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Dante Alighieri

Dante è il massimo poeta della civiltà comunale. La sua figura appare radicata nella sua epoca, ma allo
stesso tempo l’opera dantesca appare molto attuale ancora oggi. Dante rappresenta un riferimento
decisivo della nostra identità nazionale. Dante stupisce ancora oggi per il suo carattere di assoluta
originalità. Nell'opera di Dante è difficile individuare un modello univoco e un genere di appartenenza.
Di conseguenza le opere dantesche non divengono modellizzanti per la successiva letteratura europea, a
differenza del Decameron e del Canzoniere di Boccaccio e di Petrarca.
L'autobiografismo e lo Sperimentalismo sono due fattori che accomunano l'intera produzione dantesca.
Questo perché:
• Il progetto della Vita Nuova presenta una raccolta di rime giovanili all'interno di un racconto in
prosa di una storia d'amore che è al tempo stesso la storia della propria poesia.
• Il Convivio invece nasce dalla raccolta di canzoni allegoriche e morali e si presenta sotto forma di
trattato filosofico strutturato come un commento alle proprie rime e impostato come
un'autobiografia.
• Il De vulgari eloquentia appare molto innovativo per l'originalità della materia trattata e per
l'inedito eclettismo con cui mescola nozioni filosofiche, sociolinguistiche e retorico-letterarie.
Anche in questo progetto ci sono riferimenti evidenti alla propria esperienza e poesia.
• Nella Commedia lo sperimentalismo e l'autobiografismo, alimentati dall'ispirazione di una poesia
profetica e dalle passioni di esule, sono liberati in un'invenzione potente e visionaria.
Il riconoscimento del volgare come lingua nazionale di cultura è un altro importante elemento che sancisce
il ruolo cruciale dell'opera dantesca nella nostra storia letteraria e linguistica. Per aver tenuto a battesimo
l'utilizzo letterario della lingua Volgare Dante viene anche considerato "il padre della lingua italiana".
Vita
Purtroppo si hanno poche notizie biografiche certe dell'autore. Le poche che abbiamo provengono da
riferimenti autobiografici rilevati nella sua opera e dunque sono talvolta soggette alla libera rielaborazione
dello stesso autore.
I problemi cominciano dal nome, quasi certamente il vero nome è “Durante” e poi abbreviato in “Dante”.
Al nome segue il cognome Alagherii, patronimico, ma poi sostituito da Alighieri (tale forma entra in uso a
partire da Boccaccio).
Dante nasce sicuramente a Firenze, in un periodo compreso tra il 14 maggio e il 13 giugno 1265 (è Dante
stesso ad informarci che nasce sotto il segno zodiacale dei gemelli di quell'anno).
La sua famiglia apparteneva alla piccola nobiltà cittadina, di recente acquisizione dato che solo al trisavolo
Cacciaguida era stato conferito il titolo nobiliare di cavaliere dall’imperatore Corrado III. Il padre di Dante,
Alagherio, si occupava di attività commerciali e di prestiti, pertanto la situazione familiare era instabile. La
madre Bella muore durante la sua infanzia, suo padre pochi anni più tardi. All'età di nove anni, stando al
racconto della Vita Nova, c'è il primo incontro con Beatrice, figlia di Folco de’ Portinari, poi data in moglie a
Simone de’ Bardi. (nel 1283 avviene il secondo incontro). Nel Febbraio del 1287, a soli 12 anni, Dante è
assegnato in nozze a Gemma di Manetto Donati, dalla quale avrà negli anni della maturità (1285 circa)
quattro figli: Pietro, Iacopo (i commentatori della Commedia), Antonia e Giovanni.
Non abbiamo informazioni circa i suoi studi durante gli anni dell'adolescenza però sappiamo di per certo
che Dante apprese le arti del Trivio da un doctor gramaticae. (Grammatica, Retorica e Dialettica). il suo
maestro fu Brunetto Latini che incontra anche nella Commedia. Quindi gli anni della giovinezza sono segnati
da una formazione culturale ampia e varia, tanto filosofica e teologica quanto letteraria. Il sonetto “ Non mi
porrian già mai fare ammenda” attesta un soggiorno di Dante a Bologna. Bologna era una prestigiosa sede
universitaria. Dante probabilmente si recò a Bologna prima del 1287, ma non sappiamo i motivi del suo
soggiorno.

L’11 giugno 1289 l'esercito guelfo fiorentino sbaraglia i ghibellini aretini a Campaldino. L'umanista Leonardo
Bruni racconta che Dante partecipa alla battaglia e schierato in prima fila tra i feditori a cavallo. la
partecipazione all'assedio, pure vittorioso al castello pisano di Caprona nell'agosto del medesimo anno c'è
testimoniata da Dante stesso nell'inferno.
Negli stessi anni Dante si afferma come poeta d'amore in volgare, con una produzione di rime. Passa dai
primi esperimenti ancora sbilanciati in senso cortese, alla scoperta di una poetica e di un linguaggio
originali. Nel libello della vita nuova la storia della propria poesia viene fatta coincidere con quella
dell'amore assoluto per Beatrice, morta l'8 giugno 1290.
Di particolare importanza è il rapporto con gli esponenti del Dolce stil novo, come Guido Cavalcanti. La
vicenda poetica e intellettuale di Dante risente dell'influenza dell'amicizia e dell'insegnamento di Guido
Cavalcanti.
L'8 Giugno del 1290 muore Beatrice. Dopo tale data è collocato un periodo di traviamento di Dante, ossia
l'adesione ad una vita piuttosto dissoluta con conseguente abbandono degli studi e l'interruzione della fase
creativa. Per trovare conforto dalla morte di Beatrice, Dante si appassiona alla filosofia e inizia a leggere il
De consolatione Philosophiae di Boezio e il Laelius de amicitia di Cicerone. Inizia a frequentare gli studia
fiorentini (le scuole de li religiosi), destinati all'insegnamento dei francescani e dei domenicani.
Tale crisi appare superata negli anni 1292-1293. Dante si avvicina all'attività politica, ma tale scelta è
preceduta da alcuni impegni di carattere militare (combatte come cavaliere in diverse battaglie). Nel 1297
appare iscritto all’Arte dei medici e degli speziati, necessaria per la carriera politica comunale. Dante
risulta membro del Consiglio dei Trentasei e dei Cento nel 1295 e 1296. La carica più importante è
certamente quella di Priore che ha conseguito nell’estate del 1300.

Intanto in quel periodo la scena politica fiorentina era caratterizzata dal riacutizzarsi dello scontro tra guelfi
Bianchi e guelfi Neri. I primi facevano capo alla famiglia dei Cerchi e rappresentavano il popolo grasso,
mentre i secondi, guidati dalla famiglia dei Donati, sostenevano la restaurazione del potere nobiliare ed
erano disposti ad appoggiarsi al Papa per raggiungere questo scopo. Dante sostenne il primo schieramento,
quello dei guelfi Bianchi. Si trovava quindi in conflitto con il Papa Bonifacio VIII, il quale cercava di
affermare la sua egemonia in Toscana favorendo i Neri.
Dante durante il suo priorato firma il provvedimento di esilio per i più violenti capi fazioni, condannando
quindi il suo amico Guido Cavalcanti. Il 1 novembre 1300 le truppe di Carlo di Valois, fratello del re di
Francia, alleate del Papa, entravano con la forza a Firenze, deponevano il governo in carica facendo strage
dei guelfi Bianchi. Alla fine di ottobre il governo fiorentino manda a Roma un'ambasciata guidata da Dante
per cercare di scongiurare l'intervento francese. Ma all'inizio di novembre Carlo di Valois entra Firenze
prendendo le parti dei neri che si sollevano in armi, instaurano un nuovo priorato. Dante sfugge alle prime
violente rappresaglie ma non alla condanna al confino per interruzione peculato emanata nel gennaio 1302
dal nuovo governo. Nel 1302 Dante viene quindi condannato a due anni di esilio e al pagamento di una
multa di 2000 fiorini. Egli respingendo l'accusa e rifiutando il pagamento viene condannato a morte sul
rogo e alla confisca dei beni.
Dante non farà più ritorno a Firenze. Assieme agli altri fuoriusciti bianchi, trova ospitalità presso la
Ghibellina Arezzo dove era Podestà Uguccione della Faggiuola. Nell'autunno del 1302 i bianchi fiorentini si
spostano a Forlì da dove tentano una spedizione militare contro Firenze. Nella primavera del 1303 Dante è
a Verona presso Bartolomeo della scala. E poi morto Bartolomeo della scala torna in Toscana, Riallacciando
I rapporti con gli altri fuoriusciti. Dante nel 1303 partecipa all’alleanza tattica dei Bianchi con i vecchi capi
ghibellini per aumentare la forza armata. Essi subiscono una sconfitta nella battaglia della Lastra nel 1304.
Dante ruppe i rapporti con la compagnia e decise di far parte per se stesso. A nome di Dante ci sono giunte
13 epistole che comprese tra il 1304 e 1320, costituiscono un'importante documentazione degli anni
dell'esilio. La più discussa è senz'altro l'Epistola 13, indirizzata a Cangrande della scala. In seguito si
allontana dagli altri esuli e cessa di impegnarsi a tornare in patria, matura invece una concezione politica
nuova, universalistiche e di ampio respiro. Intanto soggiorna in Veneto, a Treviso da Gherardo del camino,
ricordato nel purgatorio. Poi anche in Lunigiana al servizio dei Malaspina, dove rimane fino al 1308,
legandosi in particolare a moroello. Intraprende un viaggio anche a Parigi.
La salita al trono imperiale di Arrigo VII di Lussemburgo suscita tra i ghibellini italiani forti attese che
sembrano trovare compimento nella discesa in Italia del 1310. Con la discesa di Arrigo VII di Lussemburgo,
Dante torna a una sorta di impegno politico, di fatti scrive il “De Monarchia”, trattato in cui raccoglie tutte
le sue idee politiche. Dante si schiera a favore di Arrigo VII. Scrive diverse lettere ed esorta allo stesso
imperatore a rivolgere un con decisione, la sua azione militare contro Firenze. Questo suo schieramento a
favore di Arrigo VII aggrava le condizioni dell’esilio. Non sorprende infatti che il nome di Dante rimane fuori
dall'amnistia decretata pochi mesi dopo dal Comune di Firenze a favore dei guelfi banditi. Dopo aver
ricevuto la corona imperiale a Roma nel 1312 Enrico pone l'assedio a Firenze, ma con forza inappropriate,
non riuscendo ad entrare in città. Nell'estate del 1313 decide quindi di muovere verso il meridione, ma il 24
agosto presso Siena, l'imperatore muore di malaria, facendo così svanire gli occhi di Dante il sogno di una
pax Augusta e la speranza di un ritorno a Firenze. Egli viene ospitato quindi a Verona dai Della Scala fino al
1320 circa.
Nel 1315 un’amnistia con pagamento di una multa e ammissione di colpa venne concessa a Dante, il quale
rifiuta e viene nuovamente condannato a morte insieme ai figli. Dante quindi lascia la Toscana
nuovamente, facendo ritorno a Verona presso Cangrande della scala. Dei rapporti privilegiati con
Cangrande è prova l'Epistola XIII, con cui Dante gli dedica il paradiso. La lettera è stata da sempre fonte di
innumerevoli discussioni circa la sua datazione, circa il luogo di composizione, circa la sua stessa autenticità.
Nel 1318-1320 si trasferisce a Ravenna presso i da Polenta. Qui, circondato da amici e discepoli, lavora al
compimento del paradiso. Nel gennaio 1320, dopo un viaggio a Mantova, torna brevemente a Verona per
presentare nella chiesa di Sant'Elena la “questio de Acqua e terra” in cui affronta una questione filosofica.
Sul rapporto tra la sfera delle acque, quella della terra. Nel 1320 Giovanni del Virgilio, maestro di retorica
dell'Università di Bologna, legato all'ambiente dei pre-umanisti di Padova invia a Dante un'Epistola metrica
in cui gli rimprovera la scelta del volgare per un poema di argomenti tanto elevati come la commedia. E lo
invita a cantare il latino. Dante risponde con un egloga in esametri sul modello delle bucoliche di Virgilio in
cui rivendica la sua fiducia nel poema che gli farà tributare l'alloro poetico dalla sua Firenze. Giovanni
risponde con un'altra egloga, invitandolo comunque a Bologna, dove molti letterati lo attendono. Dante
declina l'invito a causa della presenza nella sua città di un personaggio crudele. Probabilmente fulcieri da
calboli, spietato capitano del popolo guelfo.

Probabilmente Dante non fa in tempo a inviare la seconda egloga a Giovanni del Virgilio. Dante muore a
Ravenna fra il 13 e il 14 settembre 1321, sepolto nella chiesa di San Francesco.
Formazione
Ai tradizionali studi di grammatica dell'adolescenza, segue la frequentazione di Brunetto Latini. Egli era un
grande studioso, dotato di una visione aperta e moderna. Anche l'amicizia con Guido Cavalcanti è
importante, dato che questi rappresentava il maggiore esponente fiorentino del Dolce stil novo.
Il momento di maggior interesse teologico e filosofico si colloca dopo la morte di Beatrice con la lettura di
Boezio e Cicerone e dei due studi fiorentini più prestigiosi, quello Domenicano e quello Francescano.
Dante compie diversi viaggi a Bologna, nella cui università si svolgevano lezioni di grammatica e retorica.
L’esperienza dell’esilio coincide con il periodo di massima maturità del poeta e riguarda il ventennio nel
quale furono composte tutte le opere ad eccezione della Vita Nuova. Durante l'esilio entra in contatto con
ambienti culturali vari e stimolanti.
In generale, la formazione di Dante è stata tanto vasta e ricca quanto irregolare e per lo più autodidatta.
L'amicizia con Guido Cavalcanti
All'età di 18 anni Dante racconta che, dopo un sogno amoroso, compose il suo primo sonetto “A
ciascun'alma presa e gentil core”, nel quale racconta questo sogno premonitore (morte di Beatrice).
Questo sonetto lo inviò ai più famosi rimatori del tempo perché interpretassero la visione. Tra coloro che gli
risposero ci fu Guido Cavalcanti, con il sonetto “Vedeste, al mio parere, onne valore”. In questo sonetto si
ha il pieno riconoscimento delle qualità poetiche del giovane esordiente. Da allora egli diverrà il primo degli
amici di Dante. Tra i due inizia una lunga corrispondenza di sonetti, che testimonia il loro sodalizio affettivo
e intellettuale. Dante considera Guido primo degli miei amici e aggiunge che tale episodio fu quasi lo
principio dell'amicizia tra lui e me. Il famoso invito di “Guido I vorrei che tu e Lapo ed io” che intende
celebrare proprio la coralità di sentimenti e valori della nuova poesia Fiorentina.
L'insegnamento di Cavalcanti è fondamentale per la formazione intellettuale del giovane amico. Cavalcanti
offre a Dante un innovativo modello di poesia che permette di superare la dimensione cortese: interiorizza
il discorso lirico, risistema il linguaggio tradizionale e integra concezioni derivate dalla filosofia aristotelica. I
primi esempi lirici danteschi presentano questo modello.
Dante, dedicando a Cavalcanti La Vita Nuova, non solo vuole celebrare il sodalizio con il suo primo amico
bensì in nome di Cavalcanti vuole rivendicare la scelta del volgare come lingua dell'opera.
Nella Vita nuova, nonostante le continue dichiarazioni di stima e d'affetto da parte di Dante nei confronti
dell'amico poeta, egli approda a una nuova poetica e a una concezione dell'amore completamente diverse
rispetto a quelle cavalcantiane. Molti studiosi ritengono che il libello dantesco (La Vita Nuova) abbia
provocato la rottura del sodalizio umano e poetico tra i due poeti, dando luogo a una polemica che Dante
avrebbe portato avanti anche nelle sue opere successive. (nel De vulgari eloquentia e nella Commedia)
Una prova di questa rottura è stata individuata nel sonetto inviato da Cavalcanti a Dante “L’ vegno ‘l giorno
a te ’infinite volte” (p104)

Non sappiamo la collocazione cronologica del sonetto né da cosa potesse dipendere lo stato di avvilimento
che Guido attribuisce a Dante. Guido esprime, sin dal principio, un affetto sincero e una stima profonda nei
confronti dell'amico. Quindi nel finale allevia il rammarico in un congedo lieve e sorridente. (P)
Cavalcanti è citato esplicitamente per ben due volte nella Commedia: questo significa che Dante provava
stima profonda per l'amico. Ricordiamo la famosa domanda del Padre Cavalcante circa la sorte del figlio e
la risposta di Dante nell'inferno X e il canone della gloria linguistica proclamato nel purgatorio XI.
In conclusione, tralasciando le divergenze ideologiche, non abbiamo nulla che testimoni una rottura
polemica tra i due poeti. È Dante stesso che nella sua opera si presenta come il legittimo successore di
Cavalcanti; Dante è stato capace di riprendere e proseguire il cammino aperto dal più anziano amico e
maestro, attribuendo però nuovi significati e valori alla poesia d'amore.

(I due poeti come “unus philosophus alter poeta”)


Ideologia
In Dante si configura la tendenza all'integrazione dei saperi e all'unità dell’uomo che caratterizza la civiltà e
la cultura medievali. Alla base del pensiero dantesco sta la visione religiosa della realtà. Da tale visione
deriva una concezione della storia come rivelazione progressiva e lineare delle verità cristiane.
Il passato è guardato dal punto di vista del presente: tutta la civiltà precristiana è reinterpretata alla luce
del Cristianesimo. Uno dei motivi centrali dell’opera dantesca consiste dunque nella fusione di modelli
classici e di rinnovamento cristiano (sincretismo).
Politica
È possibile distinguere due momenti separati dalla condanna all’esilio.
• Tra il 1295 e il 1301 Dante difese l’autonomia del comune dalle ingerenze della chiesa, essendo
fedele alla logica particolaristica.

• Con l’esilio del 1302 Dante matura il rifiuto della frammentazione politica comunale e rilancia il
modello universalistico: egli afferma la legittimità del potere imperiale e sostiene che
all’imperatore spetta il potere temporale, mentre al Papa spetta il potere spirituale.
Dante critica quindi la nuova civiltà borghese e rifiuta il trionfo della logica del guadagno.
Filosofia e teologia
In una fase del pensiero dantesco è affermata l'indipendenza reciproca di teologia e filosofia.
Nella commedia dantesca emerge l'influenza tomistica del pensiero del poeta. Del tomismo Dante accoglie
soprattutto l'unione di fede e ragione: la fede nelle verità rivelate si accompagna alla fiducia nella loro
dimostrabilità razionale.
Dante subisce la suggestione di almeno due autori: Sant'Agostino, le cui confessioni costituiscono
certamente un modello per la commedia, e Boezio, il cui De consolatione philosophiae orienta almeno in
parte la tendenza all’allegoria riscontrabile nel Convivio e nella Commedia.
Lingua e poetica
La riflessione sulla lingua dantesca ha una straordinaria importanza ai fini della sua arte. Dante non è
autore spontaneo e immediato, ma riflessivo e consapevole.
Il nucleo del pensiero linguistico di Dante consiste nella valorizzazione del volgare. Secondo Dante il valore
di una lingua dipende dalla possibilità di configurare in forma strutturata e regolarizzata il maggior numero
di aspetti e di livelli della realtà.
Le prime rime
Dante non ha mai raccolto le sue rime in un canzoniere, disponendole secondo l'ordinamento d'autore,
come farà ad esempio Petrarca. Le moderne edizioni delle rime di Dante, che raccolgono tutte le poesie che
ci sono giunte sotto il nome di Dante, riflettono le scelte dei rispettivi curatori. L'ordinamento che oggi
continua a essere più familiare, i lettori e quello fissato a suo tempo da Michele Barbi per l'edizione
nazionale del 1921, sulla base di criteri biografici, stilistici e tematici.
La produzione giovanile compresa tra i primi anni 80 e i primi anni 90 e quella destinata a essere
sottoposta a un'attenta selezione ai fini della Costituzione del libro della vita nuova. I risultati più alti e
innovativi di tale stagione sono da identificare con le rime che nel libello rispondono alla poetica della lode
che Dante stesso Nell'incontro in purgatorio con buona giunta, vorrà definitivamente consegnare alla
memoria dei posteri, con il nome di dolce stil novo.
Tra questi ricordiamo:

• La canzone Donne che avete, intelletto d'amore.


• Il sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare.
• Il sonetto Vede perfettamente onne salute.
• E tutti gli altri componimenti che realizzano l'ideale linguistico melodico del nuovo stile.
L'armonia tematica e formale delle poesie della lode costituisce il punto di arrivo di un percorso che fin dai
primi prodotti è stato contraddistinto da una forte vocazione sperimentale. Non sono poche le rime che
sono rimaste fuori dal progetto della vita nuova. I primi esperimenti lirici sono ancora connotati in senso
cortese, sia sul piano linguistico che sul piano tematico e delle metafore ancora di matrice cortese-feudale.
alcuni esempi:
• La canzone La dispietata mente, che pur mira.
• La ballata Per una ghirlandetta.
• Anche il Sonetto Guido, I vorrei che tu e Lapo ed io
Rimandano a una ben più drammatica esperienza d'amore, alcuni componimenti che riguardano Beatrice,
come:

• E mi incresce di me si duramente
Appartengono al genere comico-realistico i sonetti scambiati da Dante con l'amico poeta Forese Donati,
caratterizzati dal registro basso e quotidiano ulteriore prova di una versatilità stilistica e di una perizia
tecnica che daranno il frutto maturo nell'espressionismo e plurilinguismo della commedia.
Al medesimo sperimentalismo giovanile dantesco, si sono volute ricondurre due opere, il fiore e il detto
d'amore, attribuibili a Dante. Ormai però è prevalente l'idea che non ci sono elementi dirimenti a favore
della paternità dantesca. Il fiore è un poema allegorico composto da 232 sonetti che narrano la conquista
della donna da parte dell'amante. L'opera si presenta come un rifacimento del Roman de la rose, poema
allegorico in antico francese. Il fiore è almeno successivo al 1283-1284. Il detto d'amore composto da 480
settenari in Rima baciata è pure un poemetto allegorico sull'amore. Cortese debitore verso il Roman de la
rose.

Le opere:
1. La Vita Nuova
La Vita Nuova è la prima opera organica di Dante. Essa è una narrazione in prosa volgare della storia
dell'amore di Dante per Beatrice, prima e dopo la morte di lei, e in essa sono incluse le liriche composte
negli anni giovanili.
Per quanto riguarda il titolo, esso intende riferirsi al rinnovamento interiore che Dante matura sotto il
segno di Amore.
Datazione

Non sappiamo di preciso quando Dante compose il libello, ma in generale l’opera è stata composta lungo
un arco di tempo abbastanza esteso di anni, dato che alcuni testi appartengono alla giovinezza di Dante. Da
alcuni dati interni al libro si può ricavare una collocazione cronologica abbastanza affidabile. Dante racconta
che compose la prima lirica (il sonetto A ciascun'alma presa e gentil core) inclusa nel prosimetro quando
aveva 18 anni, quindi nel 1283.
Verso la fine del libro, egli dice di aver scritto il sonetto Era venuta ne la mente mia nel primo anniversario
della morte di Beatrice, dunque nel giugno del 1291. Perciò, si potrebbe collocare la composizione della
Vita Nuova fra il 1292 e il 1293.
Non bisogna fare affidamento su quanto si legge nel Convivio riguardo alla datazione del libello.
Nel Convivio Dante afferma che la donna pietosa del finale del libello rappresenta allegoricamente la
Filosofia, che la sua apparizione risale all'Agosto del 1293 e che trascorse un po’ di tempo prima che
l'amore per lei fosse perfetto. Però questa cronologia comporterebbe che la Vita Nuova sia stata composta
non prima del 1294/1295. Inoltre l'identificazione in termini positivi della donna gentile con la Filosofia
appare del tutto inconciliabile con la sua condanna come malvagio desiderio nella stessa Vita Nuova.
Perciò per giustificare le affermazioni dantesche del trattato, si è ipotizzata una doppia redazione della
conclusione della Vita Nuova: la stesura originaria in cui si assisteva alla vittoria della donna gentile sarebbe
stata sostituita, dopo l'abbandono del Convivio, da quella giunta a noi, la quale è caratterizzata dalla
condanna dell'amore per la donna gentile e dal trionfo di Beatrice.
Ma purtroppo il libello non reca traccia di tale supposizione, perciò bisogna dare ascolto alla coerenza
interna della Vita Nuova e non conviene dare ascolto al quello che c'è scritto nel Convivio, poiché si tratta di
un'opera successiva, incompiuta e mai pubblicata da Dante.

Ma allo stesso tempo questo non implica una fede incondizionata nella Vita Nuova per quanto riguarda i
tempi di composizione, la disposizione e i significati delle liriche incluse. Infatti pare che Dante sia
intervenuto più volte sul testo delle liriche nel momento in cui decise di introdurle nel libello. Un'altro
aspetto da considerare è la collocazione delle liriche all'interno della storia, che non sempre rispetterà i
tempi e le occasioni originarie di composizione. Per esempio, la ballata di scuse potrebbe essere in realtà un
componimento giovanile per presenza di evidenti tratti arcaici. Uno degli esempi più clamorosi è quello del
sonetto I mi senti svegliar dentro allo Score, che nella prosa è sottoposta a una vera e propria rilettura, al
punto che Dante si vede costretta a precisare di aver taciuto nel sonetto certe parole, le quali, pari andie
tacere. Perciò la collocazione delle liriche all'interno della storia non rispetterà i tempi e le occasioni
originarie di composizione. Infine non si può escludere che, per esigenze narrative, qualche poesia sia
stata composta appositamente per la Vita Nuova.
Struttura
La Vita Nuova è strutturata in modo da alternare parti in prosa e parti in poesia: il libello include nel suo
insieme 31 poesie, di cui 23 sonetti, 2 sonetti rinterzati, 5 canzoni (di cui una è composta da una sola
stanza e un'altra da una doppia stanza) e 1 ballata. Questi componimenti si alternano nel corso della
narrazione senza rispettare la tradizionale separazione per generi metrici propria dei Canzonieri antichi.
Per quanto riguarda la struttura complessiva dell'opera, si può parlare di un disegno tripartito (e non
bipartito come ha sempre pensato la critica):
1. Prima parte introdotta dal proemio e conclusa dalla crisi del “gabbo” (presa in giro) = I-XVI
2. Seconda parte incentrata sulla materia nuova della poesia della lode. XVII-XXVII
3. Terza parte si apre con la morte di Beatrice. XXVIII-XLII

La partizione più pratica è quella in 42 capitoli o paragrafi introdotta dall'esemplare edizione critica di
Michele Barbi nel 1907.
La prosa assume la funzione di collegare le liriche, narrando le occasioni in cui sono state composte.
Queste liriche sono articolate in varie parti, dette divisioni, nelle quali si espone ordinatamente il loro
contenuto secondo una tecnica propriamente medievale.
Modelli
Quest’opera si presenta come una rivisitazione della propria vicenda artistica e biografica. Sorprende il
carattere di assoluta novità del libello. La critica si è sforzata di individuare possibili modelli, ma non si è
andati oltre la segnalazione di opere latine, romanze che tutt'al più possono aver suggerito soluzioni
riguardanti specifici aspetti formali o sostanziali della vita nuova. E consuetudine ricordare come modello di
prosimetro, cioè di opera che alterna prosa e versi, il De Consolazione Philosophie di Severino Boezio. Per
le parti narrative, l'introduzione alle poesie si rinvia alle vidas vite brevi biografiche che nei canzonieri
provenzali precedono le liriche dei trovatori. Per l'opzione autobiografica di fondo, il modello eminente
sono le confessioni di Agostino. Sul piano dell'ideologia amorosa, diversi spunti vengono dal Laelius de
amicizia di Cicerone. Infine, molte immagini e metafore, ma anche la stessa lingua della prosa rimandano al
latino delle scritture e in particolare dei Vangeli.
La vita nuova è insomma un'opera senza precedenti e presenta tratti costitutivi rivoluzionari rispetto alla
Coeva tradizione letteraria.
Questa complessa struttura rende difficile la definizione di genere dell'opera. L’alternanza di prosa e poesia
viene definita “prosimetro”, ma Dante applica il prosimetro a una materia in sé stessa inconsueta e non
riconducibile a un unità tematica. L’opera può essere letta come una narrazione autobiografica ma anche
come un romanzo, oppure come un testo mistico-simbolico.
La Vita Nuova aspira a porsi come rappresentazione unitaria e complessiva della realtà, facendo
dell'esperienza individuale l’espressione di una condizione universale dell’uomo.
La Vita Nuova è un'opera senza precedenti. Essa presenta tratti costitutivi rivoluzionari rispetto alla coeva
tradizione letteraria. Con la scelta di scrivere un libro in volgare, l'idea di alternare prosa e versi,
l’invenzione di una concezione dell'amore, egli spezza i vincoli imposti dal paradigma cortese, riprendendo
l'azione di rinnovamento poetico già promossa da Guido Cavalcanti.
Nella Vita Nuova a convergono i vari elementi costitutivi della cultura dantesca, di origine sia religiosa che
profana. L’opera rappresenta la prima espressione compiuta del peculiare sincretismo di Dante, della sua
capacità di fondere insieme ingredienti diversi al fine di una valorizzazione reciproca.
Anche la tradizione agiografica di ambito soprattutto francescano può essere considerata un modello utile
ai fini della composizione del libelli. Al modello religioso recente dell’agiografia si affianca il modello biblico.
Ed è evidente che tutti questi modelli appartengano a tradizioni culturali fra loro eterogenee, e questo
elemento rimarca l'originalità dell'esperimento dantesco.
Narrazione
L’opera chiede di essere letta alla luce di alcune coordinate culturali, filosofiche e letterarie piuttosto che in
riferimento alla biografia effettiva dell'autore.
Nella Vita Nuova viene raccontata la vicenda più importante della giovinezza di Dante: l’amore per
Beatrice, infatti si può dire che l’opera è l'autobiografia della giovinezza di Dante.
All'età di 9 anni avviene il primo incontro e Dante sperimenta per la prima volta gli effetti sconvolgenti
dell'amore. Da allora Amore domina la sua mente ma sempre assistito dal fedele consiglio della ragione.
Nove anni dopo, all'età di 18 anni Beatrice concede il saluto a Dante che prova una straordinaria felicità.
Dante ha un sogno premonitore, che si conclude con l'immagine di Amore in lacrime che tiene tra le
braccia Beatrice. (Dante decide di raccontare il sogno in un sonetto…) Dante decide di raccontare il sogno
in un sonetto che invia più famosi rimatori del tempo, tra i quali Guido Cavalcanti.
Dante non è in grado di celare i segni della passione amorosa. Per non correre il rischio di compromettere
Beatrice, lascia credere di essersi innamorato di un'altra donna, cui finge di dedicare le proprie liriche,
assumendola così come donna-schermo del suo vero amore.
Nel frattempo muore un'amica di Beatrice, alla cui memoria dedica due liriche. Poiché la donna schermo
lascia Firenze, su consiglio di Amore, Dante decide di procurarsene un'altra. Ma la sua condotta risulta
inopportuna e dà luogo a maldicenze, al punto che Beatrice decide di negargli il saluto. La negazione del
saluto da parte di Beatrice, in cui Dante riponeva ogni sua felicità, lo getta nello sconforto. Quindi Amore,
comparsogli nuovamente in sogno, gli consiglia di comporre una ballata di scuse. La richiesta però cade nel
vuoto e Dante cade in uno stato di angoscia e disorientamento. A un banchetto di nozze, alla vista di
Beatrice, egli è preso da un attacco di panico, suscitando il riso di Beatrice e delle sue amiche, le quali si
prendono gioco di lui. Dante ormai è sconvolto e non può far altro che scrivere sonetti in cui denuncia la
sua esasperata condizione di angoscia. Infine decide di rassegnarsi al silenzio. Il superamento di questa
impasse psicologica e poetica, avviene grazie a un colloquio con le donne gentili. Una di queste porta
Dante a comprendere come sia necessario riporre ogni felicità nelle stesse parole che lodano Beatrice,
espressione di amore disinteressato e autosufficiente.
Qualche tempo dopo Dante compone la canzone manifesto della nuova materia “Donne
ch'avete intelletto d'amore”, rivolgendosi alle medesime donne. Successivamente, spiega che cosa sia e
come si manifesti questo nuovo sentimento amoroso.
Dante si ammala, nel delirio della febbre ha una visione, in cui si annuncia in termini apocalittici la
prossima morte della stessa Beatrice. Dopo un po’ di tempo, Dante vede venire verso di sé Beatrice
assieme a Giovanna, moglie di Cavalcanti. Queste due donne sono preannunciate da Amore, che spiega a
Dante il significato di quella visione. Dopo una digressione su questioni di poetica, Dante compone due
sonetti, in cui descrive la natura miracolosa di Beatrice.
La morte improvvisa di Beatrice inaugura la terza parte del libello. Dante è affranto dal dolore e a un anno
di distanza il dolore per la perdita di Beatrice è ancora vivo e alimenta uno sconforto che Dante non pare in
grado di sopportare. Accade così che Dante prova desiderio per una donna gentile ma egli avverte come la
passione per la donna gentile sia inconciliabile con l'amore sorretto dalla ragione per Beatrice. Il
drammatico conflitto interiore è risolto da un'apparizione mentale della stessa Beatrice, che lo fa
vergognare del desiderio e lo restituisce al dominio della ragione. Il poeta rivolge un sonetto per Beatrice
ad alcuni pellegrini di passaggio a Firenze. Compone un ultimo sonetto in cui contempla l'anima di Beatrice
che risplende nell’Empireo. Il libello si chiude con l'annuncio di una nuova opera nella quale Dante
promette di dire di Beatrice quello che non è mai stato detto di nessuna.
Amore e ragione:
Nel secondo capitolo Dante vuole raccontare il primo incontro con Beatrice comunicando al lettore di
assistere a una vicenda straordinaria…… P113-114
Ogni parte della narrazione concorre alla creazione di tale inedito orizzonte di attesa. L’aura mi miracolosa
che accompagna il nome della gloriosa donna della mia mente. La collocazione dell'evento in un superiore
ordine cosmico, la rivelazione di pochi membri ematici tratti di lei, la rappresentazione analitica della genesi
del sentimento elaborato sui modelli di pneumatologia e discoteca e al tempo stesso delusione scritturali e
infine riconoscimento di una asservimento ad un amore totale e incondizionato.
Per quanto l'immagine dell'amata occupasse senza tregua la mente del poeta e alimentasse il desiderio
amoroso, il potere di Amore era così nobile da non esercitare mai il proprio dominio senza la guida della
Ragione. L'idea di un amore governato dalla ragione rappresenta la vera novità della storia che Dante sta
per raccontare, segnando una rottura con la tradizione culturale che invece vuole amore e ragione come
forze opposte e inconciliabili.
La necessità di un amore intimamente razionale, si carica per la prima volta di un nuovo valore nelle oscure
parole di amore apparso insonnia Dante, dopo che Beatrice gli ha negato il saluto lasciandolo nello
sconforto. gli studiosi si sono a lungo interrogati sulle ragioni del pianto di amore sulle gmatica
autodefinizione offerte dal Dio in risposta alla domanda di Dante. Le lacrime del Dio sono state interpretate
come una premonizione della morte di Beatrice. Autodefinizione, intende comunicare che il sentimento
del poeta è ancora immaturo, poiché non coincide con l'ideale di perfezione in cui amore invece si
riconosce. Una volta, privato del saluto Dante Dovrà maturare un sentimento diverso, autosufficiente e
assoluto, non più vincolato a ciò che può venire meno. Dante prima aveva posto il fine del proprio amore al
di fuori di sé. Il Dio invece spiega come l'amore debba avere in sé il proprio centro, cioè la propria
perfezione, e non ricercarla al di fuori, disse. Dante però non è ancora pronto per comprendere tutto ciò,
solo dopo essere passato attraverso la crisi del gabbo e la conseguente rinuncia alla stessa parola lirica.
Grazie al colloquio rivelatore con una donna logica riesce a maturare dentro di sè un sentimento
disinteressato assoluto, presupposto di una poesia inesauribile.
Il perfetto equilibrio interiore viene pericolosamente messo in crisi dalla morte di Beatrice, che espone il
poeta caduto in uno stato di cupa disperazione. Nuove tentazioni amorose. L'attrazione per una donna
gentile e inconciliabile con l'amore assoluto per Beatrice. Il problema non è soltanto tradire la memoria di
Beatrice, ma ricadere nelle insidiose geometrie di una passione terrena. C'è il rischio di un fatale
decentramento? Perdere l'intimo ideale di amore razionale e insieme compiuto per avventurarsi attraverso
le strade incerte del desiderio. Per questo motivo la passione per questa donna pietosa viene subito vissuta
da Dante come un conflitto tra la ragione e il desiderio. Ma alla fine un'apparizione interiore dell'amata
Beatrice restituisce a Dante la costanza della ragione e scaccia il malvagio desiderio. Prima di dedicare il
finale del libello alla visione celeste di Beatrice, Dante celebra il trionfo della ragione che sostiene e guida il
suo amore per la gentilissima salvaguardandone l'autosufficienza e l'inviolabilità.

Nella prima parte del libello, tale nozione sembra rimanere all'interno della precettistica cortese, il
superiore Consiglio della ragione appare come una riedizione dell'ideale di riserbo e autocontrollo.
L'autobiografia di un poeta
P116-117-118
la storia del rinnovamento interiore ispirato dall'amore per Beatrice e al tempo stesso alla storia della
poesia di Dante, dagli esordi cortesi alla maturazione di una poetica portatrice di valori inediti. La poesia
della lode rappresenta la conquista di un nuovo ideale linguistico e retorico improntato al supremo valore
della dulcedo. Dante stesso ribadirà ciò nell'incontro con buona giunta in purgatorio, dove la celebre
formula del dolce stilnovo identifica la canzone manifesto della nuova poetica. La svolta delle nuove rime,
soprattutto ideologica.

Per comprendere la novità della posizione di Dante bisogna pensarla in rapporto all'ideologia cortese. sin
dai primi trovatori, il canto poetico viene concepito e si giustifica come una richiesta amorosa rivolta alla
donna. Basti pensare alla canzone Madonna Virgo voglio di Giacomo da Lentini. La canzone, come il suo
modello trobadorica a firma di folchitto di Marsiglia, è costruita come un'allocuzione a Madonna finalizzata
alla richiesta di mercè. Il poeta quindi manifesta il proprio sentimento per ottenere, in conformità con
l'originaria metafora feudale, il quadernone, la ricompensa per il proprio servizio amoroso. Tale ricompensa
coincide appieno con la gioia amorosa, ovvero il compimento del desiderio.
1. Quando Dante nella prima parte del libello, compone le sue poesie d'amore al fine di ottenere il
saluto di Beatrice, non fa altro che proseguire tale modello culturale di origine trobadorica.
2. Nel momento in cui saluto gli viene negato il suo amore, perde il proprio fine, la poesia perde la
propria giustificazione. Il poeta poi entra in una fase che si può definire cavalcantiiana nella misura
in cui non può far altro che denunciare il proprio stato di angoscia, scomponendo, analizzando il
proprio dolore.
3. Ma Dante si rende presto conto che la poesia per questa via finisce in un vicolo cieco e si chiude in
una circolarità viziosa. E poi Dante si rassegna al silenzio.
4. E in questo momento che si presenta al poeta l'intuizione della lode. Il dialogo con una donna
gentile conduce Dante alla presa di coscienza dell'insufficienza di una poesia autoreferenziale,
scritta soltanto per notificare la propria condizione e alla scoperta di una lode dell'amata
disinteressata. La lode infinita di Beatrice si sottrae alle firmerà dinamiche cortese della richiesta
compimento, rifiuto in cui rientrava ancora la perdita del saluto.
Esempio supremo di questa lode incondizionata è il sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare.
L'apparizione della gentilissima e avvolta in un'aura miracolosa, cresciuta da una fitta serie di allusioni a
passi scritturali e apertamente dichiarata ai versi 7 8. Interessante notare lo scarto rispetto al precedente
cavalcanti hanno implicitamente evocato, mediante la ripresa di parole, immagini come Chi è questa che
ven. Mentre il sonetto di Cavalcanti si conclude con la presa dei limiti dell'intelletto umano. Quello di
Dante, culmine in un sospiro che manifestazione dell'ineffabile Stato di grazia infuso della donna. In
chiusura del livello dopo che Beatrice ha trionfato sulla tentazione della donna pietosa, con l'ultimo sonetto
oltre la spera che più larga gira, paiono profilarsi possibilità ancora più straordinarie per la poesia di Dante.
Si arriva fino alla elevazione dell'anima di Beatrice che risplende nell'empireo.
La vita nuova costituisce una irriducibile presupposto del poema sacro, per l'eccezionalità riconosciuta la
propria vicenda biografica intuizione di un amore che trascende la dimensione terrena dico attribuito a
Beatrice per la scoperta della poesia come supremo strumento euristico.
Le rime della maturità
Dante non interrompe mai la strada della sperimentazione poetica, continuando a comporre rime fino agli
anni in cui inizierà la commedia. Per orientarsi in questa produzione della maturità, torna utile seguire
l'ordinamento di Barbi. Esso permette di individuare nuclei di poesie, tematicamente e stilisticamente
omogenei e di metterlo in relazioni, in alcuni casi con diversi momenti della biografia di Dante.
il convivio. Dante afferma che le rime d'amore composte per la donna. File da cui è attratto nella parte
finale della vita nuova hanno un significato allegorico ed esprimono il suo amore per la filosofia. Dante
intende presentarsi come cantor, rettitudinis e non più come poeta d'amore. Alcune poesie oppongono
una certa resistenza a essere intesa allegoricamente come rime per la pargoletta che mettono in scena una
passione per una giovinetta sublimata mediante le movenze, le immagini proprie della lode, Beatrice rana
come della ballata, I mi son pargoletta.
l'aspro rimprovero di Beatrice sulla montagna del purgatorio che pare alludere, componente in questione,
sembra confermare che vadano intesi in sensi letterale.
Al tempo stesso non mancano canzoni di stile più elevato e di maggiore impegno dottrinale, che pur non
derogando al tema amoroso, si aprono considerazioni di ordine universale come Amor che muovi tua virtù
dal cielo.
rappresentano un capitolo a sé le cosiddette rime petrose, in cui li penetrabile durezza del cuore della
donna diviene senhal della stessa e impone una cifra stilistica dura e aspra. Dante Esperimenta per la prima
volta un linguaggio lirico artificioso e fortemente espressivo, Foneticamente Sintatticamente connotato e
mollando l'arduo tecnicismo del trobar car del provenzale Arnaut Daniel. l'amore per la donna, pietra e una
passione ossessiva e sensuale, alimentata da un desiderio inappagato che tormenta il poeta al punto di
fargli vagheggiare un violento amplesso con la stessa donna.
Per quanto Dante nella vita nuova si fosse dichiarato tra coloro che appunto rimano d’amore Gli studi
filosofici e le vicende biografiche lo conducono verso la trattazione di tematiche morali. Nei primi anni
dell'esilio, infatti, assume con maggior decisione le vesti del cantore della rettitudine, con canzoni
sostenute da uno stile più elevato e da un forte impegno parenetico.
Nuova poetica e nuovo pubblico
Le rime raccolte nella Vita Nuova semplificano la ricerca dantesca, partendo dal modello siculo-toscano
arrivando alla tradizione stilnovistica. Le Influenze di Guido Guinizzelli (amore-nobiltà, angelificazione della
donna, saluto) e Guido Cavalcanti (teatralizzazione del mondo interiore, impegno filosofico del tema
amoroso) sono evidenti e significative.
Al centro dell’attenzione è la rappresentazione della donna amata, e le lodi riferite ad ella.
Beatrice è il tramite tra esperienza individuale e storia universale, ovvero tra verità incarnata e verità
trascendente.
Fa parte organica della nuova poetica la scelta di un nuovo pubblico, cioè la consapevolezza di fondare una
nuova letteratura. Il nuovo pubblico dovrà caratterizzare tanto per L’esperienza diretta dell'amore quanto
per la consapevolezza teórica del suo significato.
Sonetto-Donne ch’avete intelletto d'amore PAGINA 211
Sonetto-Tanto gentile e tanto onesta pare
Simbolismo e allegorismo
La Vita Nuova comincia simbolica e finisce allegorica. La parte in vita di Beatrice rappresenta in effetti
l’estrema affermazione del grande simbolismo medievale, secondo il quale esiste una corrispondenza
diretta tra mondo dei valori e mondo dei fenomeni e secondo il quale quest'ultimo ha significato solo in
quanto in esso si manifesta l’esistenza del primo.
La morte di Beatrice non distrugge la possibilità di stabilire un contatto tra mondo dei fenomeni e mondo
dei valori, ma implica la necessità di ridefinire una comunicazione. Il lutto per la morte di Beatrice contiene
anche il lutto per la perdita di una forma di conoscenza.

La rielaborazione del lutto culmina nella stesura del sonetto Era venuta nella mente mia.
Cerco-libro página 201
La diversità tra gli inizi dei due sonetti indica il passaggio dalla dimensione simbolica alla nuova dimensione
allegorica.
Caratteri e modelli della prosa
Nella Vita Nuova viene fondata la prosa d’arte in volgare. Essa è un modello di chiarezza e di equilibrio
ritmico. Il lessico è caratterizzato da una maggiore ricercatezza. Dante fa largo uso di latinismi, parallelismi
sintattici e polisindeti e ripetizioni.
Base dell’intertestualità dantesca
Dante crea una sorta di mitologia personale, entro la quale è difficilissimo distinguere tra esperienza e
interpretazione dell’esperienza. Nella Commedia la mitologia dantesca raggiunge il suo culmine, ma le basi
di essa vengono gettate nella Vita Nuova, attraverso la mitizzazione del personaggio di Beatrice.
Tant'è vero che la Commedia presuppone la conoscenza della Vita Nuova da parte del lettore, e al libro
giovanile fa spesso riferimento.
Rime
Dante non ha mai raccolto le sue rime in un Canzoniere. Le edizione delle Rime, che raccolgono tutte le
poesie che ci sono pervenute, riflettono, nella selezione e nell'ordinamento la scelta dei curatori.
Perciò Le Rime sono una raccolta, non organizzata dall'autore, che include le composizioni poetiche
attribuite a Dante e non facente parti della Vita Nuova e del Convivio.
Le Rime comprendono componimenti di argomento e stile assai vari. Si tratta di 54 testi di sicura
attribuzione, cui si aggiungono 26 liriche di attribuzione incerta e 26 di corrispondenti.

Le rime più antiche risalgono al 1283 e le più recenti del 1307.


Nella varietà di stili si individuano due costanti di fondo, ossia la ricerca sperimentale e la tendenza alla
definizione realistica della materia trattata. Si può aggiungere una terza costante: la centralità del tema
amoroso.
Largo riferimento è fatto ai modelli della tradizione siciliana e stilnovistica nella prima fase e quello ai
trovatori provenzali nella seconda. Anche il modello guittoniano e quello di Cavalcanti, imitato nei suoi
aspetti più leggeri e disprezzato nella concezione tragica e pessimistica, ma con rinnovamento radicale
dello stile.
È possibile suddividere le Rime in 5 gruppi secondo criteri tematici, stilistici e cronologici:
1. Rime stilnovistiche, di argomento erotico (anni 1283-1293)

È il gruppo più numeroso di componimenti, trattanti tutti temi amorosi sul modello siculo-toscano e
cortese. A questo tema prestilnovistico si affiancano numerose rime segnate dal modello guinizzelliano e
cavalcantiano, nelle quali l’amore è rappresentato secondo i modi adottati nella Vita Nuova, in più vi è
l'aggiunta delle pene d'amore. È presente anche l’ideale aristocratico con implicito rimando al nuovo
pubblico d'élite.
Molti testi sono dedicati sicuramente a Beatrice, ma non è facile distinguere le rime rivolte ad altre donne
da quelle indirizzate alla amata più importante. I nomi che compaiono sono da ritenere convenzionali.
P 233

2. Rime comico-realistiche→ Tenzone con Forese Donati, comprendente tre sonetti di Dante e tre di
Forese, di genere comico-realistico (anni 1290-1296)
Nel gruppo “Tenzone con Forese Donati”, sono state raccolte rime che appartengono al genere comico
realistico, e sono principalmente sonetti caratterizzati dal registro basso e quotidiano. Inoltre questi sonetti
testimoniano una versatilità stilistica e una perizia tecnica.
3. Rime allegoriche e dottrinali, canzoni simili a quelle conviviali(ultimo decennio del 1200)
4. Rime Petrose, dedicate alla donna Petra (anni 1296-1298)
Le Rime Petrose costituiscono un capitolo a sé. La definizione di Rime Petrose appartiene ai commentatori
e ha un fondamento tanto tematico quanto stilistico nel riferimento dell'autore ad una Petra che compare
in 4 componimenti simili.

La composizione risale al dicembre del 1296. Dedicataria è una donna sensuale e crudele, indifferente
all'amore del poeta e anzi lieta solo di conquistarlo con il proprio fascino. Il termine chiave “petra” è un
probabile senhal allusivo alla durezza della donna.
Dante sperimenta per la prima volta un linguaggio lirico-artificioso fortemente espressivo, allontanandosi
così dalla “dulcedo” stilnovista. Alla violenza della passione e alla crudezza della donna corrisponde uno
stile violentemente realistico, ricco di suoni aspri e duri.
Addotta come metro la sestina, una tecnica del “trobar clus” del provenzale Arnaut Daniel, definito nel
Purgatorio come il miglior fabbro della lingua volgare. L'amore per la donna Petra è una passione ossessiva
e sensuale, alimentato da un desiderio inappagato che tormenta il poeta tanto da fargli desiderare la donna
sessualmente.
5. Rime dell’esilio, argomento vario, ma di prevalenza civile

Le vicende autobiografiche e gli studi filosofici inducono il poeta a riflettere su tematiche morali, quali la
nobiltà e la leggiadria.
Le rime composte nei primi anni dell’esilio sono dominate da temi civili, presentati in chiave
prevalentemente etica e affidati al repertorio della tradizione amorosa, utilizzato in modo allegorico. Dante
stesso si presenta in questa fase come cantor rectitudinis (poeta della rettitudine) , cioè poeta della
giustizia, della pace e della liberalità.
I temi di queste rime evidenziano la vicinanza a Guittone d’Arezzo, anch'egli esule politico, il quale
denuncia il degradarsi dei valori sociali. Dante riprende e radicalizza la critica alla civiltà comunale e ai suoi
valori.
Questa raccolta raggruppa canzoni dotate di uno stile elevato e da un forte impegno morale.

• “Tre donne intorno al cor mi son venute” → tema della giustizia


• “Doglia mi reca nello core ardire” → tema della liberalità
• “Amor che da conviene” → in scena un ritorno alle passione amorosa incontrollata e violenta.
Il Convivio
Il Convivio è una enciclopedia incompiuta del sapere medievale, rielaborata in chiave fortemente personale
e di parte. Scritta in volgare e strutturata in trattati contenenti temi affini, organizzati in forma di
commento a testi poetici introduttivi (canzoni).

Quindi Il Convivio è un prosimetro che consiste in un autocommento alle canzoni composte negli anni
precedenti. Nonostante le molte analogie con la Vita Nuova, Il Convivio viene presentato come opera della
piena maturità ed è profondamente diverso dal libello giovanile, sia per i contenuti filosofici sia per le
finalità didascaliche.
Titolo, destinatari, struttura, datazione
Il titolo è spiegato dall'autore stesso nel primo capitolo del primo trattato. Egli intende apparecchiare un
banchetto metaforico, in cui al posto delle vivande siano agli ospiti gli argomenti del sapere. Dante si
propone di raccogliere le briciole di scienza cadute dalla mensa dei sapienti e di offrirle a coloro che,
impediti dalle circostanze della vita, sono esclusi dal sapere. Perciò, metaforicamente, Dante, avendo
provato il piacere della filosofia, intende comunicare le proprie scoperte in modo da renderle facilmente
comprensibili anche a chi non abbia una solida preparazione culturale. Per questa ragione il banchetto
unisce diverse portate, le canzoni, accompagnate da abbondante pane, il commento in prosa.
Il Convivio avrebbe dovuto comprendere 15 trattati, dedicati al commento di 14 canzoni incentrate su temi
filosofico-morali, insieme ad una introduzione. Dante però non porta a termine il Convivio, per dedicarsi
alla Commedia. Ci sono giunti solo i primi 4 trattati:
1. Il primo si costituisce come un'introduzione all'intera opera.
2. Il secondo commenta, con ampie digressioni, la canzone Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete
3. Il terzo commenta la canzone Amor che ne la mente mi ragiona
4. Il quarto commenta la canzone Le dolci rime d'amor ch'i’ solia
Riguardo agli argomenti dei trattati successivi, in base a riferimenti interni, possiamo formulare qualche
ipotesi: il settimo trattato si sarebbe occupato della Temperanza, il quattordicesimo della Giustizia e
l'ultimo della Liberalità.
La stesura dell'opera si colloca nei primi anni dell’esilio. Sulla base di un accenno all’intenzione di scrivere
il De vulgari eloquentia, si può ipotizzare che il primo trattato risalga al 1304, mentre il quarto (con il quale
il progetto dell'opera si conclude) dovrebbe essere stato composto tra il 1306 e il 1308. (perché nel IV
trattato viene accennato Gherardo del Camino (capitano di Treviso) come già morto, infatti egli morì nel
Marzo del 1306.
La scelta di comporre un trattato filosofico in volgare con intento didascalico si spiega bene con la
situazione in cui Dante si viene a trovare nei primi anni dell’esilio, quando ormai escluso dalla politica
attiva, vedendosi sempre più isolato e temendo compromesso il proprio nome, si affida alla possibilità di
riaccreditarsi, presso le corti centro settentrionali che lo ospitavano, come intellettuale impegnato nella
formazione etico-culturale delle élites italiane. Tali ragioni sono argomentate da Dante nell'introduzione.
Riassunto
• Il trattato I, formato da 13 capitoli, ha funzione introduttiva di proemio. Dante in esso spiega qual
è lo scopo dell'opera e ne giustifica il titolo, analizzando la metafora del cibo. Spicca la scelta di un
pubblico nuovo composto da coloro che abbiano un desiderio sincero di conoscere e animo nobile,
donna o uomo cui gli impegni civili abbiano impedito di avvicinarsi agli studi. Collegata al pubblico è
la scelta dell'uso del volgare, tale scelta è sostenuta e difesa dall'autore.
• I trattati II e III sono entrambi formati da 15 capitoli e presentano affinità. Essi sono tesi a
rivendicare, tra ampie digressioni a carattere dottrinale, l'amore del poeta per la Filosofia,
reinterpretando allegoricamente in tale prospettiva la figura della donna gentile, che nella parte
finale della Vita Nuova conforta Dante per la perdita di Beatrice.
Nel II trattato viene commentata la canzone “Voi che ntendendo il terzo ciel movete”. Questa canzone fu
composta poco più di 3 anni dopo la morte di Beatrice proprio per la donna gentile, nella quale è da
riconoscere un’allegoria della Filosofia, al cui studio egli era approdato ricercando consolazione in autori
come Boezio e Cicerone.
Dante analizza la canzone fornendo i dati biografici necessari alla spiegazione letterale di essa. Il Convivio
accoglie al proprio interno la materia della Vita Nuova riattualizzandola e reinterpretandola.
• Nel III trattato è commentata la canzone “Amor che ne la mente mi ragiona”, anch'essa collegata
al tema della donna gentile, esaltata secondo la poetica della loda. Dante compie numerose
divagazioni sui temi di carattere sia scientifico che filosofico e teologico.
• Il trattato VI è dedicato al commento della canzone “Le dolci rime d'amor ch'i solia”. Esso è
costituito da 30 capitoli. Il tema è autobiografico - amoroso è abbandonato. Dante, commentando
questa canzone affronta il tema della nobiltà, che ai suoi occhi raccoglie in sé questioni di carattere
etico, sociale e politico. Con una procedura tipica della quaestio, che prevede la confutazione delle
opinioni contrarie alla propria, argomentando secondo lo schema del sillogismo, Dante dimostra
che la nobiltà non può derivare dal possesso di ricchezze, poiché accrescono la cupidigia in
contrasto della liberalità e della tranquillità.
La vera nobiltà non può che essere un dono divino, del quale però il soggetto deve rendersi degno
attraverso l'esercizio delle virtù, da praticare soprattutto nella dimensione dell'impegno sociale. L’interesse
sociale si svolge anche in termini politici, con un'energica esaltazione della monarchia universale,
rappresenta dall'impegno, affidata da Dio alla fondazione dei Romani.
Fonti e modelli:
Il De consolatione philosophiae di Boezio, si costituisce come un modello di riferimento, sia per la
struttura di fondo, che prevede parti in prosa alternate a carmi filosofici, sia per la personificazione della
Filosofia.
Un'altra opera influente è il Tresor, un trattato enciclopedico in francese di Brunetto Latini, con cui Dante
da un lato condivide l'intento divulgativo di trasmettere il sapere alle nuove classi dirigenti però d'altra
parte polemizza, condannando la scelta di quelli che adottano un volgare straniero e non quello italiano.
Per quanto riguarda i contenuti filosofici, Dante mostra una conoscenza ampia dell'opera aristotelica e gli
elementi neoplatonici provengono dal Liber de causis, un trattato tradotto in latino dall'arabo Gerardo da
Cremona. Infine non vanno dimenticate come modelli di riferimento le enciclopedie medievali, tra cui Le
Etimologie di Isidoro di Siviglia.
Temi fondamentali: difesa del volgare, esaltazione della filosofia, nobiltà e Impero

I tre temi fondamentali del Convivio sono dunque la:

• difesa del volgare,


• l'esaltazione della filosofia,
• la discussione intorno all'essenza della nobiltà. Tra questi temi esistono rapporti profondi.
L’interesse per gli studi filosofici costituisce in Dante un importante allargamento di prospettive
teoriche e culturali. L’amore per la filosofia risponde a un bisogno nuovo di dare significato e
legittimità alla funzione dell’intellettuale nella società.
La scelta del volgare è tutt'uno con l’amore per la cultura teorica, la filosofia, utilizzabile in prospettiva
sociale: è cioè un tutt'uno con la scelta di un nuovo pubblico, nei confronti del quale viene disegnato un
ruolo per l'intellettuale. L’obiettivo dell’intellettuale è tanto quello di diffondere la cultura, quanto quello di
fornire un modello eticamente consapevole e ragionato.
Stile

Nel Convivio Dante pronuncia la prima difesa del volgare fondata su argomenti generali. Lo scopo di
rivalutazione del volgare è dichiaratamente fissato nella maggiore possibilità comunicativa. Essa è
dichiarata ancora inferiore al latino in quanto a bellezza, nobiltà e virtù, ma pure dotata di potenzialità in
grado di metterla all'altezza delle grandi lingue classiche. Dante si propone di mostrare in opera tali
potenzialità. Infatti egli riconosce nel volgare il nuovo strumento da utilizzare per la divulgazione del
sapere, per la formazione etica e culturale delle nuove classi dirigenti, insomma, per illuminare tutti coloro
che sono rimasti nell'oscurità.
La prosa del Convivio raggiunge una solidità sintattica, un equilibrio compositivo, una chiarezza espositiva
non inferiori a quelle tramandate dal modello latino.
Il modello che Dante tiene di continuo presente è proprio quello della prosa latina, con la sua complessità
sintattica e la sua ricerca di simmetria e di armonia strutturale.
Specifico dello stile espositivo di Dante è poi il frequente impiego di similitudini e di metafore, attraverso le
quali l'autore conferisce concretezza ed evidenza alle proprie rappresentazioni.
Il De Vulgari Eloquentia
Il De vulgari eloquentia è un trattato in latino dedicato all'eloquenza in lingua volgare.
Il De vulgari eloquentia fu probabilmente composto da Dante tra il 1302 e il 1304, contemporaneamente al
Convivio. De vulgari eloquentia segue i primi tre trattati del Convivio, dei quali riprende e sviluppa alcuni
temi. Come il medesimo Convivio anche il trattato linguistico non sarà portato a termine.
Tema dell’opera è la definizione di una lingua volgare illustre, capace di affiancare le grandi lingue
classiche con pari diritti espressivi: nonché una rassegna delle forme retoriche nelle quali impiegare la
nuova lingua d’Italia.

Struttura, materia e stile dell’opera


Il De vulgari eloquentia è incompiuto, tutti i codici si arrestano subito dopo l'inizio del capitolo XIV del
secondo libro. Il trattato avrebbe dovuto comprendere 4 libri:
1. Il primo, introduttivo ripercorre le origini del linguaggio, descrive la situazione linguistica dell'Italia,
esaminando i diversi volgari e offre la definizione di volgare illustre.
2. Il secondo libro tratta del volgare illustre in rapporto alla teoria medievale degli stili, attribuendo lo
stile tragico al genere della canzone.
3. Il terzo si sarebbe dovuto occupare della prosa illustre
4. Il quarto libro infine avrebbe trattato dello stile comico, proprio del volgare mediocre e umile,
adatto ai metri della ballata e del sonetto.

L'oggetto e le ragioni del trattato sono esposte da Dante nel capitolo di apertura. (p128)
Il primo libro dimostra la nobiltà del volgare illustre, superiore persino al latino, considerato da Dante una
lingua artificiale, regolata da norme grammaticali. Infatti il volgare è una lingua naturale, adoperata sin
dalle origini da tutti gli uomini e quindi differenziatasi in parlate diverse; È una lingua che viene appresa
dalla nascita senza studio. Dante ricostruisce una storia universale delle lingue. Dante spiega che la lingua
primogenita fosse l'ebraico, infatti Dio ha infuso nei primi uomini una lingua sacra. La confusione babelica
ha dato vita in Europa a tre ceppi linguistici: uno germano-slavo, uno greco e uno romanzo, a sua volta
suddiviso in francese, provenzale e italiano. I popoli che parlavano i tre linguaggi fondamentali si
distribuirono in zone geografiche diverse, dando origine a ulteriori diversità di idiomi. Per combattere la
proliferazione di diverse lingue si è affermata la necessità di lingue convenzionali. Il latino è una di tali
lingue.
La parte centrale del primo libro è dedicata a un'ampia ricognizione dei volgari della penisola italiana
finalizzata alla ricerca del volgare illustre.
Dante analizza 14 varietà di volgare, ma nessuna di queste si rivela coincidente con il volgare illustre. Dal
severo giudizio di dantesco si salvano solo quei poeti che seppero distaccarsi dalle parlate locali, come i
poeti della Curia Federiciana. (tra cui Guinizzelli e gli stilnovisti).
In conclusione del primo libro, constatato che il volgare illustre non trova rispondenza in nessuna delle
parlate regionali, Dante decide di formulare una definizione teorica.
Il volgare è definito illustre in quanto illumina e risplende su tutto; cardinale, poiché intorno a esso ruotano
tutti i volgari italiani; aulico, perché deve avere la propria sede in un'aula regale; curiale, perché specchio
della misura e dei valori cortesi.
Benché l'Italia non abbia una curia, cioè un'unica corte, tale volgare si realizza nella poesia dei doctores
illustres che operano in diversi luoghi della penisola.
Al principio del secondo libro Dante riconosce l'uso del volgare illustre ai soli poeti dotati di ingegno e
dottrina, ai quali il trattato intende di fatto offrire una norma linguistica e retorica, pari a quella che
avevano i poeti latini.
Sulla base della teoria medievale degli stili, individua la forma più degna per il volgare illustre quella di
maggiore nobiltà, cioè la canzone. Questa deve essere costruita secondo regole rigorose e deve fare ricorso
allo stile tragico e al metro più splendido, l’endecasillabo, eventualmente alternato al settenario. Anche il
lessico deve restare al livello sublime che gli compete. Lo stile del De vulgari eloquentia è fedele alle regole
dei trattati scientifici del tempo. La costruzione del periodo mostra ricerca di equilibrio, armonia,
trasparenza semantica, volontà di nobilitazione e di innalzamento.
Teoria linguistica e ricerca poetica:
Il pensiero di Dante è sempre guidato dalla creazione fantastica del poeta. Il De vulgari eloquentia può
essere letto come una pausa di riflessione teorica intorno alle massime questioni creative, attinenti come è
ovvio al linguaggio e alla retorica.
Dante riconosce nelle parlate italiane la potenzialità di identificarsi con il volgare illustre, a patto che si
liberino dai limiti provinciali.
La brusca interruzione dell’opera è da collegare all’insorgenza del progetto della Commedia. Il tentativo
compiuto nel trattato è quello di dare autorità al volgare promuovendolo al livello di lingua grammaticale,
mentre resta superiore alla altre lingue grammaticali storiche grazie alla sua spontaneità.

Fondazione di una storia letteraria


Con il De vulgari eloquentia Dante fonda in qualche modo la critica letteraria e la storia della letteratura
italiana. Nel primo libro Dante condanna senza appello la follia dei toscani che ritengono le loro parlate a
livello del volgare illustre. (Cino da Pistoia, Guido Cavalcanti e Lapo)
Notevole è soprattutto la condanna di Guittone e dei Siculo-toscani.
Già nel capitolo appena citato Dante non perde occasione di rimarcare i limiti della poesia dell'aretino e dei
suoi seguaci, relegandola a un ambito municipale.
Ma l'attacco vero e proprio arriva nel secondo libro, nel quale egli condanna aspramente Guittone
accusato di costruire un esempio di ignorantia e di plebescere.
Il giudizio di Dante consuona con l’impietoso attacco indirizzato a Guinizzelli da Cavalcanti in un sonetto
nel quale l'aretino viene accusato di non essere in grado di elaborare un ragionamento di senso compiuto.
De Monarchia
La Monarchia è l'unica tra le opere teoriche di Dante ad essere stata completata. Essa è scritta in latino e
raccoglie in forma organica le idee politiche dell'autore. Queste si trovano espresse anche in altri luoghi dei
suoi scritti, e in particolare nel Convivio, del quale la Monarchia rappresenta un ulteriore sviluppo. Nella
Commedia è possibile ravvisare molti punti di contatto. Quest’opera è stata scritta tra il 1310 e il 1313 o
addirittura dopo il 1315. La Monarchia si rivela utile ai fini della comprensione di fondamentali temi e
concetti espressi nella Commedia.
Nella Monarchia legittima sul piano teologico, filosofico e storico l'autorità imperiale.
L’opera è divisa in tre libri, ognuno dei quali è dedicato a un aspetto diverso del tema centrale.

Nei tre libri si propone di dimostrare che:


• L'impero universale è necessario per il buon ordinamento del mondo
• I romani costituirono l'impero in accordo con la volontà divina.
• L'autorità imperiale dedica da Dio e non dal pontefice. Con quest'ultima argomento Dante
interviene nel dibattito su chi fra l'imperatore e il papa avesse il primato del diritto. Dante affronta
il problema su un piano filosofico e storico, mediante il ricorso all'autorità di Aristotele.
Il primo libro sostiene e argomenta la necessità storica, filosofica della monarchia universale. Essa ha il fine
di garantire all'uomo le condizioni indispensabili alla positiva realizzazione delle proprie potenzialità
spirituali e pratiche. Ciò che allontana l’uomo dall’impiegare il libero arbitrio in direzione moralmente
corretta è la cupidigia: nel caso in cui all'unico monarca universale spettasse il possesso di tutti i beni del
mondo, gli uomini sarebbero liberati da tale tendenza e al mondo sarebbero assicurate pace e giustizia.
Infatti l’imperatore sarebbe in sé stesso esente da cupidigia in quanto possessore di tutto. Dante evidenzia
quindi il bisogno di un ordine gerarchico. Dimostrazione di questa tesi è la nascita di Cristo, avvenuta
durante l’impero romano e la massima universalità di Roma.
Il secondo libro è dedicato a considerazioni di carattere prevalentemente storico, interpretate alla luce di
una concezione provvidenzialistica e teologica della storia. Nell’impero romano si è realizzata la forma
storicamente determinata della monarchia universale. Tanto argomenti di ragione quanto argomenti di
fede dimostrano la fondazione dell’impero sulla volontà divina e perciò sul diritto.
Il terzo libro è dedicato alla questione politica più controversa :i rapporti tra Impero e Chiesa. Il dibattito
vedeva due posizioni contrapposte: quella dei filo imperiali, sostenitori della superiorità del potere
temporale sul Papa e quella dei filo papali, sostenitori della superiorità del potere del papa, detentore
anche del potere temporale.
Dante confuta entrambe le tesi. Al papà non spetta alcun potere temporale, ed è da ritenersi nulla la
donazione di Costantino. Entrambe le autorità derivano direttamente da Dio, e sono perciò tutte e due
prive di ogni forma di subordinazione reciproca. Entrambe sono destinate alla realizzazione dell’uomo,
insieme materiale e spirituale, e del duplice fine di esso: la felicità terrena e la beatitudine eterna.
La posizione di Dante è per più aspetti originalissima.
Dante si richiama ai poeti epici latini, con cui rivendica la natura provvidenziale dell'impero romano.
Fanno parte del corpus delle opere dantesche tredici lettere in latino, le Epistole, nonché alcune operette in
volgare Fiore e Detto d’Amore e in latino le Egloghe, tutte più o meno seriamente accusate di non
appartenere veramente a Dante, e però oggi assegnate alla sua paternità.

ALTRE OPERE:
(IL FIORE E IL DETTO D’AMORE)
Nel decennio successivo all'amore di Sigieri di Brabante, un fiorentino di nome ser Durante parafrasò
in volgare con il titolo di Fiore, l’opera già famosa in tutta Europa del Roman de la rose. L'attribuzione a
Dante non può essere del tutto sicura, e margini di dubbio rimangono.
L’autore riprende le vicende narrative del Roman de la Rose, ora parafrasando, ora liberamente rifacendo il
testo francese, seguendo principalmente uno dei due autori, Jean de Meung. In generale l’autore si ispira
piuttosto al secondo poeta che al primo. Lo stile del Fiore è comico, vicino allo stile del Tenzone con Forese
Donati. Il poemetto consta di 232 sonetti.
Vi si narra la ricerca di Fiore da parte di Amante. Fiore sta custodita da severi guardiani e anzi per meglio
proteggerla viene chiusa, da Gelosia, in un castello isolato. Amante potrà dichiarare il suo amore per la
donna, ma solo dopo alcune problematiche dei guardiani. La parte finale viene definita spuria a causa dei
toni osceni. In origine faceva parte dello stesso manoscritto il cosiddetto Detto d'amore. È un poemetto in
settenari a rima baciata, e sembra dello stesso autore che ha composto il Fiore, dunque è attribuito a
Dante.
Le Epistole
Ci sono pervenute 13 lettere scritte in latino da Dante per iniziativa personale e anche per conto di altri. Lo
stile delle lettere mostra una grande perizia retorica. Frequenti sono i riferimenti alla Bibbia e agli autori
classici, con il fine di innalzare la materia. Tutte le lettere risalgono agli anni dell’esilio. La salita al trono di
Arrigo VII di Lussemburgo suscita fra i ghibellini italiani forti attese. Enrico decide di scendere in Italia nel
1310 per riaffermare l'autorità dell'impero e per essere incoronato a Roma dal Papa. Dante in quegli anni si
trova nel Casentino al servizio dei conti Guidi. Dante si schiera apertamente in suo favore. Egli ripone
nell'azione politica e militare dell'imperatore le proprie speranze di vedere ripristinati l'ordine e la giustizia
nella penisola.
Nel 1311 Arrigo riceve la corona del Regno d'Italia. Tra i comuni guelfi più risoluti a resistere all’imperatore
c'è Firenze.
Interessante è il gruppo della V VI e VII lettere, di argomento più apertamente politico che risalgono agli
anni della discesa di Arrigo VII. L’epistola VI è stata scritta nel 1311 contro gli scellerati abitanti di Firenze,
nella quale Dante minaccia un inesorabile castigo per la città.
Nell’epistola VII Dante esorta l'imperatore a rivolgere l'azione militare contro Firenze.
Dopo aver ricevuto la corona imperiale a Roma, nel Settembre del 1312, Enrico pone l'assedio a Firenze, ma
con forze inappropriate, non riuscendo così ad entrare in città. Nell'estate del 1313, quando ormai il Papa
ha deciso di voltargli le spalle, Enrico decide di muovere verso il Meridione ma il 24 Agosto, a
Buonconvento, muore di malaria, facendo così svanire agli occhi di Dante Il sogno di una pax Augusta e la
speranza di un prossimo ritorno a Firenze. Non è chiaro dove si trovi Dante nel periodo immediatamente
successivo al fallimento dell'impresa di Enrico; probabilmente ha continuato a muoversi fra il Casentino e la
Lunigiana.
Le lettere VIII, IX, X sono di omaggio alla moglie Margherita di Arrigo VII.
Nella tarda primavera del 1314 scrive l'Epistola XI ai cardinali italiani per esortarli a eleggere, come
successore di Papa Clemente V, un Papa italiano e a riportare la sede papale da Avignone a Roma.
Nel 1315 Dante si preclude ogni possibilità di rientrare a Firenze. I nuovi governanti del comune emanano
un amnistia, al prezzo di una multa e di un rito umiliante, che Dante respinge con fermo sdegno. Nella
lettera XII Dante rifiuta con sdegno l’amnistia concessagli da Firenze. Dopo che il rifiuto dell’amnistia ha
determinato una nuova condanna a morte, per sé e per i figli, Dante lascia la Toscana e ritorna a Verona,
presso il vicario imperiale Cangrande della Scala.
Dei rapporti privilegiati con Cangrande è prova l'Epistola XIII con cui Dante gli dedica il Paradiso. Essa è
stata la più discussa per la sua autenticità, circa la sua datazione, luogo di composizione e circa la possibilità
che accompagnasse l'intera terza cantica o solo alcuni canti.
Alla dedica segue un'introduzione generale alla Commedia e un'esposizione dei primi versi del Paradiso.
Vi sono affrontate questioni relative alla materia, allo stile, e alla interpretazione del poema. In particolare
risulta importante la distinzione tra i vari sensi della scrittura e la difesa del plurilinguismo condotta
attraverso la rivendicazione del registro comico.
Nel 1319 Dante si trasferisce a Ravenna presso Guido Novello da Polenta, cultore di poesia. Qui lavora al
completamento del Paradiso.
Nell'estate del 1320, Giovanni del Virgilio, maestro di retorica dell'università di Bologna, invia a Dante
un'epistola metrica in cui gli rimprovera la scelta del volgare per un poema di argomenti tanto elevati come
la Commedia, e lo invita a cantare in latino i recenti avvenimenti bellici italiani, così da poter essere
incoronato poeta nello Studio di Bologna.
Le Egloghe
Nell'estate del 1320, Giovanni del Virgilio, maestro di retorica dell'università di Bologna, invia a Dante
un'epistola metrica in cui gli rimprovera la scelta del volgare per un poema di argomenti tanto elevati come
la Commedia, e lo invita a cantare in latino i recenti avvenimenti bellici italiani, così da poter essere
incoronato poeta nello Studio di Bologna.
Dante risponde con un’egloga in esametri, sul modello delle Bucoliche virgiliane, in cui rivendica la sua
fiducia nel poema, che gli farà tributare l'alloro poetico dalla sua Firenze; inoltre annuncia l'invio di 10 canti
del Paradiso. Giovanni risponde con un'altra egloga, invitandolo comunque a Bologna, dove molti letterati
lo attendono. Dante declina invito a causa della presenza nella città di un personaggio crudele,
probabilmente Fulcieri da Calboli, spietato capitano del Popolo guelfo.
Il poeta non fa in tempo a inviare una seconda egloga a Giovanni di Virgilio. Tra il 13 e 14 Settembre del
1321, tornato da un'ambasceria a Venezia per conto dei Da Polenta, Dante si ammala e muore a
Ravenna, dove è ancora oggi sepolto.
In conclusione, si tratta di due componimenti poetici in esametri latini sul modello delle Bucoliche di
Virgilio. Entrambe le egloghe furono composte tra il 1319 e il 1320 in risposta alle sollecitazioni in versi di
Giovanni del Virgilio, maestro di retorica a Bologna. Questi espone la propria concezione aristocratica della
poesia, invitando Dante, ad abbandonare l’uso del volgare e a rivolgersi alla tradizione classica latina. La
risposta di Dante, scritta in latino e in genere bucolico, con la conseguente adozione di riferimenti
convenzionali, ma d'altra parte riconferma le proprie scelte di poetica.
La quaestio de aqua et terra
La Quaestio continue il testo di una lezione tenuta da Dante a Verona il 20 gennaio 1320, riprendendo una
disputa svoltasi poco prima a Mantova, alla quale aveva casualmente partecipato anche il poeta.

La Divina Commedia
Titolo e genere
La più importante opera di Dante non ha ricevuto con sicurezza un titolo dall'autore, o comunque è rimetto
ignoto. È probabile che Dante volesse intitolare l’opera Commedia. Infatti nell’epistola XIII indirizzata a
Cangrande della Scala egli dichiara che l’opera si intitola “Comincia la commedia di Dante Alighieri,
fiorentino di nascita, non di costumi”.
L’aggettivo divina è stato aggiunto per la prima volta in un'edizione veneziana del 1555, riprendendo
Boccaccio. Essa evoca un riferimento alle Poetiche medievali, che distinguevano tragedia, commedia ed
elegía. La commedia era la meno apprezzata poiché caratterizzata da uno stile medio, ma quella dantesca è
caratterizzata da un plurilinguismo.
La questione del titolo è dunque congiunta a quella del genere letterario. Nel De vulgari eloquentia la
commedia è l'unico genere a cui fu concesso di spaziare tra diversi stili, dall’infimo al sublime, dal comico al
tragico.
La commedia è riconosciuta dunque come genere centrale del volgare. In tal modo è superata la posizione
del De Vulgari nel quale Dante sosteneva che il volgare più alto era riservato ai temi tragici della canzone.

La commedia non è un genere misto, essa si avvicina alla volontà onnicomprensiva della Bibbia.
Nel caso del poema dantesco, il titolo Commedia non solo autorizza la scelta di fondo della materia (il
protagonista del viaggio è un umile peccatore, non un eroe classico), e quella della lingua volgare, ma
risponde alle molteplici e mutevoli esigenze espressive che possono manifestarsi tanto nel degradato
abisso infernale, quanto nelle rarefatte atmosfere paradisiache.
Composizione del poema, tradizione manoscritto e struttura formale
Abbiamo poche certezze circa i tempi di composizione e divulgazione della Commedia.
Dante, secondo testimonianza di Boccaccio, ha cominciato a scrivere il poema a Firenze, prima dell’esilio.
Ma non tutti gli studiosi concordano su questa ipotesi, anzi alcuni sono perlopiù concordi nel far coincidere
l'interruzione del Convivio e del De vulgari eloquentia con l'inizio della composizione del poema, da
collocare intorno al 1307-1308. Le 3 cantiche furono comunque scritte e pubblicate in tempi diversi. È
inoltre probabile che gruppi di canti iniziassero a circolare presso amici e corrispondenti man mano che
venivano composti.
In mancanza di esplicite indicazioni d'autore, per tentare di precisare gli estremi cronologici di
composizione di ognuna delle 3 cantiche, bisogna basarsi su riferimenti interni a fatti o personaggi noti e su
testimonianze esterne che ne attestino la divulgazione.
Per la circolazione dell'Inferno appare rilevante la testimonianza del poeta Francesco da Barberino, che cita
la cantica in una annotazione dei suoi Documenti d'amore, databile alla seconda metà del 1314.
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La prima edizione completa della Commedia fu curata dal figlio Iacopo, che ricongiunse i canti ravennati e
veronesi del Paradiso alle due cantiche già pubblicate.

Il testo della Commedia ci è giunto solo attraverso copie manoscritte e dunque non sempre esse
concordano. L’editio princeps del poema, cioè la prima edizione a stampa si ebbe a Foligno nel 1472. La più
recente è quella di Giorgio Petrocchi.
Struttura:
La Commedia si compone di 3 cantiche, che corrispondono ai 3 regni oltremondani visitati dal
protagonista: Inferno, Purgatorio e Paradiso.
Ogni cantica prevede a sua volta 33 canti, cui si aggiunge un proemio che coincide con il I canto dell'inferno,
per un totale quindi di 100 canti. È evidente come tale architettura numerica richiami la fondamentale
simbologia cristiana della Trinità. Il valore emblematico del numero 3 e del suo multiplo 9, non ispira
soltanto la struttura del poema ma anche la toponomastica dei regni oltremondani
• Il fiume Stige disegna 9 giri agli Inferi

• L'inferno è diviso in 9 cerchi, il Paradiso in 9 cieli.


E il loro ordinamento morale
• I dannati sono distribuiti in 3 grandi categorie sulla base del loro peccato
Inoltre il numero 3 ritorna in numerose immagini e soluzioni narrative
• Tre fiere che impediscono il cammino verso il colle
• Tre giri che la nave di Ulisse compie su se stessa prima di affondare
Infine, il numero 3 contraddistingue l'innovativa soluzione metrica della terzina.
Il metro usato è l’endecasillabo, raggruppato in terzine unite una all'altra dalla rima, secondo lo schema
ABA, BCB, CDC. Le terzine sono dette perciò incatenate.
L'idea di legare l'endecasillabo in una struttura ternaria con schema ritmico ABA, BCB, CDC, è un'invenzione
dantesca, che, garantendo ritmo e solennità, accompagna l'incedere della narrazione senza cadere nella
monotonia.
La Commedia è il racconto fatto in prima persona da Dante autore relativo a un viaggio, rappresentato
come reale, che è stato compiuto, attraverso i Regni dell'oltretomba da Dante personaggio.
Lo scopo del viaggio è la salvezza del protagonista, ma riguarda anche ogni cristiano che sia in cerca di
salvezza, dato che lo stesso Dante è simbolo dell'umanità. Questa doppia dimensione è evidenziata dai
primi versi con l’aggettivo “nostra” e il pronome “io” in prima persona.
Il viaggio di Dante comincia la notte del 7 e 8 aprile e si conclude il 13, durante la settimana Santa del
1300. Il 1300 è stato l’anno del primo Giubileo, in cui la chiesa ha concesso il perdono di tutti i peccati.
Nel suo viaggio Dante attraverso l’Inferno, scende sotto terra fino a raggiungere un cunicolo dal quale
riemerge nell’emisfero australe e risale sulla montagna del Purgatorio. Infine Dante arriva sulla cima, nel
paradiso terrestre e ascende nei cieli del Paradiso.
Il viaggio che Dante compie attraverso i tre regni lo porta al cospetto di anime di tutte le condizioni, epoche
e provenienze.
I diversi interlocutori pongono alla ribalta temi e considerazioni differenti tali da esprimere l'essenza
specifica della propria vita, poiché ogni anima allo stesso tempo è caratterizzata dalla propria individualità
ma rappresenta una certa categoria di peccatori.
Il mondo rappresentato nella Commedia si trova in un’eccezionale perfezione. Nella prospettiva cristiana,
l’oltretomba è il mondo vero, dimensione al quale l’uomo è destinato per l'eternità. Ma Dante avverte
l'importanza della vita terrena, essendo in essa che l’uomo si procura, con i propri atteggiamenti ed azioni,
la dannazione o la salvezza.

Nell’aldilà, ogni uomo appare interamente svelato nella sua realtà più intima e vera, quale si è parzialmente
rivelata quando egli era in vita: ognuno è definitivamente se stesso.
Così, essi, quando Dante si ferma ad interrogatori, vanno subito al cuore della propria vicenda terrena,
rilevandone l'autentica peculiarità.
La stessa legge del contrappasso ha la funzione di rendere più trasparente il rapporto tra condizione
interiore e condizione nel sistema universale dei valori.
Opera straordinaria e unica:
Nel secondo canto dell'inferno, al momento di intraprendere il suo viaggio attraverso i regni mondani,
Dante manifesta a Virgilio i suoi timori non ritenendosi all'altezza di una simile impresa. Fino ad allora solo
due uomini avevano avuto il privilegio di visitare in vita gli inferi: un eroe classico, Enea, e un Santo, Paolo.
Dietro l'apparente consapevolezza di umile peccatore, Dante si sta mettendo alla pari dei suoi predecessori,
riprendendo e la missione storico-politica e quella spirituale.
L'Eneide, il più grande poema epico della latinità, rappresenta per Dante un modello eminente. Il suo
autore, Virgilio, viene scelto come guida attraverso l'inferno e purgatorio, viene ripetutamente chiamato
saggio, maestro e duca. Il capolavoro virgiliano agisce a diversi livelli, non solo letterari. L'Eneide viene
presentato come un poema allegorico che rappresenta la ricerca di conoscenze e affinamento spirituale
dell'anima umana. Il viaggio provvidenziale di Enea, che celebra la fondazione di roma e dell'impero di
Augusto, si carica di precisi valori storico politici agli occhi del poeta esule, il quale vede nella
ricostruzione dell'impero l'unica possibilità di ristabilire l'ordine morale e politico della cristianità.

Per Dante L'Eneide è il poema sacro del mondo classico di cui aspira a ereditare il ruolo nell'era volgare.
Per quanto riguarda l'ambito letterario L'Eneide fornisce a Dante spunti e immagini poetiche (mostri,
demoni infernali, elementi geografici infernali: tutto proveniente dal libro sesto delle ed).Numerose sono le
citazioni più o meno esplicite, ad esempio quando Dante incontra Beatrice sulla cima del Purgatorio,
provincia le stesse parole con cui Didone si riferisce ad Enea.
Altro riferimento è quello a Paolo nell’epistola ai Corinzi, dove l'apostolo dice di essere rapito al cielo.
(testo del V secolo A. C Visio Paoli, nel quale il Santo racconta come sia stato condotto nell'inferno e
nell'Eden dove assiste alla processione di Maria.)
Un'altra visione è quella di Alberico da Montecassino, il quale viaggia nell'aldilà guidato da San Pietro che
gli mostra inferno paradiso terrestre e cielo deviato.
In ambito romanzo, nel 13 secolo si sviluppa la produzione di poemetti in volgare in cui il protagonista narra
in prima persona un viaggio allegorico didattico in forma di sogno. Contatto più consistente Si riscontra col
Tesoretto di Brunetto Latini il quale aveva iniziato il proprio viaggio allegorico con l'immagine dello
smarrimento nella selva. Ma Dante arriva concepire un poema sacro senza precedenti, che è in grado di
riprodurre il messaggio salvifico e le Sacre Scritture riprendendo nella molteplicità di livelli di significati.
Tutto ciò fa della Commedia un unicum straordinario, un capolavoro non riconducibile a nessun genere
letterario, senza possibilità di essere imitato.
Concezione figurale
La concezione figurale cristiana del mondo terreno come concezione del mondo eterno, è stata studiata e
analizzata da Auerbach. L’originalità della Commedia sta nell'aver assunto la prospettiva del destino eterno
anziché quella terrena. Nella Commedia si avvertono due prospettive, una allegorica e una realistica.

Considerando le due guide di Dante, esse sono dotate di un certo spessore nella vita terrena e sono
arricchite da un significato allegorico nella Commedia. Virgilio rappresenta la ragione e Beatrice la teologia
e la fede. Ma entrambi possono esprimere questi significati in quanto storicamente li hanno espressi.
L'allegoria:
Il primo canto dell'inferno fa da proemio all'intera opera e racconta l'inizio del viaggio oltremondano. Nel
mezzo del cammino della vita, Dante si ritrova in una selva oscura dopo aver smarrito la diritta via. In preda
alla paura si dirige verso la sommità di un colle illuminato, nel quale riconosce una possibilità di salvezza. Il
cammino però viene ostacolato da 3 fiere, una lonza, un leone e infine una lupa, che respinge Dante verso
l'oscurità della valle. In soccorso sopraggiunge Virgilio.
Nonostante la funzione di introdurre la spiegazione del viaggio, l'inizio della Commedia può apparire
disorientante. In primo luogo non è chiaro se quella che è presentata come un'esperienza realmente
vissuta sia una visione mistica. Quando entrò nella selva Dante era pieno di sonno, ma non precisa se si
tratta metaforicamente di sonno della coscienza o se stesse dormendo come intendono alcuni
commentatori antichi. Infatti il paesaggio appare privo di reale consistenza, è ridotto a elementi essenziali:
una selva e il Colle l'oscurità la luce le tre fiere. infine le coordinate spaziali e temporali sono minime.
Se leggiamo la commedia con valore simbolico allegorico Allora il prologo acquista un significato compiuto
infatti la selva rappresenta la condizione di smarrimento nel nel peccato la diritta via è quella cristiana del
bene il colle illuminato e simbolo di salvezza le tre fiere che ostacolano Il cammino rappresentano le tre
Tentazioni diaboliche che possono impedire il raggiungimento della stessa salvezza. Infatti nel prologo il
livello simbolico allegorico tende a prevalere su quello storico letterale e questo accade Diversamente nel
resto del poema la narrazione dantesca è densa di allusioni e riferimenti intertestuali sia alle Sacre Scritture
sia alla letteratura classica, che caricano il testo di ulteriori significati. Infatti il primo verso È una citazione
biblica delle parole del re ezechia il quale gravemente malato viene salvato in punto di morte da Dio
Punto l'immagine della Selva del Peccato rimanda le confessiones di Agostino punto la citazione della
diritta via ricorda le parole di Cristo nel Vangelo di Giovanni. Al verso 6 l'angoscia che si rinnova nel cuore
di Dante nel raccontare lo smarrimento nella selva intende rievocare quell'angoscia provata dallo stesso ne
ha nel narrare l'ultima notte di Troia le tre fiere invece alludono alle tre belve inviati da Dio a punire gli
uomini in Geremia. Questa relazione con altri testi è fondamentale per il funzionamento della
rappresentazione della commedia è per la sua stessa comprensione.
Il senso allegorico
L'allegoria è un procedimento proprio della cultura medievale l'allegoria è una figura retorica per mezzo del
quale l'autore esprime il lettore ravvisa un significato riposto, diverso da quello letterale. Dante all'interno
del poema, diverse occasioni, richiama l'attenzione del lettore facendo uso dell’allegoria. La Commedia,
come le Sacre Scritture, è polisemica: presenta diversi livelli di senso.?????
Autobiografia e universalità :
A differenza del protagonista dell'Eneide, il protagonista della Commedia non è un eroe classico ma un Io
Cristiano che narra in prima persona una propria esperienza esistenziale. È evidente l'influenza delle
Confessiones di Agostino, nelle quali viene narrata una storia di traviamento e conversione che costituisce
l'archetipo dell’autobiografismo Cristiano. La prima persona di Dante riflette però un “io complesso”. Infatti
è importante distinguere
Dante-autore da Dante-personaggio.
Il primo è l’auctor che racconta,in qualità di narratore onnisciente un viaggio come un'esperienza vissuta
e conclusa. In tali vesti Dante può intervenire per tenere viva l'attenzione del lettore. Il secondo è il viator,
il personaggio protagonista del viaggio, la cui prospettiva è tutta interna al racconto e muta con il
progredire della narrazione.
La dimensione autobiografica si impone sin dal primo verso. Nel corso del viaggio Dante incontra figure
appartenenti alla vita e alla formazione intellettuale dello stesso poeta. Il privilegio di visitare da vivo i Regni
oltremondani gli è stato concesso grazie alla donna amata in vita, Beatrice. È lei che lo guiderà per i cieli del
Paradiso. Tra le anime incontrate durante il cammino, numerosi sono gli amici e i concittadini con cui Dante
ha condiviso stagioni della propria vita. Come ad esempio il maestro Brunetto Latini, il Musico Casella,
Forese Donati. Durante viaggio non mancano riferimenti alla vita del poeta, dalle profezie riguardanti il suo
esilio al ricordo della sua partecipazione all'assedio di Caprona.
Insieme alle ragioni autobiografiche risiedono le ragioni del percorso di redenzione. Dante personaggio
intende essere sempre Dante in carne e ossa, con la propria vicenda interiore sofferta. Il poeta prova forti
emozioni, come la paura, vergogna, la compassione, soprattutto quando è costretto a confrontarsi con
peccati che riconosce come propri. Così, la tanto pietà che Dante prova nei confronti di qualcuno dannati,
come per Paolo e Francesca, esprime il rimorso di essersi macchiato della medesima colpa.
In conclusione, il viaggio Dante intende farsi portatore di un messaggio universale. Dante personaggio vuole
essere al tempo stesso “qualsiasi uomo”, infatti la sua esemplare vicenda di salvezza riguarda l’umanità
intera. Perciò nell'immensa costruzione della Commedia ogni uomo deve riconoscere la propria vicenda
terrena, per imparare a emanciparsi dai vizi e aspirare alla ricompensa divina. Dante vuole presentare il suo
viaggio come un'esperienza unica e irripetibile e quest'esperienza non richiede una vera e propria
identificazione. Il poeta è colui che ha avuto il privilegio di vedere cose straordinarie e di trasmetterle
all'umanità per la salvezza universale.
Dante profeta e poeta:
Non ci sono dubbi sul fatto che Dante nella Commedia assuma un'attitudine profetica. Oltre che
numerose profezie riguardanti eventi biografici o storici verificatisi al momento della composizione del
poema, Dante formula enigmatiche profezie sullavvento di un salvatore, indicato come un veltro ; in una
serie di incontri cruciali Dante ti fa investire di una missione profetica: da Beatrice sulla montagna del
Purgatorio, dall'anima del suo avo Cacciaguida in paradiso e infine sarà stesso San Pietro, che gli affida le
sue verità provvidenziali Con il fine di riverarle al mondo corrotto.
Nonostante la manchino elementi formali e strutturali per riconoscere nel poema una vera e propria
visione mistica, non è inverosimile pensare che Dante ritenesse la sua parola poetica, come quella dei
profeti biblici, intimamente ispirata dallo Spirito Santo.
Concezione della teoria e della cultura nella Commedia: il sincretismo
La storia è considerata da Dante in termini provvidenziali. Questa prospettiva fa sì che tutti i fatti storici,
anche quelli precedenti al Cristianesimo, vengano interpretati in tale chiave.
A tale carattere si ricollega il sincretismo dantesco che concepì la classicità come una prefigurazione di
Cristo. Nella Commedia, il caso più eclatante è quello di Virgilio, egli è considerato come una sorta di
profeta che annuncia la venuta di Cristo.
Dante prosegue l'intento di Alberto magno e Tommaso d'Aquino di conciliare la fede cristiana con la
filosofia di Aristotele . Quest'ultimo definito da Dante “maestro di color che sanno”.
Una questione fondamentale dell'aristotelismo medievale riguarda le facoltà intellettive dell'animo umano.
Averroè, aveva sostenuto che l'intelletto possibile fosse unico per tutti gli uomini con la conseguenza che
l'anima individuale fosse soltanto quella sensitiva (quello che muore col corpo).
Stazio spiegazione dell'anima
Il tema del viaggio e la missione del poema:critica del presente e ipotesi del futuro
L’Eneide è assunta come modello per quel che riguarda il viaggio nell'aldilà, infatti Enea scende negli
inferi per incontrare il padre, il quale racconterà il destino glorioso di Roma.

Dante affianca tale precedente a quello della salita al cielo, da vivo, di San Paolo.
Dante rappresenta il proprio viaggio come analogo a quello di Enea e San Paolo, ma contrapposto a quello
di Ulisse, cioè inserito in una prospettiva provvidenziale guidata da Dio e non animato da desiderio umano
di conoscere. Il destino provvidenziale del viaggio dantesco è attribuito dall’appoggio che Dante riceve da
parte di tre donne del Paradiso, Beatrice, la Madonna e santa Lucia.
Un parallelismo tra Dante e Enea è creato nel XVII canto del Paradiso, quando Cacciaguida andrà incontro
a Dante, come Anchise andò incontro ad Enea.
Dante intende mostrare con la Commedia una possibilità di riscatto e un modello positivo. È possibile
assegnare a ognuna delle tre cantiche la funzione di rappresentare ciascuna delle tre condizioni umane:
caduta, riscatto e salvezza ;Inferno, Purgatorio e Paradiso.

Nel corso dei numerosi incontri che segnano il viaggio, Dante critica aspramente la società a lui
contemporanea, in particolare le due istituzioni del papato e dell’impero. Dante ha una ferma fiducia
nella funzione provvidenziale di queste due istituzioni. Ad essere oggetto della condanna è poi l’intera
civiltà comunale, fondata sulla logica del profitto e dominata dall'avidità di ricchezze e di potere.
Dante autore e personaggio
Nella Commedia è del tutto nuova e rivoluzionaria la narrazione dei fatti in prima persona. Questa scelta, di
straordinaria carica drammatica e narrativa, comporta la coincidenza tra autore e protagonista. Il
personaggio Dante è evidentemente al di fuori del mondo che attraversa; anzi è l'unico a non avere
collocazione precisa. La vicenda della Commedia coincide con la progressiva rivelazione del suo destino al
personaggio Dante. (viator)

La presenza di Dante ha la funzione di risvegliare nelle anime il desiderio di comunicare e di esprimersi o in


rari casi di costringere a farlo. Questo serve a Dante a comprendere e rifiutare il peccato.
Dante per tutto il poema si sforza di ribadire la veridicità del suo racconto. Tale strategia è il motivo
dell'emozione rivissuto, in cui Dante rievocando un evento afferma di risperimenrare l'emozione provata
Lettore, allegoria e struttura dell’opera
In quanto mimesi, cioè imitazione del mondo, la Commedia è anche rivelazione allegorica dei segni divini
che vi sono impressi: in quanto poema costruito sul modello teologico delle Sacre Scritture è opera che
comunica in modo allegorico un messaggio di salvezza. Come nella Bibbia, così nella Commedia, sia il piano
letterale, sia quello allegorico sono presentati come storicamente reali.
Da un lato ogni elemento della struttura dell’opera e del mondo terreno è presentato común segno di Dio.
Dall'altro il viaggio ultraterreno di Dante attraverso i Regni corrisponde in una prospettiva storica più
ampia al cammino dell'umanità verso la salvezza.
Queste considerazioni suggeriscono la fondamentale importanza della struttura presentata nel poema, a
partire dalla organizzazione fisica dello spazio.
Similitudine come fondamentale strumento della conoscenza allegorica
Mezzo fondamentale di espressione nella Commedia è la similitudine. Essa consiste nella dichiarazione di
una somiglianza tra due fenomeni diversi nella sostanza, ma legati da uno o più punti di contatto. Lo scopo
della similitudine è di rendere più evidente questo o quell'altro aspetto di un oggetto di una situazione. La
sua funzione è innanzitutto comunicativa: serve a trasmettere meglio un'idea o un riferimento materiale.
Ha anche funzione, per così dire, economica perché è utile per risparmiare parole a parità di informazioni
trasmesse. Infine ha funzione espressiva, volta a conferire al discorso ricchezza di sfumature e profondità.

L’uso della similitudine nella Commedia è abbondante e vario, in contrasto con il rifiuto di essa nella
letteratura religiosa medievale. Il grande uso di questa figura retorica nel poema è espressione di una
nuova civiltà, la quale ha necessità di ricostruire i significati a partire dalle relazioni terrene.
Metrica, lingua e stile
La Commedia è formata da 14233 endecasillabo. Dante ha adottato questo metro dai poeti della
Scuola siciliana: ma riuscì a conferirgli una straordinaria varietà rítmica. La terzina nella Commedia diventa
un'unità ritmica e sintattica basilare. La terzina alterna l'apertura della rima dal verso centrale, che la
trascina narrativamente in avanti, alla chiusura del terzo verso, che blocca lo scorrere della rima e del
periodo stesso.
Dante riesce a comunicare l'atmosfera delle tre cantiche anche attraverso la rima che tende a essere
aspra nell'Inferno, mentre tende ad essere piana e dolce nel Paradiso.
La lingua della Commedia mostra una ricchezza e una varietà ineguagliabili. Anche lo stile è molto ricco, si
può dunque parlare di plurilinguismo e pluristilismo.La base linguistica del poema è costituita dal volgare
fiorentino adottato in tutte le sue varianti, alternando forme arcaiche e moderne e, termini dotti (latinismi,
grecismi e gallicismi-di Arnaut Daniel), termini popolare guanti, parole basse e oscene. Dante utilizza anche
i dialettalismi prelevati da altri volgari a seconda dei personaggi.
Dante è un grande connettore di neologismi, necessari per esprimere l'ineffabile. L'opera è anche
caratterizzata da molte figure retoriche, tra le quali spicca la similitudine, attraverso la quale Dante riesce
proprio a dare concretezza alla situazione astratta. Le similitudini si presentano in diverse forme:
• Immediate
• Articolate
• Basse

• Elevate
I poeti della Commedia
Il viaggio oltremondano e anche un viaggio letterario in cui Dante ripercorre la sua formazione e la sua
storia di poeta. Questo avviene non solo sul piano implicito tel in questo tolita mediante il continuo
confronto con gli Amati Actors latini vulgari Ma viene anche sul piano esplicito della costruzione narrativa, a
partire dalla stessa scelta di Virgilio come guida. Nella commedia vengono citate anime di poeti antichi e
moderni con cui in più occasioni inviato si ferma a dialogare. Le ragioni di queste presenze sono evidenti ad
anteprime pronunciare una parola definitiva circa il proprio ruolo è proprio primato all'interno della
tradizione letteraria volgare punto. Per fare un esempio di questi incontri basta citare il canto IV Inferno nel
quale Dante guidato da Virgilio precede attraverso il limbo. In questo luogo ed è un gruppo di anime
distinte due punti sono i rappresentanti della bella scuola di poeti antichi retta giallo e nero. in questo
canto fissa il proprio canone gli autori classici che include Virgilio, Omero, Orazio, Ovidio e Lucano. Questi
poeti accolgono Dante nella loro schiera idrante si presenta come unico e degno erede della più alta
tradizione classica. Inoltre tante dialoga di poesia di poeti d'amore contemporanei italiani e provenzali
riprendendo questioni e polemiche della sua militanza seno vista offrendo così una rilettura della storia
della Lirica amorosa.
Realismo e personaggi:
Che spiega il perdurare del successo della commedia in epoche successive. Si tratta della Dimensione
profondamente umana e terrena della rappresentazione dantesca. I personaggi danteschi sono
umanamente vivi nonostante le continue personificazioni e allegorie Grazie all'eccezionale realismo le
ombre della commedia mantengono tutta la loro individualità storica di esseri umani in carne ed ossa punto
gli incontri con le anime le loro parole e loro gesti sono messi in scena con una tecnica teatrale capace di
focalizzarsi sulla sostanza morale ed emozionale del dialogo. Basti soffermarsi sono degli episodi PDP del
poema incontro con Farinata degli Uberti capo del opposta fazione Ghibellina punti la postura di farinata La
mimica e rivelano l'alto sdegno Kay era proprio da vivo è che lo è da morto il suo cruccio è illuminato
l'umiliazione delle successive sconfitte ghibelline e non tanto la Dannazione infernale e nella figura di
farinata si contrappone La fragile figura paterna di Cavalcante dei Cavalcanti che interrompe il dialogo per
chiedere a Fanusa mente notizie del figlio Guido. Cavalcante rimani in ginocchio punto e virgola l'intimo
dolore Paterno è l'opposizione alla situazione di farinata Nonostante questa anime condividi No il
medesimo Orizzonte terreno Gli spiriti danteschi come sono stati in vita saranno fissati per sempre saranno
così fissati per sempre nella morte e la loro vita terrena diviene figura della loro condizione oltremondana
che a sua volta riproduce i tratti psicologici e caratteriali propri della realtà mondana quindi l'aldilà diventa
teatro dell'uomo e delle sue passioni punto Dante mette in scena il mondo dei viventi con le proprie
passioni i propri dilemmi e propri errori.
La politica nella Commedia:

L'esperienza dell’esilio determina la tensione e la passione che alimentano nella Commedia la tematica
politica. Per Dante il nocciolo della questione non è solo ideologico ma anche etico; è quindi legato al
doppio filo di fondo del poema di indicare la via per la salvezza universale.
La voce dell’esule risuona forte per l'agognata Firenze, maledetta per la sua scellerata condotta attuale.
Sarà Ciacco, dannata tra i golosi, a preannunciare a Dante il suo tragico esilio.
La corruzione e la decadenza di Firenze riflettono una rovina morale e politica che oltrepassa i confini
municipali e pervade l'intera penisola italiana.
Lo sfacelo che universalmente travolge Papato e Impero porta ad incrinarsi la visione utopica di Dante di un
mondo armoniosamente illuminato da due soli (imperatore immune da cupidigia in grado di amministrare
la giustizia con perfetta equità e papa disinteressato alle cose terrene e ispirato da Dio nella sua missione
spirituale).
INFERNO
Dante immagina l'inferno collocato sotto la città di Gerusalemme, come una voragine a forma di cono
rovesciato, che degrada attraverso gironi circolari sempre più stretti, fino al centro della Terra. Passata la
porta dell'inferno, nel Vestibolo si incontrano gli ignavi, coloro che in vita non scelsero né il bene né il male;
Attraversato il fiume Acheronte si inizia a discendere lungo il baratro infernale. Il I cerchio è il Limbo,
destinato agli innocenti non battezzati, tra cui Virgilio, che lo guiderà attraverso il regno infernale.
Negli 8 cerchi successivi si puniscono, mediante la pena del contrappasso, i peccati di incontinenza, violenza
e frode, secondo un ordine di gravità crescente.
Nel II, III, IV, V cerchio, custoditi da demoni ripresi dalla mitologia classica (Minosse, Cerbero, Pluto e
Flegias) sono dannati i peccatori che non seppero contenere i sensi: lussuriosi, trascinati dalla bufera; i
golosi, flagellati dalla pioggia e dilaniato da Cerbero; gli avari e i prodighi, costretti a spingere enormi massi;
gli iracondi e gli accidiosi, immerso nel fango dello Stige.
Le mura della città di Dite, circondate dalla palude dello Stige, racchiudono i peccati più gravi. Nel VI
cerchio, sepolti in arche infuocate, ci sono gli eretici;
Nel VII cerchio I violenti:
• Contro sé stessi, trasformati in pruni o straziati da cagne
• Contro il prossimo, immersi nel sangue bollente del Flegetonte
• Contro Dio, natura e Arte, tormentati da una pioggia di fuoco
Dopo una ripa discoscesa custodita da Gerione, si entra nel VIII cerchio, dove sono puniti i fraudolenti
contro chi non si fida, distribuite in 10 bolge concentriche.

Nel IX cerchio, custodito dai Giganti, ristagna o le acque ghiacciate del Cocito, nelle quali sono puniti i
fraudolenti versi chi si fida. Tra quest'ultimi ci sono Bruto, Cassio e Giuda, maciullati nelle tre bocche di
Lucifero, che è conficcato al centro del pozzo infernale.
PURGATORIO
Agli antipodi di Gerusalemme, generata dal ritrarsi della Terra inorridita dalla caduta di Lucifero, sorge,
circondata dall'oceano, la montagna del Purgatorio, sulla cui cima si trova il Paradiso Terrestre.
Il Purgatorio accoglie gli spiriti dei peccatori che si pentirono prima di morire, guadagnandosi così la
possibilità di accedere al Paradiso dopo un periodo di espiazione.
In apparenza sembra speculare all'inferno, ma in realtà presenta fondamentali differenze.

Preceduto dall'Antipurgatorio, è diviso da 7 cornici e i 7 peccati capitali vanno dal più grave al meno grave,
configura un'ascesa verso il bene. Le anime nel loro cammino di espiazione, percorrono tutte le Cornici,
come fa lo stesso Dante, sulla cui fronte vengono tracciati dalla gelo le 7 P, che si cancellano
progressivamente, al passaggio dall'una all'altra cornice. Giunte sulla spiaggia traghettate da un angelo
nocchiero, le anime sono accolte da Catone l'Uticense. L'Antipurgatorio ospita gli scomunicati e i negligenti
che devono attendere un determinato lasso di tempo prima di accedere al monte vero e proprio. Nelle
prime 3 Cornici si purifica l'amore rivolto verso il male : superbia, ira e invidia. Nella 4 cornice si trovano gli
accidiosi, che ebbero scarso amore verso il bene. Nella 5, 6, 7 si purgano i colpevoli di accesso di amore per
i beni terreni: avari e prodighi, golosi e lussuriosi. Sulla cima del monte c'è il Paradiso terrestre, dove
scorrono il Lete (che oblitera la memoria dei peccati) e l'Eunoè (che riattiva la memoria del bene). A questo
punto Virgilio svanisce, cede il suo ruolo di guida a Beatrice.
PARADISO
Il Paradiso è una dimensione senza luogo né tempo e riflette le concezioni del sistema tolemaico proprie
dell'astronomia medievale: è immaginato come costituito dalle sfere concentriche dei cieli, che prendono il
nome dei 7 pianeti. (......)
Al moto delle sfere sono preposti differenti cori angelico, da gli Angeli ai Serafini. Le sfere celesti sono
infine avvolte dall'Empireo, dove, accompagnato da San Bernardo, Dante ha la mistica visione della rosa dei
beati e infine di Dio.

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