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Canto VI Paradiso

Luogo: Secondo cielo, Mercurio


Beati: spiriti attivi per gloria terrena.
Intelligenze motrici: Arcangeli
Personaggi: Dante e Beatrice, Giustiniano e Romeo di Villanova
Il canto VI del Paradiso, come quelli dellInferno e del Purgatorio, di carattere
politico, a imitazione e in omaggio al canto VI dellEneide, dove Virgilio aveva
profetato il futuro di Roma e della dinastia che sarebbe nata da Enea. Nel canto VI
dellInferno, lincontro con Ciacco era stato loccasione per riflettere sui mali
endemici della citt partita, ovvero di Firenze, dilaniata dalle lotte di fazione. Nel
Purgatorio, lincontro affettuoso tra i due mantovani, Virgilio e Sordello, aveva
innescato per contrasto il lamento-invettiva sulle divisioni insanabili dellItalia
contemporanea, ormai non pi donna di province, ma bordello. Adesso la visione, da
municipale e nazionale, si fa universale. Dalla realt ristretta del comune e da quella,
pi ampia ma ancora limitata, della nazione italiana, ci si solleva a quella
dellimpero universale. Anche la forma retorica del canto si presenta pi solenne e
ambiziosa. Siamo nel cielo di Mercurio, dedicato agli spiriti attivi.
Il canto VI lunico di tutto il poema a essere interamente pronunciato, dalla prima
allultima parola, da una sola anima.
Limperatore Giustiniano stato introdotto alla fine del canto V come anima
desiderosa di parlare a Dante; ora indica i tre punti essenziali del proprio progetto di
restaurazione dellautorit imperiale: salvaguardia dellunit religiosa, rinunciando in
prima persona alleresia monofisita (vv. 13-21; dato storicamente falso);
risistemazione del diritto con il Corpus iuris civilis (vv. 11-12 e 23-24); riconquista
delle zone perdute dellImpero con laiuto del generale Belisario (vv. 25-27).
Dante qui incontra lanima di Giustiniano, limperatore che aveva raccolto le leggi
romane promulgate dallet repubblicana fino al suo tempo nel Corpus Iuris Civilis.
A Giustiniano Dante riconosceva il ruolo di restauratore dellunit imperiale. Ecco
perch egli traccia, per bocca dellillustre imperatore, una sintetica storia dellImpero
che va dal mito di Enea fino al potere degli imperatori dOriente (tra i quali lo
stesso Giustiniano) e che prosegue poi col re dei Franchi Carlo Magno, divenuto poi
imperatore del Sacro Romano Impero.
In questo canto Dante vuole dimostrare che lImpero Romano voluto da Dio poich
la massima autorit politica discende da Lui. Dunque la concezione di Dante pu
essere definita provvidenzialistica poich il poeta inserisce le tappe della storia di
Roma in un disegno divino. Nella visione di Dante tutta la storia dellImpero
Romano non nulla rispetto al fatto che al potere imperiale spett la crocifissione di
Ges Cristo (vv 82-90). In un certo senso Dante vuole che i suoi contemporanei
rispettino il potere politico poich esso venuto da Dio.
vv. 1-27

L'anima che parla con Dante l'imperatore Giustiniano. Egli indica quando l'insegna
imperiale giunse nelle sue mani, narra della sua conversione all'ortodossia cristiana e
ricorda la principale delle sue opere, la stesura del Corpus Iuris Civilis, il Codice di
leggi civili romane.
vv. 28-96
Giustiniano descrive sinteticamente l'intera storia del potere e dell'impero romano,
partendo dalle sue origini troiane per giungere fino a Carlo Magno, per confermare la
sacralit e la provvidenzialit. Si sofferma sulle imprese di Cesare e Augusto, per
giungere poi al momento centrale della storia dell'umanit e della sua redenzione, la
morte di Cristo sotto Tiberio.
vv. 97-111
Vi poi una polemica contro ghibellini e guelfi, colpevoli i primi di traviare il
significato del potere imperiale, i secondi addirittura di opporvisi.
vv. 112-126
Rispondendo alla seconda domanda di Dante, Giustiniano rivela che le anime di
Mercurio sono quelle di coloro che in terra agirono bene per ottenere gloria e fama;
per questo, per non essersi indirizzate subito al bene divino, esse occupano un cielo
cos basso rispetto all'Empireo, ma ci non significa che la loro felicit sia imperfetta.
vv. 127-142
Viene introdotta la figura di un'altra anima di Mercurio, quella di Romeo di
Villanova, virtuoso cortigiano del signore di Provenza, che egli serv con illuminata
accortezza e assoluto disinteresse, finendo per vittima delle calunnie e della
misconoscenza.

Canto III Paradiso


Luogo: Cielo della Luna
Beati: spiriti mancanti ai voti
Intelligenze motrici: Angeli
Personaggi: Dante e Beatrice, Piccarda Donati
Dopo un canto introduttivo (il canto I) e uno dottrinale (il canto II), lazione del
Paradiso ha il suo vero inizio con la descrizione (vv. 1-33) delle prime anime di
beati, quelle di coloro che mancarono ai voti terreni. Tra tutte le anime beate, queste
sono le uniche che hanno nel loro passato un difetto, sebbene in gran parte
indipendente dalla loro volont; e insieme a quelle degli altri cieli bassi, il secondo
cielo (spiriti operanti per desiderio di gloria) e il terzo cielo (spiriti amanti), sono in
qualche modo legate a valori ed esperienze terrene.
Per questo Dante le raffigura ancora con lineamenti terreni, mentre tutte le altre
anime beate saranno interamente avvolte dalla luce; e la loro visione lo induce a
credere erroneamente di avere davanti a s uno specchio e a voltarsi. Il sorriso di
Beatrice che corregge questo errore va ricollegato a quanto abbiamo detto anche a
proposito del canto I: la donna divina vuole far capire da subito che la realt del
Paradiso del tutto insolita, anzi opposta a quella terrena, e che in cielo le abitudini e
i rapporti spazio-temporali che vigono sulla Terra non hanno pi alcun valore.
Il canto dominato dal lungo colloquio con Piccarda Donati (vv. 34-120), sorella di
Forese, il caro amico che Dante ha incontrato nel Purgatorio tra i golosi, e di Corso, il
podest di Bologna acerrimo nemico del poeta e fautore pi o meno diretto del suo
esilio. Nelle parole di Piccarda risuona una strana mistura di serenit per la
beatitudine eterna e malinconia per i turbamenti subiti in vita, e questa atmosfera
elegiaca richiama da vicino quella dominante nel Purgatorio.
La sparizione dellanima di Piccarda affidata alla similitudine delloggetto che
sparisce in acque scure (vv. 122-123), molto simile a quella che aveva introdotto
lapparizione delle anime ai vv. 10-12 ( o ver per acque nitide e tranquille).
Prima di sparire, la donna presenta lanima di Costanza dAltavilla (vv. 109-120), il
cui nobile nome rivelato solo dopo la narrazione (peraltro falsa storicamente) della
sua monacazione interrotta.

Ai vv. 64-66 Dante introduce una questione di grande importanza: i beati dei cieli pi
bassi sanno di essere pi in basso di altri? E se s, non se ne dispiacciono? Il sorriso
con cui Piccarda e gli altri beati reagiscono (v. 67) simile a quello di Beatrice di
fronte allerrore di Dante che si gira (vv. 23-30). Il dubbio di Dante fallace fin dalle
fondamenta, perch egli ragiona ancora in termini terreni di spazio: crede che queste
anime guardino dal basso le anime che stanno in alto, come se fossero su una scala e
come se risiedessero stabilmente in quel cielo. Ma a differenza dei dannati
dellInferno e dei purganti del Purgatorio, le anime del Paradiso risiedono tutte
nellEmpireo, dove si dispongono in forma di candida rosa a contemplare Dio; e si
manifestano a Dante solo per adeguarsi alla sua imperfetta mente mortale,
apparendogli nei vari cieli in base alla virt che mosse a operare in terra e per
analogia alle altre due cantiche.
Questa questione della vera sede dei beati sar chiarita pi largamente nel successivo
canto IV; il canto III invece si concentra di pi sulla definizione di beatitudine. In
realt, quei gradi che Dante concepisce in modo gerarchico non possono suscitare
alcuna invidia nelle anime beate: innanzitutto perch nel Paradiso non pu attecchire
alcun sentimento negativo; poi e soprattutto perch la beatitudine per
definizione la totale identit della propria volont con quella di Dio. Si noti come ai
vv. 80-85 Dante insista attraverso il lessico sulla volont: v. 80 voglia, v. 81
voglie, v. 83 piace, v. 84 voler... nvoglia, v. 85 volontade. Al contrario
degli spiriti magni del Limbo infernale, grandi anime che contemplano sospirando
la propria irrimediabile distanza da Dio, questi spiriti in un certo senso manchevoli
contemplano lidentificazione con il volere di Dio, che pu essere solo eternamente
vero e giusto, e in ci si appagano.
In questo canto Dante mette al centro della narrazione due anime alquanto diverse tra
loro. Piccarda Donati una donna comune, che egli ha conosciuto solo in quanto
sorella del suo amico Forese (che gli aveva preannunciato lincontro con lei in Pg
XXIV 10-15) e del suo acerrimo nemico Corso; la sua morte, avvenuta pochi anni
prima del 1300, doveva avere avuto uneco puramente locale. Al contrario, Costanza
dAltavilla (1154-1198), che non parla direttamente ma indicata da Piccarda, fu
discendente di una illustre casata normanna e sposata con un sovrano dellaltrettanto
illustre stirpe sveva, ed una delle donne pi celebri del Medioevo: assunse
brevemente la reggenza (1197-1198) al posto dellinfante figlio Federico II e grazie a
lei egli pot unire ai territori dellimpero germanico quelli dellItalia meridionale.
Una situazione molto simile, ma in ordine invertito, si ha nel canto VI del Paradiso,
in cui dapprima limperatore bizantino Giustiniano parla di s e delle vicende
dellImpero, e poi narra la storia di Romeo di Villanova, umile consigliere bistrattato
della piccola contea provenzale. In entrambi i casi, Dante vuole mostrare come la
fama attribuita dagli uomini del tutto indifferente agli occhi di Dio: una medesima
virt premiata in Paradiso allo stesso modo, sia che venga operata ai livelli pi alti,

sia che fiorisca nel contesto pi oscuro. un messaggio perfettamente in sintonia con
la teoria dei gradi di beatitudine illustrata da Piccarda in questo canto.

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