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Lingua d’oïl e lingua d’oc

Sul territorio francese sono diffusi due idiomi, che si definiscono


tradizionalmente con la particella affermativa: la lingua d’oïl(oïl = “sì”), diffusa
nel Nord e in particolare nella zona di Parigi, dove è presente un forte potere
centrale, e la lingua d’oc, (oc = “sì”), utilizzata nel Sud, in particolare in
Provenza, ambiente di piccole e raffinate corti feudali. La lingua d’oïl, cioè il
francese antico nato dalle reciproche influenze tra il latino e le parlate locali, a
partire dagli inizi del XIII secolo diventa la lingua nazionale; la lingua d’oc, più
vicina al latino, è usata nella Francia meridionale fino alla cosiddetta crociata
contro gli Albigesi promossa nel 1208 da papa Innocenzo III per sconfiggere
l’eresia catara che aveva la sua roccaforte nella città provenzale di Albi. Questa
campagna militare ventennale, in cui l’esercito del Nord interviene a fianco del
papa, mette fine alla ricca cultura della Provenza, i cui territori vengono annessi
al Regno di Francia.

La produzione letteraria Dotata di una lingua e di un pubblico

La Francia conquista dunque il primato nell’avvio delle produzioni letterarie in


lingua neolatina e fissa alcuni valori cardine, quelli relativi all’etica
cavalleresca e all’amor cortese, che ispireranno anche le altre letterature
romanze. Nella definizione di questi valori si riconosce una tendenza
all’idealizzazione. Nell’etica cavalleresca le imprese militari dei nobili francesi
trovano una legittimazione nella fede religiosa e nella cieca obbedienza al
proprio sovrano: la figura del nobile guerriero diviene così quella di un suddito
fedele e timorato di Dio. Il coraggio, l’onore, la nobiltà d’animo e la difesa dei
più deboli trovano la più alta espressione nelle chansons de geste in lingua
d’oïl, poemi che narrano gesta eroiche di personaggi di alto lignaggio. Se l’etica
cavalleresca e la chanson de geste diventano il manifesto culturale della Francia
settentrionale, altri sono i valori cantati nelle colte corti della Francia
meridionale, che elaborano un modello di vita più mondano e laico. Nella lirica
provenzale in lingua d’oc la celebrazione delle gesta di cavalieri coraggiosi al
servizio della comunità lascia spazio all’esaltazione dell’amor cortese, un ideale
di liberalità, cultura e raffinatezza che distingue il nobile cortese dall’uomo
comune. Il codice dell’amor cortese si basa sull’espressione del sentimento
(anche se non ricambiato) e sull’idealizzazione della donna che ne è oggetto: si
nutre del solo sentire e, anche quando l’unione si rivela irrealizzabile, trova
pieno compimento nel servizio verso l’amata. A metà del XII secolo le due
produzioni pur essendo una in lingua d’oil e l’algtra in lingua d’oc sembrano
quasi incontrarsi dando vita al romanzo cortese, in lingua d’oïl e in versi, nel
quale i valori eroici dell’aristocrazia del Nord si fondono con i temi d’amore
della lirica meridionale. Grande fama ottengono i romanzi di Chrétien de
Troyes, che incarna il nuovo ideale cortese-cavalleresco nelle vicende dei
cavalieri della Tavola Rotonda, e il Tristano e Isotta di Thomas e Béroul,
tragica vicenda di amore e morte. Un filone particolarmente prolifico è
rappresentato dai romanzi ispirati a soggetti della classicità, quali il Romanzo di
Tebe, il Romanzo di Enea, o i Romanzi di Alessandro, dove comportamenti e
valori cortesi indirizzano l’agire e il sentire di personaggi del mito e della
classicità.

Accanto a queste produzioni, la letteratura francese delle origini annovera testi


di altro genere come i fabliaux (dal latino fabula, “racconto”), brevi testi in
versi dai contenuti comico-realistici e spesso licenziosi, con un linguaggio
colorito, e i poemetti noti come Roman de Renart (Romanzo di Renart), che
prendono il titolo dal personaggio di Renart, la volpe, e, ispirandosi alla
tradizione della favola classica, rappresentano con tono satirico e pungente vizi
e virtù degli uomini. Entrambe queste forme letterarie diventano espressione di
una cultura e di un immaginario ben diversi da quelli più raffinati e, come tali,
si distinguono per un linguaggio dai forti tratti popolari, che dal parlato trae le
sue espressioni più triviali. In pieno Duecento, infine, il Roman de la Rose,
opera in due parti composta da Guillaume de Lorris e Jean de Meung, offre il
primo esempio di poema allegorico dai contenuti enciclopedici. Nella prima
parte il poema racconta le peripezie affrontate da Amore per conquistare la
Rosa (simbolo della donna), sviluppando in filigrana una trattazione sull’arte di
amare, basata sugli ideali cortesi cavallereschi; la seconda, scritta molti anni più
tardi e di tono diametralmente opposto, affronta invece la discussione
sull’amore fisico e sensuale con frequenti digressioni di carattere filosofico ed
erudito, che hanno il fine ultimo di completare l’affresco satirico dei rituali e
delle ipocrisie della colta aristocrazia francese restituito dalla narrazione.

LA LETTERATURA D’OC

Le corti Nel Sud della Francia l’assetto politico è contrassegnato dalla presenza
di corti indipendenti, ciascuna governata da un proprio signore, spesso in lotta
fra loro. In questo contesto si sviluppa una poesia che nasce per allietare i
momenti conviviali e intrattenere il pubblico di corte, affidata ai testi e alle
melodie dei cosiddetti trovatori, cioè dei poeti: il sostantivo deriva infatti dal
verbo trobar, che significa “poetare”. Tale poesia si esprime per lo più in lingua
d’oc(langue d’oc), dal nome della regione meridionale che oggi confina con la
Spagna, la Linguadoca, in cui si trovano molte delle corti. La lingua d’oc è
detta anche occitano, o provenzale, ed è proprio dalla Provenza, la regione del
sud-est della Francia al confine con l’Italia, che proviene la maggior parte degli
esponenti della lirica trobadorica, lì attivi fra l’XI e il XIII secolo.

Nata e praticata all’interno delle corti, la lirica provenzale si rivolge a un


pubblico ben definito per raccontare e cantarne i valori; probabilmente proprio
questo aspetto spiega come, accanto a cantori e poeti che si spostano da una
corte all’altra facendo della propria arte una professione, tra gli autori
ritroviamo anche nobili signori impegnati nel governo dei propri territori. Il
primo di cui ci è giunta notizia è Guglielmo IX di Aquitania (1071-1126), conte
di Poitiers, potente signore feudale. La nipote di Guglielmo, Eleonora
d’Aquitania, sposa nel 1137 il re di Francia Luigi VII il Giovane, poi, dopo lo
scioglimento del matrimonio avvenuto nel 1152, sposa nello stesso anno il
futuro re d’Inghilterra. Nella corte dove grazie al nonno si inaugura la lirica
provenzale Eleonora riceve un’educazione raffinata: legge e scrive in latino,
conosce le arti e la letteratura del tempo. Durante gli anni del matrimonio
francese la nobildonna risiede a Poitiers e la sua corte diventa luogo di ritrovo
di artisti e trovatori fra cui Bernart de Ventadorn. Dal matrimonio di Eleonora
con Luigi VII nasce Maria, che diventa contessa di Champagne per matrimonio
e alla cui corte soggiornano fra gli altri Andrea Cappellano e Chrétien de
Troyes. I temi: l’amor cortese La lirica provenzale si concentra intorno al tema
dell’amore cortese, la fin’amor, cioè l’“amore Connessioni, pag. 44 . Si tratta di
un sentimento assoluto e totalizzanteperfetto” (in provenzale il termine amor è
di genere femminile), codificato DA ANDREA CAPPELLANO NEL SUO
DE AMORE nell’ambito di una relazione per lo più extraconiugale, dal
momento che i matrimoni di alto lignaggio sono combinati, che si traduce in un
ritratto idealizzato della donna affiancato, allo stesso tempo, da un desiderio a
tratti dalla forte carica sensuale. L’innamorato, che fa propri i valori e i
comportamenti della società feudale si pone al servizio di una donna (in
provenzale domna, dal latino domina, “signora”) nobile e bella, che occupa una
posizione più elevata nella gerarchia sociale e che ha un ruolo preminente nel
castello: spesso fornite di una buona cultura, le dame di corte ne assumono
infatti la guida durante le ripetute e prolungate assenze degli uomini impegnati
nelle spedizioni militari.

Il desiderio dell’innamorato è per lo più destinato a rimanere insoddisfatto, ma


questo non impedisce al poeta di descrivere l’amore come fonte di gioia, anche
perché il “servizio d’amore” nei confronti della dama consente un percorso di
raffinamento morale che è uno dei tratti distintivi della fin’amor. Nel rispetto
delle regole che accompagnano il servizio d’amore, sia per tutelare la donna sia
per evitare l’invidia dei “malparlieri” (lauzengiers in provenzale) l’amata è
solitamente cantata con uno pseudonimo (dal greco, “nome falso”), il senhal,
talvolta nella forma maschile midons (“mio signore”), tanto che alcuni critici
vedono nel rapporto tra i due amanti una trasposizione di quello che lega il
vassallo al suo signore. Un caso particolare di amor cortese, strettamente
connesso alla sua irrealizzabilità, è costituito dall’amor de lonh, l’“amore di
lontano” del trovatore Jaufré Rudel (XII secolo), di cui ci restano sei canzoni,
due delle quali sono dedicate appunto a un “amore di terra lontana”. Secondo la
leggenda, si tratterebbe della contessa di Tripoli, di cui il poeta avrebbe sentito
celebrare lodi e virtù al punto da innamorarsene. L’espressione dei sentimenti
del trovatore ha spesso un efficace riflesso nel paesaggio e nella natura: ci
restano diverse “canzoni di primavera” o “canzoni d’inverno”, nelle quali il
clima della stagione è posto in relazione di analogia o di contrasto con lo stato
d’animo del poeta.

Le forme della lirica provenzale Il tema della fin’amor è per lo più affidato alla
struttura metrica della canzone (in provenzale cansó), caratterizzata da una
architettura rigorosa sia nell’impianto sia sul piano dei contenuti. Anche altri
contenuti e altri generi trovano spazio nella produzione dei trovatori provenzali.
A riflettere il clima tumultuoso delle lotte fra i signori delle varie corti è il tema
politico, affidato al genere del sirventese; il compianto per la scomparsa di
grandi signori o di personaggi celebri trova sfogo nel planh; il plazer è un
elenco di occupazioni, situazioni o sensazioni piacevoli, che tanta eco avrà
anche nella letteratura dei secoli successivi, mentre il suo opposto, l’enueg,
passa in rassegna attività spiacevoli o noiose. Talora i trovatori gareggiano nella
tenzone (tensó): uno scontro poetico incentrato sullo scambio di componimenti.
Anche il tema d’amore si esprime in modi e forme diverse rispetto alla cansò; la
sestina è una canzone costituita da strofe di sei versi ciascuna con un particolare
schema rimico; dal carattere decisamente più popolare, sia per argomenti sia per
struttura, sono l’alba, che racconta la separazione dei due amanti dopo una notte
trascorsa insieme, e la pastorella,che canta del tentativo di seduzione di una
donna di umile condizione da parte di un cavaliere.

I canzonieri

Destinata come si è detto all’intrattenimento della corte, la poesia provenzale è


caratterizzata dall’accompagnamento musicale: nasce quindi non per essere
letta, ma ascoltata. Il compito di recitarla spetta al giullare, cui il trovatore
affida sia il testo scritto sia la musica. I manoscritti hanno tramandato molte di
quelle melodie e, oggi, se ne possono ascoltare diversi tentativi di riproduzione.

Fra i trovatori in lingua d'oc più importanti si possono ricordare Guglielmo IX


d'Aquitania (XI-XII sec.), considerato il fondatore della scuola; Bernart de
Ventadorn, Bertran de Born, Jaufré Rudel, maestro del nobili e vissuti nella
prima metà del XII sec.; Folchetto di Marsiglia e Peire Vidal, di origine
borghese e vissuti tra XII e XIII sec.; Arnaut Daniel, maestro del trobar clus e
che influenzerà molto Dante, vissuto anche lui nel XII-XIII sec

LO STILE

Le tecniche I lirici provenzali si contraddistinguono per una grande abilità


formale e, come abbiamo visto, la loro poesia varia per generi e struttura
metrica a seconda del tema e della finalità, compositiva. LO STILE
PREVEDE, DUNQUE GRANDE PERIZIA FORMALE. Decisamente lontane
dalla semplice ricorsività delle chansons de geste, sono due le tecniche poetiche
proprie della lirica provenzale. Il trobar clus (“poetare chiuso”) indica un modo
di poetare difficile sia sul piano formale (nel lessico, nelle strutture metriche e
nell’uso delle rime) sia su quello del contenuto (con allusioni spesso oscure),
rivolto perciò a un pubblico ristretto ed estremamente raffinato. Al suo opposto,
il trobar leu (“poetare lieve”, “delicato”) predilige tematiche più semplici ma
mai banali, accompagnate da uno stile “dolce”, che in Italia sarà ereditato dai
poeti dello Stilnovo, ed è quindi rivolto a un pubblico sempre colto ma più
ampio.

Tale poesia ebbe fortuna anche in Germania, ricordiamo i MINNESANGER


CANTORI D’AMORE presso le corti tedesche essi si accompagnavano con
strumenti musicali.

Una fine traumatica

L’esperienza poetica dei provenzali termina con la repentina fine delle corti del
Sud della Francia. Per circa vent’anni (1208-1229), nel corso della crociata
contro gli Albigesi, le regioni meridionali del Paese furono teatro di massacri e
saccheggi che portarono a una rapida decadenza delle corti e spinsero molti
trovatori a emigrare verso la Spagna o l’Italia. A questo evento traumatico si
deve l’origine della forte influenza che la lirica trobadorica avrà sulla
nascente poesia italiana fino ai raffinati risultati della Scuola siciliana di
Federico II.
I testi dei trovatori ebbero, dunque, una notevole diffusione anche in Italia, dove il
metro e i temi delle loro poesie vennero presi a modello da parte delle principali
scuole liriche del Duecento (ciò avvenne soprattutto in Sicilia e in Toscana),
mentre agli inizi del XIII sec. vi furono alcuni poeti dell'area settentrionale che
scrissero liriche in lingua d'oc e secondo i moduli della poesia provenzale, che
furono detti "trovatori italiani" tra essi spicca la figura di Sordello da Goito,
PROTAGONISTA DI UN CANTO DELLA DIVINA COMMEDIA,
ricordiamo anche Lanfranco Cigala.

Alla fama di questa poesia si deve anche l’omaggio che Dante le fa oltre a dedicare
a Sordello da Goito un canto egli nel DeVulgari Eloquentia nomina Folchetto da
Marsiglia considerandolo grande interprete della poesia amorosa .

LIRICA PROVENZALE (anche TROBADORICA = cantata da trovatori)

Temi

■ Fin’amor = amore perfetto ■ Amor de lonh: amore di lontano Contenuti ■


idealizzazione della donna ■ ricorso a pseudonimi ■ riflesso degli stati d’animo nel
paesaggio

Forme

■ canzone: tema amoroso ■ sirventese: tema politico ■ planh, compianto:


scomparsa di grandi personaggi ■ plazer: elenco di cose piacevoli ■ enueg: elenco
di cose spiacevoli ■ tenzone: scontro poetico con scambio di componimenti
RIASSUNTO

Tra XII e XIII sec. la società feudale francese diventa più raffinata ed elabora
un nuovo sistema di valori detto cortesia, in parte diverso da quello dell'epoca
precedente poiché il cavaliere non dev'essere solo un prode guerriero, ma anche
un perfetto uomo di corte in grado di scrivere versi e ben figurare alla presenza
delle nobili dame, per cui l'amore diviene un valore tanto importante quanto la
guerra. Tale evoluzione storica si riflette nella letteratura e nascono, SEMPRE
IN FRANCIA DEL NORD, dei nuovi poemetti in lingua d'oïl
chiamati romanzi cortesi (non perché scritti in prosa ma in quanto stesi in
lingua volgare romanza), i cui protagonisti non sono più i paladini di Carlo
Magno ma i personaggi del cosiddetto CICLO BRETONE, ovvero re Artù e i
cavalieri della tavola rotonda. Rispetto alle chansons de geste, i guerrieri
bretoni oltre a dare prova di valore militare sono anche impegnati in una quête,
la ricerca di un oggetto simbolico (spesso il sacro Graal, la coppa dove venne
raccolto il sangue di Cristo) che diventa percorso di perfezionamento morale,
ma sono anche protagonisti di vicende amorose in cui fanno la loro comparsa
figure femminili, prima escluse dalla tradizione epica francese. Il cavaliere
intraprende la quête per dare prova di coraggio alla dama e ottenerne così
l'amore, nell'ambito di una relazione quasi sempre adultera e secondo i dettami
del cosiddetto amor cortese: tra il cavaliere e la dama si crea una sorta di
"vassallaggio amoroso", un rapporto di sottomissione dell'uomo alla donna che
di solito è socialmente superiore e sposata, la quale può concedersi o meno al
suo amante alla fine del suo percorso; sono inoltre presenti elementi magici e
favolosi, come ad esempio la lotta dell'eroe contro mostri e creature mitologiche
(draghi e simili) per dimostrare il proprio valore (Tra gli autori principali di
romanzi cortesi ricordiamo Chrétien de Troyes (XII sec.), che ha dedicato le
sue opere soprattutto a Lancillotto (amante della regina Ginevra, moglie di re
Artù; e a Perceval (il Parsifal della tradizione alto-tedesca). Collegata al
romanzo cortese ma indipendente dai personaggi del ciclo arturiano è la
leggenda di Tristano e Isotta, oggetto della trattazione di numerosi scrittori.
L'argomento di questi poemi ha conosciuto una vasta diffusione anche in Italia
del Nord e molti vennero trascritti in opere in prosa e volgarizzati (Dante ne
parla nel De vulgari eloquentia), finendo per influenzare anche i poemi del
ciclo carolingio con l'inclusione dell'elemento amoroso, della quête e degli
incantesimi.
• LA LETTERATURA IN LINGUA D’OIL SI SVILUPPA DUNQUE NELLA
FRANCIA DEL NORD E SI DISTINGUE IN CANZONI DI GESTA E
ROMANZO CORTESE.
• IL PRIMO IN MATERIA CAROLINGIA, NARRA LE IMPRESE DEGLI
EROI TRAMANDATE ORALMENTE, IL SECONDO IL ROMANZO
CORTESE E’ IN MATERIA CLASSICA, BRETONE O ARTURIANA ESSO
NARRA DI AVVENTURA ED HA SEMPRE AD OGGETTO MATERIA DI
INTRATTENIMENTO PER LE CORTI.

TROVATORI E TROVIERI

Trovatore (0 trovadore) è il poeta in lingua d'oc, troviere quello della lingua


d'oil.
Entrambi scrivono versi accompagnati dalla musica sono essi stessi a creare
versetti o le prose ritmiche suonate di solito da strumenti a corda. | I due
termini derivano dal verbo trobar, che significava “comporre testi letterari.

IL ROMANZO CAVALLERESCO- LETTERATURA D’OIL

A partire dalla metà del XII secolo, alla corte di Marie di Champagne, si inaugura un
nuovo genere letterario, il romanzo cavalleresco. La letteratura francese del XII
secolo si sviluppa in un ambiente culturale dominato dalla figura di Eleonora, regina
prima di Francia, poi di Inghilterra, ma originaria della Provenza.

Al centro dei valori propagandati si trova l’amor cortese nella teorizzazione di A.


Cappellano, ciambellano di corte e autore del trattato De Amore.

Fra gli autori il nome più importante è quello di Chretien de Troyes, attivo tra il 1160
e il 1190. è la materia di bretagna a fornire alla sua immaginazione la maggior fonte
di ispirazione per inventare nuovi personaggi o sviluppare storie appena accennate
nei testi bretoni (come l’amore tra Lancillotto e Ginevra) o di intrecciare con esse
nuove leggende come quella dl Santo Graal calice usato da Cristo nell’ultima cena.
LA LETTERATURA D’OC
Il trovatore più importante è Guglielmo IX d’Aquitania (1071-1126), ma
anche altri nomi sono noti: Arnaut Daniel, JaufrèRudel, Bernart de
Ventadorn, Bertran de Born. Il primo è esponente del trobarclus, il terzo del
trobar leu. Rudel è ricordato per l’amor de lohn, mentre Bertran de Born per le
scelte tematiche diverse da quelle amorose, ossia militari e guerresche.

A seguito della Crociata contro gli Albigesi, accusati di catarismo, nel 1209 i
trovatori escono dalla Provenza e si rifugiano in diverse parti d’Europa.

Qui nasce la figura del troviere: un trovatore che scrive in altre lingue, non in
quella occitanica. La poesia trobadorica penetra anche in Germania dove tra il
XII e il XIII secolo alcuni poeti si ispireranno alla poesia trobadorica. Saranno
chiamati Minnesänger.

Molti trovatori si rifugiano in Italia, e qui per imitazione sorgerà una poesia di
tipo trobadorico ma in lingua provenzale. Anche poeti italiani, come Sordello
da Goito, scriveranno in lingua d’oc. Di quest’ultimo, sulla linea dell’invettiva
politica e della polemica moralistica è il famoso Compianto in morte di Blacatz.

GENERI DELLA LETTERATURA D’OC

1. Canso (canzone) – componimento più elevato destinato a celebrare


l’amore
2. Ballata – componimento di stile meno elevato
3. Sirventese – di argomento politico
4. Tenzone – scambio di componimenti tra poeti che discutevano di
questioni d’amore spesso anche in toni polemici.
5. Plahn– compianto funebre per le virtù di un signore feudale
6. Pastorella – sorta di dialogo tra un cavaliere e una pastorella che alla fine
gli si concede
7. Alba – commiato degli amanti alla fine della notte
8. Plazer– elenco di cose o situazioni piacevoli legate al mondo della corte
9. Enueg– elenco di cose o situazioni sgradevoli legate al mondo della
corte
IL ROMANZO CORTESE- CICLO BRETONE
L’origine

A metà del XII secolo la tradizione dell’epica carolingia e la poesia trobadorica


si incontrano e si fondono nel romanzo cortese, narrazione in versi in lingua
d’oïl, poi riprodotta in prosa, in cui i valori eroici della cavalleria si uniscono
alla celebrazione dell’amore e dell’omaggio alla dama. Questa produzione si
sviluppa grazie a Eleonora d’Aquitania Maria e Alice, signore dei feudi di
Champagne e di Blois in cui ferve una vivace attività culturale. Il romanzo
cortese si nutre delle leggende che circolano tra Francia e Inghilterra grazie ai
legami storico-politici tra le due terre; proprio per questo ha la sua più alta
espressione nel cosiddetto ciclo bretone o arturiano, che attinge a leggende
celtiche risalenti alla cultura britannica delle origini, riprese intorno al 1130 dal
chierico Goffredo di Monmouth nell’Historia regum Britanniae, in cui si
narrano la vita e il regno di Artù, le vicende del suo matrimonio con Ginevra,
del suo legame con il mago Merlino e dei suo pari, i cavalieri della Tavola
Rotonda.

l ciclo dei cavalieri antichi Sempre nel Nord della Francia e in lingua d'oil trovano
origine e diffusione i cicli romanzeschi di materia cortese. Si tratta in alcuni casi di
narrazioni ispirate a opere classiche di autori latini quali Virgilio, Ovidio e Stazio,
assiduamente letti nelle scuole medievali: da queste fonti si trae spunto per
rielaborare le vicende della guerra di Troia, della città di Tebe, di Enea, di Alessandro
Magno ecc., adattandole però al contesto elegante e mondano della corte. Gli eroi
antichi vengono infatti, per così dire, travestiti da cavalieri e diventano protagonisti di
imprese fiabesche in un universo dominato dal meraviglioso e intriso di elementi
magici, assenti nei testi antichi.

Il ciclo arturiano
Tuttavia il principale nucleo tematico di questi romanzi è costituito da un repertorio
folclorico e leggendario di matrice celtica. Tale materia narrativa deriva soprattutto
da un'opera pseudostorica, l'Historia regum Britanniae (Storia dei re dì Britannia,
1136), del chierico gallese Goffredo di Monmouth, vissuto all'incirca tra il 1100 e il
1155. Nei testi del ciclo bretone vengono rappresentati gli incantesimi di Merlino, le
vicende della regina Ginevra e «le bellissime avventure di re Artù», come le definirà
Dante Alighieri nel De vulgari eloquentia, Insieme a quelle dei cavalieri della Tavola
Rotonda, quali Lancillotto, Perceval, Galaad.

Mentre nell'epica carolingia il soggetto principale delle storie è costituito dalle armi e
dai valori guerreschi, i romanzi del ciclo bretone celebrano il percorso di formazione
del perfetto cavaliere, che costruisce la propria identità non solo grazie al coraggio e
alla fierezza, ma anche attraverso sentimenti e valori non meno importanti quali
l'amore, la nobiltà d'animo, la generosità.
Inoltre, se le chansons de geste evidenziano una concezione “centripeta” e statica
dell'esistenza, in cui ogni manifestazione dell'agire umano converge verso il centro
unificante della devozione verso il re e la fede cristiana, le narrazioni cavalleresche
esprimono una visione “centrifuga” e dinamica del mondo e della vita: ogni guerriero
è individualmente impegnato in una ricerca personale (quella di una donna o di un
oggetto simbolico come il Graal, la coppa che avrebbe raccolto il sangue sgorgato
dalle piaghe di Gesù) che lo conduce ad affrontare sempre nuove prove e avventure,
esponendosi anche a errori e fallimenti.

Un pubblico aristocratico Infine, muta anche il pubblico di riferimento: non troviamo


più il popolo indistinto, che affolla piazze, mercati e sagrati delle chiese per ascoltare
dalla voce dei giullari le imprese dei paladini di re Carlo, bensì il raffinato e
aristocratico mondo della corte, attratto da romanzi che non sono solo specchio di alti
valori morali e cul turali, ma anche strumento di piacevole intrattenimento.

La figura del cavaliere nel romanzo cortese


La figura del cavaliere propria della chanson de geste modo sostanziale: da
inflessibile paladino subordinato al proprio sovrano e impegnato nella difesa
della fede cristiana, nel romanzo egli assume una posizione paritaria rispetto al
signore (non a caso i cavalieri del ciclo bretone siedono a una tavola rotonda),
si fa coinvolgere dall’amore e dall’avventura. Questi diventano infatti i motori
principali della narrazione nel romanzo cortese; una narrazione in cui
l’elemento magico-fiabesco diventa centrale nel costruire e, di volta in volta,
ostacolare o favorire l’avventura del cavaliere protagonista. Quest’avventura si
realizza nella ricerca (quête) della donna amata o di una reliquia religiosa, la
più famosa delle quali è il Sacro Graal, il calice usato da Gesù nell’Ultima
cena, nel quale sarebbe poi stato raccolto il suo sangue. Secondo alcuni critici
nel ciclo carolingio domina una forza centripeta che fa convergere i cavalieri
intorno al loro signore, mentre nel ciclo bretone prevale una forza centrifuga
che dal signore li allontana. Un allontanamento che corrisponde a un percorso
di formazione individuale, attraverso il quale un giovane affronta pericoli,
scopre e supera i propri limiti fino a raggiungere il proprio obiettivo, terminare
la propria ricerca e realizzare una personale affermazione. Il pubblico Come
per la lirica provenzale anche per il romanzo il pubblico continua a essere
quello delle corti; del resto, i rituali e i valori cortesi sono alla base delle
narrazioni cavalleresche. Scritti solitamente da chierici colti per
l’intrattenimento del signore, i romanzi vengono letti pubblicamente all’interno
della corte ma, allo stesso tempo, diventano oggetto di una lettura individuale,
segnando così un cambiamento importante nell’utilizzo e nella percezione
della letteratura.
CHRETYEN DE TROYES
Com'è noto, della vita di Chrétien sappiamo ben poco, fu attivo tra il 1160 ed il
1190. Nonostante sia stato definito «il più grande poeta medievale dopo Dante» ,
possiamo evincere qualche elemento biografico solamente dalle sue opere, non
esistono altre fonti indirette. Il resto non è che pura congettura. Sappiamo che nacque
nella Champagne (una storica provincia della Francia nordorientale) negli anni '30
del XII secolo, ma non si può affermare con certezza se sia nato proprio nella capitale
della provincia, da cui il poeta prende il nome: Troyes. La sua formazione culturale
farebbe ipotizzare che sia stato un chierico o un araldo, e che abbia viaggiato molto.
Forse si recò in Inghilterra e in Bretagna, e questo spiegherebbe la conoscenza della
toponomastica inglese che dimostra, ma sono solo congetture. Le sue conoscenze
potrebbero essere di seconda mano, e il poeta potrebbe averle desunte proprio nelle
grandi fiere di Troyes, che richiamavano una moltitudine di mercanti e giullari. Ciò
che pare pressoché certo è il suo soggiorno presso le corti di Maria di Champagne
prima e di Filippo d'Alsazia poi, dove imparò ad amare il lusso e dove soprattutto
divenne il maggior esponente di un genere che iniziava ad emergere attorno alla metà
del XII secolo: il roman o romanzo cortese. La sua ultima opera, il Perceval ou le
Conte du Graal, rimase incompiuta per la morte del poeta. Questo avvenne proprio
alla corte di Filippo d'Alsazia, quindi nelle Fiandre, poco prima della partenza del suo
protettore per la Terza Crociata, dunque prima del 1190.

LE OPERE

EGLI SCRISSE 5 ROMANZI IN VERSI IN LINGUA D’OIL, DI MATERIA


BRETONE, ESSI HANNO COME PROTAGONISTI I CAVALIERI DELLA
TAVOLA ROTONDA E RE ARTU’.

ESSI SONO:

1)EREC ET ENEIDE

2)CIGLES

3)LANCILLOTTO O IL CAVALIERE DELLA CARRETTA

4)IVANO O IL CAVALIERE DEL LEONE,

5)PERCIVAL O IL RACCONTO DEL SACRO GRAAL

All'inizio del Cligès, è lo stesso Chrétien a stilare una sorta di resoconto della sua
produzione letteraria antecedente: egli dice di aver già composto Erec et Enide, Les
Comandemanz e l'Art d'Amors (rifacimenti romanzeschi delle opere di Ovidio,
purtroppo perduti), Le mors de l'espaule (probabilmente una versione del mito di
Pelope, anch'essa perduta), Li rois Marc et Ysalt la Blonde (probabilmente un
racconto sulla leggenda di Tristano) e La muance de la hupe et de l'aronde et del
rossignol (ispirata da Ovidio e conosciuta anche come Philomena, è l'unica delle
composizioni giovanili di Chrétien che ci sia pervenuta). A queste opere, vanno poi
aggiunte quelle composte dopo il Cligès, e che ci sono pervenute, ovvero: Le
chevalier au lion, Le chevalier de la charrete e Perceval ou Le Conte du Graal. I
romanzi cortesi di Chrétien consacrarono la "materia bretone", consegnando la corte
di Re Artù ad una gloria letteraria che sarebbe durata per secoli. La "materia bretone"
ebbe enorme successo non solo per le doti poetiche di Chrétien, ma anche in quanto
attingeva ad una vastissima tradizione popolare celtica, in cui si mescolavano
mistero, atmosfera, avventura ed eroismo.

Erec et Enide È lo stesso Chrétien a sottolineare l'eccezionalità della storia che si


accinge a raccontare, scrivendo orgogliosamente: «Darò ora inizio alla storia di cui si
serberà il ricordo per sempre ». Bisogna sottolineare che quest'affermazione non è
una pura esibizione di immodestia da parte di Chrétien, infatti egli è realmente
riuscito a creare un insieme organico e perfettamente bilanciato partendo da una serie
di vicende avventurose, un'operazione non semplice, che denota qualità non
trascurabili per un autore agli esordi nel genere romanzesco. Erec et Enide è un
«romanzo di iniziazione», in cui l'eroe, o meglio gli eroi, intraprendono «il cammino
verso la maturità6 ». Il romanzo si apre nel giorno di Pasqua, quando re Artù indice,
nonostante le proteste del saggio nipote Galvano, una caccia al cervo bianco. Erec nel
frattempo preferisce tenersi ai margini dell'azione, insieme alla regina Ginevra.
Venendo però a conoscenza del torneo che avrà luogo, decide di parteciparvi. Il
giorno dopo vince e offre lo sparviero (simbolo della vittoria) alla fanciulla della
quale si è da poco innamorato: Enide. Poco prima del loro matrimonio si conclude la
prima parte dell'opera. La seconda parte si apre con le nozze, celebrate dallo stesso
Artù. Come ha efficacemente detto Mario Mancini, però, «l'idillio è perfetto, ma di
breve durata », infatti gli altri cavalieri accusano Erec di essere caduto in recreantise
dal momento in cui si è sposato: l'attrazione per la moglie lo ha distolto dai suoi
doveri di cavaliere. Egli, per riscattare il suo onore agli occhi dei compagni e della
stessa moglie, parte insieme a lei in cerca di avventure. Supera una serie di imprese
sempre più difficili, fino all'ultima, la celebre Gioia della Corte, con la quale si entra
nella terza e ultima parte del romanzo. Questa prova si svolge in uno scenario molto
particolare: il verziere in cui Erec dovrà scendere è una sorta di passaggio
oltremondano, dal quale egli dovrà risalire come trionfatore su di un intero paese.
Finalmente Erec può succedere al padre come re, rendendo (in senso feudale)
omaggio ad Artù8 , il quale lo incorona. Accanto a lui, sul trono, siede la moglie e
sovrana Enide. La prima parte del romanzo, quella che Chrétien conclude con le
parole «Ci fine li premerains vers9 », è una sorta di preambolo a quelle che saranno le
avventure contenute nel resto dell'opera. Ma è nella seconda parte che si crea una
nuova e più profonda complicità tra i due innamorati, forgiata attraverso una serie di
ostiche imprese. Marito e moglie devono portere a termine una quête che è stata
definita un «pellegrinaggio, nel senso in cui è peregrinus il peccatore che cerca la
redenzione». Le prove, una più difficile da superare dell'altra, rendono Erec, così
come la sua sposa, degno di regalità. In Erec et Enide si celebra sì lo sfarzo della
nuova società cortese, ma anche e soprattutto la grandezza dell'animo pronto a
superare ogni ostacolo per raggiungere la piena felicità. Questo è ciò che contribuisce
alla luce del romanzo, alla sua atmosfera: il fatto che la felicità sia prima perduta e
poi ritrovata. La serie di avventure che Erec ed Enide affrontano è accompagnata da
una progressione psicologica, in cui l'attrazione fisica si trasforma in un compiuto
amore coniugale: alla fine Enide arriverà a sentirsi completamente moglie e amica.

Cligès

Il secondo romanzo di Chrétien ha un respiro totalmente diverso. Innanzitutto ha


un'ambientazione greco-bizantina, più che bretone. È inoltre la sua opera più
artificiosa, quella in cui ha profuso il maggior sforzo retorico e teorico. Nel prologo
dell'opera, Chrétien esalta l'unione di cavalleria e conoscenza assoluta. Egli afferma
di aver desunto l'intreccio da un manoscritto conservato in una chiesa, probabilmente
è un'antica cronaca latina. Il poeta ci ha però ricamato attorno una serie di episodi, i
quali tradiscono le varie fonti: anzitutto Ovidio (un'ispirazione avvalorata anche dal
fatto che la metà delle proprie opere precedenti, di cui Chrétien parla nell'incipit,
sono proprio rimaneggiamenti di testi del poeta latino). Il modo in cui il poeta si pone
nei confronti della leggenda di Tristano è però inequivocabile: egli è decisamente
ostile all'idea dell'amore come una passione sfrenata, che trova sfogo anche al di fuori
dell'ambito matrimoniale. L'amore deve rimanere sotto il controllo della ragione e
tutti i protagonisti qui narrati da Chrétien mantengono l'assoluta padronanza dei loro
sentimenti. decisamente ostile all'idea dell'amore come una passione sfrenata, che
trova sfogo anche al di fuori dell'ambito matrimoniale

L'opera nel suo complesso appare «fredda e artificiosa, e l'immissione dell'ambiente


bizantino spegna il "merviglioso" che ravviva di mistero e di colori la prediletta
cornice arturiana19», che invece ritroviamo in tutti gli altri romanzi dell'autore. Il
Cligès, comunque, rimarrà sempre ricordato soprattutto per il suo incipit, in cui
Chrétien riassume la sua precedente produzione letteraria, come sopraddetto.

Le chevalier au lion
L'opera centrale della produzione di Chrétien, Le chevalier au lion, è anche quella in
cui l'autore dimostra la miglior padronanza del mezzo espressivo e dell'intreccio.
Anche qui ritorna il tema dell'amore, che però coesiste con l'avventura, e che si
realizza completamente nel matrimonio. Anzi, proprio l'amore per la sposa sarà il
motore che spingerà l'eroe a elevarsi, a innalzarsi all'ideale della perfetta cavalleria.
Re Artù tiene corte nel giorno di Pentecoste. Mentre il re si allontana per giacere con
la regina Ginevra, il cugino di Ivain racconta di una sua passata avventura, dalla
quale è uscito con disonore: scatenata una tempesta presso una fontana magica, egli si
era visto attaccare da Esclados, il difensore della fontana. Ivain decide di partire per
vendicare l'oltraggio subito dal cugino. Egli, in effetti, riesce nell'impresa di ferire
mortalmente il cavaliere, Esclados, che aveva sconfitto il cugino, ma mentre lo
rincorre rimane prigioniero nel suo castello. Qui viene salvato dalla confidente della
dama del castello, Lunete. Poi, la dama del castello, Laudine, priva ormai di ogni
protezione, temendo Artù, decide di sposare Ivain. Dopo il matrimonio, Ivain sente il
bisogno di partecipare nuovamente ai tornei e la sposa glielo concede, a patto che
ritorni da lei entro un anno. Egli però, distratto dalle vittorie, si dimentica del limite
temporale e, quando se ne rammenta, è ormai tardi. Il cavaliere cade in preda al
furore e alla follia, rifugiandosi in una vita di solitudine nella foresta.

Il ricongiungimento finale tra i due, con la conseguente riappacificazione, non fa che


ribadire il concetto già espresso per cui, secondo Chrétien, «solo nella parità dei
coniugi, dei loro diritti e doveri come nell'armonia tra amore e cavalleria, è possibile
il raggiungimento della gioia». Sembra che attraverso Le chevalier au lion Chrétien
abbia voluto mostrare il significato più profondo della cavalleria, che trascende la
mera bravura nei tornei, andando verso una sorta di pietas, di devozione assoluta per
«soccorrere un'umanità dolente e bisognosa di aiuto29». Un atteggiamento che si
coglie soprattutto nei gesti di carità, riconoscenza e generosità di Ivain.

Le chevalier de la charrette

Nel prologo de Le chevalier de la charrette, Chrétien ci informa che matiere (il


soggetto) e san (le idee su cui la narrazione è costruita) del romanzo gli sono stati
forniti da Maria di Champagne, dedicataria dell'opera, mentre egli si è occupato
solamente della forma. Se questa interpretazione del prologo fosse corretta, sarebbe
giustificata la palese contraddizione tra l'ideologia che emerge da quest'opera e quella
degli altri romanzi cortesi dell'autore: la passione qui pare prendere il sopravvento sul
sano amore coniugale. Sembrerebbe dunque che Chrétien si sia accinto forzatamente
a sviluppare Le chevalier de la charrette (tanto che l'opera è portata a termine dal
chierico Godefroi de Leigni), mentre si dedicava più volentieri a Le chevalier au lion,
opera che stava stendendo contemporaneamente.
Ci troviamo alla corte di Artù nel giorno dell'Ascensione e il re scopre che la sua
sposa, Ginevra, è stata rapita ed è prigioniera nel regno di Logres. Galvano, nipote
del re, lanciatosi alla ricerca della regina, scopre che sulle sue tracce c'è anche un
altro misterioso cavaliere. Questo enigmatico personaggio, pur di ritrovare Ginevra,
si umilia al punto di salire sulla carretta che dà il titolo al romanzo, in quanto il nano
che la conduce lo informa che quello è il solo modo per ottenere ciò che desidera.
Galvano lo segue, ma a cavallo. I due cavalieri continueranno la loro ricerca,
seguendo stili di comportamento diversi e strade diverse. La più dura prova che il
misterioso cavaliere deve superare è il Ponte della Spada. Pur ferendosi, egli riesce
nell'impresa, e si trova davanti una grande torre. Qui risiede il rapitore della regina,
Meleagant, il quale il giorno successivo dovrà combattere con il nostro cavaliere. Al
combattimento assiste la stessa Ginevra e sarà proprio lei a rivelare finalmente il
nome del suo soccorritore: si tratta di Lancillotto del Lago ed è perdutamente
innamorato di lei. Il quale, dimostrando il proprio valore, sconfigge Meleagant, ma,
prima che possa ucciderlo, il padre del malvagio rapitore intercede presso Lancillotto:
la regina sarà liberata, ma il duello dovrà essere ripetuto un anno dopo, presso la corte
di re Artù. Ginevra però non mostra alcuna riconoscenza verso il suo liberatore, salvo
poi tornare sui propri passi per lo spavento dovuto alla falsa notizia della morte di
Lancillotto. Infine, dopo una lunga serie di traversie, il cavaliere ritorna alla corte di
Artù per il duello con Meleagant. I due combattono, mentre Ginevra mantiene un
contegno adatto al suo ruolo di regina. Lancillotto uccide Meleagant e il romanzo si
chiude mentre alla corte si apprestano i festeggiementi per il vittorioso cavaliere. Il
romanzo narra dunque l'amore tra Lancillotto e Ginevra, moglie di re Artù. Nell'opera
non ci viene però detto come questo amore si evolverà, Lancillotto rappresenta il
perfetto amante cortese, totalmente devoto all'amata. Chrétien riesce a delinearne un
profilo sfolgorante, in quanto irreprensibile, ma allo stesso tempo tenebroso e carico
di mistero.

L'aspetto più importante dell'opera, tuttavia, è l'atmosfera particolare che vi aleggia,


una sorta di continuata estasi onirica: si susseguono vicende dai contorni sfumati e il
tono della narrazione di Chrétien, come detto, è perennemente ironico. Un'ironia che
però non riesce minimamente a scalfire il fascino dell'amore assoluto di Lancillotto
verso Ginevra.

Perceval ou le Conte du Graal

L'ultima opera di Chrétien coincide, come suggerisce il titolo, con la prima


apparizione del Santo Graal nella letteratura francese. Ma il romanzo è soprattutto la
narrazione della nascita di un cavaliere, una genesi in cui la spiritualità ha grande
spazio, così come l'introspezione: quella di Perceval è una «storia di colpa e di
espiazione57». La prima parte, luminosa e piena di toni ironici e leggeri, è quella che
dà luce a tutto il resto del romanzo, più cupo e tenebroso.

Il romanzo si apre nella foresta in cui Perceval è cresciuto. Egli, colpito dal fascino
della cavalleria, decide di abbandonare la casa e la madre, per seguire la propria
vocazione. Andandosene, scorge la madre cadere e rimanere a terra, come priva di
vita: Perceval non torna sui propri passi, e sarà questa la colpa che dovrà sempre
portare dentro di sé. Una colpa che sarà anche la causa della sua impossibilità di
formulare la "domanda liberatrice" al passaggio della processione del Graal.

Il ciclo dei cavalieri antichi Sempre nel Nord della Francia e in lingua d'oil trovano
origine e diffusione i cicli romanzeschi di materia cortese. Si tratta in alcuni casi di
narrazioni ispirate a opere classiche di autori latini quali Virgilio, Ovidio e Stazio,
assiduamente letti nelle scuole medievali: da queste fonti si trae spunto per
rielaborare le vicende della guerra di Troia, della città di Tebe, di Enea, di Alessandro
Magno ecc., adattandole però al contesto elegante e mondano della corte. Gli eroi
antichi vengono infatti, per così dire, travestiti da cavalieri e diventano protagonisti di
imprese fiabesche in un universo dominato dal meraviglioso e intriso di elementi
magici, assenti nei testi antichi.

Il ciclo arturiano
Tuttavia il principale nucleo tematico di questi romanzi è costituito da un repertorio
folclorico e leggendario di matrice celtica. Tale materia narrativa deriva soprattutto
da un'opera pseudostorica, l'Historia regum Britanniae (Storia dei re dì Britannia,
1136), del chierico gallese Goffredo di Monmouth, vissuto all'incirca tra il 1100 e il
1155. Nei testi del ciclo bretone vengono rappresentati gli incantesimi di Merlino, le
vicende della regina Ginevra e «le bellissime avventure di re Artù», come le definirà
Dante Alighieri nel De vulgari eloquentia, Insieme a quelle dei cavalieri della Tavola
Rotonda, quali Lancillotto, Perceval, Galaad.

Mentre nell'epica carolingia il soggetto principale delle storie è costituito dalle armi e
dai valori guerreschi, i romanzi del ciclo bretone celebrano il percorso di formazione
del perfetto cavaliere, che costruisce la propria identità non solo grazie al coraggio e
alla fierezza, ma anche attraverso sentimenti e valori non meno importanti quali
l'amore, la nobiltà d'animo, la generosità.
Inoltre, se le chansons de geste evidenziano una concezione “centripeta” e statica
dell'esistenza, in cui ogni manifestazione dell'agire umano converge verso il centro
unificante della devozione verso il re e la fede cristiana, le narrazioni cavalleresche
esprimono una visione “centrifuga” e dinamica del mondo e della vita: ogni guerriero
è individualmente impegnato in una ricerca personale (quella di una donna o di un
oggetto simbolico come il Graal, la coppa che avrebbe raccolto il sangue sgorgato
dalle piaghe di Gesù) che lo conduce ad affrontare sempre nuove prove e avventure,
esponendosi anche a errori e fallimenti.
Un pubblico aristocratico Infine, muta anche il pubblico di riferimento: non troviamo
più il popolo indistinto, che affolla piazze, mercati e sagrati delle chiese per ascoltare
dalla voce dei giullari le imprese dei paladini di re Carlo, bensì il raffinato e
aristocratico mondo della corte, attratto da romanzi che non sono solo specchio di alti
valori morali e cul turali, ma anche strumento di piacevole intrattenimento.

Nella Francia del Nord, durante la seconda metà del XII secolo, i testi più importanti
scritti in langue d’oil furono i cosiddetti romanzi cortesi, composti da Chrétien de
troyes, che operò alla corte del conte di Champagne e del conte di Fiandra. Si tratta di
testi abbastanza estesi scritti in versi e non in prosa. L’aggettivo cortesi nasce invece
dal fatto che i lavori di Chrétien (come le poesie dei trovatori) erano composti per
soddisfare i gusti del pubblico aristocratico del tempo: dunque essi erano letti (di
solito ad alta voce) a dame e cavalieri desiderosi di sognare e di divertirsi. A tal fine,
Chrétien recuperò e rielaborò numerose tradizioni relative alla figura di re Artù e dei
suoi cavalieri. Una prima riscoperta di questo leggendario sovrano bretone, che
secondo la tradizione aveva a Camelot la propria capitale, avvenne all’inizio del xII
secolo per opera dei sovrani normanni che governavano l’Inghilterra dal 1066: in
quel lontano signore, essi cercarono una figura capace di far concorrenza a Carlo
Magno, cioè un eroe locale di cui essere fieri e intorno al quale costruire un’epopea di
gesta simile a quella creata dall’autore della Chanson de Roland. Non sappiamo se
Chrétien fosse un chierico o un laico. Nelle sue opere, comunque, le vicende dei
cavalieri della tavola Rotonda assumono un evidente intento didattico ed educativo:
Lancillotto, Perceval, eric, Ivano e tutti gli altri eroici guerrieri del mondo arturiano
diventano altrettanti modelli di comportamento da imitare o su cui riflettere, per
imparare ad assumere il giusto comportamento cavalleresco. Il principale carattere
dei cavalieri descritti da Chrètien è la mobilità, l’incapacità di restare fermi, il
bisogno quasi fisico di compiere imprese eroiche, per mostrare a re Artù il proprio
valore e far bella figura di fronte alla dama che diventerà la loro sposa. Grazie a tale
espediente, Chrétien descrive la condizione dei cosiddetti giovani cavalieri, un
gruppo sociale specifico che al suo tempo andava assumendo un’importanza
crescente. Si trattava in genere di figli cadetti (cioè non primogeniti), senza speranze
circa la possibilità di ereditare il feudo detenuto dal padre. Nasceva di qui la loro
disponibilità a partire all’avventura, cioè a combattere nella schiera di un signore
disposto a sondare il loro valore ed eventualmente a ricompensarli, cioè ad assumerli
stabilmente al proprio servizio (mediante la concessione di un feudo) e/o a concedere
loro la mano di una delle sue figlie nubili.

Chrétien sapeva bene che molti giovani finivano poi, in realtà, per fare i banditi e i
predoni di strada. e infatti le sue opere sono piene di cavalieri violenti, brutali con le
donne, avidi e spietati. A essi, come riparatori dei torti e protettori degli oppressi, si
contrappongono gli eroi positivi, additati ai giovani come modelli esemplari: «Se
troverete vicino o lontano – dice la madre di Perceval al proprio figlio, che sta per
cominciare la sua avventura di cavaliere – una dama che abbia bisogno d’aiuto o una
damigella in pena, siate pronto a soccorrerle come esse vi chiederanno. Chi non porta
onore alle dame non ha onore in cuore. Servite dame e damigelle. Ovunque sarete
onorato». Mescolato a quello dell’avventura, il tema dell’amore è centrale nei
romanzi di Chrétien; egli, tuttavia, assunse un atteggiamento abbastanza critico nei
confronti dei valori dell’amor cortese, che dalla Provenza si erano diffusi verso il
nord della Francia. Le sue perplessità sono concentrate nel racconto che ha come
protagonista Lancillotto, innamorato della regina Ginevra, moglie di Artù. Dopo aver
messo alla prova il cavaliere in svariate occasioni, la dama si concede a Lancillotto,
che finalmente «ha quanto desiderava: la regina non vuole altro che la sua compagnia
e il piacere che gliene deriva, ed egli la tiene tra le braccia mentre ella lo stringe tra le
proprie. È sì dolce e grato il gioco dei baci e delle carezze, che non è menzogna
affermare che essi provarono una felicità tanto prodigiosa quale mai fino a oggi si è
saputa o sentita dire». eppure, Chrétien ci dice a più riprese che Lancillotto ha dovuto
pagare un prezzo decisamente troppo alto, per poter godere di quell’unica e
clandestina notte d’amore. egli, infatti, dapprima ha dovuto salire sulla carretta con
cui vengono portati al patibolo i ladri e gli assassini, e poi ha dovuto comportarsi da
vigliacco, durante un torneo, solo perché quella era la volontà di Ginevra. In sintesi,
agli occhi di Chrétien, il gioco dell’amor cortese finisce per trasformare il cavaliere in
un giocattolo della dama: anzi, costretto a obbedire a ogni suo capriccio, egli si
espone al ridicolo e rischia persino di infangare il proprio onore. Lancillotto dunque,
secondo Chrétien, non è un cavaliere perfetto, da assumere come modello, per quanto
il suo valore e il suo coraggio superino quelli di tutti gli altri. Sotto il profilo morale,
Chrétien gli preferisce decisamente eric o Ivano, i quali sono sempre disponibili a
rischiare la propria vita in eccezionali avventure cavalleresche contro i violenti e i
malvagi, ma nel medesimo tempo cercano appagamento dei sensi e felicità all’interno
del matrimonio, amando profondamente la propria moglie, non la sposa di un altro.
L'influenza di Chrétien sulla letteratura successiva fu immediata e clamorosa, tanto
che «fu riconosciuto già dai contemporanei come un maestro di lingua e di stile». Le
continuazioni dei Suoi romanzi si sono susseguite fino almeno al XVI secolo.
Lancillotto grazie a Chrétien divenne il punto di riferimento obbligatorio per ogni
romanzo d'amore successivo, oltre, naturalmente al Tristano.

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