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LA LETTERATURA D’OC
Le corti Nel Sud della Francia l’assetto politico è contrassegnato dalla presenza
di corti indipendenti, ciascuna governata da un proprio signore, spesso in lotta
fra loro. In questo contesto si sviluppa una poesia che nasce per allietare i
momenti conviviali e intrattenere il pubblico di corte, affidata ai testi e alle
melodie dei cosiddetti trovatori, cioè dei poeti: il sostantivo deriva infatti dal
verbo trobar, che significa “poetare”. Tale poesia si esprime per lo più in lingua
d’oc(langue d’oc), dal nome della regione meridionale che oggi confina con la
Spagna, la Linguadoca, in cui si trovano molte delle corti. La lingua d’oc è
detta anche occitano, o provenzale, ed è proprio dalla Provenza, la regione del
sud-est della Francia al confine con l’Italia, che proviene la maggior parte degli
esponenti della lirica trobadorica, lì attivi fra l’XI e il XIII secolo.
Le forme della lirica provenzale Il tema della fin’amor è per lo più affidato alla
struttura metrica della canzone (in provenzale cansó), caratterizzata da una
architettura rigorosa sia nell’impianto sia sul piano dei contenuti. Anche altri
contenuti e altri generi trovano spazio nella produzione dei trovatori provenzali.
A riflettere il clima tumultuoso delle lotte fra i signori delle varie corti è il tema
politico, affidato al genere del sirventese; il compianto per la scomparsa di
grandi signori o di personaggi celebri trova sfogo nel planh; il plazer è un
elenco di occupazioni, situazioni o sensazioni piacevoli, che tanta eco avrà
anche nella letteratura dei secoli successivi, mentre il suo opposto, l’enueg,
passa in rassegna attività spiacevoli o noiose. Talora i trovatori gareggiano nella
tenzone (tensó): uno scontro poetico incentrato sullo scambio di componimenti.
Anche il tema d’amore si esprime in modi e forme diverse rispetto alla cansò; la
sestina è una canzone costituita da strofe di sei versi ciascuna con un particolare
schema rimico; dal carattere decisamente più popolare, sia per argomenti sia per
struttura, sono l’alba, che racconta la separazione dei due amanti dopo una notte
trascorsa insieme, e la pastorella,che canta del tentativo di seduzione di una
donna di umile condizione da parte di un cavaliere.
I canzonieri
LO STILE
L’esperienza poetica dei provenzali termina con la repentina fine delle corti del
Sud della Francia. Per circa vent’anni (1208-1229), nel corso della crociata
contro gli Albigesi, le regioni meridionali del Paese furono teatro di massacri e
saccheggi che portarono a una rapida decadenza delle corti e spinsero molti
trovatori a emigrare verso la Spagna o l’Italia. A questo evento traumatico si
deve l’origine della forte influenza che la lirica trobadorica avrà sulla
nascente poesia italiana fino ai raffinati risultati della Scuola siciliana di
Federico II.
I testi dei trovatori ebbero, dunque, una notevole diffusione anche in Italia, dove il
metro e i temi delle loro poesie vennero presi a modello da parte delle principali
scuole liriche del Duecento (ciò avvenne soprattutto in Sicilia e in Toscana),
mentre agli inizi del XIII sec. vi furono alcuni poeti dell'area settentrionale che
scrissero liriche in lingua d'oc e secondo i moduli della poesia provenzale, che
furono detti "trovatori italiani" tra essi spicca la figura di Sordello da Goito,
PROTAGONISTA DI UN CANTO DELLA DIVINA COMMEDIA,
ricordiamo anche Lanfranco Cigala.
Alla fama di questa poesia si deve anche l’omaggio che Dante le fa oltre a dedicare
a Sordello da Goito un canto egli nel DeVulgari Eloquentia nomina Folchetto da
Marsiglia considerandolo grande interprete della poesia amorosa .
Temi
Forme
Tra XII e XIII sec. la società feudale francese diventa più raffinata ed elabora
un nuovo sistema di valori detto cortesia, in parte diverso da quello dell'epoca
precedente poiché il cavaliere non dev'essere solo un prode guerriero, ma anche
un perfetto uomo di corte in grado di scrivere versi e ben figurare alla presenza
delle nobili dame, per cui l'amore diviene un valore tanto importante quanto la
guerra. Tale evoluzione storica si riflette nella letteratura e nascono, SEMPRE
IN FRANCIA DEL NORD, dei nuovi poemetti in lingua d'oïl
chiamati romanzi cortesi (non perché scritti in prosa ma in quanto stesi in
lingua volgare romanza), i cui protagonisti non sono più i paladini di Carlo
Magno ma i personaggi del cosiddetto CICLO BRETONE, ovvero re Artù e i
cavalieri della tavola rotonda. Rispetto alle chansons de geste, i guerrieri
bretoni oltre a dare prova di valore militare sono anche impegnati in una quête,
la ricerca di un oggetto simbolico (spesso il sacro Graal, la coppa dove venne
raccolto il sangue di Cristo) che diventa percorso di perfezionamento morale,
ma sono anche protagonisti di vicende amorose in cui fanno la loro comparsa
figure femminili, prima escluse dalla tradizione epica francese. Il cavaliere
intraprende la quête per dare prova di coraggio alla dama e ottenerne così
l'amore, nell'ambito di una relazione quasi sempre adultera e secondo i dettami
del cosiddetto amor cortese: tra il cavaliere e la dama si crea una sorta di
"vassallaggio amoroso", un rapporto di sottomissione dell'uomo alla donna che
di solito è socialmente superiore e sposata, la quale può concedersi o meno al
suo amante alla fine del suo percorso; sono inoltre presenti elementi magici e
favolosi, come ad esempio la lotta dell'eroe contro mostri e creature mitologiche
(draghi e simili) per dimostrare il proprio valore (Tra gli autori principali di
romanzi cortesi ricordiamo Chrétien de Troyes (XII sec.), che ha dedicato le
sue opere soprattutto a Lancillotto (amante della regina Ginevra, moglie di re
Artù; e a Perceval (il Parsifal della tradizione alto-tedesca). Collegata al
romanzo cortese ma indipendente dai personaggi del ciclo arturiano è la
leggenda di Tristano e Isotta, oggetto della trattazione di numerosi scrittori.
L'argomento di questi poemi ha conosciuto una vasta diffusione anche in Italia
del Nord e molti vennero trascritti in opere in prosa e volgarizzati (Dante ne
parla nel De vulgari eloquentia), finendo per influenzare anche i poemi del
ciclo carolingio con l'inclusione dell'elemento amoroso, della quête e degli
incantesimi.
• LA LETTERATURA IN LINGUA D’OIL SI SVILUPPA DUNQUE NELLA
FRANCIA DEL NORD E SI DISTINGUE IN CANZONI DI GESTA E
ROMANZO CORTESE.
• IL PRIMO IN MATERIA CAROLINGIA, NARRA LE IMPRESE DEGLI
EROI TRAMANDATE ORALMENTE, IL SECONDO IL ROMANZO
CORTESE E’ IN MATERIA CLASSICA, BRETONE O ARTURIANA ESSO
NARRA DI AVVENTURA ED HA SEMPRE AD OGGETTO MATERIA DI
INTRATTENIMENTO PER LE CORTI.
TROVATORI E TROVIERI
A partire dalla metà del XII secolo, alla corte di Marie di Champagne, si inaugura un
nuovo genere letterario, il romanzo cavalleresco. La letteratura francese del XII
secolo si sviluppa in un ambiente culturale dominato dalla figura di Eleonora, regina
prima di Francia, poi di Inghilterra, ma originaria della Provenza.
Fra gli autori il nome più importante è quello di Chretien de Troyes, attivo tra il 1160
e il 1190. è la materia di bretagna a fornire alla sua immaginazione la maggior fonte
di ispirazione per inventare nuovi personaggi o sviluppare storie appena accennate
nei testi bretoni (come l’amore tra Lancillotto e Ginevra) o di intrecciare con esse
nuove leggende come quella dl Santo Graal calice usato da Cristo nell’ultima cena.
LA LETTERATURA D’OC
Il trovatore più importante è Guglielmo IX d’Aquitania (1071-1126), ma
anche altri nomi sono noti: Arnaut Daniel, JaufrèRudel, Bernart de
Ventadorn, Bertran de Born. Il primo è esponente del trobarclus, il terzo del
trobar leu. Rudel è ricordato per l’amor de lohn, mentre Bertran de Born per le
scelte tematiche diverse da quelle amorose, ossia militari e guerresche.
A seguito della Crociata contro gli Albigesi, accusati di catarismo, nel 1209 i
trovatori escono dalla Provenza e si rifugiano in diverse parti d’Europa.
Qui nasce la figura del troviere: un trovatore che scrive in altre lingue, non in
quella occitanica. La poesia trobadorica penetra anche in Germania dove tra il
XII e il XIII secolo alcuni poeti si ispireranno alla poesia trobadorica. Saranno
chiamati Minnesänger.
Molti trovatori si rifugiano in Italia, e qui per imitazione sorgerà una poesia di
tipo trobadorico ma in lingua provenzale. Anche poeti italiani, come Sordello
da Goito, scriveranno in lingua d’oc. Di quest’ultimo, sulla linea dell’invettiva
politica e della polemica moralistica è il famoso Compianto in morte di Blacatz.
l ciclo dei cavalieri antichi Sempre nel Nord della Francia e in lingua d'oil trovano
origine e diffusione i cicli romanzeschi di materia cortese. Si tratta in alcuni casi di
narrazioni ispirate a opere classiche di autori latini quali Virgilio, Ovidio e Stazio,
assiduamente letti nelle scuole medievali: da queste fonti si trae spunto per
rielaborare le vicende della guerra di Troia, della città di Tebe, di Enea, di Alessandro
Magno ecc., adattandole però al contesto elegante e mondano della corte. Gli eroi
antichi vengono infatti, per così dire, travestiti da cavalieri e diventano protagonisti di
imprese fiabesche in un universo dominato dal meraviglioso e intriso di elementi
magici, assenti nei testi antichi.
Il ciclo arturiano
Tuttavia il principale nucleo tematico di questi romanzi è costituito da un repertorio
folclorico e leggendario di matrice celtica. Tale materia narrativa deriva soprattutto
da un'opera pseudostorica, l'Historia regum Britanniae (Storia dei re dì Britannia,
1136), del chierico gallese Goffredo di Monmouth, vissuto all'incirca tra il 1100 e il
1155. Nei testi del ciclo bretone vengono rappresentati gli incantesimi di Merlino, le
vicende della regina Ginevra e «le bellissime avventure di re Artù», come le definirà
Dante Alighieri nel De vulgari eloquentia, Insieme a quelle dei cavalieri della Tavola
Rotonda, quali Lancillotto, Perceval, Galaad.
Mentre nell'epica carolingia il soggetto principale delle storie è costituito dalle armi e
dai valori guerreschi, i romanzi del ciclo bretone celebrano il percorso di formazione
del perfetto cavaliere, che costruisce la propria identità non solo grazie al coraggio e
alla fierezza, ma anche attraverso sentimenti e valori non meno importanti quali
l'amore, la nobiltà d'animo, la generosità.
Inoltre, se le chansons de geste evidenziano una concezione “centripeta” e statica
dell'esistenza, in cui ogni manifestazione dell'agire umano converge verso il centro
unificante della devozione verso il re e la fede cristiana, le narrazioni cavalleresche
esprimono una visione “centrifuga” e dinamica del mondo e della vita: ogni guerriero
è individualmente impegnato in una ricerca personale (quella di una donna o di un
oggetto simbolico come il Graal, la coppa che avrebbe raccolto il sangue sgorgato
dalle piaghe di Gesù) che lo conduce ad affrontare sempre nuove prove e avventure,
esponendosi anche a errori e fallimenti.
LE OPERE
ESSI SONO:
1)EREC ET ENEIDE
2)CIGLES
All'inizio del Cligès, è lo stesso Chrétien a stilare una sorta di resoconto della sua
produzione letteraria antecedente: egli dice di aver già composto Erec et Enide, Les
Comandemanz e l'Art d'Amors (rifacimenti romanzeschi delle opere di Ovidio,
purtroppo perduti), Le mors de l'espaule (probabilmente una versione del mito di
Pelope, anch'essa perduta), Li rois Marc et Ysalt la Blonde (probabilmente un
racconto sulla leggenda di Tristano) e La muance de la hupe et de l'aronde et del
rossignol (ispirata da Ovidio e conosciuta anche come Philomena, è l'unica delle
composizioni giovanili di Chrétien che ci sia pervenuta). A queste opere, vanno poi
aggiunte quelle composte dopo il Cligès, e che ci sono pervenute, ovvero: Le
chevalier au lion, Le chevalier de la charrete e Perceval ou Le Conte du Graal. I
romanzi cortesi di Chrétien consacrarono la "materia bretone", consegnando la corte
di Re Artù ad una gloria letteraria che sarebbe durata per secoli. La "materia bretone"
ebbe enorme successo non solo per le doti poetiche di Chrétien, ma anche in quanto
attingeva ad una vastissima tradizione popolare celtica, in cui si mescolavano
mistero, atmosfera, avventura ed eroismo.
Cligès
Le chevalier au lion
L'opera centrale della produzione di Chrétien, Le chevalier au lion, è anche quella in
cui l'autore dimostra la miglior padronanza del mezzo espressivo e dell'intreccio.
Anche qui ritorna il tema dell'amore, che però coesiste con l'avventura, e che si
realizza completamente nel matrimonio. Anzi, proprio l'amore per la sposa sarà il
motore che spingerà l'eroe a elevarsi, a innalzarsi all'ideale della perfetta cavalleria.
Re Artù tiene corte nel giorno di Pentecoste. Mentre il re si allontana per giacere con
la regina Ginevra, il cugino di Ivain racconta di una sua passata avventura, dalla
quale è uscito con disonore: scatenata una tempesta presso una fontana magica, egli si
era visto attaccare da Esclados, il difensore della fontana. Ivain decide di partire per
vendicare l'oltraggio subito dal cugino. Egli, in effetti, riesce nell'impresa di ferire
mortalmente il cavaliere, Esclados, che aveva sconfitto il cugino, ma mentre lo
rincorre rimane prigioniero nel suo castello. Qui viene salvato dalla confidente della
dama del castello, Lunete. Poi, la dama del castello, Laudine, priva ormai di ogni
protezione, temendo Artù, decide di sposare Ivain. Dopo il matrimonio, Ivain sente il
bisogno di partecipare nuovamente ai tornei e la sposa glielo concede, a patto che
ritorni da lei entro un anno. Egli però, distratto dalle vittorie, si dimentica del limite
temporale e, quando se ne rammenta, è ormai tardi. Il cavaliere cade in preda al
furore e alla follia, rifugiandosi in una vita di solitudine nella foresta.
Le chevalier de la charrette
Il romanzo si apre nella foresta in cui Perceval è cresciuto. Egli, colpito dal fascino
della cavalleria, decide di abbandonare la casa e la madre, per seguire la propria
vocazione. Andandosene, scorge la madre cadere e rimanere a terra, come priva di
vita: Perceval non torna sui propri passi, e sarà questa la colpa che dovrà sempre
portare dentro di sé. Una colpa che sarà anche la causa della sua impossibilità di
formulare la "domanda liberatrice" al passaggio della processione del Graal.
Il ciclo dei cavalieri antichi Sempre nel Nord della Francia e in lingua d'oil trovano
origine e diffusione i cicli romanzeschi di materia cortese. Si tratta in alcuni casi di
narrazioni ispirate a opere classiche di autori latini quali Virgilio, Ovidio e Stazio,
assiduamente letti nelle scuole medievali: da queste fonti si trae spunto per
rielaborare le vicende della guerra di Troia, della città di Tebe, di Enea, di Alessandro
Magno ecc., adattandole però al contesto elegante e mondano della corte. Gli eroi
antichi vengono infatti, per così dire, travestiti da cavalieri e diventano protagonisti di
imprese fiabesche in un universo dominato dal meraviglioso e intriso di elementi
magici, assenti nei testi antichi.
Il ciclo arturiano
Tuttavia il principale nucleo tematico di questi romanzi è costituito da un repertorio
folclorico e leggendario di matrice celtica. Tale materia narrativa deriva soprattutto
da un'opera pseudostorica, l'Historia regum Britanniae (Storia dei re dì Britannia,
1136), del chierico gallese Goffredo di Monmouth, vissuto all'incirca tra il 1100 e il
1155. Nei testi del ciclo bretone vengono rappresentati gli incantesimi di Merlino, le
vicende della regina Ginevra e «le bellissime avventure di re Artù», come le definirà
Dante Alighieri nel De vulgari eloquentia, Insieme a quelle dei cavalieri della Tavola
Rotonda, quali Lancillotto, Perceval, Galaad.
Mentre nell'epica carolingia il soggetto principale delle storie è costituito dalle armi e
dai valori guerreschi, i romanzi del ciclo bretone celebrano il percorso di formazione
del perfetto cavaliere, che costruisce la propria identità non solo grazie al coraggio e
alla fierezza, ma anche attraverso sentimenti e valori non meno importanti quali
l'amore, la nobiltà d'animo, la generosità.
Inoltre, se le chansons de geste evidenziano una concezione “centripeta” e statica
dell'esistenza, in cui ogni manifestazione dell'agire umano converge verso il centro
unificante della devozione verso il re e la fede cristiana, le narrazioni cavalleresche
esprimono una visione “centrifuga” e dinamica del mondo e della vita: ogni guerriero
è individualmente impegnato in una ricerca personale (quella di una donna o di un
oggetto simbolico come il Graal, la coppa che avrebbe raccolto il sangue sgorgato
dalle piaghe di Gesù) che lo conduce ad affrontare sempre nuove prove e avventure,
esponendosi anche a errori e fallimenti.
Un pubblico aristocratico Infine, muta anche il pubblico di riferimento: non troviamo
più il popolo indistinto, che affolla piazze, mercati e sagrati delle chiese per ascoltare
dalla voce dei giullari le imprese dei paladini di re Carlo, bensì il raffinato e
aristocratico mondo della corte, attratto da romanzi che non sono solo specchio di alti
valori morali e cul turali, ma anche strumento di piacevole intrattenimento.
Nella Francia del Nord, durante la seconda metà del XII secolo, i testi più importanti
scritti in langue d’oil furono i cosiddetti romanzi cortesi, composti da Chrétien de
troyes, che operò alla corte del conte di Champagne e del conte di Fiandra. Si tratta di
testi abbastanza estesi scritti in versi e non in prosa. L’aggettivo cortesi nasce invece
dal fatto che i lavori di Chrétien (come le poesie dei trovatori) erano composti per
soddisfare i gusti del pubblico aristocratico del tempo: dunque essi erano letti (di
solito ad alta voce) a dame e cavalieri desiderosi di sognare e di divertirsi. A tal fine,
Chrétien recuperò e rielaborò numerose tradizioni relative alla figura di re Artù e dei
suoi cavalieri. Una prima riscoperta di questo leggendario sovrano bretone, che
secondo la tradizione aveva a Camelot la propria capitale, avvenne all’inizio del xII
secolo per opera dei sovrani normanni che governavano l’Inghilterra dal 1066: in
quel lontano signore, essi cercarono una figura capace di far concorrenza a Carlo
Magno, cioè un eroe locale di cui essere fieri e intorno al quale costruire un’epopea di
gesta simile a quella creata dall’autore della Chanson de Roland. Non sappiamo se
Chrétien fosse un chierico o un laico. Nelle sue opere, comunque, le vicende dei
cavalieri della tavola Rotonda assumono un evidente intento didattico ed educativo:
Lancillotto, Perceval, eric, Ivano e tutti gli altri eroici guerrieri del mondo arturiano
diventano altrettanti modelli di comportamento da imitare o su cui riflettere, per
imparare ad assumere il giusto comportamento cavalleresco. Il principale carattere
dei cavalieri descritti da Chrètien è la mobilità, l’incapacità di restare fermi, il
bisogno quasi fisico di compiere imprese eroiche, per mostrare a re Artù il proprio
valore e far bella figura di fronte alla dama che diventerà la loro sposa. Grazie a tale
espediente, Chrétien descrive la condizione dei cosiddetti giovani cavalieri, un
gruppo sociale specifico che al suo tempo andava assumendo un’importanza
crescente. Si trattava in genere di figli cadetti (cioè non primogeniti), senza speranze
circa la possibilità di ereditare il feudo detenuto dal padre. Nasceva di qui la loro
disponibilità a partire all’avventura, cioè a combattere nella schiera di un signore
disposto a sondare il loro valore ed eventualmente a ricompensarli, cioè ad assumerli
stabilmente al proprio servizio (mediante la concessione di un feudo) e/o a concedere
loro la mano di una delle sue figlie nubili.
Chrétien sapeva bene che molti giovani finivano poi, in realtà, per fare i banditi e i
predoni di strada. e infatti le sue opere sono piene di cavalieri violenti, brutali con le
donne, avidi e spietati. A essi, come riparatori dei torti e protettori degli oppressi, si
contrappongono gli eroi positivi, additati ai giovani come modelli esemplari: «Se
troverete vicino o lontano – dice la madre di Perceval al proprio figlio, che sta per
cominciare la sua avventura di cavaliere – una dama che abbia bisogno d’aiuto o una
damigella in pena, siate pronto a soccorrerle come esse vi chiederanno. Chi non porta
onore alle dame non ha onore in cuore. Servite dame e damigelle. Ovunque sarete
onorato». Mescolato a quello dell’avventura, il tema dell’amore è centrale nei
romanzi di Chrétien; egli, tuttavia, assunse un atteggiamento abbastanza critico nei
confronti dei valori dell’amor cortese, che dalla Provenza si erano diffusi verso il
nord della Francia. Le sue perplessità sono concentrate nel racconto che ha come
protagonista Lancillotto, innamorato della regina Ginevra, moglie di Artù. Dopo aver
messo alla prova il cavaliere in svariate occasioni, la dama si concede a Lancillotto,
che finalmente «ha quanto desiderava: la regina non vuole altro che la sua compagnia
e il piacere che gliene deriva, ed egli la tiene tra le braccia mentre ella lo stringe tra le
proprie. È sì dolce e grato il gioco dei baci e delle carezze, che non è menzogna
affermare che essi provarono una felicità tanto prodigiosa quale mai fino a oggi si è
saputa o sentita dire». eppure, Chrétien ci dice a più riprese che Lancillotto ha dovuto
pagare un prezzo decisamente troppo alto, per poter godere di quell’unica e
clandestina notte d’amore. egli, infatti, dapprima ha dovuto salire sulla carretta con
cui vengono portati al patibolo i ladri e gli assassini, e poi ha dovuto comportarsi da
vigliacco, durante un torneo, solo perché quella era la volontà di Ginevra. In sintesi,
agli occhi di Chrétien, il gioco dell’amor cortese finisce per trasformare il cavaliere in
un giocattolo della dama: anzi, costretto a obbedire a ogni suo capriccio, egli si
espone al ridicolo e rischia persino di infangare il proprio onore. Lancillotto dunque,
secondo Chrétien, non è un cavaliere perfetto, da assumere come modello, per quanto
il suo valore e il suo coraggio superino quelli di tutti gli altri. Sotto il profilo morale,
Chrétien gli preferisce decisamente eric o Ivano, i quali sono sempre disponibili a
rischiare la propria vita in eccezionali avventure cavalleresche contro i violenti e i
malvagi, ma nel medesimo tempo cercano appagamento dei sensi e felicità all’interno
del matrimonio, amando profondamente la propria moglie, non la sposa di un altro.
L'influenza di Chrétien sulla letteratura successiva fu immediata e clamorosa, tanto
che «fu riconosciuto già dai contemporanei come un maestro di lingua e di stile». Le
continuazioni dei Suoi romanzi si sono susseguite fino almeno al XVI secolo.
Lancillotto grazie a Chrétien divenne il punto di riferimento obbligatorio per ogni
romanzo d'amore successivo, oltre, naturalmente al Tristano.