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2022
Letteratura Italiana
Si tratterà di un corso di carattere generale che darà una panoramica di: opere, autori,
forme di scritture, temi…dopo i quali ne fioriscono 3 che diventeranno i modelli per
tutti gli scrittori futuri. Si tratta di 3 autori fiorentini che hanno la capacità di proporsi
a tutti coloro che amano la scrittura come dei MODELLI e avranno la fortuna di
durare nei secoli.
La letteratura italiana è estremamente conservativa, risulta necessario quindi
conoscerne le origini, per lunghissimo tempo ha avuto dei tratti che non cambiavano
essa ha caratteri storici forti, a differenza invece della letteratura inglese che nel ‘500
muta completamente dal genere medioevale.
La letteratura italiana in passato si incentrava sulla poesia e si consolida sulla base di
2 generazioni e mezzo:
I siciliani intorno al 1230,
La poesia siculo-toscana intorno al 1260/1270,
Lo stilnovo intorno al 1285/1290.
Si tratta di tre diversi piani da cui poi prendono le distanze Dante e Petrarca in poesia,
mentre la prosa nasce a fini ‘200 con il novellino e si evolve poi nelle forme del
Decameron.
Letteratura Italiana (1180-1225 circa)
disciplina in cui l’uomo cerca attraverso l’arte di esprimere un sentimento e una visione del
mondo (Omero, Virgilio, Shakespeare…)
Nell’epoca in cui noi parliamo di scrittori italiani, ‘200, l’Italia in realtà ancora non
esisteva. In quel periodo l’Italia non era uno Stato, ci troviamo in un’epoca in cui la
sovranità non esiste, vi erano fondamentalmente delle piccole entità locali che
chiamate comuni, presenti in tutta l’Italia settentrionale e in gran parte di quella
centrale (città stato indipendenti), mentre nel meridione l’imperatore era
maggiormente in grado di farsi rispettare; troviamo quindi un Italia tripartita. (nord-
centro-sud prefigurazione di quella che è l’Italia ancora oggi)
Vedremo svilupparsi una qualche forma di letteratura:
Nel Nord con tratti non ben definiti
Una tradizione letteraria al centro dell’Italia con matrice religiosa
Una prima letteratura al sud con quelli che chiamiamo poeti italiani
tutto questo tra il 1180 e i 25 anni successivi. (Casadei-Santagata)
Le forze culturali del tempo erano: la cultura in latino, la presenza della chiesa, la
presenza di intellettuali giuristi, soprattutto, e la memoria dell’antichità dove per le
strade si vedono continui segni dell’antichità con cui si doveva fare i conti; mentre
come modelli vi erano quelli francesi e provenzali.
4.03.2022
Tutto il pensiero filosofico del medioevo mira a spiegare la realtà conosciuta con la
sua derivazione dalla creazione e tutta la realtà fisica è disposta gerarchicamente,
dallo scientifico al teologico, con l’UOMO al centro. Tutto si può conoscere e
catalogare, si riprende la teoria di Aristotele applicandola alla concezione cristiana; le
linee di interpretazioni filosofica sono di materia religiosa (le chiese sono l’unico
potere educativo dell’epoca), tuttavia un pensiero ortodosso è fornito dai filosofi
arabi. (Casadei e Santagata)
Arrivati al volgare il latino perde alcune sue caratteristiche:
il vocalismo tipico del latino, dove: la vocale può o non può avere una certa
estensione, parliamo quindi di una metrica quantitativa, nel volgare si modifica
diventando qualitativa
le vocali sono accentate oppure no e non più lunghe o brevi
il latino è una lingua sintetica, mentre l’italiano è analitico, si articola
maggiormente
nel volgare si hanno due verbi ausiliari: essere e avere, altra cosa che lo
differenzia dal latino.
Queste sono molto in sintesi le differenze tra i due.
La prima esperienza della poesia italiana ci viene fornita dai siciliani che
presuppongono un’esperienza compositiva di loro precedente, intorno agli ultimi
decenni del XI sec. e per tutto il XII sec. alcune corti nobiliari della Francia
meridionale (Provenza) elaborano una poesia in una lingua che non è propriamente
del centro e del nord della Francia. Nel sud si usa la lingua DOC, le corti della
Provenza producono poesie d’amore che saranno in seguito abbandonate poiché
quelle corti locali accusate d’eresia verranno smantellate da un’azione militare indetta
dalla Chiesa e realizzata dai Francesi nel XII sec. con una crociata.
I poeti del mondo provenzale sono i cosiddetti trovatori: poeti di professione che
girano di corte in corte per essere ospitati e stipendiati, ma non hanno mai un ruolo
fisso e nei loro testi parlano: d’amore, politica sostenendo i propri signori, satira,
morale e religione (sirventese che avrà molto successo in Italia); tuttavia di tutti
questi temi il principale è l’AMORE, un amore provato da un soggetto uomo che
elogia la donna amata consapevole di non poterla avere. Il trovatore esalta la bellezza
delle castellane, di un’ospitante, ma senza la minima possibilità che questo elogio si
trasformi in una relazione amorosa in quanto il soggetto è: la donna del signore che
accoglie il poeta nella sua corte (omaggio convenzionale, un servizio d’amore, atto di
lode per obbligo sociale).
Questo amore è un’utopia, non ha una concretezza di realizzazione, questa scrittura si
vivacizza come se fosse recitata è spesso accompagnata da musica, una sorta di
performance; i trovatori sono tutte persone che Dante ha studiato: alcuni amati altri
odiati e inseriti nel Purgatorio, testi scritti in provenzale.
I primi sviluppi della poesia italiana possono essere testi pratici come: il ritmo
castinese e possono essere già una poesia codificata come quella dei siciliani, l’Italia
è una penisola in cui:
a Nord vi sono delle forme di letteratura in volgare ispirato al volgare parlato
delle loro sedi;
al centro si sviluppa una letteratura soprattutto religiosa e ristretta;
al sud si sviluppa la civiltà della Scuola Siciliana (1230-1250) che termina a
causa di eventi politici.
La Toscana all’inizio non è all’avanguardia, non produce molto.
La lingua latina perde progressivamente alcuni suoi tratti ibridandosi con i vari
dialetti, nel centro Italia si verifica la curiosa fioritura di un ordine religioso destinato
a sostenere la Chiesa e la cristianità d’Occidente, la tendenza dell’apparato
ecclesiastico ad interagire con la politica ha comportato delle conseguenze
rintracciabili anche nello stesso Dante (circa 70 anni dopo). Il sorgere di due ordini:
1. I frati minori (OFM) nati per mano di Francesco D’Assisi
2. I predicatori (OP) Domenico di Guzman
hanno sostenuto le ragioni del popolo riguardo le gerarchie di quel periodo.
A quell’epoca l’elemento religioso è estremamente importante per la società italiana,
risulta quindi necessario individuare un modello per capire quel genere di letteratura,
Francesco D’Assisi è autore di un testo breve, ma molto famoso e ricco di umanità,
considerato come il primo testo veramente risolto e significativo della civiltà italiana.
Figlio di un ricco mercante D’Assisi e di una donna francese, da cui probabilmente ha
acquisito la tradizione francese, si ribella in età adulta al modello consumistico del
padre e sceglie una vita di servizio esclusivo verso gli altri iniziando a divulgare un
messaggio di ritorno alla purezza dei vangeli. (OFM: ordine dei frati minori, è un
francescano)
Francesco riceverà le stigmate, per questo considerato ‘il secondo Gesù’ e per tutta la
sua esistenza s’impegnerà a lodare e ringraziare il creatore, dando vita a quelle che
noi definiamo LAUDI, delle poesie religiose. Il lodare in volgare e celebrare la
grandezza divina diventeranno un’abitudine grazie a Francesco, dal secondo ‘200 in
poi si verranno formando delle confraternite: circoli non ispirati da un sacerdote, ma
formati da laici che si riuniscono per pratiche di culto.
Il cantico di Francesco non è propriamente poesia, è prosa ma comunque destinata ai
fedeli, egli vuole elogiare il creato in cui vede il segno della bontà dell’uomo per il
ondo e per l’uomo stesso.
Il cantico delle creature
Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne
benedictione. (ritmo particolare, definito come cursus)
Ad te solo, Altissimu, se konfàno (ritmo particolare) et nullu homo ène dignu te
mentovare.
Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande
splendore, de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si', mi' Signore, per sora luna e le stelle (cursus velox), in celu l'ài formate
clarite et pretiose et belle.
Laudato si', mi' Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dài sustentamento.
Laudato si', mi' Signore, per sor'aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et
casta.
Laudato si', mi' Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è
bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si', mi' Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengo
infirmitate et tribulatione.
Beati quelli che 'l sosterrano in pace, ca da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si' mi' Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo
vivente pò scappare: guai a quelli che morrano ne le peccata mortali;
beati quelli che trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà
male.
Laudate et benedicete mi' Signore' et ringratiate et serviateli cum grande humilitate
Parte con una sorta di proemio in cui afferma che spettano a dio gli elogi da parte
delle creature, la gloria, l’onore e ogni benedizione; gli uomini non hanno l’autorità e
la facoltà di fare il suo nome (retaggio ebraismo).
Dopo questi primi 4 tratti si sviluppa una costruzione costante in cui l’espressione è:
laudato sì mi signore… si tratta di singole frasi che sono poste come se fossero versi,
ma tali non sono (non hanno la rima) e si ispirano alla prosa della bibbia. Brevi brani
in prosa chiamati: VERSETTI, con una principale e una secondaria e poco più, ma
non sono da intendere come testi poetici, il cantico è inteso come testo in prosa che
ha un ritmo interno sorprendente.
I LODE: loda il creatore perché è fatto di cose concrete per aiutare l’uomo
nella vita ordinaria, inizialmente loda lo stesso Signore per l’insieme del creato
(precisazione),
Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le tue creature
specialmente il dono del SOLE che è giorno, ci fornisce per tua creazione l’uso
della luce e aldilà dell’utilità pratica esso è anche bello e di grande splendore,
da quindi un senso di maestà (in passato si identificava il divino con il sole).
Esso è un segno della tua presenza e della tua grandezza, la natura è
compenetrata amorevolmente con l’uomo, emozionarci attraverso la natura.
Francesco chiama tutto questo al bisogno di umiltà, l’uomo deve essere umile e
chiamare tutto il creato ‘Frate’, è nostro compagno nell’avventura della vita; si
rivela un testo di forte emotività e di spessore culturale perché rispecchia la
mentalità del tempo.
II LODE: loda il signore per la LUNA e le STELLE, messe nel cielo come
fonte di luce e preziose perché ci orientano, lo schema è sempre quello:
qualcosa di utile, ma bello.
II LODE: loda il VENTO, ma loda il signore sia per quando ha creato il tempo
bello che quando ci sono le nebbie e per ogni caso climatico e metereologico,
senza la varietà climatica non ci sarebbe vita umana, il clima nella sua varietà
da alle creature il sostentamento (vv.14)
III LODE: l’ACQUA è utile, senza moriamo, è segno di umiltà perché
rappresenta la purezza, preziosa e simbolo di castità e pudore, una dettagliata
elencazione risulta essere poetica (vv.16).
9.03.2022
Jacopone Da Todi in questa "lauda" invoca Dio affinché gli mandi i malanni più
terribili e ripugnanti, la sofferenza dei quali lo aiuterà a espiare il peccato originale e
a mortificare la propria umanità di fronte alla grandezza del Signore. Il testo è un
eccellente esempio del misticismo esasperato dell'autore, nonché della mentalità
medievale per cui la fisicità del corpo viene disprezzata in quanto sporca e fonte di
peccato e la sofferenza invocata o auto-inflitta serve a liberarsi del senso di colpa e a
purificarsi.
O Signor, per cortesia
O Signor, per cortesia,
manname la malsanìa!
En terrebele fossato,
che Riguerci è nomenato,
loco sia abandonato
da onne bona compagnia.
Le demonia enfernali
sì mme sian dati a menestrali,
che m’essèrcino en li mali,
ch’e’ ho guadagnati a mea follia.
Allegom’en sseppultura
un ventr’i lupo en voratura
e l’arliquie en cacatura
en espineta e rogarìa.
Un francescano che scriverà poesie religiose per poi raccoglierlo in una collezione,
LAUDARIO, ma è un laudario d’autore perché firmerà il testo. Ha un senso
drammatico della vita e della natura dell’uomo, è un pessimista che svaluta NOI
come creature, a differenza di Francesco sente che la distanza tra noi e il creatore è
incolmabile. L’inadeguatezza dell’uomo al mondo e la sua piccolezza rispetto a Dio è
tale che sarebbe meglio scomparire dalla faccia della terra, anche perché il nostro
peccato, commesso da Caino, non può essere perdonato. (non va studiato per l’esame,
ma può dare un bonus all’esame)
RIMA: A-A-A-B
Quello che lui chiede è di soffrire il più possibile, ma non deve essere visto come un
rifiuto e una maledizione di essere vivo, bensì come una legittima punizione che lui
riconosce come dovuta a causa del nostro tradimento e dei nostri peccati che
commettiamo. (una malattia iperbolica)
La varietà di aspetti e significati del Medioevo, anche in religione, rende sbagliata
l’idea di quel periodo come un qualcosa di schematico è uguale, in esso si
individuano molte varietà. La letteratura italiana nasce come una ripresa personale di
temi provenzali, quindi continuiamo ad individuare al suo interno l’AMORE.
Scuola Siciliana
Con scuola intendiamo un contesto che, soprattutto in ambito artistico, produce opere
tutte molto omogenee tali che non spicca una singola personalità, una scuola è una
comunità che ha tratti fortemente identitari in cui non si distingua il singolo
individuo. La scuola siciliana ha tratti ben precisi che vengono seguiti con rigore dai
singoli, c’è una certa omogeneità e può concludersi nel momento in cui l’individuo
sente la necessità di spiccare singolarmente e si stacca da quei cardini, è il caso di:
DANTE o PETRARCA, cominciano come stilnovisti e poi vi si allontanano. Una
stessa tendenziale omogeneità caratterizza la nozione di movimento, in esso gli
appartenenti sono intercambiabili, anche qui ci sono casi in cui qualcuno fuoriesce
perché avente una personalità più preponderante. (Voltaire o Rousseau che sono
appartenenti ad un movimento, ma spiccano sugli altri)
Quindi scuola e movimento si distinguono, la scuola è un tipo di esperienza comune
agli artisti, mentre il movimento è un gruppo omogeneo che si caratterizza per il
tratto intellettuale, è basato sul pensiero.
L’origine della Scuola Siciliana si sviluppa al SUD, la sovranità politica, la funzione
di governare il mondo dovrebbe essere nell’Europa Occidentale affidata
all’imperatore che però in quel periodo non riesce a ricoprire quel ruolo, ruolo che in
Francia iniziava ad essere ricoperto dal Re. La vicenda dell’imperatore è legato a tre
grandi famiglie germaniche, dopo la morte di Enrico V vi sarà una lotta alla corona
tra: la Baviera e la Sassonia contro la Svezia, l’Italia sarà quindi divisa in due fazioni:
guelfi, coloro che sostenevano la Baviera e la Sassonia e che saranno poi identificati
come i sostenitori del Papa e ghibellini sostenitori della Svezia con Federico I detto
barbarossa e che dichiareranno fiducia all’imperatore.
È Federico I detto ‘barbarossa’ che si imporrà in Italia senza avere molto successo (si
succederà di padre in figlio), era un uomo molto colto che deciderà di vivere in Italia
Meridionale. Egli promuove ricerche scientifiche naturalistiche, è un appassionato
della caccia, scriverà poesie e soprattutto protegge stimolando intellettuali, che sono
sostanzialmente uomini di corte; ma in poco tempo dopo la sua morte ciò a cui aveva
dato vita sparirà.
In questi uomini c’è la capacità di trarre profitto dalle poesie scritte da altri, infatti
riportano in vita le poesie provenzali riprendendone solo il tema dell’AMORE
trattandolo in un volgare siciliano purificato dai tratti più banalmente parlati. (prima
espressione di un linguaggio poetico italiano)
10.03.2022
Dobbiamo aspettarci una poesia che ha il senso gerarchico, non cerca implicazioni al
di fuori dei temi abituali saranno quelli dello Stilnovo ad uscire da quei cardini e
qualche anno prima coloro che anticiperanno quello stile come: Guido Guinizzelli.
La donna dei siciliani non ha caratteristiche angeliche come vedremo invece in
Dante, i siciliani vengono visti come un piccolo gruppo di poeti che scrivono testi
riprendendo temi provenzali, tra essi spiccano le figure di:
Jacopo da Lentini Jacopo Mostacci
Pier Delle Vigne
non tutti i componenti erano siciliani perché l’imperatore amministra un’ampia area
geografica.
Si tratta di una poesia fortemente regolate da norme intransigenti, basata sul tema
dell’AMORE:
il nome della donna amata non viene fatto;
la posizione di amante è costante, è pronto ad esprimere la bellezza dell’amata
in attesa di un amore corrisposto che non sopraggiunge perché: la donna è
fatta per dire di no;
il poeta si rivolge alla donna, ma facendo in modo che gli altri non lo sappiano,
cela il suo amore perché teme i pettegolezzi.
Tutte forme di regolazione che a noi appaiono di finzione, ma giustificato nel
contesto medioevale in cui si trovavano.
Si scrivono: canzoni, sonetti, discordi (canzoni lunghi in versi molto brevi e
fittamente rimati) … Si percepisce nella scuola siciliana la necessità di estrapolare
dalla canzone la sua unità, il suo tratto fondante ossia la singola strofa, la canzone
siciliana è fatta di successivi brani e strofe; vogliono rendere autonomi le singole
strofe delle canzoni dando vita ai: SONETTI. (atto principalmente compiuto dal notaro di
Jacopo Da Lentini)
La donna rende l’uomo felice e al tempo stesso tormentato per l’amore non
ricambiato, individuiamo la gelosia, c’è comunque sempre il senso di fedeltà
dell’innamorato che non dimentica la donna amata e verso lei ci sta devozione, il
cantar della bellezza della donna è un servizio d’amore. Questa sorta di regolazione
dei sentimenti umani (gelosia, amore, devozione, ammirazione) sono elementi di
un’educazione sentimentale che poi nei secoli è diventata la nostra, fino al
romanticismo una forma di educazione sentimentale è nata in quel periodo, è solo nel
moderno che si è usciti fuori dagli schemi parlando di amore proibito, malato,
omosessuale…
Siamo in presenza di una scuola in cui resta da considerare che questi artisti vivono in
un periodo politico più felice del potere dell’imperatore in Italia e nel 1250 si
disperdono a causa della morte di Federico II. Successivamente a ciò e con l’arrivo
degli Angiò, i siciliani vanno a vivere fuori dal loro Paese, nell’Italia Continentale e
continuano a produrre poesie, questo comporterà che i loro testi, da un volgare
ripulito dai dialetti proprio del siciliano illustre del tempo, verranno modificati nella
morfologia dai copisti questo perché dovevano adeguarli ai lettori continentali che
parlavano e leggevano in maniera differente; verranno adattati soprattutto ai modelli
di lettura e di scrittura dei toscani. (la Toscana lentamente si afferma nella letteratura,
avendo i testi del primo modello di letteratura italiana la rende ricca) I siciliani daranno vita al
primo modello di letteratura italiana.
Jacopo Da Lentini comporrà un testo: ‘Madonna, dir vo voglio’ esso è composto di
5 PARTI definite stanze, le quali rispondono ad uno schema metrico e possono essere
endecasillabi o settenari. In questo testo il poeta esprima la sua devozione verso la
donna amata, si tratta di una situazione ferma e immobile, una condizione
convenzionale che presenta anche un auspicio finale in cui l’autore spera che la
donna ricambi il suo amore. (conclusione vivace)
Ogni verso occupa un rigo, la rima: l’identità di suono fra due o più versi a partire
dall’ultima sillaba accentata, la differenza di metrica non pregiudica la rima, quando
il verso è più lungo lo differenzio con la MAIUSCOLA.
abaCdbdC
la prima parte della strofa di una canzone è chiamata FRONTE,
la seconda SIRMA e spesso è separata da un verso cuscinetto e congiunge le due
parti, qui però non c’è.
eef(f)Ghh(i)G
La rima interna o rima al mezzo distingue il settenario dall’endecasillabo, la () indica
la rima interna.
II.
Lo meo ’namoramento
non pò parire in detto,
ma sì com’eo lo sento (il ‘ma’ vale come congiunzione, non come avversativo)
cor no lo penseria né diria lingua; (topos ineffabilità)
e zo ch’eo dico è nente
inver’ ch’eo son distretto
tanto coralemente:
foc’aio al cor non credo mai si stingua,
anzi si pur alluma:
perché non mi consuma?
La salamandra audivi (attribuisce all’animale caratteristiche umane)
che ’nfra lo foco vivi stando sana;
eo sì fo per long’uso,
vivo ’n foc’amoroso
e non saccio ch’eo dica:
lo meo lavoro spica e non ingrana. (rima imperfetta o siciliana)
III.
Madonna, sì m’avene
ch’eo non posso avenire
com’eo dicesse bene
la propia cosa ch’eo sento d’amore;
sì com’omo in prudito
lo cor mi fa sentire,
che già mai no ’nd’è quito
mentre non pò toccar lo suo sentore.
Lo non-poter mi turba,
com’on che pinge e sturba,
e pure li dispiace
lo pingere che face, e sé riprende,
che non fa per natura
la propïa pintura;
e non è da blasmare
omo che cade in mare a che s’aprende.
IV.
Lo vostr’amor che m’ave
in mare tempestoso,
è sì como la nave
c’a la fortuna getta ogni pesanti,
e campan per lo getto
di loco periglioso;
similemente eo getto
a voi, bella, li mei sospiri e pianti.
Che s’eo no li gittasse
parria che soffondasse,
e bene soffondara,
lo cor tanto gravara in suo disio;
che tanto frange a terra (sostantivo)
tempesta che s’aterra,
ed eo così rinfrango,
quando sospiro e piango posar crio.
V.
Assai mi son mostrato
a voi, donna spietata,
com’eo so’ innamorato,
ma crëio ch’e’ dispiaceri’ a voi pinto.
Poi c’a me solo, lasso,
cotal ventura è data,
perché no mi ’nde lasso?
Non posso, di tal guisa Amor m’à vinto.
Vorria c’or avenisse
che lo meo core ’scisse
come ’ncarnato tutto,
e non facesse motto a voi, sdegnosa;
c’amore a tal l’adusse
ca, se vipera i fusse,
natura perderia:
a tal lo vederia, fora pietosa (da vedere sul libro)
11.03.2022
I STROFA: nonostante la distanza che lei tiene con lui, egli la ama lo stesso, il suo
sentimento amoroso è vitale e vivo nel momento stesso in cui lui si strugge d’amore
per lei, una vita senza amore non è una vita vissuta, lui si sente vivo perché ama lei
nonostante questo amore lo stia uccidendo perché non ricambiato. Successivamente
individuiamo un diverso piano logico, prima l’autore ha parlato alla donna poi a sé
stesso, afferma che: nella vita si muore una volta sola, qui o, lui si immagina di
morire più volte e più dolorosamente; egli brama la donna ed ha a cuore essa più di sé
stesso, ma nonostante questo lei non ricambia.
Determina il rapporto tra l’IO e la donna e spiega come sia possibile all’io stesso di
amare senza prospettive in quanto il dolore di un amore non ricambiato coincide con
l’alimento di vita: vivo e muoio per amore; l’amore mi fa morire a causa del
sentimento non ricambiato dalla donna, ma allo stesso tempo è quello che lo tiene in
vita. L’amore lo fa morire più volte e più dolorosamente rispetto a quanto accadrebbe
per una morte naturale (iperbole: esagerazione di una situazione), siamo in una
dimensione di pura virtualità, situazione tipica del testo letterario: andare oltre
l’esperienza dei sensi comuni.
II STROFA: il suo amore non può apparire a parole, neanche la lingua è in grado di
esprimere questo amore potente
(individuiamo un topos: ineffabilità, l’inadeguatezza delle parole all’espressione del
sentimento)
TERZA STROFA: Il cuore da una sensazione di prurito, fastidio che può essere
eliminato solo toccando quella parte, non può provare sollievo per il suo sentimento;
si trova nella condizione dell’artista, del pittore: prima dipinge e poi cancella il suo
lavoro perché questo non lo soddisfa; non riesce ad adeguarsi, non riesce a dire la
realtà.
Il poeta passa poi ad una diversa immagine: quella del naufrago che rischia di morire
e per salvarsi si appiglia a qualsiasi cosa per restare a galla, incurante del fatto che
così facendo rischia di appigliarsi anche a cose immorali…
Composta (o spezzata o franta): una parola rima con l'insieme di due o più
parole.
Maggiori: primi otto versi che sono scanditi a loro volta in 4 e 4 versi chiamati
QUARTINE, al suo interno la rima può essere baciata o alternata;
16.03.2022
Possiamo dire che: Italiano è il qualificativo che si associa a determinate attività per
delineare il suo gruppo d’appartenenza.
Definizione: presa dal libro del professore
La letteratura italiana è la successione nel tempo di testi scritti con intento d’arte o
con intento almeno affettivo e non meramente comunicativo nella lingua italiana da
parte di autori residenti nella Penisola.
Alla luce delle trasformazioni in atto, relativo alla nostra contemporaneità, può essere
fatta un’aggiunta: alla letteratura italiana appartengono in senso stretto o in senso
lato, in modo preciso o più generale (ossia in proporzione al grado: maggiore o
minore di assorbimento della cultura di destinazione) anche i non nativi d’Italia, ma
emigrati in essa e produttori di testi scritti letterari in lingua italiana.
Orientati verso una soluzione obbligata: hanno tutti uno scopo che li accumuna,
Francesco De Santis si batteva per l’emancipazione politica degli stati italiani, che nei
suoi studi guardò i testi letterari che si sono susseguiti nel tempo in relazione ad un
concetto politico: individuò un tratto comune in questi testi, nell’essere tutti ispirati
da un senso patriottico richiedendo un’unione politica. (storicismo) Nonostante
l’Italia non fosse ancora unita, nelle opere si può riscontrare patriottismo che viene
denominato come elemento comune nelle opere letterarie italiane.
18.03.2022
Testi scritti: elaborati verbali che potremmo considerare o definire dei discorsi
compiuti
Con intento d’arte: con l’ambizione di fare un’opera estetica, deriva dal greco e
deve suscitare sensazioni, smettere di pensare alle cose ordinarie; questa
sensazione, la bellezza di capire quello che l’autore vuole esprimere si associa ad
una visione del mondo, non è solo questione di sentimenti, la letteratura è anche
IDEE.
testi meramente utilitaristici, testi più raffinati, ma non letterari e testi letterari
Lingua italiana è il dialetto Toscano nella sua variante fiorentina, questo dialetto è
stato preso da un'altra lingua, Pietro Bembo propone ad altri scrittori questo
modello di lingua italiana, quella degli autori del ‘300: Dante, Petrarca e
Boccaccio. Questo fiorentino, il suo modello linguistico, fu progressivamente
accolto come modello anche nell’uso parlato dagli abitanti della Penisola, questo
assorbimento proseguirà anche nel 1800. Lo scritto ebbe maggiore successo in
quei paesi in cui vi era maggiore conoscenza del latino mentre nell’uso scritto, il
volgare fu modificato lentamente e di sede in sede della penisola fino a quando del
latino rimasero solo scarsissime tracce. Da quando Pietro Bembo inizia a
consigliare come modello di scrittura del ‘300 si inizia a parlare di lingua italiana,
una letteratura in volgare che si sviluppa in tutta Italia, solo da quando Bembo
teorizza ciò possiamo iniziare a considerare il percorso della nostra lingua.
Riconosciamo come letteratura italiana, anche quei testi che non fanno parte della
lingua italiana, scritti in altre lingue; il dialetto è la lingua utilizzata in determinate
aree geografiche limitate e difficilmente comprensibile da coloro che non ne fanno
parte.
Da parte di autori residenti nella Penisola: ciò implica che la letteratura italiana
comprende anche quei testi in dialetto o di lingue differenti poiché gli scrittori
vivono nella Penisola Italiana ma provengono da altri luoghi. Pur essendo italiani
alcuni nostri autori hanno scritto in lingua straniera, molti di loro avevano una
formazione francese, ma anche se scritti in un'altra lingua fanno parte della
letteratura italiana poiché chi scrive vive lì (MANZONI).
Il rapporto tra lingua e letteratura, in Italia, è molto importante anche grazie al
potere politico centralizzato che faceva sentire cittadini, essendoci questo tipo di
Stato individuiamo anche una lingua Nazionale già da allora, la letteratura diventa
uno strumento POLITICO.
La poesia prodotta dalla Scuola Siciliana subisce un adattamento, i temi vengono
ripresi e trattati nelle regioni dell’Italia Continentale, dove più c’è bisogno di
letteratura e cultura (soprattutto la Toscana). Qui il mondo è completamente diverso
rispetto al sud, un mondo principalmente agricolo, al centro siamo c’è un maggiore
sviluppo. C’è un maggiore coinvolgimento politico da parte dei funzionari Toscani,
Guittone D’Arezzo, rispetto a quelli di Federico II; se il poeta è più dentro al corpo
politico-sociale troveremo temi differenti, non solo riportano altri temi, ma
contestano anche l’idea che l’amore sia amare una donna, per loro l’amore è
PASSIONE, deve riflettere l’istinto dell’uomo.
In tutto il mondo non esiste un così vivo e amplio concentrato di personaggi
all’interno di una sola città, quale Firenze, nel giro di soli due secoli nonostante la
letteratura italiana non sia nata lì; a letteratura italiana non va studiata solo dal punto
di vista storico, ma anche geografici, diversi luoghi hanno dato vita ha produzioni
differenti.
Ad Arezzo vive Guittone che dopo una prima fase impegnata nel suo comune,
abbandona lo stile di vita precedente e diventa un frate francescano scelta,
probabilmente, causata dalla morte della moglie in un incidente. Questo lo porterà a
rivedere le sue abitudini e il concetto d’amore che professava diventando un poeta e
un prosatore che scrive lettere in volgare di severa moralità religiosa; prima era un
poeta d’amore, ma quando diventerà frate cambierà i suoi temi.
Ha un modo di essere che si rivela spesso un limite: scrive poesie d’amore, in almeno
alcune circostanze, restando simile alla poesia siciliana ma invece di rinnovarla,
mantenendone il principio dell’amore come omaggio ad una donna bella e superiore,
la rende artificiosa: elabora e rielabora, producendo tesi insincere e troppo fatte a
tavolino (troppo laboratorio e poca immediatezza e disinvoltura).
PARAFRASI:
Ogni volta che io dirò «gioia», mia donna gioiosa, intenderete che io parlo di voi, che
siete gioia di gioiosa bellezza, e gioia di piacere bello e gioioso, e gioia su cui riposa
un gioioso avvenire, gioia leggiadra e gioia di un corpo snello, gioia cui io guardo e
gioia tanto amorosa che è cosa gioiosa guardarla. Gioia della mia volontà e dei miei
pensieri, gioia di dire, gioia che mi rende gioioso, e gioia di ogni gioioso movimento:
per cui, gioia gioiosa, io provo tanto desiderio di voi che non sento mai gioia se non
riposo alla gioia vostra il mio cuore.
Ogni volta che nel testo troviamo il termine Gioi l’autore si rivolge alla donna, al suo
interno vediamo un’artificiosa e continua elaborazione del motivo della gioia
attraverso questo sostantivo. Un sonetto come questo non ci dice molto della donna,
non ne approfondisce le caratteristiche, né ne elogia la bellezza o le sue
caratteristiche, si allontana molto da la poesia siciliana, infatti questo poeta sarà
molto criticato da Dante.
23.05.2022
Si tratta di un’esaltazione della donna priva di quel valore spirituale, non afferma il
primato della donna indipendentemente dal fatto che ricambia o meno l’amore, si
tratta di una celebrazione mondana: la bellezza di questa donna non induce l’amante a
pensieri o parole sporche, essa è un trionfo di colori, profumi, sensi…ma non è
comunque la celebrazione di spiritualità, NON viene rappresentata sa Guittone come
un angelo.
Essa è:
amore pienamente realizzato, tutto ciò che si è usato per arrivare a quella gioia
GIOI
Guittone è colui che ha adattato la poesia siciliana a nuovi contesti geografici, dopo il
1250 l’esperienza dei poeti di tutta l’Italia meridionale si conclude, ma i loro
insegnamenti non si perdono (la poesia siculo-toscana tratterà di politica). Guittone
non va sottovalutato, è un poeta d’amore, ma la sua modalità di scrittura è diversa da
quella cortese soprattutto perché egli afferma, prima di diventare frate quando si
godeva i piaceri della vita, che l’amore non va MISTIFICATO, non va nascosto dalla
sua versa natura: desiderio fisico e appagamento dei sensi.
Diventando frate, francescano mondano (poteva essere sposato), cambia la sua visione
sulla vita e sui piaceri: cessa di fare poesie d’amore, ma non cessa di scrivere poesie.
A quell’epoca non era possibile essere NON credenti, la religione era il tessuto
sociale, tuttavia si aveva la possibilità di essere laici, credere, ma non vestire abiti
religiosi.
Guittone dunque è per la comunità di tutti i poeti che non capiscono fino in fondo che
bisogna rinnovare l’esperienza dell’amore in poesia, un riferimento importante.
I siculi-toscani, non ancora stilnovisti, sono abituati a dialogare tra loro secondo il
modello che sarà poi quello di Dante, fanno della letteratura NON l’espressione di
uno stato d’animo, ma un gioco o una forma di competizione in artificiosità. Essi
sono capace di trattare tematiche diverse: la propria biografia, l’interlocuzione con
poeti che hanno convinzioni politiche opposte (guelfi e ghibellini), riflessione sulla
lotta politica tra i due fronti politici…
PAPA IMPERATORE
25.03.2022
A volte segue e fa intendere i modi dell’amore come facevano Guittone o i poeti della
scuola siciliana, ma in altri casi sembra rinnovare tale concetto trovando come modo
di scrittura per trattare ciò una maggiore SEMPLICITA’. Il caso più evidente di
capacità di rinnovamento è la canzone:
I STROFA: La forza dell’amore si rifugia in un cuore gentile come gli uccelli nel
fitto del fogliame e la natura non fece l’amore prima di aver creato i cuori capaci
d’amare, ma al tempo stesso non fece i cuori gentili anteriormente all’amore; la
natura creò al TEMPO STESSO l’amore e il cuore gentile quindi i due sono la stessa
cosa, non possono vivere l’uno senza l’altro. Il poeta ha voluto spiegare ancora lo
stato per cui una cosa non nasce prima dell’altra, ma nascono insieme utilizzando la
metafora del SOLO, non soltanto una contemporaneità, ma anche un’identità di
natura: l’essere di uno è l’essere dell’altro (vv.5-6-7).
L’amore va a situarsi nella gentilezza allo stesso modo in cui il calore sta nella
fiamma luminosa (vv.8-9-10) essa è un’immagine che spiega e valorizza meglio i
versi precedenti.
così come l’acqua con la sua freddezza si oppone al fuoco, allo stesso modo la natura
cattiva si contrappone all’amore
Un uomo presuntuoso afferma ‘io sono gentile per la mia posizione gentile’,
Guinizelli di fronte a questo paragona l’uomo al fango e il valore della gentilezza a
quello che è veramente nobile, il sole, un uomo altero è come il FANGO. Il poeta ci
dice che:
Essere gentili è un fatto di natura, è un pregio che non ha nulla a che fare con il
tessuto sociale, si è gentili perché la natura ha voluto questo: il figlio di una schiava
può avere una nobiltà d’animo maggiore rispetto al figlio di un re.
E il poeta afferma ciò nonostante appartenga ad una fascia sociale importante, per lui
siamo tutti uguali, la gentilezza può illuminare il cuore di chiunque non solo le
persone nobili.
La nobiltà d’animo NON risiede all’esterno del cuore come un qualcosa di ereditario
solo per natura si può avere nobiltà d’animo, senza distinzione di rango.
30.03.2022
Le prime quattro stanze sono tutte di 10 versi, particolarità della canzone dove ogni
strofa deve contenere lo stesso numero di versi, per Guinizzelli esiste una
contemporaneità tra: AMORE e CUORE GENTILE. Ed arriva ad affermare che
quella nobiltà tipica degli esseri umani è una legge di natura, è essa che rende una
persona umana e con moralità, la nobiltà non dipende quindi dallo sviluppo sociale.
Individuiamo quindi un concetto non classista, il poeta operava con delle similitudini
naturalistiche per esprimere le sue idee.
V STROFA: (strofa più complessa) vv.40 afferma che il dio creatore splende dinanzi
agli angeli, i quali hanno il compito di muovere il cielo (fatto di tante dimensioni che
rientrano l’una dentro l’altra e tutti mobili per iniziativa degli angeli), e splende più
del sole ai nostri occhi. L’essere angelico capisce immediatamente chi è il proprio
creatore, lo riconosce sempre nonostante egli sia in uno spazio differente da loro
perché non necessita di muoversi; anche qui c’è una contemporaneità: gli angeli
guardano dio e muovono il cielo.
Così come la volontà divina si realizza nell’obbedienza degli angeli, la bella donna da
quando appare seducente agli occhi di chi si innamora di lei, perché dotato di un
cuore gentile, dovrebbe infondere in lui un desiderio di non allontanarsi
dall’obbedienza.
La bella donna deve essere in grado di portare l’innamorato a non desiderare mai di
cessare il suo servizio d’amore, la sua obbedienza, questa DEVOZIONE ha come
termine di confronto l’adesione degli angeli al creatore (termine di paragone con il
divino). Fino al v.40 c’era si un termine di paragone con la forza della natura, ma
l’entità per l’eccellenza nel mondo non era ancora stato nominato: DIO.
VI STROFA: si rivolge alla donna amata e afferma che quando lui sarà alla fine
della sua vita, Dio gli parlerà e gli dirà: ‘Guido cosa ti passava per la testa? (un
rimprovero) hai finito la vita terrena, sei nell’aldilà, e nella vita terrena tu hai preso
me come termine di paragone di un amore vano’. Lo rimprovera di aver amato la
donna piuttosto che lodare lui, si è concentrato più sull’amore: i versi che ha rivolto
alla donna dovevano essere rivolti a DIO e alla MADONNA. Guido teme di essere
punito per la visione che ha sull’amore nonostante si tratti di un amore NON
CARNALE, non è un amore sessuale.
Ed è qui che arriva lo scatto, apre quella che è la visione dello Stilnovo, pensa di
potersi difendere dinanzi a dio affermando che:
la donna di cui è innamorato, quella di cui parla, sembrava a vere le forme e l’aspetto
di una creatura angelica e quindi riconducibile alla grazia divina.
Il suo dunque non è stato un peccata, non ha compiuto un errore nel riporre amore in
una creatura angelica, fornisce quindi una motivazione all’amore verso una donna: se
l’uomo è gentile d’animo, non vuole solo un amore sessuale, ma vuole crescere a
livello spirituale-sentimentale con lei, e lei ha sembianze angeliche tant’è bella, allora
questo amore è BENEDETTO e POSSIBILE.
Successivamente a Guinizzelli ci sarà una schiera di poeti che sosterranno che non ci
si può NON INNAMORARE di una donna, essi usano un lessico e fissano un tono
molto più aggraziati, curati e semplici rispetto a quelli precedenti. Risultano più dolci
nel tono e nelle immagini, troviamo uno stile nuovo, ma la cosa più importante è che
la donna celebrata da questi poeti: non è solo umana e piena di virtù, la sua identità in
terra conta di meno rispetto al fatto che essa è portatrice di una perfezione
sovraumana:
è donna, ma anche ANGELO ed è questa sua entità angelica che la rende amabile.
Stilnovo
Un amore carnale, ma anche: tenero, degno e nobile.
Dalla donna dello stilnovo non ci si aspetta neanche un ‘no’, essendo è angelo non
siamo degni neanche di parlarle, ci si limita a guardarla ammaliato da lontano: è
aldilà della capacità umana, ma allo stesso tempo essendo angelica ti educa e ti
spinge verso la retta via, questo è l’amore DEVE RENDERTI MIGLIORE.
(Decameron: novella di Cimone, un bestione enorme e rozzo che innamorato di una donna diventa
un gentiluomo)
Io voglio del ver la mia donna laudare (pag.191)
Io voglio del ver la mia donna laudare
ed asembrarli la rosa e lo giglio:
più che stella dïana splende e pare,
e ciò ch’è lassù bello a lei somiglio.
II STROFA: paragona a lei la verde campagna, il cielo e insieme tutti i colori dei
fiori con le pietre prezioso (qui siamo vicini all’idea di Guittone) siamo di fronte ad
una super eleganza mondana, non c’è il salto al divino e al celestiale; ma comunque
la bellezza di questa donna riesce a rafforzare l’amore in sé.
III STROFA: questa donna passa per la strada adorna di pietre e gioielli, ed è così
gentile che abbassa l’orgoglio di colui a cui dona saluta, questo verso non va
parafrasato alla lettera: questa donna che ha un potere quasi soprannaturale, passa per
il mondo degli uomini, piene della sua bellezza, ed è così nobile interiormente che
mandando una sorta di benedizione, essere in pace con dio e con il mondo, rende
l’altro consapevole di questo e venendo a contatto con lei iniziano a vivere di
semplicità, allontanando l’orgoglio.
IV STROFA: e nessun uomo che sia privo della qualità naturale dell’amore,
gentilezza, non le si può avvicinare, non ci riesce; questo contatto è solo con chi è
capace di dare e ricevere un AMORE NOBILE. E conclude affermando che questa
donna possiede anche un’altra qualità spirituale, fin quando lo sguardo è su di lei
nessuno è più capace di pensare al male, è una visione che ti beatifica.
Si tratta di un sonetto iniziato in maniera mondana, che evolve poi verso lo stilnovo.
01.04.2022
Non è un amore passeggero, ella non si dimentica anzi ci eleva verso la spiritualità, ci
rende migliori ed essendo concepita come un essere celestiale ci si aspetta che non
possa morire viene dotata di immortalità e questo ci viene mostrato da Dante nella
sua opera: ‘Vita Nova’. Nonostante ad un certo punto della sua opera Beatrice muoia
egli continua a lodarla e lo stesso farà all’interno delle Divina Commedia dove lei
appare, ma appare come personaggio vivente, come anima viva (canto 30 del
Purgatorio) nel mondo ultraterreno. L’amore stilnovistico non concepisce un amore
carnale, la poesia è basata su un rapporto tra uomo e donna di carattere spirituale.
Mentre Dante scrive il canto 24esimo del Purgatorio, 20 anni dopo la creazione di
poesie stilnovistiche, qui immagina sé stesso incontrare Bonagiunta Orbicciani (poeta
pretoscano) con cui si mette a parlare di letteratura ed afferma che ciò che lo ispira
per scrivere poesie è l’AMORE, dentro di sé sente un dettato interiore che lo porta a
scrivere, in questo canto mostra che tipo di poeta è lui stesso. Non è un poeta che ha
un concetto di amore esteriore, non tratta un amore profano, ma un amore
spiritualizzante; parla di una donna che è un ANGELO, la perfezione. (v.52) Questo
porta Bonagiunta a comprendere che quei poeti sono superiori al suo modello, sono
stati in grado di creare un qualcosa di nuovo risultando superiori, è questo lo
Stilnovo, Dante più di chiunque altro poeta è consapevole della svolta che loro hanno
comportato. (Cavalcanti altro autore importante dello stilnovismo) Questa teoria di Dante
non nasce nel momento stesso in cui si individua lo stilnovismo, egli nasce come
poeta stilnovista, ma poi cresce e fiorisce in altro, non è più solo quel tipo di poeta, e
solo in questo momento, quando evolve in altro, prende consapevolezza di quello che
è lo STILNOVO e dà vita a questa sua visione.
Gli stilnovisti sono poeti, la maggior parte fiorentini, che danno vita ad opere dolci e
nuove le quali si oppongono alle poesie siculo-toscane, altro poeta stilnovista
importante fu Guido Cavalcanti, la donna di Cavalcanti è una donna che si
innamora, ma stordisce anche, mette in gravi difficoltà: schiaccia e annichilisce
l’uomo, perché la natura angelica, la natura ultraterrena della donna è avvertito da
Cavalcanti come un elemento: irresistibile, ma talmente forte che finisce per
schiacciare l’uomo piuttosto che dargli prospettive più grandi; il contatto con ciò che
è perfetto manda KO più di quanto rende beati. (parliamo di stilnovo drammatico)
Il valore e la bellezza della donna da lui amata sono superiori ad ogni cosa, anche a
quello che lei rappresenta come dato conoscitivo, il bene è tipico di lei: una donna
così non può non contenere del bene. È un sonetto che ha un INCIPIT, in esso
troviamo un’unione tra i temi di Guittone e quelli dello stilnovo il quale rappresenta
la donna come un angelo.
06.04.2022
dopo aver lodato l’aspetto virtuoso della donna, l’IO innamorato di Cavalcanti ne
esce abbattuto a causa della bellezza della donna, quindi non è appagato, ma stordito
e questo lo porta a sentirsi morire. (ecco perché drammatico)
Tutto questo perché è vero che la donna è una creatura angelica, ma al tempo stesso
l’amore non è un’esperienza di spiritualità anche se sembra tale, è un fenomeno della
vita umana: non è metafisica. Questo atteggiamento porta Cavalcanti in collisione
con il pensiero di DANTE, nonostante fossero molto amici, poiché quest’ultimo vede
la radice dell’amore in un’esperienza metafisica che trascende dall’esperienza umana.
(questa amicizia si va perdendo nell’ultimo decennio del 1200 ed è rintracciabile anche a livello
politico)
07.04.2022
Ha una visione turbata dell’amore, quello che la donna provoca è stordimento e non
solo innamoramento, nonostante abbiamo un’idea dell’amore come un fenomeno
materiale descrive comunque la donna come una figura angelica è quindi in pieno
uno stilnovista. Guido è un uomo aristotelico di inclinazione materialistica, egli
quindi non crede, tuttavia non ha subito ripercussioni: egli è al tempo stesso
stilnovista, ma non vede l’amore come una cosa spirituale.
I QUARTINA: Cavalcanti afferma che la donna gli ha infuso talmente tanto dolore
da portare la sua anima a voler uscire dal corpo, gli occhi mostrano che il cuore non
ce la fa più grazie ai sospiri che il corpo produce, il dolore che la donna gli ha inferto
lo porta a desiderare di morire. L’innamorato è stato colpito nella MENTE, essa nei
poeti è importante perché mostra la capacità dell’uomo di pensare e ragionare
(rappresenta la loro intelligenza), l’amore non tocca solo la sfera emotiva, ma anche
quella intellettuale.
III QUARTINA: l’io lirico diventa un morto che cammina, chi l’osserva non lo vede
come un essere vivente, ma fatto di: rame, pietra o legno
IV QUARTINA: egli si muove solo perché c’è un congegno interno che gli permette
di compiere movimenti nonostante sia morto, una specie di burattino che non esiste in
realtà come essere vivente e la ferita nel cuore mostra ciò.
I QUARTINA: solo innamorato l’uomo è veramente vivo, il poeta chiede alla donna
di prendere consapevolezza dell’angoscia che lui stesso prova, quest’amore lo porta a
morire, l’amore gli sta distruggendo la vita. Nuovamente torna la parte intellettuale
quando il poeta nomina la mente, è essa che soffre.
i sensi, hanno una riconoscibilità fisica le individua come: cellule che si muovono
nell’organismo umano per poi andare verso l’esterno
III QUARTINA: l’amore ha scagliato una freccia contro l’io e l’ha fatto innamorare,
portandolo a morire d’amore.
IV QUARTINA: questo colpo andò dritto al primo tiro che l’anima provò un brivido
vedendo che il cuore era stato colpito ed era come spento, era la morte.
Il poeta trovandosi fuori dal territorio Toscano, perché in esilio, questa ballata serve a
mostrare alla donna da lui amata: i suoi dolori e i suoi sospiri, una ballata che può
essere letta solo da chi ha sentimenti nobili. Chi non è sensibile ai valori della
gentilezza d’animo criticherebbe quello da lui scritto causando angoscia al poeta e
quest’ultimi criticherebbero lo scritto di Cavalcanti anche dopo la sua morte, quindi
questa ballata deve raggiungere la donna amata, ma non deve finire nelle mani degli
ignoranti.
La ballata percepisce la sua sofferenza e il suo dolore, il poeta si sente ormai morire e
chiede alla ballata di aiutarlo portando la sua anima fuori dal cuore per portala alla
donna che ama riferendole che essa, la ballata, è lì per riferire l’amore del poeta e
farle compagnia. La voce del poeta ormai stordita dall’amore riesce appena a farsi
sentire dal cuore che duole, ma anche se debole il poeta chiede a quest’ultima di
spiegare alla donna amata la sua condizione, di nuovo ad essere distrutta è la
MENTE.
La ballata, l’anima e la voce esile che vanno dalla donna amata, troveranno una
donna di dolce intelletto, che capisce i sentimenti degli altri e capace di essere
compartecipe della vita interiore degli altri, che li porteranno a provare piacere. Il
dolce intelletto di questa donna è simile a quell’intelletto d’amore che è proprio delle
donne di valore e che ritroviamo nella ‘Vita Nova’ di Dante il quale scrive in: Donne
che avete intelletto d’amore che le uniche a capire l’innamorato che soffre sono le
donne dotate di intelletto e qui Cavalcanti non è lontano da Dante.
Dante Alighieri
scrive nella sua esistenza diverse opere che potrebbero essere definite e distinte in:
opere organiche, create per avere una struttura compiuta e conclusa, e opere non
organiche che non arrivano a chiudersi, rimangono aperte e non completate. Nella
fase giovanile Dante scrive un’opera compiuta: la Vita Nova, ma scrive anche tante
poesie che non sono organiche; in una fase più matura, dopo il 1301, scrive una serie
di opere che non possono definirsi concluse: De vulgari eloquentia e il Convivio ed
una terza opera saggistica che invece è conclusa: la Monarchia. Scrive infine 13
epistoli, 13 piccole opere chiuse ed infine la più ampia delle sue opere: la Divina
Commedia che è conclusa.
ORGANICHE
NON ORGANICHE
Tuttavia esiste una terza categorie di opere: esse non sono propriamente opere, ma
poesie singole che singolarmente prese sono finite e che Dante non ha mai pensato di
mettere in una raccolta, quindi si presentano come poesie disperse singolarmente
concluse.
gli Alighieri sono una famiglia nobile antica impoverita con il tempo, ma non di
tanto; nonostante abbia perso presto entrambi i genitori non gli manco mai nulla e
compi una vita nobile dedicata agli studi, era infatti incline ad una vita intellettuale
vivace. Fu anche cittadino attivo, partecipò ad alcune battaglie, della sua vita non
sappiamo granché nonostante vivesse al centro di Firenze. Ad un certo punto della
sua vita inizierà a frequentare Beatrice Portinari, donna che aveva conosciuto da
bambino, e che ad un certo punto perderà di vista, quest’ultima una volta sposata
morirà in giovane età. Nel 1283 scriverà un suo I SONETTO, qui comincerà la sua
carriera da poeta, all’età di 18 anni; queste sono le poche cose che si sanno della sua
vita.
08.04.2022
Dante giovane dà un primo segno di vita come poeta nel 1283 e avvia così una
produzione di testi caratterizzati dalla sola TEMATICA AMOROSA con
eventualmente episodi di scambi di sonetti con suoi colleghi perlopiù di argomenti
amorosi. Questo giovane poeta lirico è equidistante: consapevole della novità che lo
stilnovo ha prodotto, ma allo stesso tempo tratta questo tema in modo siculo-toscano.
La donna è una figura angelica, ma dalle sembianze umane e si tratta di poesie
caratterizzate da un linguaggio tipico della scuola siciliana…tuttavia con il passare
del tempo acquista caratteristiche cavalcantiane, ma allontanandosi da quella visione
drammatica dell’amore. Il Dante giovane tendenzialmente non scrive canzoni, è un
poeta che dà segni di essere molto vicino a Guido Cavalcanti che in qualche modo lo
ha introdotto all’attività poetica.
La morte di Beatrice, in giovane età (1290), sconvolge il poeta e questo lo porterà a
cambiare il suo quadro: diventa meno banale, non sarà più un bravo poeta medio, ma
sta diventando DANTE, compie un salto di qualità. Questo passaggio è segnato dalla
produzione di un’opera: in parte nuova e in parte no. Intorno al 1293 ripensa a tutte le
poesie scritte allora (più o meno una quarantina) ripensa quindi al suo passato creativo;
di queste poesie ne prende alcune con l’intento di celebrare la bellezza di una donna
in modo abbastanza coerente (25 poesie) a cui aggiunge una serie di poesie scritte per
l’occasione (6 poesie) arrivando ad un totale di 31 POESIE.
Questo lavoro di antologia di brani dura circa un anno e mezzo, il suo intento è quello
di celebrare Beatrice, scrivere in suo onore, tutte queste pagine sono rivolte a lei,
nonostante non tutte erano rivolte a lei, Dante infatti nel corso della sua giovane età
loda molte donne fiorentine (tra queste sceglie solo quelle più adatte per celebrarla)
A queste 31 POESIE aggiunge una serie di brani in prosa che scrive per l’occasione
(6 brani) rivolte solo alla lode di Beatrice.
In questo libro racconta una storia d’amore più spirituale che vera, si tratta di 31
poesie che raccolgono le sensazioni e le emozioni di un uomo innamorato e i brani in
prosa vengono usati come un collegamento tra una poesia e l’altra con l’intento di
creare un racconto.
Una storia d’amore che viene narrata nell’opera: la Vita Nova, conclusa nel 1294.
Dal 1238 al 1307 scrive una serie di poesie singole, successivamente a quell’anno si
dedicherà alla Divina Commedia.
Nell’opera viene mostrato l’amore che l’io lirico prova per la donna descritta, in un
preciso momento della storia individuiamo un cambiamento, un cambiamento che
l’autore vorrebbe fosse permanente, spezzato però dalla morte di lei, situazione che lo
porta ad avere un atteggiamento difficile da capire inizialmente, ma che poi diventa
sempre più chiaro.
L’autore in questa opera vuole far capire ai suoi lettori quello che lui prova nel
ripensare ad una situazione passata, ma radicata nel ricordo: racconta dell’incontro
con una BAMBINA di 9 anni di cui s’innamora, primo contatto di Dante con la
femminilità, ma che il destino farà allontanare. I due si rincontrano a 18 anni e
nuovamente il poeta inizia a provare dei sentimenti forti per lei, nell’opera racconta i
vari modi in cui l’IO si rapporta con questa donna, tuttavia non vi è: né una
collocazione geografica-temporale né si sa i protagonisti chi sono (un io e una donna
denominata: gentilissima), tutto avviene in un’atmosfera misteriosa e incantata. Non
riporta nulla di Firenze, la città viene descritta in maniera sfocata per concentrare
l’attenzione su questo amore spirituale, quindi non descrive né: la cupola, né S.Maria
in Fiore, né il Battistero…
L’io si vergona a raccontare il suo amore per timore dei giudizi della gente e proprio
per questo fa credere alla sua comunità che la donna a cui si rivolge non è quella che
in realtà ama, finge di amare una donna per non dire in realtà chi è la donna
realmente amata. (donne dello schermo) Provando un forte amore per la ‘gentilissima’
non riesce a crearci un legame, non riesce a rivolgerle parole, per questo verrà deriso
dalla stessa donna amata e dalle sue amiche.
La donna che Dante aveva fatto credere agli altri di amare viene a conoscenza di
questo sentimento e arriverà a negargli il saluto, è a questo punto dell’opera che
avverrà uno scatto: il poeta dolente incontra le amiche della donna amate che difronte
alla sua disperazione proveranno pietà per lui. Tornato a casa Dante scriverà una
canzone: Donne ch’avete intelletto d’amore, solo le donne gentili sono in grado di
capire la sofferenza e i sentimenti di un innamorato e successivamente a ciò inizierà
ad amare la donna senza sperare che venga ricambiato, egli è inferiore, un uomo
mondano che può solo lodare la donna amata poiché angelica.
Una volta MORTA la donna amata l’io entra in lutto, prova un immenso dolore e
informa tutto il mondo della notizia, TUTTI devono sentire quel dolore poiché è
morta la luce. Passato del tempo l’io vede dalle finestre della sua casa una donna che
l’osserva che di fronte alla sua sofferenza prova compassione…in poco tempo egli
inizia a provare per questa donna attrazione mentale dimenticandosi della
sofferenza dovuta alla perdita della ‘gentilissima’. Quella stessa notte, però, la donna
da lui amata gli appare in sogno, lo rimprovera per il suo atteggiamento e sentendosi
immensamente in colpa l’io lirico torna a pensare a lei. Conclude, infatti, l’opera
affermando che:
non avrà pace fino a quando non loderà l’immensa bellezza della donna amata
scrivendo di lei in un’altra opera (torna infatti nella Divina Commedia).
Si tratta di un’opera ricca di allusioni letterarie, lo stile di Dante nella Vita Nova è: la
fioritura dello stilnovo e al tempo stesso il modo per aprire la via ad una situazione
post-stilnovistica. Nell’opera non viene mai fatto un nome, non si sa a chi è rivolto,
solo successivamente, in un preciso punto della Divina Commedia, Dante descrive
Beatrice nella stessa maniera in cui aveva precedentemente rappresentato la donna
amata permettendoci di affermare che era lei la ‘gentilissima’ a cui rivolgeva le sue
lodi, mostra così la sua grandissima capacità di narratore.
13.04.2022
La Vita Nova è l’esito più sostanzioso nella vita di Dante, ma non tutto il Dante
giovanile è rintracciabile in questa opera, per comprendere la sua figura è necessario
analizzare altre sue opere. Negli anni successivi alla sua pubblicazione scriverà altre
opere amorose, ma lontane dalle rime stilnovistiche e parliamo delle: RIME
PETROSE.
Di poco successivo alla Vita Nova sono una serie di rime che Dante scrive e tra di
esse rintracciamo: ‘Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io’; qui riprende i modi
d’amore di Guittone ed individuiamo un gusto aristocratico. Il poeta seleziona
all’interno della città in cui vive una ristretta cerchia di persone nobili d’animo i quali
sono capaci di nobili sentimenti e sono distinti dalla massa volgare, sono autentici
fedeli d’amore in quanto hanno in comune questo senso raffinato e morale dell’amore
e sanno che nell’esercizio di questo sentimento ciascuno di loro cresce internamente.
Siamo a metà della Vita Nova e l’io ha compreso che per conservare quella ricchezza
biografica e per non impazzire egli deve sublimare quell’amore, Dante è consapevole
del fatto che non potrà mai avere Beatrice poiché non degno e quindi inizia a vivere
l’amore in una direzione unica, è appagato nel LODARE la donna amata non si
aspetta che tale sentimento sia ricambiato. (trova un equilibrio)
quelle rime dedicate a una donna indicata come Pietra, per la sua insensibilità e il suo
rifiuto dell'amore; si tratta di un ciclo di quattro componimenti: due canzoni,
una sestina e una sestina doppia, che tematizzano l'amore per la donna "Petra" che
secondo alcune interpretazioni potrebbe essere un'allegoria della filosofia o una
personificazione allegorica. Queste rime si caratterizzano per il nuovo concetto di
amore che viene proposto da Dante: i versi si caricano di un amore passionale e
carnale in cui si sprigiona una grande forza erotica, molto lontano dall'amore ideale e
spirituale che Dante prova per Beatrice.
Sono quindi 4 componimenti uniti per la loro somiglianza nel contenuto, trattano un
amore diverso: un amore per una donna che si nega e risulta ostile all’io, situazione
che fa soffrire l’innamorato. (non un angelo, ma una donna insensibile e ostile)
Permettono a Dante di allenarsi all’utilizzo di un linguaggio duro e ostile che gli sarà
utile nella stesura dell’inferno.
Nei suoi primi anni d’esilio scriverà due trattati: De Vulgari e Il Convivio, sono
entrambi interrotti molto diversi, ma comunque complementari.
Scritto in latino, esso celebra la potenza che sta iniziando ad avere l’italiano,
affermando che si può avere fiducia nel volgare.
Scritto in volgare, afferma che per l’alta cultura, la lingua grammaticale è pur sempre
il latino.
IDEOLOGIE PASSATE:
L'Inferno era rappresentato all'epoca di Dante come una cavità di forma
conica interna alla Terra, allora concepita come divisa in due emisferi, uno di
terre e l'altro di acque, la caverna infernale era nata dal ritrarsi delle terre
inorridite al contatto con il corpo maledetto di Lucifero e delle sue schiere,
cadute dal cielo dopo la ribellione a Dio. La voragine infernale aveva il suo
ingresso esattamente sotto Gerusalemme, collocata al centro della semisfera
occupata dalle terre emerse, ovvero dal continente euroasiatico.
Agli antipodi di Gerusalemme, e quindi al centro della semisfera acquea, si
ergeva l'isola montagnosa del Purgatorio, composta appunto dalle terre
fuoriuscite dal cuore del mondo all'epoca della ribellione degli angeli.
In cima al Purgatorio, Dante colloca il Paradiso terrestre del racconto biblico, il
luogo terrestre più vicino al cielo, esso è strutturato secondo la
rappresentazione cosmologica nata all'epoca ellenistica con gli scritti
di Tolomeo. Dietro l'anima di Beatrice, Dante attraversa dunque i nove cieli del
cosmo astronomico-teologico, al di sopra dei quali si distende l’Empireo in cui
ha sede la Rosa dei Beati, posti a diretto contatto con la visione di Dio. Ai nove
cieli corrispondono nell'Empireo i nove cori angelici che, col loro movimento
circolare intorno all'immagine di Dio, provocano il relativo movimento
rotatorio del cielo a cui ciascuno di essi è preposto - questo secondo la dottrina
dell'Atto Puro o Primo Mobile desunta dalla Metafisica di Aristotele
Come si vede, Dante riprende dalla concezione tolemaica l'idea di una Terra sferica,
ma le sovrappone un universo sostanzialmente pre-tolemaico, privo di simmetria
sferica.
La struttura cosmologica della Commedia è strettamente connessa alla struttura
dottrinale del poema, per cui la collocazione dei tre regni, e, al loro interno, l'ordine
delle anime (ovvero delle pene e delle grazie), corrisponde a precisi intendimenti di
ordine morale e teologico.
È stato notato come tutte e tre le cantiche terminino con la parola «stelle»
Inferno: "E quindi uscimmo a riveder le stelle";
Purgatorio: "Puro e disposto a salir a le stelle";
Paradiso: "L'amor che move il sole e l'altre stelle".
Dopo aver visitato il paradiso, Dante per un attimo riesce a vedere Dio, ne esce
stordito, ma comunque ricorda la sua presenza e concluso il suo viaggio inizia la
trascrittura dell’opera.
Le sue Guide: Durante il viaggio Dante viene accompagnato dalla forza della
ragione che è rintracciabile nella figura di Virgilio, personaggio che il poeta incontra
all’inizio dell’opera (limbo) e che lo accompagnerà anche per la maggior parte del
viaggio lungo il Purgatorio, abbandonerà l’autore prima dell’arrivo al Paradiso poiché
nato prima del cristianesimo, Virgilio si trovava infatti nel Limbo insieme ali non
battezzati e pertanto non era degno di accompagnarlo alle porte. Qui Dante avrà una
nuova guida: Beatrice, individuiamo quindi il passaggio dalla forza della ragione
alla FEDE, sentimento del divino che va oltre le capacità umane. In cima al Paradiso
non basterà più neanche la fede affinché Dante possa vedere Dio e allora giungerà la
forza mistica con S.Bernardo.
Attraverso l’opera Dante prende sempre più consapevolezza della malvagità che
costituisce il MONDO, il suo è uno sguardo soggettivo: l’autore è il viaggiatore
stesso, diventa il protagonista dell’opera. Tutto questo avviene poiché egli, ad un
certo punto della sua vita, si era trovato in crisi molto grande sia intellettuale che
morale…allegoricamente l’opera racconta di un personaggio che si è perso in una
selva nella quale si aggira senza speranza di uscirne: la selva del terrore e del peccato.
Ogni essere umano può trovarsi nell’errore, perdere la retta via, lui sta per chiunque
possibile, ognuno può riconoscersi in lui e al contempo Dante parla di se stesso
poiché in quel periodo della sua vita si sente perso e nell’errore; l’opera in fatto inizia
con una situazione di spaesamento:
‘Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura chè la diritta
via era smarrita’
Dante infatti si presenta al suo pubblico sotto un aspetto duplice:
da un lato: il Dante agens, o il Dante personaggio, colui che compie il viaggio
dall'Inferno,
dall'altro il narratore: il Dante auctor, o il Dante poeta di questa esperienza
straordinaria.
Il viaggio è l’allegoria di una mutazione interiore che Dante deve fare con sé stesso,
deve cambiare il suo modo di vivere altrimenti non uscirà mai da quella situazione di
errore che lui ha allegorizzato nella selva. Il viaggio ultraterreno non è ambientato nel
periodo in cui scrive l’opera, il 1308, bensì nel 1300, attraverso il viaggio nell’inferno
si fortifica la sua fede e inizia a pensare ad uno stile di vita differente, più cristiano.
(abbandonare i vizi e avvicinarci alla fede, in previsione del giorno del giudizio universale )
21.04.2022
L'Inferno, la prima delle tre cantiche, si apre con un Canto introduttivo, il PRIMO,
(che serve da proemio all'intera opera), nel quale il poeta Dante Alighieri racconta in
prima persona del suo smarrimento spirituale e dell’incontro con Virgilio, che lo
condurrà poi ad intraprendere il viaggio. Dante si ritrae, infatti, "in una selva
oscura", allegoria del peccato, nella quale era giunto avendo smarrito la "retta via", la
via della virtù, e giunto alla fine della valle scorge un colle illuminato dal sole.
Dopo essersi riposato e poi incamminato lungo la spiaggia deserta verso il colle, gli si
parano davanti, in sequenza:
1. una lince (lonza) dal pelo maculato: LUSSURIA;
2. un leone: SUPERBIA;
3. una lupa: CUPIDIGIA.
Parliamo delle tre fiere, quest’ultime, nell’opera, si pongono di fronte a Dante con
fare feroce impedendogli di andare oltre, situazione che porterà l’autore a chiederà
aiuto. Fin dal I CANTO afferma che il mondo in cui si trova lui è un mondo di vizi,
non è l’unico ad aver perso la diritta via, tutto il 1300 (anno giubilare) è un momento
della storia in cui tutto il mondo è corrotto, persino la Chiesa. Tutta la terra rischia di
scoppiare ed è proprio questo che da grande angoscia all’uomo il quale si rifugia nei
vizi: lussuria (lince), la violenza sopraffattrice (leone), la cupidigia (lupa).
La smania di possesso, la visione della lupa, porta Dante alla disperazione convinto
ormai che non ha via di scampo, in suo soccorso giungerà la figura di VIRGILIO,
l’atteggiamento di Dante nei confronti di questa figura non è di indifferenza bensì di
ammirazione vera. Dopo una lunga conversazione intrapresa con quest’ultimo,
l’autore intravede in lui una guida e da qui inizierà il suo viaggio nell’oltretomba.
Virgilio nell’opera è il simbolo di quella che noi definiamo: razionalità dell’uomo,
la RAGIONE, la capacità di non vivere solo di istinti; la sua ombra era fin dall’inizio
al fianco dell’autore, ma egli inizialmente non l’aveva notata, quindi con questo
incontro Dante vuole dimostrare come la capacità razionale si presenta sempre
nell’uomo, ma a volte in certe situazioni aspettiamo a lungo prima di farne uso.
Quest’ultimo consiglierà a Dante come uscire da questa situazione di errore e di
smarrimento cambiando logica, nell’opera infatti afferma che i mali del mondo
rimarranno fino a quando non verrà un REDENTORE, qualcuno che migliorerà il
mondo, di nuovo un collegamento con il cristianesimo che prevede l’arrivo di un
redentore. (sostenuto anche da Machiavelli nel Principe) Attraverso il viaggio verso l’aldilà
si vuole mostrare a Dante qual è il male e come rifiutarlo, poiché solo scegliendo il
bene verremo premiati e graziati.
22.04.2022
Nella Divina Commedia i peccatori vengono puniti e i beati lodati, tutto questo
avviene attraverso quella che noi definiamo Legge del Contrappasso: le pene che
affliggono i dannati dell’Inferno e gli espianti del Purgatorio sono assegnate in base
alle colpe che hanno commesso in vita. La corrispondenza tra colpe e pene, fra
peccato e punizione, è regolata da questa legge che viene suddivisa per: ANALOGIA
o per CONTRASTO.
PER ANALOGIA: consiste nella perpetua ripetizione del peccato commesso
PER CONTRASTO: nella ripetizione del co portamento opposto a quello
peccaminoso.
STRUTTURA DELL’INFERNO: Lucifero, prima uno degli angeli più belli del
firmamento, conduce un giorno una rivolta contro Dio spinto dalla superbia, la rivolta
fallisce miseramente e questo angelo, ormai dannato, viene fatto precipitare giù dal
cielo, il terreno era talmente inorridito che si scansa, aprendo un’immensa
voragine che sarà appunto l’Inferno. La terra spostata si rialza dalla parte opposta del
globo formando la gigantesca montagna del Purgatorio.
La voragine in cui si trova l’Inferno della Divina Commedia non è un semplice fosso
ma un intero mondo sotterraneo con una sua geografia precisa che Dante, canto dopo
canto, descrive in modo dettagliato. Gerusalemme è la città attraverso cui si accede
all’Inferno, l’ingresso è consentito attraverso il passaggio entro una porta che reca
una scritta minacciosa incisa sopra: ‘lasciate ogni speranza o voi che entrate’. Essa
apre una zona detta:
Antinferno: dove si trovano gli IGNAVI, cioè le anime di quelli che in vita
non scelsero mai né di fare del bene ma neppure di fare del male, e sono quindi
rifiutati sia dal cielo;
Successivamente è richiesto l’attraversamento di un fiume, l’Acheronte, dove un
traghettatore, Caronte, porta sulla sua barca le anime dei dannati verso la riva
opposta. Prima di giungere all’inferno troviamo la zona detta Limbo – in cui
scopriamo le anime dei non battezzati e dei nati prima di Cristo.
L’Inferno di Dante è formato da nove zone, nove “cerchi”, cioè dei cornicioni
giganteschi, uno più in basso dell’altro che continuano fino a raggiungere il centro
della Terra dove si trova conficcato Lucifero dal tempo della sua caduta. (La zona più
cupa dell’Inferno comincia a partire dal sesto cerchio, dopo il fiume Stige)
La Città di Dite è il nome della zona più profonda dell’Inferno che si apre
dopo il quinto cerchio, questa zona è ulteriormente ramificata;
Dopo le dieci bolge si apre il tetro pozzo dei giganti dopo il quale giungiamo
nell’ultima e più tragica zona dell’Inferno: il nono cerchio, dove sono puniti i
traditori ripartiti in quattro zone diverse.
Lo schema dell'Inferno:
Questo mondo così disposto è pieno di demoni, bestie mitologiche, personaggi
che Dante riprende dalla letteratura classica, dall’epica, dal romanzo cortese o
dalla vita reale. L’inferno si presenta quindi come una voragine generata dalla caduta
di Lucifero a forma di imbuto rovesciato, si accede ad esso giungendo a
Gerusalemme e in ordine troviamo:
La condizione che vive Dante nell’inferno non è delle migliori: urla, grida, dolore,
oscurità, cambiamenti climatici (caldo e freddo straziante) …nonostante egli non
dovrebbe provare tali sensazioni. La figura di Virgilio sarà molto importante per il
viaggio poiché non solo darà ulteriori spiegazioni a Dante, ma anche per i rimproveri
e il sostegno che egli darà consapevole della difficoltà che un’anima non morta possa
provare di fronte a tale situazione.
Inferno:
I primi che Dante incontra sono gli Ignavi, essi sono condannati a seguire una
bandiera, stimolati dagli insetti, senza uno scopo preciso che piangono e si lamentano
e sono coloro che durante la vita non presero mai una posizione, il paradiso e persino
l’inferno li sdegnano, non vale la pena neanche di fermarsi a guardarli.
Segue il fiume Acheronte che separa coloro che non sono del tutto dannati da
coloro che lo sono, c’è un pilota di barca: CARONTE che ha il compito di trasportare
le anime, una figura mitologica. Caronte vorrebbe opporsi a questo passaggio, non
vuole permettere ad un mortale di attraversare l’aldilà, ma Virgilio permette questo
affermando che è volere di Dio ed egli comanda anche all’Inferno. Le anime che sono
nella barca, ormai consapevoli della loro fine, sono impazienti di provare la loro pena
e consapevole di quanta malvagità e di quante persone pecchino Dante sviene e si
risveglia al di là della sponda.
L’anima di quest’ultimo dice a Dante di aver causato danni alla propria città, Firenze,
si pone a lui in maniera cordiale ma poi con fare altezzoso domanda al pellegrino la
famiglia d’origine, in modo arrogante cerca di capire se era una persona di classe o
no (inizialmente il dannato con l’intento di accalappiarsi Dante si pone in maniera cordiale, ma poi
rivela la sua vera superbia) dandogli poi contro una volta scoperto fosse un guelfo
(papa), suoi acerrimi nemici (esiliati da lui stesso). L’autore risponderà a tono a questo
poiché i guelfi sono sempre riuscita ad alzarsi, tant’è vero che alla fine riusciranno a
vincere loro stabilendosi a Firenze definitivamente.
Farinata riprende subito a parlare che non sembra provare dispiacere per la scomparsa
di Guido, ma riprenderà il discorso sulla politica affermando che l’incapacità del suo
partito di riprendersi dall’esilio provoca in lui più dolore della sua stessa situazione di
dannato affermando che il suo vero intento non era quello di fare del male al proprio
paese, ma si giustifica dicendo che non solo lui ha fatto del male ed anzi spesso la
difese (quando i ghibellini voleva distruggere la città per combattere i guelfi lui si
rifiutò). ANTICIPA A DANTE IL SUO ESILIO
29.04.2022
Dopo il canto X Dante procede scendendo di cerchio in cerchio e perviene al basso
inferno, zona di punizioni ben più gravi ed incontra figura memorabili come: Pier
Delle Vigne, suicida.
Nel CANTO XVI viene a contatto con alcuni personaggi attivi nella politica Toscana
con i quali si soffermerà a parlare di tale argomento incentrandosi sulla questione
della corruzione che vi era in Italia, ma anche in tutto il mondo in quel determinato
periodo storico.
Fraudolenti, volando sulle ali di Girone, mostro con il corpo umano e il volto di
serpente simbolo della frode, Dante e Virgilio scendono dalla seconda parte
dell’inferno, nella zono più bassa ancora, quella degli ingannatori.
Nel CANTO XXIV dove si trovano i Ladri Dante e Virgilio incontrano Vanni Fucci,
uomo abile nel rubare come nessuno che viene morso da un serpente e diventa cenere
per poi ridiventare uomo, stiamo andando verso forme di mortificazione della forma
umana raccapriccianti.
Nella VII BOLGIA, troviamo i consiglieri di frode, coloro che non hanno rubato
direttamente ma che hanno indotto altri a commettere tali peccati, sono delle persone
in malafede intellettuale, non sono dei ladri con la mano ma corruttori con il pensiero
ed è proprio qui che scrive una delle sue pagine più famose: l’incontro con ULISSE.
Nel VIII CERCHIO troviamo coloro che hanno ingannato e prodotto il falso con la
parola, costretti per l’eternità a subire il calore del fuoco che ha la forma di una lingua
(analosia), la lingua per Dante può bene e può male. L’autore si troverà dinanzi ad
una fiamma con due punte: una occupata da Ulisse e l’altra da Diomede, al momento
più esatto Virgilio chiederà al primo di raccontare la sua storia e quello che l’ha
portato a subire tale pena, mentre Dante ascolterà estasiato.
Ulisse inizia così a raccontare il suo viaggio successivamente all’incontro con la
Maga Circe, sua amante, affermando che il suo vero intento era quello di conoscere i
vizi degli uomini e il loro valore, il modo in cui gli uomini erano fatti, questo
desiderio lo spinsero a partire con la nave seguito da un piccolo gruppo di marinai e
invece di tornare a casa si spinse in mare aperto (contrariamente alle tradizioni
l’Ulisse di Dante non ritorna ad Itaca dopo la maga Circe, ma per conoscenza si
spinge verso un nuovo viaggio).
03.05.2022
Nella Divina Commedia abbiamo una visione del re di Itaca differente da quella a cui
eravamo abituati, questo uomo così particolare e desideroso di conoscere non ha
fatto, come tradizionalmente si dice, ritorno ad Itaca dopo il soggiorno con la maga
Circe, ma si rimette in viaggio verso il mare aperto; l’Ulisse di Dante non ha sentito
moralmente il bisogno di fare ritorno a casa. Parte così sulla sua barca con un ristretto
gruppo di fedeli marinai che non hanno voluto abbandonarlo, raggiungono così le
COLONNE D’ERCOLE, punto in cui la costa occidentale e quella africana sono
vicinissime (stretto di Gibilterra)
Lo stretto di Gibilterra era un tempo chiamato col nome di Colonne d’Ercole, con
esso si intendeva riferirsi a quello che era creduto essere il limite invalicabile del
mondo conosciuto, e dal punto di vista metaforico, il limite della possibilità di
conoscenza umana (il non plus ultra). Gli storici ed i mitografi hanno identificato
questo punto come la Rocca di Gibilterra, mentre altri mitografi (in minoranza)
credono che questo luogo corrisponda all’odierno Stretto di Messina, le Colonne
corrisponderebbero ai due promontori di roccia che si trovano a fianco dello stretto di
Gibilterra. Nel mito, le Colonne d’Ercole rappresentavano la frontiera del mondo
civilizzato, nessuna nave si azzardava ad andare oltre: si riteneva che lì, infatti, il
mondo terminasse. Il mito ricollega la leggenda a quella di Ercole, il quale avrebbe
dovuto rubare il bestiame di Gerione, che viveva proprio agli estremi confini del
mondo occidentale, confine che non supererà mai. Sulle colonne, secondo la
leggenda, venne incisa la scritta ‘non plus ultra’, ‘non più oltre’. Oltre le colonne
c’era l’ignoto, lo spaventoso, la fine del mondo.
Le colonne d’Ercole erano il limite delle capacità umane, l’uomo non poteva
spingersi oltre, l’Ulisse di Dante preso dalla voglia di conoscere varcò questo confine
commettendo un peccato mortale. In questo girone Ulisse racconta all’autore il
viaggio da lui compiuto: nel momento dell’arrivo al punto desiderato, Ulisse e i
marinai sono ormai vecchi, e sarà proprio questa prerogativa a convincere i marinai a
mettersi in viaggio. Il re di Itaca, giunti al confine, parla alla sua flotta, trovandosi
ormai al punto conclusivo della loro vita, non ci si poteva, secondo lui, rifiutare di
vedere l’ignoto, sottrarsi da tale fortuna.
Il canto finisce con la fine del discorso del personaggio, cosa particolare.
Nel CANTO XXVII ci troviamo ancora vicini a quella che è stata l’esperienza di
Ulisse, individuiamo un peccatore che ha utilizzato male la sua intelligenza, sfruttata
per persuadere gli altri, qui la storia e la persona è meno eroica parliamo di: Guido
da Montefeltro cospicuo feudatario di una terra tra la Romagna e le Marche (va
ricondotto al cristianesimo e all’atto del perdono, non bisogna avere equivoci su chi ha la
possibilità di perdonare). Nella vita mostra grandissime capacità militari, è uno stratega
militare che tuttavia non è un esecutore delle volontà altrui, è un uomo politico che
diviene nel corso degli anni il più importante esponente del partito GHIBELLINO
(contro il Papa).
Dante incontra questo personaggio all’interno di una fiamma, la prima richiesta che
avrà il dannato sarà quella di farsi fare un quadro politico della situazione in
Romagna durante quel periodo storico, questa sua passione versa la sua terra ci
ricorda: Farinata. Nel canto XXVII, Guido, presa coscienza di avere davanti a sé
un’anima gli rivolge parola chiedendogli della situazione politica romagnola e sotto
volontà di Virgilio Dante risponde affermando che pace in quel periodo non c’è.
Dopo questa informazione l’autore propone uno scambio al dannato, avendo parlato
fino a quel momento chiede a Guidi di raccontarsi patto che viene accettato poiché
egli era convinto che l’anima di Dante non sarebbe potuta tornare in terra:
si tratta di una storia che non gli fa onore, un’infamia che Guido non vuole sia
conosciuta, ha calcolato male le conseguenze poiché Dante in realtà avrà la
possibilità di fare ritorno nella vita terrena smascherando questo personaggio, il più
abile stratega ha calcolato male.
Nella vita è stato un comandate militare e poi un frate francescano con l’intento di
fare ammenda e di cancellare tutti i suoi errori, così sarebbe stato se non ci fosse stato
il gran prete che l’ha riportato sulla strada sbagliata, parliamo di: Bonifacio VIII
nemico per eccellenza della Divina Commedia. La sua forza non era nel corpo ma
nella furbizia, volpe e leone (Machiavelli), quando raggiunse l’ultima maturità, quando
tutti dovrebbero cessare di navigare, lui cominciò a provare fastidio e nausea per
quello che aveva fatto nella vita passata così pentito si fece frate. Questa scelta
sarebbe stata fruttuosa se fosse stato lasciato in pace, l’uomo più ipocrita del tempo
che stava combattendo una guerra contro i Colonna, famiglia ricca e cristiana di
Roma, chiese aiuto a Guido per fare una cosa contro i principi morali ma davanti al
suo silenzio, per farlo cedere promette di assolverlo da qualsiasi suo gesto
promettendogli: il Paradiso, in caso di aiuto o Inferno, scomunicandolo, se non
l’avesse aiutato e così Guido aiutò Bonifacio per la vittoria consigliandogli di trovare
un accordo per poi tradirli (consiglio da fraudolenti) questo gesto segnò la sua punizione.
Egli è un peccatore pesante, tant’è vero che Minosse talmente sdegnato da lui, di
fronte a questo personaggio si morse la coda e proprio per lui diede vita ad un fuoco
ancora più caldo aumentando le sue sofferenze, questo perché ne il Papa ne Dio
hanno considerato che il giudizi finale, l’unica persona in grado di perdonare e
assolvere è Dio, è sua la parola e la scelta finale (perderà due battaglie: una credendo che
il Papa avrebbe potuto assolverlo e la seconda pensando che Dante non darebbe tornato in vita e
nessuno avrebbe conosciuto la sua storia).
05.05.2022
Proseguendo il viaggio nell’inferno giungono nel CANTO XXXIII con il Conte
Ugolino, ultimo personaggio designato come punto fermo, egli è un personaggio
politico della Pisa dell’ultimo decennio del ‘200 che fu accusato di tradimento e
condannato a morire di fame nella Torre della Muda dai suoi cittadini. Dante
attraverso questo racconto mostra l’uomo che regredisce da essere umano qual è a
creatura bestiale mangiando un suo simile, egli paragona il suo gesto a quello di
Dideo e Menalippo, nell’inferno infatti egli si rivale del tradimento subito mordendo
il cranio dell’Arcivescovo Ranieri, colui che organizzo il tradimento nei suoi
confronti e davanti a questo gesto estremo l’autore chiede di raccontare la sua storia.
Ugolino smette di mordere il cranio della sua vittima, si pulisce la bocca con i capelli
della vittima e inizia a parlare, situazione che farà sicuramente soffrire il dannato ma
se questo servirà a condannare i suoi traditori allora parlerà.
09.05.2022
Tebe, città tra la più floride dell’antica greca, ha vissuto in molte opere odeporiche
rappresentata coma la città dell’INFELICITA’, all’interno di questa storia c’è
l’episodio dei ‘7 contro Tebe’: scontro tra Tibeo e Menalippo, quest’ultimo morendo
per primo verrà mangiato da Tibeo. Ed è proprio su questa via che Dante ha preso
spunto per l’odio che il Conte Ugolino provava verso il suo carnefice, nonostante non
era a conoscenza di questa storia.
Dante stringe un patto con Ugolino, bastato sulla disponibilità del dannato di
raccontare la sua storia a Danta e quest’ultimo in cambio avrebbe dovuto raccontare
la storia a tutto il mondo, mostrando la crudeltà del suo carnefice. Il modo che lo
scrittore utilizza per far parlare le vittime che incontra è: o quella di rendersi una
valvola di sfogo permettendo loro di raccontarsi o promettendo loro di raccontare la
vicenda tra i vivi.
Quello che ha realmente sconvolto il Conte Ugolino, e Dante sarà il primo a saperlo,
non è stato l’essere condannato a morire di fame ma il modo in cui ha dovuto
trascorrere questi giorni di sofferenze:
Dante immagina il modo in cui lui ha passato quei giorni rinchiuso nella torre, poiché
le notizie a lui rivolte risalgono all’ultima volta in cui hanno portato lui dei pasti.
Racconta il Conte che durante la sua reclusione fece un sogno profetico: gli sembrò
che l’arcivescovo Ruggeri fosse il capo di una caccia ai lupi, essa veniva fatta usando
cagne affammate mentre i cacciatori erano le grandi famiglie dell’aristocrazia (coloro
che insieme all’arcivescovo accusarono e condannarono Ugolino) che in poco tempo
riuscirono a catturare le prede.
Nel sogno immaginava di mangiare i suoi figli dalla tanta fame, Ugolino cerca di
indurre Dante alla commozione attraverso questo racconto, guardò i suoi figli senza
dire una parola e senza provare commozione ormai rassegnato alla sua fine, erano
loro a piangere. La mattina dopo il sogno la sua angoscia lo portò a mozzicarsi le
mani i figli vedendo ciò interpretarono il gesto del padre come un segno tangente
della sua fame e dissero: cibati di noi, ci sacrifichiamo, tu hai dato noi la vita e te hai
il diritto di togliercela (nuovamente un riferimento a Dio e alla Bibbia) il conte
rimanendo in silenzio chiede, mettendosi in ginocchio, aiuto a Dio.
Il conte Ugolino nel giro di qualche giorno vide morire uno dopo l’altro i figli e i
nipoti, nella sua disperazione cercava di riportarli in vita con la sua parola, piangendo
sui loro cadaveri ma dovendo comunque rispondere ai propri istinti si ciberà di loro
(il digiuno è più forte del dolore). Parliamo di un contrappasso rovesciato, il Conte fa
provare al suo carnefice, non la sofferenza di morire di fame ma cosa si prova ad
essere mangiati.
Alla fine del canto fa un augurio particolare a Pisa, spera di vederla sommersa dalle
acque, che tutto lì muoia poiché non perdona ad essa di aver condannato innocenti, di
essere un posto violento e crudele.
Il mostro sbatte le ali, producendo un vento freddo che fa ghiacciare le acque del lago
di Cocito, dove sono confitti i traditori ripartiti nelle diverse zone, egli piange con i
sei occhi, e le lacrime gocciolano giù per i menti mescolandosi insieme alla bava
sanguinolenta. Il peccato di Lucifero consiste proprio nel tradimento, poiché osò
ribellarsi contro il suo Creatore, quindi non sorprende che Dante lo collochi al centro
di Cocito, ovvero del IX Cerchio dove sono puniti i traditori.
Dante e Virgilio, in questo canto, si aggrappano al pelo del mostro e scendono lungo
le sue costole, oltrepassando la crosta di ghiaccio e ritrovandosi nell'altro emisfero,
dove di Lucifero sporgono le zampe. Una volta qui, i due poeti raggiungono una
piccola apertura nella roccia, da dove iniziano a percorrere una "natural burella" (uno
stretto budello sotterraneo) che mette in comunicazione il centro della Terra con la
spiaggia del Purgatorio, posta agli antipodi di Gerusalemme.
Il viaggio nell’inferno durerà 48h, giungerà poi su una misteriosissima isola che si
trova su un fiume infinito, qui trova un immenso monte che egli scalerà (48h) alla
fine di esso si trova un meraviglioso giardino che scopriremo essere il luogo in cui
originariamente avevano vissuto Adamo ed Eva.
Conducendo Dante in cima al monte del Purgatorio, luogo in cui non ci sono più gli
espianti, dove il peccato è stato tolto, Dante pellegrino ritrova la bontà originaria, si è
purificato da ogni peccato ed è tornato alla condizione originaria di ADAMO (esce
definitivamente dal peccato).
13.05.2022
TERZO CANTO del Purgatorio in cui una delle anime si rivolge a Dante e lo invita a
guardarlo chiedendogli se l’avesse riconosciuto, storicamente Dante non l’ha potuto
conoscere, parliamo infatti del Re Manfredi il quale chiederà all’autore, una volta
tornato in vita, di raccontare alla figlia Costanza della sua salvazione, uomo adorabile
molto amato ma deturpato dalla cattiveria del mondo.
18.05.2022
Manfredi, personaggio fra i più commoventi, era figlio naturale di Federico II di
Svevia che cercherà di mantenere il potere del padre al momento della sua morte;
Manfredi fu sconfitto nella battaglia di Benevento e il suo corpo fu oggetto di
oltraggio, proprio questo verrà raccontato a Dante.
Prima di morire si riconcilierà con Dio, privatamente, ed è proprio questo quello che
Manfredi chiederà a Dante: far sapere al mondo, soprattutto a sua figlia, che si trova
nella beatitudine e non negli inferi.
Manfredi era stato oggetto di una tomba approssimativa, ma gloriosa, una sorta di
piramide fatta di sassi, in cima ad un ponte, sotto il quale vi era il suo corpo;
originariamente fu decorosamente sepolto poi dopo la sconfitta del partito ghibellino,
i settori ideologici della chiesa inferirono su Manfredi portando il suo corpo altrove in
maniera poco decorosa e violenta poiché scomunicato così la pioggia e il vento
iniziarono a sfigurare il suo corpo. Tuttavia la scomunica dei papi non può incidere
sul volere e la grazia divina, proprio per questo si trova in Purgatorio, in lui vi è la
speranza di tornare nelle grazie di Dio; secondo la chiesa chi muore scomunicato ma
comunque pentito dei propri errori non è perduto, non va all’inferno, ha la possibilità
di salvarsi: deve stare all’esterno della riga del Purgatorio 30 volte la durata che visse
scomunicato.
Dante nel IV CANTO dimostra il suo interesse per una definizione del creato, del
cosmo, facendo osservazioni di astronomia finissime che non ci aspetteremo da un
poeta, questo atteggiamento è proprio dell’immensa cultura e conoscenza dell’autore.
Incontrerà tutta una serie di negligenti che hanno subito una morte violenta, come
Jacopo del Cassero un comandante militare tradito che avendo però Dio nel cuore
chiese perdono e venne salvato. Mentre Dante stava parlando con del Cassero, verso
45, prese parola un altro personaggio: Bonconte di Montefeltro a cui Dante
domanderà che fine avesse fatto il suo corpo nella battaglia di Campaldino, a cui
partecipò lui stesso, e lui rispose:
nelle parti basse del Casentino corre un fiume, che nasce sulle sue colline, dove
andai ferito dalla battaglia cercando di curarmi ma in poco tempo persi la vista e il
mio corpo lì cadde riuscendo soltanto a fare il nome di Maria prima di morire.
Sempre in questo canto vediamo la fatica che Dante stava facendo durante questo
viaggio e solo la figura di Pia de’ Tolomei consiglierà lui di riposarsi, solo una
volta consigliato a Dante di prendersi del tempo tornato nella terra dei viventi per
riprendersi dal cammino, chiederà lui di ricordarsi di lei. Ella era figlia di Siena e fu
ammazzata da un marito violento in Maremma (chiasmo), il perché della sua tragica
fine è nota solo a colui che l’ha sposata, storicamente non si sapeva il motivo della
sua morte quindi Dante lascia la situazione misteriosa, non potendo realmente
conoscere i motivi della sua morte.
Si susseguono canti del Purgatorio, fino a quando non si arriva al XXIV CANTO
dove l’autore incontra un personaggio molto importante, dopo aver visto un’altra
nobile donna Piccardi Donati, beata in Paradiso, dopo averla elogiata incontra
Papa Martino IV, che non ha messo all’Inferno ma andò in Purgatorio poiché
troppo goloso; per poi giungere ad un poeta: Bonagiunta da Lucca (v.49) che
riconoscerà il poeta ricordando suoi vecchi scritti a ciò Dante risponderà affermando:
Io sono una persona che quando la forza dell’amore mi detta le parole da scrivere,
quando sento un dettato d’amore sotto forma d’ispirazione, sotto dettatura di questo
vento spirituale scrivo e do un senso ai miei versi nel modo in cui mi viene dettato.
19.05.2022
Dante è quasi giunto alla cima del monte, ha quasi raggiunto l’Eden; durante questo
suo viaggio verrà rimproverato da Beatrice per quello che definiamo:
TRAVIAMENTO, quindi per il suo allontanamento dalla retta via, gli vengono
mostrati i suoi errori, a partire dal suo allontanamento dalla poesia per affacciarsi a
nuovi orizzonti.
Dante è concentrato nella difficoltà del percorso e nella riflessione sulla lussuria,
quando vede due schiere di anime che, incontrandosi, si scambiano casti baci, poi
gridano esempi di lussuria punita. Il grido di Soddoma e Gomorra non lascia
equivoci sulla comprensione del tipo di peccatori: si tratta di una schiera di sodomiti
e il grido ricorda le due città bibliche colpite dalla punizione divina proprio perché
dedite alla pratica omosessuale. L'altra schiera invece è composta di eterosessuali che
usarono il sesso al di fuori di ogni razionalità e misura: come Pasife che volle gli
amori bestiali col toro.
Quell'amore che in vita fu inquieta passionalità, ora, dentro il fuoco purificatore, è
diventato tenerezza infinita ma il grido sta ad attestare una colpa i cui effetti sono
ancora cocenti, nel vero senso della parola, e suggellati da lacrime; piangono i
lussuriosi il loro peccato, ma a un tratto s'accorgono che Dante è vivo. Uno di loro si
avvicina curioso e il poeta viene a sapere che si tratta proprio del suo caposcuola,
quel Guido Guinizelli che iniziò a poetare alla nova mainera.
Il CANTO XXVI del Purgatorio è il secondo canto che si svolge nella cornice dei
lussuriosi, Virgilio e Stazio sono seguiti da Dante, il quale si sofferma a descrivere
come la sua ombra, resa più intensa dalla luce del tramonto, proiettandosi sulle
fiamme sembri renderle più accese (vv. 4- 8).
Questo episodio, oltre a segnalare la presenza di un altro tipo di anime
penitenti, ripropone la tipica tecnica ad incastro usata nella Commedia, in cui il tema
principale del canto viene interrotto da un qualche evento per poi essere ripreso in un
secondo momento.
Allontanatasi la torma dei sodomiti comincia il lungo dialogo tra l’anima che s’era
avvicinata, incuriosita, all’Alighieri e quest’ultimo è Guido Guinizzelli, caposcuola
della poesia stilnovista che, ai commenti ammirati del protagonista si schermisce
additando un altro poeta, questa volta un provenzale, Arnaut Daniel, che il
Guinizzelli considera assai più meritevole di lode.
Il canto è dominato dall’incontro di Dante con Guido Guinizzelli, che si svolge in due
tempi: all’inizio l’anima del poeta stilnovista si avvicina al protagonista chiedendogli,
stupito, se fosse ancora vivo, ed il dialogo poi prosegue dopo l’interruzione causata
dall’arrivo del gruppo dei sodomiti; ottenuta la risposta alla sua domanda, spiega la
natura della lussuria che sta espiando e quella del gruppo che ha appena abbandonato
la scena, ed infine, spinto da Dante, si presenta.
Guinizzelli è ritenuto uno dei maggiori esponenti del primo periodo stilnovista, un
movimento letterario che, pur avendo le sue più alte espressioni nel lirismo toscano,
affonda le sue radici nella poesia siciliana, i cui schemi vengono ripresi e sviluppati
dai poeti bolognesi e da personaggi come Guittone d’Arezzo, di cui Dante e il
Guinizzelli parlano in tono poco elogiativo (vv. 124-126).
Guido, manifestando l'umiltà propria delle anime del Purgatorio, addita a Dante un
altro poeta che fu miglior fabbro del parlar materno, il provenzale Arnaut Daniel;
poi si perde nel fuoco come un pesce dentro l'acqua. Figura centrale del canto, Guido
Guinizelli compare e svanisce: astro di breve durata ma di intensa luminosità, al
dissolversi nel fuoco di Guido subentra Arnaut, dolce nel suo linguaggio provenzale.
Egli nel Purgatorio, luogo di penitenza e di attesa, denuncia con angoscia il folor
dell'amore lussurioso ma anche di una poesia che ne abbia registrato i momenti, le
sensazioni, i desideri, ora non gli resta che chiedere il perdono di Dio. Ma il raffinato
e malinconico calco delle parole di Arnaut nella sua lingua provenzale è, in Dante, la
più alta testimonianza d'affetto e di stima verso il poeta e verso la cultura in lingua
d'oc di cui Arnaut fu uno dei più alti rappresentanti. Dietro il triste vau cantan del
poeta provenzale si legge la tristezza di Dante, anch'egli colpevole della folor
d'amore, cantata ad esempio nelle Rime Petrose, ma anche la consapevolezza del
poeta fiorentino di appartenere a un sodalizio umano legato da una intensa e a volte
totalizzante passione: la poesia come prorompente bisogno di espressione.
Francesco Petrarca
È il più grande erudita d’Italia e d’Europa, fu un uomo di fede ma comunque con un
interesse verso il nuovo eliminando i filtri imposti dal cristianesimo e i suoi dogmi
universalistici. Diede vita, insieme a Giovanni Boccaccio, all’ Umanesimo:
un movimento culturale volto alla riscoperta dei classici latini e greci nella loro
storicità e non più nella loro interpretazione allegorica, inserendo quindi anche
usanze e credenze dell’antichità nella loro quotidianità tramite i quali poter avviare
una "rinascita" della cultura europea dopo i cosiddetti "secoli bui" del Medioevo.
L'umanesimo petrarchesco si diffuse in ogni area della penisola (con l'eccezione
del Piemonte sabaudo), determinando di conseguenza l'accentuazione di un aspetto
della classicità a seconda delle necessità dei "protettori" degli umanisti stessi, vale a
dire dei vari governanti.
L'umanesimo, che trovò le sue basi nelle riflessioni dei filosofi greci sull'esistenza
umana e in alcune opere tratte anche dal teatro ellenico, si avvalse anche dell'apporto
della letteratura filosofica romana, in primis Cicerone e poi Seneca. Benché
l'umanesimo propriamente detto sia stato quello italiano e poi europeo che si diffuse
nel XV e in buona parte del XVI secolo (fino alla Controriforma), alcuni storici della
filosofia utilizzarono questo termine anche per esprimere certe manifestazioni del
pensiero all'interno del XIX e del XX secolo.
Uomo moderno, slegato ormai dalla concezione della patria come mater e divenuto
cittadino del mondo, Petrarca rilanciò, in ambito filosofico, l'agostinismo in
contrapposizione alla scolastica e operò una rivalutazione storico-filologica dei
classici latini.
Fautore dunque di una ripresa degli studia humanitatis in senso antropocentrico,
Petrarca spese l'intera sua vita nella riproposta culturale della poetica e filosofia
antica e patristica attraverso l'imitazione dei classici, offrendo un'immagine di sé
quale campione di virtù e della lotta contro i vizi.
Petrarca, fin dalla giovinezza, manifestò sempre un'insofferenza innata nei confronti
della cultura a lui coeva, la sua passione per l'agostinismo da un lato, e per i classici
latini "liberati" dalle interpretazioni allegoriche medievali dall'altro, pongono Petrarca
come l'iniziatore dell'umanesimo che, nel corso del XV secolo, si svilupperà prima in
Italia, e poi nel resto d'Europa.
Nel De remediis utriusque fortune, ciò che interessa maggiormente a Petrarca è
l'humanitas, cioè l'insieme delle qualità che danno fondamento ai valori più umani
della vita, con un'ansia di meditazione e di ricerca tra erudita ed esistenziale intesa a
indagare l'anima in tutte le sue sfaccettature. Di conseguenza, Petrarca pone al centro
della sua riflessione intellettuale l'essere umano, spostando l'attenzione dall'assoluto
teocentrismo (tipico della cultura medievale) all'antropocentrismo moderno.
Il Canzoniere
è la storia, raccontata attraverso la poesia, della vita interiore di Francesco Petrarca.
Composto a più riprese nel corso di tutta la vita del poeta, il Canzoniere comprende
366 componimenti in versi italiani ed è una delle opere principali della letteratura
italiana per la profondità del linguaggio, del pensiero, della sofferenza interiore e per
la speranza di una redenzione.
La raccolta comprende 366 componimenti:
317 sonetti,
29 canzoni,
9 sestine,
7 ballate
4 madrigali.
Non raccoglie tutti i componimenti poetici del Petrarca, ma solo quelli che il poeta
scelse con grande cura; altre rime andarono perdute o furono incluse in altri
manoscritti.
La maggior parte delle rime del Canzoniere è d'argomento amoroso, mentre una
trentina sono di argomento morale, religioso o politico.
Secondo alcuni studiosi la struttura del Canzoniere istituirebbe uno stretto legame
simbolico fra l'intera vita del poeta e l'anno solare, secondo queste ipotesi
calendariali, alcune date acquisirebbero un valore particolare per la struttura
dell'opera:
Prima fra tutte il 6 aprile (giorno in cui, nel 1327, Petrarca si innamorò, ma
anche giorno in cui, nel 1348, Laura morì);
Il giorno anniversario della nascita di Petrarca, 20 luglio;
Quello della sua incoronazione poetica a Roma, 8 aprile.