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L'anima che parla con Dante l'imperatore Giustiniano. Egli indica quando l'insegna
imperiale giunse nelle sue mani, narra della sua conversione all'ortodossia cristiana e
ricorda la principale delle sue opere, la stesura del Corpus Iuris Civilis, il Codice di
leggi civili romane.
vv. 28-96
Giustiniano descrive sinteticamente l'intera storia del potere e dell'impero romano,
partendo dalle sue origini troiane per giungere fino a Carlo Magno, per confermare la
sacralit e la provvidenzialit. Si sofferma sulle imprese di Cesare e Augusto, per
giungere poi al momento centrale della storia dell'umanit e della sua redenzione, la
morte di Cristo sotto Tiberio.
vv. 97-111
Vi poi una polemica contro ghibellini e guelfi, colpevoli i primi di traviare il
significato del potere imperiale, i secondi addirittura di opporvisi.
vv. 112-126
Rispondendo alla seconda domanda di Dante, Giustiniano rivela che le anime di
Mercurio sono quelle di coloro che in terra agirono bene per ottenere gloria e fama;
per questo, per non essersi indirizzate subito al bene divino, esse occupano un cielo
cos basso rispetto all'Empireo, ma ci non significa che la loro felicit sia imperfetta.
vv. 127-142
Viene introdotta la figura di un'altra anima di Mercurio, quella di Romeo di
Villanova, virtuoso cortigiano del signore di Provenza, che egli serv con illuminata
accortezza e assoluto disinteresse, finendo per vittima delle calunnie e della
misconoscenza.
Ai vv. 64-66 Dante introduce una questione di grande importanza: i beati dei cieli pi
bassi sanno di essere pi in basso di altri? E se s, non se ne dispiacciono? Il sorriso
con cui Piccarda e gli altri beati reagiscono (v. 67) simile a quello di Beatrice di
fronte allerrore di Dante che si gira (vv. 23-30). Il dubbio di Dante fallace fin dalle
fondamenta, perch egli ragiona ancora in termini terreni di spazio: crede che queste
anime guardino dal basso le anime che stanno in alto, come se fossero su una scala e
come se risiedessero stabilmente in quel cielo. Ma a differenza dei dannati
dellInferno e dei purganti del Purgatorio, le anime del Paradiso risiedono tutte
nellEmpireo, dove si dispongono in forma di candida rosa a contemplare Dio; e si
manifestano a Dante solo per adeguarsi alla sua imperfetta mente mortale,
apparendogli nei vari cieli in base alla virt che mosse a operare in terra e per
analogia alle altre due cantiche.
Questa questione della vera sede dei beati sar chiarita pi largamente nel successivo
canto IV; il canto III invece si concentra di pi sulla definizione di beatitudine. In
realt, quei gradi che Dante concepisce in modo gerarchico non possono suscitare
alcuna invidia nelle anime beate: innanzitutto perch nel Paradiso non pu attecchire
alcun sentimento negativo; poi e soprattutto perch la beatitudine per
definizione la totale identit della propria volont con quella di Dio. Si noti come ai
vv. 80-85 Dante insista attraverso il lessico sulla volont: v. 80 voglia, v. 81
voglie, v. 83 piace, v. 84 voler... nvoglia, v. 85 volontade. Al contrario
degli spiriti magni del Limbo infernale, grandi anime che contemplano sospirando
la propria irrimediabile distanza da Dio, questi spiriti in un certo senso manchevoli
contemplano lidentificazione con il volere di Dio, che pu essere solo eternamente
vero e giusto, e in ci si appagano.
In questo canto Dante mette al centro della narrazione due anime alquanto diverse tra
loro. Piccarda Donati una donna comune, che egli ha conosciuto solo in quanto
sorella del suo amico Forese (che gli aveva preannunciato lincontro con lei in Pg
XXIV 10-15) e del suo acerrimo nemico Corso; la sua morte, avvenuta pochi anni
prima del 1300, doveva avere avuto uneco puramente locale. Al contrario, Costanza
dAltavilla (1154-1198), che non parla direttamente ma indicata da Piccarda, fu
discendente di una illustre casata normanna e sposata con un sovrano dellaltrettanto
illustre stirpe sveva, ed una delle donne pi celebri del Medioevo: assunse
brevemente la reggenza (1197-1198) al posto dellinfante figlio Federico II e grazie a
lei egli pot unire ai territori dellimpero germanico quelli dellItalia meridionale.
Una situazione molto simile, ma in ordine invertito, si ha nel canto VI del Paradiso,
in cui dapprima limperatore bizantino Giustiniano parla di s e delle vicende
dellImpero, e poi narra la storia di Romeo di Villanova, umile consigliere bistrattato
della piccola contea provenzale. In entrambi i casi, Dante vuole mostrare come la
fama attribuita dagli uomini del tutto indifferente agli occhi di Dio: una medesima
virt premiata in Paradiso allo stesso modo, sia che venga operata ai livelli pi alti,
sia che fiorisca nel contesto pi oscuro. un messaggio perfettamente in sintonia con
la teoria dei gradi di beatitudine illustrata da Piccarda in questo canto.