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DANTE ALIGHIERI

FRIDA MARANGONI

Dante Alighieri nasce intorno a fine maggio 1265 a Firenze. Questa data è presunta,
la sola certezza è che nasce tra maggio e giugno.
Tutta la sua vita deve esser letta all’interno della situazione politica che vive Firenze
in quel periodo. Infatti, quando Dante nasce Firenze sta per diventare la città più
potente dell’Italia centrale, detentrice del fiorino d’oro, la moneta di scambio
dell’intera Europa mercantile.

Originario di una famiglia della piccola nobiltà, quella degli ALIGHIERI, Dante
incontra la Beatrice, la donna al centro della sua poesia quando ha appena nove anni,
nel 1274 e se ne innamora perdutamente sin dal primo istante: Beatrice è realmente
esistita col nome di Bice di Folco Portinari.

Per quanto riguarda la sua formazione, Dante Alighieri porta a compimento studi
filosofici e teologici presso le scuole francescana e domenicana.
Durante gli studi Dante comincia una corrispondenza con dei giovani poeti, gli
stilnovisti.

Nella raccolta di componimenti poetici "Rime" di Dante Alighieri troviamo tutta la


poetica dell’autore riconducibile alla poetica dello STILNOVO.

Quando ha vent’anni Dante sposa Gemma Di Manetto Donati, parente della grande
famiglia nobile, con la quale ha quattro figli: Jacopo, Antonia, Giovanni e Pietro.

Dante viene coinvolto nelle problematiche della Firenze in lotta tra Guelfi Bianchi e
Guelfi Neri, schierandosi col partito dei bianchi in difesa dell’indipendenza della città
e opponendosi all’egemonia di Papa Bonifacio VIII.
QUESTA SUA FEDE POLITICA SARA’ ARGOMENTO CHIAVE DI TANTE
OPERE LETTERARIE e sarà spiegata in modo eccellente grazie alla TEORIA DEI
DUE SOLI (una la CHIESA, l’altro il POTERE POLITICO)

Nel 1300 Dante viene nominato “Priore” insieme ad altri cinque col compito di
custodire il potere esecutivo. Si trattava del ruolo più alto ruolo di magistrato del
governo della Signoria. A livello pratico i sei “Priori” devono prendere la difficile
decisione di far arrestare i più feroci leader dei due schieramenti, Guelfi e Ghibellini,
e ulteriormente Guelfi Bianchi e Neri.

Nel 1301 Dante, SOSTENITORE DEI GUELFI BIANCHI, viene accusato di


corruzione alla corte del Papa mentre i Neri prendono il sopravvento, sostenuti dal
pontefice.
Dante viene processato e condannato, sospeso dai pubblici uffici e obbligato a pagare
una grossa cifra per fare ammenda.
Poiché non si presenta davanti ai giudici viene condannato alla confisca dei beni e al
boia, qualora si facesse trovare nel territorio del Comune di Firenze.
Dante è quindi costretto all’esilio, ingannato da Bonifacio VIII, che lo ha trattenuto a
Roma mentre i Neri prendevano il sopravvento sui Bianchi a Firenze. Proprio per
questa ragione Bonifacio VIII meriterà un posto speciale nell’Inferno di Dante.

Dal 1304 Dante inizia il suo lungo esilio dall’amata Firenze.

Negli anni dalla morte di Beatrice fino all’esilio Dante studia approfonditamente la
filosofia, considerata scienza profana, e compone liriche d’amore scostate dal ricordo
di Beatrice, lasciando il passo alla “donna gentile”: si assiste così al
SUPERAMENTO DELLO STILNOVO, a vantaggio di una FILOSOFIA propria che
diventa molto simile alla TEOLOGIA.

Tra il 1304 e il 1307 Dante scrive il “Convivio”, un trattato scritto in lingua volgare
che diventa un’enciclopedia del sapere pratico.
Non potendo più stare a Firenze, Dante viaggia di corte in corte a seconda delle
opportunità che gli vengono offerte e prosegue nei suoi studi.

La sua opera in assoluto più celebre, “La Divina Commedia”, Dante comincia a
scriverla nel 1306 e da quel momento ci lavora per tutta la vita.
Il fatto di essere esiliato e di accettarlo fanno sì che lui cominci “a far parte per se
stesso” e a smettere di tentare un forzato rientro a Firenze. La sua solitudine e la
realtà diventano reali e Dante si stacca da una realtà che ritiene corrotta e ingiusta.

Del 1308 è il suo "De vulgari eloquentia", trattato in latino su lingua e stile in cui
Dante revisiona i diversi dialetti della lingua italiana con i loro difetti, compreso il
fiorentino. Con quest’opera fonda la teoria di una lingua volgare che chiama
“illustre”, frutto di un lavoro di pulizia portato avanti dagli scrittori italiani
collettivamente. Si tratta del primo manifesto per la creazione di una lingua letteraria
italiana nazionale, fondamentale fino ad oggi.

Nel 1310 arriva in Italia Enrico VII e Dante spera ardentemente che restauri il potere
imperiale, così da avere il permesso di ritornare a Firenze. Il sovrano, però, muore.
Dante in questo frangente compone "La Monarchia", opera in latino, in cui dichiara
che la monarchia universale è essenziale per la felicità terrestre degli uomini e che
mai il potere imperiale deve sottomettersi a quello della Chiesa.

Dante si interessa e tratta i rapporti tra Papato e Impero, sostenendo che al Papa vada
il potere spirituale e all’imperatore quello temporale.
Nel 1315 gli viene offerto di tornare a Firenze ma le condizioni sono così umilianti
che rifiuta.
Nel 1319 Dante riceve un invito per andare a Ravenna dal Signore della città, Guido
Novello da Polenta e viene inviato a Venezia, nel 1321, come ambasciatore.
Tornato da Venezia Dante viene contagiato e si ammala di malaria.
Muore a 56 anni a Ravenna, nella notte tra il 13 e il 14 settembre di quell’anno.
A Ravenna si torva la sua tomba.

POETICA E PENSIERO POLITICO.

Dante ha una visione religiosa della realtà che sta alla base del suo pensiero e della
sua poetica.
Proprio da questa visione deriva la concezione di storia di Dante, che è diversa da
quella moderna: per Dante la storia è una manifestazione lineare e progressiva di
verità cristiane e di segni divini.
Dante, quindi, interpreta tutti gli accadimenti storici alla luce della concezione
cristiana.
La COMMEDIA per questo viene chiamata DIVINA: essa è una critica del presente e
della società contemporanea, ingiusta e viziata.
Nell’Inferno la caduta è quella di Firenze e della sua vita comunale, che si basa su
avidità e profitto. Oltre all’avidità pubblica Dante fa riferimento anche a un’avidità
psicologica alimentata da vizi del corpo, come gola e lussuria, e della mente
(aderendo a forme di impegno o disimpegno che vanno contro la prospettiva
cristiana).

La concezione di politica di Dante deriva soprattutto dalla sua esperienza di esilio;


tutto il vagare che ne deriva porta Dante a maturare un rifiuto nei confronti della
frammentazione data dai Comuni, appoggiando un modello universalistico. Dante
sostiene in molte sue opere la legittimità totale del potere imperiale, concesso
secondo lui direttamente da Dio perché l’umanità sia gestita al meglio.

Per quanto riguarda filosofia e teologia, il problema principale inquadrato e affrontato


da Dante nelle sue opere riguarda il rapporto tra filosofia divina (teologia) e filosofia
umana. Nel “Convivio”, in particolare, Dante afferma e ribadisce l’indipendenza dei
due campi arrivando ad accettare l’unione tra fede e religione.

La lingua, infine, nel pensiero e nella poetica dantesca consiste nel valorizzare il
volgare, messo al pari degli argomenti più illustri e prestigiosi.
LE OPERE POETICHE che voglio analizzare sono le RIME e la VITA NOVA

la Vita Nova in particolare è la raccolta di componimenti poetici che Dante scrive per
Beatrice
Essa si divide in due parti: IN VITA e IN MORTE di Beatrice
si crea un percorso all’interno delle poesie per cui Beatrice, donne in carne ed ossa e
reale perde i suoi tratti umani e diventa per Dante un ANGELO, un tramite per
raggiungere il Signore: ogni tratto fisico si perde e trascolora in una dimensione
TEOLOGICA. Così l’amore per Beatrice diventa AMORE PER DIO

E’ proprio Beatrice a guidare Dante nel Paradiso: Inferno e Purgatorio sono due
dimensioni in cui Dante viene guidato da Virgilio, grande poeta latino che però non
può accompagnarlo in Paradiso perché vissuto e morto prima della venuta di Cristo e
quindi ateo; in Paradiso Beatrice, Santa Lucia e la Madonna conducono Dante fino
alla Candida Rosa dei Beati e alla Luce Eterna di Dio.
Beatrice diventa BEATRIX BEATIFICANS cioè COLEI CHE DONa LA
BEATITUDINE DIVINA

in particolare il sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare

Tanto gentile e tanto onesta pare


la donna mia, quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua devèn, tremando, muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.
Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente e d’umiltà vestuta,
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ’ntender no la può chi no la prova;
e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: Sospira.

Ecco la parafrasi:
È talmente nobile d’animo e tanto piena di decoro la mia signora, che quando rivolge
ad altri il saluto, ecco che tutti ammutoliscono e abbassano lo sguardo, perché non
hanno il coraggio di guardarla.
Ella procede, sentendosi lodare, benevola e mite nel comportarsi, e sembra che sia
una creatura discesa sulla terra per compiere un miracolo.
Si dimostra così bella a chi la ammira che trasmette, tramite gli occhi, una dolcezza al
cuore,
tale che non la può capire chi non l’ha provata;
sembra che dalla sua fisionomia esca uno spirito dolce ricolmo d’amore
che va dicendo all’anima: Sospira.

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