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IL DUECENTO
Benché si rivolgesse a un pubblico di laici, la letteratura italiana delle Origini fu sempre
ispirata a elementi di profonda religiosità, dando vita a un filone di poesia religiosa (S. Francesco,
Jacopone da Todi...) che si diffuse in parallelo con il movimento di rinnovamento spirituale della
Chiesa e la lotta alle eresie del primo XIII sec., lo stesso clima in cui nacque il capolavoro della
poesia volgare del XIV sec., la Commedia di Dante Alighieri.
Francesco d'Assisi ha cantato nel Cantico delle creature il suo ringraziamento a Dio e alle
creature del mondo. Poeta della natura e devoto a Dio, secondo Francesco la ricerca della forza
divina è l'unico mezzo di sostentamento delle anime. Composto in due periodi ben distinti, il
Cantico delle creature di Francesco d'Assisi è pensato come un momento di assoluta e semplice
preghiera universale che può essere abbracciata da tutti i fedeli. San Francesco, nel Cantico delle
creature, loda e ringrazia Dio per ciò che ogni uomo indifferentemente dalla sua classe sociale e
dalle sue ricchezze: il Sole, la Luna, l'Acqua, il Vento, tutto il creato. Non tralascia la Morte, tanto
lodata in quanto unica via per arrivare a Dio e ricevere la pace eterna. Nessuno può sfuggirle,
come egli scrive, nessuno ne soffrirà se ci arriva senza peccati. Oltre al valore religioso, il Cantico
delle creature è una fonte letteraria di indiscussa qualità lirica, volta a dare una visione degli
elementi citati con precisione concreta ma in modo semplice. San Francesco lo scrive in volgare
umbro, il componimento non ha in sé, comunque, tracce di parole in qualche modo dialettali bensì
alcune parole latine quali: et, cum, honore. Quest'ultime testimoniano quanto il latino fosse
ancora presente nel linguaggio volgare e infondono al Cantico delle Creature una maggiore
potenza di spirito.
Di tenore completamente diverso il più celebre sonetto di Cecco Angiolieri, S’i’ fosse foco,
che è tra gli esponenti della poesia comico-realistica, che si diffuse a partire dal 1260 in Toscana.
Il sonetto, che tanto ha contribuito a formare di lui la falsa immagine di un ‘poeta
maledetto’, è in realtà fra i maggiori esempi della realizzazione dello ‘stile comico’ in modi letterari
abilissimi. Ma v’è anche l’innegabile inclinazione di Cecco allo scherzo da taverna, pronto a
degenerare in rissa; la sua insofferenza corrucciata e irridente, la sua passione per la parodia
scritta sul serio; il suo temperamento poetico, insomma.
Nel sonetto Cecco Angiolieri esprime la rabbia per non poter godere appieno delle gioie del
mondo, la passione per le donne giovani e belle, ma inveisce anche contro i propri genitori. Nel
componimento trovano posto anche gli elementi del cosmo, Dio e le istituzioni politiche del tempo
(il Papa e l’Imperatore).
Si tratta di un sonetto a rime incrociate nelle quartine e a rime alternate nelle terzine,
secondo lo schema ABBA; ABBA; CDC; DCD.
IL TRECENTO
In Italia la letteratura volgare nasce nel XIII sec. e dunque con notevole ritardo rispetto a
quella franco-provenzale, da cui subisce tra l'altro una forte influenza: la situazione italiana era
molto frammentata politicamente, specie al Nord dove nel XII-XIII sec. si sviluppa la civiltà
comunale, e anche culturalmente, non essendovi una lingua di "corte" che potesse unificare gli
scrittori della penisola. In Italia mancava anche una vera corte simile a quella francese o a quelle
dei signori feudali di Provenza, se si eccettua il caso di Federico II in Sicilia, per cui l'emergere di
una letteratura volgare che si rivolgesse a un pubblico di laici fu parallelo allo sviluppo della società
comunale e dei suoi valori mercantili e borghesi, dunque in un ambiente "cittadino". I primi
scrittori in lingua volgare, furono spesso uomini politici impegnati a vario titolo nelle istituzioni
comunali (come Guido Guinizelli), oppure al servizio di un sovrano e operanti in una corte, come i
poeti siciliani della scuola di Federico II che erano tuttavia di origine borghese e molto diversi dai
cavalieri-poeti della poesia provenzale. Nonostante il suo carattere comunale, in ogni caso, la
letteratura volgare delle Origini subì un forte influsso dei modelli francesi e provenzali ed espresse
anche valori e ideali propri della società feudale più antica, specie nella lirica amorosa.
DANTE ALIGHIERI
Dante Alighieri nasce a Firenze tra il 14 maggio e il 13 giugno 1265. La sua famiglia
appartiene alla piccola nobiltà guelfa fiorentina. Ancora bambino perde la madre Bella (diminutivo
di Gabriella) e poco dopo perde anche il padre Alighiero di Bellincione. Frequenta le scuole del
trivio e del quadrivio, dove riceve la comune istruzione fondata sulle sette arti (grammatica,
retorica, dialettica; aritmetica, geometria, musica, astronomia). Nel 1274 incontra per la prima
volta Beatrice (Bice di Folco Portinari), che canterà nella sua opera Vita nuova come la donna
angelicata degli stilnovisti. Tre anni dopo, nel 1277, è deciso il suo matrimonio con Gemma Donati.
Si sposeranno effettivamente qualche anno più tardi e avranno tre figli. Nel 1290 la morte di
Beatrice provoca in Dante una profonda crisi religiosa, che lo porta a intraprendere rigorosi studi
filosofici e teologici. Al tempo stesso approfondisce la sua cultura poetica leggendo i poeti latini, in
particolare Virgilio, che considera il suo «maestro»; poi Ovidio, Lucano e Stazio. A partire dal 1295,
a queste esperienze culturali si aggiunge quella politica. Si iscrive infatti all’Arte dei Medici e
Speziali (l’iscrizione ad un’Arte è necessaria, in seguito agli Ordinamenti di Giano della Bella, per
chi intende partecipare al governo cittadino). In quegli anni Firenze è tormentata da lotte interne
tra i Guelfi bianchi (che difendono l’indipendenza e l’autonomia del Comune) e i Guelfi neri (che
assecondano le mire espansionistiche del Papato). Dante si schiera con i Guelfi bianchi e, negli anni
successivi, ricopre cariche pubbliche di importanza crescente fino a che nel 1300 è eletto Priore, la
suprema magistratura cittadina.
Poco tempo dopo (novembre 1301), mentre Dante si trova a Roma in qualità di
ambasciatore presso il papa Bonifacio VIII, i Guelfi neri hanno il sopravvento, s’impadroniscono di
Firenze e scatenano le persecuzioni contro la parte sconfitta. Dante è condannato, sotto la falsa
accusa di baratteria (vendita dei pubblici uffici), all’esilio di due anni, al pagamento di una multa di
cinquemila fiorini e alla interdizione dai pubblici uffici (27 gennaio 1302). Egli sdegnosamente non
si presenta per discolparsi. Due mesi dopo un’altra sentenza lo condanna al rogo (marzo 1302). In
un primo momento si associa ai compagni Guelfi bianchi esiliati che si sono uniti ai Ghibellini
fuoriusciti con l’intenzione di rientrare in Firenze con la forza. Ma dopo un tentativo fallito
miseramente, Dante si sdegna contro la «compagnia malvagia e scempia» e preferisce «far parte
per sé stesso». Comincia per lui il triste e lungo esilio. Dal 1304 fino alla morte il poeta pellegrina
per varie regioni d’Italia presso varie corti e varie città. La sua funzione è quella di un uomo di
corte presso signori magnanimi, che ospitano uomini di cultura per ricavarne lustro e prestigio, ma
anche per servirsene per vari compiti, come le funzioni di segretario e ambasciatore. È
comprensibile perciò come Dante, che è il tipico intellettuale-cittadino, fiero del proprio valore e
geloso della propria autonomia, soffra dell’umiliante condizione di dover ricorrere alla generosità
altrui per vivere e di dover assoggettare ad altri la propria attività intellettuale. Nel frattempo
compone il Convivio e il De vulgari eloquentia (in lingua latina), mentre a partire dal 1304 inizia a
comporre l’opera somma alla quale lavorerà per tutta la restante vita, la Divina Commedia.
La discesa in Italia, nel 1310, del nuovo imperatore Arrigo VII di Lussemburgo, dona a Dante
nuove speranze. Dall’imperatore Dante si attende il ristabilimento di un ordine supremo basato su
un accordo tra autorità imperiale e papale. Ben presto però le illusioni del poeta svaniscono di
fronte alla condotta ambigua del papa Clemente V, alla resistenza delle città italiane e infine alla
morte dell’imperatore, il 24 agosto 1313. Tra la comparsa sulla scena italiana di Arrigo e la sua
morte, il poeta rielabora e ordina sistematicamente i suoi principi politici, con particolare riguardo
al problema dei rapporti fra l’autorità dell’imperatore e quella del papa, scrivendo il trattato De
Monarchia e anche le Epistole, raccolta di tredici lettere (entrambi in lingua latina). L’essersi
schierato apertamente a favore dell’impresa di Arrigo, aggrava per Dante le condizioni dell’esilio.
Nel 1315 rifiuta sdegnato un’amnistia che ha come prezzo il riconoscimento della propria
colpevolezza e un’umiliazione pubblica. È perciò confermata la condanna a morte per Dante e per i
suoi figli. Negli ultimi anni il poeta si stabilisce prima a Verona presso Cangrande della Scala, al
quale è legato da profonda amicizia e al quale dedica il Paradiso; poi a Ravenna presso Guido
Novello da Polenta, presso il quale compone le Egloghe (in lingua latina). Guido Novello da Polenta
gli affida anche alcune missioni fra le quali un’ambasceria a Venezia. Al ritorno da questa
ambasceria, il poeta muore nella notte fra il 13 e il 14 settembre 1321.
FRANCESCO PETRARCA
Francesco Petrarca nasce ad Arezzo nel 1304 da Ser Petracco, un notaio fiorentino che
faceva parte del gruppo dei Bianchi, esiliato come Dante nel 1302 in seguito alla vittoria dei Neri, e
da Eletta Canigiani. Nel 1312 il padre si trasferisce ad Avignone, dove lavorava presso la corte
Pontificia, collocando moglie e figli a Carpentras, dove Francesco Petrarca inizia a studiare guidato
da Convenevole da Prato. Petrarca segue, insieme al fratello Gherardo, gli studi giuridici, iniziati a
Montpellier nel 1316 e conclusi a Bologna tra il 1320 e il 1326. Tornato a Avignone dopo la morte
del padre, frequenta il mondo elegante della città. Qui, il 6 aprile 1327, nella chiesa di Santa
Chiara, vede per la prima volta la donna che ha amato per tutta la vita e a cui si è ispirato nelle sue
opere poetiche in italiano: Laura, identificata tradizionalmente con una Laura di Noves, sposa del
marchese Ugo de Sade (antenato del Marchese de Sade).
Attorno al 1330 prende gli ordini minori, entrando a far parte del clero: lo scopo essenziale
era (come spesso nel Medioevo) quello di assicurarsi una rendita sicura. Ha rapporti di amicizia e
di "clientela" con la famiglia Colonna (molto potente in Italia, Francia e Provenza): prima facendo
parte del seguito del cardinale Giacomo Colonna, poi diventando cappellano di Giovanni Colonna e
nel 1335 canonico nella cattedrale di Lombez. Grazie alla protezione di questa famiglia entra in
contatto con i più importanti intellettuali del tempo, potendo studiare e possedere libri costosi e
rari ed avere riconoscimenti pubblici come l'incoronazione a poeta, l'8 aprile 1341, a Roma, in
Campidoglio.
Nella biografia del Petrarca si evidenzia una sorta di irrequietezza che lo ha portato a
viaggiare per gran parte d'Italia e d'Europa (a partire dal 1333, quando si è mosso per la Francia, le
Fiandre e la Germania), visitando luoghi, monumenti antichi, biblioteche. Periodicamente tornava
però a raccogliersi in operosa meditazione (nella composizione di opere o nell'approfondimento di
letture) in luoghi solitari come Valchiusa (vicino ad Avignone), Selvapiana (presso Parma) e, negli
ultimi anni, Arquà sui colli Euganei. Questa aspirazione alla vita raccolta si esprime anche in
operette come il De Vita Solitaria e il De Ocio Religiosorum. A partire dagli anni '40 la fama del
Petrarca crebbe sempre più. Accolto ovunque con onori e riconoscimenti, entrò in contatto con
varie nobili famiglie italiane (i Correggio di Parma negli anni Quaranta, i Visconti di Milano tra il
1353 e il 1361, i da Carrara di Padova nell'ultimo decennio della sua vita).
Dopo il 1350 entra in stretti rapporti d'amicizia con Giovanni Boccaccio (che lo considerava
un maestro spirituale e culturale): rifiuta una cattedra nello Studio di Firenze, come anche di lì a
poco il posto di segretario del cardinalato in Provenza offertogli dal Papa. Varie vicende lo portano
negli ultimi anni a rinchiudersi sempre più in se stesso: la morte di Laura, avvenuta nel 1348 in
seguito alla peste che infuriò in quegli anni in tutta l'Europa (quella stessa che fa da cornice alla
struttura del Decameron boccacciano), quella precoce del figlio Giovanni (un'altra figlia, Francesca,
nata nel 1343, ha vissuto con lui fino alla sua morte), il venir meno delle speranze di rinnovamento
politico (il tentativo di Cola di Rienzo, fallito nel 1347), l'aggravarsi della corruzione ecclesiastica
(gli ultimi anni della "cattività" avignonese: solo dopo la morte del Petrarca il papato è tornato
nella sua sede romana). Ad Arquà, dove si era stabilito definitivamente dal 1370, muore nel 1374.
I testi a cui è affidata la fama maggiore del poeta sono le poesie in volgare italiano: Petrarca
è il perfezionatore della lingua poetica italiana iniziata dai Siciliani e portata avanti dai poeti
toscani e da Dante. Sono i versi raccolti nel Canzoniere (366 testi, composti nel corso della sua
intera vita e messi insieme negli ultimi anni) e nei Trionfi (un ambizioso poemetto composto a
partire dal 1340 e curato fino alla morte). Altre rime, non comprese nel Canzoniere, sono state
raccolte dai posteri col titolo di Extravaganti. Tutto il resto della produzione di Petrarca è in latino.
Un primo gruppo di testi sono le Lettere: corrispondenza reale con amici, letterati e protagonisti
della vita politica europea del XIV secolo e corrispondenza "ideale" con i grandi spiriti del mondo
antico. Quelle composte fino al 1361 sono raccolte in 24 libri, con il titolo complessivo di "Rerum
Familiarum libri"; le "Seniles" invece raccolgono la maggior parte dei testi posteriori; le "Variae"
tutte quelle che non sono entrate nelle due raccolte maggiori.
Un secondo gruppo sono le poesie latine come il poema in esametri Africa, dedicato a
celebrare la figura di Scipione l'Africano. In un terzo gruppo si possono raccogliere operette di
carattere polemico, spesso con forti risvolti autobiografici come Invectivae contra medicum
(1353/54) ed altre. Un quarto gruppo sono le opere di erudizione e di compilazione come il De viris
illustribus (iniziato nel 1338, e composto di 37 biografie di personaggi romani, biblici e mitologici);
Un ultimo gruppo sono testi di carattere filosofico e spirituale. Fra queste il più importante
è il Secretum (o De secreto conflictu curarum mearum), iniziato nel 1342/43, e ritoccato più volte,
che costituisce la riflessione più compiuta del Petrarca su sé stesso, la morte, il desiderio di gloria e
di amore, la caducità dell'uomo.
GIOVANNI BOCCACCIO
Giovanni Boccaccio nasce a Certaldo o a Firenze nel 1313 (spesso nei testi critici si rivolge a
lui come “il Certaldese”), è figlio illegittimo di un mercante e, per seguire suo padre, già a
quattordici anni si trasferisce a Napoli. Rifiutando di seguire il mestiere paterno frequenta invece
la vivace corte angioina le cui porte si aprono facilmente grazie al prestigio del suo nome: si dedica
a divertimenti mondani, ai primi amori (Dante aveva Beatrice, Petrarca Laura e Boccaccio la sua
donna Fiammetta), e conosce con entusiasmo i romanzi francesi, la poesia provenzale e fiorentina.
È in questi anni che cresce in lui la voglia di riportare in lingua volgare fiorentina la materia tratta
dai romanzi francesi e da quelli latini, di parlare dei suoi amori giovanili creando una letteratura di
intrattenimento per un pubblico aristocratico e soprattutto femminile. Scrive, assecondando
questo progetto di base, il Filostrato (poema in ottave ispirato al ciclo troiano, in cui troviamo
raccontata la storia d’amore infelice di Troiolo, figlio del re di Troia Priamo, che abbandonato
dall’amata Criseide finirà con l’essere ucciso da Achille), il Filocolo (opera in prosa che riprende
una storia famosissima a quei tempi, quella di Florio e Biancifiore, dall’amore fra i due
protagonisti, vicini fin dall’infanzia, e ostacolati dal padre di lei fino al coronamento del loro sogno
d’amore), la Teseida (riprende dei temi preesistenti derivati stavolta da materiale classico, e in
particolare dalla Tebaide di Stazio, affrontando il tema dell'innamoramento di due ragazzi tebani
(Arcita e Palemone) per la bella Emilia, cognata di Teseo, sullo sfondo della guerra di quest’ultimo
contro le amazzoni); nel 1340, però, con il fallimento della compagnia dei Bardi e l’inasprirsi dei
rapporti tra Napoli e Firenze, è costretto a tornare in Toscana.
Si apre un periodo difficile per Boccaccio: insofferente al mutato ambiente e alle
ristrettezze economiche, cerca una nuova corte intorno a cui orbitare ma saranno tutti sforzi vani,
e presto, in aggiunta a questo disagio, perde anche il padre durante la tragica peste del 1348. In
questi anni, tuttavia, avviene in lui un graduale distacco dalla letteratura cortese, un
avvicinamento alla narrativa realistica e popolareggiante che raggiungerà il suo apice nella stesura
del Decameron, composto da Boccaccio fra 1349 e 1353. L’opera ebbe un immediato successo, e
questo garantì all'autore incarichi pubblici e ambascerie per il comune di Firenze, non ancora
sufficienti, però, a procurargli l’indipendenza economica e la pace che richiedeva per dedicarsi
esclusivamente agli studi.
Nel frattempo Giovanni Boccaccio si lega in amicizia a Petrarca, divenuto per lui emblema
di letterato e intellettuale, e grazie a lui si distacca dalla produzione in volgare per dedicarsi in
modo esclusivo allo studio dei classici; fonderà a Firenze un circolo di umanisti filologi,
promuovendo l’insegnamento del greco, e sarà preso da scrupoli religiosi che pare lo abbiano
indotto addirittura a voler bruciare il Decameron. Nel 1365 Boccaccio scrive il Corbaccio, che
rappresenta un brusco cambiamento rispetto a tutta la sua letteratura precedente: in quest’opera
la simpatia e l’antica ammirazione per le donne si trasformano in una aperta misoginia. Nel 1373
riceve dal comune di Firenze l’incarico di leggere e commentare in pubblico la Commedia (come
studioso e umanista Boccaccio è uno dei primissimi commentatori della Commedia di Dante,
attività questa che impegnerà un grande numero di letterati fino ai nostri giorni). Ormai vecchio, si
ritira presto a Certaldo, dove muore nel 1375.
IL QUATTROCENTO
Il Quattrocento è il secolo dell’umanesimo, una nuova cultura che trasforma
profondamente la visione del mondo medievale e l’atteggiamento dell’intellettuale. Il nucleo di
questo movimento culturale è la riscoperta dei testi classici latini e greci nella loro autonomia di
valori. Questa riscoperta si realizza nella ricerca di testi antichi e nella nascita del lavoro filologico
per ricostruirli nelle loro completezza e correttezza autentiche, attraverso uno studio approfondito
della lingua latina classica e il confronto fra i vari manoscritti. La rivalutazione della cultura classica
determina anche una spinta all’impegno civile e l’affermazione della funzione politica della
letteratura.
L’altro tratto peculiare dell’umanesimo è l’importanza riconosciuta all’uomo nella sua vita
attiva nel mondo terreno, in contrasto con la visione contemplativa della vita, volta al divino e al
soprannaturale, tipica della cultura medievale.
Le prime fasi di questo movimento vedono un’assoluta centralità del latino come lingua
letteraria, e hanno come figure rappresentative Leonardo Bruni e Poggio Bracciolini, quest’ultimo
responsabile della scoperta di numerosissimi manoscritti unici di opere classiche altrimenti
perdute.
Leon Battista Alberti è il primo umanista a sostenere l’eccellenza del volgare e la sua
capacità di competere con il latino. Nella seconda metà del secolo si sviluppa quindi la letteratura
in volgare, soprattutto alla corte medicea di Lorenzo il Magnifico, scrittore egli stesso e mecenate
di grandi poeti che realizzano una sintesi tra la cultura classica e la tradizione fiorentina, come
Angelo Poliziano, autore e cancelliere di corte, Marsilio Ficino, studioso del platonismo, e Luigi
Pulci, erede della tradizione fiorentina burlesca e popolana.
Al di fuori della corte medicea l’umanesimo si diffonde nella corte di Milano, che ospita
Leonardo Da Vinci, e in quella degli Estensi di Ferrara, dove opera in particolare Matteo Maria
Boiardo, autore del poema epico-cavalleresco Orlando innamorato, primo sviluppo letterario dei
cantari popolari di piazza, ispirati alla letteratura francese sugli amori di re Artù e sulle gesta di
Carlo Magno. Nell’Italia meridionale è particolarmente produttiva la corte napoletana, dove nasce
il filone della letteratura pastorale.
ORLANDO INNAMORATO: STRUTTURA E SIGNIFICATO
L'Orlando innamorato è l'opera più importante di Matteo Maria Boiardo, un poema epico-
cavalleresco scritto in ottave e diviso in tre libri, di cui l'ultimo è rimasto incompiuto. La data della
prima pubblicazione risale al 1483, data in cui l'autore non aveva ancora terminato il terzo libro. A
Matteo Maria Boiardo, nell'Orlando innamorato, si deve il merito di aver mescolato, per la prima
volta, il tema amoroso con quello cavalleresco.
PRIMO LIBRO - Durante un banchetto di Pentecoste organizzato da Carlo Magno per
migliaia di guerrieri, appare a un tratto la bellissima principessa Angelica e il fratello Agalìa. I due
sono figli del re del Catai e la loro missione è quella di decimare i guerrieri di Carlo Magno.
Angelica lancia quindi una sfida a tutti i soldati: chi batterà a duello il fratello Agalìa vincerà la sua
mano. Agalìa è munito di armi fatate ma viene sconfitto da Ferraguto. Angelica, che non vuole
sposarlo, fugge verso Oriente inseguita da due cavalieri perdutamente innamorati di lei: Orlando e
Ranaldo. Durante il viaggio, nella selva Ardenna, Ranaldo beve da una sorgente magica che gli
causa il disinnamoramento dalla bella Angelica. Al contrario, la principessa Angelica beve da
un’altra sorgente di acqua magica che la fa innamorare perdutamente di Ranaldo. Angelica, dopo
molte avventure, torna in patria, dove il padre l’aveva promessa in sposa ad Agricane. La
principessa si rifugia nella fortezza di Albraccà e qui arrivano anche i cavalieri innamorati di lei,
incluso Agricane. Quest’ultimo sarà sconfitto in duello da Orlando. Anche Ranaldo arriverà alla
fortezza e, per evitare che Orlando lo uccida per gelosia, Angelica spedisce quest’ultimo in
missione.
SECONDO LIBRO - La Francia è sotto la minaccia dei mori capitanati da Agramante a cui si
unisce il valoroso Ruggero. Angelica, in cerca di Ranaldo, torna in Occidente accompagnata da
Orlando. Ranaldo e Angelica bevono nuovamente l’acqua dalle sorgenti magiche con il risultato
che ora Angelica odia Ranaldo, e che questi è invece di nuovo perdutamente innamorato di lei.
Ranaldo intende quindi affrontare Orlando ma interviene il re Carlo che promette di dare Angelica
in sposa al cavaliere che si dimostrerà più valoroso in battaglia contro i mori.
TERZO LIBRO (INCOMPIUTO) - L’opera si conclude con la vicenda degli innamorati
Bradamante (sorella di Ranaldo) e Ruggero da cui nascerà la casata D’Este.
I personaggi principali dell'Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo sono: Orlando: il
cavaliere fedele al re che perde la testa per la principessa Angelica; Angelica: la bellissima
principessa che fa innamorata i guerrieri di Carlo Magno; Ranaldo: cugino di Orlando, per il quale
prova una certa inferiorità a causa della disparità economica tra i due. Ranaldo non resiste al
fascino femminile.
Il poema di Matteo Maria Boiardo è composto da tre libri, l’ultimo dei quali incompleto.
L’Orlando innamorato è l’intreccio perfetto di armi e amore e Boiardo riesce a fondere nel poema
il ciclo bretone e il ciclo carolingio. Boiardo è il primo a fondere il tema amoroso con quello
cavalleresco. Per la prima volta il cavaliere Orlando viene raccontato come un uomo pieno di
passione.
IL CINQUECENTO
Il ‘500 non differisce molto dal ‘400, in quanto esso sembra essere il naturale prosecutore
del ‘400. Infatti, i motivi ispiratori dell’Umanesimo raggiungono il loro massimo compimento.
Questi motivi sono: