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3.03.

2022

Letteratura Italiana
Si tratterà di un corso di carattere generale che darà una panoramica di: opere, autori,
forme di scritture, temi…dopo i quali ne fioriscono 3 che diventeranno i modelli per
tutti gli scrittori futuri. Si tratta di 3 autori fiorentini che hanno la capacità di proporsi
a tutti coloro che amano la scrittura come dei MODELLI e avranno la fortuna di
durare nei secoli.
La letteratura italiana è estremamente conservativa, risulta necessario quindi
conoscerne le origini, per lunghissimo tempo ha avuto dei tratti che non cambiavano
essa ha caratteri storici forti, a differenza invece della letteratura inglese che nel ‘500
muta completamente dal genere medioevale.
La letteratura italiana in passato si incentrava sulla poesia e si consolida sulla base di
2 generazioni e mezzo:
 I siciliani intorno al 1230,
 La poesia siculo-toscana intorno al 1260/1270,
 Lo stilnovo intorno al 1285/1290.
Si tratta di tre diversi piani da cui poi prendono le distanze Dante e Petrarca in poesia,
mentre la prosa nasce a fini ‘200 con il novellino e si evolve poi nelle forme del
Decameron.
Letteratura Italiana (1180-1225 circa)

disciplina in cui l’uomo cerca attraverso l’arte di esprimere un sentimento e una visione del
mondo (Omero, Virgilio, Shakespeare…)

Nell’epoca in cui noi parliamo di scrittori italiani, ‘200, l’Italia in realtà ancora non
esisteva. In quel periodo l’Italia non era uno Stato, ci troviamo in un’epoca in cui la
sovranità non esiste, vi erano fondamentalmente delle piccole entità locali che
chiamate comuni, presenti in tutta l’Italia settentrionale e in gran parte di quella
centrale (città stato indipendenti), mentre nel meridione l’imperatore era
maggiormente in grado di farsi rispettare; troviamo quindi un Italia tripartita. (nord-
centro-sud prefigurazione di quella che è l’Italia ancora oggi)
Vedremo svilupparsi una qualche forma di letteratura:
 Nel Nord con tratti non ben definiti
 Una tradizione letteraria al centro dell’Italia con matrice religiosa
 Una prima letteratura al sud con quelli che chiamiamo poeti italiani
tutto questo tra il 1180 e i 25 anni successivi. (Casadei-Santagata)
Le forze culturali del tempo erano: la cultura in latino, la presenza della chiesa, la
presenza di intellettuali giuristi, soprattutto, e la memoria dell’antichità dove per le
strade si vedono continui segni dell’antichità con cui si doveva fare i conti; mentre
come modelli vi erano quelli francesi e provenzali.

4.03.2022

Individuiamo l’evoluzione verso una lingua letteraria nella penisola italiana


attraverso la scelta di testi che abbiano caratteri comuni, ma per fare ciò è necessaria
una lingua (scritta e orale), si comincia a scrivere solo quando una lingua si è
consolidata. Quella lingua volgare che: siciliani, Dante, Petrarca, Boccaccio…
evolve dal latino che fin dal I sec. d.c. tende ad individuare una diversificazione al
suo interno, vi erano due tipologie: il latino colto e un latino parlato, che si contamina
con i vari idiomi di quel tempo.
Il parlato del latino, man mano che si ibrida con i diversi parlati, si allontana sempre
di più da quello che era in passato che porterà alla nascita di un latino che viene
identificato come volgare, impregnato dai vari dialetti, identificabile in 3 diverse
famiglie: slava, germanica e neo-latino. Si tratta di lingue che verranno utilizzate
anche nella scrittura e progressivamente si avverte il bisogno di mettere per iscritto la
propria visione ed emozioni di fronte allo spettacolo del mondo dando vita alla
LETTERATURA, scritti non più utilitaristici.
Già prima dell’anno 1000 sono stati individuati scritti non completamente in latino,
ma che si rappresenta come un latino inglobato con un altro dialetto, esso è scritto in
VOLGARE che permettere a tutti di comprenderlo, un parlato che contiene solo in
piccola parte il latino. Individuiamo, quindi, un parlato dove una nuova lingua si sta
sostituendo al latino tradizionale; dopo il 1000 le testimonianze si moltiplicano
(testimonianze dei conti pisani scritti in un volgare elementare).
Si tratta di un volgare artistico che dà vita alla letteratura:
 un esempio di prosa in volgare ci viene mostrato da Francesco D’Assisi con ‘il
cantico delle creature’,
mentre la poesia in volgare può essere rintracciata:
 nella ‘poesia della scuola siciliana’ che nasce presso la corte di Federico II.
Individuiamo una doppia tradizione di letteratura: una francese e una provenzale.
Uno dei tre principali temi della letteratura francese antica è:
 l’utilizzo la milizia e le armi come unica difese della religione, la virtù militare
in nome della civiltà cristiana.
Gli altri due grandi temi non fanno parte della CHANSON DE GESTE (tipico della
cultura francese) essi vengono trattati in maniera diversa e sono:
 l’esperienza dell’amore
 l’esperienza dell’avventura di ciò che la vita ti presenta come imprevisto.
Si tratta di vere proprie saghe in cui il concetto della vita come l’obbligo morale
viene messo in forse sia a causa delle seduzioni del mondo, l’esotico e l’avventuroso,
sia dal grande tema del desiderio e dell’amore. (Tristano e Isotta o l’Ancillotto e
Ginevra) Questa tipologia di testi ha grande successo in Italia e verranno a volte
volgarizzati o mescolando il volgare francese con quello italiano per permettere a
tutti di comprenderlo. I testi che avevano come temi quelli indicati in precedenza
danno vita a quelli che vengono denominati come: poemi epici e cavallereschi, i quali
riportano anche eventi storici passati (guerra di Troia).
In quel periodo molti erano analfabeti, pochi erano quelli in grado di leggere e
scrivere, la classe dei colti è estremamente ristretta e gli ambienti in cui si pratica
cultura sono: piccole comunità erette da un signore, quindi piccole corti nobiliari
locali; i liberi comuni; gli ambiti della chiesa, unica con una conoscenza completa del
latino e con il tempo anche le università (XI sec.).

Tutto il pensiero filosofico del medioevo mira a spiegare la realtà conosciuta con la
sua derivazione dalla creazione e tutta la realtà fisica è disposta gerarchicamente,
dallo scientifico al teologico, con l’UOMO al centro. Tutto si può conoscere e
catalogare, si riprende la teoria di Aristotele applicandola alla concezione cristiana; le
linee di interpretazioni filosofica sono di materia religiosa (le chiese sono l’unico
potere educativo dell’epoca), tuttavia un pensiero ortodosso è fornito dai filosofi
arabi. (Casadei e Santagata)
Arrivati al volgare il latino perde alcune sue caratteristiche:
 il vocalismo tipico del latino, dove: la vocale può o non può avere una certa
estensione, parliamo quindi di una metrica quantitativa, nel volgare si modifica
diventando qualitativa
le vocali sono accentate oppure no e non più lunghe o brevi
 il latino è una lingua sintetica, mentre l’italiano è analitico, si articola
maggiormente
 nel volgare si hanno due verbi ausiliari: essere e avere, altra cosa che lo
differenzia dal latino.
Queste sono molto in sintesi le differenze tra i due.

La prima esperienza della poesia italiana ci viene fornita dai siciliani che
presuppongono un’esperienza compositiva di loro precedente, intorno agli ultimi
decenni del XI sec. e per tutto il XII sec. alcune corti nobiliari della Francia
meridionale (Provenza) elaborano una poesia in una lingua che non è propriamente
del centro e del nord della Francia. Nel sud si usa la lingua DOC, le corti della
Provenza producono poesie d’amore che saranno in seguito abbandonate poiché
quelle corti locali accusate d’eresia verranno smantellate da un’azione militare indetta
dalla Chiesa e realizzata dai Francesi nel XII sec. con una crociata.
I poeti del mondo provenzale sono i cosiddetti trovatori: poeti di professione che
girano di corte in corte per essere ospitati e stipendiati, ma non hanno mai un ruolo
fisso e nei loro testi parlano: d’amore, politica sostenendo i propri signori, satira,
morale e religione (sirventese che avrà molto successo in Italia); tuttavia di tutti
questi temi il principale è l’AMORE, un amore provato da un soggetto uomo che
elogia la donna amata consapevole di non poterla avere. Il trovatore esalta la bellezza
delle castellane, di un’ospitante, ma senza la minima possibilità che questo elogio si
trasformi in una relazione amorosa in quanto il soggetto è: la donna del signore che
accoglie il poeta nella sua corte (omaggio convenzionale, un servizio d’amore, atto di
lode per obbligo sociale).
Questo amore è un’utopia, non ha una concretezza di realizzazione, questa scrittura si
vivacizza come se fosse recitata è spesso accompagnata da musica, una sorta di
performance; i trovatori sono tutte persone che Dante ha studiato: alcuni amati altri
odiati e inseriti nel Purgatorio, testi scritti in provenzale.

I primi sviluppi della poesia italiana possono essere testi pratici come: il ritmo
castinese e possono essere già una poesia codificata come quella dei siciliani, l’Italia
è una penisola in cui:
 a Nord vi sono delle forme di letteratura in volgare ispirato al volgare parlato
delle loro sedi;
 al centro si sviluppa una letteratura soprattutto religiosa e ristretta;
 al sud si sviluppa la civiltà della Scuola Siciliana (1230-1250) che termina a
causa di eventi politici.
La Toscana all’inizio non è all’avanguardia, non produce molto.

La lingua latina perde progressivamente alcuni suoi tratti ibridandosi con i vari
dialetti, nel centro Italia si verifica la curiosa fioritura di un ordine religioso destinato
a sostenere la Chiesa e la cristianità d’Occidente, la tendenza dell’apparato
ecclesiastico ad interagire con la politica ha comportato delle conseguenze
rintracciabili anche nello stesso Dante (circa 70 anni dopo). Il sorgere di due ordini:
1. I frati minori (OFM) nati per mano di Francesco D’Assisi
2. I predicatori (OP) Domenico di Guzman
hanno sostenuto le ragioni del popolo riguardo le gerarchie di quel periodo.
A quell’epoca l’elemento religioso è estremamente importante per la società italiana,
risulta quindi necessario individuare un modello per capire quel genere di letteratura,
Francesco D’Assisi è autore di un testo breve, ma molto famoso e ricco di umanità,
considerato come il primo testo veramente risolto e significativo della civiltà italiana.
Figlio di un ricco mercante D’Assisi e di una donna francese, da cui probabilmente ha
acquisito la tradizione francese, si ribella in età adulta al modello consumistico del
padre e sceglie una vita di servizio esclusivo verso gli altri iniziando a divulgare un
messaggio di ritorno alla purezza dei vangeli. (OFM: ordine dei frati minori, è un
francescano)
Francesco riceverà le stigmate, per questo considerato ‘il secondo Gesù’ e per tutta la
sua esistenza s’impegnerà a lodare e ringraziare il creatore, dando vita a quelle che
noi definiamo LAUDI, delle poesie religiose. Il lodare in volgare e celebrare la
grandezza divina diventeranno un’abitudine grazie a Francesco, dal secondo ‘200 in
poi si verranno formando delle confraternite: circoli non ispirati da un sacerdote, ma
formati da laici che si riuniscono per pratiche di culto.
Il cantico di Francesco non è propriamente poesia, è prosa ma comunque destinata ai
fedeli, egli vuole elogiare il creato in cui vede il segno della bontà dell’uomo per il
ondo e per l’uomo stesso.
Il cantico delle creature
Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne
benedictione. (ritmo particolare, definito come cursus)
Ad te solo, Altissimu, se konfàno (ritmo particolare) et nullu homo ène dignu te
mentovare.
Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande
splendore, de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si', mi' Signore, per sora luna e le stelle (cursus velox), in celu l'ài formate
clarite et pretiose et belle.
Laudato si', mi' Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dài sustentamento.
Laudato si', mi' Signore, per sor'aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et
casta.
Laudato si', mi' Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è
bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si', mi' Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengo
infirmitate et tribulatione.
Beati quelli che 'l sosterrano in pace, ca da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si' mi' Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo
vivente pò scappare: guai a quelli che morrano ne le peccata mortali;
beati quelli che trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà
male.
Laudate et benedicete mi' Signore' et ringratiate et serviateli cum grande humilitate

Pag.199 il filo rosso.

Parte con una sorta di proemio in cui afferma che spettano a dio gli elogi da parte
delle creature, la gloria, l’onore e ogni benedizione; gli uomini non hanno l’autorità e
la facoltà di fare il suo nome (retaggio ebraismo).
Dopo questi primi 4 tratti si sviluppa una costruzione costante in cui l’espressione è:
laudato sì mi signore… si tratta di singole frasi che sono poste come se fossero versi,
ma tali non sono (non hanno la rima) e si ispirano alla prosa della bibbia. Brevi brani
in prosa chiamati: VERSETTI, con una principale e una secondaria e poco più, ma
non sono da intendere come testi poetici, il cantico è inteso come testo in prosa che
ha un ritmo interno sorprendente.
 I LODE: loda il creatore perché è fatto di cose concrete per aiutare l’uomo
nella vita ordinaria, inizialmente loda lo stesso Signore per l’insieme del creato
(precisazione),
Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le tue creature
specialmente il dono del SOLE che è giorno, ci fornisce per tua creazione l’uso
della luce e aldilà dell’utilità pratica esso è anche bello e di grande splendore,
da quindi un senso di maestà (in passato si identificava il divino con il sole).
Esso è un segno della tua presenza e della tua grandezza, la natura è
compenetrata amorevolmente con l’uomo, emozionarci attraverso la natura.
Francesco chiama tutto questo al bisogno di umiltà, l’uomo deve essere umile e
chiamare tutto il creato ‘Frate’, è nostro compagno nell’avventura della vita; si
rivela un testo di forte emotività e di spessore culturale perché rispecchia la
mentalità del tempo.
 II LODE: loda il signore per la LUNA e le STELLE, messe nel cielo come
fonte di luce e preziose perché ci orientano, lo schema è sempre quello:
qualcosa di utile, ma bello.
 II LODE: loda il VENTO, ma loda il signore sia per quando ha creato il tempo
bello che quando ci sono le nebbie e per ogni caso climatico e metereologico,
senza la varietà climatica non ci sarebbe vita umana, il clima nella sua varietà
da alle creature il sostentamento (vv.14)
 III LODE: l’ACQUA è utile, senza moriamo, è segno di umiltà perché
rappresenta la purezza, preziosa e simbolo di castità e pudore, una dettagliata
elencazione risulta essere poetica (vv.16).

9.03.2022

L’anafora generale del testo è il motivo della lode: Laudato si’


Analizza la natura tutta come un sistema che deve essere protetta perché è il prodotto
della sublime architettura del potente, le lodi si avviano con un riferimento all’utilità
che la natura ha per l’uomo, tratto di originalità.
 IV LODE: loda il fratello FUOCO, esso è lo strumento di orientamento di
notte, viene definito come bello e cordiale perché il tiepidio di una fiamma da
vitalità.
 V LODE: loda la TERRA, che non è tanto sorella bensì MADRE perché ci
sostenta, ci da gli alimenti e ci governa regolando la nostra esistenza attraverso
i cicli della stagione, è lei che ci condiziona, il creato è strumentazione utile per
la vita dell’uomo ed educazione alla bellezza.
Il quartetto: acqua, aria, fuoco e terra riporta alla teoria dei 4 ELEMENTI, che
sostiene la definibilità della realtà attraverso quest’ultimi.
S. Francesco vuole far vedere all’umanità che Dio conosce i fatti dell’uomo e ne
partecipa, da inoltre una ritmica alla sua prosa per suscitare una maggiore rilevanza e
magnificenza ed è denominato come Cursus, una successione di sillabe accentate o
atoniche, ricorrente che da una sequenza ritmica al testo. (medius e velox) È il testo
letterario di una persona colta e lo vediamo dall’utilizzo di questa ritmica e
conseguimento di cursus, in quel periodo vi erano delle confraternite letterarie laiche
dove si scrivevano o si componevano raccolte di testi, a cui parteciperà anche
Francesco. (di solito gli autori della laude erano anonimi) Pur non essendo un testo poetico
vi assomiglia anche dal punto di vista fonico, assonanza, rima nell’accentazione
delle ultime sillabe, un’approssimazione dell’identità di sono. (opposto alla
consonanza)
Nel messaggio dei francescani c’è anche un richiamo alla morale dell’uomo come
valore che viene propugnato a partire dal v.v.23, in cui le forme della realtà fisica
lasciano il posto ad entità di carattere morale e umano:
 VI LODE: afferma di dover perdonare il proprio aggressore, colui che ci fa
soffrire, amore e tribolazione, due parole affini seppur in antitesi tra di loro; chi
accetta anche la durezza del vivere terreno può contare su una ricompensa per
l’eternità
 VII LODE: finisce con un’inattesa parificazione dell’uomo alla MORTE
stessa, essa è nostra sorella perché è comunque un elemento non dissimile da
tutti gli altri; perfino alla morte da del ‘tu’, non ha paura di nessuno perché
nutrito dalla fede, afferma che alla morte non si scampa e chi lo fa in amicizia
di Dio avrà le porte aperte alla beatitudine: dopo la morte fisica, saremo
valutati da Dio che o ci punirà o ci darà la beatitudine eterna.
Il congedo finale non è più una lode al signore, ma si rivolge ai lettori invitandoli a
lodare il Signore, a ringraziarlo dei suoi doni e servendolo. (termina con una rima a
tutti gli effetti, che eleva il tono come se fosse un insegnamento)

Jacopone Da Todi in questa "lauda" invoca Dio affinché gli mandi i malanni più
terribili e ripugnanti, la sofferenza dei quali lo aiuterà a espiare il peccato originale e
a mortificare la propria umanità di fronte alla grandezza del Signore. Il testo è un
eccellente esempio del misticismo esasperato dell'autore, nonché della mentalità
medievale per cui la fisicità del corpo viene disprezzata in quanto sporca e fonte di
peccato e la sofferenza invocata o auto-inflitta serve a liberarsi del senso di colpa e a
purificarsi.
O Signor, per cortesia
O Signor, per cortesia,
manname la malsanìa!

A mme la freve quartana,


la contina e la terzana,
la doppla cotidïana
co la granne ydropesia.

A mme venga mal de dente,


mal de capo e mal de ventre;
a lo stomaco dolur’ pognenti
e ’n canna la squinanzia.

Mal dell’occhi e doglia de flanco


e la postema al canto manco;
tiseco me ionga enn alto
e d’onne tempo fernosìa.

Aia ’l fecato rescaldato,


la melza grossa e ’l ventr’enflato
e llo polmone sia ’mplagato
cun gran tòssa e parlasia.

A mme venga le fistelle


con migliaia de carvuncilli,
e li granci se sian quelli
che tutto replen ne sia.

A mme venga la podraga


(mal de cóglia sì me agrava),
la bisinteria sia plaga
e le morroite a mme sse dìa.

A mme venga ’l mal de l’asmo,


iongasecce quel del pasmo;
como a can me venga el rasmo,
entro ’n vocca la grancia.

A mme lo morbo caduco


de cadere enn acqua e ’n foco
e ià mai non trovi loco,
che eo afflitto non ce sia.

A mme venga cechetate,


mutezza e sordetate,
la miseria e povertate
e d’onne tempo entrapparìa.

Tanto sia ’l fetor fetente


che non sia null’om vivente,
che non fuga da me dolente,
posto en tanta enfermaria.

En terrebele fossato,
che Riguerci è nomenato,
loco sia abandonato
da onne bona compagnia.

Gelo, grando e tempestate,


fulgure, troni e oscuritate;
e non sia nulla aversitate,
che me non aia en sua bailìa.

Le demonia enfernali
sì mme sian dati a menestrali,
che m’essèrcino en li mali,
ch’e’ ho guadagnati a mea follia.

Enfin del mondo a la finita


sì mme duri questa vita
e poi, a la scivirita,
dura morte me sse dìa.

Allegom’en sseppultura
un ventr’i lupo en voratura
e l’arliquie en cacatura
en espineta e rogarìa.

Li miracul’ po’ la morte,


chi cce vene aia le scorte
e le deversazioni forte
con terrebel fantasia.

Onn’om che m’ode mentovare


sì sse deia stupefare
e co la croce sé segnare,
che reo escuntro no i sia en via.

Signor meo, non n’è vendetta


tutta la pena ch’e’ aio ditta,
ché me creasti en tua diletta
et eo t’ho morto a villania.

Un francescano che scriverà poesie religiose per poi raccoglierlo in una collezione,
LAUDARIO, ma è un laudario d’autore perché firmerà il testo. Ha un senso
drammatico della vita e della natura dell’uomo, è un pessimista che svaluta NOI
come creature, a differenza di Francesco sente che la distanza tra noi e il creatore è
incolmabile. L’inadeguatezza dell’uomo al mondo e la sua piccolezza rispetto a Dio è
tale che sarebbe meglio scomparire dalla faccia della terra, anche perché il nostro
peccato, commesso da Caino, non può essere perdonato. (non va studiato per l’esame,
ma può dare un bonus all’esame)
RIMA: A-A-A-B
Quello che lui chiede è di soffrire il più possibile, ma non deve essere visto come un
rifiuto e una maledizione di essere vivo, bensì come una legittima punizione che lui
riconosce come dovuta a causa del nostro tradimento e dei nostri peccati che
commettiamo. (una malattia iperbolica)
La varietà di aspetti e significati del Medioevo, anche in religione, rende sbagliata
l’idea di quel periodo come un qualcosa di schematico è uguale, in esso si
individuano molte varietà. La letteratura italiana nasce come una ripresa personale di
temi provenzali, quindi continuiamo ad individuare al suo interno l’AMORE.

Scuola Siciliana
Con scuola intendiamo un contesto che, soprattutto in ambito artistico, produce opere
tutte molto omogenee tali che non spicca una singola personalità, una scuola è una
comunità che ha tratti fortemente identitari in cui non si distingua il singolo
individuo. La scuola siciliana ha tratti ben precisi che vengono seguiti con rigore dai
singoli, c’è una certa omogeneità e può concludersi nel momento in cui l’individuo
sente la necessità di spiccare singolarmente e si stacca da quei cardini, è il caso di:
DANTE o PETRARCA, cominciano come stilnovisti e poi vi si allontanano. Una
stessa tendenziale omogeneità caratterizza la nozione di movimento, in esso gli
appartenenti sono intercambiabili, anche qui ci sono casi in cui qualcuno fuoriesce
perché avente una personalità più preponderante. (Voltaire o Rousseau che sono
appartenenti ad un movimento, ma spiccano sugli altri)
Quindi scuola e movimento si distinguono, la scuola è un tipo di esperienza comune
agli artisti, mentre il movimento è un gruppo omogeneo che si caratterizza per il
tratto intellettuale, è basato sul pensiero.
L’origine della Scuola Siciliana si sviluppa al SUD, la sovranità politica, la funzione
di governare il mondo dovrebbe essere nell’Europa Occidentale affidata
all’imperatore che però in quel periodo non riesce a ricoprire quel ruolo, ruolo che in
Francia iniziava ad essere ricoperto dal Re. La vicenda dell’imperatore è legato a tre
grandi famiglie germaniche, dopo la morte di Enrico V vi sarà una lotta alla corona
tra: la Baviera e la Sassonia contro la Svezia, l’Italia sarà quindi divisa in due fazioni:
guelfi, coloro che sostenevano la Baviera e la Sassonia e che saranno poi identificati
come i sostenitori del Papa e ghibellini sostenitori della Svezia con Federico I detto
barbarossa e che dichiareranno fiducia all’imperatore.
È Federico I detto ‘barbarossa’ che si imporrà in Italia senza avere molto successo (si
succederà di padre in figlio), era un uomo molto colto che deciderà di vivere in Italia
Meridionale. Egli promuove ricerche scientifiche naturalistiche, è un appassionato
della caccia, scriverà poesie e soprattutto protegge stimolando intellettuali, che sono
sostanzialmente uomini di corte; ma in poco tempo dopo la sua morte ciò a cui aveva
dato vita sparirà.
In questi uomini c’è la capacità di trarre profitto dalle poesie scritte da altri, infatti
riportano in vita le poesie provenzali riprendendone solo il tema dell’AMORE
trattandolo in un volgare siciliano purificato dai tratti più banalmente parlati. (prima
espressione di un linguaggio poetico italiano)

10.03.2022

Dobbiamo aspettarci una poesia che ha il senso gerarchico, non cerca implicazioni al
di fuori dei temi abituali saranno quelli dello Stilnovo ad uscire da quei cardini e
qualche anno prima coloro che anticiperanno quello stile come: Guido Guinizzelli.
La donna dei siciliani non ha caratteristiche angeliche come vedremo invece in
Dante, i siciliani vengono visti come un piccolo gruppo di poeti che scrivono testi
riprendendo temi provenzali, tra essi spiccano le figure di:
Jacopo da Lentini Jacopo Mostacci
Pier Delle Vigne
non tutti i componenti erano siciliani perché l’imperatore amministra un’ampia area
geografica.
Si tratta di una poesia fortemente regolate da norme intransigenti, basata sul tema
dell’AMORE:
 il nome della donna amata non viene fatto;
 la posizione di amante è costante, è pronto ad esprimere la bellezza dell’amata
in attesa di un amore corrisposto che non sopraggiunge perché: la donna è
fatta per dire di no;
 il poeta si rivolge alla donna, ma facendo in modo che gli altri non lo sappiano,
cela il suo amore perché teme i pettegolezzi.
Tutte forme di regolazione che a noi appaiono di finzione, ma giustificato nel
contesto medioevale in cui si trovavano.
Si scrivono: canzoni, sonetti, discordi (canzoni lunghi in versi molto brevi e
fittamente rimati) … Si percepisce nella scuola siciliana la necessità di estrapolare
dalla canzone la sua unità, il suo tratto fondante ossia la singola strofa, la canzone
siciliana è fatta di successivi brani e strofe; vogliono rendere autonomi le singole
strofe delle canzoni dando vita ai: SONETTI. (atto principalmente compiuto dal notaro di
Jacopo Da Lentini)

La donna rende l’uomo felice e al tempo stesso tormentato per l’amore non
ricambiato, individuiamo la gelosia, c’è comunque sempre il senso di fedeltà
dell’innamorato che non dimentica la donna amata e verso lei ci sta devozione, il
cantar della bellezza della donna è un servizio d’amore. Questa sorta di regolazione
dei sentimenti umani (gelosia, amore, devozione, ammirazione) sono elementi di
un’educazione sentimentale che poi nei secoli è diventata la nostra, fino al
romanticismo una forma di educazione sentimentale è nata in quel periodo, è solo nel
moderno che si è usciti fuori dagli schemi parlando di amore proibito, malato,
omosessuale…

Siamo in presenza di una scuola in cui resta da considerare che questi artisti vivono in
un periodo politico più felice del potere dell’imperatore in Italia e nel 1250 si
disperdono a causa della morte di Federico II. Successivamente a ciò e con l’arrivo
degli Angiò, i siciliani vanno a vivere fuori dal loro Paese, nell’Italia Continentale e
continuano a produrre poesie, questo comporterà che i loro testi, da un volgare
ripulito dai dialetti proprio del siciliano illustre del tempo, verranno modificati nella
morfologia dai copisti questo perché dovevano adeguarli ai lettori continentali che
parlavano e leggevano in maniera differente; verranno adattati soprattutto ai modelli
di lettura e di scrittura dei toscani. (la Toscana lentamente si afferma nella letteratura,
avendo i testi del primo modello di letteratura italiana la rende ricca) I siciliani daranno vita al
primo modello di letteratura italiana.
Jacopo Da Lentini comporrà un testo: ‘Madonna, dir vo voglio’ esso è composto di
5 PARTI definite stanze, le quali rispondono ad uno schema metrico e possono essere
endecasillabi o settenari. In questo testo il poeta esprima la sua devozione verso la
donna amata, si tratta di una situazione ferma e immobile, una condizione
convenzionale che presenta anche un auspicio finale in cui l’autore spera che la
donna ricambi il suo amore. (conclusione vivace)
Ogni verso occupa un rigo, la rima: l’identità di suono fra due o più versi a partire
dall’ultima sillaba accentata, la differenza di metrica non pregiudica la rima, quando
il verso è più lungo lo differenzio con la MAIUSCOLA.
abaCdbdC
la prima parte della strofa di una canzone è chiamata FRONTE,
la seconda SIRMA e spesso è separata da un verso cuscinetto e congiunge le due
parti, qui però non c’è.
eef(f)Ghh(i)G
La rima interna o rima al mezzo distingue il settenario dall’endecasillabo, la () indica
la rima interna.

Madonna, dir vo voglio


Madonna, dir vo voglio (settenario)
como l’amor m’à priso,
inver’ lo grande orgoglio
che voi, bella, mostrate, e no m’aita. (endecassilabo)
Oi lasso, lo meo core,
che ’n tante pene è miso
che vive quando more
per bene amare, e teneselo a vita!
Dunque mor’e viv’eo? (sirma)
No, ma lo core meo
more più spesso e forte
che non faria di morte naturale,
per voi, donna, cui ama,
più che se stesso brama,
e voi pur lo sdegnate:
Amor, vostra ’mistate vidi male.

II.
Lo meo ’namoramento
non pò parire in detto,
ma sì com’eo lo sento (il ‘ma’ vale come congiunzione, non come avversativo)
cor no lo penseria né diria lingua; (topos ineffabilità)
e zo ch’eo dico è nente
inver’ ch’eo son distretto
tanto coralemente:
foc’aio al cor non credo mai si stingua,
anzi si pur alluma:
perché non mi consuma?
La salamandra audivi (attribuisce all’animale caratteristiche umane)
che ’nfra lo foco vivi stando sana;
eo sì fo per long’uso,
vivo ’n foc’amoroso
e non saccio ch’eo dica:
lo meo lavoro spica e non ingrana. (rima imperfetta o siciliana)

III.
Madonna, sì m’avene
ch’eo non posso avenire
com’eo dicesse bene
la propia cosa ch’eo sento d’amore;
sì com’omo in prudito
lo cor mi fa sentire,
che già mai no ’nd’è quito
mentre non pò toccar lo suo sentore.
Lo non-poter mi turba,
com’on che pinge e sturba,
e pure li dispiace
lo pingere che face, e sé riprende,
che non fa per natura
la propïa pintura;
e non è da blasmare
omo che cade in mare a che s’aprende.

IV.
Lo vostr’amor che m’ave
in mare tempestoso,
è sì como la nave
c’a la fortuna getta ogni pesanti,
e campan per lo getto
di loco periglioso;
similemente eo getto
a voi, bella, li mei sospiri e pianti.
Che s’eo no li gittasse
parria che soffondasse,
e bene soffondara,
lo cor tanto gravara in suo disio;
che tanto frange a terra (sostantivo)
tempesta che s’aterra,
ed eo così rinfrango,
quando sospiro e piango posar crio.

V.
Assai mi son mostrato
a voi, donna spietata,
com’eo so’ innamorato,
ma crëio ch’e’ dispiaceri’ a voi pinto.
Poi c’a me solo, lasso,
cotal ventura è data,
perché no mi ’nde lasso?
Non posso, di tal guisa Amor m’à vinto.
Vorria c’or avenisse
che lo meo core ’scisse
come ’ncarnato tutto,
e non facesse motto a voi, sdegnosa;
c’amore a tal l’adusse
ca, se vipera i fusse,
natura perderia:
a tal lo vederia, fora pietosa (da vedere sul libro)

11.03.2022

I STROFA: nonostante la distanza che lei tiene con lui, egli la ama lo stesso, il suo
sentimento amoroso è vitale e vivo nel momento stesso in cui lui si strugge d’amore
per lei, una vita senza amore non è una vita vissuta, lui si sente vivo perché ama lei
nonostante questo amore lo stia uccidendo perché non ricambiato. Successivamente
individuiamo un diverso piano logico, prima l’autore ha parlato alla donna poi a sé
stesso, afferma che: nella vita si muore una volta sola, qui o, lui si immagina di
morire più volte e più dolorosamente; egli brama la donna ed ha a cuore essa più di sé
stesso, ma nonostante questo lei non ricambia.
Determina il rapporto tra l’IO e la donna e spiega come sia possibile all’io stesso di
amare senza prospettive in quanto il dolore di un amore non ricambiato coincide con
l’alimento di vita: vivo e muoio per amore; l’amore mi fa morire a causa del
sentimento non ricambiato dalla donna, ma allo stesso tempo è quello che lo tiene in
vita. L’amore lo fa morire più volte e più dolorosamente rispetto a quanto accadrebbe
per una morte naturale (iperbole: esagerazione di una situazione), siamo in una
dimensione di pura virtualità, situazione tipica del testo letterario: andare oltre
l’esperienza dei sensi comuni.

II STROFA: il suo amore non può apparire a parole, neanche la lingua è in grado di
esprimere questo amore potente
(individuiamo un topos: ineffabilità, l’inadeguatezza delle parole all’espressione del
sentimento)

Luogo comune, localizzazione all’interno di un testo di un pensiero che è costante di:


autore in autore e di opera in opera. (ex: quando l’autore si rivolge ad una musa o entità
soprannaturali all’inizio dell’opera per essere aiutati nella composizione)

Riflette sul comportamento dell’animale attribuendogli caratteristiche umane-morali


(ex: la volpe è considerata la furbizia; il leone è coraggioso) parliamo di bestiari moralizzati,
un’idea tipicamente Medioevale, in questo caso parla della:
salamandra che resiste alle fiamme
si paragona ad essa affermando che lui si comporta così.
Lui fa tutto il possibile per avere l’amore della donna, ma al momento del raccolto,
quando deve essere ricambiato, non raccoglie. (rima imperfetta o siciliana)
I temi della scuola siciliani verranno poi ripresi dagli autori toscani mantenendo
alcune loro caratteristiche, con il tempo i toscani che imitavano i siciliani inizieranno
a dar vita ad uno loro modo di scrivere. All’interno di molti testi successivi alla
scuola siciliana troveremo comunque dei riferimenti e la ripresa di quei modelli:
CANTO X INFERNO (PAG.124) dove incontrerà Cavalcante dei Cavalcanti poeta fiorentino

troviamo qui una rima siciliana: vv.67-69.


la rima imperfetta è utile anche a dirci che un tempo questi testi dei siciliani avevano
un assetto di suono e morfologia proprio e genuino.

TERZA STROFA: Il cuore da una sensazione di prurito, fastidio che può essere
eliminato solo toccando quella parte, non può provare sollievo per il suo sentimento;
si trova nella condizione dell’artista, del pittore: prima dipinge e poi cancella il suo
lavoro perché questo non lo soddisfa; non riesce ad adeguarsi, non riesce a dire la
realtà.
Il poeta passa poi ad una diversa immagine: quella del naufrago che rischia di morire
e per salvarsi si appiglia a qualsiasi cosa per restare a galla, incurante del fatto che
così facendo rischia di appigliarsi anche a cose immorali…

QUARTA STROFA: Provando quell’amore è come se il poeta si fosse proiettato in


un mare in tempesta perdendo la pace, questa situazione ricorda quella della nave che
durante una tempesta butta in acqua tutto quello che pesa e solo così riescono a
salvarsi, buttando quindi ciò che è inutile. Ci si libera del dolore di questo sentimento
solo disfandosi delle zavorre, se non eliminasse questi sentimenti il suo cuore
peserebbe così tanto a causa del desiderio di questa donna che lo farebbe affondare e
naufragare. Allo stesso modo il poeta sbatte perché crede di trovare pace attraverso il
sospiro e il pianto, ma in realtà questo sollievo non c’è, lui crede così di allontanarsi
da questa sofferenza, anche attraverso la scrittura, ma ciò non avviene.

QUINTA STROFA: In ogni modo possibile il poeta ha cercato di mostrare alla


donna il suo amore, è consapevole che alla donna lui non piacerebbe a prescindere,
nemmeno dipinto poiché solo a lui è data questa condizione. Vuole rassegnarsi
perché l’amore ha vinto in un modo tale che lui muore quando vive, la passione lo
logoro, ma allo stesso tempo lo nutre in un circolo vizioso.
Vorrebbe che il cuore gli uscisse dal petto e si presentasse palpitante davanti a lei,
come se fosse un’entità biologica a sé, una piccola vita, ed è l’amore che lo
porterebbe a tanto e se questo avvenisse persino una vipera si commuoverebbe di
fronte a questo spettacolo e lo stesso farebbe la donna. (paragona la donna alla vipera)
Il modo in cui i versi sono combinati in riferimento alla rima in una strofa deve
tornare in quelle successive.
SCHEMI RITMICI
BACIATA AABB
ALTERNATA ABAB CDCD
INCROCIATA ABBA CDDC
INCATENATA ABA BCB CDC (Divina Commedia)
RIPETUTA ABC ABC
INVERTITA ABC CBA

Esistono rime facili e difficili.

 Composta (o spezzata o franta): una parola rima con l'insieme di due o più
parole.

Es. oncia / non ci ha

 Derivativa: tra due parole che hanno omogeneità etimologica.

Es. guardi / sguardi

 Rara o cara: usa parole rare, insolite o straniere.

Es. bovindo / tamarindo

 Equivoca: fra parole omofone.

Es. campo (terreno) / campo (verbo campare)

 Grammaticale o desinenziale: ha identità di desinenza.

Es. cantando / andando

 Identica: parola che rima con sé stessa;

esempio tipico è il nome «Cristo» nella Commedia di Dante (per il quale C.


non poteva che rimare con Se stesso)

 Perfetta: l'identità di suono è totale.

Es. pane / cane


La rima perfetta è la rima "classica" del verso italiano:

«Nel mezzo del cammin di nostra vita


mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita»
(Dante - Divina Commedia - Inf. I, vv. 1-3)
 Imperfetta (o quasi-rima):

assonanza: vocali uguali e consonanti diverse. È piena se sono uguali sia le


vocali toniche che quelle atone finali. Es. fame / pane;

consonanza: vocali diverse e consonanti uguali. Es. amore / amaro

 Inclusiva: una delle due parole è contenuta nell'altra.

Es. erta / deserta

 Paronomastica: fra due parole di suono molto simile fra loro.

Es. venuto / veduto.


 Ricca: tra parole che condividono altri fonemi prima della vocale tonica, cioè
della rima.

Es. cantare / saltare


 Povera: quando c'è identità di rime esclusivamente composte da vocali.

Es. mio / Dio.


 Ipermetra: una delle due parole è considerata senza la sillaba finale.

Es. scalpito / Alpi


 Interna: lega parole che si trovano a metà o all'interno del verso

A differenziare la prosa dalla poesia non è soltanto la RIMA, ma anche il RITMO


ovvero l’accentazione, in latino prevedeva la quantità si differenziavano sillabe per la
loro lunghezza ora è invece qualitativo.

Il metro è lo schema di accentazione ovvero quanti e dove sono gli accenti:


endecasillabo, settenario, ottonario…versi di meno di 5 SILLABE in Italiano non
esistono (quinari), non va confuso con il verso che è invece la realizzazione concreta
di un testo poetico. Vi sono anche sillabe che si comportano in maniera particolare:

Ex: nella Divina Commedia al canto 24 dell’inferno, Dante attacca Pistoia e in


particolare Vanni Fucci, un’uomo spregevole. Dal verso 58 al 68 troviamo: l’accento
sempre sulla decima sillaba, ci sono però degli endecasillabi con 12 sillabi che
vengono definiti: endecasillabi ipermetro.

Oltre all’endecasillabo ipermetro troviamo anche 10 sillabe con l’accento sempre


sulla decima e si chiameranno endecasillabo tronco o ipometro; quindi
l’ENDECASSILABO è un metro che porta l’accento sulla decima sillaba, ma non è
detto che essa occupi la penultima posizione. L’endecasillabo porta un accento che
lo divide in due parti: una più breve e una più lunga o una più lunga e una più corta
quindi…

 SE LA PRIMA PARTE È PIU’ LUNGA: endecasillabo a maiore


 SE LA PRIMA PARTE È PIU’ BREVE: endecasillabo a minore

Un Sonetto è una automatizzazione della strofa di una canzone ed è probabilmente


Jacopo da Lentini ha sentire la necessità di rendere una parte della canzone autonoma
rispetto al suo restante. A differenza della canzone il sonetto può essere fatto solo in
una determinata maniera, in esso sono tutti endecasillabi (esempio di sonetto pag.179),
esso è fatto di 14 versi che si combinano in 2 PARTI:

 Maggiori: primi otto versi che sono scanditi a loro volta in 4 e 4 versi chiamati
QUARTINE, al suo interno la rima può essere baciata o alternata;

 Minori: ultimi 6 versi, suddivisi in 3 e 3 versi, denominati come TERZINE in


esse l’autore è libero.

16.03.2022

La canzone di Jacopo da Lentini è rappresentante della Scuola Siciliana, la poesia di


questa scuola è compatta, tra un autore e l’altro non c’è una distinzione di personalità
molto forte. La poesia è una celebrazione di bellezza, con formule prevedibili e
luoghi comuni, dove questa prevedibilità riflette assetti di comportamento e posizioni
sociali ben definiti: il poeta è ospitato da un signore e nelle sue poesie loda la signora
di quest’ultimo. (passione convenzionale)
17.03.2022

Quella che noi definiamo letteratura italiana è la denominazione di una disciplina,


è un campo del sapere (Aristotele si interrogò molto su cosa potesse essere la letteratura) essa
non è una forma artistica, né filosofia, né storia…essa è un tentativo di utilizzare la
lingua, con fine artistico, per esprimere: il sentimento, il senso o l’idea sulla vita che
ha una determinata persona.

Possiamo dire che: Italiano è il qualificativo che si associa a determinate attività per
delineare il suo gruppo d’appartenenza.
Definizione: presa dal libro del professore
La letteratura italiana è la successione nel tempo di testi scritti con intento d’arte o
con intento almeno affettivo e non meramente comunicativo nella lingua italiana da
parte di autori residenti nella Penisola.

Alla luce delle trasformazioni in atto, relativo alla nostra contemporaneità, può essere
fatta un’aggiunta: alla letteratura italiana appartengono in senso stretto o in senso
lato, in modo preciso o più generale (ossia in proporzione al grado: maggiore o
minore di assorbimento della cultura di destinazione) anche i non nativi d’Italia, ma
emigrati in essa e produttori di testi scritti letterari in lingua italiana.

 Successione nel tempo: STORIA, ossia l’avvicendarsi nelle generazioni da


Francesco D’Assisi fino agli scrittori nostri contemporanei, per gli studiosi di oggi
la successione del tempo documenta: l’origine, la modifica o la scomparsa di
ciascuna delle espressioni della letteratura. (stili, temi, politica, religione, istituzioni…)

parte più importante

Orientati verso una soluzione obbligata: hanno tutti uno scopo che li accumuna,
Francesco De Santis si batteva per l’emancipazione politica degli stati italiani, che nei
suoi studi guardò i testi letterari che si sono susseguiti nel tempo in relazione ad un
concetto politico: individuò un tratto comune in questi testi, nell’essere tutti ispirati
da un senso patriottico richiedendo un’unione politica. (storicismo) Nonostante
l’Italia non fosse ancora unita, nelle opere si può riscontrare patriottismo che viene
denominato come elemento comune nelle opere letterarie italiane.
18.03.2022

 Testi scritti: elaborati verbali che potremmo considerare o definire dei discorsi
compiuti

 Con intento d’arte: con l’ambizione di fare un’opera estetica, deriva dal greco e
deve suscitare sensazioni, smettere di pensare alle cose ordinarie; questa
sensazione, la bellezza di capire quello che l’autore vuole esprimere si associa ad
una visione del mondo, non è solo questione di sentimenti, la letteratura è anche
IDEE.

 Intento affettivo e non meramente comunicativo: con i moderni studi della


linguistica arriviamo ad affermare che: non c’è una contrapposizione sempre così
semplice tra testi letterari e testi non letterari. Spesso individuiamo tra i testi scritti
degli elementi comuni presenti in:

testi meramente utilitaristici, testi più raffinati, ma non letterari e testi letterari

Lingua italiana è il dialetto Toscano nella sua variante fiorentina, questo dialetto è
stato preso da un'altra lingua, Pietro Bembo propone ad altri scrittori questo
modello di lingua italiana, quella degli autori del ‘300: Dante, Petrarca e
Boccaccio. Questo fiorentino, il suo modello linguistico, fu progressivamente
accolto come modello anche nell’uso parlato dagli abitanti della Penisola, questo
assorbimento proseguirà anche nel 1800. Lo scritto ebbe maggiore successo in
quei paesi in cui vi era maggiore conoscenza del latino mentre nell’uso scritto, il
volgare fu modificato lentamente e di sede in sede della penisola fino a quando del
latino rimasero solo scarsissime tracce. Da quando Pietro Bembo inizia a
consigliare come modello di scrittura del ‘300 si inizia a parlare di lingua italiana,
una letteratura in volgare che si sviluppa in tutta Italia, solo da quando Bembo
teorizza ciò possiamo iniziare a considerare il percorso della nostra lingua.

Riconosciamo come letteratura italiana, anche quei testi che non fanno parte della
lingua italiana, scritti in altre lingue; il dialetto è la lingua utilizzata in determinate
aree geografiche limitate e difficilmente comprensibile da coloro che non ne fanno
parte.

 Da parte di autori residenti nella Penisola: ciò implica che la letteratura italiana
comprende anche quei testi in dialetto o di lingue differenti poiché gli scrittori
vivono nella Penisola Italiana ma provengono da altri luoghi. Pur essendo italiani
alcuni nostri autori hanno scritto in lingua straniera, molti di loro avevano una
formazione francese, ma anche se scritti in un'altra lingua fanno parte della
letteratura italiana poiché chi scrive vive lì (MANZONI).
Il rapporto tra lingua e letteratura, in Italia, è molto importante anche grazie al
potere politico centralizzato che faceva sentire cittadini, essendoci questo tipo di
Stato individuiamo anche una lingua Nazionale già da allora, la letteratura diventa
uno strumento POLITICO.
La poesia prodotta dalla Scuola Siciliana subisce un adattamento, i temi vengono
ripresi e trattati nelle regioni dell’Italia Continentale, dove più c’è bisogno di
letteratura e cultura (soprattutto la Toscana). Qui il mondo è completamente diverso
rispetto al sud, un mondo principalmente agricolo, al centro siamo c’è un maggiore
sviluppo. C’è un maggiore coinvolgimento politico da parte dei funzionari Toscani,
Guittone D’Arezzo, rispetto a quelli di Federico II; se il poeta è più dentro al corpo
politico-sociale troveremo temi differenti, non solo riportano altri temi, ma
contestano anche l’idea che l’amore sia amare una donna, per loro l’amore è
PASSIONE, deve riflettere l’istinto dell’uomo.
In tutto il mondo non esiste un così vivo e amplio concentrato di personaggi
all’interno di una sola città, quale Firenze, nel giro di soli due secoli nonostante la
letteratura italiana non sia nata lì; a letteratura italiana non va studiata solo dal punto
di vista storico, ma anche geografici, diversi luoghi hanno dato vita ha produzioni
differenti.
Ad Arezzo vive Guittone che dopo una prima fase impegnata nel suo comune,
abbandona lo stile di vita precedente e diventa un frate francescano scelta,
probabilmente, causata dalla morte della moglie in un incidente. Questo lo porterà a
rivedere le sue abitudini e il concetto d’amore che professava diventando un poeta e
un prosatore che scrive lettere in volgare di severa moralità religiosa; prima era un
poeta d’amore, ma quando diventerà frate cambierà i suoi temi.

Ha un modo di essere che si rivela spesso un limite: scrive poesie d’amore, in almeno
alcune circostanze, restando simile alla poesia siciliana ma invece di rinnovarla,
mantenendone il principio dell’amore come omaggio ad una donna bella e superiore,
la rende artificiosa: elabora e rielabora, producendo tesi insincere e troppo fatte a
tavolino (troppo laboratorio e poca immediatezza e disinvoltura).

(pag.185 afferma quanto detto di Guittone)

Un esempio di letteratura che mantiene i temi della scuola siciliana ma comunque


rinnovandosi è lo SILNOVO, donna con forti valenze idealizzate: più precisione, più
colore, diversi linguaggi…valorizza, non nega i modi siciliani (donna come un
angelo).

A dimostrazione di quanto affermato precedentemente su Guittone D’Arezzo


riguardo le caratteristiche, i temi e le modalità della sua poetica analizziamo l’opera:

Tuttor ch’eo dirò gioi, gioiva cosa.


Tuttor ch’eo dirò gioi, gioiva cosa,
intenderete che di voi favello,
che gioia sete di beltá gioiosa
e gioia di piacer gioioso e bello:
e gioia in cui gioioso avenir posa,
gioi d’adornezze e gioi di cor asnello;
gioia in cui viso è gioi tant’amorosa
ched è gioiosa gioi mirare in ello.
Gioi di volere e gioi di pensamento
e gioi di dire e gioi di far gioioso
e gioi d’onni gioioso movimento.
Per ch’eo, gioiosa gioi, sí disioso
di voi mi trovo, che mai gioi non sento
se ’n vostra gioi il meo cor non riposo.

PARAFRASI:

Ogni volta che io dirò «gioia», mia donna gioiosa, intenderete che io parlo di voi, che
siete gioia di gioiosa bellezza, e gioia di piacere bello e gioioso, e gioia su cui riposa
un gioioso avvenire, gioia leggiadra e gioia di un corpo snello, gioia cui io guardo e
gioia tanto amorosa che è cosa gioiosa guardarla. Gioia della mia volontà e dei miei
pensieri, gioia di dire, gioia che mi rende gioioso, e gioia di ogni gioioso movimento:
per cui, gioia gioiosa, io provo tanto desiderio di voi che non sento mai gioia se non
riposo alla gioia vostra il mio cuore.

Ogni volta che nel testo troviamo il termine Gioi l’autore si rivolge alla donna, al suo
interno vediamo un’artificiosa e continua elaborazione del motivo della gioia
attraverso questo sostantivo. Un sonetto come questo non ci dice molto della donna,
non ne approfondisce le caratteristiche, né ne elogia la bellezza o le sue
caratteristiche, si allontana molto da la poesia siciliana, infatti questo poeta sarà
molto criticato da Dante.

23.05.2022

Si tratta di un’esaltazione della donna priva di quel valore spirituale, non afferma il
primato della donna indipendentemente dal fatto che ricambia o meno l’amore, si
tratta di una celebrazione mondana: la bellezza di questa donna non induce l’amante a
pensieri o parole sporche, essa è un trionfo di colori, profumi, sensi…ma non è
comunque la celebrazione di spiritualità, NON viene rappresentata sa Guittone come
un angelo.

Essa è:

giovane, elegante e bella

una grande dama, un prototipo di femminilità graziosissima tant’è che solo


l’osservazione e la sua ammirazione provoca nel poeta GIOIA. Ogni gesto che
compie viene ammirato perché da lei compiuta con naturalezza e disinvoltura, il
desiderio di questa donna è molto forte.

amore pienamente realizzato, tutto ciò che si è usato per arrivare a quella gioia
GIOI
Guittone è colui che ha adattato la poesia siciliana a nuovi contesti geografici, dopo il
1250 l’esperienza dei poeti di tutta l’Italia meridionale si conclude, ma i loro
insegnamenti non si perdono (la poesia siculo-toscana tratterà di politica). Guittone
non va sottovalutato, è un poeta d’amore, ma la sua modalità di scrittura è diversa da
quella cortese soprattutto perché egli afferma, prima di diventare frate quando si
godeva i piaceri della vita, che l’amore non va MISTIFICATO, non va nascosto dalla
sua versa natura: desiderio fisico e appagamento dei sensi.
Diventando frate, francescano mondano (poteva essere sposato), cambia la sua visione
sulla vita e sui piaceri: cessa di fare poesie d’amore, ma non cessa di scrivere poesie.

Dante, massimo scrittore italiano di sempre ma era laico, non partecipava.

A quell’epoca non era possibile essere NON credenti, la religione era il tessuto
sociale, tuttavia si aveva la possibilità di essere laici, credere, ma non vestire abiti
religiosi.

Guittone dunque è per la comunità di tutti i poeti che non capiscono fino in fondo che
bisogna rinnovare l’esperienza dell’amore in poesia, un riferimento importante.
I siculi-toscani, non ancora stilnovisti, sono abituati a dialogare tra loro secondo il
modello che sarà poi quello di Dante, fanno della letteratura NON l’espressione di
uno stato d’animo, ma un gioco o una forma di competizione in artificiosità. Essi
sono capace di trattare tematiche diverse: la propria biografia, l’interlocuzione con
poeti che hanno convinzioni politiche opposte (guelfi e ghibellini), riflessione sulla
lotta politica tra i due fronti politici…

PAPA IMPERATORE

25.03.2022

La canzone di Guinizelli sarà molto importante per i successivi sviluppi della


letteratura italiana, il passaggio dai poeti siculo-toscani allo stilnovo, Guido
Guinizelli fu un poeta bolognese che ci ha lasciato una ventina di testi, quasi tutti
sonetti e qualche canzone in cui parla d’amore, ma ci interessa per il filone principale
della letteratura del volgare d’Italia.

A volte segue e fa intendere i modi dell’amore come facevano Guittone o i poeti della
scuola siciliana, ma in altri casi sembra rinnovare tale concetto trovando come modo
di scrittura per trattare ciò una maggiore SEMPLICITA’. Il caso più evidente di
capacità di rinnovamento è la canzone:

Al cor gentil rempaira sempre amore. (pag.187)


Al cor gentil rempaira sempre amore
come l’ausello in selva a la verdura;
né fe’ amor anti che gentil core,
né gentil core anti ch’amor, natura:
ch’adesso con’ fu ’l sole,
sì tosto lo splendore fu lucente,
né fu davanti ’l sole;
e prende amore in gentilezza loco
così propïamente
come calore in clarità di foco.

Foco d’amore in gentil cor s’aprende


come vertute in petra prezïosa,
che da la stella valor no i discende
anti che ’l sol la faccia gentil cosa;
poi che n’ha tratto fòre
per sua forza lo sol ciò che li è vile,
stella li dà valore:
così lo cor ch’è fatto da natura
asletto, pur, gentile,
donna a guisa di stella lo ’nnamora.

Amor per tal ragion sta ’n cor gentile


per qual lo foco in cima del doplero:
splendeli al su’ diletto, clar, sottile;
no li stari’ altra guisa, tant’è fero.
Così prava natura
recontra amor come fa l’aigua il foco
caldo, per la freddura.
Amore in gentil cor prende rivera
per suo consimel loco
com’ adamàs del ferro in la minera.

Fere lo sol lo fango tutto ’l giorno:


vile reman, né ’l sol perde calore;
dis’ omo alter: «Gentil per sclatta torno»;
lui semblo al fango, al sol gentil valore:
ché non dé dar om fé
che gentilezza sia fòr di coraggio
in degnità d’ere’
sed a vertute non ha gentil core,
com’ aigua porta raggio
e ’l ciel riten le stelle e lo splendore.
Splende ’n la ’ntelligenzïa del cielo
Deo crïator più che [’n] nostr’occhi ’l sole:
ella intende suo fattor oltra ’l cielo,
e ’l ciel volgiando, a Lui obedir tole;
e con’ segue, al primero,
del giusto Deo beato compimento,
così dar dovria, al vero,
la bella donna, poi che [’n] gli occhi splende (enjambemant)
del suo gentil, talento
che mai di lei obedir non si disprende.

Donna, Deo mi dirà: «Che presomisti?»,


sïando l’alma mia a lui davanti.
«Lo ciel passasti e ’nfin a Me venisti
e desti in vano amor Me per semblanti:
ch’a Me conven le laude
e a la reina del regname degno,
per cui cessa onne fraude».
Dir Li porò: «Tenne d’angel sembianza
che fosse del Tuo regno;
non me fu fallo, s’in lei posi amanza».

I STROFA: La forza dell’amore si rifugia in un cuore gentile come gli uccelli nel
fitto del fogliame e la natura non fece l’amore prima di aver creato i cuori capaci
d’amare, ma al tempo stesso non fece i cuori gentili anteriormente all’amore; la
natura creò al TEMPO STESSO l’amore e il cuore gentile quindi i due sono la stessa
cosa, non possono vivere l’uno senza l’altro. Il poeta ha voluto spiegare ancora lo
stato per cui una cosa non nasce prima dell’altra, ma nascono insieme utilizzando la
metafora del SOLO, non soltanto una contemporaneità, ma anche un’identità di
natura: l’essere di uno è l’essere dell’altro (vv.5-6-7).

L’amore va a situarsi nella gentilezza allo stesso modo in cui il calore sta nella
fiamma luminosa (vv.8-9-10) essa è un’immagine che spiega e valorizza meglio i
versi precedenti.

II STROFA: In un cuore gentile comincia a svilupparsi un fuoco dell’amore come in


una pietra preziosa sta una virtù, il medioevo riteneva che quelle pietre rare per la
loro composizione chimica venivano ritenute portatrici di alcune qualità: magiche,
mediche, curatorie… (Decameron: Novella dell’elitropia) paragona il modo in cui l’amore
entra nel cuore gentile al modo in cui la virtù entra all’interno della pietra, che
quando diventa preziosa assomiglia al cuore gentile.
Guinizelli cerca poi di capire il modo in cui una pietra diventa preziosa, come non
tutte le pietre diventano preziose non tutti i cuori diventano gentili, inizia a parlare
delle scienze della fisica nella sua poesia (diventa una sorta di scienziato). Una pietra
diventa preziosa attraverso una determinata procedura, grazie alla forza del SOLE
che sottrae alla pietra tutto quello che la rende vile e solo successivamente scende
dalla stella un valore che s’inserisce in essa. Allo stesso modo un cuore puro ed
eletto, quindi gentile, è reso tale della natura e gentile dalla donna:

la natura lo rende particolarmente prezioso, puro (SOLE), in un secondo momento una


donna interviene su un cuore gentile e gli dà valore (STELLA).
III STROFA: In base alla logica precedente l’amore risiede in un cuore gentile per
forza di cose allo stesso modo in cui sulla punta della torcia sta il fuoco, continua con
le SIMILITUDINI per sostenere la sua ipotesi. La fiamma va verso l’alto in modo
virtuoso con una forza inarrestabile e non può che stare lì perché è il suo habitat,
TUTTO È DIGNITA’.

Inverte i termini, ma mostra comunque quanto affermato:

così come l’acqua con la sua freddezza si oppone al fuoco, allo stesso modo la natura
cattiva si contrappone all’amore

IV STROFA: il sole infierisce sul fango tutto il giorno, batte continuamente su di


esso, ma sempre tale rimane: NON SI NOBILITA, il fango è fango e il sole è sole.

Un uomo presuntuoso afferma ‘io sono gentile per la mia posizione gentile’,
Guinizelli di fronte a questo paragona l’uomo al fango e il valore della gentilezza a
quello che è veramente nobile, il sole, un uomo altero è come il FANGO. Il poeta ci
dice che:

l’essere gentile, l’essere nobile non è affatto un PRIVILEGIO SOCIALE, non si è


gentili o nobili per il proprio rango.

Essere gentili è un fatto di natura, è un pregio che non ha nulla a che fare con il
tessuto sociale, si è gentili perché la natura ha voluto questo: il figlio di una schiava
può avere una nobiltà d’animo maggiore rispetto al figlio di un re.

E il poeta afferma ciò nonostante appartenga ad una fascia sociale importante, per lui
siamo tutti uguali, la gentilezza può illuminare il cuore di chiunque non solo le
persone nobili.

La nobiltà d’animo NON risiede all’esterno del cuore come un qualcosa di ereditario
solo per natura si può avere nobiltà d’animo, senza distinzione di rango.

tutto questo avviene come il cielo contiene le stelle e il sole.

30.03.2022

Le prime quattro stanze sono tutte di 10 versi, particolarità della canzone dove ogni
strofa deve contenere lo stesso numero di versi, per Guinizzelli esiste una
contemporaneità tra: AMORE e CUORE GENTILE. Ed arriva ad affermare che
quella nobiltà tipica degli esseri umani è una legge di natura, è essa che rende una
persona umana e con moralità, la nobiltà non dipende quindi dallo sviluppo sociale.

parliamo di nobiltà d’animo, non della posizione sociale.

Individuiamo quindi un concetto non classista, il poeta operava con delle similitudini
naturalistiche per esprimere le sue idee.

V STROFA: (strofa più complessa) vv.40 afferma che il dio creatore splende dinanzi
agli angeli, i quali hanno il compito di muovere il cielo (fatto di tante dimensioni che
rientrano l’una dentro l’altra e tutti mobili per iniziativa degli angeli), e splende più
del sole ai nostri occhi. L’essere angelico capisce immediatamente chi è il proprio
creatore, lo riconosce sempre nonostante egli sia in uno spazio differente da loro
perché non necessita di muoversi; anche qui c’è una contemporaneità: gli angeli
guardano dio e muovono il cielo.

Così come la volontà divina si realizza nell’obbedienza degli angeli, la bella donna da
quando appare seducente agli occhi di chi si innamora di lei, perché dotato di un
cuore gentile, dovrebbe infondere in lui un desiderio di non allontanarsi
dall’obbedienza.

La bella donna deve essere in grado di portare l’innamorato a non desiderare mai di
cessare il suo servizio d’amore, la sua obbedienza, questa DEVOZIONE ha come
termine di confronto l’adesione degli angeli al creatore (termine di paragone con il
divino). Fino al v.40 c’era si un termine di paragone con la forza della natura, ma
l’entità per l’eccellenza nel mondo non era ancora stato nominato: DIO.
VI STROFA: si rivolge alla donna amata e afferma che quando lui sarà alla fine
della sua vita, Dio gli parlerà e gli dirà: ‘Guido cosa ti passava per la testa? (un
rimprovero) hai finito la vita terrena, sei nell’aldilà, e nella vita terrena tu hai preso
me come termine di paragone di un amore vano’. Lo rimprovera di aver amato la
donna piuttosto che lodare lui, si è concentrato più sull’amore: i versi che ha rivolto
alla donna dovevano essere rivolti a DIO e alla MADONNA. Guido teme di essere
punito per la visione che ha sull’amore nonostante si tratti di un amore NON
CARNALE, non è un amore sessuale.

Ed è qui che arriva lo scatto, apre quella che è la visione dello Stilnovo, pensa di
potersi difendere dinanzi a dio affermando che:

la donna di cui è innamorato, quella di cui parla, sembrava a vere le forme e l’aspetto
di una creatura angelica e quindi riconducibile alla grazia divina.

Il suo dunque non è stato un peccata, non ha compiuto un errore nel riporre amore in
una creatura angelica, fornisce quindi una motivazione all’amore verso una donna: se
l’uomo è gentile d’animo, non vuole solo un amore sessuale, ma vuole crescere a
livello spirituale-sentimentale con lei, e lei ha sembianze angeliche tant’è bella, allora
questo amore è BENEDETTO e POSSIBILE.

Successivamente a Guinizzelli ci sarà una schiera di poeti che sosterranno che non ci
si può NON INNAMORARE di una donna, essi usano un lessico e fissano un tono
molto più aggraziati, curati e semplici rispetto a quelli precedenti. Risultano più dolci
nel tono e nelle immagini, troviamo uno stile nuovo, ma la cosa più importante è che
la donna celebrata da questi poeti: non è solo umana e piena di virtù, la sua identità in
terra conta di meno rispetto al fatto che essa è portatrice di una perfezione
sovraumana:

è donna, ma anche ANGELO ed è questa sua entità angelica che la rende amabile.

Stilnovo
Un amore carnale, ma anche: tenero, degno e nobile.

Dalla donna dello stilnovo non ci si aspetta neanche un ‘no’, essendo è angelo non
siamo degni neanche di parlarle, ci si limita a guardarla ammaliato da lontano: è
aldilà della capacità umana, ma allo stesso tempo essendo angelica ti educa e ti
spinge verso la retta via, questo è l’amore DEVE RENDERTI MIGLIORE.
(Decameron: novella di Cimone, un bestione enorme e rozzo che innamorato di una donna diventa
un gentiluomo)
Io voglio del ver la mia donna laudare (pag.191)
Io voglio del ver la mia donna laudare
ed asembrarli la rosa e lo giglio:
più che stella dïana splende e pare,
e ciò ch’è lassù bello a lei somiglio.

Verde river’ a lei rasembro e l’âre,


tutti color di fior’, giano e vermiglio,
oro ed azzurro e ricche gioi per dare:
medesmo Amor per lei rafina meglio.

Passa per via adorna, e sì gentile


ch’abassa orgoglio a cui dona salute,
e fa ’l de nostra fé se non la crede;

e no·lle pò apressare om che sia vile;


ancor ve dirò c’ha maggior vertute:
null’om pò mal pensar fin che la vede.

Poesia di Guido Guinizzelli che si avvicina alle idee dello stilnovo.

I STROFA: vuole laudare la donna amata, la lauda è caratteristica dello Stilnovo


dove i poeti lodano la donna per le sue caratteristiche che trascendono dall’umano, e
vuole paragonare la sua bellezza a quella della rosa e del giglio, a lei assomigliano le
cose belle che sono del cielo; elemento elegante e cortese: la sua donna è bella come
una stella, ma non c’è un elemento metafisico in questo momento.

II STROFA: paragona a lei la verde campagna, il cielo e insieme tutti i colori dei
fiori con le pietre prezioso (qui siamo vicini all’idea di Guittone) siamo di fronte ad
una super eleganza mondana, non c’è il salto al divino e al celestiale; ma comunque
la bellezza di questa donna riesce a rafforzare l’amore in sé.

III STROFA: questa donna passa per la strada adorna di pietre e gioielli, ed è così
gentile che abbassa l’orgoglio di colui a cui dona saluta, questo verso non va
parafrasato alla lettera: questa donna che ha un potere quasi soprannaturale, passa per
il mondo degli uomini, piene della sua bellezza, ed è così nobile interiormente che
mandando una sorta di benedizione, essere in pace con dio e con il mondo, rende
l’altro consapevole di questo e venendo a contatto con lei iniziano a vivere di
semplicità, allontanando l’orgoglio.

IV STROFA: e nessun uomo che sia privo della qualità naturale dell’amore,
gentilezza, non le si può avvicinare, non ci riesce; questo contatto è solo con chi è
capace di dare e ricevere un AMORE NOBILE. E conclude affermando che questa
donna possiede anche un’altra qualità spirituale, fin quando lo sguardo è su di lei
nessuno è più capace di pensare al male, è una visione che ti beatifica.

Si tratta di un sonetto iniziato in maniera mondana, che evolve poi verso lo stilnovo.
01.04.2022

La donna è espressione di grazia ed armonia che allude a qualcosa di celestiale,


nell’opera di Guinizzelli: Io voglio del ver la mia donna laudare, troviamo
l’anticipazione di quella che sarà la visione degli stilnovisti. La donna di cui parla si
avvicina alla Beatrice di Dante, ma in Guinizzelli l’amata ha ancora dei legami
materiali: gioielli, pietre, stoffe preziose…
Guinizzelli è un uomo di svolta nella letteratura italiana in quanto chiude un’epoca e
dà vita ad una nuova, non esiste solo la letteratura contemporanea: essa, come tutte le
cose, ha un passato. Ogni letteratura si caratterizza sulla base del contesto storico,
sociale, culturale, morale, religioso…l’epoca in cui si trovano Guinizzelli o Dante si
fonda ancora su credenze medioevali: si basa tutto sulla religione, la scienza non ha
compiuto ancora molte scoperte e le credenze sono quelle del passato, per poi
modifarsi con il passare del tempo ma comunque partendo da basi passate.

Ex: il primo verso di una poesia si chiama INCIPIT, in passato si anticipava il


contenuto della poesia con il primo verso, non vi erano titoli, la consuetudine di dare
un titolo alle poesie è infatti una congettura moderna.

Intorno al 1285/1290 i poeti toscani cominciano a produrre testi in cui il tema


dell’amore è esclusivo, non c’è altro che amore, e viene trattato sottolineandone
ancora più di Guinizzelli che la donna di cui si è innamorati può innamorare
chiunque, è portatrice di valori estetici, morali, spirituali, è rappresentata come una
creatura che viene da un sopramondo…ma non può dare vita a quei rapporti
sentimentali tradizionali, i due non possono venire a contatto poiché ella è un essere
celestiale.

Non è un amore passeggero, ella non si dimentica anzi ci eleva verso la spiritualità, ci
rende migliori ed essendo concepita come un essere celestiale ci si aspetta che non
possa morire viene dotata di immortalità e questo ci viene mostrato da Dante nella
sua opera: ‘Vita Nova’. Nonostante ad un certo punto della sua opera Beatrice muoia
egli continua a lodarla e lo stesso farà all’interno delle Divina Commedia dove lei
appare, ma appare come personaggio vivente, come anima viva (canto 30 del
Purgatorio) nel mondo ultraterreno. L’amore stilnovistico non concepisce un amore
carnale, la poesia è basata su un rapporto tra uomo e donna di carattere spirituale.
Mentre Dante scrive il canto 24esimo del Purgatorio, 20 anni dopo la creazione di
poesie stilnovistiche, qui immagina sé stesso incontrare Bonagiunta Orbicciani (poeta
pretoscano) con cui si mette a parlare di letteratura ed afferma che ciò che lo ispira
per scrivere poesie è l’AMORE, dentro di sé sente un dettato interiore che lo porta a
scrivere, in questo canto mostra che tipo di poeta è lui stesso. Non è un poeta che ha
un concetto di amore esteriore, non tratta un amore profano, ma un amore
spiritualizzante; parla di una donna che è un ANGELO, la perfezione. (v.52) Questo
porta Bonagiunta a comprendere che quei poeti sono superiori al suo modello, sono
stati in grado di creare un qualcosa di nuovo risultando superiori, è questo lo
Stilnovo, Dante più di chiunque altro poeta è consapevole della svolta che loro hanno
comportato. (Cavalcanti altro autore importante dello stilnovismo) Questa teoria di Dante
non nasce nel momento stesso in cui si individua lo stilnovismo, egli nasce come
poeta stilnovista, ma poi cresce e fiorisce in altro, non è più solo quel tipo di poeta, e
solo in questo momento, quando evolve in altro, prende consapevolezza di quello che
è lo STILNOVO e dà vita a questa sua visione.

Il Dolce Stil Novo, conosciuto anche come stilnovo, è un importante movimento


poetico italiano sviluppatosi tra il 1250 e il 1310, inizialmente a Bologna grazie al
suo iniziatore, considerato Guido Guinizzelli (morto nel 1276), ma poi spostatosi
a Firenze dove si sviluppò maggiormente.
Lo Stil Novo influenzò parte della poesia italiana fino a Francesco Petrarca: divenne
guida, infatti, di una profonda ricerca verso un'espressione raffinata e "nobile" dei
propri pensieri, staccando la lingua dal volgare municipale, e portando in tal modo la
tradizione letteraria italiana verso l'ideale di un poetare ricercato e aulico. Nascono le
rime nuove, una poesia che non ha più al centro soltanto la sofferenza dell'amante,
ma anche le celebrazioni delle doti spirituali dell'amata, a prescindere dalla
corresponsione o meno del sentimento amoroso (lo "stilo de la loda" dantesco). A
confronto con le tendenze precedenti, come la scuola di Guittone d'Arezzo, la
poetica stilnovista acquista un carattere qualitativo e intellettuale più elevato: il
regolare uso di metafore e simboli, così come i duplici significati delle parole.

Questo tipo di scuola poetica rifiuta il compiacimento delle poesie enigmatiche,


rifiutano le ripetizioni e le poesie sovraccariche (ex: poesie di Guittone), lo stilnovo
non ama la pesantezza, scrive in maniera leggera e suggestiva e proprio per questo
prediligono i sonetti. L’ AMORE è l’unica tematica, la donna non viene descritta
come un qualcosa di sensuale, ma l’incarnazione momentanea di una figura angelica
che presto tornerà alla sua vera natura, tendono a non considerare la realtà degli esseri
viventi come uno stato di cose che ha valore in sé per sé: la donna e l’amore sono tali
poiché soggettivi, la donna ci interessa perché fa innamorare l’io. Questa
associazione di poeti è del tutto indifferente al contesto esteriore, non parlano della
posizione sociale, di politica o di quello che li circonda, si concentrano sul loro
amore; nonostante questo non tutti gli stilnovisti sono uguali tra loro.

Gli stilnovisti sono poeti, la maggior parte fiorentini, che danno vita ad opere dolci e
nuove le quali si oppongono alle poesie siculo-toscane, altro poeta stilnovista
importante fu Guido Cavalcanti, la donna di Cavalcanti è una donna che si
innamora, ma stordisce anche, mette in gravi difficoltà: schiaccia e annichilisce
l’uomo, perché la natura angelica, la natura ultraterrena della donna è avvertito da
Cavalcanti come un elemento: irresistibile, ma talmente forte che finisce per
schiacciare l’uomo piuttosto che dargli prospettive più grandi; il contatto con ciò che
è perfetto manda KO più di quanto rende beati. (parliamo di stilnovo drammatico)

Biltà di donna e di saccente core (Cavalcanti)

Biltà di donna e di saccente core


e cavalieri armati che sien genti;
cantar d'augilli e ragionar d'amore;
adorni legni 'n mar forte correnti;

aria serena quand' apar l'albore


e bianca neve scender senza venti;
rivera d'acqua e prato d'ogni fiore;
oro, argento, azzuro 'n ornamenti:

ciò passa la beltate e la valenza


de la mia donna e 'l su' gentil coraggio,
s' che rasembra vile a chi ciò guarda;

e tanto più d'ogn' altr' ha canoscenza,


quanto lo ciel de la terra è maggio.
A simil di natura ben non tarda.

Il valore e la bellezza della donna da lui amata sono superiori ad ogni cosa, anche a
quello che lei rappresenta come dato conoscitivo, il bene è tipico di lei: una donna
così non può non contenere del bene. È un sonetto che ha un INCIPIT, in esso
troviamo un’unione tra i temi di Guittone e quelli dello stilnovo il quale rappresenta
la donna come un angelo.

06.04.2022

Cavalcanti rappresenta molto bene i temi e le caratteristiche dello stilnovismo, ma


allo stesso tempo da vita a quello che noi definiamo: STILNOVISMO
DRAMMATICO, Guido è una persona colta appartenente ad una famiglia
intellettuale e basa la sua visione su quello che era il pensiero di Aristotele: siamo di
natura materiale, la realtà non presuppone un creatore e non può essere spiegata in
maniera metafisica. Questo pensiero è rintracciabile nella sua poetica, la percezione
della donna come un angelo e la sua esaltazione si complica poiché:

dopo aver lodato l’aspetto virtuoso della donna, l’IO innamorato di Cavalcanti ne
esce abbattuto a causa della bellezza della donna, quindi non è appagato, ma stordito
e questo lo porta a sentirsi morire. (ecco perché drammatico)

Tutto questo perché è vero che la donna è una creatura angelica, ma al tempo stesso
l’amore non è un’esperienza di spiritualità anche se sembra tale, è un fenomeno della
vita umana: non è metafisica. Questo atteggiamento porta Cavalcanti in collisione
con il pensiero di DANTE, nonostante fossero molto amici, poiché quest’ultimo vede
la radice dell’amore in un’esperienza metafisica che trascende dall’esperienza umana.
(questa amicizia si va perdendo nell’ultimo decennio del 1200 ed è rintracciabile anche a livello
politico)

07.04.2022

Ha una visione turbata dell’amore, quello che la donna provoca è stordimento e non
solo innamoramento, nonostante abbiamo un’idea dell’amore come un fenomeno
materiale descrive comunque la donna come una figura angelica è quindi in pieno
uno stilnovista. Guido è un uomo aristotelico di inclinazione materialistica, egli
quindi non crede, tuttavia non ha subito ripercussioni: egli è al tempo stesso
stilnovista, ma non vede l’amore come una cosa spirituale.

La drammaticità stilnovistica è data dalla sua tendenza a descrivere l’amore come un


qualcosa di materiale e come tale può suscitare delusioni e dolori, il suo essere un
poeta e al tempo stesso la sua passione filosofica è mostrato in maniera adeguata
nella sua opera: ‘Donna me prega’ una canzone mostrata come un piccolo trattato che
definisce la natura dell’amore.

Tu m’hai sì piena di dolor la mente


Tu m’hai sì piena di dolor la mente,
che l’anima si briga di partire,
e li sospir’ che manda ’l cor dolente
mostrano agli occhi che non può soffrire.

Amor, che lo tuo grande valor sente,


dice: “E’ mi duol che ti convien morire
per questa fiera donna, che niente
par che pietate di te voglia udire”

I’ vo come colui ch’è fuor di vita,


che pare, a chi lo sguarda, ch’omo sia
fatto di rame o di pietra o di legno,

che si conduca sol per maestria


e porti ne lo core una ferita
che sia, com’ egli è morto, aperto
segno.

I QUARTINA: Cavalcanti afferma che la donna gli ha infuso talmente tanto dolore
da portare la sua anima a voler uscire dal corpo, gli occhi mostrano che il cuore non
ce la fa più grazie ai sospiri che il corpo produce, il dolore che la donna gli ha inferto
lo porta a desiderare di morire. L’innamorato è stato colpito nella MENTE, essa nei
poeti è importante perché mostra la capacità dell’uomo di pensare e ragionare
(rappresenta la loro intelligenza), l’amore non tocca solo la sfera emotiva, ma anche
quella intellettuale.

II QUARTINA: il Dio dell’amore si rivolge al poeta affermando che esso è destinato


a morire a causa dell’amore che prova, il poeta vorrebbe chiedere attraverso l’uso
delle parole pietà, ma ella neanche lo sente.

III QUARTINA: l’io lirico diventa un morto che cammina, chi l’osserva non lo vede
come un essere vivente, ma fatto di: rame, pietra o legno

IV QUARTINA: egli si muove solo perché c’è un congegno interno che gli permette
di compiere movimenti nonostante sia morto, una specie di burattino che non esiste in
realtà come essere vivente e la ferita nel cuore mostra ciò.

Voi che per gli occhi mi passaste ‘l core


Voi che per li occhi mi passaste ’l core
e destaste la mente che dormia,
guardate a l’angosciosa vita mia,
che sospirando la distrugge Amore.

E’ vèn tagliando di sì gran valore,


che’ deboletti spiriti van via:
riman figura sol en segnoria
e voce alquanta, che parla dolore.

Questa vertù d’amor che m’ha disfatto


da’ vostr’ occhi gentil’ presta si mosse:
un dardo mi gittò dentro dal fianco.

Sì giunse ritto ’l colpo al primo tratto,


che l’anima tremando si riscosse
veggendo morto ’l cor nel lato manco.

I QUARTINA: solo innamorato l’uomo è veramente vivo, il poeta chiede alla donna
di prendere consapevolezza dell’angoscia che lui stesso prova, quest’amore lo porta a
morire, l’amore gli sta distruggendo la vita. Nuovamente torna la parte intellettuale
quando il poeta nomina la mente, è essa che soffre.

II QUARTINA: l’amore penetra nella sua vita interiore e la ferisce malamente, di


nuovo c’è il tema visivo della ferita interna. Quello che consegue a queste ferite è che
i deboletti spiriti o spiritelli, invenzione poetica di Cavalcanti, vanno via, quegli
impulsi vitali del cuore se ne vanno; dopo che l’io perde questa coscienza gli rimane
solo l’aspetto esteriore e la sua facoltà di parlare che esprime il suo DOLORE, l’io
ferito dall’amore è mezzo morto e tutto quello che gli rimane è la voce che usa per
esprimere il suo dolore (scissione tra: io personaggio e io scrittore).

i sensi, hanno una riconoscibilità fisica le individua come: cellule che si muovono
nell’organismo umano per poi andare verso l’esterno

III QUARTINA: l’amore ha scagliato una freccia contro l’io e l’ha fatto innamorare,
portandolo a morire d’amore.

IV QUARTINA: questo colpo andò dritto al primo tiro che l’anima provò un brivido
vedendo che il cuore era stato colpito ed era come spento, era la morte.

Lo stilnovo drammatico di Cavalcanti ha una sorta di dolorosa coerenza anche con le


vicende della sua vita, era un poeta con tendenze filosofiche, un uomo tormentoso e
tormentato che non celebra la bellezza dell’amore: è un uomo esiliato che soffre per
la rottura dei rapporti con il suo amico Dante e che morirà molto giovane.
Perch’i’ no spero di tornar giammai, una ballata che esprima a pieno la sua
visione sull’amore, è: un’evocazione della donna amata da Cavalcanti che egli
richiama alla sua mente e a cui si rivolge dall’esilio, tema amoroso e politico-
esistenziale. Non si tratta di una donna lodata in presenza, la donna stilnovista passa
per le strade senza farci distinguere dove si trova, infonde in tutto un’atmosfera di
soprannaturalità, ma qui no, qui ci troviamo in un luogo preciso.

Perch’i’ no spero di tornar giammai,


ballatetta, in Toscana,
va’ tu, leggera e piana,
dritt’ a la donna mia,
che per sua cortesia
ti farà molto onore.

Tu porterai novelle di sospiri


piene di dogli’ e di molta paura;
ma guarda che persona non ti miri
che sia nemica di gentil natura:
ché certo per la mia disaventura
tu saresti contesa,
tanto da lei ripresa
che mi sarebbe angoscia;
dopo la morte, poscia,
pianto e novel dolore.

Tu senti, ballatetta, che la morte


mi stringe sì, che vita m’abbandona;
e senti come ’l cor si sbatte forte
per quel che ciascun spirito ragiona.
Tanto è distrutta già la mia persona,
ch’i’ non posso soffrire:
se tu mi vuoi servire,
mena l’anima teco
(molto di ciò ti preco)
quando uscirà del core.

Deh, ballatetta mia, a la tu’ amistate


quest’anima che trema raccomando:
menala teco, nella sua pietate,
a quella bella donna a cu’ ti mando.
Deh, ballatetta, dille sospirando,
quando le se’ presente:
«Questa vostra servente
vien per istar con voi,
partita da colui
che fu servo d’Amore».

Tu, voce sbigottita e deboletta


ch’esci piangendo de lo cor dolente,
coll’anima e con questa ballatetta
va’ ragionando della strutta mente.
Voi troverete una donna piacente,
di sì dolce intelletto
che vi sarà diletto
starle davanti ognora.
Anim’, e tu l’adora
sempre, nel su’ valore

Il poeta trovandosi fuori dal territorio Toscano, perché in esilio, questa ballata serve a
mostrare alla donna da lui amata: i suoi dolori e i suoi sospiri, una ballata che può
essere letta solo da chi ha sentimenti nobili. Chi non è sensibile ai valori della
gentilezza d’animo criticherebbe quello da lui scritto causando angoscia al poeta e
quest’ultimi criticherebbero lo scritto di Cavalcanti anche dopo la sua morte, quindi
questa ballata deve raggiungere la donna amata, ma non deve finire nelle mani degli
ignoranti.

La ballata percepisce la sua sofferenza e il suo dolore, il poeta si sente ormai morire e
chiede alla ballata di aiutarlo portando la sua anima fuori dal cuore per portala alla
donna che ama riferendole che essa, la ballata, è lì per riferire l’amore del poeta e
farle compagnia. La voce del poeta ormai stordita dall’amore riesce appena a farsi
sentire dal cuore che duole, ma anche se debole il poeta chiede a quest’ultima di
spiegare alla donna amata la sua condizione, di nuovo ad essere distrutta è la
MENTE.

La ballata, l’anima e la voce esile che vanno dalla donna amata, troveranno una
donna di dolce intelletto, che capisce i sentimenti degli altri e capace di essere
compartecipe della vita interiore degli altri, che li porteranno a provare piacere. Il
dolce intelletto di questa donna è simile a quell’intelletto d’amore che è proprio delle
donne di valore e che ritroviamo nella ‘Vita Nova’ di Dante il quale scrive in: Donne
che avete intelletto d’amore che le uniche a capire l’innamorato che soffre sono le
donne dotate di intelletto e qui Cavalcanti non è lontano da Dante.

Dante Alighieri
scrive nella sua esistenza diverse opere che potrebbero essere definite e distinte in:
opere organiche, create per avere una struttura compiuta e conclusa, e opere non
organiche che non arrivano a chiudersi, rimangono aperte e non completate. Nella
fase giovanile Dante scrive un’opera compiuta: la Vita Nova, ma scrive anche tante
poesie che non sono organiche; in una fase più matura, dopo il 1301, scrive una serie
di opere che non possono definirsi concluse: De vulgari eloquentia e il Convivio ed
una terza opera saggistica che invece è conclusa: la Monarchia. Scrive infine 13
epistoli, 13 piccole opere chiuse ed infine la più ampia delle sue opere: la Divina
Commedia che è conclusa.

ORGANICHE

Vita Nova, 13 epistoli, la Monarchia e la Divina Commedia.

NON ORGANICHE

De vulgari eloquentia e il Convivio (non arrivate a compimento)

Tuttavia esiste una terza categorie di opere: esse non sono propriamente opere, ma
poesie singole che singolarmente prese sono finite e che Dante non ha mai pensato di
mettere in una raccolta, quindi si presentano come poesie disperse singolarmente
concluse.

La vita di Dante costituisce da sempre un modello, una vicenda eroica:

gli Alighieri sono una famiglia nobile antica impoverita con il tempo, ma non di
tanto; nonostante abbia perso presto entrambi i genitori non gli manco mai nulla e
compi una vita nobile dedicata agli studi, era infatti incline ad una vita intellettuale
vivace. Fu anche cittadino attivo, partecipò ad alcune battaglie, della sua vita non
sappiamo granché nonostante vivesse al centro di Firenze. Ad un certo punto della
sua vita inizierà a frequentare Beatrice Portinari, donna che aveva conosciuto da
bambino, e che ad un certo punto perderà di vista, quest’ultima una volta sposata
morirà in giovane età. Nel 1283 scriverà un suo I SONETTO, qui comincerà la sua
carriera da poeta, all’età di 18 anni; queste sono le poche cose che si sanno della sua
vita.

08.04.2022

Dante giovane dà un primo segno di vita come poeta nel 1283 e avvia così una
produzione di testi caratterizzati dalla sola TEMATICA AMOROSA con
eventualmente episodi di scambi di sonetti con suoi colleghi perlopiù di argomenti
amorosi. Questo giovane poeta lirico è equidistante: consapevole della novità che lo
stilnovo ha prodotto, ma allo stesso tempo tratta questo tema in modo siculo-toscano.
La donna è una figura angelica, ma dalle sembianze umane e si tratta di poesie
caratterizzate da un linguaggio tipico della scuola siciliana…tuttavia con il passare
del tempo acquista caratteristiche cavalcantiane, ma allontanandosi da quella visione
drammatica dell’amore. Il Dante giovane tendenzialmente non scrive canzoni, è un
poeta che dà segni di essere molto vicino a Guido Cavalcanti che in qualche modo lo
ha introdotto all’attività poetica.
La morte di Beatrice, in giovane età (1290), sconvolge il poeta e questo lo porterà a
cambiare il suo quadro: diventa meno banale, non sarà più un bravo poeta medio, ma
sta diventando DANTE, compie un salto di qualità. Questo passaggio è segnato dalla
produzione di un’opera: in parte nuova e in parte no. Intorno al 1293 ripensa a tutte le
poesie scritte allora (più o meno una quarantina) ripensa quindi al suo passato creativo;
di queste poesie ne prende alcune con l’intento di celebrare la bellezza di una donna
in modo abbastanza coerente (25 poesie) a cui aggiunge una serie di poesie scritte per
l’occasione (6 poesie) arrivando ad un totale di 31 POESIE.

Questo lavoro di antologia di brani dura circa un anno e mezzo, il suo intento è quello
di celebrare Beatrice, scrivere in suo onore, tutte queste pagine sono rivolte a lei,
nonostante non tutte erano rivolte a lei, Dante infatti nel corso della sua giovane età
loda molte donne fiorentine (tra queste sceglie solo quelle più adatte per celebrarla)

A queste 31 POESIE aggiunge una serie di brani in prosa che scrive per l’occasione
(6 brani) rivolte solo alla lode di Beatrice.

In questo libro racconta una storia d’amore più spirituale che vera, si tratta di 31
poesie che raccolgono le sensazioni e le emozioni di un uomo innamorato e i brani in
prosa vengono usati come un collegamento tra una poesia e l’altra con l’intento di
creare un racconto.
Una storia d’amore che viene narrata nell’opera: la Vita Nova, conclusa nel 1294.

Dal 1238 al 1307 scrive una serie di poesie singole, successivamente a quell’anno si
dedicherà alla Divina Commedia.

 1283-1292: Dante scrive circa 40 poesie;


 1293-1294: Di quelle quaranta poesie ne prende alcune, 25

25 poesie passate + 6 poesie nuove + 6 brani in prosa

dando alla luce quella che noi chiamiamo: VITA NOVA;


 1295-1307: scrive nuove poesie.
La Vita Nova racchiude: la genesi, gli sviluppi e i sentimenti che l’io lirico prova
per una donna gentilissima, l’autore in un certo punto dell’opera proietta nello spazio
la donna amata, a metà avviene un cambiamento: il protagonista pone la donna amata
in una posizione particolare, la colloca in un mondo particolare e vorrebbe che le cose
andassero avanti così, tuttavia ad un certo punto lei muore e lui reagisce in un modo
poco lineare e complesso.

Nell’opera viene mostrato l’amore che l’io lirico prova per la donna descritta, in un
preciso momento della storia individuiamo un cambiamento, un cambiamento che
l’autore vorrebbe fosse permanente, spezzato però dalla morte di lei, situazione che lo
porta ad avere un atteggiamento difficile da capire inizialmente, ma che poi diventa
sempre più chiaro.

L’autore in questa opera vuole far capire ai suoi lettori quello che lui prova nel
ripensare ad una situazione passata, ma radicata nel ricordo: racconta dell’incontro
con una BAMBINA di 9 anni di cui s’innamora, primo contatto di Dante con la
femminilità, ma che il destino farà allontanare. I due si rincontrano a 18 anni e
nuovamente il poeta inizia a provare dei sentimenti forti per lei, nell’opera racconta i
vari modi in cui l’IO si rapporta con questa donna, tuttavia non vi è: né una
collocazione geografica-temporale né si sa i protagonisti chi sono (un io e una donna
denominata: gentilissima), tutto avviene in un’atmosfera misteriosa e incantata. Non
riporta nulla di Firenze, la città viene descritta in maniera sfocata per concentrare
l’attenzione su questo amore spirituale, quindi non descrive né: la cupola, né S.Maria
in Fiore, né il Battistero…

L’io si vergona a raccontare il suo amore per timore dei giudizi della gente e proprio
per questo fa credere alla sua comunità che la donna a cui si rivolge non è quella che
in realtà ama, finge di amare una donna per non dire in realtà chi è la donna
realmente amata. (donne dello schermo) Provando un forte amore per la ‘gentilissima’
non riesce a crearci un legame, non riesce a rivolgerle parole, per questo verrà deriso
dalla stessa donna amata e dalle sue amiche.

La donna che Dante aveva fatto credere agli altri di amare viene a conoscenza di
questo sentimento e arriverà a negargli il saluto, è a questo punto dell’opera che
avverrà uno scatto: il poeta dolente incontra le amiche della donna amate che difronte
alla sua disperazione proveranno pietà per lui. Tornato a casa Dante scriverà una
canzone: Donne ch’avete intelletto d’amore, solo le donne gentili sono in grado di
capire la sofferenza e i sentimenti di un innamorato e successivamente a ciò inizierà
ad amare la donna senza sperare che venga ricambiato, egli è inferiore, un uomo
mondano che può solo lodare la donna amata poiché angelica.

Una volta MORTA la donna amata l’io entra in lutto, prova un immenso dolore e
informa tutto il mondo della notizia, TUTTI devono sentire quel dolore poiché è
morta la luce. Passato del tempo l’io vede dalle finestre della sua casa una donna che
l’osserva che di fronte alla sua sofferenza prova compassione…in poco tempo egli
inizia a provare per questa donna attrazione mentale dimenticandosi della
sofferenza dovuta alla perdita della ‘gentilissima’. Quella stessa notte, però, la donna
da lui amata gli appare in sogno, lo rimprovera per il suo atteggiamento e sentendosi
immensamente in colpa l’io lirico torna a pensare a lei. Conclude, infatti, l’opera
affermando che:

non avrà pace fino a quando non loderà l’immensa bellezza della donna amata
scrivendo di lei in un’altra opera (torna infatti nella Divina Commedia).

Si tratta di un’opera ricca di allusioni letterarie, lo stile di Dante nella Vita Nova è: la
fioritura dello stilnovo e al tempo stesso il modo per aprire la via ad una situazione
post-stilnovistica. Nell’opera non viene mai fatto un nome, non si sa a chi è rivolto,
solo successivamente, in un preciso punto della Divina Commedia, Dante descrive
Beatrice nella stessa maniera in cui aveva precedentemente rappresentato la donna
amata permettendoci di affermare che era lei la ‘gentilissima’ a cui rivolgeva le sue
lodi, mostra così la sua grandissima capacità di narratore.

13.04.2022

La Vita Nova è l’esito più sostanzioso nella vita di Dante, ma non tutto il Dante
giovanile è rintracciabile in questa opera, per comprendere la sua figura è necessario
analizzare altre sue opere. Negli anni successivi alla sua pubblicazione scriverà altre
opere amorose, ma lontane dalle rime stilnovistiche e parliamo delle: RIME
PETROSE.
Di poco successivo alla Vita Nova sono una serie di rime che Dante scrive e tra di
esse rintracciamo: ‘Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io’; qui riprende i modi
d’amore di Guittone ed individuiamo un gusto aristocratico. Il poeta seleziona
all’interno della città in cui vive una ristretta cerchia di persone nobili d’animo i quali
sono capaci di nobili sentimenti e sono distinti dalla massa volgare, sono autentici
fedeli d’amore in quanto hanno in comune questo senso raffinato e morale dell’amore
e sanno che nell’esercizio di questo sentimento ciascuno di loro cresce internamente.

In questa poesia si rivolge a Cavalcanti e chiede, quasi in sogno, al mago che ha


prodotto quel sortilegio di rendere compagne di navigazione le tre donne amate ai tre
amici. (prima fase di Dante, stilnovo)

Siamo a metà della Vita Nova e l’io ha compreso che per conservare quella ricchezza
biografica e per non impazzire egli deve sublimare quell’amore, Dante è consapevole
del fatto che non potrà mai avere Beatrice poiché non degno e quindi inizia a vivere
l’amore in una direzione unica, è appagato nel LODARE la donna amata non si
aspetta che tale sentimento sia ricambiato. (trova un equilibrio)

Con questa consapevolezza scriverà…

Tanto gentile e tanto onesta pare


«Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia, quand'ella altrui saluta,
ch'ogne lingua devèn, tremando, muta,
e li occhi no l'ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,


benignamente e d'umiltà vestuta,
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.

Mostrasi sì piacente a chi la mira


che dà per li occhi una dolcezza al core,
che 'ntender no la può chi no la prova;

e par che de la sua labbia si mova


un spirito soave pien d'amore,
che va dicendo a l'anima: Sospira.»

Ci troviamo in un’atmosfera stregata, non c’è collocazione geografica o temporale, in


questo sonetto troviamo l’assoluta mancanza di cose concrete, si riesce solo a
riscontrare che la donna angelo di cui parla sta camminando anche se tutto lo sfondo
è sfocato. Nessuno è in grado di rispondere o reggere lo sguardo di tale donna, essa
cammina e sente un mormorio d’ammirazione dalla massa, nonostante questo
continua con umiltà; sembra che dalle sue labbra emerga una forza morale, degli
spiritelli, per trasmettere emozioni a chi è di fronte a lei.

Questo è il più famoso sonetto di Dante in assoluto.

Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra, scritto successivamente alla Vita


Nova, definisce un tipo di donna diverso utilizzando un differente lessico, presente
nelle cosiddette: RIME PETROSE.

quelle rime dedicate a una donna indicata come Pietra, per la sua insensibilità e il suo
rifiuto dell'amore; si tratta di un ciclo di quattro componimenti: due canzoni,
una sestina e una sestina doppia, che tematizzano l'amore per la donna "Petra" che
secondo alcune interpretazioni potrebbe essere un'allegoria della filosofia o una
personificazione allegorica. Queste rime si caratterizzano per il nuovo concetto di
amore che viene proposto da Dante: i versi si caricano di un amore passionale e
carnale in cui si sprigiona una grande forza erotica, molto lontano dall'amore ideale e
spirituale che Dante prova per Beatrice.

Sono quindi 4 componimenti uniti per la loro somiglianza nel contenuto, trattano un
amore diverso: un amore per una donna che si nega e risulta ostile all’io, situazione
che fa soffrire l’innamorato. (non un angelo, ma una donna insensibile e ostile)
Permettono a Dante di allenarsi all’utilizzo di un linguaggio duro e ostile che gli sarà
utile nella stesura dell’inferno.

Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra


son giunto, lasso, ed al bianchir de’ colli,
quando si perde lo color ne l’erba:
e ’l mio disio però non cangia il verde,
5 sì è barbato ne la dura petra
che parla e sente come fosse donna.
Similemente questa nova donna
si sta gelata come neve a l’ombra;
ché non la move, se non come petra,
10 il dolce tempo che riscalda i colli,
e che li fa tornar di bianco in verde
perché li copre di fioretti e d’erba.
Quand’ella ha in testa una ghirlanda d’erba,
trae de la mente nostra ogn’altra donna;
15 perché si mischia il crespo giallo e ’l verde
sì bel, ch’Amor lì viene a stare a l’ombra,
che m’ha serrato intra piccioli colli
più forte assai che la calcina petra.
La sua bellezza ha più vertù che petra,
20 e ’l colpo suo non può sanar per erba;
ch’io son fuggito per piani e per colli,
per potere scampar da cotal donna;
e dal suo lume non mi può far ombra
poggio né muro mai né fronda verde.
25 Io l’ho veduta già vestita a verde,
sì fatta ch’ella avrebbe messo in petra
l’amor ch’io porto pur a la sua ombra:
ond’io l’ho chesta in un bel prato d’erba,
innamorata com’anco fu donna,
30 e chiuso intorno d’altissimi colli.
Ma ben ritorneranno i fiumi a’ colli,
prima che questo legno molle e verde
s’infiammi, come suol far bella donna,
di me; che mi torrei dormire in petra
35 tutto il mio tempo e gir pascendo l’erba,
sol per veder do’ suoi panni fanno ombra.
Quandunque i colli fanno più nera ombra,
sotto un bel verde la giovane donna
la fa sparer, com’uom petra sott’erba.

La donna rifiuta l’innamorato in maniera ostile, la sua bellezza è un qualcosa di raro e


talmente potente che se ricambiasse l’amore sarebbe più forte di una pietra preziosa;
tuttavia essendo così potente se rimani innamorato di lei la ferita è irreparabile. Egli
non ama solo lei, ma anche la sua stessa ombra, un amore che lo fa soffrire
immensamente, la sua bellezza è talmente forte che fa sfigurare ciò che la circonda.

Nei suoi primi anni d’esilio scriverà due trattati: De Vulgari e Il Convivio, sono
entrambi interrotti molto diversi, ma comunque complementari.

Scritto in latino, esso celebra la potenza che sta iniziando ad avere l’italiano,
affermando che si può avere fiducia nel volgare.

Scritto in volgare, afferma che per l’alta cultura, la lingua grammaticale è pur sempre
il latino.

La Divina Commedia si può definire un poema allegorico-didascalico, una


lunga composizione che ha un significato nascosto, non siamo sicuri al 100% di come
lui ha scritto alcuni passi dell’opera poiché con le varie trascrizioni le forme iniziali si
sono modificate. E’ scritto in terzine incatenate di endecasillabi in lingua
volgare fiorentina.
Inizialmente l’opera venne definita dall’autore come SACRATO POEMA, essa non
poteva essere definita: né tragedia perché finiva bene, né commedia poiché aveva un
livello espressivo alto. L’aggettivo «Divina» le fu attribuito
dal Boccaccio nel Trattatello in laude di Dante, scritto fra il 1357 e il 1362 e
stampato nel 1477, ma a è nella prestigiosa edizione giolitina, a cura di Ludovico
Dolce nel 1555, che la Commedia di Dante viene per la prima volta intitolata come
da allora fu sempre conosciuta, ovvero "La Divina Comedia".
Composta secondo i critici tra il 1304/07 e il 1321, anni del suo esilio la Commedia è
il capolavoro di Dante ed è universalmente ritenuta una delle più grandi opere della
letteratura di tutti i tempi, nonché una delle più importanti testimonianze della civiltà
medievale, tanto da essere conosciuta e studiata in tutto il mondo.
La Divina Commedia è composta da tre cantiche che comprendono un totale di
cento canti:
 la prima cantica (Inferno) è di 34 canti (33 hanno argomento l'Inferno; uno, il
primo, è proemio all'opera intera),
 le altre due cantiche, Purgatorio e Paradiso, sono di 33 canti ciascuna.

Tutti i canti sono scritti in terzine incatenate di versi endecasillabi, la Divina


Commedia è dunque superiore in lunghezza sia all'Eneide virgiliana, sia
all'Odissea omerica , ma più breve dell'Iliade omerica.
La Commedia è anche una drammatizzazione della teologia cristiana medievale,
arricchita da una straordinaria creatività immaginativa, la struttura ha tra i suoi
modelli un resoconto arabo del mi'raj, l'ascensione al cielo di Maometto.

La struttura testuale della Commedia coincide esattamente con la rappresentazione


cosmologica dell'immaginario medievale, il viaggio all'Inferno e nel monte
del Purgatorio rappresentano infatti l'attraversamento dell'intero pianeta, concepito
come una sfera, dalle sue profondità alle regioni più elevate; mentre il Paradiso è una
rappresentazione simbolico-visuale del cosmo tolemaico.

IDEOLOGIE PASSATE:
 L'Inferno era rappresentato all'epoca di Dante come una cavità di forma
conica interna alla Terra, allora concepita come divisa in due emisferi, uno di
terre e l'altro di acque, la caverna infernale era nata dal ritrarsi delle terre
inorridite al contatto con il corpo maledetto di Lucifero e delle sue schiere,
cadute dal cielo dopo la ribellione a Dio. La voragine infernale aveva il suo
ingresso esattamente sotto Gerusalemme, collocata al centro della semisfera
occupata dalle terre emerse, ovvero dal continente euroasiatico.
 Agli antipodi di Gerusalemme, e quindi al centro della semisfera acquea, si
ergeva l'isola montagnosa del Purgatorio, composta appunto dalle terre
fuoriuscite dal cuore del mondo all'epoca della ribellione degli angeli.
 In cima al Purgatorio, Dante colloca il Paradiso terrestre del racconto biblico, il
luogo terrestre più vicino al cielo, esso è strutturato secondo la
rappresentazione cosmologica nata all'epoca ellenistica con gli scritti
di Tolomeo. Dietro l'anima di Beatrice, Dante attraversa dunque i nove cieli del
cosmo astronomico-teologico, al di sopra dei quali si distende l’Empireo in cui
ha sede la Rosa dei Beati, posti a diretto contatto con la visione di Dio. Ai nove
cieli corrispondono nell'Empireo i nove cori angelici che, col loro movimento
circolare intorno all'immagine di Dio, provocano il relativo movimento
rotatorio del cielo a cui ciascuno di essi è preposto - questo secondo la dottrina
dell'Atto Puro o Primo Mobile desunta dalla Metafisica di Aristotele
Come si vede, Dante riprende dalla concezione tolemaica l'idea di una Terra sferica,
ma le sovrappone un universo sostanzialmente pre-tolemaico, privo di simmetria
sferica.
La struttura cosmologica della Commedia è strettamente connessa alla struttura
dottrinale del poema, per cui la collocazione dei tre regni, e, al loro interno, l'ordine
delle anime (ovvero delle pene e delle grazie), corrisponde a precisi intendimenti di
ordine morale e teologico.

Nella Divina Commedia, Dante si prefigge il ruolo di poeta vate in quanto


universalizza il proprio viaggio verso la purificazione, per tutti gli uomini, leggendo,
infatti, la Divina Commedia ogni uomo ripercorre il viaggio dantesco purificandosi
anch'esso dai sette vizi capitali.
Dante rappresenta cielo e terra, ma la terra trova nel poema una rappresentazione
nuova, una profonda comprensione della realtà umana, Dante presenta un modo
nuovo e disincantato di percepire la storia: il racconto storico abbraccia il corso dei
secoli con la storia dell'Impero romano e cristiano, delle lotte fiorentine tra guelfi
bianchi e neri, una larga considerazione prospettica della storia della Chiesa e della
storia contemporanea del papato.
L'osservazione della natura è accurata e armoniosa, accentuata nel suo valore
prospettico, ricca e determinata. Il paragone è lo strumento con cui il poeta ritrae il
reale mediante un intreccio di notazioni varie e reali, la natura dantesca scaturisce
sempre da un riferimento personale, tutto in Dante ha un valore soggettivo, il poema
non è solo la storia dell'anima cristiana che si volge a Dio, ma anche la vicenda
personale di Dante, inestricabilmente intrecciata agli avvenimenti che narra. Dante è
sempre attore e giudice.Il poeta ci presenta l'uomo nella sua complessità e ne mostra
il rapporto con Dio, alla luce della tradizione ebraico-cristiana la quale si innestava su
quella classica, greca e latina.[26]
L’allegoria e la concezione figurale sono il fondamento del poema ed il segno più
scoperto del suo medievalismo; il mondo è raffigurato suddiviso: da un lato la realtà
storica e concreta, dall'altro il sopramondo, ossia il significato della realtà storica
trasferita sul piano morale e su quello ultraterreno.
I sesti canti del poema sono di contenuto politico, secondo una visione che si amplia
da Firenze , all’ Italia, all'impero, la scelta del numero 6 non è casuale, perché 6 è
multiplo del 3, numero centrale nella Commedia. In tutti e tre i canti l'intento del
poeta è sempre lo stesso: criticare le divisioni politiche che minano la solidità
dell'Impero creato da Dio unico ed indivisibile.
Nel Paradiso la tematica è quella della legittimità dell'impero universale, istituzione
voluta dalla Provvidenza, garante di pace e di giustizia, ed è affidata
all'imperatore bizantino Giustiniano, personaggio fondamentale della storia antica,
colui che aveva riordinato le leggi romane (Corpus iuris civilis) consentendo la loro
trasmissione alle epoche successive. Quindi sia i guelfi sia i ghibellini sono in errore
ed ostacolano i disegni della Provvidenza, il pensiero politico del poeta ruota perciò
attorno alle istituzioni del Papato e dell'Impero e alle loro funzioni, motivi già trattati
nel Convivio e nel De Monarchia.
Un tema ricorrente nella Commedia è la profezia, il profetismo era largamente diffuso
ai tempi del poeta. Nel XII secolo, in un clima di rinnovamento spirituale, il
profetismo si sviluppò in due principali direzioni:
 una, legata ad un diretto contatto con Dio da ricondurre alla monaca
benedettina Ildegarda di Bingen ed alle sue "visioni";
 l'altra, che ebbe il suo maggior esponente in san Bernardo di Chiaravalle,
avente come base l'esame della complessa realtà del proprio tempo con il fine
di apportarvi miglioramenti dettati dalla carità
Proprio nel 1300 Dante colloca il suo viaggio nell'oltretomba, non a caso strutturato
in forma di visione, attraverso cui denunciare agli uomini i mali del mondo e della
Chiesa e indicandone allo stesso tempo i correttivi, mostrando a tutti gli uomini quale
fosse la giusta strada da percorrere per il rinnovamento dello spirito.
Il ricorso alla profezia consente a Dante-personaggio anche di anticipare
narrativamente la drammatica evoluzione che il Dante scrittore vede dispiegarsi sotto
i suoi occhi. Nella Commedia sono dunque disseminate molte profezie post-eventum,
che riguardano fatti della biografia dell'autore (l'esilio) o collettivi (per esempio il
trasferimento della sede papale ad Avignone ad opera di Papa Clemente V sotto la
pressione dei sovrani di Francia).
Un'altra tematica frequentemente rintracciabile nel poema è il valore-simbolo del
numero, secondo la Bibbia, Dio ha organizzato il cosmo secondo criteri armonici. I
Padri della Chiesa avevano dedicato grande attenzione alla numerologia, Dante aveva
già sperimentato il simbolismo del nove, multiplo del tre simbolo della Trinità,
nella Vita Nuova, dove lo applica a Beatrice: i due si incontrano la prima volta a nove
anni, Beatrice rivolgerà il suo primo saluto all'ora nona…
Nella Commedia i canti sono 100 numero perfetto poiché rappresenta il 10
(moltiplicato per se stesso) denotante compiutezza:
 dieci sono Le zone dell'Inferno (nove più l'antinferno);
 dieci le zone del Purgatorio (antipurgatorio, formato da spiaggia più primi due
balzi, poi le sette cornici ed infine il paradiso terrestre);
 dieci sono le zone del Paradiso (sette cieli planetari, cielo delle stelle fisse,
Primo Mobile, Empireo).
Il numero simbolico trinitario 3 si trova:
 nel numero delle cantiche,
 nei versi in terzine,
 nelle tre guide (Publio Virgilio Marone, Beatrice, San Bernardo)
 nelle tre facce di Lucifero,
 nelle tre fiere del primo canto dell'Inferno,
 nei tre gradini della porta del Purgatorio
 tre sono i gruppi di peccatori nell'Inferno (incontinenti, violenti, fraudolenti);
Per quanto concerne il 9, i cerchi dell'Inferno sono nove, le cornici del Purgatorio 7 a
cui si devono aggiungere Antipurgatorio e Paradiso Terrestre; 9 sono poi le sfere dei
cieli (il decimo, l'Empireo, non è un luogo fisico).
La musica è un altro motivo ricorrente nel poema ed è quindi una presenza frequente
nella Commedia, nel Purgatorio il canto delle anime ha effetto catartico
(purificatorio), creando effetti di rasserenamento e i riferimenti musicali hanno
valore etico.
La rappresentazione della luce è frequente nel poema e ad essa si contrappongono le
tenebre, tutte le divinità dell'antichità si identificavano con la luce ed il Bene,
l'Inferno è invece il regno delle tenebre, mentre, ovviamente, il Paradiso il regno
della luce che è la sostanza stessa del regno celeste.
Il poema dantesco riprende quindi i seguenti motivi: il topos del viaggio
nell'oltretomba presente nella poesia epica greco-latina; il topos del viaggio-percorso
di formazione presente nel romanzo cortese-cavalleresco; il tema della fine del
mondo presente nel francescanesimo e nei movimenti ereticali medievali. La Divina
Commedia contiene inoltre la sintesi della poetica dantesca espressa attraverso il
valore profetico dell'opera confermato dalla guida e presenza di Beatrice, attinto dalla
forza trascendente di Dio che conduce ad un rinnovamento morale. La sintesi della
poetica dantesca è espressa anche da una nuova teoria dell'amore secondo una
prospettiva di itinerario verso Dio che porta ad un rinnovamento morale e spirituale.

Il poeta narra pertanto di un viaggio immaginario, ovvero di un Itinerarium mentis


in Deum, attraverso i tre regni ultraterreni che lo condurrà fino alla visione
della Trinità.

È stato notato come tutte e tre le cantiche terminino con la parola «stelle»
 Inferno: "E quindi uscimmo a riveder le stelle";
 Purgatorio: "Puro e disposto a salir a le stelle";
 Paradiso: "L'amor che move il sole e l'altre stelle".

Il poema è diviso in 3 PARTI, chiamate «cantiche» (Inferno, Purgatorio e Paradiso),


ognuna delle quali composta da 33 canti (tranne l'Inferno, che contiene un ulteriore
canto proemiale) formati da un numero variabile di versi. L’opera quindi sceneggia il
viaggio che un essere in carne ed ossa fa nell’aldilà seguendo i valori della religione
cristiana pertanto l’opera prevede tre regni:
1. INFERNO: qui troviamo coloro che hanno compiuto peccati gravi e non
perdonabili, esso viene rappresentato come un cono rovesciato composto da
gironi dove vengono raccolti i peccatori che espiano i loro peccati secondo la
legge del contrappasso;
2. PURGATORIO: altissimo monte nel quale di balza in balza sono collocati i
vari tipi di peccatori che una volta presa coscienza dei propri errori e solo dopo
aver concluso le loro pene potranno ascendere al paradiso; (rovescio del cono
dell’inferno)
3. PARADISO: terra meravigliosa, verde e fiorita, parliamo del paradiso
terrestre: l’Eden. Ancora una volta troviamo una suddivisione gerarchizzata,
per Dante ognuno ha quello che merita, qui troviamo i BEATI, tutti
accomunati nella gioia del Signore, nessuno è invidioso delle condizioni
superiori degli altri.

Dopo aver visitato il paradiso, Dante per un attimo riesce a vedere Dio, ne esce
stordito, ma comunque ricorda la sua presenza e concluso il suo viaggio inizia la
trascrittura dell’opera.

Le sue Guide: Durante il viaggio Dante viene accompagnato dalla forza della
ragione che è rintracciabile nella figura di Virgilio, personaggio che il poeta incontra
all’inizio dell’opera (limbo) e che lo accompagnerà anche per la maggior parte del
viaggio lungo il Purgatorio, abbandonerà l’autore prima dell’arrivo al Paradiso poiché
nato prima del cristianesimo, Virgilio si trovava infatti nel Limbo insieme ali non
battezzati e pertanto non era degno di accompagnarlo alle porte. Qui Dante avrà una
nuova guida: Beatrice, individuiamo quindi il passaggio dalla forza della ragione
alla FEDE, sentimento del divino che va oltre le capacità umane. In cima al Paradiso
non basterà più neanche la fede affinché Dante possa vedere Dio e allora giungerà la
forza mistica con S.Bernardo.

Attraverso l’opera Dante prende sempre più consapevolezza della malvagità che
costituisce il MONDO, il suo è uno sguardo soggettivo: l’autore è il viaggiatore
stesso, diventa il protagonista dell’opera. Tutto questo avviene poiché egli, ad un
certo punto della sua vita, si era trovato in crisi molto grande sia intellettuale che
morale…allegoricamente l’opera racconta di un personaggio che si è perso in una
selva nella quale si aggira senza speranza di uscirne: la selva del terrore e del peccato.
Ogni essere umano può trovarsi nell’errore, perdere la retta via, lui sta per chiunque
possibile, ognuno può riconoscersi in lui e al contempo Dante parla di se stesso
poiché in quel periodo della sua vita si sente perso e nell’errore; l’opera in fatto inizia
con una situazione di spaesamento:

‘Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura chè la diritta
via era smarrita’
Dante infatti si presenta al suo pubblico sotto un aspetto duplice:
 da un lato: il Dante agens, o il Dante personaggio, colui che compie il viaggio
dall'Inferno,
 dall'altro il narratore: il Dante auctor, o il Dante poeta di questa esperienza
straordinaria.

Il viaggio è l’allegoria di una mutazione interiore che Dante deve fare con sé stesso,
deve cambiare il suo modo di vivere altrimenti non uscirà mai da quella situazione di
errore che lui ha allegorizzato nella selva. Il viaggio ultraterreno non è ambientato nel
periodo in cui scrive l’opera, il 1308, bensì nel 1300, attraverso il viaggio nell’inferno
si fortifica la sua fede e inizia a pensare ad uno stile di vita differente, più cristiano.
(abbandonare i vizi e avvicinarci alla fede, in previsione del giorno del giudizio universale )

3 7 9 numeri angelici che ritroviamo continuamente all’interno dell’opera, la Divina


Commedia è un’opera profetica Dante sembra anticipare l’arrivo della fine del
mondo, il giorno del giudizio universale dove Dio riporterà in terra suo figlio,
giudicherà i nostri peccati e punirà o loderà in base alle nostre azioni passate.

21.04.2022

L'Inferno, la prima delle tre cantiche, si apre con un Canto introduttivo, il PRIMO,
(che serve da proemio all'intera opera), nel quale il poeta Dante Alighieri racconta in
prima persona del suo smarrimento spirituale e dell’incontro con Virgilio, che lo
condurrà poi ad intraprendere il viaggio. Dante si ritrae, infatti, "in una selva
oscura", allegoria del peccato, nella quale era giunto avendo smarrito la "retta via", la
via della virtù, e giunto alla fine della valle scorge un colle illuminato dal sole.
Dopo essersi riposato e poi incamminato lungo la spiaggia deserta verso il colle, gli si
parano davanti, in sequenza:
1. una lince (lonza) dal pelo maculato: LUSSURIA;
2. un leone: SUPERBIA;
3. una lupa: CUPIDIGIA.
Parliamo delle tre fiere, quest’ultime, nell’opera, si pongono di fronte a Dante con
fare feroce impedendogli di andare oltre, situazione che porterà l’autore a chiederà
aiuto. Fin dal I CANTO afferma che il mondo in cui si trova lui è un mondo di vizi,
non è l’unico ad aver perso la diritta via, tutto il 1300 (anno giubilare) è un momento
della storia in cui tutto il mondo è corrotto, persino la Chiesa. Tutta la terra rischia di
scoppiare ed è proprio questo che da grande angoscia all’uomo il quale si rifugia nei
vizi: lussuria (lince), la violenza sopraffattrice (leone), la cupidigia (lupa).
La smania di possesso, la visione della lupa, porta Dante alla disperazione convinto
ormai che non ha via di scampo, in suo soccorso giungerà la figura di VIRGILIO,
l’atteggiamento di Dante nei confronti di questa figura non è di indifferenza bensì di
ammirazione vera. Dopo una lunga conversazione intrapresa con quest’ultimo,
l’autore intravede in lui una guida e da qui inizierà il suo viaggio nell’oltretomba.
Virgilio nell’opera è il simbolo di quella che noi definiamo: razionalità dell’uomo,
la RAGIONE, la capacità di non vivere solo di istinti; la sua ombra era fin dall’inizio
al fianco dell’autore, ma egli inizialmente non l’aveva notata, quindi con questo
incontro Dante vuole dimostrare come la capacità razionale si presenta sempre
nell’uomo, ma a volte in certe situazioni aspettiamo a lungo prima di farne uso.
Quest’ultimo consiglierà a Dante come uscire da questa situazione di errore e di
smarrimento cambiando logica, nell’opera infatti afferma che i mali del mondo
rimarranno fino a quando non verrà un REDENTORE, qualcuno che migliorerà il
mondo, di nuovo un collegamento con il cristianesimo che prevede l’arrivo di un
redentore. (sostenuto anche da Machiavelli nel Principe) Attraverso il viaggio verso l’aldilà
si vuole mostrare a Dante qual è il male e come rifiutarlo, poiché solo scegliendo il
bene verremo premiati e graziati.

La Divina Commedia non è l’unico racconto su un viaggio verso il mondo


ultraterreno (Eneide), vi sono stati altri casi in cui un mortale ha attraverso l’aldilà,
ma l’autore si interroga sulle sue capacità, domanda a Virgilio se è veramente degno
e in grado di compiere questo viaggio. Il viaggiatore verrà tranquillizzato dalla sua
guida poiché questo viaggio è voluto da forze superiori, qualcuno dall’aldilà lo ama e
ha deciso di fargli compiere questo viaggio per salvarlo dalla perdizione, da quella
situazione di crisi in cui si trovava in quel periodo. (voluto da: MARIA, S. LUCIA e
BEATRICE)
(Beatrice sotto volere di Dio e per amore di Dante andrà in suo soccorso, ma attraverso questo
potrà anche lodare sé stessa di fronte all’onnipotente)
Alla fine del primo canto Dante incomincia il suo viaggio verso le porte dell’inferno.

22.04.2022
Nella Divina Commedia i peccatori vengono puniti e i beati lodati, tutto questo
avviene attraverso quella che noi definiamo Legge del Contrappasso: le pene che
affliggono i dannati dell’Inferno e gli espianti del Purgatorio sono assegnate in base
alle colpe che hanno commesso in vita. La corrispondenza tra colpe e pene, fra
peccato e punizione, è regolata da questa legge che viene suddivisa per: ANALOGIA
o per CONTRASTO.
 PER ANALOGIA: consiste nella perpetua ripetizione del peccato commesso
 PER CONTRASTO: nella ripetizione del co portamento opposto a quello
peccaminoso.
STRUTTURA DELL’INFERNO: Lucifero, prima uno degli angeli più belli del
firmamento, conduce un giorno una rivolta contro Dio spinto dalla superbia, la rivolta
fallisce miseramente e questo angelo, ormai dannato, viene fatto precipitare giù dal
cielo, il terreno era talmente inorridito che si scansa, aprendo un’immensa
voragine che sarà appunto l’Inferno. La terra spostata si rialza dalla parte opposta del
globo formando la gigantesca montagna del Purgatorio.
La voragine in cui si trova l’Inferno della Divina Commedia non è un semplice fosso
ma un intero mondo sotterraneo con una sua geografia precisa che Dante, canto dopo
canto, descrive in modo dettagliato. Gerusalemme è la città attraverso cui si accede
all’Inferno, l’ingresso è consentito attraverso il passaggio entro una porta che reca
una scritta minacciosa incisa sopra: ‘lasciate ogni speranza o voi che entrate’. Essa
apre una zona detta:
 Antinferno: dove si trovano gli IGNAVI, cioè le anime di quelli che in vita
non scelsero mai né di fare del bene ma neppure di fare del male, e sono quindi
rifiutati sia dal cielo;
Successivamente è richiesto l’attraversamento di un fiume, l’Acheronte, dove un
traghettatore, Caronte, porta sulla sua barca le anime dei dannati verso la riva
opposta. Prima di giungere all’inferno troviamo la zona detta Limbo – in cui
scopriamo le anime dei non battezzati e dei nati prima di Cristo.
L’Inferno di Dante è formato da nove zone, nove “cerchi”, cioè dei cornicioni
giganteschi, uno più in basso dell’altro che continuano fino a raggiungere il centro
della Terra dove si trova conficcato Lucifero dal tempo della sua caduta. (La zona più
cupa dell’Inferno comincia a partire dal sesto cerchio, dopo il fiume Stige)

 La Città di Dite è il nome della zona più profonda dell’Inferno che si apre
dopo il quinto cerchio, questa zona è ulteriormente ramificata;
 Dopo le dieci bolge si apre il tetro pozzo dei giganti dopo il quale giungiamo
nell’ultima e più tragica zona dell’Inferno: il nono cerchio, dove sono puniti i
traditori ripartiti in quattro zone diverse.

Lo schema dell'Inferno:
Questo mondo così disposto è pieno di demoni, bestie mitologiche, personaggi
che Dante riprende dalla letteratura classica, dall’epica, dal romanzo cortese o
dalla vita reale. L’inferno si presenta quindi come una voragine generata dalla caduta
di Lucifero a forma di imbuto rovesciato, si accede ad esso giungendo a
Gerusalemme e in ordine troviamo:

 Antinferno: con gli ignavi


 Acheronte e Limbo: I° cerchio
 II° - V° cerchio: lussuriosi, golosi, avari e prodighi, iracondi e accidiosi
 Mura della Città di Dite: con il fiume Stige
 VI° cerchio: eretici
 VII° cerchio: violenti (divisi in tre gironi) con il fiume Flegetonte
 VIII° cerchio: fraudolenti (hanno progettato a tavolino di fare del male)
 IX° cerchio: traditori, fiume congelato Cocito
 Lucifero al centro della Terra

La condizione che vive Dante nell’inferno non è delle migliori: urla, grida, dolore,
oscurità, cambiamenti climatici (caldo e freddo straziante) …nonostante egli non
dovrebbe provare tali sensazioni. La figura di Virgilio sarà molto importante per il
viaggio poiché non solo darà ulteriori spiegazioni a Dante, ma anche per i rimproveri
e il sostegno che egli darà consapevole della difficoltà che un’anima non morta possa
provare di fronte a tale situazione.

Inferno:
I primi che Dante incontra sono gli Ignavi, essi sono condannati a seguire una
bandiera, stimolati dagli insetti, senza uno scopo preciso che piangono e si lamentano
e sono coloro che durante la vita non presero mai una posizione, il paradiso e persino
l’inferno li sdegnano, non vale la pena neanche di fermarsi a guardarli.

Segue il fiume Acheronte che separa coloro che non sono del tutto dannati da
coloro che lo sono, c’è un pilota di barca: CARONTE che ha il compito di trasportare
le anime, una figura mitologica. Caronte vorrebbe opporsi a questo passaggio, non
vuole permettere ad un mortale di attraversare l’aldilà, ma Virgilio permette questo
affermando che è volere di Dio ed egli comanda anche all’Inferno. Le anime che sono
nella barca, ormai consapevoli della loro fine, sono impazienti di provare la loro pena
e consapevole di quanta malvagità e di quante persone pecchino Dante sviene e si
risveglia al di là della sponda.

Nel IV CANTO ci si trova in un paesaggio sospeso, non vi è ancora dolore pura,


siamo nel Limbo non si sente dolore, ma sospiri qui si trovano colore che hanno
vissuto prima della società cristiana, i NON BATTEZZATI (visione cristiana
tipicamente Medioevale, quindi molto rigida) essi soffrono perché sentono che gli
manca qualcosa, si struggono. Dal limbo, tuttavia, qualcuno è venuto fuori e sono gli
antichi ebrei virtuosi, liberati da Gesù nel lasso di tempo tra la morte e la resurrezione
poiché non era divinamente giusto che tutti gli ebrei dignitosi, giusti e buoni stessere
in quel posto solo perché nati prima, alcuni di loro come: Abramo o Mosè avevano
anticipato il Cristianesimo, la venuta del Cristo, infatti il cristianesimo è formato dal
popolo che vi era prima e dopo Cristo.
Il limbo è anche una valletta, una zona specifica come area verde in cui sorge un
castello, nella zona verde Dante viene condotto a vedere: OMERO, ORAZIO,
OVIDIO e LUCANO, figure gloriose nella storia del mondo e hanno quindi meritato,
nonostante non battezzati, un luogo a parte. Si ferma a parlare con loro i quali lo
trattano alla pari, quasi fosse un poeta della loro stessa portata, lo fecero sentire alla
pari. Oltre questi spiriti di poeti troviamo gli spiriti magni, collocati nel castello,
coloro che per la loro magnificenza hanno meritato di essere sottratti da un luogo di
nullificazione assoluta (Ettore, Enea, Cesare, Aristotele, Socrate, Platone, Seneca…).

Dante incontra i Lussuriosi, tenuti sotto controllo da MINOSSE, qui si inizia a


vedere effettivamente il dolore, il primo cambiamento climatico che incontra Dante è
una tempesta, un vento fortissimo, qui nel II CERCHIO i dannati di fronte a tele
sofferenza bestemmiano contro Dio, qui troviamo coloro che si sono abbandonati alle
loro passioni, messi in fila indiana e dinamizzate dal vento stesso.
Dante realizza che qui vi sono anche i più grandi personaggi dei romanzi francesi,
iniziò perciò ad alterarsi poiché li vi era in ballo anche la sua cultura. In questo girone
anticipa le figure di Paolo e Francesca mostrandoci prima altri eroi della storia
d’amore come: Tristano e Isotta o Ginevra e L’Ancillotto; quindi successivamente la
sua curiosità si rivolge a due dannati in particolare a cui chiede di raccontare la loro
storia (stabilisce lentamente il contatto con Paolo e Francesca) (vv.82).
Di per sé la lussuria non è peccaminosa, ma lo diventa quando si eccede, Dante
scrittore immagine che Dante personaggio incontri Paolo e Francesca, il contatto si
stabilisce in maniera lunga e difficile:
Allo stesso modo in cui due colombe mosse dall’amore vanno per il cielo quasi
spinte dal vento, così queste due anime uscirono dall’insieme di peccatori lussuriosi,
con a capo Didone, e si avvicinarono a Dante stabilendo un contatto perché il suo
appello fu sufficientemente loquente. (V CANTO)
Francesca prende la parola e inizia a raccontare la sua storia poiché attratti dalla
gentilezza con la quale Dante ha chiesto loro di raccontarsi, nonostante i peccati
commessi, essi hanno indotto qualcuno ad incidere, indirettamente sono complici.
Alla base del loro peccato vi è l’amore: Francesca da Rimini, nata a Ravenna, era
sposata con Gianciotto, fratello di Paolo; in questo canto l’innamorata spiegherà a
Dante come tutto accadde. La loro è la storia di due AMANTI, l’amore e la bellezza
di Francesca indussero Paolo Malatesta ad innamorarsi di lei, sentimento che in
poco tempo sarà ricambiato. L’amore scoccò mentre i due stavano leggendo il libro
sull’amore tra l’Ancillotto e Ginevra, durante la lettura trovarono calore nel bacio che
alla fine si scambiarono e che caratterizzò l’inizio della loro passione, fu proprio
questo amore che causò loro la MORTE, per mano del marito di Francesca. E
nonostante si trovino all’inferno tra i due c’è ancora simbiosi, subiscono la pena
insieme stando vicini, la loro passione è fortissima ma peccaminosa e alla
conclusione del racconto Dante a sviene nuovamente.
27.04.2022
VI CERCHIO nei primi due versi riprende il racconto precedente parlando dei due
cognati, riprende i sensi e prende consapevolezza dell’adulterio che vi è dietro quella
storia, è una vicenda che va considerata a mente fredda. Lo stilnovo qui induce al
male: amore vero ma finisci all’inferno, nell’opera afferma che è vero che l’amore è
la più nobile dell’esperienza dell’uomo e se fatto bene porta sulla via della
beatitudine, ma non sempre l’amore è buono e pure, quello di Paolo e Francesca è
passionale, ma sbagliato. Superati i vari cerchi arriva al IV, ci troviamo nel X
CANTO, quello degli Eretici dove incontra il padre di Guido Cavalcanti, a cui dirà
della morte del figlio e Farinata a cui anticiperà l’esilio.
28.04.2022
Dopo essere riusciti ad entrare nella Città di Dide incontrano gli Eretici, dove avviene
un primo incontro con Farinata, un incontro con Cavalcanti ed un secondo incontro
con Farinata; i primi 21 versi mostrano la punizione a cui sono sottoposti gli eretici,
coloro che non hanno voluto credere, costretti a stare all’interno di tombe brucianti, si
passa all’incontro con Farinata.

L’anima di quest’ultimo dice a Dante di aver causato danni alla propria città, Firenze,
si pone a lui in maniera cordiale ma poi con fare altezzoso domanda al pellegrino la
famiglia d’origine, in modo arrogante cerca di capire se era una persona di classe o
no (inizialmente il dannato con l’intento di accalappiarsi Dante si pone in maniera cordiale, ma poi
rivela la sua vera superbia) dandogli poi contro una volta scoperto fosse un guelfo
(papa), suoi acerrimi nemici (esiliati da lui stesso). L’autore risponderà a tono a questo
poiché i guelfi sono sempre riuscita ad alzarsi, tant’è vero che alla fine riusciranno a
vincere loro stabilendosi a Firenze definitivamente.

Riconosciuto il viaggiatore Cavalcanti si avvicina a loro e preoccupato dall’assenza


del figlio, il quale aveva le stesse capacità di , inizia a temere la sua morte; tuttavia la
razionalità di Virgilio porterà l’autore a giustificare l’assenza di Guido con la sua
mancanza di fede, egli infatti non credeva e per tale motivo non poteva compiere quel
viaggio, ma nel dire questo utilizzò un verbo al passato facendo comunque
comprendere a Cavalcanti la prematura scomparsa del figlio.

Farinata riprende subito a parlare che non sembra provare dispiacere per la scomparsa
di Guido, ma riprenderà il discorso sulla politica affermando che l’incapacità del suo
partito di riprendersi dall’esilio provoca in lui più dolore della sua stessa situazione di
dannato affermando che il suo vero intento non era quello di fare del male al proprio
paese, ma si giustifica dicendo che non solo lui ha fatto del male ed anzi spesso la
difese (quando i ghibellini voleva distruggere la città per combattere i guelfi lui si
rifiutò). ANTICIPA A DANTE IL SUO ESILIO

29.04.2022
Dopo il canto X Dante procede scendendo di cerchio in cerchio e perviene al basso
inferno, zona di punizioni ben più gravi ed incontra figura memorabili come: Pier
Delle Vigne, suicida.

Nel CANTO XVI viene a contatto con alcuni personaggi attivi nella politica Toscana
con i quali si soffermerà a parlare di tale argomento incentrandosi sulla questione
della corruzione che vi era in Italia, ma anche in tutto il mondo in quel determinato
periodo storico.

Fraudolenti, volando sulle ali di Girone, mostro con il corpo umano e il volto di
serpente simbolo della frode, Dante e Virgilio scendono dalla seconda parte
dell’inferno, nella zono più bassa ancora, quella degli ingannatori.

Nella IV BOLGIA incontra gli indovini ed esso è occasione per la ricostruzione di


fatti storici, mentre nel CANTO XXI incontrerà delle figure molto importanti i
Barattieri coloro che hanno fatto un pubblico commercio della loro carica. Anche
qui il canto può essere suddiviso in sezioni:
 Nella prima sezione di questo canto Dante descrive il luogo in cui si trova
paragonandolo ad una città italiana, coloro che si trovano in questo girono sono
costretti a fare il bagno in un calderone bollente di pece. Proprio questo
‘spettacolo’ richiama al poeta l’Arsenale: luogo in cui si fanno e si riparano gli
strumenti più potenti per la Repubblica di Venezia, le NAVI (a quell’epoca una
delle città più belle e ricche e resterà tale fino al ‘500). Si trattava di una bolgia
(VI) estremamente scura e nera, richiamava ad un qualcosa di bollente che
l’autore con una similitudine associa all’Arsenale. (questo brano rappresenta lo
stato d’animo in maniera molto sottile) Voltandosi vide un diavolo che portava
rovesciato sulla spalla il corpo di un peccatore mentre gridava ad un altro
malebranca, diavoli che costudivano questa bolgia, di buttare quello che aveva
sulle spalle nella pece per andarne a prendere altri, i peccatori sono costretti a
nuotare nel dolore in eterno, non possono risalire neanche per respirare poiché
verrebbero graffiati dai diavoli, dolore ben più forte di quello della pece.
 qui incontrerà un’importante barattiere,
 Virgilio è intento a barattare con i diavoli che vogliono bloccare il cammino
intrapreso dai due
 nel quarto segmento Dante confessa la sua paura,
 uno dei diavoli, Malacoda, inizia a raccontare alcune bugie che vengono
individuate da Dante e rese pubbliche,
 ultimo segmento: Dante e Virgilio riprendono il cammino per passare da
questa bolgia ad un’altra, ma si tratterà di un viaggio colmo di disagio poiché
alcuni diavoli si sono imposti a loro come guide.

Raggiungono finalmente la VI BOLGIA dove incontrano i corretti, qui vedono molti


personaggi importanti dei loro tempi: frati, politici, sacerdoti…ci troviamo nel girono
degli Ipocriti.

Nel CANTO XXIV dove si trovano i Ladri Dante e Virgilio incontrano Vanni Fucci,
uomo abile nel rubare come nessuno che viene morso da un serpente e diventa cenere
per poi ridiventare uomo, stiamo andando verso forme di mortificazione della forma
umana raccapriccianti.

Nella VII BOLGIA, troviamo i consiglieri di frode, coloro che non hanno rubato
direttamente ma che hanno indotto altri a commettere tali peccati, sono delle persone
in malafede intellettuale, non sono dei ladri con la mano ma corruttori con il pensiero
ed è proprio qui che scrive una delle sue pagine più famose: l’incontro con ULISSE.
Nel VIII CERCHIO troviamo coloro che hanno ingannato e prodotto il falso con la
parola, costretti per l’eternità a subire il calore del fuoco che ha la forma di una lingua
(analosia), la lingua per Dante può bene e può male. L’autore si troverà dinanzi ad
una fiamma con due punte: una occupata da Ulisse e l’altra da Diomede, al momento
più esatto Virgilio chiederà al primo di raccontare la sua storia e quello che l’ha
portato a subire tale pena, mentre Dante ascolterà estasiato.
Ulisse inizia così a raccontare il suo viaggio successivamente all’incontro con la
Maga Circe, sua amante, affermando che il suo vero intento era quello di conoscere i
vizi degli uomini e il loro valore, il modo in cui gli uomini erano fatti, questo
desiderio lo spinsero a partire con la nave seguito da un piccolo gruppo di marinai e
invece di tornare a casa si spinse in mare aperto (contrariamente alle tradizioni
l’Ulisse di Dante non ritorna ad Itaca dopo la maga Circe, ma per conoscenza si
spinge verso un nuovo viaggio).

03.05.2022
Nella Divina Commedia abbiamo una visione del re di Itaca differente da quella a cui
eravamo abituati, questo uomo così particolare e desideroso di conoscere non ha
fatto, come tradizionalmente si dice, ritorno ad Itaca dopo il soggiorno con la maga
Circe, ma si rimette in viaggio verso il mare aperto; l’Ulisse di Dante non ha sentito
moralmente il bisogno di fare ritorno a casa. Parte così sulla sua barca con un ristretto
gruppo di fedeli marinai che non hanno voluto abbandonarlo, raggiungono così le
COLONNE D’ERCOLE, punto in cui la costa occidentale e quella africana sono
vicinissime (stretto di Gibilterra)

Lo stretto di Gibilterra era un tempo chiamato col nome di Colonne d’Ercole, con
esso si intendeva riferirsi a quello che era creduto essere il limite invalicabile del
mondo conosciuto, e dal punto di vista metaforico, il limite della possibilità di
conoscenza umana (il non plus ultra). Gli storici ed i mitografi hanno identificato
questo punto come la Rocca di Gibilterra, mentre altri mitografi (in minoranza)
credono che questo luogo corrisponda all’odierno Stretto di Messina, le Colonne
corrisponderebbero ai due promontori di roccia che si trovano a fianco dello stretto di
Gibilterra. Nel mito, le Colonne d’Ercole rappresentavano la frontiera del mondo
civilizzato, nessuna nave si azzardava ad andare oltre: si riteneva che lì, infatti, il
mondo terminasse. Il mito ricollega la leggenda a quella di Ercole, il quale avrebbe
dovuto rubare il bestiame di Gerione, che viveva proprio agli estremi confini del
mondo occidentale, confine che non supererà mai. Sulle colonne, secondo la
leggenda, venne incisa la scritta ‘non plus ultra’, ‘non più oltre’. Oltre le colonne
c’era l’ignoto, lo spaventoso, la fine del mondo.

Le colonne d’Ercole erano il limite delle capacità umane, l’uomo non poteva
spingersi oltre, l’Ulisse di Dante preso dalla voglia di conoscere varcò questo confine
commettendo un peccato mortale. In questo girone Ulisse racconta all’autore il
viaggio da lui compiuto: nel momento dell’arrivo al punto desiderato, Ulisse e i
marinai sono ormai vecchi, e sarà proprio questa prerogativa a convincere i marinai a
mettersi in viaggio. Il re di Itaca, giunti al confine, parla alla sua flotta, trovandosi
ormai al punto conclusivo della loro vita, non ci si poteva, secondo lui, rifiutare di
vedere l’ignoto, sottrarsi da tale fortuna.

Finalmente dopo un lungo periodo di navigazione riuscirono a raggiungere il punto


desiderato, provarono meraviglia di fronte a quello spettacolo, avevano visto
qualcuno che nessuno aveva mai osservato, ma la gioia durò un attimo poiché il
sopraggiungere della tempesta colpì la loro nave facendola naufragare, una forza
ultraterrena volle che così finisse il loro viaggio e la loro vita.

Il canto finisce con la fine del discorso del personaggio, cosa particolare.

Nel CANTO XXVII ci troviamo ancora vicini a quella che è stata l’esperienza di
Ulisse, individuiamo un peccatore che ha utilizzato male la sua intelligenza, sfruttata
per persuadere gli altri, qui la storia e la persona è meno eroica parliamo di: Guido
da Montefeltro cospicuo feudatario di una terra tra la Romagna e le Marche (va
ricondotto al cristianesimo e all’atto del perdono, non bisogna avere equivoci su chi ha la
possibilità di perdonare). Nella vita mostra grandissime capacità militari, è uno stratega
militare che tuttavia non è un esecutore delle volontà altrui, è un uomo politico che
diviene nel corso degli anni il più importante esponente del partito GHIBELLINO
(contro il Papa).

Dante incontra questo personaggio all’interno di una fiamma, la prima richiesta che
avrà il dannato sarà quella di farsi fare un quadro politico della situazione in
Romagna durante quel periodo storico, questa sua passione versa la sua terra ci
ricorda: Farinata. Nel canto XXVII, Guido, presa coscienza di avere davanti a sé
un’anima gli rivolge parola chiedendogli della situazione politica romagnola e sotto
volontà di Virgilio Dante risponde affermando che pace in quel periodo non c’è.
Dopo questa informazione l’autore propone uno scambio al dannato, avendo parlato
fino a quel momento chiede a Guidi di raccontarsi patto che viene accettato poiché
egli era convinto che l’anima di Dante non sarebbe potuta tornare in terra:

si tratta di una storia che non gli fa onore, un’infamia che Guido non vuole sia
conosciuta, ha calcolato male le conseguenze poiché Dante in realtà avrà la
possibilità di fare ritorno nella vita terrena smascherando questo personaggio, il più
abile stratega ha calcolato male.

Nella vita è stato un comandate militare e poi un frate francescano con l’intento di
fare ammenda e di cancellare tutti i suoi errori, così sarebbe stato se non ci fosse stato
il gran prete che l’ha riportato sulla strada sbagliata, parliamo di: Bonifacio VIII
nemico per eccellenza della Divina Commedia. La sua forza non era nel corpo ma
nella furbizia, volpe e leone (Machiavelli), quando raggiunse l’ultima maturità, quando
tutti dovrebbero cessare di navigare, lui cominciò a provare fastidio e nausea per
quello che aveva fatto nella vita passata così pentito si fece frate. Questa scelta
sarebbe stata fruttuosa se fosse stato lasciato in pace, l’uomo più ipocrita del tempo
che stava combattendo una guerra contro i Colonna, famiglia ricca e cristiana di
Roma, chiese aiuto a Guido per fare una cosa contro i principi morali ma davanti al
suo silenzio, per farlo cedere promette di assolverlo da qualsiasi suo gesto
promettendogli: il Paradiso, in caso di aiuto o Inferno, scomunicandolo, se non
l’avesse aiutato e così Guido aiutò Bonifacio per la vittoria consigliandogli di trovare
un accordo per poi tradirli (consiglio da fraudolenti) questo gesto segnò la sua punizione.

Egli è un peccatore pesante, tant’è vero che Minosse talmente sdegnato da lui, di
fronte a questo personaggio si morse la coda e proprio per lui diede vita ad un fuoco
ancora più caldo aumentando le sue sofferenze, questo perché ne il Papa ne Dio
hanno considerato che il giudizi finale, l’unica persona in grado di perdonare e
assolvere è Dio, è sua la parola e la scelta finale (perderà due battaglie: una credendo che
il Papa avrebbe potuto assolverlo e la seconda pensando che Dante non darebbe tornato in vita e
nessuno avrebbe conosciuto la sua storia).

05.05.2022
Proseguendo il viaggio nell’inferno giungono nel CANTO XXXIII con il Conte
Ugolino, ultimo personaggio designato come punto fermo, egli è un personaggio
politico della Pisa dell’ultimo decennio del ‘200 che fu accusato di tradimento e
condannato a morire di fame nella Torre della Muda dai suoi cittadini. Dante
attraverso questo racconto mostra l’uomo che regredisce da essere umano qual è a
creatura bestiale mangiando un suo simile, egli paragona il suo gesto a quello di
Dideo e Menalippo, nell’inferno infatti egli si rivale del tradimento subito mordendo
il cranio dell’Arcivescovo Ranieri, colui che organizzo il tradimento nei suoi
confronti e davanti a questo gesto estremo l’autore chiede di raccontare la sua storia.

Ugolino smette di mordere il cranio della sua vittima, si pulisce la bocca con i capelli
della vittima e inizia a parlare, situazione che farà sicuramente soffrire il dannato ma
se questo servirà a condannare i suoi traditori allora parlerà.

1° posto: Ulisse 2° posto: Paolo e Francesca 3° posto: Conte Ugolino

09.05.2022

Tebe, città tra la più floride dell’antica greca, ha vissuto in molte opere odeporiche
rappresentata coma la città dell’INFELICITA’, all’interno di questa storia c’è
l’episodio dei ‘7 contro Tebe’: scontro tra Tibeo e Menalippo, quest’ultimo morendo
per primo verrà mangiato da Tibeo. Ed è proprio su questa via che Dante ha preso
spunto per l’odio che il Conte Ugolino provava verso il suo carnefice, nonostante non
era a conoscenza di questa storia.

Dante stringe un patto con Ugolino, bastato sulla disponibilità del dannato di
raccontare la sua storia a Danta e quest’ultimo in cambio avrebbe dovuto raccontare
la storia a tutto il mondo, mostrando la crudeltà del suo carnefice. Il modo che lo
scrittore utilizza per far parlare le vittime che incontra è: o quella di rendersi una
valvola di sfogo permettendo loro di raccontarsi o promettendo loro di raccontare la
vicenda tra i vivi.

Quello che ha realmente sconvolto il Conte Ugolino, e Dante sarà il primo a saperlo,
non è stato l’essere condannato a morire di fame ma il modo in cui ha dovuto
trascorrere questi giorni di sofferenze:

Dante immagina il modo in cui lui ha passato quei giorni rinchiuso nella torre, poiché
le notizie a lui rivolte risalgono all’ultima volta in cui hanno portato lui dei pasti.

Racconta il Conte che durante la sua reclusione fece un sogno profetico: gli sembrò
che l’arcivescovo Ruggeri fosse il capo di una caccia ai lupi, essa veniva fatta usando
cagne affammate mentre i cacciatori erano le grandi famiglie dell’aristocrazia (coloro
che insieme all’arcivescovo accusarono e condannarono Ugolino) che in poco tempo
riuscirono a catturare le prede.

I lupi rappresentavano Ugolino e i suoi familiari

Nel sogno immaginava di mangiare i suoi figli dalla tanta fame, Ugolino cerca di
indurre Dante alla commozione attraverso questo racconto, guardò i suoi figli senza
dire una parola e senza provare commozione ormai rassegnato alla sua fine, erano
loro a piangere. La mattina dopo il sogno la sua angoscia lo portò a mozzicarsi le
mani i figli vedendo ciò interpretarono il gesto del padre come un segno tangente
della sua fame e dissero: cibati di noi, ci sacrifichiamo, tu hai dato noi la vita e te hai
il diritto di togliercela (nuovamente un riferimento a Dio e alla Bibbia) il conte
rimanendo in silenzio chiede, mettendosi in ginocchio, aiuto a Dio.

In questo canto, nuovamente, il motivo biblico si intreccia al motivo mitico della


Tragedia Greca, il gettarsi ai piedi di qualcuno è un gesto di PIETA’
DELL’ANTICHITA’ e il chiedere aiuto a Dio prende le ultime parole di Gesù sulla
croce.

Il conte Ugolino nel giro di qualche giorno vide morire uno dopo l’altro i figli e i
nipoti, nella sua disperazione cercava di riportarli in vita con la sua parola, piangendo
sui loro cadaveri ma dovendo comunque rispondere ai propri istinti si ciberà di loro
(il digiuno è più forte del dolore). Parliamo di un contrappasso rovesciato, il Conte fa
provare al suo carnefice, non la sofferenza di morire di fame ma cosa si prova ad
essere mangiati.

Alla fine del canto fa un augurio particolare a Pisa, spera di vederla sommersa dalle
acque, che tutto lì muoia poiché non perdona ad essa di aver condannato innocenti, di
essere un posto violento e crudele.

Al centro dell’Inferno troviamo Lucifero, Dante lo descrive direttamente nel Canto


XXXIV come un'enorme e orrida creatura, pelosa, dotata di tre facce su una sola testa
e tre paia d'ali di pipistrello. Lucifero è confitto dalla cintola in giù nel ghiaccio di
Cocito, quindi emerge solo il lato superiore del mostro; in ognuna delle tre bocche
maciulla coi denti un peccatore: Bruto con Cassio ai lati e Giuda al centro, ovvero i
tre principali traditori della tradizione biblico-classica.

Le tre teste sono di diverso colore:

1. quella al centro è vermiglia (rossa),

2. quella a destra è tra bianca e gialla,


3. quella a sinistra è simile al colore della pelle degli Etiopi (nera).

Il mostro sbatte le ali, producendo un vento freddo che fa ghiacciare le acque del lago
di Cocito, dove sono confitti i traditori ripartiti nelle diverse zone, egli piange con i
sei occhi, e le lacrime gocciolano giù per i menti mescolandosi insieme alla bava
sanguinolenta. Il peccato di Lucifero consiste proprio nel tradimento, poiché osò
ribellarsi contro il suo Creatore, quindi non sorprende che Dante lo collochi al centro
di Cocito, ovvero del IX Cerchio dove sono puniti i traditori.

Dante e Virgilio, in questo canto, si aggrappano al pelo del mostro e scendono lungo
le sue costole, oltrepassando la crosta di ghiaccio e ritrovandosi nell'altro emisfero,
dove di Lucifero sporgono le zampe. Una volta qui, i due poeti raggiungono una
piccola apertura nella roccia, da dove iniziano a percorrere una "natural burella" (uno
stretto budello sotterraneo) che mette in comunicazione il centro della Terra con la
spiaggia del Purgatorio, posta agli antipodi di Gerusalemme.

Il viaggio nell’inferno durerà 48h, giungerà poi su una misteriosissima isola che si
trova su un fiume infinito, qui trova un immenso monte che egli scalerà (48h) alla
fine di esso si trova un meraviglioso giardino che scopriremo essere il luogo in cui
originariamente avevano vissuto Adamo ed Eva.

Il custode del purgatorio non è soltanto un pagano ma anche un suicida, gesto


imperdonabile, Catone che nonostante suicida ha compiuto questo gesto per la
LIBERTA’ e la libertà è alla base del purgatorio, una libertà dal male.

Conducendo Dante in cima al monte del Purgatorio, luogo in cui non ci sono più gli
espianti, dove il peccato è stato tolto, Dante pellegrino ritrova la bontà originaria, si è
purificato da ogni peccato ed è tornato alla condizione originaria di ADAMO (esce
definitivamente dal peccato).

13.05.2022

TERZO CANTO del Purgatorio in cui una delle anime si rivolge a Dante e lo invita a
guardarlo chiedendogli se l’avesse riconosciuto, storicamente Dante non l’ha potuto
conoscere, parliamo infatti del Re Manfredi il quale chiederà all’autore, una volta
tornato in vita, di raccontare alla figlia Costanza della sua salvazione, uomo adorabile
molto amato ma deturpato dalla cattiveria del mondo.

18.05.2022
Manfredi, personaggio fra i più commoventi, era figlio naturale di Federico II di
Svevia che cercherà di mantenere il potere del padre al momento della sua morte;
Manfredi fu sconfitto nella battaglia di Benevento e il suo corpo fu oggetto di
oltraggio, proprio questo verrà raccontato a Dante.

Prima di morire si riconcilierà con Dio, privatamente, ed è proprio questo quello che
Manfredi chiederà a Dante: far sapere al mondo, soprattutto a sua figlia, che si trova
nella beatitudine e non negli inferi.

Manfredi era stato oggetto di una tomba approssimativa, ma gloriosa, una sorta di
piramide fatta di sassi, in cima ad un ponte, sotto il quale vi era il suo corpo;
originariamente fu decorosamente sepolto poi dopo la sconfitta del partito ghibellino,
i settori ideologici della chiesa inferirono su Manfredi portando il suo corpo altrove in
maniera poco decorosa e violenta poiché scomunicato così la pioggia e il vento
iniziarono a sfigurare il suo corpo. Tuttavia la scomunica dei papi non può incidere
sul volere e la grazia divina, proprio per questo si trova in Purgatorio, in lui vi è la
speranza di tornare nelle grazie di Dio; secondo la chiesa chi muore scomunicato ma
comunque pentito dei propri errori non è perduto, non va all’inferno, ha la possibilità
di salvarsi: deve stare all’esterno della riga del Purgatorio 30 volte la durata che visse
scomunicato.

Dante nel IV CANTO dimostra il suo interesse per una definizione del creato, del
cosmo, facendo osservazioni di astronomia finissime che non ci aspetteremo da un
poeta, questo atteggiamento è proprio dell’immensa cultura e conoscenza dell’autore.

Incontrerà tutta una serie di negligenti che hanno subito una morte violenta, come
Jacopo del Cassero un comandante militare tradito che avendo però Dio nel cuore
chiese perdono e venne salvato. Mentre Dante stava parlando con del Cassero, verso
45, prese parola un altro personaggio: Bonconte di Montefeltro a cui Dante
domanderà che fine avesse fatto il suo corpo nella battaglia di Campaldino, a cui
partecipò lui stesso, e lui rispose:

nelle parti basse del Casentino corre un fiume, che nasce sulle sue colline, dove
andai ferito dalla battaglia cercando di curarmi ma in poco tempo persi la vista e il
mio corpo lì cadde riuscendo soltanto a fare il nome di Maria prima di morire.

Va sottolineato il passaggio da:

‘io perdei la vita e la parola’ e ‘la mia carne sola rimase’


il soggetto non è più IO, in questo cambiamento noi sentiamo la differenza tra ciò che
è IMMORTALE, io, e quello che è una veste carnale e MORTALE.
Questa volta ha vinto l’anima, nonostante i suoi atteggiamenti, al momento della sua
morte, pentito dei suoi peccati, chiederà pietà e aiuto alla Vergine Maria che gli
concederà la salvezza; il Diavolo arrabbiato per la sconfitta dell’anima scatenerà una
tempesta senza paragoni, di una violenza immane, che sposterà il cadavere dalla
pianura fino in fondo al fiume e quella croce che morendo il Bonconte aveva formato
con le sue braccia, incrociandole in segno di pietà, fu sciolta ed il suo corpo senza
vita fu precipitato infondo all’Arno, Dante attraverso questa narrazione spiega il
motivo per il quale non fu più ritrovato il suo corpo.

Sempre in questo canto vediamo la fatica che Dante stava facendo durante questo
viaggio e solo la figura di Pia de’ Tolomei consiglierà lui di riposarsi, solo una
volta consigliato a Dante di prendersi del tempo tornato nella terra dei viventi per
riprendersi dal cammino, chiederà lui di ricordarsi di lei. Ella era figlia di Siena e fu
ammazzata da un marito violento in Maremma (chiasmo), il perché della sua tragica
fine è nota solo a colui che l’ha sposata, storicamente non si sapeva il motivo della
sua morte quindi Dante lascia la situazione misteriosa, non potendo realmente
conoscere i motivi della sua morte.

Si susseguono canti del Purgatorio, fino a quando non si arriva al XXIV CANTO
dove l’autore incontra un personaggio molto importante, dopo aver visto un’altra
nobile donna Piccardi Donati, beata in Paradiso, dopo averla elogiata incontra
Papa Martino IV, che non ha messo all’Inferno ma andò in Purgatorio poiché
troppo goloso; per poi giungere ad un poeta: Bonagiunta da Lucca (v.49) che
riconoscerà il poeta ricordando suoi vecchi scritti a ciò Dante risponderà affermando:

Io sono una persona che quando la forza dell’amore mi detta le parole da scrivere,
quando sento un dettato d’amore sotto forma d’ispirazione, sotto dettatura di questo
vento spirituale scrivo e do un senso ai miei versi nel modo in cui mi viene dettato.

Questa definizione di dante è lo STILNOVO, questo ha permesso a Bonagiunta di


comprendere cosa differenzia lui, pre-stilnovista, dalla produzione dello stilnovo che
si affida all’impulso, alla dettatura interiore di ordine spirituale.

19.05.2022

Dante è quasi giunto alla cima del monte, ha quasi raggiunto l’Eden; durante questo
suo viaggio verrà rimproverato da Beatrice per quello che definiamo:
TRAVIAMENTO, quindi per il suo allontanamento dalla retta via, gli vengono
mostrati i suoi errori, a partire dal suo allontanamento dalla poesia per affacciarsi a
nuovi orizzonti.

Dante è concentrato nella difficoltà del percorso e nella riflessione sulla lussuria,
quando vede due schiere di anime che, incontrandosi, si scambiano casti baci, poi
gridano esempi di lussuria punita. Il grido di Soddoma e Gomorra non lascia
equivoci sulla comprensione del tipo di peccatori: si tratta di una schiera di sodomiti
e il grido ricorda le due città bibliche colpite dalla punizione divina proprio perché
dedite alla pratica omosessuale. L'altra schiera invece è composta di eterosessuali che
usarono il sesso al di fuori di ogni razionalità e misura: come Pasife che volle gli
amori bestiali col toro.
Quell'amore che in vita fu inquieta passionalità, ora, dentro il fuoco purificatore, è
diventato tenerezza infinita ma il grido sta ad attestare una colpa i cui effetti sono
ancora cocenti, nel vero senso della parola, e suggellati da lacrime; piangono i
lussuriosi il loro peccato, ma a un tratto s'accorgono che Dante è vivo. Uno di loro si
avvicina curioso e il poeta viene a sapere che si tratta proprio del suo caposcuola,
quel Guido Guinizelli che iniziò a poetare alla nova mainera.

Il CANTO XXVI del Purgatorio è il secondo canto che si svolge nella cornice dei
lussuriosi, Virgilio e Stazio sono seguiti da Dante, il quale si sofferma a descrivere
come la sua ombra, resa più intensa dalla luce del tramonto, proiettandosi sulle
fiamme sembri renderle più accese (vv. 4- 8).
Questo episodio, oltre a segnalare la presenza di un altro tipo di anime
penitenti, ripropone la tipica tecnica ad incastro usata nella Commedia, in cui il tema
principale del canto viene interrotto da un qualche evento per poi essere ripreso in un
secondo momento.

Allontanatasi la torma dei sodomiti comincia il lungo dialogo tra l’anima che s’era
avvicinata, incuriosita, all’Alighieri e quest’ultimo è Guido Guinizzelli, caposcuola
della poesia stilnovista che, ai commenti ammirati del protagonista si schermisce
additando un altro poeta, questa volta un provenzale, Arnaut Daniel, che il
Guinizzelli considera assai più meritevole di lode.
Il canto è dominato dall’incontro di Dante con Guido Guinizzelli, che si svolge in due
tempi: all’inizio l’anima del poeta stilnovista si avvicina al protagonista chiedendogli,
stupito, se fosse ancora vivo, ed il dialogo poi prosegue dopo l’interruzione causata
dall’arrivo del gruppo dei sodomiti; ottenuta la risposta alla sua domanda, spiega la
natura della lussuria che sta espiando e quella del gruppo che ha appena abbandonato
la scena, ed infine, spinto da Dante, si presenta.

Guinizzelli è ritenuto uno dei maggiori esponenti del primo periodo stilnovista, un
movimento letterario che, pur avendo le sue più alte espressioni nel lirismo toscano,
affonda le sue radici nella poesia siciliana, i cui schemi vengono ripresi e sviluppati
dai poeti bolognesi e da personaggi come Guittone d’Arezzo, di cui Dante e il
Guinizzelli parlano in tono poco elogiativo (vv. 124-126).

Guido, manifestando l'umiltà propria delle anime del Purgatorio, addita a Dante un
altro poeta che fu miglior fabbro del parlar materno, il provenzale Arnaut Daniel;
poi si perde nel fuoco come un pesce dentro l'acqua. Figura centrale del canto, Guido
Guinizelli compare e svanisce: astro di breve durata ma di intensa luminosità, al
dissolversi nel fuoco di Guido subentra Arnaut, dolce nel suo linguaggio provenzale.
Egli nel Purgatorio, luogo di penitenza e di attesa, denuncia con angoscia il folor
dell'amore lussurioso ma anche di una poesia che ne abbia registrato i momenti, le
sensazioni, i desideri, ora non gli resta che chiedere il perdono di Dio. Ma il raffinato
e malinconico calco delle parole di Arnaut nella sua lingua provenzale è, in Dante, la
più alta testimonianza d'affetto e di stima verso il poeta e verso la cultura in lingua
d'oc di cui Arnaut fu uno dei più alti rappresentanti. Dietro il triste vau cantan del
poeta provenzale si legge la tristezza di Dante, anch'egli colpevole della folor
d'amore, cantata ad esempio nelle Rime Petrose, ma anche la consapevolezza del
poeta fiorentino di appartenere a un sodalizio umano legato da una intensa e a volte
totalizzante passione: la poesia come prorompente bisogno di espressione.

Francesco Petrarca
È il più grande erudita d’Italia e d’Europa, fu un uomo di fede ma comunque con un
interesse verso il nuovo eliminando i filtri imposti dal cristianesimo e i suoi dogmi
universalistici. Diede vita, insieme a Giovanni Boccaccio, all’ Umanesimo:
un movimento culturale volto alla riscoperta dei classici latini e greci nella loro
storicità e non più nella loro interpretazione allegorica, inserendo quindi anche
usanze e credenze dell’antichità nella loro quotidianità tramite i quali poter avviare
una "rinascita" della cultura europea dopo i cosiddetti "secoli bui" del Medioevo.
L'umanesimo petrarchesco si diffuse in ogni area della penisola (con l'eccezione
del Piemonte sabaudo), determinando di conseguenza l'accentuazione di un aspetto
della classicità a seconda delle necessità dei "protettori" degli umanisti stessi, vale a
dire dei vari governanti.
L'umanesimo, che trovò le sue basi nelle riflessioni dei filosofi greci sull'esistenza
umana e in alcune opere tratte anche dal teatro ellenico, si avvalse anche dell'apporto
della letteratura filosofica romana, in primis Cicerone e poi Seneca. Benché
l'umanesimo propriamente detto sia stato quello italiano e poi europeo che si diffuse
nel XV e in buona parte del XVI secolo (fino alla Controriforma), alcuni storici della
filosofia utilizzarono questo termine anche per esprimere certe manifestazioni del
pensiero all'interno del XIX e del XX secolo.

Il PRIMO UMANESIMO vide nella proposta petrarchesca e poi boccacciana la base


comune su cui dare vita al progetto culturale dei due grandi maestri del XIV secolo;
vide un'evoluzione che lo portò a sviluppare interessi e direzioni talvolta antitetiche
rispetto ai primi decenni del secolo, a causa anche di fattori esogeni quali
l'instaurazione delle signorie e il rafforzamento del platonismo a livello filosofico.
L'intellettuale del tempo fu costretto a confrontarsi con una realtà storica
caratterizzata dalla crisi del comune medievale e, come appena detto, dalla nascita
delle signorie, mentre in Europa si stavano affermando le monarchie nazionali. Per
potersi dedicare alla libera ricerca intellettuale, scelsero di legarsi a una corte, tale
scelta comportò alcune conseguenze.
E’ caratterizzato, in generale, da una vitalità energica nel diffondere la nuova cultura,
energia che si esplica attraverso varie direttrici: dal recupero dei manoscritti nelle
biblioteche capitolari alla diffusione delle nuove scoperte grazie a intense opere di
traduzione dal greco al latino; dalla promozione del messaggio umanistico presso i
centri del potere locale alla creazione di circoli e accademie private dove i
simpatizzanti dell'umanesimo si riunivano e si scambiavano notizie e informazioni[30].
Le scoperte e i progressi dei vari umanisti non rimanevano circoscritti all'interno di
un'area geografica ben precisa, ma venivano diffusi, attraverso fitti scambi epistolari
basati sul latino di Cicerone[31], su scala nazionale, promuovendo in tal senso il genere
dell'epistolografia come mezzo principe di informazione. Si spazia, pertanto, da un
umanesimo incentrato sulla scoperta, l'analisi e la codificazione dei testi (umanesimo
filologico) a un umanesimo propagandistico incentrato sulla produzione di testi volti
a celebrare la libertà umana e a esaltarne la natura tramite l'influsso del
neoplatonismo (umanesimo laico e filosofico); da un umanesimo volto a esprimere le
linee politiche del regime di appartenenza (umanesimo politico veneto, fiorentino e
lombardo), a uno invece più preoccupato di conciliare i valori dell'antichità con quelli
del cristianesimo (umanesimo cristiano).
Francesco Petrarca nasce nel 1304 ad Arezzo, è stato
uno scrittore, poeta, filosofo e filologo italiano, considerato il precursore
dell'umanesimo e uno dei fondamenti della letteratura italiana.

Uomo moderno, slegato ormai dalla concezione della patria come mater e divenuto
cittadino del mondo, Petrarca rilanciò, in ambito filosofico, l'agostinismo in
contrapposizione alla scolastica e operò una rivalutazione storico-filologica dei
classici latini.
Fautore dunque di una ripresa degli studia humanitatis in senso antropocentrico,
Petrarca spese l'intera sua vita nella riproposta culturale della poetica e filosofia
antica e patristica attraverso l'imitazione dei classici, offrendo un'immagine di sé
quale campione di virtù e della lotta contro i vizi.

Petrarca, fin dalla giovinezza, manifestò sempre un'insofferenza innata nei confronti
della cultura a lui coeva, la sua passione per l'agostinismo da un lato, e per i classici
latini "liberati" dalle interpretazioni allegoriche medievali dall'altro, pongono Petrarca
come l'iniziatore dell'umanesimo che, nel corso del XV secolo, si svilupperà prima in
Italia, e poi nel resto d'Europa.
Nel De remediis utriusque fortune, ciò che interessa maggiormente a Petrarca è
l'humanitas, cioè l'insieme delle qualità che danno fondamento ai valori più umani
della vita, con un'ansia di meditazione e di ricerca tra erudita ed esistenziale intesa a
indagare l'anima in tutte le sue sfaccettature. Di conseguenza, Petrarca pone al centro
della sua riflessione intellettuale l'essere umano, spostando l'attenzione dall'assoluto
teocentrismo (tipico della cultura medievale) all'antropocentrismo moderno.

Le due ambizioni che non riesce a frenare sono:


 L’amore verso LAURA;
 Fame letteraria.
E proprio questi due saranno i temi centrali del Canzoniere dove elogia la bellezza
della donna amata e la sua fame di cultura.

Il Canzoniere
è la storia, raccontata attraverso la poesia, della vita interiore di Francesco Petrarca.
Composto a più riprese nel corso di tutta la vita del poeta, il Canzoniere comprende
366 componimenti in versi italiani ed è una delle opere principali della letteratura
italiana per la profondità del linguaggio, del pensiero, della sofferenza interiore e per
la speranza di una redenzione.
La raccolta comprende 366 componimenti:
 317 sonetti,
 29 canzoni,
 9 sestine,
 7 ballate
 4 madrigali.
Non raccoglie tutti i componimenti poetici del Petrarca, ma solo quelli che il poeta
scelse con grande cura; altre rime andarono perdute o furono incluse in altri
manoscritti.
La maggior parte delle rime del Canzoniere è d'argomento amoroso, mentre una
trentina sono di argomento morale, religioso o politico.
Secondo alcuni studiosi la struttura del Canzoniere istituirebbe uno stretto legame
simbolico fra l'intera vita del poeta e l'anno solare, secondo queste ipotesi
calendariali, alcune date acquisirebbero un valore particolare per la struttura
dell'opera:
 Prima fra tutte il 6 aprile (giorno in cui, nel 1327, Petrarca si innamorò, ma
anche giorno in cui, nel 1348, Laura morì);
 Il giorno anniversario della nascita di Petrarca, 20 luglio;
 Quello della sua incoronazione poetica a Roma, 8 aprile.

Figura dominante nella produzione lirica petrarchesca del Canzoniere, oltreché lo


stesso Petrarca, è la donna di nome Laura, voluta identificare con una Laura de
Noves da parte dell'abate de Sade nel XVIII secolo, la tesi dell'incarnazione fisica
della Laura petrarchesca è stata rigettata dalla maggior parte dei critici letterari.
Laura, anzi, potrebbe essere addirittura un nome fittizio per esprimere l'alloro
poetico, la pianta del lauro: «Laura infatti si identifica e si confonde con il lauro, la
pianta di Apollo e della poesia, la pianta trionfale con cui lo stesso Petrarca venne
coronato poeta nel '41».
Laura rappresenta tutte quelle caratteristiche seducenti che fanno soffrire Petrarca in
nome di una sensualità e di una forza provocatrice che sfiniscono l'animo del poeta
aretino teso verso la redenzione e la pace interiore. Questo lo si vede chiaramente
nella descrizione fisica della donna, nel suo sorriso, nei suoi occhi, nei suoi «capei
d'oro a l'aura sparsi» o nelle «belle membra» della canzone Chiare, fresche e dolci
acque ove c'è l'apoteosi della bellezza della donna e del suo carattere sovrannaturale.

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