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DANTE ALIGHIERI

1. La vita
Nacque a Firenze nel 1265 da nobile famiglia guelfa: il suo trisavolo προπάππους,
Cacciaguida, aveva partecipato alla seconda crociata, trovandovi morte gloriosa. Perdette
ben presto la madre e il padre. Sin da giovane si fece una cultura seria e profonda, nella
quale ebbe come maestro e guida spirituale Brunetto Latini. Ben presto rivelò interessi
per la poesia e si legò di profonda amicizia con Guido Cavalcanti. Giovanissimo si
era innamorato di Beatrice (Bice Portinari, andata sposa a Simone dei Bardi); la
donna, morta nel 1290 a soli ventiquattro anni, fu l'ispiratrice dei suoi primi versi e,
più tardi, della Divina Commedia. Seguendo i princìpi dello Stil novo, Dante idealiz-
zò la donna amata, descrivendola come uno spirito celeste inviato sulla terra per pu-
rificare l'uomo ed innalzarlo a Dio.
Alla morte di Beatrice, Dante passò un periodo di sconforto, dal quale potè
sollevarsi trovando conforto nello studio della filosofia e nella partecipazione attiva alla
vita politica della sua città. Accanto alla poesia infatti egli sentì vivissimo l'interesse per
la politica: non per nulla aveva seguito l'alto insegnamento di Brunetto Latini. Dopo aver
preso parte da giovane ad alcune imprese militari, si dette alla vita pubblica, iscrivendosi
all'arte dei medici e degli speziali: secondo gli ordinamenti di giustizia di Giano della
Bella l' iscrizione alle arti era necessaria per partecipare all'amministrαzione del
comune. Militò tra i Guelfi bianchi; a Firenze, scacciati i Ghibellini dopo la sconfitta e
la morte di Manfredi a Benevento, i Guelfi si erano divisi in Bianchi e Neri. Questi
ultimi erano strettamente legati al Pontefice ed erano guidati da Corso Donati, mentre
i primi erano più desiderosi di autonomia e facevano capo alla famiglia dei Cerchi.
Dante nel 1300 fu eletto Priore, la più alta magistratura del Comune. In seguito a
violenze e ad atti di sangue, in quello stesso anno i Neri furono banditi (con loro furono
banditi per la verità anche i capi dei Bianchi, tra cui Guido Cavalcanti, che però vennero
poco dopo richiamati), ma chiesero l'appoggio papale per poter ritornare in Patria. Papa
Bonifacio VIII inviò a Firenze Carlo di Valois col pretesto di metter pace tra le fazioni,
ma in effetti per portare al potere i Neri: e così avvenne. I capi dei Bianchi furono esiliati,
Dante fu trattenuto con un pretesto a Roma dov'era stato mandato in ambasceria al Papa
per cercare di salvare la libertà di Firenze, e poi fu condannato a morte in contumacia
sotto la falsa accusa di baratteria. απάτη Era il 27 gennaio 1302: il poeta non avrebbe
mai più rivisto la sua amata città. Dapprima Dante si unì ai Bianchi in esilio che,
accordatisi con gli altri fuorusciti fiorentini, tentarono di ritornare in città; ma una
sconfitta alla Lastra nel 1304 ne dissolse le speranze, ed il poeta si staccò dai
compagni, dei quali non approvava né i metodi né i progetti.
Ebbe così inizio il suo lungo e definitivo esilio. Lontano dalla moglie e dai
figlioletti rimasti in patria, vagò presso vari signori italiani, ospite, tra gli altri, a Verona
prima di Bartolomeo e più tardi di Can Grande della Scala, e in Lunigiana dei marchesi
Malaspina. Seguì con delusa ansietà la discesa in Italia dell'Imperatore Arrigo VII, che
forse avrebbe potuto farlo ritornare in patria, ma questi purtroppo morì improvvisamente
nel 1313 presso Siena. Dopo aver rifiutata sdegnosamente un'amnistia a patto che si
fosse riconosciuto colpevole, trascorse gli ultimi anni a Ravenna alla corte di Guido
da Polenta. Qui si spense nel 1321; e qui le sue ossa ancora riposano nella chiesa di
San Francesco.

2. La « Vita nuova »

L'opera giovanile di Dante è costituita da un libretto di 42 capitoli in prosa


mista a versi, intitolato Vita nuova, cioè vita rinnovata e purificata dall'amore: è il
racconto dell'amore per Beatrice, iniziato quando il poeta aveva solo nove anni e
concluso con la morte precoce della giovane donna. La prosa costituisce il racconto
della singolare vicenda e commenta le poesie (talune delle quali scritte
precedentemente) che vi sono intervallate.
Dopo il primo incontro, passati nove anni, Dante rivede Beatrice e ne ottiene
il saluto. Estasiato, compone per lei i suoi primi versi, ma, per timore che la donna
oggetto del suo sentimento sia da tutti conosciuta, finge di indirizzarli ad altra
persona che chiama donna dello schermo: Beatrice, indignata, gli toglie il saluto.
Addolorato, il poeta approfondisce nel proprio animo la natura del suo amore e il
carattere della sua ispirazione, e decide di esprimere senza veli i propri sentimenti:
nascono così le poesie in lode di Beatrice, che sono tra le più belle liriche dello Stil
novo. Gravi sventure però incombono: dapprima muore il padre della fanciulla, poi,
dopo un cu-po sogno premonitore, muore la stessa Beatrice. Dante ne proverà un
profondissimo turbamento, da cui lo solleverà per breve tempo il mesto sorriso
consolatorio di una donna gentile; ma Beatrice gli comparirà in sogno, ristabilendo
nel suo cuore quella pace soave che col suo amore vi aveva generato. Dante allora si
propone di scrivere per lei qualcosa, quello che mai fu detto per altra donna: è il
preannuncio della Divina Commedia.
La Vita nuova rappresenta l'esperienza poetica più alta del dolce stil novo.
Dante non si limita alla descrizione dello stato paradisiaco a cui l'apparizione di
madonna conduce il poeta: il suo racconto (che tra l'altro conquista allo Stil novo la
prosa, una prosa lievitante di notazioni e suggestioni poetiche) investe un'intera
esperienza di vita. Beatrice è una figura angelica che dalla sua prima apparizione
avvince Dante e lo purifica, elevandone i sentimenti, e che riesce a riportarlo allo
stesso livello di salute spirituale anche dopo morta, mantenendovelo per sempre: la
sua funzione supera perciò la breve esperienza d'amore caratteristica degli altri
stilnovisti, per diventare fondamento di eterna salvezza.
Per questo rappresenta anche un primo esempio di interpretazione figurale della
realtà; di quel criterio cioè di considerare i fatti della vita nel loro immediato senso ter -
reno, ma nello stesso tempo come simbolo ed anticipazione del proprio destino eterno.
Si discusse a lungo se Beatrice sia realmente esistita o sia una pura creazione
intellettualistica, conforme ai precetti della scuola stilnovistica; e se quindi la Vita
nuova sia il racconto di fatti reali, sia pure interpretati secondo l'intuizione
stilnovistica dell'amore ascetico, o invece rappresenti la storia simbolica
dell'iniziazione di un giovane intellettuale.
Oggi essa è comunemente intesa come trasfigurazione poetica di semplici ed
ingenue esperienze reali: ed è quindi letta come la più alta conclusione della
psicologia amorosa stilnovistica e come punto di partenza dell'evoluzione spirituale
di Dante.

3. Il « Convivio » συμπόσιο

La crisi che travagliò il poeta alla morte di Beatrice non è soltanto un momento di
disperato dolore per la perdita dell'amata, ma ha anche un significato spirituale e
culturale più profondo. Con la Vita nuova Dante portò a conclusione la concezione
stilnovistica della salvezza a cui misticamente si perviene attraverso l'amore. In
seguito il poeta dovette sentire la precarietà di una tale salvezza, affidata solo al
sentimento e raggiunta per una sorta di trasporto mistico e non attraverso una
scelta autonoma, una decisione ponderata e un maturo convincimento, e avvertì che
nell'animo umano ci sono altre esigenze, altrettanto vitali quanto l'amore e forse di
esso più salde perché ancorate alla ragione, che chiedono di essere approfondite per
concorrere al fine supremo dell'uomo, cioè al superamento degli angusti limiti
terreni e alla conquista di Dio.
L'impegno politico e la ricerca della verità con la meditazione e lo studio furono
le prime esigenze, come s'è visto, che Dante cercò di soddisfare dopo il grave turbamen to
in cui lo gettarono la morte di Beatrice e la conseguente crisi della concezione
stilnovistica. L'esperienza politica, che purtroppo fu un'amara delusione, contribuì
ad allontanarlo per sempre dallo Stil novo, avviandolo verso una cultura di
contenuti concreti e reali.
Visti fallire i primi tentativi per ritornare in patria, Dante consolò il proprio
esilio riprendendo gli studi e coltivando la poesia. Alla Vita nuova, ricordo del dolce
amore per Beatrice e delicata poesia ispirata alla gentile concezione stilnovistica, seguì il
Convivio, un'opera incompiuta, elaborata tra il 1304 e il 1307, mista di prosa e di
versi, che voleva essere una specie di enciclopedia in volgare, un'esaltazione della
scienza concepita come il mezzo indispensabile per conoscere la verità ed elevarsi
alla contemplazione di Dio.
Dante ha ormai completamente superato la concezione stilnovistica: a
Beatrice, la donna che col suo amore innalza a Dio l'animo umano, succede una
donna gentile, simbolo della filosofia. Dio e la salvezza dell'anima non si possono più
raggiungere attraverso un'ascesi mistica prodotta dal sentimento d'amore, ma seguendo la
filosofia e il sapere, cioè attraverso la ragione che, indagando la realtà, mette l'uomo nella
condizione di conquistare la verità e, con essa, di contemplare Dio creatore, causa ed
effetto di ogni cosa. Il mondo dello Stil novo e della Vita nuova è superato, non
rinnegato: nella Vita nuova la donna gentile aveva per un momento allontanato Dan-
te dal pensiero di Beatrice, qui invece, simboleggiando la filosofia, essa conduce
Dante alla stessa meta di Beatrice, la salvezza, ma attraverso il sapere e la ragione ,
cioè con un più radicato e sicuro possesso, quale solo la conoscenza, la riflessione e la
persuasione possono dare. Lo strumento della salvezza è dunque la conoscenza:
soltanto nello sforzo continuo di applicazione e di studio l'uomo si purifica delle
scorie terrene, liberandosi dall'errore che lo tiene avvinto al mondo con tutte le sue
imperfezioni.
Il Convivio volle essere il tentativo di una sistemazione scientifica del sapere:
ma per i motivi che abbiamo detto esso va molto più in là delle opere scientifiche ed
enciclopediche del tempo. Inoltre è scritto in volgare, perché è indirizzato a coloro
che non conoscono il latino e quindi non possono leggere le opere composte in quella
lingua.
Ma un'enciclopedia in volgare è prima di tutto la visione del mondo di chi usa il
volgare, del tutto diversa dalla precedente cultura in latino dei vecchi ceti, chiusi in se
stessi nelle scuole ecclesiastiche e nelle loro astratte discussioni: è la cultura della
borghesia comunale che ha esigenze e problemi, sia pure nell'ambito del pensiero
medievale, più aperti e sensibili alla realtà della vita cittadina, e perciò il vero fine
dell'opera è illuminare nelle arti utili a reggere i popoli, suscitare nell'animo nobili virtù, e
far ritornare i valori della cortesia e la probità dei costumi. La difesa del volgare, che è
in testa al Convivio, è indirettamente la difesa della civiltà comu nale e del suo
significato storico-politico.
Il latino e l'alto Medio Evo sono ormai tramontati e il loro posto è stato
definitivamente preso dal volgare e da chi lo ha creato come proprio mezzo di
espressione.
Il Convivio, un simbolico banchetto συμπόσιο di scienza, doveva essere formato
da quindici trattati, uno di introduzione e quattordici contenenti ciascuno una canzone
dottrinale e un lungo commento; il poeta però ne ha composti solo quattro. Nel primo,
introduttivo, si illustrano le ragioni dell'opera; negli altri, attraverso il commento a tre
canzoni, il poeta discute della costituzione del cosmo, dell'importanza della filosofia e
dell'autorità del Papa e dell'Imperatore. Le poesie del Convivio sono dottrinali ed
allegoriche, cioè nascondono degli insegnamenti sotto il velo di quanto letteralmente
dicono o descrivono. L'insegnamento è in esse l'elemento più importante. La diversità di
queste canzoni, profonde per concetti e significati, dalla grazia trasparente e luminosa dei
sonetti stilnovistici della Vita nuova deve farci meglio misurare l'evoluzione e
l'approfondimento culturale e spirituale di Dante nei confronti della sua produzio ne
giovanile. Ma una ancora più profonda maturazione interiore fece interrompere al poeta il
suo trattato: siamo ormai alle soglie della Divina Commedia.

4. Il « De Vulgari Eloquentia »

Mentre attendeva επιμελούμαι alla stesura κείμενο del Convivio, Dante iniziò la
composizione di un'opera anch'essa rimasta interrotta (a metà del secondo libro),
intitolata De Vulgari Eloquentia (ammaestramento sull'arte del dire in lingua
volgare). L'opera è in latino perché rivolta ai dotti, quelli che, ancorati alla vecchia
cultura e alla lingua tradizionale del sapere, rifiutavano il nuovo linguaggio e, con
esso, la nuova realtà. Nel Convivio il volgare era difeso con passione, qui invece è
analizzato e discusso su un piano più teorico che pratico. Il volgare è l'unico
linguaggio a cui Dante riconosca le caratteristiche del linguaggio originario, quello
usato da Adamo, che poteva comunicare direttamente con Dio e che, per l'umana
superbia, dal tempo della torre di Babele, si è perso nella confusione delle lingue.
Questo volgare deve essere illustre, cardinale, aulico e curiale, cioè più alto e solenne
d'ogni altro, e deve essere usato dai poeti più insigni per trattare degli argomenti più
nobili (armi, amore e virtù) nelle forme metriche più elevate.
L'opera si compone di due libri: nel primo, dopo le premesse su accennate, è
affrontato il problema di determinare quale debba essere il nuovo volgare della nascente
cultura letteraria italiana: esaminati e scartati i quattordici fondamentali volgari regiona li,
viene indicata la necessità di una lingua illustre che componga in unità i contribu ti
linguistici delle singole regioni, come già si era andata realizzando nelle scuole poetiche
della Sicilia e della Toscana: una lingua cioè puramente letteraria, che dove va essere
espressa dal ceto intellettuale della penisola e divenirne l'ideale punto di incontro. Nel
secondo libro, accettata la tradizionale distinzione dei tre stili poetici (l'elegiaco o umile,
il comico o mediano e didascalico, il tragico, alto e nobile) viene indicato come proprio
dell'auspicato αποδοτικός nuovo volgare solo lo stile tragico, che ha nella canzone
la sua naturale forma metrica.
L'opera è interrotta al xiv capitolo del II libro; probabilmente doveva trattare
ancora di altre forme metriche, come il sonetto, e dello stile e del linguaggio della prosa,
e proporsi quindi come un vero trattato di retorica.
Ma quello che conta veramente è l'affermazione contenuta nel primo libro, che
costituisce la prima vera espressione della nuova poetica dantesca. Il De Vulgari
Eloquentia esprime quindi la fede nella poesia di contenuto etico, civile e religioso,
quella che Dante stava elaborando con le canzoni del Convivio e che avrebbe tra poco
pienamente realizzato con la Divina Commedia. L'ascesi dalla terra a Dio non è più
affidata all'amore e alla delicata poesia di tipo stilnovistico, ma a una piena e
consapevole presenza dell'uomo e di tutte le sue facoltà spirituali, espresse in un
linguaggio poetico robusto e vigoroso.

5. La « Monarchia »

Al tempo della discesa in Italia dell'Imperatore Arrigo VII (1310) rinacquero


in Dante le speranze di poter ritornare in patria: egli seguì dunque quell'impresa
con trepidazione e calore, stendendo alcune epistole ai principi e al popolo italiano
e allo stesso Arrigo VII, ma il suo sogno svanì nel giro di tre anni per l'improvvisa
ed immatura morte dell'Imperatore.
Interrompendo la composizione della Divina Commedia, Dante compose la
Monarchia, un trattato di tre libri in latino, indirizzato ai dotti, in difesa dell'istituto
imperiale, che però non deve essere considerata un'opera occasionale. Infatti il pro-
blema politico aveva da tempo interessato profondamente il poeta, il quale proprio alla
partecipazione politica doveva le sofferenze dell'esilio. La partecipazione attiva alla vita
pubblica è un impegno fondamentale per l'uomo, come più volte si legge, direttamente
ed indirettamente, nella Divina Commedia. E d'altra parte i rapporti tra Chiesa ed
Impero costituivano allora uno dei motivi più gravi di dissenso e di discussione, a
livello sia pratico sia teorico.
I concetti sviluppati nei tre libri sono: (1) un Impero universale, eterno è
l'espressione della naturale tendenza di tutta la creazione verso l'unità; questo Impero
deriva da Dio stesso la propria natura e giustificazione, è cioè universale, eterno e
divino; un unico Imperatore (al di sopra dei singoli sovrani e degli Stati esistenti) è
necessario per riportare pace al mondo travagliato e diviso dalle guerre e dalle contese
civili. 2. Il popolo romano per una particolare grazia divina è stato scelto eternamente
come artefice dell'unico ed eterno Impero universale, e ne costituisce il centro ideale.
(3) Le autorità dell'Imperatore e del Papa sono uguali ed indipendenti, perché
entrambe derivano direttamente da Dio; ne consegue la necessità della loro autonomia,
dell'assoluto rispetto delle proprie reciproche sfere di competenza: il mondo temporale
e quello spirituale, la felicità terrena e la pace eterna dell'uomo. L'intrusione di uno di
questi poteri nell'ambito dell'altro (quale si verifica ad esempio per le pretese
teocratiche e temporalistiche della Chiesa del tempo), turba l'ordine naturale voluto da
Dio, provoca confusioni morali e rovine materiali. Si può se mai, fatta salva la
reciproca autonomia, accettare la superiorità spirituale del Papa per la maggior dignità
del suo fine: la felicità celeste. A simboleggiare la reciproca condizione dei due poteri,
Dante si serve della famosa immagine dei due soli: Impero e Papato sono come due
astri creati ciascuno indipendentemente e brillanti di luce propria, che rientrano così
ciascuno per conto proprio nell'ordine naturale universale.
L'aspirazione alla pace e alla giustizia, che sono i principali e più alti compiti
della monarchia universale, e alla collaborazione degli istituti politici con la Chiesa
per riportare gli uomini sulla retta via e guidarli al loro immortale destino, anima
dall'interno quest'opera caratterizzata da un fervore di idee e da una passione
morale insolite nei trattati contemporanei.

6. Le « Rime »

Nel Canzoniere sono raccolte tutte le rime di Dante non incluse nella Vita
nuova e nel Convivio. La raccolta non ha carattere unitario perché le poesie seguono
l'evoluzione spirituale e poetica di Dante. Infatti alcuni componimenti riflettono il
clima dello Stil novo e risalgono al tempo della Vita nuova, altri rappresentano
l'ispirazione filosofica e morale che circola nel Convivio. Tra questi ultimi ricorderemo
la canzone Tre donne intorno al cor, nella quale il poeta, constatato che gli uomini
hanno messo al bando la Giustizia, esprime la propria fierezza per la condanna all'esilio,
che è da considerarsi prova manifesta della sua rettitudine. Un gruppo di canzoni si
intitolano « rime petrose », o perché indirizzate a una non identificata donna Pietra o
perché scritte in uno stile aspro e duro come la pietra, nelle quali traspare secondo alcuni
una violenta e sensuale passionalità, secondo altri uno sdegno morale acre e risentito:
sono comunque versi lontanissimi dalla delicata e gentile poesia stilnovistica, e perciò
sono un documento del travaglio morale, culturale e poetico da cui uscì la Divina
Commedia.

7. Le « Epistole », la « Quaestio » e le « Egloghe »

Ultime tra le opere minori debbono essere considerate le tredici Epistole in latino,
che il poeta indirizzò, tra il 1304 e il 1319, a vari personaggi. Le più note sono una
lettera a un amico fiorentino, forse un religioso, con la quale Dante, ringraziando,
rifiuta di accettare l'amnistia previa ammissione di colpevolezza, le tre lettere scritte in
occasione della discesa di Arrigo VII (ai re, principi e popoli d'Italia perché lo
accogliessero con devozione e rispetto; ai fiorentini perché cessassero di osteggiarlo;
all'Imperatore stesso perché si affrettasse a conquistare la Toscana e Firenze) e infine
un'epistola a Can Grande della Scala (inviandogli verso il 1317 alcuni canti del Paradiso,
se non l'intera cantica, Dante gli illustra e commenta talune caratteristiche dello stesso
Paradiso e dell'intera Divina Commedia).
La Quaestio de aqua et terra è una lezione pubblica tenuta a Verona, in cui Dante
dimostra che in nessun punto del globo l'acqua è più alta della superficie delle terre
emerse.
Le Egloghe infine sono dei componimenti poetici, che Dante scrisse in latino nel
1319 per difendere il volgare e rifiutare l'invito di recarsi a Bologna rivoltogli dal dotto
Giovanni del Virgilio.

8. La « Divina Commedia »

1. Caratteri generali.
La « Commedia » — che poi i posteri chiamarono divina per il suo contenuto e
per l'altezza della sua arte — è il poema più profondo e più complesso della nostra
letteratura. La sua poesia, spesso difficile, ha una tale ricchezza di sfumature e una
tale intensità e potenza, da poter essere difficilmente uguagliata. In essa è racchiuso
tutto il Medio Evo con le sue istituzioni e i suoi problemi, le sue passioni e le sue
idealità, ma rivissuti da uno spirito che ha saputo elevarli a problemi e sentimenti
universali, di ogni uomo e di ogni età. Attraverso la presentazione e le parole dei suoi
innumerevoli personaggi Dante riesce a cogliere le infinite sfuma- ture dell'animo, da
quelle più abbiette della colpa a quelle più sublimi della redenzione e della santità: la
Divina Commedia è una specie di specchio e di giudizio dell'umanità intera, che uno
spirito di grande moralità e dignità e di profondissima fede ha saputo innalzare sulla
vita a gloria di Dio.
2. La composizione.
La prima idea dell'opera, come si è detto, è presente già nel sogno finale
della Vita nuova: probabilmente in quel momento Dante pensava ad una celebrazione
della figura eterna di Beatrice e della funzione dell'amore come elevazione spirituale e
conquista del soprannaturale e del divino. Ma il poema viene in realtà iniziato una
decina d'anni dopo: anche se mancano testimonianze precise, l'opinione più comune
indica come tempo d'inizio della composizione della Commedia il periodo intorno al
1306, corrispondente all'interruzione del Convivio e forse anche del De Vulgari
Eloquentia. In questi dieci anni l'idea iniziale di Dante si è molto ampliata, così come
è maturato e mutato il suo spirito. L'opera quindi viene concepita secondo
un'ampiezza ed una struttura ben più complesse e significative, tiene conto di tutta una
nuova serie di componenti letterarie, filosofiche e morali.
Nell'immaginare fantasticamente l'aldilà Dante era influenzato da una duplice
tradizione: le descrizioni classiche dell'oltretomba e la letteratura biblico-cristiana di
profezie e di visioni. Tra le prime è evidente l'influsso del VI libro dell'Eneide, con il
dispiegarsi dell'Averno agli occhi di Enea e della sua guida, e del Somnium Scipionis
di Cicerone, con la descrizione della beata condizione che attende in cielo coloro che
vissero secondo virtù e senso del dovere morale.
Nel Medio Evo poi era fiorita una letteratura di descrizioni fantastiche
dell'aldilà: la Visione di S. Paolo, risalente ai primi tempi del Cristianesimo e
trasmessa attraverso varie redazioni successive, alcune composizioni prodotte
nell'ambito del monachesimo irlandese, come la Visione di Tundalo e la Navigazione
di S. Brentano, e da ultimo le narrazioni dell'oltretomba di Bonvesin da la Riva e di
Giacomino da Verona.
Ma l'opera di Dante è solo inizialmente ed esteriormente collegabile con questa
letteratura mediocre e fantasiosa: anzitutto negli schemi del genere della visione egli
colloca non arbitrarie αυθαίρετος fantasie, ma rappresentazioni ordinate secondo una
precisa concezione filosofica e teologica; inoltre egli organizza il suo racconto secondo
un'architettura ampia e complessa, con costante attenzione alle simmetrie tra le singole
parti e con un'abile tecnica narrativa.
3. La narrazione.
Dante immagina di essersi smarrito in una selva (il peccato), dalla quale non si
può più ritornare sulla retta via: deve perciò seguire Virgilio (la ragione), che
attraverso l'Inferno e il Purgatorio lo condurrà a Beatrice (la grazia celeste), la quale
lo solleverà al Paradiso sino a Dio. Come si vede, il poema ha un significato allegorico,
cioè nascosto sotto il puro e semplice racconto dei fatti: l'opera simboleggia il viaggio
ideale che l'anima deve percorrere per uscire dal peccato e ricongiungersi
επανασυνδέομαι a Dio. Con la ragione ci si rende conto del male e se ne prova
pentimento; ma la salvezza si avrà soltanto con l'aiuto della grazia, dopo che se ne sarà
diventati degni έμπιστος, . σεβαστός
Dante immagina l'Inferno come una voragine βάραθρο che si apre a forma di
imbuto χοάνη sotto Gerusalemme. Nove cerchi digradanti κατηφορικός puniscono i
peccatori, ripartiti secondo la gravita delle colpe, con varie pene (alcuni sono
eternamente battuti dalla pioggia o trascinati dal vento, altri sono immersi nel fango o
in un fiume di sangue o in uno stagno ghiacciato, altri ancora sono trasformati in
piante o in serpenti, ecc.); al fondo, nel centro della terra, è collocato Lucifero. Agli
antipodi, nell'emisfero meridionale coperto dalle acque, si innalza la montagna del
Purgatorio, tagliata da sette cornici, dove le anime espiano ανταμείβω εξιλεώνω le
colpe nell'attesa dell'eterna salvezza. Sulla vetta κορυφή του βουνού fiorisce la divina
foresta del Paradiso terrestre. Il Paradiso è concepito come una serie di nove sfere
concentriche ομόκεντρος, i nove cieli che ruotano attorno alla terra: su di essi, nel
cielo empireo στερέωμα, perfetto e immobile, risiedono i beati μακάριος, gli angeli e
Dio. La Divina Commedia è formata da tre cantiche (Inferno, Purgatorio, Paradiso),
ciascuna di 33 canti, tranne l'Inferno che ne ha 34 perché il primo serve da introduzio -
ne a tutta l'opera, che ha così 100 canti; la strofa usata è la terzina: Dante cerca
continuamente la simmetria e l'ordine, specchio dell'ordine e della perfezione divina.
Man mano che si procede, la poesia si fa più difficile, perché la materia umana
(nell'Inferno) diventa divina (nel Paradiso): è come una progressiva liberazione dalle
scorie terrene per ascendere alla purezza assoluta.
4. Il tono poetico
Il tono dell'Inferno è prevalentemente drammatico e realistico: è la cantica
delle passioni sentite nel loro immediato dispiegarsi, come segno della fragilità della
natura umana priva della luce della Grazia, e Dante vi assume spesso l'atteggiamento
del giudice, sempre quello del viaggiatore curioso dei luoghi e delle esperienze umane
che viene facendo.
Il Purgatorio è invece la cantica dell'attesa, dominata dall'elegia della
debolezza umana che sente su di sé la certezza del perdono; e Dante è penitente
μετανοημένος tra i penitenti.
Nel Paradiso la poesia si fa più ardua δύσκολος ed alta: è entusiasmo per la
scoperta della verità, morale e dottrinaria, ma anche tentativo di disegnare, per sé e per
i suoi lettori, un'immagine il più possibile concreta del sovrumano e dell'ineffabile
ανείπωτος, fino al tentativo estremo di esprimere in versi l'essenza stessa di Dio.
5. La vita religiosa e morale.
Attraverso il Convivio Dante aveva sviluppato una concezione più complessa e
profonda della intuizione misticheggiante della lirica stilnovistica: non solo il sentimento
d'amore, ma una consapevole conoscenza della realtà in tutti i suoi aspetti e
problemi può innalzare l'uomo a Dio liberandolo dalle remore della terra. Il
Convivio però fu un esperimento interrotto perché ritenuto inadeguato. Nel Convivio
i problemi venivano affrontati uno alla volta, separatamente, mentre la realtà è un
tutto organico, da cogliersi nella sua compattezza e complessità: la Divina
Commedia, incentrata sul personaggio di Dante e sul suo immaginario viaggio
ultraterreno, consente una visione sintetica ed unitaria.
Il mondo è corrotto per la superbia, l'invidia e l'avarizia: sono corrotti i due
pilastri che reggono la vita e le istituzioni mondane, il Papato e l'Impero, sono
corrotti gli ordini mona'stici, gli istituti civili, gli uomini nei loro più segreti
sentimenti. L'esilio a cui Dante, benché innocente, è stato condannato, ne è una
prova evidente. Precipitato nel peccato (la selva) con tutta quanta l'umanità che egli
in quanto uomo personifica, ne uscirà attraverso un lungo processo razionale
(Virgilio) che lo riporterà alla grazia (Beatrice) dalla quale dipende l'eterna
salvezza.
Quest'esperienza del destino proprio e dell'umanità non è mai però generale ed
sistratta, ma sempre fortemente calata nella storia del suo tempo: è insieme contempla-
zione del destino dell'uomo di ogni epoca e consapevolezza della necessità di operare
in un'età particolarmente difficile e corrotta come la sua in cui vive. Dante è l'aristo-
cratico conservatore che vede intorno a sé l'ascesa della nuova classe mercantile e di
un costume di vita in cui più che la virtù morale contano i beni ed i piaceri materia -
li; che assiste alla crisi delle istituzioni su cui il mondo si era retto per alcuni secoli: e
da tutto questo deriva la coscienza amara della decadenza generale della società
umana.
Per questo la Divina Commedia risente di tutta la letteratura profetica e di
ammonizione scaturita dalle eresie e dalle lotte di rinnovamento morale del mondo
cristiano, parla talora con la stessa voce di grandi moralisti riformatori come S. Pier
Damiani o di mistici profetici come Gioacchino da Fiore. Se all'inizio dell'Inferno
scopo del viaggio appare la redenzione di Dante uomo e peccatore, nel canto XVII del
Paradiso lo scopo assegnato al poema diviene l'ammonizione e la purificazione di tutta
l'umanità del suo tempo.
La meditazione sul peccato è il tramite indispensabile per scavare nella natura
umana corrotta, riaccendendovi il calore del cuore e la luce dell'intelletto, che
consentono il pentimento e la purificazione: attraverso l'Inferno e il Purgatorio,
incontrando dannati e penitenti e parlando con loro, Dante concretamente affonda nel
vivo della realtà umana, nelle sue debolezze e nelle sue ansie di liberazione. La ragione
(Virgilio) illumina le riflessioni di Dante: ma non si tratta di un discorso esterno ed
astratto (com'era stato quello del Convivio), perché i problemi qui sono diventati
personaggi mobilissimi, tutti intrisi ancora delle passioni terrene, e di fronte ad essi
Dante reagisce da uomo sensibile e pronto, dibattendo nel proprio animo aspirazioni e
contrasti.
Quando Virgilio lo lascia, alle soglie del Paradiso terrestre, Dante, grazie a
quanto ha visto, sentito, sofferto e meditato, è giunto a riconoscere, sul puro e
semplice piano della ragione umana, l'ordine creato e voluto da Dio: è una sorta di
novello Adamo, che ha riconquistato la propria libertà spirituale dal peccato ed è
ormai pronto e disposto a ricevere l'illuminazione della grazia che dona l'eterna
beatitudine. Un analogo processo di approfondimento e di conquista si realizza nel
Paradiso: attraverso discussioni con Beatrice e con le anime beate che incontra, via
via Dante si avvicina alla verità.
Illuminato dalla grazia l'uomo progressivamente si accosta alla verità,
conquistandosela in tutti i suoi aspetti: l'indagine della realtà sotto il profilo
scientifico, morale, filosofico, politico, religioso, dapprima fatta con la guida della
ragione e poi con la luce della grazia, consente all'uomo di conoscere quanto
razionalmente Dio gli consente di conoscere: i misteri della fede Dio glieli rivelerà
per intuizione mistica, al culmine del Paradiso, come dono supremo ed anticipazione
di salvezza. Ma la conoscenza dell'ordine supremo della creazione dà all'uomo, così
spiritualmente rinnovato, una forza interiore che lo spinge a prendere in
quell'ordine il suo posto per obbedire ai disegni di Dio e a meritare l'eterna
beatitudine.

6. La Commedia momento conclusivo dell'esperienza di Dante.


Come si vede, anche nella Divina Commedia tutto il sapere umano è
scandagliato e discusso. Ma mentre nel Convivio il poeta si sarebbe dovuto limitare
ad una esposizione di esso frazionata e frammentaria, qui invece la scienza, cioè la
conoscenza del reale, coincide con la conoscenza e la conquista di Dio ed è collocata
in una visione sintetica ed unitaria poiché è sintetica ed unitaria la creazione; inoltre
la scienza acquista la sua giusta dimensione di mezzo per salire a Dio, e tale
dimensione ha i caratteri della realtà e della concretezza perché è rivissuta
nell'esperienza di Dante e di tutti i personaggi che s'incontrano nel poema. Partendo
dalla coscienza della corruzione umana, che si scopre solo nel vivo degli uomini
corrotti e nell'intimo anelito che parla dai buoni ormai defunti, nella Commedia
Dante ha modo di giudicare in concreto l'umanità del suo tempo e di dare ad essa gli
strumenti culturali, morali, politici e religiosi per recuperare la perduta possibilità
di salvezza.
La Divina Commedia conclude il lungo discorso iniziato con la Vita nuova. Lo
stil novo aveva intravisto nel cuore umano e nell'espressione lirica la possibilità di
una ascesi spirituale, poeticamente simboleggiata dalla donna angelicata. Il Convivio
aveva arricchito e approfondito quella esperienza, maturando esigenze
culturalmente più vaste e spiritualmente più complesse, in organica aderenza alla
vita reale e ai suoi problemi. Nella Divina Commedia l'intera vita umana è ribaltata
e indagata sul piano delle scelte decisive ed eterne.
Il personaggio di Beatrice è la spia del processo e dell'evoluzione spirituale e
poetica di Dante: nella Vita nuova essa eleva spiritualmente Dante col suo amore, nel
Convivio lascia temporaneamente il posto alla donna gentile (la filosofia), nella
Divina Commedia infine, trasformatasi nel simbolo della grazia, lò riscatta dal
peccato e gli schiude l'eterna salvezza.
Con Dante possiamo considerare chiuso il Medio Evo: l'uomo ha veramente
raggiunto Dio nella pienezza del sentimento religioso e delle esigenze spirituali e
culturali, che cercavano in Lui l'origine, il centro e la ragione della vita. Tra poco la
storia e la civiltà porteranno altre esigenze, altri problemi, altra sensibilità.

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