: il registro linguistico alto e aulico si incontra con quello basso e comico.
-contenuto: la Commedia narra del viaggio intrapreso dal poeta stesso, in veste di personaggio,
attraverso i tre mondi dell'aldilà (inferno, purgatorio e paradiso), in seguito allo smarrimento
iniziale in una selva oscura, dalla quale è salvato dall'anima del poeta latino Virgilio. Egli
accompagna Dante dall'inferno fino al purgatorio, dove è sostituito dalla donna amata in giovinezza,
Beatrice: lei lo guiderà nel paradiso verso Dio. Lungo il viaggio, ambientato nel 1300 ossia l'anno

10
del primo giubileo cristiano, il personaggio dialoga con le anime dell'oltremondo: prima con i
dannati dell'inferno, poi con gli spiriti che stanno scontando le loro pene nel purgatorio e beati del
paradiso.
-poema allegorico: come in quasi tutta la letteratura medievale, anche Dante si unisce alla
concezione allegorica del mondo: ogni suo dettaglio, ha un significato profondo di natura morale e
universale.
-struttura numerologica: come nella Vita Nova, i numeri diventano fondamentali nel poema, fino
a determinarne l'intera struttura. La terzina è il metro adottato, 33 sono i canti di ciascuna delle 3
cantiche, quindi 99 in tutto, i quali sommati al canto proemiale, raggiungono il numero 100.
L'intera costruzione anche formale del poema è tesa a riprodurre un'armonia basata sul rapporto fra i
numeri e sul loro significato simbolico: il 3 rappresenta la circolarità del principio divino, che si
moltiplica a tutti i livelli, e il 10 è la perfezione dell'universo. In queste armonie e simmetrie si
rispecchia la volontà di riprodurre l'ordinamento geometrico del cosmo tolemaico.
Questa struttura contiene un profondo senso morale, poiché la conformazione stessa della Terra e
dei tre mondi ultraterreni, determinata dalla caduta di Lucifero e delle conseguenze della sua
ribellione, contiene una traccia della vicenda di colpa e redenzione della creazione e del genere
umano.
-i tre mondi e la gerarchia dei peccati: altrettanto precisa è l'architettura interna dei 3 mondi. Per
quando riguarda l'inferno, esistono 3 disposizioni principali al peccato: l'incontinenza, ossia la
mancanza di freno agli istinti naturali; la violenza e la malizia, nata dall'uso della ragione per
ingannare il prossimo. Nelle cornici del Purgatorio, i sette peccati capitali (ira, avarizia, invidia,
superbia, gola, accidia, lussuria) sono distribuiti secondo un criterio inverso a quello dell'inferno,
procedendo dal più grave al meno grave, e sono ordinati in rapporto all'amore: superbi, invidiosi e
iracondi ospitano le anime di chi peccò per aver scelto un oggetto d'amore non degno; gli accidiosi
esiguo vigore del loro amore; gli avari e i prodighi, i golosi e i lussuriosi peccarono per eccesso di
vigore. Nei due mondi che ospitano i peccatori, domina la legge del contrappasso, che stabilisce un
rapporto di analogia o di antitesi con la colpa commessa. Diversa è la struttura del paradiso, dove
tutti i beati godono della luce di Dio nel cielo empireo.
Ancora una volta Dante parte dalle sue opere con un'avventura individuale, ovvero la storia del
pellegrino che smarrisce la strada maestra e si impelaga in una selva. Esso rappresenta uno
smarrimento esistenziale che però adombra lo smarrimento dell'intera umanità. Nel Dante
narratore quindi convergono dunque l'uomo in generale e l'individuo storico, ossia il Dante
personaggio con le sue personali vicende biografiche dell'esilio.
Virgilio e Beatrice invece sono le guide che soccorrono il pellegrino smarrito e lo accompagnano
alla meta. Entrambi appartengono alla biografia di Dante: il primo è il suo modello letterario; la
seconda invece è la giovane donna fiorentina che aveva ispirato l'autore nella Vita Nova.
Al contempo però loro sono anche altro: Virgilio rappresenta la ragione e la forza del pensiero
umano, la seconda incarna un principio di elevazione spirituale e celeste affine alla sapienza
teologica.
-riflessione politica e morale: la lunga composizione del poema si accompagna al travaglio
dell'Italia contemporanea, alle speranze e delusioni dell'esilio, e alle altre vicende del confronto fra
Papato e Impero. Dante guarda a questo momento in una prospettiva ultraterrena e universale. In

11
quest'ottica si fa più urgente la riflessione sulla comunità e si svela la funzione provvidenziale delle
istituzioni umane. La ragione dello smarrimento collettivo, è infatti da individuarsi, secondo il
poeta, nella corruzione delle due istituzioni, i due soli a cui è affidato il ruolo provvidenziale di
guida dell'umanità. Il discorso dantesco assume quindi anche un'invettiva politica verso la patria, i
suoi cittadini e le alte città italiane, verso la Chiesa e l'Impero. Palese è dunque la volontà di Dante
di reagire a un mondo che egli vede in disfacimento, riedificando ideali politici e poetici.
Ambientando la narrazione nel 1300, Dante scrittore ha la possibilità di inserire nel poema sotto
forma di profezie, alcuni elementi della storia successiva: fatti che Dante conosce e ha vissuto ma
che nella finzione letteraria vengono annunciati come se dovessero accadere. Si tratta dunque di
profezie post-eventum.
L'opera dantesca può essere anche intesa come un poema totalizzante perchè riesce ad accogliere e
riunire tutti i pensieri classici, cristiani e arabi.
Soprattutto a livello stilistico e linguistico, è possibile notare la superiorità di Dante e della sua
opera rispetto alle opere precedenti. Infatti nella Commedia l'autore impiega uno stile ed un
linguaggio totalmente inedito: plurilinguismo e pluristilismo. Utilizza contemporaneamente più
dialetti come quello fiorentino o altri, poi il latino e il provenzale e soprattutto i neologismi. In ogni
cantica lo stile cambia: si passa dal linguaggio più duro e aspro a volte anche volgare nell'inferno,
poi uno stile medio nel Purgatorio ed infine uno stile aulico ed elegante nel paradiso.
-i temi politici: una delle dimensioni più importanti dell'opera riguarda la continua riflessione sui
temi della politica e del vivere civile. Questi nella Commedia si legano molto alle vicende personali
dell'autore in particolare sull'esilio. Sempre per ricordare la simmetria dantesca, anche questi temi
sono strutturati in maniera precisa in ogni cantica: nei sesti canti di ciascuna viene trattato il tema
politico in maniera progressiva ed ascendente. Si parte dalla città di Firenze verso il tema universale
cioè quella dell'Impero Romano e il suo disegno provvidenziale. VI canto dell'inferno si incentra
sulla Firenze divisa e lacerata dalla lotta tra Neri e Bianchi, in particolare invidia avarizia e superbia
sono i tre elementi che portano alla distruzione interna della città. Nel VI canto del purgatorio, la
prospettiva è allargata all'Italia e la sua totale situazione di abbandono, una nave senza cocchiera.
Nel VI canto del Paradiso invece la prospettiva politica si estende all'intera umanità incentrata sulla
giustizia e il libero arbitrio.
-amor sacro e amor profano: un altro elemento sempre trattato nella Commedia è l'amore.
Protagonista assoluta è Beatrice, la quale presenta dei tratti stilnovistici ma che assume uno
spessore spirituale e allegorico che mai nessuna musa ispiratrice ha mai ricevuto. Nessun autore
aveva mostrato e cantato un amore così forte e puro per la sua amata. Infatti nell'opera Dante riesce
a superare finalmente la dicotomia fra l'amore terreno e quello celeste, nella scoperta di un unico
amore che move l'sole e le altre stelle. Però nella Commedia c'è anche un altro tipo di amore, quello
passionale carnale rappresentato nel celeberrimo V canto dell'inferno, l'amore tra Paolo e Francesca.
L'amore viene descritto in tutte le sue sfumature, quella passionale e fatale e poi l'amore in relazione
al liberto arbitrio nei canti XVI-XVIII del purgatorio.
-canti: I, V e XXVI inferno, VI purgatorio, XXXIII paradiso

12
IL TEMPO DI PETRARCA E BOCCACCIO
Il trecento è il secolo che vede all’opera 3 grandi personalità di assoluta preminenza nella cultura
italiana: Dante, Petrarca e Boccaccio
Fra loro vi furono anche degli effettivi incontri e scambi, un vero e proprio intreccio biografico.
L’incontro tra Dante e Petrarca può essere inteso come un passaggio di consegne da parte del poeta
della Commedi al futuro autore del Canzoniere, che ha insieme i caratteri della continuità e del
superamento.

-IL CONTESTO STORICO


Dal punto di vista storico il 300 è stato un secolo di transizione. Sul piano istituzionale si avverte da
un lato la crisi dei poteri universalistici ossia Impero e Papato mentre dall’altro il consolidarsi in
Europa delle monarchie nazionali e delle signorie. Sul piano economico invece si caratterizza per
una profonda recessione dovuta alla peste e alle epidemie che hanno portato ad una crisi
demografica profonda. Alla decadenza dell’impero e della chiesa si contrappone in Europa
l’affermazione di alcuni importanti stati nazionali come Inghilterra, Francia e Spagna. Qui il potere
era sempre più accentrato nelle mani del sovrano. Questi cambiamenti portarono a diversi conflitti
come la Guerra dei 100 anni tra Inghilterra e Francia intorno al 1337-1453.
Anche in Italia la crisi economica del XIV SEC aveva portato al declino dei comuni e alla svolta
della Signoria. Anche il sistema economico-sociale venne rifeudalizzato.
Roma, Napoli e Firenze erano diventate le città culturali per eccellenza. Inoltre si formarono nuovi
centri culturali per lo più laico che coincidevano con le corti signorili dell’Italia settentrionale dove
si sviluppò un mecenatismo culturale. Nel trecento il pubblico divenne sempre più ampio, anche le
donne vennero incluse e la letteratura cambió: letteratura d’intrattenimento e di svago.

FRANCESCO PETRARCA
Egli nasce ad Arezzo nel 1304. Vive ad Avignone per un periodo di tempo e li inizia a studiare
retorica e grammatica. Poi a Bologna continua gli studi giuridico notarili. Infine intraprende la
carriera ecclesiastica intorno al 1326-1327. I viaggi gli hanno permesso di entrare in contatto con
celebri persone e viene incoronato anche poeta laureato a Roma. In questa fase cerca di spendere il
proprio prestigio in favore di cause politiche ed etiche. Negli anni 40 però la sua vita cambia e in
particolare la peste del 1348 lo porta ad un atteggiamento più riflessivo e introspettivo (mutatio
animi). Nel 1374 muore ad Arquá.

-IL PENSIERO E LA POETICA


In Petrarca si incarna il nuovo modello di intellettuale, egli rompe con l’esperienza comunale e si
apre a una dimensione europea.
Tra gli aspetti più innovativi, figura il fatto che lui è il primo autore della letteratura italiana ad aver
stabilito un rapporto strettissimo tra la sua vita e la scrittura. Petrarca cerca nell’indagine dei moti
interiori dell’animo il significato della propria esistenza. A differenza di Dante ed Agostino che
raccontano di percorsi di maturazione e conversione ormai avvenuta, Petrarca invece mette in scena
un conflitto interiore irrisolto (novità assoluta).
Oltre questo elemento il poeta va ricordato anche per la ricerca continua di perfezione nelle sue
opere, in cui c’è sempre un processo di correzione e riscrittura.
Petrarca attribuisce un alto valore alla letteratura, considerandola il tramite della lezione degli
antichi e il principale veicolo di civiltà e di educazione morale. Nella sua visione di intellettuale è
perciò il depositario di una missione civilizzatrice. Vuole influenzare la politica e il contesto in cui

13
vive con le sue opere. In quest’ultime è comunque evidente un continuo conflitto interiore, un
dissidio consapevole. La figura di Laura diventa il simbolo dei desideri che distolgono il poeta dalla
sua tensione di rigenerazione morale. Il nome della donna infatti rimanda alla laurea ossia simbolo
del poeta laureato, ma anche all’aura ossia l’aria.
Nelle sue opere Petrarca richiama il mito della classicità a cui si lega il culto del latino, che egli
stesso utilizza assieme al volgare privilegiandone però il primo dato il pubblico elevato a cui si
rivolge. La vicinanza alla classicità è diversa dalle precedenti, perché Petrarca cerca nei testi classici
una lezione di umanità.

ILCANZONIERE
È il capolavoro di Petrarca ma anche il primo libro lirico a carattere organico unitario della
tradizione europea. Esso è racconto lirico che ripercorre i momenti salienti dell’amore di Francesco
per Laura ed esplora gli effetti che questa esperienza ha prodotto in lui. Questo racconto è formato
da 366 liriche di cui 317 sonetti, bipartite in “rime in vita” (1-263) e “rime in morte” (265-366).
Questi 366 componimenti corrispondono ai giorni di un anno bisestile e sintetizza il senso di una
vita intera: innamoramento, fasi della vicenda amorosa, morte di Laura e ravvedimento di Petrarca
(momento di crisi e di svolta), ed infine là consegna fiale alla Vergine (conclusione). Il canzoniere
presenta una struttura circolare non lineare e rivela anche una potenziale struttura aperta.

-i temi: amore e desiderio, lode alla donna, natura, amicizia e impegno politico. Tutti filtrati alla
luce dell’io lirico divenendo così soggetto e oggetto dell’indagine poetica. La memoria è l’elemento
che alimenta la poesia, perché l’autore spinto dalla morte di Laura ripercorre la sua vita. Il libro è
quindi un ritratto della soggettività che si riconosce attraverso la poesia.

-l’amore e Laura: il filo conduttore del Canzoniere è l’amore per Laura. Lei però è diversa da
Beatrice di Dante, perché l’esperienza amorosa è per l’autore contraddittoria. Nell’opera Laura è
più un simbolo che una donna reale, che riecheggia in immagini e suoni sostitutivi. È una presenza
sfuggente. Questo personaggio è soggetto a costante metamorfosi che rispecchi i diversi aspetti
dell’amore. Appare prima l’immagine di una donna-nemica e poi una donna a tratti stilnovistici.
Alla fine Laura si avvicina sempre di più alla figura di Beatrice, ovvero un’immagine positiva della
donna.

-tempo memoria e morte: l’opera oscilla tra passato presente e futuro. Tutte le cose sono soggetti
all’azione corrosiva del tempo che le trasforma inesorabilmente. Questa concezione la riceve da
Seneca ed Agostino: tempo come durata, la percezione del tempo dipende da noi cioè da come lo
trascorriamo (interiorizzazione del tempo). Alla mutevolezza e alla caducità delle cose si oppone la
scrittura, un antidoto contro il tempo. Il tema della precarietà poi si intreccia con la meditazione
sulla morte. Inoltre nel Canzoniere c’è anche un forte intreccio tra tema amoroso è quello politico .

-la metrica, lo stile e la lingua: il suo sonetto divenne modello per altri autori anche nel 900.
L'autore introdusse anche la sestina e la madrigale nel Canzoniere, un'assoluta novità.
La lingua scelta da Petrarca è più pura è più curata rispetto quella di Dante. Vi e un’accurata scelta
dei vocaboli, un ricorso alla polisemia. Tutti i vocaboli scelti accuratamente vengono sottoposti al
processo di rarefazione, cioè vengono svuotate da significati troppo specifici e materiali, e alla
trasformazione metaforica. Sul piano sintattico predilige la paratassi e le frasi sono legate spesso da

14
anafore. Frequenti i sonetti monoperiodici e l'enjambement. Altre figure retoriche presenti sono il
chiasmo, l'antitesi, la dittologia, l'accumulazione, polisindeto ed asindoto.
OPERE: “Voi ch'ascoltaste in rime sparse il suono”; “chiare fresche e dolci acque”; “era il
giorno ch'al sol si scoloraro” e “Italia mia, benchè l'parlar sia indarno”, “nella stagion che nel
cielo rapido inchina”.

BOCCACCIO
Giovanni Boccaccio nasce probabilmente a Certaldo nel giugno o luglio del 1313. I suoi primi anni
di vita si dividono tra Firenze e Napoli dove ebbe facile accesso alla corte di Roberto d'Angiò.
Successivamente dall corte passa al comune, rientro a Firenze tra il 1340-1341, e nel 1348 la peste
terribile che colpisce la città segna per lui uno spartiacque: 1349-1351 prende forma
definitivamente il Decameron. A Padova incontra Petrarca che lo introduce nei circoli intellettuali
della città e gli fa conoscere le proprie opere. Boccaccio muore a Certaldo il 21 dicembre 1375.
-il pensiero e la poetica: Boccaccio è un testimone chiave di transizione dalla società comunale a
quella signorile. In lui convivono istanze diverse spesso anche contraddittorie, quella aristocratica-
borghese, quella borghese-comunale e quella umanistica. Al contempo lui è ancora molto
affascinato dall'immaginario cortese. Sullo sfondo vi è però la visione laica, che simboleggia quanto
Boccaccio sia simbolo di modernità. Dante e Petrarca sono i suoi modelli. Il primo è per lui
esempio di ricerca etica e civile, il secondo invece lo indirizza verso il pre-umanesimo. Pertanto
come per lo stesso Petrarca, il ruolo di Boccaccio è di fare da ponte tra le due epoche.
Boccaccio è l'autore che ha consegnato alla cultura europea il primo grande modello di prosa
narrativa: è grazie a lui che fa il suo trionfale ingresso nella nostra letteratura l'arte del
raccontare. Un altro grande aspetto da ricondurre a Boccaccio, è la capacità di aprire l'arte del
racconto alla rappresentazione del reale e di registrare gli infiniti casi umani, su cui agisce sempre la
fortuna. Nel Decameron, i personaggi sono realistici perchè i loro comportamenti non sono più
riconducibili a modelli fissi e ripetitivi. Ogni azione umana risponde secondo Boccaccio a una
morale laica e terrena che reclama la sua autonomia e la trova nella natura. La sua è quindi una
morale libera ed aperta in cui la guida dell'uomo è la ragione. Un'altra importante novità delle
novelle di Boccaccio è che l'intento pedagogico lascia spazio al valore del racconto in sé e al
piacere stesso della narrazione. Le sue opere sono materiale da dare alle persone in un clima di crisi
e disperazione, sono un rimedio a quella che lui definisce la noia.

IL DECAMERON
L'opera nasce come un libro unitario solo dopo lo scoppio della peste a Firenze del 1348. Infatti
all'origini del libro fa da cornice proprio questo evento che creò in tutta Europa uno scenario
drammatico di morte collettiva. Questi eventi portano gli individui a percepire i loro simili come
una minaccia e generano quindi disgregazione e disordine. Per questo motivo Boccaccio con
quest'opera cerca di proporre una società in cui sono preservati e rinnovati i valori di un'intera
civiltà fondata sulla relazione.

15
-la cornice: A causa della diffusione della peste 10 giovani fiorentini (sette ragazze e tre ragazzi) si
allontanano dalla città e si ritirano nel contado, costruendo una piccola comunità con le sue regole e
le sue abitudini codificate, il cui tempo è cadenzato dalla narrazione di novelle che ciascun giovane
racconta. Il narratore si fa cronista della vicenda e dei discorsi della “lieta brigata”. Questa è la
cornice del Decameron che è un elemento portante della storia.
Questa comunità è ordinata e regolata con precise attività, i giovani novellatori incarnano un
modello positivo di vita in comune, una nuova società basata sull'ordine nazionale. Questa comunità
costituisce la risposta alla disgregazione sociale provocata dalla peste. Questo è un messaggio etico
civile forte che l'autore vuol dare per risollevare i suoi concittadini. Questo mondo però non
rappresenta una fuga utopica dei novellatori perchè dopo rientreranno nel caos di Firenze e si
renderanno conto che nulla è mai cambiato.
-struttura: Decameron vuol dire di 10 giorni, il libro è suddiviso in 10 parti corrispondenti alla 10
giornate che i ragazzi dedicano alle narrazioni. Ogni giornata prevede l'elezione di un re o di una
regina e l'indicazione di un tema specifico a cui tutti i novellatore, tranne Dioneo, dovranno
attenersi. Si aprono con un'introduzione e terminano con una conclusione. Come nella Commedia di
Dante, anche in quest'opera è molto importante e forte la simmetria e le geometria interna.
-i temi: in una prospettiva laica, l'autore si incentra sugli esseri umani che devono fare i conti con
l'imprevedibilità dell'esistenza e con la casualità della fortuna, ormai sganciata dalla
Provvidenza divina. Questi uomini sono mercanti in grado di saper opporre alla difficoltà dell vita
l'industria (iniziativa) e l'ingegno. Questo mondo si oppone anche nostalgicamente a quello della
realtà cortese e cavalleresca, con i suoi valori di liberalità e nobiltà d'animo. Boccaccio insegue in
modo utopico una sintesi tra questi due modelli, quindi creare un uomo che sappia coniugare i
valori culturale dell'ambiente cortese cavalleresco con la concretezza e l'avvedutezza dei mercanti.
Nel libro è ancora una volta presente la figura femminile. Le donne rappresentano le interlocutrici
privilegiate e sono simbolo di ideale di lettura e di poesia. Sono loro a stimolare le virtù dell'uomo,
trasformando le pulsioni naturali innate e profonde in ispirazione poetica e quindi in arte.
Boccaccio abbandona la figura della donna-angelo, ora è un essere dotato di istinti naturali positivi,
capaci di difendere la propria ragione e di rivendicare il proprio ruolo e la propria importanza. Non
sono più oggetto ma anche soggetti del desiderio.
La fortuna è la vera forza dominante nell'universo antropologico di Boccaccio, a cui è dedicata la
seconda giornata. Per lui la fortuna può essere sia positiva che negativa nei confronti dell'uomo.
Assieme alla natura, l'altra forza che domina il mondo è la natura. Quest'ultima intesa come
pulsione istintiva che è presente in ciascun individuo e reclama i propri diritti spesso soffocati.
Fortuna e natura sono “le due ministre del mondo”, possono convergere nella stessa direzione o
andare contro. La terza forza che interviene è l'industria, ossia la capacità d'iniziativa e di
ingegno. Questi sono gli elementi di cui l'uomo può avvalersi per farsi valere e per realizzarsi
L'amore è un altro elemento importante, il campo su cui esercita la natura. L'eros è una forza
naturale e istintiva e in quanto tale positiva e vitale, spesso può entrare in conflitto con l'etica e le
regole morali imposte dalla società. L'amore però per Boccaccio è democratico in quanto l'amore
sincero dovrebbe annullare le differenze sociali. (4 e 5 giornata)

16
Nella sesta giornata vi è un elemento chiave del libro: la parola giusta al momento giusto. La
retorica del motto e l'uso del linguaggio sono per l'autore le esperienze sulle quali si misura la
conoscenza della vita e della storia degli uomini. La parola è uno strumento risolutivo capace
persino di mistificare e ribaltare la realtà.
Nella settima e ottava giornata abbiamo il tema della beffa: fatti e vicende capitati ai protagonisti
della novella. Nella nona vi è il tema libero e l'ultima è dedicata alla magnanimità del mondo
aristocratico e cortese.
L'opera nel complesso è una commedia umana calata nella città degli uomini, una narrazione che
abbraccia le molteplici facce della realtà. Vi è un vasto campionario di caratteri e classi sociali tanto
che è possibile parlare di “realismo boccacciano”. Il libro è corale e polifonico e riproduce una
lingua viva e variegata: il volgare.
Testi: “ser ciappelletto da prato” e “Federico degli Alberighi”.

L’UMANESIMO E I SUOI TEMI


Quadro storico-culturale
Nonostante un forte sviluppo e fioritura nel contesto artistico e anche finanziario, in Italia avanzava
la crisi dei comuni lasciando sempre più spazio al rafforzamento del potere di un “signore”, o di
un’oligarchia. E’ al principio del 1400 che Signorie e Principati consolidano la loro posizione
impegnandosi in un logorante conflitto per allargare la propria influenza. Questa situazione trova un
punto di equilibrio alla metà del secolo con la pace di Lodi del 1454, la figura più importante in
questo periodo è stata Lorenzo de Medici. Fino alla sua morte nel 1492 in Italia ci sarà ancora una
realtà policentrica fondata su stati a carattere regionale. Dalla morte di Lorenzo l’Italia fu colpita da
profondi squilibri politici. In particolare la Penisola divenne oggetto di conquista della corono
francese e spagnola. Francesco I di Francia portò avanti nel 1527 il “sacco di Roma”. Ovviamente
in tutto questo la Chiesa era direttamente coinvolta in questi avvenimenti, ma oltre questo dovette
anche fronteggiare un conflitto di tipo religioso: nel 1517 Martin Lutero afflisse le 95 tesi ossia una
nuova proposta teologica in contrasto con l’ortodossia cattolica. Con il Concilio di Trento del 1545-
1563 era ormai chiara la diffusione della controriforma e la spaccatura interna della Chiesa
cattolica.
Il grande rinnovamento culturale ed intellettuale che percorre il 400 non nasce all’improvviso, ma
affonda le sue radici nella seconda metà del 300 grazie all’opera di recupero e studio dei classici da
parte dei “preumanisti” come Petrarca e Boccaccio. Il XV secolo è un continuum tra Umanesimo e
Rinascimento, due concetti che per questione storiografica e manualistica sono sempre stati
indicati come distinti e lontani ma che in realtà rappresentano l’uno l’evoluzione dell’altro. In linea
generale potremmo dire che l’Umanesimo nella prima metà del secolo pone le basi ideologiche-
culturali del rinnovamento, attraverso un inedito metodo di lettura dei classici latini e greci,
alimentato dagli studi e dalle scoperte di testi antichi per secoli rimasti in ombra. Su queste basi si
delinea un progetto pedagogico mirato alla formazione globale di un uomo nuovo, che sappia
integrare i valori spirituali con i valori terreni, anima e corpo quindi. Alla fine del secolo e all’inizio
del XVI incominciò a prendere forma una straordinaria stagione creativa tanto sul piano artistico
che su quello letterario, nota appunto come Rinascimento. Il termine si rifà al concetto di rinascita o
rinascenza in contrasto col Medioevo.

17
Che cos’è l’Umanesimo?
Questa nuova corrente mette in primo piano l’aspetto della scoperta dell’uomo. La cultura
umanistica infatti ridà all’uomo i suoi pieni diritti e riporta la vita umana ad una dimensione laica e
svincolandola da una lettura religiosa dell’esistenza. Questo non vuol dire che l’Umanesimo sia ateo
ma molto semplicemente vuole dare maggiore libertà all’uomo soprattutto in relazione alla Chiesa,
perché proprio Dio ha dato la libertà all’uomo di scegliere. Quindi ciò che caratterizza questa
stagione culturale è una nuova visione integrale dell’uomo che ne esalta la centralità. Ciò
determina conquiste decisive nell’ambito del sapere:
-un nuovo senso della storia, che passa attraverso la riscoperta dei classici latini e greci, i cui
testi vengono studiati e corretti grazie alla filologia
-valorizzazione della dignità dell’uomo e della sua centralità nel cosmo
-lo studio della prospettiva e una rivalutazione della dignità delle arti
-una nuova definizione del ruolo e della funzione dell’intellettuale nella società e rispetto alle
istituzioni.
Gli studia humanitas
La visione antropocentrica è una conseguenza degli studia humanitas, cioè della riscoperta dei
classici greci e latini. Queste opere infatti forniscono un modello etico e letterario che valorizza
l’uomo e il sapere. Rispetto agli studiosi medievali che rileggevano i classici dandone
un’interpretazione religiosa ed allegorica, gli umanisti leggono i testi antichi collocandoli nella
giusta prospettiva temporale. L’humanitas è la parola latina che indica per gli umanisti la nuova
concezione e formazione dell’uomo. Centrale diventa per loro comprendere i testi antichi nel loro
significato originale, cercando di ricostruire fedelmente il contesto storico e culturale in cui essi
furono prodotti. In primis fu fondamentale liberarli dagli errori: sviluppo della filologia.
Essa è la disciplina che, attraverso il confronto e lo studio dei diversi testimoni di una stessa opera,
consente di ricostruire il testo in una forma il più possibile vicina a quella originale. Questo nuovo
studio e approccia porta ad un diretto contatto con la lingua di quei testi, per questo motivo vi è una
rinnovata centralità del latino. Per questo si afferma, in ambito umanistico, il classicismo:
atteggiamento culturale che guarda ai classici come modelli a cui ispirarsi.
Come abbiamo detto con l’umanesimo si sviluppa anche un nuovo ruolo e forma dell’intellettuale.
L’umanista è colui che ha il compito di formare l’individuo secondo i principi della nuova cultura
espressa nelle humanae litterae. I nuovi intellettuali hanno dunque un compito molto difficile ed
importante ed è per questo che hanno necessità di un confronto con i signori delle varie corti e si
incontrano nelle nuove Accademie (laicizzazione culturale). I centri culturali per questi nuovi
intellettuali sono Venezia, Milano, Mantova, Ferrara, Firenze, Roma, Urbino e Napoli.
Firenze in particolare è stata una città centrale per l’umanesimo, grazie soprattutto alla figura di
Lorenzo de Medici. Non solo è stato un grande uomo politico e di potere ma è riuscito a portare
una svolta culturale notevole nella città. Egli riuniva a sé un gruppo di intellettuali di primissimo
piano, in un rapporto di comunicazione e collaborazione destinato a dare frutti notevolissimi in
letteratura e in arte. Per questo carattere di solidarietà e collaborazione intellettuale, il gruppo è noto
come “brigata laurenziana”. Grazia alla volontà di Lorenzo si deve il grande recupero della
tradizione poetica toscana: egli fa realizzare la raccolta aragonese. Ossia una raccolta di tutte le

18
opere poetiche di tutti gli autori che hanno operato a Firenze. “canzone di bacco e arianna” è uno
dei suoi componimenti più famosi.
IL RINASCIMENTO
Alle soglie dell'età moderna, che viene fatta convenzionalmente coincidere con la scoperta
dell'America 1492, si consuma il complesso passaggio dall'Umanesimo al Rinascimento maturo, a
cui corrisponde un rinnovamento di pensiero, delle arti e della società. Con questa fase si vuole
indicare un ritorno alla vita, ma in realtà indica una lunga fase di transizione e di preparazione del
nuovo già avviata almeno dall'umanesimo. Il trapasso dall'Umanesimo al Rinascimento avviene
sotto la spinta dei grandi rivolgimenti, delle straordinarie scoperte e delle insanabili fratture che
segnano il 500. I nuovi viaggi, le fratture all'interno della Chiesa, la Controriforma ecc portano al
confronto con gli altri, con il diverso. Tutto questo viene definito come rivoluzione antropologica.
Le grandi scoperte portano allo spostamento dei centri economici e di quelli politici, si da forma
alla prima organizzazione capitalistica del lavoro. Tra la fine del XV sec e l'inizio del XVI ci sono
poi 3 grandi invenzioni: la bussola, le armi da fuoco e la stampa a caratteri mobili. Quest'ultima in
particolare favorisce la circolazione e l'accessibilità dei libri.
Altra scoperta destinata ad incidere sulle certezze consolidate e sull'immaginario sarà la
“rivoluzione astronomica copernicana”. Niccolò Copernico disegna un sistema di tipo
eliocentrico nel quale al centro dell'universo non si trova più la terra ma bensì il sole, attorno al
quale essa gira. Queste tesi poi avanzando con gli anni sono state integrate da Keplero, Giordano
Bruno e Galileo Galilei. Esse costituiscono l'atto fondativo di una rinnovata visione del cosmo che
mette in crisi la visione antropocentrica, radice e fondamento della cultura umanistica. Di
conseguenza a questa teoria, lo spazio policentrico incomincia a sostituire quello chiuso
umanistico, poi l'ottimismo umanistico si va a trasformare in un approccio relativistico alla realtà.
All'idea dell'uomo come creatura privilegiata di Dio, si delinea la figura dell'individuo.
Il Rinascimento è sicuramente molto importante nell'ambito artistico, in particolar modo l'Italia è
stato il centro d'arte per eccellenza del XVI secolo. Lo sviluppo dell'arte e dei grandi artisti portava
l'imprinting italiano.
NICCOLO' MACHIAVELLI
Niccolò Machiavelli nasce a Firenze il 3 maggio del 1469, cresce in un ambiente colto nel quale si
dedica ai classici e alla storiografia latina. E' stato segretario della seconda cancelleria fiorentina e
nel 1502 sarà fondamentale l'incontro con Cesare Borgia, duca di Romagna. Al ritorno al potere de
Medici egli viene licenziato e destinato al confino, in questi anni si dedica alla stesura del suo
capolavoro il Principe. Machiavelli muore il 21giugno del 1527 a Firenze.
Il pensiero: machiavelli è uno dei maggiori pensatori politici dell'età moderna. Egli è il fondatore
della moderna “scienza della politica”, ovvero di una concezione a suo modo rivoluzionaria della
politica stessa, intesa come categoria autonoma e considerata nella sua dimensione laica:
svincolata da considerazioni di ordine etico-religioso e ancorata al piano dell'esperienza. Egli,
grazie alla sua attività diplomatica, si avvicina alle dinamiche della politica e del potere e
comprende che dalla studio di casi particolari è possibile dedurre regole generali. Per la prima volta
grazie a Machiavelli, l'agire politico è analizzato e descritto non per come dovrebbe essere ma per
come realmente è secondo il principio della “verità effettuale”. La validità e la legittimità dei
comportamenti politici si misurano sulla base dell'efficacia da essi dimostrata nelle condizioni date
a prescindere da giudizi morali o religiosi.
19
Cresciuto sui testi antichi, Machiavelli ne comprende l'importanza della storia: essa ha un valore
propedeutico. Bisogna partire dal passato e analizzarlo per poter orientare le future scelte politiche.
Anche la visione dell'uomo da parte dell'autore è nuova rispetto alle precedenti. La sua è una
concezione naturalistica dell'uomo: le azioni, anche inerenti alla sfera pubblica della politica,
sono originate da impulsi istintivi, per lo più egoistici, dettati dalla natura umana e per questo
destinati a non cambiare. Anche lo Stato stesso secondo Machiavelli è sentito come un organismo
naturale che segue un suo ciclo vitale nel quale deve creare le radici e le difese dagli agenti esterni
che ne minacciano la sua sopravvivenza. Il suo ordinamento prediletto è quello repubblicano perchè
consente dialettica tra i gruppi sociali e permette il loro sviluppo. Però per potere instaurare questo
ordinamento sono necessarie delle condizioni quindi non è applicabile sempre e comunque. Con il
suo pragmatismo l'autore afferma che non esiste una forma di governo perfetta, ma esistono delle
buone leggi che costituiscono il fondamento positivo di uno stato. Egli da molta importanza alle
leggi perchè ha una visione pessimistica dell'uomo: egli è ritenuto responsabile di una progressiva e
inevitabile corruzione dei costumi che lo Stato e le leggi hanno il compito di contrastare. Ovviamete
questo suo punto di vista nasce come conseguenza del periodo storico in cui vive. Questa è una
risposta critica e polemica alla profonda crisi dell'Italia del suo tempo, alla degenerazione dei
costumi e dei valori. Da qui nasce il suo slancio appassionato che lo porta a delineare una nuova
politica utopica, un riscatto del paese affidato ad un principe redentore.
IL PRINCIPE
Sappiamo con certezza che Machiavelli lavora al Principe nell'autunno del 1513, in un periodo in
cui è emarginato dalle vicende pubbliche e costretto all'esilio. L'opera è inizialmente dedicata a
Giuliano de' Medici ma dopo la sua morte precoce viene indirizzata al nipote Lorenzo. Lo scopo era
quello di ottenere benevolenza dei medici nella speranza di un ritorno alla vita politica e
diplomatica. Nonostante questo, l'opera si incentra anche molto sulla figura di Cesare Borgia, colui
che secondo l'autore non ha saputo comprendere la fortuna ed il suo effetto valanga che sovrasta la
virtù. Per quanto riguarda il genere dell'opera, benchè caratterizzato dalla tensione argomentativa e
dall'intento persuasivo del saggio, Il Principe sarà più opportunamente considerato un trattato per il
suo intento espositivo. Questo genere viene designato come speculum principis ossia specchio del
principe cioè mira a fornire un modello di comportamento ideale per chi è al governo.
-temi e motivi: l'opera affronta il tema delle modalità utili a raggiungere, consolidare ed estendere
il potere. Egli si concentra sulla forma politica del principato e ne analizza le diverse componenti e
tipologie. Questa analisi diventa anche occasione per rivolgere uno sguardo critico sulla realtà
contemporanea, caratterizzata dall'inettitudine e litigiosità dei principi, che ha favorito il dominio
straniero sulla Penisola. Ancora una volta la visione politica tracciata dall'autore rispecchia la verità
effettuale e la visione laica. La religione viene definita come un instrumentum regni, ossia uno
strumento che fa da collante nella società ma che non deve inserirsi nel quadro politico.
Nella sua analisi sull'italia del secolo, assume particolare rilievo il tema della debolezza militare
dovuta al fatto di essersi serviti di eserciti mercenari anziché di eserciti propri.
-chi è il principe nuovo? Il principe nuovo è colui che da privato cittadino prende il potere e
diviene principe. Questa figura è stata molto spesso criticata perchè nel suo ritratto il principe viene
sottratto a qualsiasi obbligo morale e indirizzato ad agire in vista dell'efficacia politica. Machiavelli
imposta una nuova gerarchi di comportamenti non più relazionati alla morale ma alla riuscita del
progetto. I comportamenti del principe devono essere interamente orientati al consolidamento e al
mantenimento dello Stato e andranno giudicati sulla base della riuscita del progetto. Cesare Borgia,
20
il Valentino, è proposto dall'autore come ideale di principe nuovo. La celebre frase il “fine giustifica
i mezzi” è stata presentata per la prima volta proprio in quest'opera ed ha subito suscitato forte
reazioni. In realtà con questa frase l'autore non vuole affermare che al principe sia tutto lecito, ma
vuole fare capire quale sia il suo fine. Il principe non ha come scopo la conquista del potere
assoluto, anzi deve subordinare questo obiettivo ad uno ancora più alto cioè la solidità e l'efficacia
dello Stato.
-virtù e fortuna: un'altra questione centrale riguarda il rapporto tra queste due forze e il limite che
la fortuna impone alla capacita politica ossia la virtù del principe. La fortuna per Machiavelli è
quella componente esterna, indeterminata, enigmatica e imprevedibile che interviene nelle vicende
umane. Essa governa metà delle nostre azioni, l'altra metà può essere regolata dal principe
attraverso l'esercizio della virtù, che machiavelli intende non come qualità morale, ma come
capacità di tecnica di esercizio del potere politico e militare.
-metodo e stile: il trattato è caratterizzato dal rigore dimostrativo e dall'approccio pragmatico.
Nell'impostare il metodo egli utilizza un metodo induttivo e deduttivo, l'argomentazione è molto
serrata e ne prevale una concatenazione scandita. Il lettore viene chiamato a partecipare
direttamente al discorso grazie a delle forme di persuasione. La sua esperienza diplomatica lo
portano ad utilizzare un lessico esatto cancelleresco e scientifico, però allo stesso tempo utilizza
anche un linguaggio più popolare per allargare la cerchia del suo pubblico.
-capitoli I, XII, XVIII e XXV

DALL'EPICA MEDIEVALE AL ROMANZO CAVALLERESCO


Il genere epico-cavalleresco conosce molta fortuna e diffusione in questi anni, durante il XV sec.
Virgilio e l'eneide sono riconosciuti come modello di perfezione del genere epico e questo si
diffonde molto in Italia soprattutto nell'area padana. La narrazione epico-cavalleresca di epoca
umanistica utilizza come metrica l'ottava: stanza di 8 endecasillabi di struttura ABABABCC,
“inventata” da Boccaccio e diffusa nella tradizione canterina. Venne scelta questa metrica perchè
riusciva a coniugare l'elemento narrativo. Tra gli autori più importanti di questo genere ricordiamo
Pulci con il Morgante e Boiardo con l'orlando innamorato .
Pulci è legato agli ambienti culturali di Firenze dei medici ed è partecipe attivo della brigata
laurenziana. La sua opera il Morgante è un poema di materia cavalleresca che ha come figure
principali i paladini della corte di Carlo Magno , in particolare Orlando. Dopo ci sono anche i suoi
nemici e a queste figure tradizionali Pulci affianca quelle dei giganti Morgante e Margutte. Esse
rappresentano l'incarnazione della dismisura, elemento chiave della comicità del poema.
Boiardo invece si rifà alla corte di Ferrara grazia alla quale fonde nelle sue opere elementi
umanistici e romanzi volgari. Nella sua opere l'Orlando innamorato egli fonde le armi e gli amori, la
materia epica e quella cavalleresca, la materia di Francia e quella di Bretagna. La vicenda bellica si
fonde con la tematica dell'amore, forza dominante e motore delle azioni umane.
Dall'intreccio di armi e amore scaturisce l'eccezionalità della sua opera: il paladino della tradizione,
tutto dedito alla difesa della fede e all'impegno bellico, nel poema di Boiardo è vinto dall'amore e
disposto a dimenticare la gloria militare.

21
LUDOVICO ARIOSTO
un'altra figura importantissima del Rinascimento è Ludovico Ariosto. Egli nasce nel 1474 a reggio
emilia, frequenta la corte estense e si dedica agli studi umanistici, filosofici e letterari. Ha ricevuto
incarichi diplomatici importanti e all'inizio del 1500 si dedica alla prima redazione dell'Orlando
Furioso. Dell'opera ha redatto ben 3 versioni. Muore nel 1533 a Ferrara.
-pensiero e poetica: Ariosto vive nel contesto culturale e letterario di Ferrara nella corte estense.
Come essa l'autore è permeabile alle tradizioni letterarie disparate:quella della classicità latina e
quella romanza, locale e d'oltralpe, quella canterina e quella della grande tradizione lirica italiana.
La città di Ferrara è anche il luogo in cui tutte queste tradizioni concorrono alla fioritura della
gloriosa stagione del poema cavalleresco, alla quale Ariosto partecipa come assoluto protagonista.
Quelle stesse tradizioni, oltre che nel poema, sono presenti in modo variabile in gran parte di tutta la
sua produzione letteraria. Ariosto può essere definito un “classico” per la sua capacità di
accogliere una lunga tradizione letteraria e interloquire con essa per metabolizzarla e rielaborarla
per metterla in una veste nuova al servizio della modernità. Inoltre come i grandi classici, egli riesce
ad indagare il reale in profondità, rivelandone gli aspetti più critici e problematici, e di rimettere in
discussione le certezze consolidate. Da questo studio Ariosto cerca di edificare un nuovo ordine che
si traduce in una nuova forma letteraria, rappresentata perfettamente col Furioso. Per quanto
riguarda il rapporto che ha con la realtà, si può dire che Ariosto è costantemente mosso
dall'interesse per l'attualità. Lui interpreta il reale come manifestazione del possibile, dunque
l'invenzione fantastica è un affresco della realtà per come potrebbe essere. Un elemento
fondamentale delle sue opere è l'ironia. Essa è la condizione e risultato dello sguardo critico che
Ariosto rivolge sulla realtà. L'esercizio dell'ironia è fondamentale anche per l'attenuazione delle
punte estreme che l'autore ricerca nella sua scrittura. Grazie a questo elemento riesce a mantenere
un distacco critico e un atteggiamento equilibrato.
-lingua e stile: Ariosto utilizza l'aurea mediocritas: ossia un giusto mezzo per mediare tra
l'ambiente cortese e quello popolare e per mantenere un rapporto equilibrato. Si deve a questo
autore il ricorso all'endecasillabo sdrucciolo. Il poema Furioso viene sottoposto ad una puntigliosa
revisione linguistica e ne consegue una certa omogeneità a livello espressivo e stilistico. Per queste
scelte l'Orlando Furioso può considerarsi il primo poema di respiro italiano. Nell'opera utilizza
l'ottava armonica perchè a differenza dei suoi predecessori e contemporanei, la sua ottava è duttile e
fluida.
-L'ORLANDO FURIOSO: possiamo dire che il poema “non comincia” perchè è il prodotto di una
grandiosa operazione di assimilazione e trasformazione. Al tempo stesso “non finisce” perchè
Ariosto ve ne lavorò fino alla sua morte, ma non solo per questo ma anche per come è strutturata
l'intera opera. E' strutturata come un'immensa e intricata rete di storie che potrebbero moltiplicarsi
all'infinito, quindi il poema “si rifiuta di finire”. Possiamo in conclusione definirla un'opera
aperta.
Ci sono 3 filoni narrativi centrali intorno ai quali si sviluppano tutte le innumerevoli storie: 1 la
guerra tra i cristiani di Carlo Magno e i mori di Agramante, 2 l'amore di Orlando per Angelica, la
follia del paladino e il suo rinsavimento dopo che Astolfo è volato sulla luna a recuperare il senno
che gli era evaporato dal cervello, poi 3 la storia d'amore tra Bradamante e Ruggiero, capostipite
degli estensi, il cui coronamento è continuamente ostacolato e rinviato. Le nozze avvengono con la
fine del poema.

22
-le innovazioni: l'opera ripercorre i temi centrali del poema cavalleresco come la guerra, l'eroismo,
l'amore, l'avventura e la magia. Ma queste vicende e i temi trattati sono rielaborati da Ariosto in
piena libertà. Personaggi e avventure danno voce all'infinita varietà dei sentimenti e al continuo
movimento della vita, alimentato dal caso e dai desideri umani. L'opera si apre così ad accogliere il
possibile ed il reale, svuotando la dimensione epica dalle implicazioni etico-religiose connesse alla
vicenda storica di Carlo Magno. Uno degli aspetti più innovativi dell'opera consiste nella scelta
dell'autore di abbandonare lo schema tradizionale dell'epica cavalleresca cortese. Nel Furioso la
ricerca del protagonista ossia la quete si moltiplica e si intreccia con altre vicende. Altra novità è
rappresentata dai personaggi: non rispettano più degli schemi fissi e rigidi ma rappresentano
nell'opera personalità sfaccettate e complesse. Ariosto ci presenta quindi molteplici caratteri.
Oltre questi elementi, nell'opera Ariosto fa anche molti riferimenti alla contemporaneità che né
Boiardo né Pulci avevano mai fatto prima. Ci sono dei richiami espliciti ai fatti storici del suo
tempo. Tuttavia la novità più vistosa è quella della follia: l'Orlando di Ariosto è pazzo per amore,
un pazzo addirittura furioso.
-tempo e spazio: il tempo è dilatato e le azioni di ricerca dei protagonisti porta a degli spostamenti
lungo la linea temporale. Il tempo narrativo si sviluppa fra continue fratture e riprese, mentre il
tempo della storia viene definito come un eterno presente senza durata specifica. L'ambientazione
del poema è invece tutto esterna, lo spazio è generico e vago.
-la visione del mondo: l'intero poema può essere letto come un percorso iniziatico che porta i
propri personaggi a smarrire le proprie strade e le proprie prospettive sul mondo e sul suo ordine,
per conseguire una nuova consapevolezza e una nuova visione della vita. Perdere la strada e
ritrovarla significa ridare un nuovo ordine alle cose. Fondamentale in questo i temi della saggezza e
della conoscenza, ma soprattutto della follia che scardina la normalità e impone di guardare la realtà
da un diverso punto di vista. Il movimento erratico dei protagonisti diventa anche errante e di
conseguenza diventa anche metafora dell'errore umano, perchè le certezze umane sono in realtà
fallibili e illusorie e la vita è dunque determinata dal caso e dalla fortuna. Ariosto nella sua opera
grazie all'ironia si fa portavoce di questa nuova visione straniante della vita. Egli non propone mai
verità assolute ma sa che esistono molteplici punti di vista. Favorisce così l'effetto dello
straniamento nel lettore che lo induce a non immedesimarsi troppo nella materia e a riflettere di più
-desiderio: l'opera può essere intesa come poema del desiderio, perchè ciascun protagonista, spinto
dai propri desideri, è mosso alla ricerca continua che non raggiunge mai il proprio oggetto. Il
coronamento del desiderio è sempre rinviato per il fatto che i desideri finiscono per interferire fra
loro e i protagonisti di conseguenza si ostacolano a vicenda.
-tecnica narrativa: questa continua ricerca del desiderio ecc porta a livello narrativo alla tecnica
dell'intreccio tra le diverse vicende che compongono la storia. Ci sono molte deviazioni e
digressioni che permettono all'autore di creare uno spazio per poter intervenire personalmente nella
sua opera.
-conclusioni: l'opera è stata spesso criticata dai classicisti perchè non rispetta il principio
aristotelico di unità dell'azione drammatica. Altri lo criticano per l'eccessivo utilizzo del fantastico e
la conseguente mancanza di verosimiglianza; o di eccessivi interventi diretti dell'autore. Per molti
aspetti dunque l'opera non rispetta il classico poema epico, ma proprio per questo rappresenta
qualcosa di innovativo: un poema moderno e “postclassico”.
-OPERE: Proemio e Astolfo sulla luna

23
LA CULTURA DELLA CONTRORIFORMA
Nel concilio di Trento 154-63 la Chiesa roana ribadisce che l'arte deve essere edificante e didattica.
Al dualismo estetico bello/brutto si contrappone quello utile/nocivo come metro di giudizio
dell'opera d'arte. Il manierismo non si adegua completamente a questi richiami. Se da un lato
continuano a prevalere i soggetti religiosi, presentati per lo più in forme celebrative, dall'altro si fa
strada un gusto ermetico ed erudito, necessariamente elitario.
TORQUATO TASSO
Tasso nasce a Sorrento nel 1544. Vive la sua vita tra Napoli e Roma inizialmente e poi nel 1565 si
trasferisce a Ferrara. In questi anni incomincia la stesura del suo capolavoro la Gerusalemme
Liberata che continuerà fino agli ultimo anni della sua vita. Muore il 25 aprile 1595.
-pensiero e poetica: le opere di Tasso costituiscono un'esperienza molto complessa, integrata ed
autonoma nel contesto culturale della seconda metà del Cinquecento. La sua vita è presente nelle
sue opere, egli vive in un rapporto conflittuale e contraddittorio con il suo tempo. Tasso è un
intellettuale poliedrico per la molteplicità dei suoi interessi e delle scelte infatti la sua produzione
tocca tutte le categorie letterarie. Questa molteplicità di esperienze e orientamenti nasce da
un'inquietudine interna ed esterna con il momento storico-culturale: vi è il tramonto dei valori
rinascimentali mentre si sviluppa la Controriforma. Questo momento è molto sentito in particolar
modo a Ferrara dove vi era una forte osservanza delle regole imposte dalla Controriforma e dal
tribunale dell'inquisizione. Nonostante questo Tasso si pone anche come poeta cristiano, cantore
degli ideali controriformistici. Però anche questa esperienza è segnata da una certa ambiguità.
Con questo autore però nasce un'idea di letteratura nuova, di grande modernità: essa si fonda sula
ricerca di ordine che tuttavia sfugge sempre, proprio perchè vi si riflettono le contraddizioni e la
mutevolezza del reale. La sua poesia non è svincolabile dalla sua vicenda personale: il poema eroico
in particolare è un teatro della sua anima. Le sue sono opere aperte sensibili alle mutazioni simbolo
del Manierismo. Esso esprime infatti la fine delle certezze rinascimentali e l'insofferenza per le
regole codificate dal classicismo. Di qui ne deriva una rottura dell'equilibrio formale e lo
sperimentalismo. Pertanto nelle sue opere anziché mondi idealizzati e astratti, si riflettono le
contraddizioni della realtà a lui contemporanea.
-La Gerusalemme Liberata: è un poema eroico di 20 canti in ottave. l'opera è composta in un'età di
conflitti e dissidi, specie sul piano delle fedi religiose. Il mondo cristiano è spaccato dalla Riforma
Luterana e dalla dura reazione della Chiesa controriformista; parallelamente l'espansione nel
Mediterraneo dell'Impero turco ottomano ha visto contrapporsi le forze dell'Occidente cristiano a
quelle dell'Oriente musulmano. Il tema della crociata e della lotta per la verità di fede è dunque
sentito come attuale. L'autore propone dunque un poema in ottava sulla prima crociata , guidata da
Goffredo di Buglione, in cui gli ideali della Chiesa controriformista possano venire riaffermati,
svolgendo così una funzione pedagogica. In questo poema Tasso cerca di adeguarsi all'ortodossia
cattolica promossa dal Concilio di Trento: scompaiono gli elementi fantastici e mitologici e si fa più
netta la contrapposizione cristiani e musulmani. Si adegua anche al principio dell'unità d'azione
stabilito da Aristotele; in questo modo ispirazione religiosa e classicismo concorrono al fine
dell'ortodossia. Il fantastico viene trasformato da Tasso nel “meraviglioso”, ossia una magia
interpretata come azione contro le forze diaboliche. L'altro fantastico è poi quello che il personaggio
può vivere dentro se stesso, nei suoi incubi e fantasie.

24
La tensione etica che anima il poema spinge Tasso a sperimentare tonalità tragiche e al tempo stesso
patetiche. Nasce così lo stile eroico e dunque il poema eroico.
Tema principale dell'opera è quello del conflitto e del contrasto; in primo luogo tra le forze del Bene
e del Male, incarnate rispettivamente da cristiani e musulmani. Nonostante la nettezza delle
contrapposizioni che l'argomento guerresco implica, dall'interiorità dei personaggi, dalle loro azioni
e dalle loro parole emerge un quadro più sfumato e problematico: ne è protagonista l'altro tema
centrale dell'opera ossia l'amore, spesso congiunto con la morte. L'amore riesce a sconvolgere le
contrapposizioni troppo nette: eroi cristiani amano eroine pagane e viceversa. Il loro incontro però
può avvenire solo in seno dell'ortodossia.
-personaggi: i protagonisti sono spesso individui lacerati: essi incarnano un destino che coincide
con il loro dovere, il compito loro assegnato dalla volontà divina. La lacerazione interviene quando
a ciò si oppone una pulsione individuale, un desiderio (spesso quello amoroso) che li distoglie dalla
loro missione. Di qui la problematicità e le contraddizioni che segnano l'opera. Nuovo è anche
l'atteggiamento di Tasso verso i suoi personaggi: il fatto di dotarli di interiorità in cui il poeta può
proiettare parti della propria, comporta che egli provi nei loro confronti una partecipazione emotiva
che va al di là dell'eventuale giudizio morale sulle loro opere o sulla loro fede di appartenenza.
L'ambivalenza di Tasso, diviso tra condanna morale e partecipazione emotiva, verso i propri
personaggi è stata indicata da Caretti come bifrontismo spirituale: un atteggiamento che porta a
mettere in evidenza i contrasti e i chiaroscuri che dominano la realtà umana.
-stile: la sua scrittura tende a frantumare i legami grammaticali. Sono frequenti le sinestesie,prevale
la paratassi che genere brevità e asprezza. Ci sono molto inarcature, chiasmi e iperbato.
-opere: “erminia tra i pastori”
IL BAROCCO
-contesto storico: In Europa nel primo Seicento si assiste al consolidamento degli Stati Nazionali,
in Spagna, in Inghilterra e in Francia. In quest'ultima si afferma la monarchia assoluta mentre in
Inghilterra c'è sempre la monarchia ma con la centralità del Parlamento. L'Italia invece è rilegata in
una posizione sempre più marginale, sia sul piano politico che sul piano economico, anche a causa
del controllo e dell'influenza della Spagna. Su un piano generale si assiste a una continua
dilatazione dei confini del mondo: alle esplorazioni si sostituiscono ora le forme del colonialismo e
la nascita dei nuovi insediamenti.
-immaginario: le scoperte scientifiche e le osservazioni del cosmo e della natura, consentite dai
nuovi strumenti della tecnico come il cannocchiale e il microscopio, rivelano agli uomini del 600 la
vastità dell'universo infinito. La scoperta della varietà del reale ne svela anche la sua mutevolezza.
Da qui scaturisce un nuovo sentimento dell'esistenza: le forme che cambiano costituiscono un
modello della transitorietà della vita che alimenta la viva percezione di un'esistenza instabile,
consumata dal trascorrere del tempo. In questo secolo la società è dominata dalla forma e
dall'apparenza e questa visione da origine all'idea dell'esistenza come rappresentazione. La politica,
la vita sociale e la quotidianità vengono percepite come una messa in scena in cui ciascun individuo
indossa una maschera ed è coinvolto nel doppio ruolo di attore e spettatore. Difatti il teatro è uno
dei generi più famosi e utilizzati dagli autori durante il 600.
-poetica: il termine barocco deriva da “barrueco” ossia una perla scaramazza, strana inusuale.
Infatti questo secolo è segnato dall'eccentrico, dallo strano e dal bizzarro. L'acutezza e l'ingegno

25
sono le qualità più richieste e fondamentali nella retorica barocca. La prima si traduce nella capacità
di stabilire rapporti sotterranei, acuti e anche paradossali, mentre il secondo è la capacità brillante di
mettere in luce questi legami. La metafora è la figura simbolo del Barocco. La capacità metaforica
deriva proprio dall'attività dell'ingegno e dalla sua capacità di creare accostamenti sorprendenti. In
questo modo essa è funzionale al suscitare la meraviglia dell'osservazione o del lettore, quindi
attirarne l'attenzione, ma al tempo stesso rivela l'effettiva esistenza di rapporti tra elementi del reale
che possono sembrare a primo impatto non visibili. La metafora nelle opere assume un ruolo
conoscitivo perchè consente di accedere alla conoscenza dei rapporti nascosti che essa rivela.
-forme letterarie: la lirica barocca si caratterizza per la ricercata ed esibita rottura con i modelli del
petrarchismo del Cinquecento. Il tema amoroso si converte in una forma tutta esteriore e sensuale.
Gli autori del barocco trattano di qualsiasi aspetto del reale, affermano che tutto sia “poetabile”: il
brutto, il deforme, il mostruoso, ma anche gli elementi più concreti. Sono presenti temi come la
mutevolezza della vita e la caducità del tempo che accompagnano il tema incombente della morte.
-Giovan Battista Marino: egli nasce a Napoli nel 1569. Pubblica differenti raccolte come le Rime
e la Lira. In questi componimenti mette insieme canti d'amore e di guerra e mostra la sua vicinanza
a Guarini e a Tasso. Il tema amoroso è trattato in chiave antipetrarchista, prediligendo una visione
erotica e sensuale dei singoli aspetti della bellezza femminile. A differenza di Petrarca, lo sguardo
di Marino è tutto esterno egli infatti non si concentra sull'io poetico ma sull'oggetto. In Marino e nei
marinisti la figura della donna angelo scompare, non è più una donna bionda ma diventa erotica
sensuale e carnale. La sua poetica si apre all'inusuale, le sue opere hanno lo scopo principale di
suscitare sorpresa e meraviglia dello spettatore. Egli stesso definisce la sua poetica un'azione per
rompere le regole, una lettura fatta col “rampino”. Oltre le Rime, un'altra opera importante e
rivoluzionaria è l'Adone che rovescia la struttura dell'epica. Egli produce un poema policentrico
composto da infinite storie, nel quale si moltiplicano le digressioni che superano le azioni. Con
quest'opera in particolare egli incarna un rapporto con la tradizione tipico del 600: i materiali
letterari sono accolti per essere reimpiegati e investiti di un nuovo significato; hanno dunque un
valore più per la loro forma esteriore che per i loro significato interiore. Più di ogni altro autore
Marino incarna le caratteristiche tipiche del Barocco, tanto che la lirica italiana del XVII secolo può
essere divisa in “marinismo” e “antimarinismo”.
-Galileo Galilei: egli è il maggiore scienziato del secolo ma al tempo stesso anche uno degli
scrittori più grandi del Seicento. Con le sue opere infatti lo scienziato da un contributo alla
fondazione della scienza moderna sperimentale, cui fornisce un decisivo apporto metodologico. Al
tempo stesso egli deve essere ricordato per aver favorito l'arricchimento della lingua italiana.
Chiarezza, precisione e linearità sono i suoi elementi chiave nella prosa dove il linguaggio tecnico
e comune convivono. Si riflette anche nelle sue opere il rigore del ragionamento scientifico e
dell'argomentazione razionale. Galileo nasce a Pisa e trova occupazione migliore a Padova pressolo
“studio” (attuale ateneo), ancora oggi lì è possibile ammirare il leggio dello scienziato.
Egli è stato il primo ad analizzare il movimento relativo tra Terra e Luna, ed il primo a scoprire
l'esistenza di 4 satelliti di Giove. “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” è una delle sue
opere più importanti, in cui si impegna nella difesa della teoria copernicana contro la fisica
aristotelica e l'astronomia tolemaica. Affronta temi fondamentali com il moto della Terra, il
principio di inerzia, il problema delle maree e il moto annuo della Terra attorno al sole. Quest'opera
suscita immediatamente la reazione del Santo Uffizio e l'opera viene processata per eresia e Galileo
costretto all'abiura. Il vero capolavoro è pero “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due
nuove scienze”, con i quali da un grande contributo alla nascita della dinamica moderna.

26
Definire Galileo Galilei figlio tardivo del Rinascimento è una concezione antistoricistica. Al
contrario egli è un figlio autentico, perchè nelle sue opere utilizza tutto ciò che ci è stato tramandato
da questo movimento. Inoltre come aveva fatto Marino nella poesia, Galileo rende celebre la prosa
nel 600. Egli è il principe della scienza moderna sperimentale (metodo induttivo= partire
dall'osservazione per poi formulare una legge e non il contrario) e dopo la sua morte nacque
l'Accademia del Cimento cui motto è “prova e riprova”.

FERDINANDO DONNO: Autore marinista del 600 nasce a Manduria il 25 aprile 1591. Si è
formato nel borgo natale e poi a Lecce, città di coscienza cittadina e di intreccio culturale.
Successivamente soggiorna a Napoli e dopo questo lungo periodo nella città partenopea, a 28 anni
decide di raggiungere Venezia come residenza stabile della sua attività letteraria. Li pubblica nel
1620 “La Musa Lirica”; poi un romanzo “L'amorosa Clarice” e un poema in ottave “L'allegro
Giorno Veneto” del 1627. Queste opere hanno conferito al salentino il conferimento del cavalierato
di San Marco. Dopo l'intensa fase veneziana durata circa per 14 anni, nel 1635 ha vissuto a Roma
presso Antonio Bruni e poi è ritornato a Manduria fino alla sua morte nel 1649.
Donno è stato un poeta intellettuale al servizio di Venezia, cantore e politico che si rifà molto a
Tasso più che a Marino. Egli è riuscito ad interpretare al meglio il superamento petrarchesco senza
sfociare nell'assurdo come molti suoi contemporanei. La lingua delle sue opere è sublime,
antirealistica nelle opere poetiche al contrario da quelle in prosa. Con Donno tutto diventa poetabile
e come in Marino anche nel poeta salentino non esiste più l'ideale della donna-angelo. (pag 8-9-10)
“Gli amori di Leandro ed Ero” poemetto centrale ed importante (CXXIX), in quest'opera emerge
come l'autore pugliese non voglia inventare ma presenta un rapporto di sfida con i classici del
passato. Accoglie la tradizione del mito di Ovidio, autore classico importantissimo perchè è stato il
primo scrittore che ha trattato la paura dell'abbandono, la fragilità e il crollo psicologico interiore.
Ero e Leandro sono due figure protagoniste di una narrazione della mitologia greca. La tragica
vicenda è già narrata da Ovidio nelle Eroidi e vi accennano anche altri autori, ma deve la sua
fortuna soprattutto a un poemetto in esametri di Museo Grammatico del V o VI secolo. Il giovane
Leandro, che viveva ad Abido, amava Ero, sacerdotessa di Afrodite a Sesto, sulla costa opposta, e
attraversava lo stretto ellespontino a nuoto ogni sera per incontrare la sua amata. Ero, per aiutarlo ad
orientarsi, accendeva una lucerna. Una notte una tempesta spense la lucerna e Leandro, disorientato,
morì tra i flutti. All'alba Ero vide il corpo senza vita dell'amato sulla spiaggia e, affranta dal dolore,
si suicidò gettandosi da una torre. In questo poemetto di Donno, l'autore dedica 40 strofe a Leandro
e 46 ad Ero (sacerdotessa della dea), egli da quindi più importanza alla figura della donna. Donno in
queste ottave non vuole rinunciare a niente, né alle figure retoriche e nemmeno ai riferimenti
classici. Infatti a differenza dei suoi contemporanei egli riesce a coniugare “modernità barocca” e
classici.
I SISTEMI ESPRESSIVI: I GENERI, LE TECNICHE, GLI STILI (Da pag 26 a 29 Martignoni)
Il dibattito letterario e linguistico della prima metà del Seicento si coagula intorno ai nomi e alle
esperienze poetiche di Torquato Tasso (1544-95) e Battista Guarini (1538-1612).
Il primo più che l'ultimo cinquecentista o il primo seicentista, si presenta come il modello poetico,
linguistico, e teorico più prestigioso dell'epoca e l'unico e imprescindibile punto di partenza per le
generazioni successive, italiane ed europee. La Gerusalemme Liberata divide i letterati tra
“moralisti” ed edonisti. Invece Aminta e le Rime sono il primo segnale dell'eclissi del petrarchismo
27
cinquecentesco: Petrarca quindi non è più il modello esclusivo di una poesia che si avvale di una
raffinata scelta di fonti classiche, capace di esprimere una nuova sensibilità turbata e sensuale.
Per i contemporanei inoltre Tasso è il poeta più rappresentativo per i caratteri stessi della sua
drammatica biografia, ritenuta emblematica per la condizione del lettorato tardorinascimentale, per
lo più nobile che vaga di corte in corte in una affannosa ricerca di una degna collocazione in
un'Italia ormai compatta e pacifica ma priva di mobilità sociale e culturale.
L'altro simbolo di questo periodo è Guarini, il quale è stato un applauditissimo divulgatore degli
ultimi ritrovati della tecnica tassiana. Le sue liriche cortigiane, per lo più destinate a essere
musicate, e la tragicommedia pastorale Il pastor fido vengono messe in gara con le Rime e l'Aminta
di Tasso ma indicano a una nuova giovane generazione di poeti la via da percorrere per distinguersi
dalla maniera tassiana. Con argomenti diventati poi popolari nel Seicento, Guarini mette in atto il
definitivo affrancamento della poesia tardorinascimentale dal dogmatismo aristotelico della
Controriforma. Questi due autori hanno lasciato in segno anche al di fuori dell'Italia e le loro opere
hanno avviato il dibattito tra regolarità aristotelica e innovatori.
Contro il culto secentesco di Tasso si schierò l'autore francese Nicolas Boileau e poi in seguito
Dominique Bouhours. In particolare nelle loro opere attaccano l'artificiosità del linguaggio tassiano.
Questa polemica partita in Francia troverà sbocco anche in Italia successivamente nella critica
arcadiana.
Dall'esperienza di Tasso e Guarini emergono le nuove forme seicentesche tra cui figura il poema
epico o eroico che diventa subito un genere frequentatissimo. Destinato ad un pubblico borghese
anche femminile, si propone come una dilatazione del poema tassiano sulla prima crociata, come un
suo travestimento burlesco o dialettale. Ancora più apprezzati furono però i generi nuovi come
l'Adone di Marino che unisce ai fini ludici uno stile elevato e umile, lingua e dialetto.
Il pastor fido di Guarini, prototipo anticlassicista del genere “misto” di tragedia e commedia ed
esempio di mescidazione di stili a fini teatrali, inaugura un filone fortunatissimo in Italia come in
Francia ed in Inghilterra.
Si sviluppa anche nella lirica il concettismo, una corrente letteraria che a partire dal 1590 vuole
rinnovare la lirica mediante il ricorso a uno stile metaforico strano e sbalorditivo. In Spagna emerge
la figura di Quevedo e in contrasto la figura di Gongora con il culteranismo. In Italia l'autore per
eccellenza che si avvicina a questa corrente è Marino.
Nel 600 però assume una certa importanza anche la prosa con il filosofo Campanella, la figura di
Paolo Sarpi ma soprattutto quella di Galileo Galilei. Quest'ultimo, matematico e fisico, elabora una
scrittura capace di rappresentare la realtà delle cose, con chiarezza ed evidenza, mediante
l'attualizzazione del lessico scientifico e soprattutto grazie alla scelta dell'italiano come lingua
nuova della scienza, al posto del latino.
Tra i generi di maggiore novità e diffusione nell'ambito della letteratura italiana del 600, troviamo il
romanzo un genere capace di rappresentare la società dell'epoca. L'eccezionale fortuna del genere si
pone tra il 1620 e il 1670 ed è di portata europea. In particolare la Spagna è il territorio dove spicca
maggiormente questo genere in modalità differenti come la “novela picaresca” e il capolavoro
assoluto del Don Chisciotte di Miguel de Cervantes. In Italia emerge anche la letteratura dialettale
capace di dare grande vitalità al Seicento. Ricordiamo opere napoletane di Giulio Cesare Cortese e
Giovambattista Basile.

28
ACCADEMIA DELL'ARCADIA: fondata a Roma nel 1690 a opera dei letterati ( Accademia di
camera) riuniti nella residenza romana della regina Cristina di Svezia, rappresenta di fatto un
tentativo di restaurazione classicista: il recupero del linguaggio e delle forme poetiche classiche
intende opporre alla “meraviglia” del barocco l'ideale di una perfezione formale misurata e colta,
che rappresenti il proseguimento della più alta tradizione italiana e al tempo stesso che si schiuda ai
nuovi generi del 600. Il richiamo al “buon gusto” è la vera bandiera dell'Arcadia.
L'Accademia in pochi anni divenne un fenomeno letterario di importanza nazionale, tanto da
consentire l'identificazione della sua vicenda storica con tutta quanta la poesia del 700 italiano.
Questa fortuna fu dovuta alla semplicità del programma accademico: semplicità nell'espressione
eliminando le forme stravaganti e confuse del barocco; poi rivalutazione della poesia pastorale;
linguaggio esplicito e spontaneo.
POESIA LIRICA E DRAMMATICA DELL'ARCADIA
ORIGINI DEL RINNOVAMENTO: verso la fine del 600 la crisi del mondo letterario italiano viene
bruscamente accelerata dal confronto con la contemporanea cultura francese. Dominante in tutta
Europa, la Francia appare desiderosa di confermare il suo recente primato a spese della decadenza
dell'Italia, giudicata ormai incapace di valersi con profitto della grande eredità rinascimentale. In
particolare il padre gesuita Dominque Bouhours ha sferrata l'attacco decisivo all'Italia, definendo il
suo spirito inferiore e criticando il paese per essere vittima dei capricci delle mode. I francesi
criticavano soprattutto gli eccessi del “cattivo gusto” barocco. Le reazioni contro l'opera francese
determinarono una decisa presa di coscienza da parte dei letterati italiani. Essi infatti si trovarono
infatti costretti a motivare il loro distacco dagli eccessi del seicentismo e si trovarono dinanzi alla
considerazione di una forma più matura del ruolo dell'intellettuale e delle sue responsabilità sociali.
Questo movimento ha segnato l'inizio del cambiamento che coincide con il Settecento, in cui va
colto il sorgere di un nuovo spirito nazionalistico, alla ricerca di giustificazioni sostanziali e
profonde. Risiedono proprio nel 700 le opere più famose dell'Arcadia, come i melodrammi di
Metastasio e le Canzonette e cantate di Paolo Rolli.
METASTASIO: Nato a Roma nel 1698, Metastasio potè compiere gli studi a Napoli e poi in
Calabria, presso il cugino filosofo Guido Calaprese. A 14 anni compose la sua prima tragedia
“Giustino”. Poi nel 1717 pubblicò la sua prima raccolta di Poesie. Successivamente venne accolto
nell'Arcadia ma la sua permanenza durò poco poiché preferì trasferirsi a Napoli città in cui il suo
talento venne finalmente consacrato. Li compose il suo primo grande melodramma “Didone
abbandonata”, rappresentata per la prima volta a Napoli e poi per tutta Italia diventando un
successo. Si trasferì a Roma e poi lasciò il paese per Vienna. Questa scelta fu molto difficile ma
necessaria per l'autore perchè voleva troncare i legami con l'ambiente teatrale e desiderava
collocarsi in un ambiente più stabile e di prestigio. Dal 1730 fino alla sua morte nel1780 egli
risiederà li. Morì ricco, famoso e ammirato dall'intera Europa, che a lungo riconobbe in lui
l'incarnazione del più naturale “genio” italiano, quello che unisce musica canto e poesia.
Dopo i melodrammi e i romanzi, è molto importante ricordare la ricca produzione lirica di
Metastasio che si colloca nel primo decennio viennese. Vi figurano componimenti di diverso metro
come terzine, canzonette, stanze, idilli e odi, spesso legati a temi occasionali. La varietà metrica è
dovuta all'ininterrotta ricerca formale dell'autore (paragonabile solo a Marino e Tasso).
Per l'autore la forma più congeniale è sempre stata la canzonetta. Contraddistinto da musicalità,
superficialità ed eleganza questo genere era sempre stato molto apprezzato nel 700 e proprio
29
Metastasio e Paolo Rolli ne sono stati i più grandi artefici. Hanno sempre rispettato la struttura
classica della canzonetta: strofa agile e briosa, verso breve spesso settenario per sprigionare tutta la
musicalità. Opere: “Sogni e favole io fingo” pag 251 martignoni vol.4
PAOLO ROLLI: La sua vita e carriera, nato a Roma nel 1687, ricorda da vicino quelle di
Metastasio. Dotato per il canto e per l'improvvisazione, venne educato alla scuola di Gravina. Un
gentiluomo inglese Thomas Pembroke lo notò e grazie a lui Rolli si trasferì in Inghilterra dove
raggiunse la fama letteraria. Nel 1744 tornò in patria e poi ripartì per Parigi, si stabilì poi a Todi
dove morì nel 1765. A Londra si dedicò all'attività di edizione di classici italiani e poi si dedicò
anche ai melodrammi. A questi, alla saggistica e all'attività di curatore dei grandi classici, Paolo
Rolli affiancò anche quella di poeta e di traduttore. I temi leggeri mondani ed eleganti, insieme con
elementi ripresi dalla mitologia, nelle sue forme più immediatamente più accattivanti, sono i più
frequenti nell'opera poetica di Rolli. Molto importante la sua raccolta poetica “Poetici
Componimenti”. Opere: “Solitario bosco ombroso” pag 257 martignoni vol.4
ILLUMINISMO IN EUROPA E IN ITALIA
Contesto storico: dal punto di vista storico, vive in Europa ancora una forte instabilità nei rapporti
tra le varie potenze. Tra il 1756 e il 1763 un conflitto di vasta portata (Guerra dei Sette anni)
coinvolge le massime potenza europee: da una parte la Prussia di Federico II alleato con Inghilterra
e Russia; dall'altra Austria alleata con la Francia. L'Italia invece è stata uno dei pochi stati a non
essere stato coinvolto nel conflitto. In generale in Europa si sviluppa la forza della Prussia come
punto di riferimento e poi il consolidamento dello Stato assoluto. Il re ottiene sempre più potere
nelle sue mani e viene circondato da una forte burocrazia. Tutti i regnanti europei però cercano di
affiancare questo accentramento del potere a un programma di riforme ispirato ai valori
dell'Illuminismo (riforme legislative, fiscali e diffusione del giurisdizionalismo).
La cultura europea della seconda metà del 700 è dominata dalla corrente di pensiero
dell'Illuminismo, le cui radici affondano in quella “crisi della coscienza europea” di fine Seicento di
cui essa riprende in gran parte gli orientamenti. Dalla rivoluzione scientifica di Galilei e Newton
discende il principio della necessaria verifica sperimentale, dal razionalismo cartesiano la ricerca di
chiarezza e il meccanicismo, che considera la fisiologia umana come una macchina; dall'empirismo
di Locke il valore dell'esperienza e la riduzione di ogni pensiero alle percezioni sensoriali e alla loro
successiva elaborazione. Il principio fondante dell'Illuminismo consiste nel riconoscimento del
valore della ragione quale strumento universalmente valido nella ricerca della verità, che deve
operare in autonomia, sottraendosi ai condizionamenti della tradizione, ai dogmi religiosi, al
controllo politico e alimentarsi invece di una nuova disponibilità al confronto. Il termine
“illuminismo” richiama infatti a una metafora radicata nella storia del pensiero occidentale che
identifica “luce” con la ragione e le “tenebre” con l'irrazionalità e l'errore. Il fenomeno ha assunto
da subito una dimensione europea, favorita dalla tendenza della società dei lumi al cosmopolitismo
e dalla ricerca continua di uno spazio comune fondato sulla condivisione dei valori. Il dialogo viene
favorito da due linguaggi universali: a lingua francese e la musica. Inoltre questa corrente di
pensiero è riuscita ad abbracciare innumerevoli campi del sapere, questo perchè le premesse stesse
del pensiero illuminista garantiscono la possibilità di intervento sull'individuo e sulla società. Per
loro la ragione è l'unico strumento per conoscere e comprendere la verità.
La stagione illuministica ha tra i suoi effetti anche quello di aver modificato il profilo del ceto
intellettuale. Accanto ai modelli tradizionali, si cominciano a delineare nuovi soggetti che elaborano
e diffondono idee in stretto contatto con gli ambienti illuministici. Questo nuovo ceto si rende

30
protagonista di un cambiamento profondo del fare cultura, non più circoscritto al mondo delle
lettere ma aperto a vari ambiti e campi del sapere: dalla filosofia alla storia, dalla scienza
all'economia. La scena culturale si anima di intellettuali-giornalisti-poligrafi o il philosophe
francese. Questo nuovo tipo di intellettuale che emerge individua la propria azione nella lotta contro
il principio d'autorità, i dogmatismi e i pregiudizi. Nei salotti come nei caffè, il philosophe accende
dibattiti su più temi: attualità, pubblica utilità e la natura trans-nazionale. L'intellettuale illuminista
decide di non rispondere ad altra autorità che non sia quella della sua ragione e si dirige all'intera
umanità invitata al motto di Immanuel Kant “Sapere Aude!” ossia abbi il coraggio di sapere.
La diffusione e lo sviluppo delle nuove idee viene garantito da una salda rete di istituzioni
pubbliche e private. In particolare hanno ruolo importante le accademie come quella di Torino o
Berlino, ma l'elaborazione della nuova cultura passa anche attraverso canali meno istituzionali.
Una buona parte del pensiero illuministico si sviluppa nei salotti parigini, in cui regnano i criteri di
una raffinata arte della conservazione. In altre nazioni diventano fondamentali i caffè, aperto a
uomini di diversi ceti sociali che dialogano in modo libero. Nascono successivamente anche i salotti
di lettura, i club e le logge massoniche.
Illuminismo in Italia: dalla metà del 700 l'Italia può godere di 40 anni di pace e di una situazione
favorevole alla diffusione della cultura illuministica, favorita dallo sperimentalismo galileiano,
dall'erudizione storica e dal giurisdizionalismo di Gianno nel Regno di Napoli. In particolare questo
territorio fiorisce grazie alla politica lungimirante di Carlo III di Borbone che mira alla creazione di
uno Stato moderno e assume l'assolutismo illuminato: riduzione dei privilegi ecclesiastici e
baronali, riforma agraria, riforma fiscale e riforma del diritto con l'abolizione della pena di morte.
Sebbene con un certo ritardo, si diffonde anche in Italia il giornale d'opinione. La nascita del
primo vero giornale di opinione moderno avviene a Milano all'interno dell'Accademia dei Pugni,
pensato per fornire un agile veicolo di propaganda capace di imporre con più efficacia gli
orientamenti pedagogici e riformatori dell'Accademia stessa. Nasce così nel 1764, sotto la guida dei
fratelli Verri e di Cesare Beccaria, l'esperienza del giornale “il Caffè”. Nonostante abbia avuto una
brevissima permanenza (chiuderà nel 1766), ha svolto un ruolo centrale nel dibattito politico
lombardo.
I centri riformatori in Italia: Napoli e Milano
Due centri, in Italia, rivolgono un assiduo interesse alle novità che si manifestano in Inghilterra e in
Francia. A Napoli e a Milano si deve infatti registrare l'adesione a una cultura concreta e operativa,
in decisa opposizione alla metafisica e alla retorica definite nel Barocco, identificato ormai come un
periodo di decadenza. Il nuovo sviluppo proprio in queste due città dipende anche dalla politica
attuata dai re, Napoli con Carlo III e Milano con i domini austriaci e proprio questo ha garantito lo
sviluppo del ceto intellettuale illuministico più forte rispetto ad altre città. Proprio in queste città,
che erano state le più colpite dalla crisi del 600, gli autori sono eccezionalmente dotati e si
impegnano in discipline utili e concrete (parole chiave dell'illuminismo) come l'economia e il
diritto.
ANTONIO GENOVESI: egli nasce a Castiglione di Salerno nel 1713. Fu ordinato sacerdote nel
1737 e nel 1741 ottenne la cattedra di metafisica e dopo 4 anni anche quella di etica. A causa delle
sue dottrine eretiche e protestanti, lasciò la teologia per dedicarsi alla filosofia e all'economia.
La grande opportunità giunse nel 1754 quando fu chiamato a Napoli per la cattedra di “commercio e
di meccanica”, prima cattedra europea di economia. Le lezioni, contro ogni consuetudine
31
accademiche, si sarebbero tenute in italiano. Da lì Genovesi dettò a un numero sempre crescente di
allievi entusiasti i corsi che segnarono il fondamento di una nuova scienza economica
autonomamente italiana. Morì poi a Napoli nel settembre del 1769.
Le sue prime opere sono di argomento filosofico, le altre incentrate di più sugli studi economici.
Una delle sue opere più famose è “Discorso sopra il vero fine delle lettere e delle scienze”,
impregnata di spiriti antiaccademici e tutto volto a esaltare le discipline “pratiche” come le più utili
al rinnovamento materiale e morale dello stato. Il Discorso rappresenta una organica e
autosufficiente esposizione del pensiero dell'autore. Ricollegandosi alla propria vicenda biografica,
Genovesi inizia a dar conto al lettore del mutamento dei suoi interessi e giunge quindi a valutare la
grande rivoluzione realizzata dalla filosofia nello spirito del secolo. Da quest'opera risultano chiari
alcuni dei tratti fondamentali del pensiero dell'autore: la fiducia nel progresso e in una equilibrata
razionalità e l'esigenza di ritrovare nello studio una effettiva concretezza.
Il suo atteggiamento, e lo stretto legame tra i suoi interessi di ricerca e la pratica dell'insegnamento
hanno reso Genovesi un maestro autentico capace di segnare per decenni il panorama culturale
italiano. OPERE: “La ragion ci rassomigli a Dio” pag 298 martignoni vol.4.
A Milano e in Lombardia un moderato influsso illuministico si diffonde con il favore delle autorità
centrali. Il regno di Maria Teresa d'Austria e quello di suoi figlio Giuseppe II incarnano
perfettamente i principi dell'assolutismo illuminato: lo stato favorisce l'evoluzione delle istituzioni
verso un moderno ed efficiente sistema politico, chiamando a far parte dell'apparato amministrativo
tecnici qualificati, provenienti dalla classe borghese e nobiliare. Su questo sfondo si colloca l'attività
della piccola “compagnia di amici” ossia l'Accademia dei Pugni che iniziò a raccogliersi nella casa
del milanese Pietro Verri. A lui si unirono suo fratello Alessandro e il marchese Cesare Beccaria,
entrambi provenienti dagli studi legali.
PIETRO VERRI: egli può essere definito il vero regista del movimento illuministico a Milano.
Fu grazie alla molteplicità dei suoi interessi, dall'economia alla storia alla filosofia, e alla sua
costante attenzione ai mutevoli indirizzi assunti dalla società dei suoi tempi, che Verri assunse una
posizione di primo piano nel panorama della cultura europea del Settecento.
Egli nacque a Milano nel 1728, da una famiglia aristocratica. Ha combattuto durante la guerra dei
sette anni e poi nel 1761 è ritornato a Milano. Li decise di dedicarsi all'economia e al suo Paese e
successivamente anche alla politica che però non gli diede mai spazio. Morì improvvisamente a
causa di una crisi epilettica nel 1797.
Durante la sua carriera ha trattato di diversi argomenti, dalla letteratura alla storia naturale, dal
diritto alla medicina. Al centro dei suoi interessi era la lotta contro la vecchi cultura, che
riconosceva presente tanto nell'atteggiamento pedantesco di molti letterati contemporanei, quanto
nel rifiuto opposto dalla scienza ad accettare le ultime, benefiche scoperte in campo medico, o
nell'ottusa fiducia accordata dagli uomini di legge alla loro tradizione plurisecolare. La satira è
l'arma che Pietro maneggi più abilmente nel condurre la sua polemica.
Notevole fu inoltre la sua opera di mediatore culturale poiché il suo obiettivo centrale era proprio
quello di diffondere il più possibile le sue conoscenze, nella considerazione che la diffusione della
cultura tra il popolo dovesse essere uno degli obiettivi primari dell'opera degli intellettuale
illuministici. Una delle sue opere più importanti è “osservazioni sulla tortura”, dove è centrale il
tema della riforma dell'apparato giudiziario molto caro agli intellettuali milanesi.

32
CESARE BECCARIA: Egli nacque a Milano nel 1738 da famiglia agiata e di nobiltà recente.
Laureato in diritto, riuscì ad accedere all'Accademia dei Trasformati. Ma la sua vita cambiò grazie
all'amicizia con Pietro Verri grazie al quale entrò a far parte nel gruppo dei “Pugni”. Nel 1763
incominciò a lavorare a quella che sarebbe presto diventata l'opera simbolo dell'Illuminismo italiano
: “Dei delitti e delle pene”. Il successo fu immediato e clamoroso soprattutto a Parigi, dove
Beccaria assieme ad Alessandro Verri si recò accolto dagli enciclopedisti. Il ritorno da Parigi però
aprì una lunga fase declinante della sua vita. Morì a Milano nel novembre del 1794.
Il suo capolavoro nacque dal suggerimento di Pietro Verri e venne pubblicata a Livorno nel 1764.
Si trattava di una breve ma efficacissima sintesi, incentrata sul problema tutto pratico della
legislazione criminale. In 46 brevi capitoline ne venivano discussi metodi e forme, attaccando senza
riserve le autorità classiche e le stesse applicazioni vigenti. Sin dall'esordio l'opera mostra di puntare
a una riforma globale del sistema penale, che sottragga dall'arbitrio individuale dei giudici, liberi di
interpretare i testi legali come meglio credono, il diritto di decidere della vita e della morte di una
persona. Occorre, secondo l'autore, un codici di leggi ben chiaro e ragionato che si faccia carico di
tutelare i cittadini, i quali hanno il diritto di essere difesi dalle aggressioni, ma anche di essere
considerati innocenti sino a che il loro delitto non venga inconfutabilmente dimostrato. In questa
definizione scientifica e rigorosa dei compiti della giustizia, non possono trovare posto né la tortura
né la pena di morte. La prima è ripudiata perchè, come potrebbe scagionare un colpevole, così
potrebbe far condannare un innocente costretto a cedere per la sola debolezza fisica. La pena di
morte è dimostrata “non utile né necessaria” alla sicurezza dei cittadini ed è inoltre illegittima e
inefficace. Essa non scoraggia il malintenzionato e non risarcisce in alcun modo la società del
danno che le è stato inflitto. Ogni azione e decisione giudiziaria deve essere guidata dal principio di
pubblica utilità: la pena per essere giusta deve essere proporzionale al delitto, ispirata a una
funzione rieducativa e non solo punitiva. Il delitto quindi non è un peccato contro la fede di Dio ma
è una violazione del contratto sociale perchè il cittadino si vede rinunciare ad una parte dei suoi
diritti.
Questo libro di Beccaria resta il contributo più importante del pensiero italiano al movimento
europeo delle riforme, e definisce insieme alcune caratteristiche fondamentali dell'Illuminismo
lombardo: la volontà di tenersi lontani da ogni speculazione astratta, l'esigenza di un profondo
impegno morale e l'attenzione ai problemi più importanti della vita civile.
CARLO GOLDONI
Goldoni nacque a Venezia il 25 febbraio 1707. Fin da ragazzo ha mostrato una precoce passione per
il teatro, alimentata anche dalla lettura dei classici. Il periodo tra il 1731 e 1738 rappresenta ancora
la vicinanza di Goldoni alla Commedia ma già dal 1738 incominciò a lavorare sul progetto della
riforma. Tra il 1748 e il 1753 si possono collocare gli anni chiave della riforma goldoniana, e in
questo arco di tempo si dedicò ai suo più grandi capolavori come La Locandiera. Le sue opere sono
state rappresentate nei più grandi teatri italiani ma ricevettero una grande accoglienza anche a
livello europeo, per questo motivo Goldoni si trasferì a Parigi come direttore e scrittore della
Comedie Italiane. Le opere tra il 1759 e il 1762 si sviluppano su due linee: l'illustrazione satirica dei
difetti borghesi e l'attenzione per il mondo popolare. Goldoni morì nella capitale francese il 6
febbraio 1793.
la nuova commedia goldoniana: Carlo Goldoni si è speso per il teatro e per il suo rinnovamento
con un impegno che non ha eguali nel 700 europeo e può essere paragonato solo a quello del
francese Moliere. Solo con Goldoni abbiamo un disegno riformista a tutto campo, che trae origine

33
dalla diretta esperienza teatrale. Più che la teoria infatti, per Goldoni conta la pratica quotidiana del
palcoscenico, con la frequentazione degli attori e degli impresari e la valutazione delle aspettative di
un pubblico eterogeneo. Andare a teatro non è solo divertimento, ma anche un modo per
socializzare, conversare ecc. La sua riforma può essere riassunta in 5 punti cardini:
1. la realizzazione di commedie interamente scritte
2. il passaggio dalla maschera al carattere, ovvero dallo stereotipo al personaggio
3. una concezione realistica e naturalistica della commedia unita a una forte
valorizzazione dell'esperienza teatrale
4. la stretta relazione tra riforma del teatro e riforma della società attraverso una
moralizzazione dei contenuti e insieme della figura dell'attore
5. una visione del mondo ispirata a un conservatorismo moderato e parzialmente
progressista (cambiare la società in maniera moderata e non radicale)
l'altro aspetto fondamentale della riforma goldoniana è costituito dal definitivo passaggio dalla
maschera al carattere, ossia dai personaggi stilizzati e immutabili, a personaggi-persona
verosimili, cangianti e imprevedibili come sono gli essere umani. Per comprendere questa scelta
bisogna considerare il contesto in cui Goldoni è cresciuto: a Venezia, città-isola unica e basata sui
contrasti e sulla varietà. Quest'ultima dei luoghi e degli ambienti si riflette dunque sulla scena, che
accoglie personaggi di ogni tipo spesso che appaiono in coppie antitetiche , e lo stesso vale per le
ambientazioni. Lui ha portato nel teatro le regole del mondo, guardare e fare per acquisire
esperienza.
La riforma di Goldoni coinvolge anche alcuni aspetti meno noti legati alla nuova centralità del testo
scritto, che implica da parte dell'autore e dell'attore una nuova professionalità. In particolare ora
all'attore sono richieste anche preparazione e competenza dell'attore professionista, consapevole e
colto anche per sottolineare la sua importanza e onorabilità. Anche l'autore diventa uno scrittore di
professione, i cui lavori sono soggetti al gusto del pubblico e alla legge della domanda e dell'offerta.
Un progetto per la società: egli procede dunque a una “teatralizzazione” della società, perchè da
essa ricava spunti per le sue commedie, al fine di esaltare la “socievolezza” del teatro, ovvero la
possibilità che il teatro si faccia occasione di incontro e di massa in comune di un progetto etico
che coinvolga la collettività. E' importante però tenere sempre a mente che il suo intento non è
quello di stravolgere drasticamente la società, anzi la sua è più una visione moderatamente
riformatrice della società.
Nel suo teatro è importante la società e la realtà e lo si può capire dalla scelta dei suoi personaggi,
come in particolare l'attenzione che riserva per il mercante borghese, padre di famiglia. Nella
prima fase delle sue commedie questo personaggio viene visto con occhi positivi ed esaltato per
l'onestà, la laboriosità, la parsimonia e la moderazione. Col passare del tempo però, Goldoni
incomincia a comprendere e a captare dei segnali negativi intorno alla classe borghese che
rappresentano il periodo di crisi del mercante. Egli non è più un modello etico-comportamentale ma
un uomo che vuole ambire alle abitudini dei nobili.
Oltre il mercante borghese, simbolo del teatro Goldoniano è la donna: mature madri di famiglia che
lottano per i figli, o donne consapevoli del loro ruolo nella società come Mirandolina nella
Locandiera.

34
LA LOCANDIERA: Composta nel 1752, è interamente scritta in italiano. Pur avendo sempre
negato di attenersi a norme e modelli teatrali, l'autore sembra applicarvi alla lettera la regola delle 3
unità di luogo, tempo e azione. Infatti nell'opera tutto si svolge a Firenze, all'interno di una locanda,
in un'unica giornata e si sviluppa attorno a un unico fatto.
La trama verte attorno al personaggio della locandiera Mirandolina, che, aiutata dal cameriere
Fabrizio, si trova a doversi difendere dalle proposte amorose dei clienti dell’albergo da loro gestito
nei pressi di Firenze. Al centro delle vicende c’è sempre la vigile e smaliziata intelligenza di
Mirandolina, che sa far prosperare la sua attività commerciale e mettere in scacco l’altezzoso
cavaliere di Ripafratta, uno dei suoi pretendenti. La locandiera è una delle opere di Goldoni
che hanno goduto di maggior fortuna critica e di pubblico e una di quelle che meglio riassume le
caratteristiche del teatro goldoniano. Si nota innanzitutto la riuscita caratterizzazione dei
personaggi che, in maniera opposta a quanto succede con le “maschere” fisse della Commedia
dell’arte, sono definiti ciascuno in modo individuale e peculiare. A svettare su tutti è ovviamente la
figura di Mirandolina: intelligente e determinata, bella e consapevole di sé, la “locandiera” ha
come primo interesse il profitto della sua attività e quindi sa sia disimpegnarsi con stile dalle
mediocri tentativi di seduzione del Conte e del Marchese e sia tener testa all’orgoglio borioso del
Cavaliere, facendolo infine capitolare. Mirandolina è così regista e attrice dell’azione scenica, tanto
da rivolgersi spesso al pubblico coinvolgendolo nella sua finzione e spiegando in dettaglio come
agirà per battere il “nemico”. La locandiera si sdoppia infatti tra l’azione e la premeditazione delle
battute in controscena. Attraverso di lei, Goldoni da un lato stabilisce un dialogo diretto con il suo
pubblico e dall’altro pone in rilievo l’arma con cui Mirandolina trionfa, ovvero l’intelligenza.
È del resto questa, insieme con l’intraprendenza e il senso del dovere, la dote della nuova classe
borghese, che nella Venezia di metà Settecento è in piena ascesa; tutt’altra cosa rispetto all’inutilità
e al parassitismo della vecchia classe aristocratica, improduttiva ed arroccata sul superato concetto
del prestigio e del rispetto del titolo. Il dinamismo di Mirandolina è anche la dote che mette in
scacco la misoginia e il carattere superbo del Cavaliere. La conclusione della commedia è però nel
segno dell’ordine: Mirandolina, pur vincente, ammette d’aver esagerato e rientra nei ranghi con il
matrimonio con Fabrizio, come le era stato consigliato dal padre morente. Questo del resto è in
linea con la finalità etica che, con un pizzico d’ironia, Goldoni indica nella prefazione intitolata
L’autore a chi legge: la storia de La locandiera deve mettere in guardia gli uomini dalle illusioni e
dagli amari tranelli che le donne sanno, con somma astuzia, architettare.
VITTORIO ALFIERI
Vittorio Alfieri nasce ad Asti il 16 gennaio 1749 da famiglia nobile. Nel 1766 viene arruolato
nell'esercito e successivamente completa la sua formazione grazie ad una serie di viaggi attraverso
l'Italia e l'Europa fino al 1772. Ostile ed indifferente agli obblighi politici e sociali, Alfieri si dedica
alla letteratura e allo studio dei classici italiani e latini e si trasferisce a Firenze in Toscana dove
avviene il processo di distacco totale dal Piemonte (sua terra natale). Si trasferisce per un breve
periodo a Parigi da cui però nel 1792 fuggì e ritornò con sua moglie a Firenze. Alfieri muore nel
1803 proprio a Firenze.
Il pensiero e la poetica: La figura di intellettuale e letterato di Alfieri si caratterizza per la sua
straordinaria capacità di recepire e accogliere in modo personale le istanze più forti che percorrono
la cultura italiana ed europea di quel secolo. L'impegno letterario di Alfieri si svolge principalmente
nell'ultimo quarto del XVIII sec, periodo di passaggio tra gli ideali dell'ILluminismo e i primi
elementi della sensibilità romantica. E' stato un viaggiatore inquieto, pensatore razionale e sensista,

35
un poeta malinconico e solitario, in grado però di far convivere la fedeltà agli ideali illuministici di
libertà e giustizia, la ricerca della perfezione e dell'armonia dei classici, ma anche l'esaltazione della
dimensione individuale e l'espressione più drammatica delle passioni dell'anima. E' proprio per
questo motivo che Alfieri deve essere inteso in una dimensione europea.
Il rapporto dell'autore piemontese con l'Illuminismo è sempre stato complesso e contraddittorio.
Nasce in un ambiente nobile e politico ma ne rifiutò sempre i condizionamenti politici e cercò di
chiudersi nei viaggi e nel cosmopolitismo per trovare una risposta. Nei suoi testi è possibile notare
la posizione mutevole dell'autore, il quale espone importanti riflessioni sulla libertà contro la
tirannide e sul ruolo del letterato nella società. Nel trattato Del Principe e delle lettere, Alfieri
ribadisce la relazione necessaria tra cultura e potere, arrivando però a sostenere l'indipendenza e la
superiorità dell'intellettuale rispetto ai poteri del tempo. L'elemento di contraddizione insito in
queste posizioni sta nel fatto che Alfieri sembra non riporre alcuna fiducia nelle istituzioni politiche,
anche quelle più inclini al riformismo. Tutta la tensione converge sull'individuo e anche il tema
della libertà resta confinato a una visione elitaria. Secondo il poeta l'esaltazione della libertà resta su
un piano astratto e idealizzato e non lascia spazio a mediazioni di alcun tipo. Di qui il rifiuto
dell'assolutismo illuminato.
Una delle forme principali e più evidenti che assume la centralità del soggetto nell'opera alfieriana
è il titanismo: tale atteggiamento consiste nell'affermazione dell'individuo contraddistinto da tratti
eccezionali, come il valore, l'impeto civile, il desiderio di contrapporsi al potere ingiusto fino al
sacrificio di sé, la violenza delle passioni. Proprio perchè dotato di virtù che lo elevano rispetto agli
altri uomini, è quasi inevitabile che l'eroe titano si scontri con la società e con il potere politico,
sentito come autoritario e oppressivo nei confronti dell'aspirazione alla giustizia e alla libertà
dell'eroe. A questo profilo si associa spesso un conflitto interiore originato dallo scontro tra reale e
ideale, dovere e passione, che lo scrittore indaga con l'analisi delle emozioni, anche delle più intime
e contraddittorie.
Questi diversi aspetti della personalità letteraria di Alfieri, trovano una sintesi perfetta nel genere
letterario che gli valse più successo: la tragedia. Questo genere è sempre stato l'espressione
massima delle passioni elevate e dei sentimenti, ed inoltre testimonia la poetica classicista di Alfieri
che unisce i classici latini come Plutarco e Tito Livio con il culto della tradizione italiana. Il
recupero di quest'ultima indica la volontà di un riscatto civile in senso antifrancese.
Alfieri affida alla tragedia il compito di educare il pubblico proponendo degli eroi tragici quali
modelli di libertà e incarnazioni delle più solide virtù civiche e morali. Si tratta di personaggi che
nel bene o nel male superano i limiti imposti dalla realtà, che lottano e soffrono fino alle
conseguenze più estreme come il suicidio o il tirannicidio.
Grazie a questa ricchezza di prospettive, la figura di Alfieri acquisì nello spazio europea una
dimensione mitica: ancora vivente, era diventato un ritratto esemplare dell'individuo di genio e del
letterato impegnato. In Italia, autori come Ugo Foscolo, hanno esaltato Vittorio Alfieri
considerandolo addirittura precursore degli ideali risorgimentali.
Riforma del teatro tragico: nel teatro tragico Alfieri adotta una nuova lingua ed un nuovo stile.
Recupera dalla tradizione l'endecasillabo sciolto spezzato da innumerevoli enjambement, il lessico
si riconduce alla tradizione poetica più alta , ma rivitalizza il linguaggio con accostamenti
inconsueti e antitesi. La sua poetica teatrale è di stampo classicistico: divisione in 5 atti, rispetto
delle unità aristoteliche, soggetti tratti dai miti greci o dalla storia. Asciuttezza e semplicità sono le

36
due novità che vanno attribuite al suo teatro, elimina gli elementi secondari e artificiosi per far
concentrare il pubblico sull'elemento centrale delle tragedie: rappresentazione dei conflitti che
oppongono i personaggi.
IL SAUL: Essa rappresenta l'unica tragedia alfieriana tratta da un soggetto biblico.
Saul è una tragedia composta nel 1782. Alfieri trae il soggetto del dramma dalla Bibbia, dalla
storia della morte del re Saul nella guerra contro i Filistei. Saul è il re scelto da Dio per salvare
Israele, per mano del profeta Samuele. Ma presto si ribella al volere di Dio, compiendo diversi atti
empi, peccando di superbia. Il nuovo campione di Israele scelto da Dio è David, un giovane
pastore, cosa che suscita la gelosia di Saul. I sentimenti del re verso il giovane sono ambigui, da una
parte invidia e gelosia, dall'altra ammirazione. Inoltre David stringe amicizia con il figlio del
sovrano, Gionata e diventa sposo della figlia, Micol.

Alfieri si concentra su come Saul viva l'ineluttabilità che viene dall'alto, dal volere di Dio, che
non si manifesta mai in maniera oggettiva, ma viene sempre visto attraverso la fede dei sacerdoti.
Questa incertezza porta Saul a credere che sia in atto una congiura contro di lui.

Lo sfondo della tragedia è la guerra tra Israele e i Filistei, presso i quali David è costretto a
rifugiarsi. David durante la guerra torna in Israele per aiutare il suo popolo, nonostante il rischio di
essere ucciso da Saul. Il sovrano infatti desidera mettere a morte il giovane, ma dopo un colloquio
con lui si convince ad affidargli il comando dell'esercito.

La comparsa di un sacerdote che annuncia l'incoronazione di David e la condanna di Saul da parte


di Dio, porta l'empio sovrano al delirio. Il sacerdote viene fatto uccidere e David è costretto a
fuggire nuovamente. Saul in un incubo terribile prevede la sua morte e la sconfitta del suo esercito.
Il figlio Gionata viene ucciso nella battaglia, i Filistei vincono. Infine Saul, ritrovata la lucidità,
rimpiangendo di aver cacciato David e comprendendo la realtà dei fatti, decide di uccidersi.
(ATTO V)
GIUSEPPE PARINI
Giuseppe Parini nasce nel 1729 a Bosisio, località della Brianza che si trova sul lago di Pusiano.
Nel 1738 si trasferisce a Milano dove alloggerà fino al 1740, anno in cui incomincia la sua carriera
ecclesiastica. Nel 1754 riceve i suoi ordini sacerdotali. In questi incomincia a scrivere le sue prime
opere e i suoi primi successi. Nel 1763 pubblica i poemetti “Il mattino” e “Il mezzoggiorno”.
Successivamente riceve ordini importanti come il prestigioso incarico di poeta del Regio Ducale
Teatro. Seguono altre cariche importanti, come la partecipazione alla stesura di alcune riforme
scolastiche. Dal 1782 in poi Parini assume l'atteggiamento di maggiore distacco dalle occupazioni
pubbliche. Nel 1791 pubblica la raccolta delle Odi. Muore il 15 agosto 1799.
Per comprendere a fondo il significato e il valore dell'esperienza letteraria di Parini occorre
prendere le mosse dalla complessa modernità del suo classicismo, che si sottrae a una facile
definizione. La sua attività poetica, che si sviluppa nell'arco di 40 anni, riflette alcune delle
principali spinte culturali che hanno attraversato il 700: dalla reazione arcadica al Barocco fino alle
prime manifestazioni del gusto neoclassico. Su questo impianto classicista e umanista egli innesta il
suo sensismo fuso insieme ad un moderato illuminismo, generando una poesia che ha come suo
centro l'impegno etico e civile. La poetica e il pensiero di Parini risiedono proprio nel rapporto

37
moderato che egli presenta con l'illuminismo. Parini ne accetta l'umanitarismo, la lotta contro le
superstizioni e le rivendicazioni dell'uguaglianza naturale degli uomini, ma ne rifiuta l'estremo
ateismo e il materialismo. Questa stessa moderazione è presente nelle sue idee politiche ed
economiche, infatti sostiene un cauto e progressivo riformismo. Infatti rispetto ai suoi
contemporanei, come gli esponenti del Caffè, egli non ha mai denigrato la nobiltà anzi ne ha sempre
sostenuto l'importanza mentre gli illuministi lombardi consideravano solo la borghesia capace di
esprimersi come la nuova classe dirigente.
La scrittura di Parini mostra sin dai primi componimenti un ruolo molto preciso ed importante: egli
affida un programma pedagogico e morale alla poesia che punti a una nuova educazione e un
recupero morale degli aristocratici. La poesia è il perfetto connubio tra docere e delectare, è capace
di spingere alla virtù e ai principi che promuovono il “viver civile”. La poesia ha un carattere
universale la cui funzione principale è quella di dilettare agendo sui sensi e di suscitate passioni.
Il piacere è l'unico scopo della poesia e l'utile stesso coincide con il piacere poiché secondo Parini
“utile è ciò che contribuisce a render felice l'uomo”. Qui la differenza con i classicisti a lui
precedenti. Parini non usa il classicismo come imitazione stantia ma come motore di cambiamento
umano e sociale. La poesia ha un ruolo di importanza primaria anche nei nuovi rivolgimenti
intellettuali e sociali, essa è un veicolo di verità e uno strumento per il bene collettivo.
Dinanzi ai rivolgimenti e alle nuove esigenze poetiche, Parini si mostra consapevole della necessità
di adattare il registro formale e le soluzioni linguistiche alla mutata situazione sociale e culturale.
Per questo motivo egli auspica per un esercizio letterario fondato sulla chiarezza e sulla
razionalità. Inoltre Parini si impegna nella difesa dell'uso del dialetto nella poesia. Inoltre
promuove un nuovo progetto educativo.
LE ODI
Parini compone le Odi tra la seconda metà degli anni 50 e gli ultimissimi anni della sua vita. Esse
vengono riunite in un'unica raccolta nel 1791. Nella prima fase di composizione tra il 1758 e il
1766, Parini tratta di temi di attualità e del valore della poesia come strumento pedagogico e di
rinnovamento etico-civile. Qui risiede il componimento “La salubrità dell'aria”. Nella seconda
fase dal 1777 si sposta su componimenti di argomento amoroso e di ispirazione classicista. Inoltre
rivendica il valore supremo della poesia e il valore e l'indipendenza della sua attività.
La composizione dell odi nelle due fasi presentano delle differenze sul piano formale ma anche
degli elementi di continuità. Nel primo periodo appare più chiaro un dettato classico unito a esempri
di lessico realistico. Mentre nella seconda fase vi è un'impronta classicista più formale con
latinismi, perifrasi e riferimenti mitologici. Utilizza inoltre il settenario e la canzonetta.
IL GIORNO “Il risveglio del giovin signore” pag da 416 a 419 martignoni vol.4
L'opera maggiore di Parini rimase incompiuta. Dopo la pubblicazione del Mattino e del
Mezzogiorno avrebbe dovuto comporre la Sera, che però non fu mai dato alla stampe. Senza
giungere a una stesura conclusiva, Parini matura nel corso degli anni la decisione di passare dai 3
poemetti a un solo poema intitolato Il Giorno e suddiviso in 4 parti: Mattino, Meriggio, Vespro e
Notte. Per comprendere il travagliato iter elaborativo del Giorno occorre contestualizzare le due fasi
redazionali, che maturano in un contesto storico-politico differente. La prima fase degli anni 60 vide
una stagione di riforme “illuminate” a cui lo stesso autore aveva collaborato. Negli anni 80 e 90, in
cui matura la seconda redazione del Giorno, la svolta autoritaria impressa al governo da Giuseppe II
e in seguito la delusione circa gli esiti della Rivoluzione francese inducono Parini a una progressiva
38
estraniazione dalla politica e a un atteggiamento più distaccato, che si esprime in toni più
malinconici e riflessivi che vanno a formare il carattere più frammentato e notturno delle ultime due
parti.
Trama, temi e personaggi: l'opera narra in successione i momenti di una sola giornata di un
giovane nobile, di per sé rappresentativa di tutte le altre giornate ripetitivamente vissute dal
protagonista. Nel Mattino si percepisce una forte impronta di satira morale e sociale. In questa parte
l'autore segue le vacue e ripetitive azioni seguenti al risveglio: colazione, visite di inservienti,
artigiani e insegnanti; i contatti con la dama (moglie di un altro uomo) ecc. Alla descrizione del
frivolo e lussuoso tenore di vita degl giovin signore si alternano numerose digressioni.
Nel Mezzogiorno il giovin signore giunge alla casa della dama con la quale si unisce ad un ricco
banchetto. Lo sguardo del poeta assume una prospettiva più ampia, soffermandosi sui commensali e
sui loro discorsi vacui e superficiali. Come già nel Mattino, Parini introduce alcune significative
digressioni come l'episodio della “vergine cuccia” e la favola del Piacere che spiega la causa della
divisione tra nobili e plebei. Nella terza sezione il giovin signore e la dama sono alle prese con
impegni mondani. Nel mondo raffigurato le relazioni umane hanno perso ogni genuinità e si
fondano su artificiali codici di comportamento. La classe nobiliare appare scaduta in una
irrimediabile decadenza morale. La giornata del giovin signore è scandita da rituali inutili, dalla
monotonia e le deviazioni sono legate al tema della moda e del tempo. Oltre la figura del giovin
signore, è di vitale importanza quella del narratore: “il precettor d'amabil rito”. Egli conduce il
protagonista a sconfiggere il tedio e la noia di una vita parassitaria. Ma in realtà ciò che il lettore
comprende grazie ai toni utilizzati, è tutto il contrario: si tratta di un meccanismo di rovesciamento
ironico. Contemporaneamente però in altri punti della narrazione, il precettore smette i modi
dell'ironia e dà voce all'impegno etico dell'autore e alla sua visione della società, richiamando
l'urgenza di una rigenerazione dei costumi e della dignità etico civile da parte della classe nobiliare
attraverso la poesia, depositaria di valori e altri insegnamenti.
Genere stile metro: Il Giorno rinvia ai modi del poemetto didascalico accompagnato
dall'esercizio della satira antinobiliare che traspare grazie allo straniamento, all'ironia e
all'antifrasi. Questi strumenti utilizzati spingono il lettore a non potersi di fidare da quanto afferma
la voce narrante. Frequenti anche l'iperbole, la perifrasi e la parodia eroicomica. Legato alla satira vi
è anche l'amplificazione del piccolo e la miniaturizzazione del grande. E' presente inoltre l'unione
tra classicismo e interesse per il mito, e il sensismo. La lingua utilizzata è lessicalmente elegante,
ricca di latinismi e soluzioni auliche. Ma accanto a questo registro aulico vi è anche un linguaggio
colloquiale e quotidiano. Sul piano metrico è molto importante l'uso dell'endecasillabo sciolto che
comporta anche la rinuncia all'organizzazione in strofe e l'assenza della rima. Questa operazione
metrica e stilistica di Parini è stata fondamentale e d'esempio per tantissimi maestri come Foscolo
nei Sepolcri e nei Canti di Leopardi e questo conferma la modernità e l'importanza strategica della
poesia e del pensiero di Parini nella metamorfosi culturale dell'ottocento.
NEOCLASSICISMO E ISTANZE ROMANTICHE
contesto storico-politico: L'Ottocento si apre con il dominio napoleonico e il conseguente controllo
francese sull'Europa. Intorno alla figura di Napoleone si sviluppa il mito collettivo dell'individuo
forte e pieno di talento. In Italia l'entusiasmo iniziale per gli ideali di libertà e uguaglianza, portati
avanti dai francesi, si sostituisce la delusione, provocata soprattutto dalla cessione del Veneto
all'Austria in seguito al trattato di Campoformio del 1797. in seguito alla sconfitta di Napoleone e al
Congresso di Vienna del 1815 in Europa vengono ristabiliti gli equilibri sociali e politici precedenti.

39
Da li in poi incominciano i moti liberali e rivoluzionari del 1830 e del 1848 che contestano il
vecchio ordine della Restaurazione e portano alla piena affermazione della borghesia. A livello
economico sociale, questo periodo viene caratterizzato dalla Rivoluzione Industriale che colpisce i
principali paesi d'Europa accompagnata poi dalla diffusione del liberalismo sociale e dalla nascita
del proletariato (quarto stato della società).
Il gusto neoclassico: l'epoca neoclassica è caratterizzata dalla riscoperta e dalla rivalutazione della
civiltà antica greca e romana, considerata modello di perfezione e grandezza. Di fondamentale
importanza per lo sviluppo dell'estetica neoclassica è lo storico tedesco Johann Winckelmann, il
quale analizza la compostezza dell'arte greca e vi esalta l'equilibrio delle proporzioni e la
sublimazione idealizzata delle passioni. L'esaltazione della civiltà antica è alimentata da nuove
scoperte archeologiche come gli scavi di Pompei ed Ercolano. Contemporaneamente aumenta
l'attenzione per tutte le vestigia e i reperti del passato, anche di natura letteraria, e nasce una nuova
attenzione filologica che porta alla scoperta di testi e manoscritti antichi. In Italia il più grande
esponente della cultura neoclassica è Vincenzo Monti, che realizza perfettamente questa tendenza
nelle sue opere letterarie originali e nelle traduzioni dagli autori classici. Tra il 700 e l'800
incomincia a delinearsi anche la nuova attenzione verso il passato. Alcune correnti culturali in cui
l'ambizione di imitare l'antichità è sostituire dalla nostalgia per una perfezione passata e non più
recuperabile. Questa nuova sensibilità si esprime ad esempio attraverso il fascino delle rovine.
Alcuni autori iniziano a guardare verso altre epoche arcaiche e primitive della storia europea, in cui
esaltano la forza e la creatività spontanea. Alla letteratura viene affidata anche la funzione di
esprimere ed esaltare la componente emozionale dell'uomo.
Il gusto romantico: le premesse ideologiche e teoriche dell'estetica romantica sono le riflessioni
intorno alla natura e al ruolo della poesia portate avanti nell'ambiente intellettuale della rivista
tedesca “Athenaum”. In particolare sono importanti le formulazioni di Friedrich Schiller e di
Friedrich Schlegel intorno alle categorie di “poesia ingenua” (identificata con la poesia degli
antichi) e “poesia sentimentale” (corrispondente a quella dei moderni). Il dibattito avrà estensione
europea, grazie all'intervento di Madame de Stael. L'estetica romantica introduce l'idea del “poeta
vate”: si ritiene che la poesia sia la forma di riflessione creativa che più si avvicina all'essenza delle
cose e che dunque il poeta abbia una funzione sacrale, di annunciatore della verità. In particolare
Wordsworth fu uno di quegli autori che ha teorizzato il ruolo del poeta vate. L'età romantica si
caratterizza per la nascita di una nuova centralità dell'individuo: il soggetto diventa il centro di
ogni conoscenza ed esperienza. Sulla scia dell'esperienza tedesca dello Sturm und Drang,
movimento diffuso negli ultimi decenni del 700, tale concezione si esprime anche nella forma del
titanismo, ovvero l'esaltazione del genio e della forza del singolo individuo dalle qualità
eccezionali. Simbolo del titanismo è l'eroe mitologico Prometeo. Tali ideali si riflettono anche sulla
concezione dei rapporti fra individuo e società: il singolo è chiamato a lottare contro le ingiustizie e
i luoghi comuni. Fra i protagonisti di questa stagione di esaltazione dell'individuo sono da ricordare
Goethe e i poeti “satanisti” Byron e Shelley. Come abbiamo detto in precedenza, fondamentale per
il Romanticismo è il rapporto con la natura. In questo periodo si sviluppa una concezione di essa
contrapposta al meccanicismo e al materialismo che avevano caratterizzato il 700, esaltandola
invece come una forza primaria e vitale. La natura è concepita come una totalità, un'unità che tiene
insieme tutte le forze che agiscono in sinergia e in armonia nell'universo. L'individuo romantico
aspira alla fusione con l'Assoluto attraverso l'esperienza totalizzante della natura, alla quale guarda
talvolta con profonda nostalgia, nella percezione di una scissione insanabile dell'io rispetto al
mondo. I poeti romantici esaltano inoltre l'importanza delle emozioni e della dimensione affettiva
del soggetto per accedere alla verità ed entrare in contatto con la natura e con il mondo.

40
Nasce così la narrazione romanzesca attenta all'esplorazione dell'interiorità. In alcuni autori tale
predilezione per gli aspetti emozionali dell'individuo si manifesta anche nella forma di una
fascinazione per gli aspetti misteriosi, inconsci e irrazionali della mente e per la dimensione onirica.
Importante il topos della fuga che esalta il ritiro verso l'interiorità.
Anche durante il romanticismo il rapporto con il passato e la tradizione assume un ruolo
fondamentale. I romantici guardano però all'età classica non più per imitarla, ma con nostalgia per
una perfezione perduta e non più recuperabile. All'imitazione dell'antichità si sostituisce
un'evocazione per frammenti, caratterizzata da un forte sentimentalismo. L'epoca romantica
riscopre altre epoche del passato, all'origine delle nuove identità culturali e nazionali che si formano
nell'800. In particolare il Medioevo diventa oggetto di attenzione di indagine, anche attraverso la
rivalutazione del folclore e delle tradizioni popolari. Il romanticismo inoltre propone una forte
esaltazione dell'aspetto religioso e del cristianesimo. L'indagine sul passato e la nuova esaltazione
dell'elemento individuale e soggettivo si manifestano anche attraverso una nuova sensibilità per la
questione dell'identità nazionale in tutti gli aspetti che la definiscono: lingua, costumi, vicende
storiche. Alla base di questa evoluzione sta l'idea di un “genio della nazione” che, al pari del genio
titanico dell'individuo, deve esprimersi e affermarsi. Si impongono i nuovi valori della patria e della
nazione, che saranno alla base della formazione dei nuovi stati nazionali europei. Di conseguenza si
sviluppa il romanzo storico, poi quello fantastico e gotico. Inoltre grazie ai salotti e alla circolazione
dei libri con la stampa, il rapporto con il pubblico nell'800 diventa sempre più importante e diretto
anche perchè in molti casi come in Hugo e Dickens la letteratura oltre che divertire ha un messaggio
forte e di critica contro i soprusi e le disuguaglianze della società.
Il romanticismo in Italia: in ambito italiano un momento importante per la nascita e la diffusione
del Romanticismo è legato alla pubblicazione nel 1816 del saggio Sulla Maniera e sulla utilità delle
traduzioni di Madame de Stael, la quale si interroga sui modi in cui si esprime la cultura nei diversi
Paesi, sostenendo la necessità soprattutto per il popolo italiano di avere a disposizione nuove
traduzioni dei grandi classici, per scuotersi dal torpore di un'imitazione passiva dell'antichità. A
queste sue sollecitazioni rispondono in primo momento Pietro Giordani e Giacomo Leopardi, dando
l'avvio a un dialogo intorno alla superiorità della poesia degli antichi sui moderni. I due autori
esaltano l'ideale della bellezza immutabile e la spontaneità dell'immaginazione. A partire da questi
temi prende avvio un articolato dibattito intorno alla categoria di “romantico” e alla poesia che la
rappresenta. Le tematiche principali messe in luce dal dibattito intorno al Romanticismo sono legate
alla componente civile e sociale: sono portate con forza soprattutto le istanze di libertà e
indipendenza del popolo. Di fatto la corrente romantica italiana non si può separare dal
Risorgimento. Si avverte la necessità di una lingua unitaria e omogenea che possa esprimere le
aspirazioni all'indipendenza e all'unità d'Italia. Il vivace dibattito attorno alla lingua si accompagna
a una maggiore attenzione per i dialetti, rivalutati nella loro potenzialità di portare una
testimonianza linguistica della cultura popolare delle diverse regioni. In alcuni autori il dialetto è
cosi elevato a pari dignità letteraria della lingua italiana. Al dialetto è inoltre spesso affidata
un'istanza di denuncia sociale. Protagonista della letteratura dialettale del Romanticismo italiano è il
romano Belli.
GIUSEPPE GIOACHINO BELLI
Autore romano nato nel 1791, ha vissuto tra Roma e Napoli e poi Milano dove iniziò a conoscere e
a vivere un periodo di boheme tra biliardi, donne e piccoli teatri. Tra il 1829 e il 1836 ha composto
circa duemila sonetti. La personalità di Belli appare duplice: da un lato si presenta arditamente
moderna, anticonformista e rivoluzionaria, dall'altro invece si mostra retriva ai pregiudizi della sua

41
epoca, tradizionalista in letteratura. La stessa ambiguità si ritrova nella sua produzione letteraria
dove è presente sia il romanesco che l'italiano. Nei suoi Sonetti romaneschi emerge con forza la
denuncia di ogni ingiustizia e violenza, unita tuttavia alla sfiducia nella possibilità di modificare
l'amara realtà del suo tempo; domina infine la presenza della morte, che pervade ogni attimo e ogni
azione della vita. Questi temi costituiscono dunque un energico atto di protesta individuale.
Fondamentale la scelta del dialetto: egli afferma di voler documentare con obiettività assoluta la
plebe romana. Tuttavia, a differenza del milanese o del veneziano, il romanesco era sempre stato
visto come un idioma subalterno, usato solo dalla plebe. Invece per Belli è fondamentale adottarlo
per integrarsi nelle strutture mentali e culturali della folla, per affermare una verità non ufficiale e
censurata. Per narrare Roma, l'autore utilizza l'artificio della regressione: si impegna a dar voce a un
locutore popolare che si incarna in molteplici ruoli. Questa scelta è fatto di proposito dall'autore per
affermare l'ottica dal basso e non dall'alto, vi è un vero e proprio rovesciamento di prospettiva. La
storia è narrata e vista dagli occhi dei servi e non dai potenti. Belli inoltre utilizza il riso non per
dirigersi al popolo, ma al contrario è l'arma che l'autore utilizza per conoscere e spogliare il mondo
da ogni finzione. Ciononostante il plebeo rimane comunque sempre vittima di questa società e
pertanto la comicità delle sue opere si rovescia subito in tragedia.
Opere: “la creazzione der monno” e “Giudizio universale”
UGO FOSCOLO
Niccolò (Ugo) Foscolo nasce a Zante (Zacinto isola precedentemente in possesso della Repubblica
di Venezia) il 6 febbraio 1778 da padre italiano e madre greca, infatti il greco sarà la sua lingua
materna affiancata all'italiano. Si trasferisce a Venezia nel 1792 dove comprende di voler seguire la
carriera letteraria in una città cosmopolita e vivace. Qui pubblica nel 1797 la sua prima tragedia
“tieste”. Sin dall'inizio la sua produzione poetica è strettamente intrecciata al suo impegno e al suo
pensiero politico, che conosce una prima fase di acceso sostegno al progetto napoleonico. Questo
ottimismo però è destinato a durare poco. Con il trattato di campoformio l'adesione alla politica
napoleonica si converte in una dimensione traumatica perchè la repubblica viene ceduta all'Austria.
Foscolo da quel momento vive come esule e condivide con molti intellettuali e scrittori la propria
delusione, assume un atteggiamento di sconfitta. Sulla scia di questo stato d'animo compone il
romanzo epistolare “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”. Dopo da esule ritorna a Milano dove
stringe amicizia con Parini e Vincenzo Monti. Li continua il suo impegno politico e civile e nel
1804 partecipa alla spedizione contro l'Inghilterra. Dopo continuano i suoi spostamenti incessanti
che lo portano a Parigi dove conosce Alessandro Manzoni, poi va a Padova, Treviso e Verono dove
compone “I Sepolcri”. Quando ritorna a Milano è costretto a scappare dal dominio austriaco e vive
gli ultimi anni della sua vita in Inghilterra, a Londra. Muore il 10 settembre 1827 e viene tumulato
nel cimitero di Chiswick, dove le sue spoglie rimarranno li fino al 1871 quando i suoi resti vengono
trasferiti in Santa Croce a Firenze.
Pensiero e poetica: Foscolo coniuga nella propria opera, aperta a generi diversi, sensibilità
moderna e tradizione classica, muovendosi tra i due diversi filoni celebrativo-didascalico, di
ispirazione neoclassica, e lirico-sentimentale più vicino alla sensibilità romantica. Sulla sua visione
del mondo e della società agiscono diverse influenze filosofiche: 1 una visione meccanicistica e
sensistica che lo porta a intendere il mondo come materia, in assenza di qualsiasi principio
finalistico e trascendente; 2 una concezione pessimistica dell'uomo colto nel suo sostanziale
egoismo, che ha radici nel pensiero di Machiavelli e Hobbes; 3 il richiamo al pensiero di
Giambattista Vico, in particolare per la visione ciclica della storia e per il valore educativo attribuito

42
alla poesia. Foscolo vive intensamente la tensione tra istanze illuministiche e nuovo spirito
romantico, tra fiducia nella ragione e abbandono al sentimento. Pur in una prospettiva pessimistica,
egli non rinuncia a istanze di segno opposto e riconosce un complesso di valore positivi: natura,
patria, affetti familiari, valore educativo dei sepolcri, amore, amicizia, bellezza e poesia ecc. Si
tratta di illusioni, non fondate su presupposti razionali, ma tali da consentire il recupero del senso
della vita, in assenza di salde certezze sul piano storico e ideologico. Le definisce le chiavi per il
riscatto dell'individuo. Il valore attribuito a queste illusioni mostra la distanza di Foscolo dallo
spirito dell'Illuminismo, che si esprime anche nel rifiuto dell'ottimismo e della fiducia nel progresso,
anche a causa delle delusioni politiche (trattato di campoformio), nella percezione di un rapporto
critico e complesso tra intellettuale e società, nella predilezione, a livello poetica, per un ritorno
all'antico e alla lezione dei classici in particolare dei greci. Foscolo respinge la visione
dell'intellettuale promossa dall'Illuminismo, che tendeva a privilegiare un sapere filosofico-
scientifico, a favore della riaffermazione della centralità del sapere umanistico: compito
dell'intellettuale è a suo avviso di farsi portatore di valori ideali elevati, nei quali un'intera
collettività possa riconoscersi. La grandezza di Foscolo sta anche nella significativa riflessione
sulla lingua, sia nell'accostamento ai classici, in particolare alla lingua greca, sia nell'attività di
traduzione, che si esercita soprattutto sul “Viaggio sperimentale” di Sterne. Foscolo rispetto gli altri
autori comprese l'inadeguatezza della lingua italiana, vincolata ancora ai modelli arcaici. La lingua
della prosa letteraria italiana, modellata su Boccaccio, tutto era fuorchè maneggevole e
comunicativa. Era necessario quindi modificare la lingua.
“Le ultime lettere di Jacopo Ortis”: L'opera attraversa l'intera esperienza creativa dell'autore,
uscendo in varie edizioni. E' un romanzo epistolare e questo genere era stato sin dall'adolescenza
oggetto di interesse di Foscolo. Si ispira fortemente alla “Nuova Eloisa” di Rousseau e ai “Dolori
del giovane Werther” di Goethe, che avvinano l'autore alla scelta di un protagonista unico su cui
focalizzarsi. La differenza sostanziale che lo allontana dall'opera tedesca è il peso attribuito al
destinatario, emotivamente coinvolto nella vicenda. Le lettere sono indirizzate all'amico Lorenzo
Alderani da Jacopo Ortis, giovane patriota veneziano costretto, dopo il trattato di Campoformio, a
lasciare la propria patria e a ritirarsi sui colli Euganei. Qui conosce Teresa e se ne innamora; la
ragazza, però, è promessa sposa a Odoardo, che con il matrimonio, garantirà il risanamento del
dissestato patrimonio della famiglia di lei. Inquieto, Jacopo si muove tra Bologna, Firenze e Milano
e quando viene a sapere del matrimonio di Teresa ritorna a Venezia per uccidersi. A raccontare la
parte finale della storia del protagonista infelice sarà proprio Lorenzo, il suo amico.
Il testo è denso di riferimenti autobiografici: Foscolo si rispecchia in Jacopo sia per la sua
passione e delusione politico-ideologica, sia per alcune tormentate vicende amorose. Infatti in
Teresa si rispecchiano più donne che hanno fatto parte della vita dell'autore. Se ne distanzia però, in
quanto trova nella letteratura (come ha fatto Lorenzo) lo spazio di un impegno etico e civile,
mentre il protagonista non vedendo via d'uscita sceglie di compiere il gesto più estremo ma
esemplare del suicidio. Quest'ultimo nel romanzo è un atto dal significato ambivalente: gesto eroico
di un animo generoso, che rifiuta il compromesso con i tempi corrotti in cui vive, ma anche presa
d'atto dell'impossibilità di ogni azione concreta nel mondo.
Temi chiave del romanzo sono : il suicidio eroico, di matrice alfieriana e stoica; la delusione
politica e amorosa; l'amicizia e i legami affettivi (con la madre e con la propria terra natia); il
motivo del sepolcro ed infine il paesaggio naturale, presentato come luogo solidale con lo stato
d'animo del protagonista. Il linguaggio utilizzato da Foscolo indica un'unione tra il modello
linguistico di Boccaccio con una moderata apertura verso la lingua dell'uso.

43
Ortis e Werther: un nuovo modello di eroe
entrambi possono essere considerati degli “eroi intellettuali”, appassionati, sfortunati ma soprattutto
sono “eroi giovani”. Infatti rispetto alla tradizione classica in cui gli eroi erano uomini adulti che
avevano raggiunto degli obiettivi, nel romanzo italiano e in quello tedesco i protagonisti si fermano
nella giovinezza. Essa non è intesa come una fase di passaggio verso la maturità, ma come l'unica
condizione anagrafica ed esistenziale in cui i personaggi possono vivere. La loro, essendosi uccisi in
giovinezza, è una formazione strozzata. Opere: “il sacrificio della patria” e “il bacio a Teresa”
produzione poetica: Nel 1803 escono in edizione definitiva a Milano 12 sonetti di Foscolo,
caratterizzati da uno stile melodico, armonico e con numerosi enjambement. I modelli principali
sono Alfieri e Petrarca. Fra i temi spiccano la centralità degli spunti autobiografici, il tema politico-
civile, la rielaborazione della vicenda personale attraverso il mito (in particolare quello di Ulisse).
Questi sonetti nel complesso possono essere letti come un autoritratto in poesia dell'autore, poiché
ogni poesia contiene una nozione che rimanda alla propria vicenda autobiografica.
Opere: “ Alla sera”
LE ODI: scritte tra il 1800 e il 1802, legate al gusto neoclassico e al modello pariniano, esse
affrontano il tema della bellezza femminile, resa eterna dalla poesia. Notevoli il virtuosismo
verbale e i riferimenti alla mitologia. Il motivo della bellezza è di ascendenza petrarchesca, ma il
Neoclassicismo gli dà nuova linfa: essa con la sua armonica staticità riesce a governare, a dominare
e trasfigurare le passioni e in questo senso riesce riportare armonia nell'animo di chi la osserva. Ma
anche la bellezza per quanto perfetta e desiderabile è soggetta al passare del tempo. Niente nella
vita degli uomini è eterno, nemmeno la bellezza, a meno che essa divenga oggetto del canto
poetico e della sua capacità eternatrice. “All'amica risanata” opera da fare.
I SEPOLCRI: il carme dei Sepolcri viene composto tra il 1806 e il 1807. E' un'epistola in versi di
295 endecasillabi sciolti indirizzati al poeta Ippolito Pindemonte; è composto in occasione
dell'editto napoleonico di Saint Cloude, che imponeva di collocare le tombe fuori dalle mura delle
città. Il pretesto offre l'opportunità di una rielaborazione originale del tema della tomba e di una
riflessione sui valori morali e civili che devono essere preservati dall'oblio. Il carme attinge a
diversi modelli classici tra cui Omero, Lucrezio e i moderni Alfieri e Parini e fa proprie varie idee
filosofiche, dal materialismo alla visione storica di Vico, all'empirismo di Hobbes. Con andamento
apparentemente frammentato, affronta il tema dell'importanza della memoria e della poesia per la
conservazione dei valori etico-civili della collettività. Celebra inoltre Firenze come garante
dell'unità culturale dell'Italia e attinge ampiamente al mito, in particolare a quello di Ulisse.
Centrale nell'opera è il tema della memoria: essa rappresenta assieme al sepolcro il filo che dura e
sopravvive. Essa infatti serve ai vivi, non ai defunti: alla memoria i primi legano la loro ultima
speranza di mantenere duraturo il ricordo di chi non c'è più.
ALESSANDRO MANZONI
Alessandro Manzoni nasce a Milano il 7 marzo 1785 da Giulia Beccaria, figlia di Cesare, e dal
conte Pietro Manzoni. In gioventù viene istruito nei vari collegi in cui si avvicina alle idee
democratiche e libertarie provenienti dalla Francia. Dopo questo periodo entra in contatto con il
mondo letterario e incontra Foscolo, Monti e Vincenzo Cuoco. Nel 1805 raggiunge a Parigi sua
madre, che aveva lasciato il padre per il futuro marito Carlo Imbonati a cui dedicherà un famoso
carme. Nel 1808 Manzoni sposa Enrichetta Blondel, di famiglia di forte fede calvinista. Il confronto
con la famiglia lo porta alla conversione religiosa. Nel 1810 ritorna a Milano dove incomincerà a
44
comporre gli Inni Sacri e altre opere come la tragedia Adelchi. Dal 1821 incomincia la
composizione del suo capolavoro: I promessi sposi. L'ultima parte della sua vita è molto complessa
per via di una serie di lutti familiari, ma è anche caratterizzata da importanti impegni pubblici.
Manzoni muore il 22 maggio 1873.
pensiero e poetica: Manzoni, come altri autori, è in stretto contatto con l'Illuminismo e con il
Romanticismo. Dalla tradizione illuministica lombarda (Beccaria, i Verri, e il Caffè), Manzoni
deriva la necessità di un impegno civile dell'intellettuale e il conseguente senso di responsabilità,
oltre che la grande importanza riconosciuta alla letteratura come mezzo di educazione e analisi.
Dalla tradizione illuministica degli ideologues egli mutua invece una rigorosa riflessione
storiografica, fondata sull'importanza della documentazione e delle fonti, con una particolare
attenzione alla masse degli umili. Con il Romanticismo invece, specie quello lombardo del gruppo
del “Conciliatore”, Manzoni ha in comune l'adesione a ideali libertari e indipendentisti e ne
condivide la prospettiva risorgimentale di unificazione nazionale. Per quello che riguarda le scelte
letterarie, romantico è il rifiuto dell'unità aristoteliche nel teatro, quando queste ostacolino la
verosimiglianza e le fedele ricostruzione storica dei fatti e una certa apertura alle letterature
europee. Romantico è infine il suo interesse per il Medioevo (specie nell'Adelchi) e per la
prospettiva cristiana. L'adesione manzoniana al cattolicesimo è estremamente importante per
comprendere a pieno il suo pensiero e il suo percorso letterario. Essa è la conseguenza di istanze di
giustizia, rigore morale, e fratellanza già presenti nella sua formazione illuministica, sicchè la
conversione interviene come culmine di un lungo percorso che lascia indelebili segni nella sua
poetica e nel suo orientamento politico. Manzoni ad esempio maturerà la convinzione che il ruolo
della Chiesa sia fondamentale, anche sul piano politico, come mediatrice dei possibili conflitti tra le
classi. Per quanto riguarda le scelte ideologiche, quali emergono anche dalle opere letterarie,
l'orientamento cristiano emerge dalla centralità del problema del Male che, sul piano storico, si
rivela nelle forme di ingiustizia e del sopruso del potente sull'umile. Una parziale risposta a questo
pessimismo la fornisce con il concetto cristiano di Provvidenza, cioè la forza divina che interviene
nella storia personale e collettiva dell'uomo per guidare l'uomo al bene: anche i suoi disegni sono
spesso imperscrutabili, la fede rende sopportabili le sofferenze patite. Di particolare rilevanza è poi
il concetto della “provida sventura” che si applica a personaggi manzoniani come Ermengarda o
Napoleone nel Cinque Maggio: la sofferenze patite da questi personaggi li mettono nella
condizione di potersi salvare attraverso l'espiazione delle loro colpe e il riconoscimento della
propria misera umanità, che invita alla sottomissione a Dio e alla comunanza con gli altri essere
umani e dunque all'amore. La sventura pertanto è detta provida perchè porta alla salvezza.
“vero storico e vero poetico”: data la funzione etico-civile che Manzoni riconosce alla letteratura,
egli ritiene che essa debba aiutare gli uomini a conoscere se stessi e il mondo (l'utile). La
concezione poetica manzoniana è espressa perfettamente da questa formula: “la letteratura deve
avere il vero come soggetto, l'utile come scopo e l'interessante come mezzo.” Per far questo la
letteratura deve essere fondata sulla verità. Anzichè da invenzioni fantasiose o dalla mitologia, la
poesia deve trarre i suoi argomenti dalla storia, attraverso una rigorosa opera di documentazione e
ricostruzione. Questo è quello che lui definisce come “vero storico”.
Ciò che distingue il lavoro storiografico puro dalla produzione letteraria è poi il cosiddetto “vero
poetico” , cioè lo spazio di invenzione che viene lasciato al poeta nella narrazione di fatti storici.
Esso riguarda principalmente i moti dell'animo e le passioni, le motivazioni interiori che hanno
mosso i protagonisti della storia: siano essi grandi personaggi o umili individui. Le riflessioni di
Manzoni, sempre in evoluzione e sottoposte al continuo vaglio dell'autocritica, giunsero, a partire

45
dagli anni cinquanta, a rinnegare la possibilità di conciliare vero storico e vero poetico: le esigenze
estetiche della letteratura non possono che portare a produrre qualcosa di falso, e analogamente le
esigenze documentarie e realistiche della storia rischiano di rendere arida la produzione poetica che
intende soddisfarle rigorosamente.
INNI SACRI E ODI CIVILI: gli Inni Sacri sono 5 componimenti poetici pensati da Manzoni per
celebrare altrettante festività cattoliche. La loro finalità è di istruzione religiosa, ma anche di
educazione civile, visto che di ciascuna festività vengono messe in luce anche le valenze di
attualità, specie in relazione ai rapporti sociali tra gli uomini. Essi sono costruiti secondo uno
schema tripartito (presentazione tema, narrazione dell'evento sacro e riflessione) e tentano di
coniugare i temi alti e complessi della teologia con una forma popolare comprensibile. Per questo la
loro sintassi è piuttosto semplice, il ritmo cantabile e il lessico rifugge da termini preziosi o troppo
aulici. Il loro progetto non fu portato a termine da Manzoni (dovevano essere 12 componimenti) ed
essi furono composti in vari momenti tra il 1812 e il 1822. Opere: “Natale”
Le Odi Civili sono 4 componimenti che furono dettati a Manzoni da specifici eventi storico-politici
del tempo. Le due principali celebrano i moti risorgimentali (Marzo 1821) e la morte di Napoleone
Cinque maggio (analisi). La loro finalità è etico-civile e tra i temi fondamentali vi sono quelli
dell'unità nazionale, della lotta per la libertà e la giustizia, l'intervento provvidenziale di Dio e il
ruolo dei potenti nella storia. I metri sono lirici e ritmati
Adelchi: oltre i componimenti in versi, Manzoni si dedicò anche al teatro in particolare alle
tragedie. Quest'opera mette in scena la caduta del re longobardo Desiderio in seguito alla guerra
contro Carlo Magno. Anche in questo caso, al centro dell'opera vi è il contrasto tra un personaggio
giusto e umano che è Adelchi, figlio del re, e la necessità storica che lo costringe alla guerra.
Centrale è poi la figura di Ermengarda, sorella di Adelchi, che ripudiata da Carlo, espia con la
propria provida sventura la sua appartenenza al popolo degli oppressori. “La morte di
Ermengarda” (passo da leggere). Il teatro manzoniano presenta molte novità come la grande
rilevanza attribuita alla documentazione storica e al recupero del ruolo del coro: esso diventa uno
spazio in cui il poeta può esporre le sue considerazioni morali sulle vicende, indirizzando il giudizio
del pubblico. Tra i temi dei cori vi è l'esecrazione per le lotte fratricide tra uomini della stessa
nazione e il conseguente messaggio di unità nazionale, la rappresentazione del dominio dello
straniero su popolazioni inermi che tardano alla riscossa e la visione provvidenziale della storia.
I PROMESSI SPOSI: il romanzo storico nasce in Italia con Manzoni; egli dunque non aveva altri
modelli, se non nelle altre letterature europee come nell'Ivanhoe di Walter Scott. A differenza del
modello inglese però, Manzoni insiste su una maggiore fedeltà ai dati storici, su una più attenta e
rigorosa documentazione. Egli evita gli ingredienti più sensazionalistici e patetici del romanzesco,
costruendo storie verosimili e dai contorni sociali e culturali attentamente ricostruiti. Inoltre per la
prima volta, focalizza la sua attenzione non su grandi personalità del passato, ma su protagonisti
più umili della società e lascia grande spazio alla rappresentazione delle masse del popolo.
L'opera fu redatta da Manzoni in tre edizioni differenti con caratteristiche diverse: Il Fermo e Lucia
del 1821/1823; I promessi sposi del 1827 e poi quella del 1840/1842. Le tre fasi per quanto distinte,
partecipano ad un disegno culturale unitario e compatto. Per comprendere meglio la genesi del
capolavoro di Manzoni, dobbiamo riflettere su alcuni passaggi importanti nell’evoluzione della sua
poetica. Lo scrittore milanese, nella prima fase della sua produzione letteraria, era stato un
neoclassico, avendo avuto come modelli Giuseppe Parini, Vincenzo Monti e Ugo Foscolo.

46
Col tempo, però, si accorse che gli argomenti mitologici e la poetica neoclassica erano per lui privi
d’interesse. Inoltre la conversione nel 1810 fu un evento totalizzante nella vita dell’autore:
comprese che l’epifania cristiana è nella storia e che Cristo si manifesta in essa. Con l’Incarnazione
Cristo si fa uomo tra gli uomini, e dunque è Dio stesso che incontra il destino dell’umanità. Non c’è
quindi posto per la mitologia, per la visione paganizzante, materialistica dell’esistenza, mentre
risalta l’importanza della storia come continua ricerca del senso dell’agire umano.
Occorreva cercare la verità dell’azione umana attenendosi al vero storico, che può essere la porta
per una comprensione più ampia della realtà, così da arrivare a un «vero morale». Manzoni trovò
quindi i suoi tre assi cartesiani: «l’utile per iscopo, il vero per soggetto, l’interessante per mezzo».
Su questi colloca quindi prima gli Inni sacri (1815) poi le odi Marzo 1821 (scritta nel 1821, ma
pubblicata nel 1848) e Il cinque maggio(1821), le tragedie storiche –Il Conte di Carmagnola (1820)
e Adelchi (1822) – e, infine, I promessi sposi (1827; 1840-42).
L’idea del romanzo fu agevolata dalla traduzione in francese dei romanzi di Walter Scott. Il 24
aprile 1821 Manzoni dà avvio alla stesura del suo romanzo, conclusa il 17 settembre del 1823, con
il titolo provvisorio di Fermo e Lucia. Questa prima stesura non soddisfò l’autore per problemi
strutturali e linguistici. La seconda fase di elaborazione cominciò intorno al marzo 1824: Manzoni
abolì alcune digressioni storiche e gli episodi troppo patetici o inclini al gusto del gotico, e comincia
a far prevalere la lingua toscana su tutte le altre. Nel 1827 uscì, in tre tomi, il romanzo, col titolo I
promessi sposi. L’edizione è chiamata “ventisettana”.
Risolti i problemi strutturali, trasformata la materia documentaristica in forza narrativa, risolto
l’intreccio, a Manzoni restava ancora da risolvere il problema della lingua. Nel 1827 andò a Firenze
e lì trovò la soluzione: la lingua che stava cercando era quella fiorentina parlata dalle classi colte,
«viva, agile, reale» (Migliorini), e la trova davanti a sé, miracolosamente. Manzoni è consapevole
che il popolo italiano aveva bisogno di una lingua unitaria, in cui riconoscersi. L’operazione poté
dirsi felicemente compiuta con la pubblicazione della seconda edizione del romanzo, nel 1840
(edizione a fascicoli conclusasi nel 1842): la “quarantana”, l’edizione definitiva.
Manzoni adotta, sulla base di modelli illustri come il Don Chisciotte di Cervantes, l'espediente di
attribuire ad anonimo manoscritto la storia che narra. Questa scelta conferisce un'impressione di
veridicità storica al racconto. Inoltre tale scelta consente a Manzoni di affiancare alla voce di un
narratore contemporaneo quella di un narratore onnisciente ed esterno, che può, data la
distanza dai fatti narrati, esprimere con ironia giudizi, inserire morali e riflessioni metanarrative,
orientare l'opinione dei lettori. Nonostante l'onniscienza della voce narrante esterna, il romanzo è
polifonico, nel senso che in esso sono rappresentate varie tipologie umane e vari punti di vista e
modi di affrontare la realtà da parte dei personaggi. Vi è inoltre una grande attenzione
all'interiorità di questi ultimi, in modo da rappresentare tutta la complessità dell'animo umano e
dei moventi delle azioni. A questa complessità corrisponde uno stile vario e capace di assumere tutti
i toni possibili, conservando sempre compostezza e misura. Tra i principali temi manzoniani vi è
certamente quello del potere: esso assume per lo più i connotati di una forza oppressiva che
schiaccia gli umili e li perseguita. Strettamente connesso è di conseguenza il tema della giustizia.
Su questi aspetti si esercita l'ironia dello scrittore, che, nonostante il suo orientamento politico, non
esita a sottoporre a critica gli esponenti della Chiesa, quando questi contraddicono la propria
missione di vicinanza e difesa del mondo degli umili e dei desiderati. Tra i personaggi emblematici
del romanzo vi è Renzo: “eroe camminatore” che vive nell'opera un autentico percorso di
formazione e di trasformazione sociale, da filatore a piccolo imprenditore borghese. Tuttavia la
conclusione del romanzo non è un lieto fine privo di ombre. Infatti, per quanto Renzo abbia

47
imparato la cautela dei propri errori, la vicenda di Lucia mette in guardia da soluzioni
semplicistiche: non basta un comportamento retto o cauto a metterci al riparo dal male; solo la fede
può sostenere l'uomo. A questo aspetto si collega un altro tema centrale: quello della Provvidenza e
dell'irriducibilità del Male nella storia. L'ottica provvidenziale di Manzoni è tutt'altro che
pacificante e semplificatoria: il credere nella presenza di un disegno divino finalizzato al bene,
infatti, non mette al riparo dal Male e dalla sofferenza, però è cruciale in tutta la storia avere fiducia
in Dio, solo questo può aiutare a sopportare la sventura. Dal romanzo emerge anche il modello
economico e sociale vero cui si orienta l'ideologia manzoniana: un modello liberista, in cui le
istituzioni non si intromettono per calmierare i prezzi o imporre ai commerci limitazioni che il
mercato non può riassorbire. Sul piano sociale, emerge il fondamentale ruolo della Chiesa , che si
deve fare mediatrice tra le parti della società, in modo da evitare il conflitto violento.
Ambientazione: la scelta di ambientare il romanzo nella Lombardia del Seicento non è casuale:
manzoni è spinto ad analizzare un periodo di decadenza e di corruzione delle istituzioni e della
società italiana, passiva e inerte di fronte a una potenza straniera. E' anche legittimo ipotizzare un
parallelismo tra la dominazione spagnola di allora in Lombardia e quella austriaca a lui
contemporanea. In questo senso il Seicento nel romanzo offriva all'autore un'occasione straordinaria
per fare dell'opera anche una metafora del potere e un'indagine sui caratteri dell'italianità. Inoltre il
600 è stato spesso stato oggetto di narrazione per via degli avvenimenti storici e religiosi che lo
hanno caratterizzato: la peste, la rivoluzione scientifica, Controriforma, il fasto del barocco ecc.
trama: Lorenzo Tramaglino e Lucia Mondella stanno per sposarsi. I preparativi fervono ma a
intralciare la loro felicità c’è don Rodrigo, signorotto del paese, che ha messo gli occhi sulla
promessa sposa. Il matrimonio viene impedito con la forza perché due bravi di don Rodrigo
impediscono a don Abbondio (curato del paese) di celebrarlo dietro minaccia di morte. I due
promessi chiedono l’intercessione di padre Cristoforo– il padre spirituale di Lucia – ma questi non
riesce a smuovere don Rodrigo. Si rivolgono allora a un avvocato, Azzecca-garbugli, ma la legge –
che egli impersona – è dalla parte dei potenti. Provano un matrimonio a sorpresa, che non riesce.
Proprio nella notte del matrimonio a sorpresa, i bravi provano a rapire Lucia: falliscono anche loro
nell’intento. Padre Cristoforo predispone quindi le fughe di Renzo e Lucia: il primo andrà a Milano,
la seconda a Monza. Gli imprevisti non mancano: Renzo è costretto a fughe precipitose per aver
partecipato, suo malgrado, ai tumulti di San Martino: andrà dal cugino Bortolo, nel Bergamasco.
Lucia viene tradita da Gertrude, la famosa monaca di Monza, e consegnata all’innominato, un
potente del luogo, sanguinario e violento, che dovrà poi consegnarla a don Rodrigo. Ma c’è una
svolta: l’innominato, che da tempo sente fastidio per quella vita, grazie a un serrato dialogo con
Lucia e, successivamente, col cardinale Federigo Borromeo (in visita pastorale proprio nelle
vicinanze), si converte alla fede e libera Lucia. Quando tutto sembra volgere al meglio, i
lanzichenecchi scendono in Italia saccheggiando tutto e portando con loro il morbo della peste.
Milano è rapidamente allo stremo. Si ammala Renzo, che guarisce e va in cerca di Lucia. Lucia, a
Milano, si ammala e viene portata nel lazzeretto. Si ammala anche don Rodrigo. I due sposi si
ritrovano a Milano nel lazzeretto davanti a padre Cristoforo: Renzo ha da poco perdonato don
Rodrigo, morente. Lucia, per fortuna, sta guarendo. Tuttavia confessa all’amato che durante la notte
di paura nel castello dell’innominato aveva fatto voto di castità qualora fosse riuscita a salvarsi; ma
il voto, spiega il loro padre spirituale, non è valido, per cui viene annullato. Renzo torna al paese
insieme ad Agnese ed entrambi aspettano il ritorno di Lucia. Tornata, finalmente possono celebrarsi
le nozze. I due sposi con Agnese tornano nel Bergamasco; avranno una figlia, Maria, e apriranno
una filanda.

48
GIACOMO LEOPARDI
Giacomo Leopardi nasce il 29 giugno 1798 nel piccolo centro marchigiano Recanati, primogenito di
una famiglia aristocratica. Suo padre è un bibliofilo accanito che ha speso gran parte del suo
patrimonio per comporre una notevole biblioteca. Proprio qui si fondano le basi dell'istruzione del
giovanissimo poeta: a 16 anni conosce già 6 lingue e compone innumerevoli opere. Avvinandosi
sempre di più alla cultura classica, avviene la “conversione letteraria” che lo porta alla scrittura dei
primi componimenti in versi come forma di altissima interiorizzazione ed espressione
dell'esperienza umana. Leopardi è molto importante nella letteratura per la sua riflessione sul
Romanticismo e sulla filosofia. Nel 1818 incomincia comporre le canzoni civili, poi il distacco
dalla religione e l'avvicinamento al meccanicismo materialistico. Dal 1822 si allontana dalla sua
terra natia e si reca prima a Roma e poi a Milano, poi Bologna e Firenze. Nel 1827 compone le
“Operette Morali” e successivamente arriva la stesura di “A Silvia”, uno dei suoi più celebri
componimenti. Nel 1830 abbandona definitivamente Recanati e la sua famiglia per recarsi a Napoli,
dove dopo aver pubblicato gli ultimi componimenti come “La Ginestra”, muore il 14 giugno 1837.
pensiero e poetica: Leopardi può essere considerato un autore “inattuale”, nel senso che la sua
riflessione poetica si distingue per numerosi aspetti dai sistemi ideologici del periodo in cui visse.
Con l'illuminismo condivide il rinascimento della funzione critica della ragione che disperde
inganni, illusioni e convinzioni infondate. Importante però è non abusare di questa: necessaria se
ben usata, ma assai pericolosa se assolutizzata. Egli ne adotta una concezione materialistica e
sensistica, ma ne rifiuta l'eccessiva fiducia nel progresso e rifiuta quella scienza che trasforma le
verità scientifiche in assolute. Leopardi fa la distinzione tra la scienza, ossia le scoperte ecc, e lo
scientismo che secondo lui illude l'uomo nel poter eliminare l'infelicità, che secondo Leopardi è
intrinseca alla condizione umana. Inoltre riconosce una notevole importanza alla facoltà
immaginativa che deve supportare il semplice raziocinio.
Rispetto al Romanticismo, Leopardi si mostra piuttosto critico, rifiutandone specialmente le
componenti politiche e l'idealismo ottimistico: la condizione umana, secondo il poeta, è disperata
sotto qualunque forma di governo e le prospettive consolatorie non sono che un inganno.
Ciononostante, il poeta mutua dalla riflessione romantica l'idea della centralità dell'io e del valore
universale della sua esperienza, la pratica della poesia come opera in cui si fondono aspetti diversi
del sapere e le riflessioni sulla poesia ingenua degli antichi e su quella sentimentale dei moderni.
L'io romantico è un io che si interroga sul senso dell'esistenza, in profonda sintonia con quelle voci
della cultura europea contemporanea che fanno della poesia un'esperienza insieme soggettiva e
universale. Nonostante il suo scetticismo politico e l'allontanamento dallo spiritualismo e dal
cattolicesimo liberale romantico, Leopardi elabora un proprio orientamento etico-politico: egli
riconosce un valore nella socialità umana e auspica un'unione degli uomini basata sul
riconoscimento della comune sofferenza e della responsabilità della natura in questo senso (un
nuovo umanesimo).
Fasi evolutive del pensiero leopardiano: in una prima fase Leopardi, riflettendo sull'infelicità
umana, incolpa il destino individuale, mentre considera la Natura come un'entità benigna che, nelle
più antiche fasi della storia dell'uomo, gli consentì di coltivare alcune generose illusioni.
In una seconda fase, Leopardi approfondisce la sua riflessione e approda al cosiddetto “pessimismo
storico”: l'infelicità dell'uomo è un portato del progressivo predominio della ragione scientifica;
quest'ultima ha fatto crollare le illusioni, quindi l'infelicità è un prodotto dell'evoluzione storica
dell'uomo. L'ultima fase del pensiero leopardiano approda al cosiddetto “pessimismo cosmico” . La

49
prospettiva materialistica e meccanicistica adottata da Leopardi, gli fa vedere il mondo come una
macchina regolata da leggi interne e immodificabili: la Natura gli appare come un'entità indifferente
alla sorte degli individui e delle singole specie, perchè retta da meccanismi finalizzati alla
conservazione generale del sistema e non delle sue parti. Non rimane che accettare questa dura
verità rigettando ogni illusione. Questa riflessione fu così dura che l'autore si allontanò dalla poesia
per alcuni anni. Pur nella sua prospettiva pessimistica, Leopardi riconosce alla poesia la capacità di
lenire le sofferenze dell'uomo: il piacere che nasce dalla poesia dipende dalla sua capacità di
sollecitare l'immaginazione, una facoltà indispensabile che caratterizza specialmente l'infanzia e
che può essere riattivata in poesia attraverso l'evocazione di sensazioni di vaghezza e
indefinitezza. Su queste basi si fonda quella che egli stesso definisce come “teoria del piacere”:
l'uomo per natura desidera la felicità e identifica quest'ultima con il piacere, ma un piacere infinito
in durata ed estensione. La Natura, però, ha dotato l'essere umano di sensi limitati che perciò non
consentono all'uomo di soddisfare il suo desiderio illimitato. In questo sta la radice prima
dell'infelicità. La grande novità introdotta da Leopardi è costituita dalla creazione di una “poesia
sentimentale filosofica”, capace di coniugare insieme immaginazione e ragionamento, meditazione
filosofica ed evocazione. Grande importanza riveste la musicalità del verso e la selezione dei suoni
delle parole. Leopardi inoltre inventa una nuova forma di “canzone libera”, che grazie alla
struttura aperta e non fissa delle sue strofe, e alla metrica variabile (settenari e endecasillabi), si
adatta perfettamente agli ondeggiamenti del pensiero e del sentimento.
I CANTI: Fin dalla loro prima edizione, i Canti mostrano la loro grande originalità. La novità è
costituita dalla grande libertà compositiva, dal connubio tra effusione lirica e meditazione filosofica,
dalla complessa struttura della raccolta, fitta di echi interni e riecheggiamenti tematici. Le scelte
lessicali e sintattiche, le immagini che fioriscono nei Canti rivelano un'attenta meditazione della
tradizione letteraria italiana (specialmente Petrarca e Tasso) e classica (Pindaro, Omero e Orazio):
questa eredità, tuttavia, viene incorporata nel testo come materia viva, rielaborata e sedimentata
nella memoria poetica di Leopardi. Nella scelta delle parole e delle immagini, Leopardi opta per un
orientamento antirealistico, perchè ciò che affascina della poesia è il suo sapore di indefinitezza, di
lontano, di peregrino e evocativo. I Canti sono un organismo complesso che si andò costituendo un
po' alla volta. Essi si aprono con le canzoni civili, ancora influenzate dal classicismo civile di Pietro
Giordani, in cui il poeta si incentra sulla situazione attuale e sul contrasto tra illusioni e verità. Dopo
ci sono le canzoni del suicidio , attraverso le voci di protagonisti del mondo classico (Bruto, Saffo),
mettono in versi la caduta delle illusioni e un'infelicità ineluttabile. Negli idilli invece si assiste a
una pausa più rasserenata, dove la rappresentazione di scene quotidiane sollecita le riflessioni
dell'autore e soprattutto ne stimola l'immaginazione. I cosiddetti canti pisano-recanatesi nascono
dopo un lungo silenzio in cui l'acutizzarsi dei suo problemi di salute e il radicalizzarsi del suo
pessimismo lo avevano distolto dalla poesia. Anch'essi prendono le mosse da situazioni ed
immagini quotidiane ed evocative, ma articolano con maggior ampiezza rispetto agli idilli una
riflessione che tocca i temi del materialismo, dell'infelicità, dell'indifferenza della Natura, della
memoria e della caduta delle illusioni. Attraverso la rievocazione autobiografica la voce dell'io
lirico si fa voce universale che denuncia la nullità del tutto. Oltre al “ciclo di Aspasia”, gli ultimi
canti si aprono con la polemica con i miti del XIX secolo. Nella Ginestra,aggiunta postuma
nell'edizione finale dei canti, si spalanca una nuova prospettiva che, a partire da un radicale
pessimismo e dal riconoscimento dell'ostilità della Natura, promuove l'unione degli esseri umani per
far fronte alla comune nemica e propone un'immagine del poeta che non si arrende all'illusione, ma
accetta coraggiosamente la sofferenza. Opere: “La ginestra”, “Infinito”, “La sera del di di festa”,
“Canto notturno di un pastore errante”.

50
Produzione in prosa: “OPERETTE MORALI”
Esse sono delle prose di argomento filosofico, in gran parte sotto forma di dialogo, e hanno come
modelli le opere di autori classici ma anche gli scritti dei moralisti del Sei e Settecento come
Voltaire. L'opera non incontrò il favore del pubblico e anzi fu anche messo all'Indice nel 1850; solo
il Novecento ne riconobbe il grande valore letterario e filosofico. Le Operette presentano un
messaggio morale che fonda un'etica laica basata sulla conoscenza e l'accettazione del vero,
identificato con la condizione di nullità e di sofferenza dell'uomo e degli essere viventi.
All'interno del testo possono essere individuati numerosi percorsi tematici: dal tema dell'infelicità e
all'opposto del piacere, alla riflessione sulla Natura da benigna a malvagia e indifferente, dallo
smascheramento dei moderni miti del progresso e della scienza al tema della morte e del suicidio.
Con questo libro si può dire che Leopardi inventi la prosa filosofica italiana: caratterizzata da
un'eleganza che nasce da una sintassi non artificiosa, ma talvolta addirittura modellata sull'uso del
parlato, e dal connubio tra il lessico poetico e la capacità di resa efficace del pensiero. Il tutto
illuminato e reso vivace dal frequente ricorso all'ironia. Opere : “Il dialogo della Natura e di un
islandese”.
GIOVANNI VERGA
Il verismo in Italia
Con la diffusione delle teorie positiviste e del Naturalismo francese, si fa strada l’idea che la
letteratura debba avere un approccio di tipo scientifico alla realtà e che il romanzo debba essere
condotto come un’indagine. I grandi modelli che giungono in Italia sono quelli di Flaubert e Zola.
In Italia le teorie del Naturalismo francese vengono rielaborate da un gruppo di scrittori meridionali
trapiantati a Milano: Giovanni Verga, Luigi Capuana e più tardi anche Federico de Roberto. Questi
intellettuali danno vita al movimento che prende il nome di VERISMO. Le teorie e le tecniche di
Zola influenzano questi autori tanto da far muovere anche la letteratura italiana verso quei modelli.
Vien assunta l’eclissi dell’autore nella volontà di studiare l’uomo e la società. Oltre che per il
romanzo, gli scrittori veristi mostrano particolare interesse anche per il genere della novella,
efficace nel delineare le scene di vita vissuta con il distacco impassibile della rappresentazione
documentaria, ma con un’implicita istanza di denuncia sociale.
Nell’importante recensione del 1877 del romanzo zoliano “L’Assommoir” Capuana si sofferma in
particolare sulla tecnica dell’impersonalità, che consente di descrivere perfettamente le vicende,
senza che lo scrittore partecipi emotivamente a esse: egli fa proprio soltanto il punto di vista dei
personaggi (far parlare molto le cose). La centralità conferita da Capuana al principio
dell’impersonalità svela la peculiarità del Verismo, il quale si pone principalmente il problema della
forma e delle tecniche di rappresentazione della realtà.
GIOVANNI VERGA: Verga nasce a Catania il 2 settembre 1840 da una famiglia di agiati
proprietari terrieri di tradizione liberale. Viene istruito in una scuola privata e si forma con la lettura
dei romanzi francesi. Dopo essersi iscritto in un primo momento alla facoltà di legge, lascia per
dedicarsi totalmente al giornalismo e alla letteratura. In questi anni è molto vivo anche il suo
impegno civile: egli infatti partecipa con entusiasmo alle vicende legate alla spedizione dei Mille,
arruolandosi dal 1860 al 1864 nella Guardia Nazionale. Nel 1865 Vega trascorre alcuni mesi nella
neocapitale d’Italia Firenze, dove frequenta vari centri culturali come il Caffè Michelangelo e
conosce Luigi Capuana. Il successo letterario arriva quando si trasferisce a Milano dove frequenta i
membri più importanti della Scapigliatura. E’ qui che entra in contatto con l’opera zoliana e con i
51
romanzi russi, ed in questi anni intorno al 1874 che si può collocare la conversione letteraria al
verismo. Incomincia a pubblicare quelli che saranno i suoi capolavori: “Il ciclo dei Vinti”.
Paradossalmente però dopo la pubblicazione dei Malavoglia nel 1881, incomincia il declino
dell’autore perché le suo opere veriste venivano considerate troppo fredde e distaccate.
Questo crollo porta Verga a ritornare a Catania nel 1893, dove avrà inizio un forte isolamento e una
vicinanza al pessimismo e al conservatorismo politico. Verga muore a Catania il 27 gennaio 1922.
Pensiero e poetica: Per comprendere Verga è necessario partire dalla sua biografia e
dall’evoluzione del proprio pensiero letterario e ideologico. Infatti il critico Gianfranco Contini lo
definisce uno “scrittore in un decennio”. L’evoluzione e il cambiamento di Verga sono vittime del
momento in cui lo scrittore vive, ossia tra la necessità e la volontà di scrivere: necessità perché deve
guadagnare da ciò che pubblica e per farlo l’opera deve piacere al pubblico, volontà invece perché
vuole perseguire la sua passione. La conversione al Verismo fu un processo travagliato e molto
lungo, infatti prima di approdarci venne influenzato da molti altri elementi. Le sue prime opere si
incentrano sull’esaltazione dei valori patriottici-risorgimentali e le scrive quando si trova a Catania.
A Firenze ci troviamo nella seconda fase poetica di Verga, il quale sposta il tema centrale sulle
vicende private e amorose. A Milano si ha la terza fase, le opere facenti parte di questo momento
costituiscono il “ciclo mondano”. Avvicinandosi alla Scapigliatura, l’autore siciliano ne prende
alcuni elementi come la critica alla società moderna e la condanna del conformismo borghese.
Costante è la presenza del protagonista maschile che è un vinto.
Dopo queste prime tre fasi, troviamo la conversione al Verismo che inizia con le novelle, in
particolare con il lungo racconto di Nedda. In questo contesto l’autore si incentra sulla descrizione
del mondo rurale siciliano anche se non c’è la totale eclissi del narratore che avviene
definitivamente con Rosso Malpelo. Ma possiamo comunque parlare del momento della
conversione perché utilizza l’oggettività (l’adesione sincera e totale all’oggetto della narrazione) e
anche l’impersonalità (l’autore non deve far trapelare nessun giudizio personale).
Verga e Zola a confronto: Ovviamente Verga arriva a questi due elementi cruciali grazie
all’analisi e all’incontro con le opere di Zola, però rispetto all’autore francese l’italiano assume una
posizione un po’ diversa. Verga non vuole assumere il Verismo come uno strumento distaccato di
osservare la realtà come se fosse uno scienziato e il romano come se fosse un caso clinico, ma anzi
per lui si trattava di fare dell’attività narrativa un potente strumento di osservazione del reale per
spingere i lettori alla riflessione sui valori veri della vita. L’altra grande differenza con Zola risiede
nella lingua. Verga infatti ne crea una nuova: plasma una sintassi artificiale, cala il dialetto e i suoi
ritmi entro le strutture linguistiche italiane. Questa scelta perché non voleva creare un’opera
regionale ma nazionale.
Zola e Verga differiscono anche nella realtà che raccontano: il primo si concentra sul mondo della
metropoli parigina, mentre Verga valorizza le varietà regionali (la sua Sicilia in particolare).
Come abbiamo detto oggettività e impersonalità sono le fondamenta del Naturalismo e del Verismo
e vengono utilizzati soprattutto da Verga per rappresentare la vita morale, sentimentale e affettiva
dei ceti più bassi e lo fa rinunciando al suo punto di vista. Questo però viene fatto dai suoi scrittori
in modo diverso. Zola vede proprio con i suoi occhi la società e la realtà che vuole descrivere, si
immerge fisicamente in quel mondo. Verga invece paradossalmente parla dei ceti bassi quando si
trova lontano fisicamente da quel mondo. Il suo intento è proprio quello di fornire una ricostruzione
intellettuale, come farà nei Malavoglia. Egli utilizza l’artificio della regressione, che consiste

52
nell’arretrare la propria visione del mondo, intellettuale e borghese per dare voce ai personaggi.
Infatti sono proprio loro che formano la voce corale, collettiva che narra la vicenda. La bravura di
Verga però risiede nel fatto che riesce comunque a far arrivare il proprio pensiero (per un fine
morale e pedagogico) grazie alla tecnica dello straniamento: far apparire al lettore “strano” ciò
che è “normale” o viceversa.
Per capire Verga e la sua attitudine nelle opere, è fondamentale non dimenticare che il Verismo si
fonda sul pessimismo e sull’anti-progressismo a differenza del Naturalismo che si basa sul
positivismo. L’individuo secondo Verga è determinato da 3 fattori: periodo storico in cui vive,
l’ambiente che lo circonda, e l’eredità biologica. La sua è una concezione deterministica della vita,
l’uomo è limitato ed è vittima di questi fattori che portano ad un limite dell’aspirazione umana,
invece segnata dalla fatalità del destino. Questo è comprensibile a pieno nel Ciclo Dei Vinti, un
ciclo di 5 romanzi. In queste opere Verga espone il proprio punto di vista: la spinta a migliorare il
proprio stato è infatti la molla letale e distruttiva che porta gli individui a staccarsi dalle proprie
tradizioni e dai propri valori di riferimento per avventurarsi su strade sconosciute. E’l’ideale
dell’ostrica: come questa una volta staccata dallo scoglio è destinata a morire, così l’uomo che
rinuncia alle proprie radici per stare meglio è destinato a subire la legge dei più forti.
Raccolte di novelle: Vita dei Campi opera principale Rosso Malpelo
I MALAVOGLIA
Il romanzo mette in scena le vicissitudini, ambientate nel paese siciliano Aci Trezza, della famiglia
Malavoglia, il cui destino è travolto dalla perdita in mare di un carico di lupini e acquisiti grazie a
un debito contratto con l’usuraio del paese. Al centro dello sviluppo della vicenda è l’aspirazione
che percorre la società di Aci Trezza e lo sfilacciarsi dei rapporti sociali e familiari sotto la spinta
potente dell’interesse. Nonostante un parziale riscatto finale di uno dei nipoti di padron ‘Ntoni, il
capofamiglia, i Malavoglia rappresentano i vinti, un gruppo familiare che soccombe sotto la
pressione del cambiamento dei tempi.
Verga prepara la rappresentazione del mondo contadino attraverso un’accurata analisi di fonti
documentarie e basandosi sulle ricerche sulla Sicilia rurale dei tempi. Pertanto la sua è definita una
ricostruzione intellettuale delle situazione storica e sociale della regione. L’esito di questo metodo è
un’unione, tipica del Verismo verghiano, fra l’attenzione minuziosa verso i dati della realtà e la
descrizione oggettiva e imparziale degli eventi, e un afflato universale che proietta l’intera vicenda
in un quadro più ampio, di destino dell’umanità. I Malavoglia è un romanzo anti-idillico:
l’immobile universo della vita agreste non può sopravvivere al mutamento della storia. Ogni
qual volta i vinti cercano di cambiare il proprio status sociale, avviene una catastrofe. In quest’opera
il pessimismo di Verga è assoluto, egli vede in ogni cambiamento solo il male.
DECADENTISMO E SIMBOLISMO
La seconda metà del XIX secolo è segnata dall’emergere di alcuni dei caratteri essenziali della
modernità così come oggi la intendiamo. Il processo di impetuosa urbanizzazione, favorito anche
dal convergere della popolazione rurale verso i centri urbani, con la nascita e l’espansione di vere e
proprio metropoli. La nascita e lo sviluppo di una società di massa legata a questa concentrazione
urbana, da cui deriva anche una nuova stratificazione sociale che produce un’accesa conflittualità
Legato alla massificazione, lo sviluppo di una società delle “merci”, in cui pubblico e consumatori
si confondono diventano tutt’uno e il prodotto artistico, alla stregua ogni altro prodotto, è
confrontato al mercato. In stretto legame con questo nuovo mondo urbano prendono forma le
53
istanze decadenti. Il Decadentismo è caratterizzato dalla 1 riscoperta, di chiara impronta
antipositivista, delle dimensioni dell’irrazionale e del profondo. 2 dallo sviluppo di un nuovo
linguaggio, fondato sull’analogia e sul simbolo, capace di sondare ed esplorare questi abissi.
3 l’affermazione dell’arte e della Bellezza come valori assoluti, in opposizione al dominio del
mercato, alla mercificazione dell’arte e al valore borghese dell’utile. Il termine decadente ha più
significati: decadenza degli ideali romantici ma anche dei valori borghesi e condanna a quelle
tendenze artistiche precedenti. Alla nuova visione decadente della realtà corrispondono nuove
direzioni del pensiero filosofico moderno. Il pensiero di Nietzsche è all’origine del mito
dell’”oltreuomo”: un nuovo modello di uomo in cui si incarnano i valori del dionisiaco, in primo
luogo dell’accettazione vitale dell’esistenza, contro il conformismo che appiattisce la moderna
società borghese. Oltre Nietzsche, Bergson è all’origine di una riflessione sul tempo interiore,
sull’intuizione e sulla durata che combacia con la focalizzazione decadente sulla coscienza
soggettiva, anziché sul dato oggettivo. I primi studiosi dell’inconscio, fino a Freud, favoriscono
l’accesso alle dimensioni profonde dell’individuo e la scoperta del valore del sogno, inteso come
linguaggio di natura simbolica attraverso cui è possibile sondare le profondità dell’inconscio.
Quando si parla di Decadentismo poetico è possibile distinguere una fase poetica e una intellettuale.
Una fase lirica è legata alla prima generazione dei poeti decadenti come Baudelaire ecc. essi, in
misura e con modalità diverse, ancora risentono della ricerca parnassiana, orientata all’armonia,
all’eleganza e alla chiarezza; coltivano il valore “dell’arte per l’arte”. D’altra parte già introducono
la visione del poeta come veggente e i pilastri di una nuova grammatica simbolista, in cui il simbolo
diventa strumento conoscitivo. La fase intellettuale è incarnata principalmente nella figura di
Mallarmè e che persegue un più radicale scardinamento delle struttura del linguaggio tradizionale, il
prevalere dei valori fonici e grafici su quelli semantici, l’intreccio delle arti e dei linguaggi.
Il Simbolismo presenta le seguenti caratteristiche: il poeta cerca di capire il mondo attraverso i
sensi e non con la ragione, utilizzano una poetica alogica, il poeta è quasi veggente e la sua
comunicazione è oscura, le opere sono piene di allusioni, suoni simboli e sinestesie e analogie, la
poesia simbolista non è impegnata socialmente e viene privilegiato il verso libero (idea di poesia
pura che diventa quasi un credo, religione per il poeta).
GIOVANNI PASCOLI
Giovanni Pascoli preferì sempre condurre una vita appartata e tranquilla, lontana dai clamori del
mondo. A influire sul suo carattere è soprattutto la serie di lutti che affronta sin dalla tenera età,
dalla morte del padre a quelle della sorella e poi della madre: eventi tragici che influenzano in modo
netto la sua poetica. Egli nasce il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna. Il 10 agosto 1867
viene ucciso suo padre con una fucilata in piena fronte. Dopo si sussegue la morte della sorella
maggiore e della madre nel 1868. Nel 1871 anche suo fratello Luigi viene a mancare e la famiglia
Pascoli incomincia a disperdersi. Nel 1879, avvicinatosi al pensiero socialista, viene arrestato
durante una manifestazione. Questa esperienza lo porterà alla depressione e lo allontanerà
dall’azione politica, orientandolo verso un credo di umanitarismo e solidarietà umana. Si laurea in
lettere nel 1882 e si riconcilia a Livorno con le altre sue sorelle, ricostruisce il calore del nido
familiare. Subito dopo compone un volume di poesie Myricae. Dopo la pubblicazione di altre
opere, muore il 6 aprile 1912 a Bologna.
Pensiero e poetica: Pascoli è fondamentale per la poetica europea perché è l’autore che funge da
cerniera tra l’800 e il 900, è un innovatore a livello stilistico e linguistico. Nel suo mondo
intellettuale si incontrano l’ispirazione classicista e la modernità: egli accoglie gli atteggiamenti e la
54
sensibilità di fine 800, assorbe aspetti tipici del linguaggio simbolista e soprattutto mostra
un’importante propensione allo sperimentalismo metrico e linguistico
la poetica di Pascoli, che si avvicina molto al simbolismo, è caratterizzata dal riconoscimento di un
valore sociale e morale della poesia, investita di una funzione consolatoria e della capacità,
attraverso la contemplazione del bello, di garantire l’armonia tra gli uomini. Nelle sue opere non
manca però la presenza pervasiva della morte, che costituisce un vero e proprio pensiero ossessivo.
La ricerca e la celebrazione del nido e del focolare ricorrono sempre nei suoi versi come simbolo
dell’unita e dell’intimità familiare. La sua può essere definita una “poetica delle cose” che svela,
anche negli oggetti più umili e quotidiani, oltre che in quelli alti e preziosi, la presenza di un
elemento poetico. Accanto a questi temi, ricorre il valore conoscitivo del simbolo.
L’immagine del fanciullino è quella che descrive meglio la poetica pascoliana. Egli identifica il
poeta con il fanciullo “eterno”, che guarda il mondo con lo stesso candore e la stessa innocenza che
è propria dei bambini e che apparteneva agli uomini nella prima età della loro storia. Questo tipo di
sguardo è all’origine della capacità del poeta di vedere la vera essenza delle cose e del mondo che lo
circonda, svelando il poetico anche nelle cose apparentemente più consuete. La fantasia e lo stupore
determinano una capacità di intuizione e una capacità percettive che sono all’origine dell’attività
poetica, ma che appartengono esclusivamente al poeta: esse sono insite in ciascun uomo, ma solo il
poeta si distingue per la sua capacità di dar loro voce. Alla base è una teoria dell’immaginazione
creatrice dei miti di forti aderenze culturali, da Platone a Leopardi.
Lingua e stile: la poesia pascoliana ha solide radici classiche, ma è attenta alle più avanzate
soluzioni della lirica europea: forte è la propensione allo sperimentalismo linguistico e al ricorso
alle figure retoriche di cui si fa largo uso il Simbolismo francese, dall’analogia alla sinestesia.
Centrali nella sua poesia, sono i valori fonosimbolici della lingua e dunque la dimensione uditiva.
Sul piano retorico questo aspetto si traduce nell’uso ricercato e frequente dell’onomatopea e in un
frequente prevalere del significante sul significato, ovvero della capacità delle parole di evocare
significati attraverso il suo suono anziché per il suo valore semantico. Frequente è l’utilizzo di
figure retoriche che assicurano effetti di suono: anafore, iterazioni e allitterazioni. La lingua
pascoliana è caratterizzata dall’esattezza linguistica, che si pone in stretta relazione con la sua
poetica delle cose, per cui il poeta ricerca la maggiore precisione possibile di lessico, anche
attraverso il ricorso al lessico sensoriale; lo sperimentalismo lessicale è centrale nelle sue opere,
passando da termini aulici a forme anche dialettali. Questo sperimentalismo l’ha reso l’autore
esempio per la poesia del Novecento.
MYRICAE
Essa è la prima raccolta pubblicata da Pascoli. Fin dal titolo dichiara una predilezione per le “cose
umili”. Da un punto di vista metrico, la raccolta è caratterizzata dalla grande varietà; da un punto di
vista linguistico emergono i tratti caratteristici della lingua pascoliana: esattezza della terminologia,
che lo porta anche fuori degli orizzonti lessicali della tradizione poetica italiana; ricerca degli effetti
di suono; prevalere del significante sul significato. La precisione del lessico non impedisce il deciso
prevalere della dimensione onirica sul dato realistico. Sul piano tematico, centrale è il tema della
morte, legato alle vicende autobiografiche del poeta. Il lutto privato però super la dimensione
soggettiva per farsi espressione di un dolore universale. La Natura per Pascoli, al contrario di
Leopardi, non è matrigna ma bensì madre dolcissima, persino nel momento della morte. Sono gli
uomini responsabili del male e che soffrono durante la vita, male al quale il poeta cerca di
rispondere con amore e non con odio. Opere: X Agosto, Lavandare e Novembre.

55
56

Potrebbero piacerti anche