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BIOGRAFIA PETRARCA (mix tra Santagata, Rico-Marcozzi, Ariani)

1304
Francesco Petrarca nasce il 20 luglio ad Arezzo, primogenito del notaio ser Petracco di Prenzo,
notaio figlio di notaio (Parenzo) e Eletta Cangiani. Dubbia è però la sua data di nascita, nei
manoscritti Ad Posteritatem indicano «calende d’agosto». Nella biografia di un ignoto trecentista
fiorentino viene situata alle «calende d’agosto», cioè il primo giorno di questo mese, e lo stesso fa
Paolo Vergerio, mentre Boccaccio la data il 21 luglio. Tra il 1300 e il 1301 il padre di Francesco
Petrarca era stato anche cancelliere alle riforme del Comune di Firenze, notaio della signoria. Una
famiglia non ricca, che aveva conosciuto tempi migliori e si era trovata, a momenti, in una vera e
propria indigenza (Posteritate 13). Nel 1302 Petracco, diventato ambasciatore a Pisa, guelfo
bianco, era stato bandito da Firenze in seguito al prevalere della parte nera per inimicizia con una
potente famiglia nera, i Franzesi. Era stato condannato al taglio della mano destra e riuscì a
malapena a fuggire. Prese parte anche alla battaglia della Lastra come portavoce della parte
bianca, in seguito alla quale la sua parte fu dispersa. La battaglia si tenne il 20 luglio 1304, la data
proprio in cui Petrarca dice di essere nato.

1305
La madre e il piccolo Francesco si trasferiscono a Incisa Valdarno, dove risiedono fino al 1311,
grazie all’intercessione del cardinale Niccolò da Prato.

1307
Nasce il fratello Gherardo, che amerà come un modello ideale di riferimento per la sua esistenza.

1309
Il padre di Petrarca venne assolto dalle accuse che gli erano state avanzate.

1311
Petracco, nonostante l’assoluzione del 1309, non viene compreso – come Dante Alighieri – nella
provvigione di Baldo d’Aguiglione che riabilitava condannati e banditi degli anni precedenti. La
famiglia si trasferisce a Pisa, nella speranza di un rientro a Firenze a seguito della discesa in Italia
dell’imperatore Enrico VII. Qui forse Petrarca conosce Dante.

1312
Petracco si imbarca con moglie e figli alla volta di Avignone, sede del papato, confidando nella
protezione del cardinale Niccolò da Prato. Lavora per i Frescobaldi. Non trovando alloggio in città,
sistema la famiglia nel sobborgo di Carpentras; qui Petrarca comincia gli studi di grammatica sotto
la guida di Convenevole da Prato, definito «grammaticus optimus» a cui vengono attribuiti i Regia
Carmina, che ha come tema l’importanza di Roberto d’Angiò. A Petrarca vengono fornite lezioni di
grammatica, dialettica e retorica. Fa amicizia con il coetaneo ligure Guido Sette, futuro arcivescovo
di Genova, originario della Lunigiana, poco amato perché risultò essere estraneo alla comunità
locale ed esecutore rigido delle direttive papali.

1316
Studia diritto civile a Montpellier, fino al 1320, insieme a Guido Sette. In questo periodo si
presume che i risultati dei suoi studi di diritto abbiano incoraggiato il padre Petrarcco ad iscriverlo
a Bologna. In una gita alla sorgente della Sorga, nel 1316, insieme a ser Petracco, Guido e lo zio di
questi, scopre il locus dell’anima, quella Valchiusa che in seguito diverrà il nido, il rifugio, l’Arcadia
del suo spirito.

1318 o 1319
Muore a soli 38 anni la madre Eletta; in suo onore scrive il più antico componimento databile che
ci sia pervenuto, l’Epyst. I 7 (Breve Panegiricum defuncte matris).

1320
Inizia a frequentare, insieme a Gherardo e a Guido Sette, i corsi di diritto all’Università di Bologna,
dove resta, con qualche interruzione, sino al 1326. Nel 1321, inizialmente sono a Imola insieme a
tutti gli altri studenti per protesta, ma dopo fa un viaggio nell’Italia settentrionale (Rimini, Venezia)
rientra ad Avignone, per poi tornare a Bologna nel ’22; A Bologna, Petrarca amplia il proprio
orizzonte culturale in campo latino e volgare e stringe nuove amicizie (Tommaso Caloria, Matteo
Longhi, Luca Cristiani, Mainardo Accursio). Si lega inoltre di amicizia con Giacomo Colonna, figlio di
Stefano Colonna il Vecchio, che frequentava lo Studio insieme al fratello Agapito. Lì ha Bologna ha
come professori di retorica Bartolino di Benincasa e Giovanni del Virgilio che tenevano corsi sulla
lettura di Cicerone e Ovidio, la cui influenza su Petrarca, benché non testimoniata, è abbastanza
chiara. Bologna è anche la culla del classicismo dell’epoca ma anche un centro propulsivo della
poesia in volgare. Vi si poteva leggere precocemente la Commedia di Dante. Vi aveva risieduto
anche Cino da Pistoia, in precedenza. Lì a Bologna, con lo studio del Digesto, Petrarca capisce la
grandezza di Roma. Questa Bologna diventerà poi un ricordo di un tempo perduto ormai
irrevocabile, di un’etas ardentior contrassegnata da un vitalismo irripetibile; gli anni bolognesi
sono anni di pace, di libertà, di benessere, di giochi, di canti, di danze e di fanciulle.

1324
Il 9 dicembre appare quale beneficiario di un prestito di duecento lire bolognesi dal libraio
Bonfigliolo Zambeccari, da restituire entro un mese. La somma è possibile ipotizzare che almeno in
parte la somma fosse destinata all’acquisto di libri per proprio conto, tra cui un’antologia di
Seneca, oggi Vaticano Latino 11543.

1325
Ritorna di nuovo ad Avignone ai primi del ’25 (nel febbraio vi acquista il De civitate Dei di Agostino)
fermandovisi sino alla ripresa autunnale dei corsi. Qui inizia a dar vita alla formazione della
biblioteca che risulterà senza eguali in tutto il secolo: anche la sua bibliofilia appare un segno, tra i
più riconoscibili, del suo precoce umanesimo insofferente alla cultura dominante nelle Università
che sempre gli si va configurando come uno scientismo antiumano. Sempre ad Avignone
acquisisce un Isidoro (le Etymologiae), un San Paolo e si dedica alla cura di un codice, quel Virgilio
Ambrosiano attorno al quale comincia ad esercitare e affinare i suoi gusti letterari. Durante questo
soggiorno entra al servizio dell’amico Giacomo Colonna e di suo padre, Stefano il Vecchio (Seniles
XVI 1).

1326
La morte del padre lo costringe, nell’aprile, a ritornare in Provenza con Gherardo. Petrarca
abbandona gli studi ed è costretto ad affrontare un periodo di ristrettezze economiche come
testimonia nella Fam. X III e fu spogliato anche dei libri. Anche se lo aiuta a sopravvivere lo
stipendio che riceve dai Colonna. Alcuni li avrebbe recuperati poi come il Virgilio nel 1338 e
l’Isidoro nel 1347.
1327
Il 6 aprile incontra Laura nella chiesa avignonese di Santa Chiara ad Avignone. Il poeta individua un
venerdì, il giorno simbolico della settimana a cui legava gli eventi determinati della propria vita. Di
lei non si avrà alcun accenno realistico a parte il «corpus […] morbis ac crebris partubus
exhaustum» («un corpo sfinito dalle malattie e dai frequenti parti», Secretum III 138) e la notizia di
un suo ritratto commissionato al pittore Simone Martini, conosciuto ad Avignone nella primavera
del 1336.

1328-29
Per risolvere i problemi economici intervenuti dopo la morte del padre intraprende la carriera
ecclesiastica. Non ci sono prove che avesse preso gli ordini minori, di sicuro non prese mai però gli
ordini maggiori, dal momento che i suoi benefici furono sempre senza cura d’anime. Fu proprio in
questo periodo che iniziò a dotarsi di un’appassionata, ma ancora acerba, strumentazione
filologica. Secondo la ricostruzione di Billanovich tra il ’26 e il ’29 poté restaurare gli Ab urbe
condita di Tito Livio, fondamentale per la conoscenza della storia di Roma, riunendo le tre prime
deche. In questi anni fece la conoscenza di Pierre Bersuire e dell’ambasciatore del Re d’Inghilterra
Riccardo di Bury.

1330
Entra in qualità di cappellanus continuus commensalis nella famiglia del cardinale Giovanni
Colonna (già dal ’25 era stipendiato da Stefano il Vecchio e da Giacomo). Una scelta obbligata
dopo la morte del padre e la crisi economica che aveva conseguito. Qui nacque probabilmente
l’idea di poter conciliare i propri rapporti di dipendenza dai potenti e i margini di libertà personale
che garantissero il tempo da dedicare agli studi e l’intermittente ritiro nell’amato otium literarium.
Stringe amicizia perché facevano parte della stessa corte di Giovanni Colonna con Ludwig Van
Kempen (Socrate), musico nella casa del cardinale, e con Lello di Pietro Stefano Tosetti (Lelio).
Nella primavera accompagna Giacomo Colonna, nominato vescovo nel ’28, a prendere possesso
della diocesi di Lombez, dove trascorre l’estate. Negli anni a cavallo fra il terzo e il quarto decennio
è autore di una sparsa produzione in latino e in volgare e compone la commedia, perduta,
Philologia Philostrati. Si dedica a studi storici e a lavori filologici, curando un testo di Livio
comprendente le tre deche tuttora note.

1333
Nella primavera-estate viaggia in Germania, nelle Fiandre e nella Francia settentrionale (Parigi,
Gand, Liegi, Aquisgrana, Lione) con l’intento di riscoprire i classici introvabili, di infoltire la sua
incipiente biblioteca, di allargare la sua visuale ‘filologica’ degli studia humanitatis confortato dalla
scoperta, a Liegi, di due orazioni ciceroniane, fra cui la Pro Archia e l’apocrifa Ad equites romanos.
Petrarca aveva ormai inaugurato un metodo infallibile per infoltire la propria biblioteca: chiedere a
tutti quelli che conosceva di procurargli codici di autori classici e con una tale, tenace sistematicità
da costituire, piano piano, una vera e propria rete europea di corrispondenti, tutti impegnati nella
stessa missione di reperimento di testi, un fatto che non ha precedenti e che è probabilmente il
portato più alto e moderno dell’attività culturale petrarchesca. Ad Avignone conosce il monaco
agostiniano Dionigi di Borgo San Sepolcro che gli regala una copia tascabile delle Confessiones di
Agostino che portava sempre con sé (Seniles XV 7) che poi diventerà il modello esistenziale a cui
Petrarca cercherà di adeerire o comunque di confrontarcisi per tutta la vita. Rientrato ad Avignone
scoprì che Giacomo Colonna era dovuto rientrare a Roma per occuparsi di problemi di famiglia.
Con due canzoni poi contenute nei Rerum vulgarium fragmenta dà il suo sostegno alla Crociata in
programma di Filippo VI, re di Francia, ma che poi non ebbe luogo, le invia a due suoi amici, Orso
dell’Anguillara e a Giacomo Colonna.

1334
Ne dicembre muore papa Giovanni XXII; gli succede Benedetto XII, al termine di un periodo in cui
non erano mancate frizioni tra il collegio di cardinali e il suo predecessore Giovanni XXII, fautore di
una politica espansionistica che intendeva creare uno Stato guelfo in Italia settentrionale. A al
nuovo papa Petrarca, nei due anni seguenti, indirizza due epistole in versi latini con l’esortazione a
riportare a Roma la sede pontificia (Epyst. I 2, 5). Scrive una lettera a Luca da Penne (Sen. XVI 1)
datata 27 aprile, in cui manifesta la propria riconoscenza a Giacomo Colonna per averlo fatto
accogliere tra i familiares del cardinale Giovanni, a sua volta ricordato come un padre.

1335
Il 25 gennaio (secondo Marcozzi-Rico il 10) ottiene dal papa Benedetto XII, eletto da meno di un
mese, il beneficio di un canonicato a Lombez (sub expectatione praebendarum) che Petrarca
manterrà fino al 1355 senza prenderne mai realmente possesso. Nell’estate conosce Azzo da
Correggio e Guglielmo da Pastrengo, venuti ad Avignone per chiede l’appoggio del papa nella
disputa in corso fra Mastino della Scala e la famiglia Rossi per la signoria di Parma. A dimostrazione
di una carriera diplomatica che stava prendendo piede, aiuta Azzo e Mastino della Scala a vincere
la causa davanti al papa contro i Rossi.

1336
Il 26 aprile compie, insieme a Gherardo, l’ascensione al Monte Ventoux (sarà raccontata in una
lettera, la Fam. IV 1, scritta nei primi anni Cinquanta). Durante la primavera frequenta ad Avignone
Simone Martini. Prime tracce di un lavoro di raccolta delle rime volgari. Nel dicembre Giacomo
Colonna lo invita a Roma. Invia a Benedetto XII due epistole metriche (Epystole I 2, 5) per esortarlo
a ritornare a Roma. La delusione per l’immobilismo del papa sarà cocente, se poi il poeta gli
riserverà la vituperatio di Sine nomine XIV.

1337
Il 26 gennaio, con un viaggio per mare, arriva a Capranica, castello di Orso dell’Anguillara, sposo di
Agnese Colonna, e dopo una breve sosta a cui è costretto per la presenza di milizie ostili che
impediva l’accesso sulla via Cassia verso Sud. Con l’intervento della brigata dei Colonna si
trasferisce a Roma dove è ospite di Stefano il Vecchio. Visita i monumenti antichi e le biblioteche,
acquistando libri, in compagnia di Giacomo e di frate Giovanni Colonna. La visione delle rovine, e
le turbolenze che straziano la città lo convincono dell’urgenza di un riscatto morale, civile e
culturale dell’Urbe e dell’Italia: il sogno di una restauratio che appaghi il suo bisogno di mettere
alla prova la letteratura con le necessità politiche e civili del tempo. Nell’estate acquista una casa
in Valchiusa, nella diocesi dell’amico Philippe de Cabassoles, vescovo di Cavaillon. Nascita del figlio
naturale Giovanni, come il suo protettore, da una donna conosciuta durante il soggiorno. A
testimonianza di una vita familiare ‘segreta’ e irregolare.

1338-39
Inizia a Valchiusa, un borgo montano a meno di 20 miglia da Avignone, nel territorio de L’Isle-sur-
la-Sorgue, dove si trasferisce dopo il ritorno da Roma, la composizione del De viris illustribus e
dell’Africa. Definisce questo luogo la sua Elicona, in cui praticare la «solitudo mea iocundissima» in
cui poteva modellare la propria vacatio sul modello dell’otium degli antichi. Una solitudo in un
certo senso professionale, dedita al consolidamento di un mestiere di letterato libero e
autosufficiente che Petrarca inventa proprio in quegli anni, una figura di intellettuale ‘impegnato’
e, al tempo stesso, padrone di sé stesso e del proprio tempo interiore. Qui nel tempo diede vita ad
una biblioteca ricchissima, affidata in sua assenza al fedele fattore Raymond Monet. Forse qui
ospitò anche Dionigi da Borgo San Sepolcro, che passò a trovarlo prima di andare a Napoli per
stabilirsi alla corte angioina. Qui conobbe anche il cancelliere dei Gonzaga, l’aretino Giovanni
Aghinolfi. Qui ritrovò anche Guglielmo da Pastrengo che nel 1339 giunse di nuovo ad Avignone
come ambasciatore di Mastino della Scala.

1340
Il primo settembre riceve dall’Università di Parigi e dal Comune di Roma l’offerta della laurea
poetica: Petrarca sceglie di essere incoronato a Roma, dopo aver chiesto consiglio al cardinale
Colonna. Si trattava di una cerimonia dell’antichità già riesumata qualche anno prima, a Padova,
quando venne incoronato poeta Albertino Mussato (1315). In una lettera nelle Familiares II 9
datata 1336 ma sicuramente molto posteriore, Petrarca immagina di rispondere a Giacomo
Colonna, il quale era convinto che Laura non fosse affatto una creatura reale ma «figura» della
gloria poetica; mentre difende l’esistenza reale della donna e del suo amore per lei, riconosce però
la propria passione per il lauro, la pianta con la quale si incoronano i poeti.

1341
Il 16 febbraio (15 febbraio per Marcozzi-Rico) parte alla volta di Napoli, accompagnato da Azzo da
Correggio che voleva chiedere il permesso a Roberto d’Angiò di strappare Parma a Mastino della
Scala, dove soggiorna per circa un mese; grazie all’intercessione di Azzo, Petrarca può essere
esaminato, su Livio e Virgilio,per avere una sanzione illustre che lo mettesse al riparo da critiche,
durante tre giorni da re Roberto d’Angiò, a cui promette di dedicare l’Africa facendo anche un
paragone con Augusto, e conosce Barbato da Sulmona e Giovanni Barrili. Quest’ultimo venne
incaricato di celebrare la solennità a Roma. Il 2 aprile viene elaborato un documento in cui
Petrarca viene nominato regio cappellano. Forse l’8 aprile (ma Petrarca parla anche del 13 aprile,
mentre Boccaccio parla del 17 e il Privilegium reca la data del 9), avviene la cerimonia di
incoronazione, in Campodoglio, durante la quale pronuncia la Collatio laureationis. Barrili non può
partecipare alla cerimonia, nonostante la designazione, per un agguato dei briganti nel basso
Lazio. A quel punto però la cerimonia viene celebrata da Orso dell’Anguillara. Contribuisce anche
alla scrittura del Privilegium laureationis, il documento ufficiale dell’incoronazione che conferiva il
titolo di maestro e la facoltà di insegnare, oltre a renderlo cittadino romano. Al termine della
cerimonia Stefano Colonna, patriarca della famiglia, pronunciò un elogio pubblico del laureato,
lasciando intendere che la sua incoronazione fosse stata orchestrata dalla stessa famiglia. La sera
stessa la corona d’alloro fu deposta sull’altare della basilica di San Pietro. Accetta l’invito di Azzo
da Correggio e insieme a lui raggiunge, il 22 o il 23 maggio, Parma, e assiste al momento in cui
Azzo diventa il signore della sua città come testimone diretto. A questo fatto dedicò anche una
canzone Quel c’ha nostra natura in sé più degno che fu relegata ad una circolazione extravagante e
non inserita nei Rerum vulgarium fragmenta. Nelle Familiares IV 9 è anche compresa la richiesta
effettuata a Giovanni Colonna affinché desse il consenso a Petrarca per poter risiedere presso i
Correggio fino all’inverno successivo. Durante l’estate soggiorna nel Castello di Guardasone, a
Selvapiana, nella valle dell’Enza, dove prosegue il lavoro all’Africa e al De viris. Rientra a Parma
nell’autunno, dove risiede in una casetta che successivamente acquisterò, e qui lo raggiunge la
notizia della morte di Giacomo Colonna, avvenuta nel settembre del 1341. Un fatto che dovette
dare una ulteriore convinzione a Petrarca di voler abbandonare il servizio dei Colonna.
1342
Ritorna in Provenza nel febbraio-marzo mentre la curia era in subbuglio per le precarie condizioni
di salute di papa Benedetto XII. Il 25 aprile muore Papa Benedetto XII e Petrarca lo critica
aspramente in una lettera (Liber sine nomine) inviata a Philippe de Cabassoles e gli succede (7
maggio) Clemente VI. Il 22 maggio Petrarca acquista un canonicato nella cattedrale di Pisa dal
nuovo papa; viene poi nominato in una commissione per l’assegnazione di un canonicato a Parma.
di un secondo canonicato, a Migliarino (presso la stessa città), concessogli il 6 ottobre, non riuscirà
mai a prendere possesso perché vi vantava dei diritti un altro canonico che riuscì a farli valere nel
febbraio 1344 (anche se la causa, come testimoniano le Familiares, andò avanti fino al 1348).
Come risarcimento di questo gli viene assegnato dal papa il rettorato della pievania di Sant’Angelo
in Castiglione Aretino. Nella primavera muore Dionigi di Borgo San Sepolcro. Durante l’estate
apprnede i rudimenti della lingua greca sotto la guida del monaco basiliano Barlaam, che però
nell’ottobre lascia Avignone per raggiungere la diocesi calabrese di cui è stato nominato vescovo. Il
21 agosto inizia la trascrizione della sua prima raccolta di rime volgari dopo una intensa attività che
lo aveva tenuto lontano dalle lettere. Petrarca indirizza al papa una lunga ed enfatica epistola
metrica in cui si faceva portavoce delle istanze della delegazione del notabilato romano che stava
per essere ricevuta dal papa, invitandolo a riportare la sede a Roma e a celebrare un giubileo nel
1350. Nell’inverno stesso arriva anche una delegazione del nuovo governo popolare di Roma e
anche questa viene ricevuta dal papa; ne fa parte Cola di Rienzo, con il quale Petrarca fa amicizia.
Cola di Rienzo accusò i nobili romani di essere i responsabili della devastazione della Capitale, ma
Clemente VI non riconobbe la legittimità del loro governo. Petrarca, che era legato da una
profonda affinità intellettuale con Cola, si fece intercessore del suo caso presso i Colonna e fece
ottenere al Di Rienzo la carica (e il salario) di notaio presso la Camera capitolina. Anche le lettere
che nel tempo Petrarca indirizzò a Cola di Rienzo entrarono a far parte del Liber sine nomine.

1343
In effetti il pontefice, nel gennaio, promulga una bolla in cui indiceva il giubileo del 1350, richiesto
dai nobili romani e riduceva l’intervallo tra anni santi a mezzo secolo. Nel febbraio riceve la notizia
della morte (avvenuta il 20 gennaio) di Roberto d’Angiò. Nell’aprile il fratello Geherardo si fa frater
certosino dopo aver intrapreso il noviziato nel 1339 e si ritira nel convento di Montrieux (anche se
l’Ariani parla di decisione improvvisa). Anche il fratellastro Giovanni, minore dei due, si fece
monaco, ma olivetano, e morirà nel 1384. Più o meno nello stesso periodo a Petrarca nasce la
figlia Francesca, come riportato dall’abate De Sade. Durante l’estate inizia la stesura dei Rerum
memorandarum libri. Verso la metà di settembre parte in missione diplomatica per Napoli, dove
sapeva non avrebbe trovato due sue grandi alleati come Roberto d’Angiò e Dionigi di Borgo San
Sepolcro, dove arriva nella prima metà di ottobre, dopo una breve sosta a Roma (4-7 ottobre),
ancora ospite di Stefano Colonna il Vecchio che andrò a trovare presso la roccaforte di famiglia a
Palestrina. A Napoli trova una situazione profondamente mutata, Giovanna, la nipote di Roberto,
si era sposata con Andrea d’Angiò, del ramo d’Ungheria, avvenuto due giorni dopo la morte del re.
Questo matrimonio segnò l’inizio delle burrascose vicende che avrebbero condotto alla fine della
dinastia. In questa congiuntura Petrarca ebbe compiti modesti, essendo latore di una missiva che
chiedeva la liberazione dei conti d’Altamura, imprigionati due anni prima perché ribelli al Re.
Petrarca racconta di aver perorato la causa dei conti d’Altamura presso il Consiglio di reggenza che
si era instaurato e all’interno del quale c’era Philippe de Cabassoles. Non riuscì a ottenere la
liberazione dei prigionieri, ma ottenne comunque dalla regina Giovanna una cappellania. Nei mesi
passati a Napoli riprende i rapporti con Barbato e Giovanni Barrili: al primo concede di trarre copia
di un brano dell’Africa, il lamento di Magone morente nel sesto libro, poi diffuso contro la sua
volontà. N Nella raccolta delle Familiares semplifica molto le complesse cause della decadenza e
ne indica come principale responsabile un francescano spirituale, Roberto da Mileto, descritto
come un mostro che si aggirava per la corte senza una carica precisa ma dotato di un malefico
carisma. Non cela, in questa e in altre lettere, il giudizio estremamente negativo che ha sulla regina
Giovanna. el dicembre, fallita la missione napoletana, si trasferisce a Parma. Lì si ammala
gravemente di scabbia, da cui guarisce a stento, e proprio da questo episodio si diffonde la notizia
della sua morte. Tutto sommato però è un segno considerevole della sua crescente fama.

1344
Il contesto che trova a Parma è profondamente mutato, e se aveva mai pensato di potersi
trasferire lì, è costretto a ricredersi. All’inizio però le contese tra i Correggio non dovevano essere
ancora esplose, visto che acquista una casa a Parma: qui continua a lavorare all’Africa e ai Rerum
memorandarum libri; conosce il precettore Moggio Moggi, che era insegnante dei figli di Azzo, che
incarica di educare il figlio Giovanni. Inizia a riempire di libri anche la casa parmense. Entra in
polemica con esponenti dell’entourage dei Visconti, come Lancillotto Anguissola e poi
direttamente con Bruzio Visconti, figlio di Luchino, che aveva messo in dubbio la sua incoronazione
poetica. Nell’autunno precipita la situazione politica a causa della morte di Simone da Correggio: i
tre fratelli superstiti (Azzo, Guido e Giovanni) e Cagnolo, il figlio di Simone, ebbero delle
divergenze tali da trasformarsi in lotta intestina. Nel 1341 i Correggio, per sottrarre Parma a
Mastino della Scala, si erano accordati con i Visconti, in cambio del loro sostegno, per cedergli la
signoria dopo un quadriennio di governo. Azzo, Giovanni e Cagnolo erano decisi a venir meno
all’accordo, e, dopo aver cacciato Gudo, il 24 novembre 1344 vendettero la città ad Obizzo d’Este
per circa 60 mila fiorini d’oro, mettendosi in urto con i Visconti e i Gonzaga, che assediano la città
che durò fino al settembre 1346, quando Obizzo d’Este cedette Parma a Luchino Visconti in
cambio della stessa somma che aveva versato ai Correggio.

1345
Il 23 febbraio fugge avventurosamente da Parma e, passando per Reggio, Scandiano, Modena e
Bologna, si rifugia a Verona, dove già si trovava, o stava per arrivare, Azzo da Correggio. Il tutto
viene descritto con vividi accenti in una lettera inviata all’amico Barbato (Familiares V 10). Si tratta
di un momento di grande difficoltà per il Petrarca, perché gli appoggi di cui aveva goduto in
passato non erano più in grado di dargli garanzie e perché, a causa delle sue richieste, anche
l’appoggio dei Colonna non era più così sicuro e stabile. Provò quindi a rifugiarsi a Verona, dove
c’erano gli amici Guglielmo da Pastrengo e Rinaldo Cavalchini (a quest’ultimo affida la cura del
figlio). Da qui prova anche a sondare la strada fiorentina, scrivendo a Pietro Alighieri, che si
trovava a Verona in qualità di giudice (Epystole metrice III 7). Nel corso della primavera-estate
riprende i Rerum memorandarum libri, per poi subito abbandonarli definitivamente; da Guglielmo
da Pastrengo ottiene i codici, conservati nella Biblioteca Capitolare, delle lettere di Cicerone ad
Attico e al fratello Quinto; viene anche a conoscere i carmi di Catullo. La lettura dell’epistolario di
Cicerone lo induce a ideare un proprio epistolario in prosa latina: compone le prime lettere agli
scrittori antichi. Nell’estate (16 giugno) ritorna a Parma per qualche mese e poi, nell’autunno, è di
nuovo a Verona dove lascia il figlio Giovanni, affidandolo a Cavalchini. Da qui, con un lungo viaggio
attraverso il Tirolo e la valle del Rodano, verso la metà di dicembre raggiunge Avignone. A Napoli,
nel settembre, il marito della Regina Giovanna, Andrea, era stato assassinato in una congiura di
corte (Familiares VI 5) e si temeva un’invasione da parte del re d’Ungheria, padre dell’ucciso. A
Roma, Cola di Rienzo intanto stava preparando la sua rivoluzione.
1346
Nella primavera dimora a Valchiusa, dove scrive il De vita solitaria, dedicato a Philippe de
Cabassoles. Nell’estate comincia la composizione delle prime egloghe che formeranno il Bucolicum
carmen. Il 29 ottobre viene nominato canonico della cattedrale di Parma con la prebenda di
Coloreto, anche se Petrarca aveva chiesto il posto anche di arcidiacono, resosi vacante per la
morte del titolare, Pietro Marini. L’arcidiaconato fu però assegnato a Dino da Urbino. Petrarca
dovette aspettare altri due anni per ottenere anche quest’altro incarico (23 agosto 1348). Incarichi
che facevano parte del suo piano di trasferimento a Parma, dove la situazione era tornata ad
essere tranquilla dopo l’insediamento della signoria di Luchino Visconti. Nel frattempo rifiutò
l’elevazione all’episcopato e la carica di segretario apostolico, perché l’avrebbero legato sempre
più ad Avignone.

1347
Visita il fratello nella certosa di Montrieux e compone, dedicandolo ai monaci certosini, il De otio
religioso. In quest’anno, forse, comincia a scrivere il Secretum. Durante l’estate, attraverso varie
epistole poi escluse dalle raccolte (e confluite nelle Sine nomine) e alcune egloghe, manifesta il suo
appoggio alla politica di Cola di Rienzo, salito al governo di Roma con un colpo di stato il 20 maggio
(19 maggio secondo Rico-Marcozzi) e osteggiato dalla curia papale, ma il suo rettorato viene
confermato dal papa nel giugno dello stesso anno. L’hortatoria a Cola di Rienzo del giugno 1347 è
uno stentoreo manifesto politico, fitto di allusioni classiche, in favore della restituita libertas
romana come inizio di una libertà universale da restaurare sul modello di un’antichità sentita
come esemplarità attualizzante. L’intellettuale cerca di far coincidere l’utopia con una realtà dei
fatti. La presa di posizione in favore di Cola è una delle ragioni della rottura con il cardinale
Giovanni Colonna (egl. Divortium). La famiglia Colonna, infatti, era stata duramente colpita da
Cola. Intanto con la prigionia e la condanna a morte del patriarca Stefano nel settembre 1347.
Questi si fece liberare e aprì le ostilità con Cola di Rienzo. Il 20 novembre ci fu uno scontro
importante a Porta San Lorenzo in cui morirono diversi esponenti della famiglia Colonna, compresi
il figlio omonimo e il nipote di Stefano. Il 15 dicembre Cola abdica. Si era rifugiato dall’imperatore
Carlo IV di Boemia ma era stato fatto prigioniero. Cresce il desiderio di Petrarca di lasciare la
Provenza e di stabilirsi definitivamente in Italia. Il 20 novembre parte finalmente per l’Italia, latore
di una lettera del papa a Mastino della Scala. Alcuni giorni dopo, da Genova, scrive a Cola una
lettera disillusa (Fam. VII 7) in cui lo accusava di essere troppo amico della parte peggiore del
popolo, anche se non è meglio specificato quale sia questa parte, e poi prosegue per Parma e
Verona, dove arriva in gennaio. La lettera con cui Petrarca prese le distanze da Cola di Rienzo,
datata pochi giorni dopo la battaglia di Porta San Lorenzo, potrebbe apparire un estremo tentativo
di riaccreditarsi presso i suoi patroni nel caso di una futura sconfitta del tribuno o una preveggenza
post eventum successiva alla sua rovina. Nella primavera o estate presenta una petizione al papa,
che viene approvata dallo stesso il 9 settembre, proverebbe la ricerca di autonomia del poeta:
Petrarca, infatti, chiede di poter godere di tutti i benefici ecclesiastici cumulati pur risiedendo in
uno solo dei luoghi che ne offrono l’opportunità, e di poter abitare in questo luogo da definire
insieme all’amico Socrate (Ludwig van Kempen).

1348
In marzo si trasferisce a Parma, passata sotto la signoria di Luchino Visconti, dove si trattiene
spostandosi per alcuni giorni ancora a Verona, dove andò come ambasciatore su incarico di
Clemente VI, per persuadere Mastino della Scala a opporsi alla paventata invasione del regno di
Napoli da parte del re d’Ungheria. Non fa in tempo, comunque, ad arrestare l’avanzata del re
perché il passaggio delle armate avvenne il 2 dicembre 1347 con il pieno appoggio dello scaligero.
Nello stesso mese conobbe a Verona anche un messo dell’imperatore d’Oriente, Nicola Sigero, che
gli avrebbe procurato un manoscritto in greco di Omero. Da Verona poi fa ritorno a Parma che era
retta dal settembre 1346 dal podestà Paganino Bizzozzero, portando con sé il figlio Giovanni. Il
ruolo del Bizzozzero è importante perché è la figura che lo mette in contatto diretto con il signore
che esercitava un ruolo egemone nell’Italia settentrionale dell’epoca, Luchino Visconti. Proprio a
lui Petrarca si era affrettato a mandare una lettera dai toni entusiasti (Familiares VII 15) corredata
da alcuni versi apologetici (Epystole metrice III 6) subito seguiti da un’altra lode (Epystole metrice II
11). In Europa dilaga la grande peste. Il 19 maggio riceve a Parma una lettera di Socrate che gli
comunica la morte di Laura, avvenuta il 6 aprile. Alla fine di luglio è ancora Socrate a informarlo, a
Parma, della morte del cardinale Giovanni. Nel 1348 o nel 1349 muore anche il patriarca Stefano
Colonna. Probabilmente in questo periodo si colloca la composizione dei sette Psalmi
penitentialles. I lutti provocati dalla peste sono al centro anche dell’epistola “Ad seipsum” (Epyst. I
14) e delle egloghe IX-XI. Da una testimonianza delle Familiares VII 10 Petrarca ci fa sapere che
riceve il 24 marzo 1348 tre lettere di corrispondenti fiorentini – Giovanni dell’Incisa, Zanobi da
Strada e Bruno Casini – che lo rimproveravano di non esser passato da Firenze sulla via di Parma e
Verona. Nella risposta data a Verona, in aprile, scrisse di aver rinunciato alla deviazione fiorentina
perché alcune sue speranze erano svanite e non tacque nemmeno l’iniquo trattamento che
pensava di aver ricevuto dalla sua città natale. Nella lettera all’Anchiseo (Familiares VII 10)
compare intanto la terribile novità destinata a tracciare un solco profondo tra la prima e la
seconda parte della vita di Petrarcaì: la peste, che in quell’anno iniziava a mietere vittime in tutta
Europa. Il soggiorno a Parma è caratterizzato dal dilagare della peste. Per questa epidemia già
nella primavera Petrarca è costretto a piangere Franceschino degli Albizzi, Sennuccio del Bene
(1349 secondo Santagata), il cardinale Colonna, oltre che di Laura. Tra gli altri morì anche di peste
quel Dino di Urbino che aveva preso il suo posto all’arcidiaconato e quindi se ne impossessò dopo
concessione di Clemente VI.

1349
Il soggiorno a Parma è reso difficile dai cattivi rapporti con il vescovo Ugolino dei Rossi, nemico dei
Correggio. Nel 1352 riuscì anche ad ottenere da Clemente VI un documento in cui rendeva
l’arcidiaconato in tutto indipendente dall’influenza della curia vescovile. Ma questi cattivi rapporti
furono alla base dell’idea che Parma non potesse diventare la sua residenza in Italia. Già nel marzo
si reca una prima volta a Padova su invito di Iacopo da Carrara, poi, il 18 aprile, prende possesso
del canonicato nella cattedrale di quella città concessogli per l’interessamento di Iacopo: a Padova
fa amicizia con l’arcivescovo Ildebrandino Conti. Inizia a profilarsi un nuovo protettorato, subito
dopo aver lasciato con il Divortium la protezione dei Colonna. Dopo quella data si muove tra
Padova e Parma, con visite a Verona, Treviso, Venezia (dove conosce il doge Andrea Dandolo),
Carpi e, forse, Ferrara. Nel maggio, a Parma, gli giunge la notizia della morte di Mainardo Accursio,
assalito dai briganti insieme a Luca Cristiani. Un episodio che gli ricorda come l’Italia costituisse
ancora un cruento teatro di una continua guerra di strada. Pochi giorni prima era morto Paganino
da Bizzozzero; nell’autunno muore Sennuccio del Bene. Cade forse in questo periodo la prima
revisione del Secretum. Prima della fine dell’anno, o poco dopo l’inizio del successivo, comincia a
raccogliere i Rerum Vulgarium Fragmenta. Lavora alla canzone Che debb’io far e al commento
allegorico alla egloga I, incunabolo delle umanistiche «difese della poesia» (Familiares X 4).

1350
Durante la primavera e l’estate si divide tra Verona, Mantova e Parma. Risalgono a quest’anno la
composizione dell’Epyst. I 1 a Barbato da Sulmona, dedicatoria della raccolta delle lettere in versi
latini (Epystole), della Fam. I 1 a Socrate (datata 13 gennaio) «ad Socratem suum», anch’essa
dedicatoria dell’intera raccolta, e del sonetto Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono, proemiale ai
Rerum vulgarium fragmenta. All’inizio dell’anno partecipò alle celebrazioni per la traslazione del
corpo di Sant’Antonio nella cappella appositamente realizzata per custodirlo. Presenziò anche al
concilio che Gui de Boulogne aveva organizzato per trovare un accordo tra il patriarca di Aquileia e
il conte di Gorizia. Il 6 luglio acquista a Mantova un libro che avrebbe potuto già consultare nelle
biblioteche avignonesi come la Naturalis historia di Plinio. Forse nel corso di quello stesso
soggiorno mantovano inizia a redigere la lettera proemiale delle Epystole indirizzata a Barbato da
Sulmona. Sempre in estate risponde ad un ammiratore fiorentino, Giovanni Boccaccio con
Epystole III 17 e Familiares XI 2 che accompagnava i versi. A ottobre parte per Roma in occasione
del Giubileo: all’andata e al ritorno sosta a Firenze. Qui conosce gli esponenti della cultura locale
(Giovanni Boccaccio, Zanobi da Strada, Francesco Nelli, Lapo da Castiglionchio che gli fa conoscere
e in seguito donerà il testo di Quintiliano) e discute con gli ufficiali del comune la possibilità di farsi
restituire i beni confiscati al padre. Quando arriva a Roma però è costretto a letto da un incidente
avvenuto poco prima di entrare in città, prende un calcio da un cavallo e la ferita gli si infetta. Del
soggiorno di Roma durante il Giubileo non ci rimangono molte testimonianze. Petrarca dice che
non ha percorso la città «poetica curiositate» ma ha vistato i «templa Dei devotione catholica»,
«curam anime agens». Dell’importanza che Petrarca accordava al pellegrinaggio del 1350 fa fede il
fatto che dai la propria rinuncia ai piaceri della carne precisamente «post Iubileum» (Seniles VIII 1).
Sulla via del ritorno visita anche Arezzo, dove vede la propria casa natale e ritorna ancora a Firenze
per trattare con alcuni funzionari del Comune circa la restituzione dei beni confiscati. Ritorna a
Parma nel dicembre, e lì gli giunge la notizia dell’assassinio di Iacopo II da Carrara, assassinato da
un figlio illegittimo di Iacopo I. La signoria di Padova passa subito al figlio di Iacopo II, Francesco.

1351
Nell’inverno e nella primavera è a Padova, ospite di Francesco da Carrara. Si infrange proprio in
questo periodo l’idillio cortigiano degli ultimi anni, che attraverso la frequentazione dei Pico e dei
Gonzaga, degli Estensi e dei Carraresi, aveva acceso le speranze di Petrarca in una nuova era di
pace per l’Italia. Si riaffacciarono le idee universalistiche e imperiali che sembravano morte
dall’avventura di Cola di Rienzo. Invita l’imperatore Carlo IV a scendere in Italia, sulla base delle
sue prerogative e a restaurare la potestà imperiale richiamandosi anche a Enrico VII, nonno di
Carlo, e richiamando il mito di Roma (Fam. X 1); tenta di dissuadere dalla guerra i dogi di Venezia e
Genova, scrivendo ad Andrea Dandolo e al doge di Genova due lettere differenti, vedendo la
stessa questione da due ottiche completamente differenti (Fam. XI 8); Petrarca si muove con
molta più scioltezza rispetto a prima e già sembra fare il gioco dei Visconti, minacciati in quegli
anni dai tentativi di formare una lega antiviscontea che aveva i suoi principali promotori a Firenze
e a Venezia. Forse scrive in parte la lettera Posteritati, poi destinata a concludere la raccolta delle
Seniles. In marzo riceve la visita di Boccaccio, che gli reca l’offerta di una cattedra presso lo Studio
fiorentino. L’autore del Decameron si ferma fino al 6 aprile, data in cui Petrarca risponde ai
reggitori di Firenze (Familiares XI 5) con una lettera piena di gratitudine ma priva di una vera e
propria risposta. Il 3 maggio parte, su invito di Clemente VI, alla volta della Provenza: durante il
viaggio compie soste a Vicenza (dove legge in pubblico la sua lettera a Cicerone), Verona (vi rivede
Azzo da Correggio), Mantova, Parma (partendo, prende con sé il filgio Giovanni) e Piacenza (dove
ritrova Luca Cristiani che credeva morto). Il 27 giugno è a Valchiusa. Porta con sé anche il figlio
Giovanni, probabilmente per cercargli un impiego ad Avignone. Durante l’estate riprende il lavoro
al De viris illustribus, a cui aggiunge le biografie pre-romulee. Nell’autunno soggiorna ad Avignone,
ospite di Guido Sette. Rifiuta la carica di segretario papale e ha rapporti molto problematici con
l’ambiente della curia (fra l’altro, si diffonde contro di lui l’accusa di negromanzia): compone molte
delle epistole Sine nomine. Si tratta di un periodo molto complicato, visto che con la morte di
Iacopo II da Carrara e l’ostilità del vescovo Ugolino de’ Rossi rendevano Padova e Parma non
avvicinabili. Ma anche le offerte di Avignone sembravano troppo deboli e quella sosta di due anni
paventata al Cristiani non ebbe luogo anche se, dietro quella stima, probabilmente si nascondeva
la prospettiva di un cardinalato.

1352
Da Aviignone comunque continua la sua osservazione dello scenario politico italiano. Sia per la
situazione del governo di Roma (Sine nomine IV), sia per la situazione di Napoli il cui regno era
retto dal siniscalco Nicolò Acciaiuoli. A costui Petrarca inviò il primo e il più ambizioso dei propri
specula principum, l’epistola Iantandem (Familiares XII 2) alla quale poi diede il titolo di Institutio
regia. Si riferiva in particolare al futuro re Luigi d’Ungheria e viene considerato un testo capitale
delle ambizioni politiche dell’umanesimo. A questo progetto di Petrarca di diventare istitutore dei
principi o di loro guida morale si aggiunsero poi la Familiares III 7 a Paganino (per farla avere a
Luchino Visconti) e una nuova hortatoria a Carlo IV (Familiares XII 1) che avrebbe aperto il libro
delle Familiares in cui c’era la rivendicazione del ruolo politico dell’umanesimo. Una disputa con i
medici curanti di Clemente VI, durante l’inverno, è all’origine del primo libro delle Invective contra
medicum. Il tutto nasce dal consiglio che Petrarca dà a Clemente VI (Familiares V 19) di non dar
troppo conto ai medici e dalla risposta piccata di uno di questi (Familiares XV 6). Alla prima
invettiva, il medico rispose con un opuscolo a cui seguirono le Invective II-IV. In aprile ritorna a
Valchiusa dove rimette mano alle corrispondenze epistolari e rivede alcune sue opere (De viris e
Triumphi) e analizza ancora la situazione politica italiana in una lettera a Stefano Colonna,
pronipote del vecchio patriarca morto qualche anno prima (Familiares XV 7). In questa lettera, in
cui il regime signorile appare ormai come un dato di fatto che prospera sull’anarchia connaturata
ai governi popolari, Petrarca elegge come sua dimora ideale l’Italia, comunicando di aver ricevuto
offerte da Luigi di Taranto e dal re di Francia a risiedere a Napoli o a Parigi ma di averle rifiutate
per inseguire il sogno di Roma. Nell’estate manda il figlio a Verona, dove gli ha procurato un
canonicato. Assiste alla venuta di Cola di Rienzo ad Avignone, in condizioni di semiprigionia (sarà
ucciso dalla folla a Roma nell’ottobre 1354) e chiede di incontrarlo (Familiares XIII 6), anche se
asserisce di non averlo più frequentato, nemmeno idealmente, dopo i fatti di Porta San Lorenzo e
dopo aver preso le distanze anche in seguito agli esiti modesti della sua iniziativa. A competare il
disconoscimento, Petrarca nella stessa lettera nega a Cola di Rienzo l’estrema difesa e non gli
riconosce la qualità di poeta che avrebbe potuto secondo alcune voci evitargli la condanna o farla
commutare. Nella stessa occasione va comunque detto che Petrarca scrisse una lettera al popolo
romano, contenuta nel Liber sine nomine, in cui chiedeva di reclamare la libertà del loro tribuno.
Forse inizia, a Valchiusa, la composizione dei Triumphi. Il 1 novembre scrive al doge di Genova per
esortare il consiglio cittadino alla pace con Venezia, minacciata dagli scontri tra le flotte delle due
repubbliche nei mari d’Oriente (Familiares XIV 5). Il 16 novembre, dopo un mese trascorso ad
Avignone, riprende la via del ritorno in Italia, ma interrompe il viaggio per il maltempo e perché
pare ci fossero nelle strade banditi pronti a fare agguati. In realtà il sospetto è che iniziassero a
circolare notizie sulla salute poco stabile di Clemente VI. Poco tempo dopo, il 6 dicembre, muore
Clemente VI: gli succede (18 dicembre) Innocenzo VI, che vede Petrarca con sfavore perché in
passato lo aveva accusato di magia (Familiares IX 5, XIII 6 e Seniles I 4). Il 4 dicembre Petrarca
chiede una nuova licenza per recarsi a Valchiusa vista la morte del suo fattore Raymond Monet
(Familiares XVI 1). L’assenza si prolungò fino al 18 aprile 1353.

1353
Aggiunge, durante l’inverno, altri tre libri alle Invective contra medicum. In aprile, deciso a lasciare
per sempre la Provenza, compie un’ultima visita al fratello a Montrieux; parte verso la fine di
maggio, recandosi a Milano attraverso il Monginevro, dopo aver salutato i suoi amici Guido Sette e
‘Socrate’ e dopo aver affidato ai figli di Monet la casa di Valchiusa. Ospite dell’arcivescovo
Giovanni Visconti, si insedia in una casa presso Sant’Ambrogio. La decisione di recarsi a Milano
viene forse favorita dalla presenza di Gabrio Zamorei, vicario dell’arcivescovo Giovanni e amico di
Petrarca. La scelta di Milano provoca l’irritazione degli amici fiorentini, in particolare di Boccaccio,
che lo accusano di accondiscendenza verso i tiranni e i nemici di Firenze. A questi amici Petrarca
risponde uno ad uno, in particolare a Nelli che si mostrò meno ostile degli altri. La scelta di recarsi
dai Visconti lasciò qualche strascico anche in Provenza, tanto che nell’estate del 1353 Petrarca
dovette difendersi dalle accuse del cardinale e protonotaro apostolico Jean de Caraman, il quale gli
rimproverava, tra le altre cose, di vivere sotto la protezione dei sanguinari tiranni Visconti. Si tratta
comunque di una decisione a sorpresa presa da Petrarca in una situazione di grande incertezza. A
Padova era morto da poco il suo amico Ildebrandino Conti, avvenuta il 2 novembre 1352. A Parma
erano ancora vive le contese con Ugolino de’ Rossi mentre a Firenze pesava la generale diffidenza
di Petrarca per le repubbliche quanto la mancata definizione di un’offerta vera e propria. La scelta
di Milano avvenne anche in virtà del rafforzamento del potere dei Visconti, dovuto all’accordo
raggiunto con Innocenzo VI rispetto alla proprietà di Bologna. Il Petrarca che arriva a Milano è
profondamente diverso dal Petrarca precedente. A livello di produzione, Petrarca lascia da parte i
frutti più esclusivi della sua attività e dedica tutte le energie a crearne di nuovi. Se il Privilegium
laureationis lo dichiarava «magnum poetam et historicum» adesso Petrarca si sentiva
«philosophus» per porsi come missione di far ripiegare l’animo su se stesso, «reflectendum ad se
animum» (De vita solitaria) e di migliorare gli altri, migliorando se medesimo, «bonum facere
auditorem ac lectorem» (De ignorantia). Da qui nascono gli epistolari (Familiares, Seniles), il
Secretum, gli opuscoli polemici, il gigantesco vademecum dell’umanista cristiano che è il De
remediis utriusque fortunae. Già nel settembre 1353 Petrarca fu coinvolto nelle più significative
cerimonie che vedevano coinvolti i signori di Milano, dall’accoglienza del cardinale Albornoz,
legato pontificio (14 settembre), alla stesura del discorso ufficiale che celebrava la devoluzione
della signoria di Genova ai Visconti (Familiares XVII 4). Questo fatto della sottomissione di Genova,
dovuta alla sconfitta subita da Venezia, preoccupò non poco la stessa Venezia e Firenze che si
unirono in una lega antiviscontea. Intanto da Verona giungevano notizie poco incoraggianti circa il
figlio Giovanni, su cui tentò di intervenire (Familiares XVII 2). Sempre a Novembre, Petrarca
ricevette la risposta di Carlo IV alla sua missiva mandata due anni prima, nel 1351. In questa lettera
l’imperatore sosteneva l’impossibilità di un suo intervento in Italia, a causa delle difficoltà dellla
situazione nella Penisola e nel governo dell’Impero, nonché della riluttanza a usare le armi.
Petrarca rispose (Familiares XVIII 1) il 23 novembre ricordando quale fosse l’onere proprio della
carica imperiale, di domare la belva costituita dall’Impero, e dall’altra la necessità di un intervento
militare in Italia. Nell’autunno del 1353 Petrarca fu nominato oratore ufficiale di un’ambasceria
inviata dai Visconti a Venezia per le trattative di pace. Era allora doge Andrea Dandolo, di fronte al
quale Petrarca pronunciò una breve orazione in cui difendeva la liceità della devoluzione di
Genova e l’operato di Giovanni Visconti, entrambi rivolti alla pace. La lega antiviscontea fu
rinnovata e ci fu l’assedio milanese a Modena. In questo frangente Petrarca scrisse nuovamente al
doge invitandolo alla pace.

1354
Arriva la risposta alla seconda lettera di Petrarca al doge Dandolo, il 13 giugno in cui venivano
confermate le regioni di Venezia. Nei primi mesi si reca in missione a Venezia per trattare la pace
con Genova, sulla base delle indicazioni scritte a Dandolo nelle sue lettere precedenti. Nel febbraio
una fallita rivolta contro i signori di Verona costringe alla fuga Azzo da Correggio e Giovanni, che si
rifugia presso il padre (nel 1357 verrà mandato ad Avignone). Nell’aprile trascorre alcuni giorni nel
monastero di Garegnano (dove ritornerà altre volte). Forse verso la fine di maggio comincia la
composizione del De remediis utriusque fortune (dedicato ad Azzo). Il 5 ottobre muore Giovanni
Visconti: il 17 di quel mese Petrarca pronuncia una orazione commemorativa. I nipoti Matteo,
Galeazzo e Bernabò subentrano a Giovanni nel governo della città. Nell’autunno scende in Italia
l’imperatore Carlo IV, per essere incoronato a Roma all’inizio dell’aprile successivo e il 15 dicembre
riceve Petrarca a Mantova (Familiares XIX 3) dopo avergli rivolto una lettera entusiastica
(Familiares XIX 1) e grazie alla mediazione del diplomatico visconteo Sagremor de Pommiers
(Familiares XXI 7); qui fa anche la conoscenza del cancelliere Jan von Neumarkt. Non abbiamo altri
resoconti di questo incontro che non siano quelli forniti da Petrarca stesso. Il 25 aprile 1354
Petrarca fu raggiunto dalla notizia della morte di Cola di Rienzo, avvenuta l’8 ottobre 1353, che
sarà registrata nel De Remediis. Qui c’è un po’ il bilancio definitivo per Petrarca dell’esperienza di
Cola, un uomo il cui progetto era basato più sul coraggio che sulla costanza, che aveva osato
sollevarsi in tempi non propizi e che aveva provato la mutevolezza della fortuna.

1355
Il 5 aprile Carlo IV viene incoronato imperatore a Roma e lascia la città il giorno stesso, secondo gli
accordi presi con il papa, imponendo una formale tregua nella contesa tra Milano e Venezia. Nel
maggio, a Pisa, Carlo IV concede la corona di poeta a Zanobi da Strada: Petrarca si mostra molto
freddo nei confronti del neolaureato; poco dopo rimprovera all’imperatore la sua fuga dall’Italia.
Petrarca rimane molto deluso dal comportamento dell’imperatore e scrive a lui una lettera in cui
gli rimproverava l’inefficacia della sua azione politica e di essere memore dell’Italia solo quando
c’era da lucrare (Familiares XIX 12). Probabilmente durante l’estate compone la Invectiva contra
quandam magni status hominem sed nullius scientie aut virtutis, autodifesa in risposta al cardinale
avignonese Jean de Caraman. Si tratta di una vera e propria apologia dei Visconti e del proprio
ruolo, nonché la difesa del valore etico delle humanae litterae e del privilegio che esse offrono a
salvaguardia di qualsiasi compromissione con il potere mondano, poiché il possesso dell’eloquenza
assicura di suo la libertà. Scambiò con «Lelio» il canonicato di Lombez con quello di Santa Maria de
Capellis nella diocesi di Teano. Rifiutò le sollecitazioni di Philippe de Cabassoles che si prodigava
per un suo ritorno in Provenza (Varie LXIV). Scrive a varie persone, tra cui il fratello Gherardo e al
priore generale dei certosini, Jean Birel. A lui (Seniles XVI 8) riferisce per la prima volta in assoluto
della composizione dell’opera che terrà occupato Petrarca per gli otto anni successivi, ovvero i due
libri del De remediis utriusque fortune. Alla fine di settembre 1355 moriva uno dei tre eredi di
Giovanni Visconti associati alla signoria di Milano, Matteo (Varie LXI).

1356
Minacciati dal marchese di Monferrato che era entrato in possesso di Pavia e di alcuni territori
piemontesi, i due fratelli superstiti – Galeazzo e Bernabò – si rivolsero a Carlo IV, inviando Petrarca
come ambasciatore. Il 20 maggio parte per Praga, in missione presso l’imperatore: torna a Milano
in agosto, dopo essersi fermato un mese anche a Basilea. I risultati della missione non furono
memorabili, i domìni piemontesi continuarono a essere contesi, la signoria milanese non ne
guadagnò in stabilità. L’imperatore lo nomina conte palatino. A Milano consolida i rapporti con il
signore di Rimini, Pandolfo Malatesta, al servizio dei Visconti come condottiero. Inizia anche
l’ordinamento del primo Canzoniere, la cosiddetta ‘redazione Correggio’, terminata nel 1358.
Consolidò l’amicizia con Giovanni di Neumarkt, a cui poi, nel 1361, dedicò la prima copia del
Bucolicum carmen. Questo è forse il punto più alto della carriera di Petrarca sia come diplomatico
che come oratore politico che come poeta. Tornò a Milano ai primi di settembre e lì cominciò
un’opera che poi lo tenne occupato fino agli ultimi mesi di vita: i Triumphi. Verso la fine dell’anno,
il sostegno dell’imperatore iniziò a venire meno, perché i Visconti vennero citati in giudizio dal
vicario imperiale Marquardo di Randeck, e furono costretti a difendersi da una lettera assai dura
(Varie LIX del 9 ottobre 1356) che oggi gli studiosi concordano nell’attribuire a Petrarca. Nel
novembre 1356 vi fu l’episodio decisivo della secessione di Genova dal dominio visconteo che era
stata inglobata nella sfera del potere solo 3 anni prima.

1357
Durante l’inverno si rompono i rapporti fra Pandolfo Malatesta e i Visconti. Petrarca passa l’estate
a Garegnano, dove corregge il Triumphus Cupidinis. Nell’autunno conclude il Bucolicum carmen,
che però negli anni seguenti riceverà altre correzioni: corregge e arricchisce il De otio religioso. Si
separò dal figlio Giovanni, che prima dell’estate tornò ad Avignone, in seguito a non precisati
dissapori (Familiares XXII 7).

1358
Nella primavera scrive l’Itinerarium syriacum, ad uso di Giovanni Mandelli, già podestà di
Bergamo, per il suo pellegrinaggio in Terra Santa. Nell’estate di quest’anno i Visconti vennero a
patti con il marchese di Monferrato e, rinunciando ad Asti e Pavia, poterono recuperare Novara. A
Petrarca fu raccomandato di scrivere l’orazione per l’ingresso trionfale di Galeazzo in città,
avvenuta il 18 giugno. Nell’inverno Petrarca si prende un congedo da Milano e trascorre quel
tempo fra Venezia e Padova. Qui incontra il rude monaco calabrese Leonzio Pilato (Seniles III 6 e VI
1), conoscitore del greco, che avrebbe tradotto Omero per lui e per Boccaccio. Petrarca metterà a
frutto il suo lavoro terminando le Familiares con una lettera a Omero (XXIV 12).

1359
A Milano, nel marzo, riceve la visita di Boccaccio, che si trattiene presso di lui per circa un mese:
fra le altre cose, i due discutono di Dante. Boccaccio vuol introdurre il suo amico al culto dantesco,
ma Petrarca è restio. Il suo diniego fu reso pubblico dalla celebre Familiares XXI 15 in cui ricorda di
aver incontrato, da fanciullo, l’Alighieri, amico e compagno d’esilio del padre, ma rispetto a queti
meno avveduto o, forse, più coraggioso. Nella lettera si sancisce la superiorità del classicismo
umanistico sulla poesia volgare che Petrarca dichiara di non praticare più dopo una parentesi in
gioventù. A ottobre datano le prime testimonianze del lavoro intorno alla cosiddetta ‘forma Chigi’
del Canzoniere, che sarà conclusa nel 1362-63. A novembre Petrarca si trasferisce in una cosa
posta fuori delle mura. Nel marzo 1359 Petrarca intervenne con due lettere (Familiares XIX 18 e
Miscellanea VII) una a proprio nome e l’altra per conto di Bernabò Visconti, nella contesa per il
possesso di Pavia che, a dispetto delle ambizioni dei signori di Milano, da tre anni era retta da
Iacopo Bussolari, frate agostiniano e abile predicatore, su mandato del marchese del Monferrato
Giovanni II Paleologo. I Visconti cinsero d’assedio la città e la ridussero alla fame ottenendo ai
primi di novembre 1359 la resa del Bussolari che fu arrestato e poi tenuto prigioniero. Petrarca era
ormai diventato lo strumento della propaganda viscontea.

1360
In gennaio accoglie presso di sé il figlio Giovanni, dal quale, in passato, lo avevano separato molti
dissapori. In primavera compie un nuovo viaggio a Padova e a Venezia. Leonzio Pilato, su
sollecitazione di Boccaccio, si trasferisce a Firenze e inizia a tradurre i poemi omerici in latino.
Nell’autunno Petrarca comunica a Guido Sette di aver terminato il De remediis utriusque fortune.
Nel dicembre guida una delegazione inviata da Milano a rendere omaggio al re di Francia Giovanni
II il Buono e a salutarne il ritorno a Parigi dopo quattro anni di prigionia in Inghilterra. Il re era
stato rilasciato dietro il pagamento di un riscatto altissimo a cui aveva contribuito, non poco,
proprio la famiglia Visconti che, in cambio, avevano ottenuto il matrimonio tra il figlio Galeazzo,
Gian Galeazzo, e la principessa Isabella di Francia, celebrato a Milano nell’ottobre 1360.

1361
Nel gennaio si reca in missione a Parigi, presso il re Giovanni II, da poco liberato dalla prigionia
inglese: il 13 di quel mese pronuncia la Collatio coram illustri domino Iohanne Francorum rege. In
primavera si trasferisce da Milano a Padova per sfuggire alla peste dilagante. Il 21 marzo, tornato a
Milano, fornisce un parere sull’autenticità di due antichi privilegi sui quali il duca Rodolfo IV
d’Asburgo basava le sue rivendicazioni di indipendenza dell’Austria in seno all’Impero. Li ritiene dei
falsi grossolani per ragioni linguistiche e storiche, e in quel preciso momento Petrarca fonda di
fatto con la Seniles XVI 5 l’esegesi delle fonti antiche e medievali e fonda l’umanesimo filologico.
Una copia revisionata del Bucolicum carmen viene mandata a Jan von Naumarkt. Durante l’estate
muoiono il figlio Giovanni, a causa della peste che si era diffusa a Milano, e Socrate, il dedicatario
delle Familiares: le lettere scritte dopo questa data confluiranno quasi tutte nella raccolta delle
Seniles, dedicata a Francesco Nelli e rimasta priva dell’ultima mano. Lavora al De vita solitaria
(richiesta di collaborazione a Boccaccio, allora a Ravenna, per mezzo del veneziano Donato
Albanzani).

1362
Fra gennaio e aprile risiede a Milano e ritorna a Padova in maggio perché, insieme alle bande di
milizie mercenarie francesi <che erano state ingaggiate dal marchese di Monferrato, si era diffusa
anche la peste. Torna ad abitare nella casa canonicale di Padova. Scrive a Boccaccio (Sen. I 5) per
dissuaderlo dall’abbandonare gli studi a causa dell’insorgere di scrupoli di coscienza. A Settembre,
per sfuggire alla peste, si trasferisce, grazie alla mediazione di Benintendi Ravignani, a Venezia:
Petrarca promette di lasciare in testamento la sua biblioteca alla repubblica. Occupa una casa sulla
Riva degli Schiavoni, ma torna spesso a Padova per brevi periodi, in genere per impegni connessi al
suo canonicato. Qui, probabilmente, conosce il grammatico Pietro di Muglio. Nell’ottobre a
Innocenzo VI succede papa Urbano V, che suscita in Petrarca nuove speranze di riforma della
Chiesa. Muore Azzo da Correggio. L’abbandono di Milano coincide anche con la chiusura del
progetto delle Familiares che non accompagnerà oltre l’esistenza del poeta. La lettera di congedo
all’amico ‘Socrate’ (Familiares XXIV 13) è del giugno 1361. Il registro della sua vita e dei suoi temi
sarà affidato, da qui in avanti, alle lettere della vecchiaia, le Rerum senilium libri. Il libro I di questa
opera registra i molti inviti fatti a Petrarca per cambiare di nuovo città: da Avignone, dove la morte
di Zanobi da Strada aveva reso vacante il posto di segretario apostolico, a Napoli, dove l’Acciaiuoli
e il Nelli lo avrebbero voluto; a Praga, dove era reclamato dall’imperatore. Nel 1362, dopo questi
vani tentativi e un breve tirotno a Milano in Gennaio, Petrarca abbandonò Padova, in cui era
arrivata la peste, e si stabilì a Venezia. A Venezia, che aveva una prestigiosa intellettualità, una
esercitata cancelleria e una diplomazia ben formata, Petrarca non poteva offrire né il prestigio
della propria presenza né le proprie arti oratorie: la sua unica ricchezza erano i libri accumulati nel
corso degli anni. La offrì al Senato in cambio di una casa (se non di un vitalizio). Gli accordi presi
con l’amico Benintendi Ravagnani, allora cancelliere, prevedevano (Varie XLIII) che la biblioteca,
donata alla Chiesa di San Marco, avrebbe dovuto costituire il nucleo di un’istituzione pubblica. Il 4
settembre 1362 il Senato accolse la proposta, offrendo in cambio il Palazzo Molin, sulla riva degli
Schiavoni, che fino al 1368 rimase residenza preferita del Petrarca. La donazione comunque non
andrà a buon fine. A Venezia Petrarca arrivò l’11 settembre e qui gli giunse la notizia della morte di
Innocenzo VI, avvenuta il 12. Al soglio pontificio salì Guillaume de Grimoard, che prese il nome di
Urbano V. Il papa chiamò subito Petrarca ad Avignone promettendo alcuni benefici anche se
Petrarca preferì restare a Venezia.

1363
Ospita a Venezia, in primavera, Boccaccio per tre mesi (e poi, fino a settembre, Leonzio Pilato).
Poco dopo apprende la notizia della morte di Lelio e di Francesco Nelli; in ottobre anche di quella
di Barbato da Sulmona, a cui probabilmente aveva appena inviato la raccolta delle Epystole. Al
primo luglio risale, forse, la prima attestazione di un lavoro, già in fase avanzata, intorno al
Triumphus Fame; altri interventi sono testimoniati all’inizio del 1364. Nell’autunno è ospite dei
Visconti nel castello di Pavia; forse visita a Milano la figlia Francesca, il genero Francescuolo da
Brossano e la nipote Eletta.

1364
Nell’inverno, dopo un soggiorno a Bologna, si reca ne Casentino, su invito di Roberto da Battifolle.
Durante la primavera e l’estate appone le cosiddette ‘grandi giunte’ al Bucolicum carmen. Assume
al suo servizio il copista ravennate Giovanni Malpaghini, allievo di Donato Albanzani, che divenne il
copista delle Familiares e dei Rerum vulgarium fragmenta. In autunno si reca alle terme di Abano a
curare la scabbia. Nella primavera fece da intermediario tra la Serenissima e Luchino del Verme, il
condottiero ingaggiato dalla repubblica per reprimere la rivolta di Candia. Nell’autunno inviò
l’ultima vana esortazione all’imperatore Carlo IV affinché scendesse in Italia (Familiares XXIII 21) x

1365
Trascorre un lungo periodo, dall’estate a dicembre, a Pavia, compiendo numerosi viaggi a Milano.
All’inizio dell’anno, Petrarca aveva ottenuto un canonicato a Firenze, a patto di rinunciare a quello
che deteneva a Monselice, ma la rinuncia non avvenne e lo scambio non andò in porto. Alla fine
dell’estate si recò a Pavia, dove risiedette sotto la tutela dei Visconti, fino al termine dell’anno.

1366
All’inizio di gennaio Donato Albanzani gli comunica la notizia della morte di Leonzio Pilato. La figlia
Francesca e il genero (che già da tempo abitavano a Venezia) si trasferiscono nella casa di Venezia
di Petrarca, dove, in gennaio o in febbraio, nasce il nipote Francesco. In primavera giunge a
termine la trascrizione del De vita solitaria e Petrarca ne invia copia al dedicatario Philippe de
Cabassoles. Scrive una lunga lettera (Sen. VII 1) a Urbano V esortandolo a riportare la sede papale
a Roma. Dapprima la mandò a Francesco Bruni perché la leggesse e la sottoponesse poi a Philippe
de Cabassoles e ad Agapito Colonna; solo se tutti i lettori avessero dato parere favorevole, Bruno
avrebbe dovuto consegnarla in segreto e senza clamori al Pontefice. Fu il più grande successo
politco e diplomatico del Petrarca, visto che Urbano V sarebbe tornato a Roma alla fine dell’aprile
1367. Da luglio a dicembre soggiorna nuovamente a Pavia; riprende i contatti con Pandolfo
Malatesta, rinconciliatosi con i Visconti. Il 4 ottobre termina la composizione del De remediis
utriusque fortune. Nell’autunno Giovanni Malpaghini completa la trascrizione delle Familiares,
inizia quella del Canzoniere (ms, Vat. Lat. 3195). Giunge a conclusione anche il Bucolicum carmen.
A dicembre, rientrato a Venezia, Petrarca riceve copia della traduzione di Omero.

1367
Durante la primavera è a Padova, dove il 21 aprile, Giovanni Malpaghini annuncia l’intenzione di
abbandonare il suo servizio. Giovanni si mette in viaggio per la Provenza, ma si ferma a Pavia, dove
viene accolto da Francescuolo da Brossano. In maggio Petrarca si reca a Pavia, e lì incontra il
Malpaghini, che per breve tempo ritorna al suo servizio. Durante il viaggio scrive il De sui ipsius et
multorum ignorantia, contro quattro giovani averroisti veneziani (Leonardo Dandolo, Tommaso
Talenti, Zaccaria Contarini, Guido da Bagnolo) che avevano dato un cattivo giudizio della sua
cultura: l’opera sarà dedicata, nel 1370, a Donato Albanzani. Ai quattro studenti, rappresentanti di
un aristotelismo accademico assai vivo tra Padova e Bologna, che poneva l’accento sulle scienze
naturali contro la letteratura e la filosofia morale, Petrarca rimproverò la cieca sottomissione
all’autorità di Aristotele e l’orientamento culturale ispirato a un vano tecnicismo e privo di
contenuti davvero umani. Lì a Pavia ha notizie del viaggio del papa che ritorna a Roma, tanto che
In giugno papa Urbano V scende in Italia e soggiorna a Viterbo. A metà di novembre Petrarca
ritorna a Venezia e prosegue in proprio la trascrizione del Canzoniere: continuerà il lavoro fino alla
morte. Lì scrive anche una lettera al papa Urbano V, la Seniles IX 1 scritta a Venezia tra la fine del
1367 e l’inizio del 1368, della quale si conserva l’autografo nel primo fascicolo del manoscritto 972
della Biblioteca Riccardiana di Firenze. La lettera consiste in una appassionata difesa dell’Italia, in
replica a un’orazione pronunciata alla presenza del pontefice, poco prima della sua partenza da
Avignone, dal canonista Ansel Choquart su mandato del re di Francia Carlo V. Muore Guido Sette a
cui Petrarca scrisse una lettera che ne costituisce una sorta di autobiografia, risale più o meno al
20 novembre, data della morte del vescovo di Genova.

1368
All’inizio della primavera si trasferisce a Padova, ospite di Francesco da Carrara, che gli aveva fatto
dono di un terreno sui Colli Euganei. Alla fine di aprile accompagna Francesco da Carrara a Udine,
insieme al vescovo di Padova Pietro Pileo per incontrare l’imperatore Carlo IV, di nuovo in Italia.
Nel maggio è ancora a Pavia, dove fu convocato da Galeazzo Visconti (Seniles XI 2) dove con il
beneplacito dell’imperatore prese parte alle trattative che portarono in breve all’accordo di pace
siglato a Modena il 27 agosto. Lì a Pavia era morto da poco il nipotino Francesco. Ritorna a Padova
in luglio. Durante l’estate riprende il lavoro al De viris illustribus, dietro invito di Francesco da
Carrara, e forse inizia a comporre il De gestiis Cesaris. Stringe amicizia con Lombardo della Seta e
Giovanni Dondi dall’Orologio. Riceve una nuova visita di Boccaccio.

1369
In primavera inizia la costruzione di una casa ad Arquà, sui colli Euganei, in un terreno donatogli da
Francesco da Carrara. In giugno compie la sua ultima visita a Pavia. Verso la fine dell’anno il papa
lo invita personalmente a recarsi a Roma.

1370
In marzo prende possesso della casa di Arquà. Il 4 aprile stila, a Padova, il suo testamento, in
previsione dell’imminente viaggio a Roma. Si tratta di un autoritratto lontano dalla stringata
formularità dei documenti legali. Vi si rintracciano numerose suggestioni letterarie – da Cicerone
ad Agostino – che portarono a una discreta fortuna manoscritta del testamento. Tra i suoi
possedimenti, elencati e divisi, c’era una tavola di Giotto raffigurante la Vergine, avuta dal
fiorentino Michele Vanni, che donava a Francesco da Carrara. Parte effettivamente, ma è colpito
da una sincope a Ferrara e deve ritornare a Padova. Non avrebbe potuto comunque, come da sue
intenzioni, porre il suo omaggio al papa perché il 17 aprile Urbano V aveva abbandonato Roma e
dopo aver passato un’estate di attesa in Tuscia sarebbe tornato il 27 settembre 1370 ad Avignone,
costretto dai cardinali francesi a rientrare. Verso la metà di giugno si trasferisce ad Arquà, dove
verrà raggiunto dalla figlia e dal genero.
1371
Petrarca si muove tra Padova e Arquà. Forse in quest’anno riprende la stesura dell’epistola
Posteritati e, su ispirazione di Giovanni degli Abbarbigliati, priore dei Camaldolesi, scrive la
cosiddetta Adductio romuldiana al De vita solitaria. A gennaio viene a sapere della morte del papa
e dell’elezione di Gregorio XI: progetta un viaggio in Provenza, mai realizzato. Durante l’estate
lavora a Poi che la bella e gloriosa donna, capitolo rifiutato del Triumphus Fame.

1372
Nei primi mesi dell’anno progetta di recarsi a Perugia, dove Philippe de Cabassoles si trovava in
qualità di legato papale: ne è prima impedito dalle condizioni di salute e poi dalla morte, avvenuta
in agosto, dell’amico. Forse in questo periodo, su richiesta di Francesco da Carrara, intraprende la
stesura di brevi biografie di personaggi celebri per il progetto iconografico della Sala virorum
illustrium del palazzo di Padova. Nell’autunno la tensione tra Padova e Venezia sfocia in guerra
aperta: il 15 novembre è costretto a lasciare Arquà e rifugiarsi a Padova. Il 2 ottobre svolge l’ultima
missione diplomatica nella guerra delle frontiere con Venezia. Prese perciò la parola nell’umiliante
cerimonia in cui Francesco Novello, figlio del signore di Padova, fu costretto a riconoscere
pubblicamente davanti al Senato e al doge di Venezia che la responsabilità della guerra ricadeva
interamente sui Carrara e accollarsene le ingenti indennità. Un testimone, Nicoletto d’Alessio,
descrive il poeta come stanco, provato, autore di un tremolante discorso tenuto con voce incerta.

1373
Il 4 gennaio invia una copia del Canzoniere a Pandolfo Malatesta, (‘forma Malatesta’), che morirà
poco dopo. Di questo stesso anno è anche la ‘forma Queriniana’. Aveva inviato un messo all’inizio
del 1373, Uguccione da Thiene, a cui Petrarca gli mostrò un’opera scritta nel 1370 dal monaco e
teologo francese Jean de Hesdin in risposta alla lettera inviata da Petrarca a Urbano V. Durante
l’inverno scrisse la Invectiva contra eum qui maledixit Italie, in risposta al francese Jean de Hesdin,
che era stato, tra l’altro, tra i maggiori fautori del ritorno in Francia di Urbano V. Traduce in latino
la novella boccacciana di Griselda (Dec. X 10) e la manda a Boccaccio (Sen. XVII 3) con il titolo De
insigni obedientia et fide uxoria. All’inizio dell’estate, finita la guerra tra Padova e Venezia, torna
ad Arquà. Nuove correzioni al Triumphus Cupidinis. Il 27 settembre si reca in missione a Venezia
per le trattative di pace, perché la situazione di guerra preoccupava e non poco il nuovo papa
Gregorio XI, succeduto il 5 gennaio 1371 a Urbano V.

1374
Il 15 gennaio comincia la stesura del Triumphus Eternitatis, concluso il 12 febbraio e ritoccato in
seguito. Forse durante la primavera interviene per l’ultima volta sull’ordinamento dei testi del
Rerum vulgarium fragmenta. Muore ad Arquà nella notte fra il 18 e il 19 luglio. La tradizione vuole
che il poeta sarebbe stato trovato morto col capo appoggiato su un libro si divulga a partire da una
lettera di Giovanni Manzini della Motta del 1 luglio 1388. Già nel 1380, nel completare il
Compendium del De viris, Lombardo della Seta scriveva che Petrarca morì proprio mentre lavorava
a quell’opera. Il primo a darne notizia fu il medico Giovanni Dondi, in una lettera inviata a un
collega, probabilmente Giovanni Dell’Aquila, all’indomani dell’evento. La funzione funebre
avvenne il 24 luglio ad Arquà. La tomba fu violata nel 1630 dal frate Tommaso Martinelli di
Portogruaro, che si disse fosse stato assoldato dai fiorentini per il furto del braccio destro del
cadavere.

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