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LETTERATURA

DALLE ORIGINI ALL’ANNO MILLE


La nascita della letteratura in volgare in Italia si colloca durante l'età comunale nel
Duecento. Si è trattato ovviamente di un percorso lento e graduale, iniziato con la fine dell'Impero
Romano d'Occidente e la rottura dell'unità del mondo latino, attraverso l'emergere delle lingue
volgari sino al loro utilizzo per esprimere contenuti letterari non più legati solo ad esigenze
pratiche.
Dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente nel 476 d.C. l'antica unità linguistica
dell'Europa venne meno e il latino, che fino ad allora aveva accomunato gran parte delle regioni
occidentali, si frantumò in una pluralità di lingue dette "volgari", perché parlate dal "volgo" (il
popolo non istruito). Fino al IX sec. il latino era l'unica lingua usata nella scrittura ed era la lingua
dei dotti, ovvero i chierici (membri della Chiesa) che erano i soli a saper leggere e scrivere, mentre
il volgare era la lingua dei laici (non facenti parte delle gerarchie ecclesiastiche) ed era usato
unicamente nelle esigenze di vita pratica. I monaci erano i soli depositari del sapere scritto
nell'Alto Medioevo e per questo i monasteri erano dei centri culturali molto importanti in Europa
occidentale, dotati spesso di ricche biblioteche dove erano conservati i manoscritti e i codici della
tradizione latina classica. Monaci specializzati nella trascrizione manoscritta dei testi, detti copisti o
amanuensi, lavoravano senza sosta nei laboratori di scrittura annessi alle biblioteche dei conventi,
e grazie alla loro opera è stato possibile conservare e trasmettere gran parte delle opere della
letteratura latina classica, destinate altrimenti ad andare in gran parte perdute.
Il volgare fu usato per molti secoli solo come lingua orale, finché cominciò ad essere
utilizzato anche nella redazione di alcuni documenti scritti per finalità pratiche e non ancora
letterarie: il primo esempio scritto di una lingua che pare una transizione dal latino al volgare è il
cosiddetto indovinello veronese, in un codice ritrovato a Verona e risalente all'VIII-IX sec., una
sorta di indovinello che allude all'opera di scrittura della mano che regge una penna d'oca e lascia
l'inchiostro sulla pagina bianca.
La prima vera testimonianza scritta in Europa di un volgare romanzo risale invece all'842 ed
è Il Giuramento di Strasburgo, ovvero la solenne cerimonia con cui Carlo il Calvo (re dei Franchi) e
Ludovico il Germanico (re di Germania) si giurarono reciprocamente fedeltà nella lotta comune
contro il fratello Lotario: Risale invece al 960 il primo esempio scritto di un volgare italiano, il
cosiddetto Placito Capuano pronunciato da un giudice della città campana (il placito era una
sentenza emessa per dirimere una controversia).

IL DUECENTO
Benché si rivolgesse a un pubblico di laici, la letteratura italiana delle Origini fu sempre
ispirata a elementi di profonda religiosità, dando vita a un filone di poesia religiosa (S. Francesco,
Jacopone da Todi...) che si diffuse in parallelo con il movimento di rinnovamento spirituale della
Chiesa e la lotta alle eresie del primo XIII sec., lo stesso clima in cui nacque il capolavoro della
poesia volgare del XIV sec., la Commedia di Dante Alighieri.
Francesco d'Assisi ha cantato nel Cantico delle creature il suo ringraziamento a Dio e alle
creature del mondo. Poeta della natura e devoto a Dio, secondo Francesco la ricerca della forza
divina è l'unico mezzo di sostentamento delle anime. Composto in due periodi ben distinti, il
Cantico delle creature di Francesco d'Assisi è pensato come un momento di assoluta e semplice
preghiera universale che può essere abbracciata da tutti i fedeli. San Francesco, nel Cantico delle
creature, loda e ringrazia Dio per ciò che ogni uomo indifferentemente dalla sua classe sociale e
dalle sue ricchezze: il Sole, la Luna, l'Acqua, il Vento, tutto il creato. Non tralascia la Morte, tanto
lodata in quanto unica via per arrivare a Dio e ricevere la pace eterna. Nessuno può sfuggirle,
come egli scrive, nessuno ne soffrirà se ci arriva senza peccati. Oltre al valore religioso, il Cantico
delle creature è una fonte letteraria di indiscussa qualità lirica, volta a dare una visione degli
elementi citati con precisione concreta ma in modo semplice. San Francesco lo scrive in volgare
umbro, il componimento non ha in sé, comunque, tracce di parole in qualche modo dialettali bensì
alcune parole latine quali: et, cum, honore. Quest'ultime testimoniano quanto il latino fosse
ancora presente nel linguaggio volgare e infondono al Cantico delle Creature una maggiore
potenza di spirito.
Di tenore completamente diverso il più celebre sonetto di Cecco Angiolieri, S’i’ fosse foco,
che è tra gli esponenti della poesia comico-realistica, che si diffuse a partire dal 1260 in Toscana.
Il sonetto, che tanto ha contribuito a formare di lui la falsa immagine di un ‘poeta
maledetto’, è in realtà fra i maggiori esempi della realizzazione dello ‘stile comico’ in modi letterari
abilissimi. Ma v’è anche l’innegabile inclinazione di Cecco allo scherzo da taverna, pronto a
degenerare in rissa; la sua insofferenza corrucciata e irridente, la sua passione per la parodia
scritta sul serio; il suo temperamento poetico, insomma.
Nel sonetto Cecco Angiolieri esprime la rabbia per non poter godere appieno delle gioie del
mondo, la passione per le donne giovani e belle, ma inveisce anche contro i propri genitori. Nel
componimento trovano posto anche gli elementi del cosmo, Dio e le istituzioni politiche del tempo
(il Papa e l’Imperatore).
Si tratta di un sonetto a rime incrociate nelle quartine e a rime alternate nelle terzine,
secondo lo schema ABBA; ABBA; CDC; DCD.

IL TRECENTO
In Italia la letteratura volgare nasce nel XIII sec. e dunque con notevole ritardo rispetto a
quella franco-provenzale, da cui subisce tra l'altro una forte influenza: la situazione italiana era
molto frammentata politicamente, specie al Nord dove nel XII-XIII sec. si sviluppa la civiltà
comunale, e anche culturalmente, non essendovi una lingua di "corte" che potesse unificare gli
scrittori della penisola. In Italia mancava anche una vera corte simile a quella francese o a quelle
dei signori feudali di Provenza, se si eccettua il caso di Federico II in Sicilia, per cui l'emergere di
una letteratura volgare che si rivolgesse a un pubblico di laici fu parallelo allo sviluppo della società
comunale e dei suoi valori mercantili e borghesi, dunque in un ambiente "cittadino". I primi
scrittori in lingua volgare, furono spesso uomini politici impegnati a vario titolo nelle istituzioni
comunali (come Guido Guinizelli), oppure al servizio di un sovrano e operanti in una corte, come i
poeti siciliani della scuola di Federico II che erano tuttavia di origine borghese e molto diversi dai
cavalieri-poeti della poesia provenzale. Nonostante il suo carattere comunale, in ogni caso, la
letteratura volgare delle Origini subì un forte influsso dei modelli francesi e provenzali ed espresse
anche valori e ideali propri della società feudale più antica, specie nella lirica amorosa.
DANTE ALIGHIERI
Dante Alighieri nasce a Firenze tra il 14 maggio e il 13 giugno 1265. La sua famiglia
appartiene alla piccola nobiltà guelfa fiorentina. Ancora bambino perde la madre Bella (diminutivo
di Gabriella) e poco dopo perde anche il padre Alighiero di Bellincione. Frequenta le scuole del
trivio e del quadrivio, dove riceve la comune istruzione fondata sulle sette arti (grammatica,
retorica, dialettica; aritmetica, geometria, musica, astronomia). Nel 1274 incontra per la prima
volta Beatrice (Bice di Folco Portinari), che canterà nella sua opera Vita nuova come la donna
angelicata degli stilnovisti. Tre anni dopo, nel 1277, è deciso il suo matrimonio con Gemma Donati.
Si sposeranno effettivamente qualche anno più tardi e avranno tre figli. Nel 1290 la morte di
Beatrice provoca in Dante una profonda crisi religiosa, che lo porta a intraprendere rigorosi studi
filosofici e teologici. Al tempo stesso approfondisce la sua cultura poetica leggendo i poeti latini, in
particolare Virgilio, che considera il suo «maestro»; poi Ovidio, Lucano e Stazio. A partire dal 1295,
a queste esperienze culturali si aggiunge quella politica. Si iscrive infatti all’Arte dei Medici e
Speziali (l’iscrizione ad un’Arte è necessaria, in seguito agli Ordinamenti di Giano della Bella, per
chi intende partecipare al governo cittadino). In quegli anni Firenze è tormentata da lotte interne
tra i Guelfi bianchi (che difendono l’indipendenza e l’autonomia del Comune) e i Guelfi neri (che
assecondano le mire espansionistiche del Papato). Dante si schiera con i Guelfi bianchi e, negli anni
successivi, ricopre cariche pubbliche di importanza crescente fino a che nel 1300 è eletto Priore, la
suprema magistratura cittadina.
Poco tempo dopo (novembre 1301), mentre Dante si trova a Roma in qualità di
ambasciatore presso il papa Bonifacio VIII, i Guelfi neri hanno il sopravvento, s’impadroniscono di
Firenze e scatenano le persecuzioni contro la parte sconfitta. Dante è condannato, sotto la falsa
accusa di baratteria (vendita dei pubblici uffici), all’esilio di due anni, al pagamento di una multa di
cinquemila fiorini e alla interdizione dai pubblici uffici (27 gennaio 1302). Egli sdegnosamente non
si presenta per discolparsi. Due mesi dopo un’altra sentenza lo condanna al rogo (marzo 1302). In
un primo momento si associa ai compagni Guelfi bianchi esiliati che si sono uniti ai Ghibellini
fuoriusciti con l’intenzione di rientrare in Firenze con la forza. Ma dopo un tentativo fallito
miseramente, Dante si sdegna contro la «compagnia malvagia e scempia» e preferisce «far parte
per sé stesso». Comincia per lui il triste e lungo esilio. Dal 1304 fino alla morte il poeta pellegrina
per varie regioni d’Italia presso varie corti e varie città. La sua funzione è quella di un uomo di
corte presso signori magnanimi, che ospitano uomini di cultura per ricavarne lustro e prestigio, ma
anche per servirsene per vari compiti, come le funzioni di segretario e ambasciatore. È
comprensibile perciò come Dante, che è il tipico intellettuale-cittadino, fiero del proprio valore e
geloso della propria autonomia, soffra dell’umiliante condizione di dover ricorrere alla generosità
altrui per vivere e di dover assoggettare ad altri la propria attività intellettuale. Nel frattempo
compone il Convivio e il De vulgari eloquentia (in lingua latina), mentre a partire dal 1304 inizia a
comporre l’opera somma alla quale lavorerà per tutta la restante vita, la Divina Commedia.
La discesa in Italia, nel 1310, del nuovo imperatore Arrigo VII di Lussemburgo, dona a Dante
nuove speranze. Dall’imperatore Dante si attende il ristabilimento di un ordine supremo basato su
un accordo tra autorità imperiale e papale. Ben presto però le illusioni del poeta svaniscono di
fronte alla condotta ambigua del papa Clemente V, alla resistenza delle città italiane e infine alla
morte dell’imperatore, il 24 agosto 1313. Tra la comparsa sulla scena italiana di Arrigo e la sua
morte, il poeta rielabora e ordina sistematicamente i suoi principi politici, con particolare riguardo
al problema dei rapporti fra l’autorità dell’imperatore e quella del papa, scrivendo il trattato De
Monarchia e anche le Epistole, raccolta di tredici lettere (entrambi in lingua latina). L’essersi
schierato apertamente a favore dell’impresa di Arrigo, aggrava per Dante le condizioni dell’esilio.
Nel 1315 rifiuta sdegnato un’amnistia che ha come prezzo il riconoscimento della propria
colpevolezza e un’umiliazione pubblica. È perciò confermata la condanna a morte per Dante e per i
suoi figli. Negli ultimi anni il poeta si stabilisce prima a Verona presso Cangrande della Scala, al
quale è legato da profonda amicizia e al quale dedica il Paradiso; poi a Ravenna presso Guido
Novello da Polenta, presso il quale compone le Egloghe (in lingua latina). Guido Novello da Polenta
gli affida anche alcune missioni fra le quali un’ambasceria a Venezia. Al ritorno da questa
ambasceria, il poeta muore nella notte fra il 13 e il 14 settembre 1321.

DIVINA COMMEDIA: STRUTTURA E SIGNIFICATO


Il Medioevo, pur mostrando una diversità di aspetti e caratteri, è profondamente
influenzato dal Cristianesimo che pervade la vita quotidiana degli uomini. Sul piano culturale e
letterario, il culmine della religiosità medievale è rappresentato dalla Commedia di Dante, in
seguito chiamata Divina Commedia perché risaltasse già dal titolo il suo carattere di opera sacra.
Essa è infatti un eccezionale documento della cultura medievale, della fede e del pensiero politico
di quello storico periodo.
La struttura della Divina commedia si rifà alla cosmologia geocentrica (da geo = Terra),
dovuta all’astronomo egiziano Tolomeo vissuto nel II secolo d.C. e accettata dalla Chiesa. Anche
per Dante la Terra è immobile al centro dell’universo e intorno ad essa girano nove sfere celesti, a
loro volta circondate dall’Empireo, sede di Dio. Un ordine universale regge l’intero universo e in
esso si riflette l’orma di Dio creatore. A quest’ordine si ispira la simmetria “geometrica” del poema
dantesco nella suddivisione della vasta materia affrontata.
La Divina commedia è composta da tre cantiche (Inferno, Purgatorio e Paradiso), ciascuna
di 33 canti con l’aggiunta di un canto di premessa per l’Inferno, per cui in totale sono 100 canti.
Nove cerchi per l’Inferno, due balze più sette cornici nel Purgatorio, nove sfere celesti nel
Paradiso. La stessa forma metrica scelta dal poeta, la terzina, ripropone il 3 e i suoi multipli come
numero perfetto. Tutta questa rigorosa simmetria rivela la tendenza medievale ad una sistematica
suddivisione del creato secondo l’orientamento del pensiero diffuso in quel tempo e che si
insegnava nelle università. Ma in questa “gabbia” creata da Dante vivono personaggi
indimenticabili che offrono ai vivi la possibilità di liberarsi dal male, edificando sulla Terra il regno
della giustizia e della pace.
L'INFERNO - Nel sistema della cosmogonia (cioè dell’origine e formazione dell’universo) di
Dante, la Terra appare come sfera divisa in due semisfere, quella delle terre emerse, al cui centro
si trova Gerusalemme, e quella delle acque, al cui centro si trova la montagna del Purgatorio,
posta agli antipodi di Gerusalemme. Dante immagina che una selva oscura nei pressi di
Gerusalemme introduca in una cavità l’Inferno, fatta a forma di cono rovesciato la cui punta tocca
il centro della Terra. Lì si trova infisso per l’eternità Lucifero, l’angelo ribelle di Dio.
IL PURGATORIO - Dal centro della Terra, dove si trova infitto per l’eternità Lucifero, si
diparte un cunicolo che, attraversando l’emisfero boreale, sbuca attraverso un “pertugio” cioè una
fessura sulla riva della montagna del Purgatorio. Anch’essa è a forma di cono, diviso in due parti,
l’Antipurgatorio e il Purgatorio vero e proprio dove le anime si purificano del loro peccato. Il cono
è tagliato sulla cima, dove si trova il Paradiso Terrestre. In questa configurazione del mondo
dell’aldilà si inserisce il racconto di Dante, il quale, dopo la discesa all’Inferno e l’ascesa della
montagna del Purgatorio, spiccherà infine il volo per attraversare i nove cieli e giungere così alla
visione di Dio.
IL PARADISO - Giunto alla cima del Purgatorio, dove si allarga il Paradiso Terrestre, Virgilio
lascia Dante per ritornare alla sua sede, il Limbo (dove si trovano le anime dei giusti che vissero
prima della nascita di Cristo Redentore). Lo sostituisce Beatrice, che ha lasciato il suo seggio fra i
beati per accompagnare il poeta attraverso i nove cieli che circondano la Terra e giungere infine
alla visione di Dio.
Dante narra di un immaginario viaggio, iniziato l'8 aprile del 1300 e durato sette giorni,
attraverso i tre regni ultraterreni dell'Inferno del Purgatorio e del Paradiso. Secondo il pensiero del
poeta stesso, la Divina Commedia può avere quattro sensi: il senso letterale, l'allegorico, il morale
e l'anagogico.
Nel SENSO LETTERALE, l'opera narra il viaggio immaginario di Dante attraverso l'Inferno, il
Purgatorio e il Paradiso.
Nel SENSO ALLEGORICO vuole invece significare la conversione di DANTE dal suo
traviamento con l'aiuto della ragione umana (Virgilio) che lo induce a meditare sulla gravità del
peccato nel viaggio attraverso l'Inferno e il Purgatorio; mentre poi Beatrice, simbolo della verità
rivelata, per intercessione di Maria, lo conduce alla visione di Dio.
Nel SENSO MORALE è un ammonimento ai cristiani, perché considerino quanto sia facile
cadere in peccato e difficile liberarsene, se non si meditano le pene riservate nell'eternità ai
peccatori e il premio concesso ai giusti.
Nel SENSO ANAGOGICO dimostra come tutta l'umanità dallo stato di infelicità e di
disordine, seguendo la guida dell'impero (Virgilio) nelle cose temporali, e della chiesa (Beatrice)
nelle spirituali possa pervenire alla felicità.

FRANCESCO PETRARCA
Francesco Petrarca nasce ad Arezzo nel 1304 da Ser Petracco, un notaio fiorentino che
faceva parte del gruppo dei Bianchi, esiliato come Dante nel 1302 in seguito alla vittoria dei Neri, e
da Eletta Canigiani. Nel 1312 il padre si trasferisce ad Avignone, dove lavorava presso la corte
Pontificia, collocando moglie e figli a Carpentras, dove Francesco Petrarca inizia a studiare guidato
da Convenevole da Prato. Petrarca segue, insieme al fratello Gherardo, gli studi giuridici, iniziati a
Montpellier nel 1316 e conclusi a Bologna tra il 1320 e il 1326. Tornato a Avignone dopo la morte
del padre, frequenta il mondo elegante della città. Qui, il 6 aprile 1327, nella chiesa di Santa
Chiara, vede per la prima volta la donna che ha amato per tutta la vita e a cui si è ispirato nelle sue
opere poetiche in italiano: Laura, identificata tradizionalmente con una Laura di Noves, sposa del
marchese Ugo de Sade (antenato del Marchese de Sade).
Attorno al 1330 prende gli ordini minori, entrando a far parte del clero: lo scopo essenziale
era (come spesso nel Medioevo) quello di assicurarsi una rendita sicura. Ha rapporti di amicizia e
di "clientela" con la famiglia Colonna (molto potente in Italia, Francia e Provenza): prima facendo
parte del seguito del cardinale Giacomo Colonna, poi diventando cappellano di Giovanni Colonna e
nel 1335 canonico nella cattedrale di Lombez. Grazie alla protezione di questa famiglia entra in
contatto con i più importanti intellettuali del tempo, potendo studiare e possedere libri costosi e
rari ed avere riconoscimenti pubblici come l'incoronazione a poeta, l'8 aprile 1341, a Roma, in
Campidoglio.
Nella biografia del Petrarca si evidenzia una sorta di irrequietezza che lo ha portato a
viaggiare per gran parte d'Italia e d'Europa (a partire dal 1333, quando si è mosso per la Francia, le
Fiandre e la Germania), visitando luoghi, monumenti antichi, biblioteche. Periodicamente tornava
però a raccogliersi in operosa meditazione (nella composizione di opere o nell'approfondimento di
letture) in luoghi solitari come Valchiusa (vicino ad Avignone), Selvapiana (presso Parma) e, negli
ultimi anni, Arquà sui colli Euganei. Questa aspirazione alla vita raccolta si esprime anche in
operette come il De Vita Solitaria e il De Ocio Religiosorum. A partire dagli anni '40 la fama del
Petrarca crebbe sempre più. Accolto ovunque con onori e riconoscimenti, entrò in contatto con
varie nobili famiglie italiane (i Correggio di Parma negli anni Quaranta, i Visconti di Milano tra il
1353 e il 1361, i da Carrara di Padova nell'ultimo decennio della sua vita).
Dopo il 1350 entra in stretti rapporti d'amicizia con Giovanni Boccaccio (che lo considerava
un maestro spirituale e culturale): rifiuta una cattedra nello Studio di Firenze, come anche di lì a
poco il posto di segretario del cardinalato in Provenza offertogli dal Papa. Varie vicende lo portano
negli ultimi anni a rinchiudersi sempre più in se stesso: la morte di Laura, avvenuta nel 1348 in
seguito alla peste che infuriò in quegli anni in tutta l'Europa (quella stessa che fa da cornice alla
struttura del Decameron boccacciano), quella precoce del figlio Giovanni (un'altra figlia, Francesca,
nata nel 1343, ha vissuto con lui fino alla sua morte), il venir meno delle speranze di rinnovamento
politico (il tentativo di Cola di Rienzo, fallito nel 1347), l'aggravarsi della corruzione ecclesiastica
(gli ultimi anni della "cattività" avignonese: solo dopo la morte del Petrarca il papato è tornato
nella sua sede romana). Ad Arquà, dove si era stabilito definitivamente dal 1370, muore nel 1374.
I testi a cui è affidata la fama maggiore del poeta sono le poesie in volgare italiano: Petrarca
è il perfezionatore della lingua poetica italiana iniziata dai Siciliani e portata avanti dai poeti
toscani e da Dante. Sono i versi raccolti nel Canzoniere (366 testi, composti nel corso della sua
intera vita e messi insieme negli ultimi anni) e nei Trionfi (un ambizioso poemetto composto a
partire dal 1340 e curato fino alla morte). Altre rime, non comprese nel Canzoniere, sono state
raccolte dai posteri col titolo di Extravaganti. Tutto il resto della produzione di Petrarca è in latino.
Un primo gruppo di testi sono le Lettere: corrispondenza reale con amici, letterati e protagonisti
della vita politica europea del XIV secolo e corrispondenza "ideale" con i grandi spiriti del mondo
antico. Quelle composte fino al 1361 sono raccolte in 24 libri, con il titolo complessivo di "Rerum
Familiarum libri"; le "Seniles" invece raccolgono la maggior parte dei testi posteriori; le "Variae"
tutte quelle che non sono entrate nelle due raccolte maggiori.
Un secondo gruppo sono le poesie latine come il poema in esametri Africa, dedicato a
celebrare la figura di Scipione l'Africano. In un terzo gruppo si possono raccogliere operette di
carattere polemico, spesso con forti risvolti autobiografici come Invectivae contra medicum
(1353/54) ed altre. Un quarto gruppo sono le opere di erudizione e di compilazione come il De viris
illustribus (iniziato nel 1338, e composto di 37 biografie di personaggi romani, biblici e mitologici);
Un ultimo gruppo sono testi di carattere filosofico e spirituale. Fra queste il più importante
è il Secretum (o De secreto conflictu curarum mearum), iniziato nel 1342/43, e ritoccato più volte,
che costituisce la riflessione più compiuta del Petrarca su sé stesso, la morte, il desiderio di gloria e
di amore, la caducità dell'uomo.

IL CANZONIERE: STRUTTURA E SIGNIFICATO


Il Canzoniere di Petrarca si presenta con il titolo latino Rerum vulgarium fragmenta, cioè
frammenti in lingua volgare. Il poeta sottolinea con questo titolo il carattere frammentario
dell’opera, che non ha una struttura dunque unitaria, e l’uso del volgare, lingua che all’epoca era
ancora considerata meno nobile del latino. Il titolo in realtà rivela una falsa modestia: Petrarca
infatti lavora al Canzoniere per gran parte della sua vita, dal 1335 fino alla morte, a testimonianza
dell’importanza che attribuiva questo lavoro, e il libro quindi non è affatto privo di una solida
struttura.
Il Canzoniere comprende 366 poesie, cioè una per ogni giorno dell’anno più
un’introduzione. Le poesie sono disposte in un ordine che non rispetta la composizione, anche
perché il poeta continua per tutta la sua vita a rivedere e modificare i testi. L’opera si può tuttavia
dividere in due parti: la prima parte con le rime in vita di Laura, la seconda parte con le rime in
morte di Laura.
Dal punto di vista tematico le poesie sono legati per la maggior parte all’amore per Laura,
che Petrarca affronta sviluppando soprattutto l’analisi psicologica delle sue contraddizioni,
insicurezze e dubbi. Accanto alle poesie d’amore si trovano però anche poesie di argomento
politico e religioso, oltre a testi di occasione dedicati ad amici e conoscenti vari. A suo modo il
Canzoniere racconta così una storia: la storia di un uomo che si innamora e non riesce a coronare il
suo sentimento perché la donna amata prima lo rispinge poi muore, ma soprattutto perché vive
l’amore come una colpa, un peccato e non riesce a liberarsi da questo sentimento. Il conflitto tra
l’amore per Dio e l’amore passionale per Laura, tra gli ideali religiosi tradizionali e le tentazioni dei
sensi è uno dei temi ricorrenti. Entrambi i sentimenti sono però sinceri e il loro conflitto è vissuto
dal poeta in modo drammatico.

GIOVANNI BOCCACCIO
Giovanni Boccaccio nasce a Certaldo o a Firenze nel 1313 (spesso nei testi critici si rivolge a
lui come “il Certaldese”), è figlio illegittimo di un mercante e, per seguire suo padre, già a
quattordici anni si trasferisce a Napoli. Rifiutando di seguire il mestiere paterno frequenta invece
la vivace corte angioina le cui porte si aprono facilmente grazie al prestigio del suo nome: si dedica
a divertimenti mondani, ai primi amori (Dante aveva Beatrice, Petrarca Laura e Boccaccio la sua
donna Fiammetta), e conosce con entusiasmo i romanzi francesi, la poesia provenzale e fiorentina.
È in questi anni che cresce in lui la voglia di riportare in lingua volgare fiorentina la materia tratta
dai romanzi francesi e da quelli latini, di parlare dei suoi amori giovanili creando una letteratura di
intrattenimento per un pubblico aristocratico e soprattutto femminile. Scrive, assecondando
questo progetto di base, il Filostrato (poema in ottave ispirato al ciclo troiano, in cui troviamo
raccontata la storia d’amore infelice di Troiolo, figlio del re di Troia Priamo, che abbandonato
dall’amata Criseide finirà con l’essere ucciso da Achille), il Filocolo (opera in prosa che riprende
una storia famosissima a quei tempi, quella di Florio e Biancifiore, dall’amore fra i due
protagonisti, vicini fin dall’infanzia, e ostacolati dal padre di lei fino al coronamento del loro sogno
d’amore), la Teseida (riprende dei temi preesistenti derivati stavolta da materiale classico, e in
particolare dalla Tebaide di Stazio, affrontando il tema dell'innamoramento di due ragazzi tebani
(Arcita e Palemone) per la bella Emilia, cognata di Teseo, sullo sfondo della guerra di quest’ultimo
contro le amazzoni); nel 1340, però, con il fallimento della compagnia dei Bardi e l’inasprirsi dei
rapporti tra Napoli e Firenze, è costretto a tornare in Toscana.
Si apre un periodo difficile per Boccaccio: insofferente al mutato ambiente e alle
ristrettezze economiche, cerca una nuova corte intorno a cui orbitare ma saranno tutti sforzi vani,
e presto, in aggiunta a questo disagio, perde anche il padre durante la tragica peste del 1348. In
questi anni, tuttavia, avviene in lui un graduale distacco dalla letteratura cortese, un
avvicinamento alla narrativa realistica e popolareggiante che raggiungerà il suo apice nella stesura
del Decameron, composto da Boccaccio fra 1349 e 1353. L’opera ebbe un immediato successo, e
questo garantì all'autore incarichi pubblici e ambascerie per il comune di Firenze, non ancora
sufficienti, però, a procurargli l’indipendenza economica e la pace che richiedeva per dedicarsi
esclusivamente agli studi.
Nel frattempo Giovanni Boccaccio si lega in amicizia a Petrarca, divenuto per lui emblema
di letterato e intellettuale, e grazie a lui si distacca dalla produzione in volgare per dedicarsi in
modo esclusivo allo studio dei classici; fonderà a Firenze un circolo di umanisti filologi,
promuovendo l’insegnamento del greco, e sarà preso da scrupoli religiosi che pare lo abbiano
indotto addirittura a voler bruciare il Decameron. Nel 1365 Boccaccio scrive il Corbaccio, che
rappresenta un brusco cambiamento rispetto a tutta la sua letteratura precedente: in quest’opera
la simpatia e l’antica ammirazione per le donne si trasformano in una aperta misoginia. Nel 1373
riceve dal comune di Firenze l’incarico di leggere e commentare in pubblico la Commedia (come
studioso e umanista Boccaccio è uno dei primissimi commentatori della Commedia di Dante,
attività questa che impegnerà un grande numero di letterati fino ai nostri giorni). Ormai vecchio, si
ritira presto a Certaldo, dove muore nel 1375.

DECAMERON: STRUTTURA E SIGNIFICATO


Il Decameron, composto da Boccaccio come già anticipato fra il 1349 e il 1353 (alcune delle
novelle che lo compongono circolarono indipendentemente prima di essere sistemate in via
definitiva nel lavoro completo), è un assoluto capolavoro e un punto di riferimento per tutta la
letteratura umanistica in prosa successiva. Oltre ai racconti, che rappresenteranno per gli scrittori
successivi una prestigiosa fonte cui attingere, l’opera diviene un esempio per l’ideale di vita degli
umanisti: l’otium, il ritiro in campagna per godere solo dei piaceri della letteratura, saranno punti
cardine delle filosofie umanistiche.
La struttura del Decameron di Giovanni Boccaccio risponde all’esigenza di autori e pubblico
medievale di vedere organizzata la narrazione in modo coerente e ordinato in un quadro completo
e rispondente alla perfezione numerica. Entro una “cornice” narrativa di partenza si articolano le
sottocornici narrative rappresentate dalle trame di ognuna delle cento novelle che compongono il
Decameron. Prima cornice narrativa sarebbe, cioè, la storia dei dieci giovani (la brigata, come la
chiama Boccaccio) che, per sfuggire alla peste del 1348, decidono di rifugiarsi in una villa in
campagna, lontani dalla città e dal morbo, e di intrattenersi raccontandosi a vicenda dieci novelle
al giorno, una per ogni componente del gruppo, e per un totale di 10 giorni sui 14 che passano
insieme (il titolo Decameron fa riferimento proprio alle “dieci giornate”). Ogni novella raccontata
ha, ovviamente, una sua trama, e questa rappresenta la sottocornice dell’opera. Il tema di ogni
novella viene scelto, a turno, dal giovane che in quella precisa giornata è il re o la regina del
giorno. I temi principali sono i seguenti: Confronto fra bene e male (c’è un crescendo dalle novelle
iniziali che espongono i pericoli e le tentazioni cui si incombe attraverso i vizi fino alle novelle che
celebrano la virtù e il retto vivere); Fortuna e Natura (i due poli entro cui oscilla la vita umana: la
Fortuna è la sorte esterna, la Natura è l’animo interno di ogni uomo. Per vivere dobbiamo
assecondare e saper gestire queste due diverse influenze); Tematica erotico-amorosa (l’amore e il
desiderio sessuale sono strettamente correlati e vengono affrontati in modi molto diversi, dalla
passione genuina e distruttiva a quella più bassa e volgare, fino ad arrivare anche al tema della
beffa in cui spesso cadono i personaggi in cerca di una compagna). Nel far questo Boccaccio
rappresenta attentamente la società a lui contemporanea, soprattutto la civiltà cittadina borghese
e mercantesca di cui critica la furbizia e il marcato opportunismo.

IL QUATTROCENTO
Il Quattrocento è il secolo dell’umanesimo, una nuova cultura che trasforma
profondamente la visione del mondo medievale e l’atteggiamento dell’intellettuale. Il nucleo di
questo movimento culturale è la riscoperta dei testi classici latini e greci nella loro autonomia di
valori. Questa riscoperta si realizza nella ricerca di testi antichi e nella nascita del lavoro filologico
per ricostruirli nelle loro completezza e correttezza autentiche, attraverso uno studio approfondito
della lingua latina classica e il confronto fra i vari manoscritti. La rivalutazione della cultura classica
determina anche una spinta all’impegno civile e l’affermazione della funzione politica della
letteratura.
L’altro tratto peculiare dell’umanesimo è l’importanza riconosciuta all’uomo nella sua vita
attiva nel mondo terreno, in contrasto con la visione contemplativa della vita, volta al divino e al
soprannaturale, tipica della cultura medievale.
Le prime fasi di questo movimento vedono un’assoluta centralità del latino come lingua
letteraria, e hanno come figure rappresentative Leonardo Bruni e Poggio Bracciolini, quest’ultimo
responsabile della scoperta di numerosissimi manoscritti unici di opere classiche altrimenti
perdute.
Leon Battista Alberti è il primo umanista a sostenere l’eccellenza del volgare e la sua
capacità di competere con il latino. Nella seconda metà del secolo si sviluppa quindi la letteratura
in volgare, soprattutto alla corte medicea di Lorenzo il Magnifico, scrittore egli stesso e mecenate
di grandi poeti che realizzano una sintesi tra la cultura classica e la tradizione fiorentina, come
Angelo Poliziano, autore e cancelliere di corte, Marsilio Ficino, studioso del platonismo, e Luigi
Pulci, erede della tradizione fiorentina burlesca e popolana.
Al di fuori della corte medicea l’umanesimo si diffonde nella corte di Milano, che ospita
Leonardo Da Vinci, e in quella degli Estensi di Ferrara, dove opera in particolare Matteo Maria
Boiardo, autore del poema epico-cavalleresco Orlando innamorato, primo sviluppo letterario dei
cantari popolari di piazza, ispirati alla letteratura francese sugli amori di re Artù e sulle gesta di
Carlo Magno. Nell’Italia meridionale è particolarmente produttiva la corte napoletana, dove nasce
il filone della letteratura pastorale.
ORLANDO INNAMORATO: STRUTTURA E SIGNIFICATO
L'Orlando innamorato è l'opera più importante di Matteo Maria Boiardo, un poema epico-
cavalleresco scritto in ottave e diviso in tre libri, di cui l'ultimo è rimasto incompiuto. La data della
prima pubblicazione risale al 1483, data in cui l'autore non aveva ancora terminato il terzo libro. A
Matteo Maria Boiardo, nell'Orlando innamorato, si deve il merito di aver mescolato, per la prima
volta, il tema amoroso con quello cavalleresco.
PRIMO LIBRO - Durante un banchetto di Pentecoste organizzato da Carlo Magno per
migliaia di guerrieri, appare a un tratto la bellissima principessa Angelica e il fratello Agalìa. I due
sono figli del re del Catai e la loro missione è quella di decimare i guerrieri di Carlo Magno.
Angelica lancia quindi una sfida a tutti i soldati: chi batterà a duello il fratello Agalìa vincerà la sua
mano. Agalìa è munito di armi fatate ma viene sconfitto da Ferraguto. Angelica, che non vuole
sposarlo, fugge verso Oriente inseguita da due cavalieri perdutamente innamorati di lei: Orlando e
Ranaldo. Durante il viaggio, nella selva Ardenna, Ranaldo beve da una sorgente magica che gli
causa il disinnamoramento dalla bella Angelica. Al contrario, la principessa Angelica beve da
un’altra sorgente di acqua magica che la fa innamorare perdutamente di Ranaldo. Angelica, dopo
molte avventure, torna in patria, dove il padre l’aveva promessa in sposa ad Agricane. La
principessa si rifugia nella fortezza di Albraccà e qui arrivano anche i cavalieri innamorati di lei,
incluso Agricane. Quest’ultimo sarà sconfitto in duello da Orlando. Anche Ranaldo arriverà alla
fortezza e, per evitare che Orlando lo uccida per gelosia, Angelica spedisce quest’ultimo in
missione.
SECONDO LIBRO - La Francia è sotto la minaccia dei mori capitanati da Agramante a cui si
unisce il valoroso Ruggero. Angelica, in cerca di Ranaldo, torna in Occidente accompagnata da
Orlando. Ranaldo e Angelica bevono nuovamente l’acqua dalle sorgenti magiche con il risultato
che ora Angelica odia Ranaldo, e che questi è invece di nuovo perdutamente innamorato di lei.
Ranaldo intende quindi affrontare Orlando ma interviene il re Carlo che promette di dare Angelica
in sposa al cavaliere che si dimostrerà più valoroso in battaglia contro i mori.
TERZO LIBRO (INCOMPIUTO) - L’opera si conclude con la vicenda degli innamorati
Bradamante (sorella di Ranaldo) e Ruggero da cui nascerà la casata D’Este.
I personaggi principali dell'Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo sono: Orlando: il
cavaliere fedele al re che perde la testa per la principessa Angelica; Angelica: la bellissima
principessa che fa innamorata i guerrieri di Carlo Magno; Ranaldo: cugino di Orlando, per il quale
prova una certa inferiorità a causa della disparità economica tra i due. Ranaldo non resiste al
fascino femminile.
Il poema di Matteo Maria Boiardo è composto da tre libri, l’ultimo dei quali incompleto.
L’Orlando innamorato è l’intreccio perfetto di armi e amore e Boiardo riesce a fondere nel poema
il ciclo bretone e il ciclo carolingio. Boiardo è il primo a fondere il tema amoroso con quello
cavalleresco. Per la prima volta il cavaliere Orlando viene raccontato come un uomo pieno di
passione.

IL CINQUECENTO
Il ‘500 non differisce molto dal ‘400, in quanto esso sembra essere il naturale prosecutore
del ‘400. Infatti, i motivi ispiratori dell’Umanesimo raggiungono il loro massimo compimento.
Questi motivi sono:

 La fede nell’eccellenza della natura umana e nella sua potenza creatrice;


 L’ideale del decoro, della misura, dell’equilibrio interiore, della razionalità;
 Il culto della bellezza, in senso fisico (armonia delle forme) e in senso etico (armonia tra
spirito e natura);
 L’ideale della perfezione in tutti i campi (amore, lingua, uomo di corte, principe).
Tuttavia, esistono alcune differenze tra i secoli Quattrocento e Cinquecento: l’Umanesimo
del ‘400 ebbe carattere civile ed operò nell’ambito della repubblica comunale mentre
l’Umanesimo del ‘500 ebbe carattere cortigiano e accademico, poiché si svolse nelle corti (al
servizio di un signore) e nelle Accademie. Inoltre l’Umanesimo del ‘400 è acerbo e in fase di
ascesa, mentre quello della prima metà del ‘500 rappresenta il culmine di questa cultura, che al
termine del secolo tramonterà per lasciar spazio al Barocco.
I motivi di fondo del Rinascimento citati sopra sono però in contraddizione con altri aspetti
del Cinquecento:
 Nell’esaltazione della potenza creatrice dell’uomo spesso affiora la consapevolezza che
l’uomo è soggetto al potere di una forza oscura (la fortuna), che spesso vanifica i disegni
umani;
 I piaceri terreni vengono esaltati, ma accanto a loro ritroviamo il senso della loro vanità e
un sentimento tragico di morte;
 L’ideale di equilibrio interiore e compostezza è accompagnato dalla consapevolezza che in
profondità la natura umana è cattiva e perversa, schiava degli istinti;
 Tutti gli scrittori del Rinascimento descrivono la natura nei suoi aspetti idillici (Ariosto), ma
alcuni (Teofilo Folengo e il Ruzzante) vi riscoprono il mondo faticoso dei contadini e degli
umili, schiacciati dalla miseria.
Pertanto, nella produzione letteraria del Rinascimento distinguiamo due tendenze
fondamentali:
1. Tendenza idealistica, rappresentata dagli scrittori che perseguono gli ideali di grazia,
armonia, compostezza, celebrando il tipo di umanità superiore, fatta di razionalità e
ottimismo;
2. Tendenza realistica, rappresentata dagli storici e dagli scrittori politici, i quali studiano
l’uomo nei suoi comportamenti reali e nel suo agire concreto.
Come nel ‘400, anche nel ‘500 il culto della civiltà classica influisce su tanti aspetti della
cultura, ispirando sia la corrente idealistica, con gli ideali di compostezza e misura derivati dalla
filosofia platonica e stoica, sia la corrente realistica, ispirando il senso della concretezza e operosa
della vita. La letteratura italiana si presenta bilingue: c’è una produzione letteraria latina e una in
volgare. Tuttavia, la letteratura in lingua latina, prima più abbondante e importante, ora diventa
secondaria e marginale. Tramonta infatti l’illusione nata nel ‘400 di ricreare una grande letteratura
latina sulle orme degli autori classici. lo studio del latino però non cessa di esistere, soprattutto per
acquisirne gli ideali. La lingua latina venne utilizzata nel ‘500 per la lirica (Bembo, Ariosto …) e le
Epistole (Bembo). Il volgare acquista sempre più importanza, raffinandosi a mano a mano che gli
intellettuali vi trasferiscono le caratteristiche di ordine e purezza della lingua latina. Dallo sforzo di
elevare il volgare alla dignità e alla bellezza delle lingue classiche nasce la questione della lingua,
per fissare la lingua volgare più idonea a competere in bellezza e armonia con le opere classiche.
Da questo sforzo nasce la precettistica letteraria, l’insieme delle regole di lingua, stile e ispirazione
intese a disciplinare i generi letterari, adeguandoli ai canoni derivati dalla poetica di Aristotele e
Orazio.

ORLANDO FURIOSO: STRUTTURA E SIGNIFICATO


L'Orlando furioso è l’opera più importante di Ludovico Ariosto. È stata iniziata tra il 1504 e
il 1505 e venne terminata nel 1532. Contiamo tre diverse edizioni:
1. 1516, in cui l'opera viene data alle stampe;
2. 1521, in cui Ariosto rivede l'opera dal punto di vista linguistico senza apportare grosse
modifiche;
3. 1532, anno in cui amplia il poema aggiungendo sei canti.
Dopo la sua morte vennero aggiunti ulteriori cinque canti che lui aveva composto ma
scartato. L’opera riprende la storia dell’Orlando Innamorato. Si rifà inoltre alla tradizione popolare
ma si presenta come nuova e originale. La storia è complessa e racconta numerosi avvenimenti
articolandosi in tre filoni principali:
1. Guerra tra Carlo Magno e i musulmani
Dalla Spagna questi ultimi penetrano in Francia e assediano Parigi. La guerra è un
combattimento eroico di natura religiosa. L’esercito carolingio segue i musulmani fino
in Africa.
2. La pazzia di Orlando
Orlando, paladino protagonista della vicenda, si innamora di Angelica, principessa del
Catai bellissima e misteriosa, del tutto disinteressata all'amore dei cavalieri, fino a
quando non incontra un saraceno ferito di nome Medoro, di cui si innamora dopo
averlo accudito. L’amore è ricambiato: così, quando Orlando scopre la loro relazione,
impazzisce e il suo senno finisce sulla Luna. Il paladino Astolfo e il suo cavallo alato
dovranno arrivare fin sulla Luna per riprenderlo.
3. Storia d’amore tra Ruggero e Bradamante
Ruggero è un guerriero saraceno, Bradamante è una guerriera cristiana. Il mago Atlante
tenterà con la magia di separarli, ma i due giovani si perdono e si incontrano. Atlante
non riesce a sottrarre Ruggero al suo destino: si converte e nell’ultimo canto si sposa
con Bradamante. Dalla loro unione, secondo Ariosto, avrà origine la famiglia d’Este.
I temi sono vari e raccontati attraverso l’analisi dei sentimenti degli eroi:
Amore - Non importa che sia eroico, costante e fisico, visto come puro desiderio. A volte un
personaggio passa dall’uno all'altro.
Desiderio di avventura - I protagonisti sono desiderosi di cimentarsi in prove insolite per
mettersi alla prova.
Forte senso della cortesia - Il codice d’onore cavalleresco è uno dei protagonisti del testo
I protagonisti sono animati da grandi intenzioni, anche se le loro aspirazioni vengono
disattese, dal momento che si fanno distrarre da amori e grandi avventure. I personaggi sono
incoerenti e mancano di approfondimento psicologico, ragion per cui per il lettore è difficile
identificarsi in essi. Ariosto rappresenta svariati atteggiamenti umani ed è estremamente
innovativo nell’inserire un nuovo tema, il meraviglioso. L’opera è infatti del tutto pervasa dalla
magia che affascina il lettore, anche se l’autore tende a rappresentare ciò che racconta come del
tutto normale.

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