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Durante il corso della sua vita Dante muta la sua concezione

riguardo all'amore. Sappiamo infatti che nella giovinezza il poeta


aderisce pienamente agli ideali dello Stil Novo; arrivando poi ad
avere una visione più profonda, matura ed umana di questo
sentimento con l stesura della Commedia.
Nello Stil Novo genera nell'uomo un sentimento di elevazione e di
perfezione che spinge l'uomo a un annobilmento dell'anima
senza però liberare l'uomo dall'angoscia. L'idea principale è che a
questo sentimento non si può resistere dal momento che è insito
nell'uomo. È per tale motivo che la figura della donna-angelo, già
riscontrata in altre scuole poetiche, acquista un’identità nuova:
non è più una metafora o un ornamento retorico (come era nella
poesia cortese), ma è realmente l’Intelligenza mediatrice tra il
poeta e Dio. Tale nobilitazione dell’animo è chiamata ‘gentilezza’,
che sarebbe la perfezione dell’essere, contraria alla nobiltà di
stirpe di sangue che invece era esaltata dalla letteratura cortese e
cavalleresca.
Successivamente Dante comprende che non sempre e comunque
il sentimento amoroso genera un'elevazione dell'animo ma anzi,
a volte, può inchioda l'uomo alla sua animalità allontanandolo da
Dio. Questo lo si può riscontrare nel canto di Paolo e Francesca ;
la quale si rende conto che è proprio la giustizia divina a porla in
quel luogo per l'eternità.

RIME STILNOVISTICHE: TEMA CENTRALE E’ L’AMORE PER LA


DONNA AMATA SECONDO LA TRADIZIONE STILNOVISTICA.
RIME PETROSE: AMORE VERSO UNA DONNA CHE E’
INDIFFERENTE. LA PAROLA CHIAVE E’ PIETRA/PETRA CIOE’
ALLUDE ALLA CRUDELTA’ DELLA DONNA E AL SUO NOME.
1. ES. GUIDO , I’VORREI CHE TU LAPO ED IO
2. COSI’ NEL MIO PARLAR VOGLIO ESSERE ASPRO
L’AMORE NELLA VITA NOVA
nel sogno, Amore dice a Dante di essere il suo padrone, il
suo maestro, il suo signore, infatti il poeta è perdutamente
innamorato di Beatrice e pertanto si sente guidato da Amore
in ogni sua scelta. lo descrive come un signore dall’aspetto
pauroso che gli dice: “Ego dominus tuus” (Vita Nova, III).
 Dante invece non vuole che il vero oggetto del suo amore
sia reso pubblico, e pertanto quando la gente si convince che
lui sia innamorato di un’altra donna, egli non solo non ne è
infastidito ma al contrario approfitta della credenza per
tenere ancora più celato il suo amore per Beatrice.
La terza e forse più sostanziale differenza che è in mio volere
esporvi è l’autosufficienza dell’amore in Dante, in contrasto
con la sua dipendenza quest’oggi.
Dante, dopo aver passato lungo tempo a scrivere della sua
condizione di sofferenza causatagli da Beatrice, in
particolare dal fatto che ella non gli rivolgeva più il suo
saluto, si rende conto che non avrebbe dovuto parlare
sempre e solo del suo dolore ma piuttosto avrebbe dovuto
lodare la sua amata, senza aspettarsi assolutamente nulla in
cambio, infatti alla fine dell’opera il poeta dice: “io spero di
dicer di lei quello che mai non fue detto d’alcuna” (Vita
Nova, XLII). 
Allora cominciai a pensare di lei; e ricordandomi di lei secondo l’ordine
del tempo passato, lo mio cuore cominciò dolorosamente a pentere de lo
desiderio a cui sì vilmente s’avea lasciato possedere alquanti die contra la
costanzia de la ragione” (Vita Nova, XXXIX). Qui Dante si pente di
essersi lasciato andare per un po’ di tempo ad un sentimento
amoroso nei confronti di un’altra donna in seguito alla prematura
morte di Beatrice

IL CONVIVIO E L’AMORE PER LA FILOSOFIA:


L’amore per la filosofia
Dante si avviò alla filosofia, come ci racconta nel Convivio
(II xii), dopo la morte di Beatrice (1290) per risollevarsi
dalla profonda tristezza e disperazione in cui era caduto.
Dedicandosi alla lettura della Consolazione della filosofia di
Boezio e del trattato Sull’amicizia di Cicerone, si innamorò
della filosofia che immagina come una donna gentile, "figlia
di Dio, regina di tutto, nobilissima e bellissima" (II xii 9). Lo
scopo perseguito da Dante nel Convivio (1304-07) è di
condurre tutti gli uomini all’amore della sapienza,
soprattutto chi "per cura familiare o civile ne la umana
fame rimaso", vale a dire quei laici che, per provvedere al
sostentamento della famiglia o per adempiere a impegni
civili, non poterono saziarsi alla mensa della filosofia, e
persino a coloro che per pigrizia non vi si dedicarono.
Dante si propone di imbandire un pranzo, un convivio di
sapienza, rivolto a tutti, dove non verrà servito "lo pane de
li angeli" (I i 7), vale a dire la sapienza divina, come accade
alla mensa dei chierici dove si parla latino, ma del "pane
orzato" (I xiii 12), fatto cioè di un cereale grezzo che è la
filosofia in lingua volgare. L’uso del volgare fu dettato dal
desiderio di essere compreso da "principi, baroni, cavalieri,
e molt’altra nobile gente, non solamente maschi ma
femmine, che sono molti e molte in questa lingua, volgari e
non letterati" (I ix 5). Dante intende quindi alla lettera la
frase della Metafisica di Aristotele, citata in apertura del
Convivio, secondo cui "tutti li uomini naturalmente
desiderano di sapere" per questo si adopera affinché il
diritto alla conoscenza filosofica sia alla portata di tutti. Del
resto, la posta in gioco è la felicità dell’uomo raggiungibile
soltanto mediante la pratica della filosofia.

DE VULGARI ELOQUENZA: L’AMORE PER IL VOLGARE


Dante però si allontana nettamente da quella tradizione
e progetta un'opera ambiziosa e innovativa, ma rimasta
incompiuta, dove indaga sulle forme della lingua volgare
ricostruendone le origini, in cui descrive le forme dei vari
volgari italiani, operando tra questi un'attenta selezione
allo scopo di arrivare alla definizione di un volgare 'illustre',
cioè adatto ad essere usato in ambito letterario.  
Il volgare ricercato da Dante deve essere illustre, nel
senso che deve dare decoro a chi lo usa, cardinale, in
quanto deve fungere da cardine rispetto alle altre
parlate, aulico, cioè degno di poter essere usato alla
presenza di un sovrano, ed infine curiale, cioè tanto
nobile da poter essere usato a corte; nessuno dei volgari
italiani, nemmeno il fiorentino o il toscano, hanno
queste virtù e rimangono ancorati ad una dimensione
'municipale' e 'plebea', tuttavia questa lingua così
particolare ed elevata si può ritrovare nelle opere di
alcuni autori. 
SCRIVE L’OPERA IN LATINO

ECLOGHE: L’AMORE PER LO STILE


Sono due componimenti poetici in esametri latini,
rispettivamente di 68 e 97 versi, di argomento pastorale e
scritti secondo il modello delle Bucoliche di Virgilio. Furono
composte fra il 1319 e il 1320, in risposta all'invito rivolto a
Dante da Giovanni Del Virgilio, professore di retorica
a Bologna, che lo esortava a scrivere in latino secondo il
modello della tradizione classica e a recarsi in quella città
per ricevere l'alloro poetico: Dante ribadisce le proprie
scelte di stile e di lingua, adottando cioè il latino ma
difendendo l'uso del volgare nella propria poesia
(l'interlocutore risponde alla prima Egloga di Dante con un
componimento pastorale, cui segue un altro scambio dello
stesso tenore). La corrispondenza tra i due anticipa la
fortuna del genere della poesa bucolica, che sarà poi
ampiamente sfruttato in età umanistica e
rinascimentale. Le due Egloghe sono state tramandate da
autografi di Boccaccio, sulla cui autenticità alcuni studiosi
hanno sollevato dubbi.

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