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Dante

– Purgatorio
Canto I (spiaggia)


Il Purgatorio è collocato a metà fra terra e cielo, è costituito da una montagna di terra che si
protende verso il cielo il cui colmo è chiamato Eden e rappresenta il punto del globo più vicino
al Paradiso: il Paradiso terrestre.
Nella Divina Commedia, la terra è sempre simbolicamente associata al peccato e il cielo al
bene. Gli spiriti purgati (non più dannati) sono in transito dalla terra al cielo, purificandosi dalle
ultime scorie del male terreno per entrare nel Regno dei Cieli. Il Purgatorio è inondato di luce
perché gli spiriti sono già raggiunti dalla beatitudine salvifica di Dio, anche se poggiano ancora i
piedi a terra.
Il Purgatorio è un regno intermedio, di transizione, è l’unico a non essere eterno perché dopo il
Giudizio Universale rimarrà vuoto.
La necessità del Purgatorio è legata alla teologia antica e medievale, comprende tre gradi:
contritio (pentimento), confessio (confessione), satisfactio (soddisfazione di Dio).
La satisfatio è il passaggio chiave, rappresenta la rieducazione dell’anima al bene, dopo essersi
pervertita al male, è un’operazione dolorosa e laboriosa.
Le anime che in vita si sono pentite, hanno confessato i loro peccati e hanno rieducato la propria
anima al bene, salgono direttamente al Paradiso. Coloro che invece si sono pentiti, hanno
confessato le loro colpe, anche in extremis, ma non hanno avuto il tempo di compiere la
satisfactio (rieducare la propria anima al bene), sono anime già salve ma devono completare il
processo di purificazione. I riferimenti biblici sono al Vangelo di Matteo.
Nel Purgatorio gli spiriti si rieducano al bene il proprio amore: i trattati teologici da Agostino a
Bernardo da Chiaravalle, insegnano che l’amore non è sempre buono, dipende dall’oggetto
verso cui tende. Nel canto XVII Virgilio spiega a Dante che le anime del Purgatorio sono
collocate a seconda l’ordine del loro amore: per cattivo oggetto (superbia, invidia, ira), per
poco vigore (accidia), per troppo vigore (avarizia, gola e lussuria). Si tratta di una struttura
speculare all’Inferno. Se l’Inferno è il luogo della morte spirituale, il Purgatorio è il regno
della rinascita alla vita, dove la liberazione dal male rappresenta la conquista della piena
libertà poiché il peccato rende schiavi.
Il tema dell’amore si connette alla libertà di cui Catone l’Uticense, guardiano del regno, ne è il
campione.

All’inizio del canto I è collocato il proemio del Purgatorio (parte introduttiva), è più complesso
rispetto a quello dell’Inferno. Si può suddividere in tre parti: la dichiarazione del tema, pròtasi
(premessa) e infine, invocazione alla Musa, che questa volta è Calliope, protettrice della
poesia epica. Nel Purgatorio Dante adotta uno stile medio, rifuggendo sia le rime aspre e
sgradevoli dell’Inferno, sia lo stile tragico e sublime del Paradiso.
Il cenno, nel proemio, alle Piche (misere figlie del Re di Tessaglia che avevano osato sfidare le
Muse nel canto. Bastò udire Calliope per riconoscersi sconfitte e capire di non avere speranza
alcuna di essere perdonate. Sono chiamate Piche, ovvero gazze, perché in tali uccelli furono
trasformate dopo la sconfitta), per alludere all’umiltà che il poeta deve conservare nella
straordinaria impresa nel mettere in versi il Purgatorio.

Il paesaggio - Il Purgatorio appare dolce e sereno, inondato di luce, il cielo azzurro. Splendono
Venere (riferimento all’amore) e quattro stelle luminose, in contrapposizione con l’aura
morta dell’Inferno dal quale sono appena riemersi. Il tempo, cristallizzato nell’Inferno dove tutto
è oscurità, torna a scorrere alternandosi la notte il giorno.
Quando i pellegrini giungono, è l’alba del quarto giorno.
Le quattro stelle che brillano in cielo hanno valore simbolico e rappresentano le quattro virtù
cardinali: prudenza, giustizia, fortezza, temperanza, quelle virtù che se ben coltivate,
rendono gli uomini giusti in terra. Queste quattro stelle saranno sostituite, nel canto VIII, da
tre luci che rappresenteranno le tre virtù teologali: fede, speranza e carità, virtù che
permettono di accedere al regno dei Cieli.
Si completa così il percorso delle sette virtù allegorizzate, nella processione mistica nel
Paradiso, in sette donne.
Il Purgatorio, in questo senso, è un arbor virtutuum, un albero delle virtù. Nei trattati morali
del Medioevo, si allegorizzava il processo ascetico dell’uomo come una salita (ascesi) lungo i
rami di un albero, ognuno dei quali rappresentava una virtù.

Catone, è scelto da Dante come guardiano per la sua stoica severità dei suoi costumi morali,
nel suo volto, infatti, risplende la luce delle quattro stelle (prudenza, giustizia, fortezza,
temperanza) e per il suo amore verso la libertà (egli preferì il suicidio piuttosto che farsi
arrestare, o appoggiare Cesare e vedere crollare i valori repubblicani di Roma nei quali aveva
sempre creduto). La pratica della virtù e la libertà dal peccato sono due motivi
fondamentali del Purgatorio.
Dante esprime la sua ammirazione per Catone anche nel “Convivio” e nel “De monarchia”, lo
definisce veglio (dal provenzale: vecchio), rifacendosi forse alla descrizione di Marco Anneo
Lucano nel libro IX del poema epico, Farsaglia (61d.C.) come un patriarca biblico.
Le oneste piume di Catone si pongono in contrapposizione alle lanose gote di Caronte
nell’Inferno.
Il tipo di morte di Catone dovrebbe collocarlo nei suicidi, puniti nella selva descritta da Dante
nel canto XIII dell’Inferno, il desiderio di Dante di fare di Catone un’icona della virtù e della
libertà, mette in ombra il suo suicidio. Per Dante la morte di Catone è un autentico martirio
per la causa della libertà.

Catone teme che l’arrivo delle due anime dall’Inferno alle soglie del Purgatorio, sia una
violazione del confine fra i regni dell’Aldilà o un cambiamento delle leggi d’abisso.
Virgilio lo rassicura, spiegando che il viaggio non è un atto di sfida ma è voluto dal cielo, Dante
stesso cerca la libertà dal male che Catone ebbe tanto cara.
È l’inizio di una captatio benevolentiae (ottenere benevolenza) con la quale Virgilio cercherà di
ottenere accesso al Purgatorio. Promette a Catone di ringraziare per suo conto Marzia, amata
moglie di Catone, che risiede nel Limbo.
Catone risponde che lascerà passare i due viandanti non in cambio di ricompense o lusinghe ma
perché è il volere di Dio, manifestato da una donna del ciel, solo per dover di giustizia.
Questa è la morale delle anime benedette. In questi versi Dante rafforza ancor più l’immagine di
Catone quale campione della virtù.

Per consentire l’accesso Catone ordina che Virgilio offici per Dante un rito di purificazione che
ricorda quello del battesimo, dove l’acqua lava dal peccato originale. Virgilio indosserà allora le
vesti del sacerdote e Dante quelle del catecumeno, quest’ultimo dovrà lavar via con la rugiada la
caligine infernale che gli vela il volto e cingersi di un flessibile giunco che cresce dove l’isola è
lambita dalle onde. È l’alba, la luce si sta diffondendo sul mare.

Il giunco, umile pianta, è simbolo di umiltà: si china colpito dalle onde, ma rinasce
immediatamente (forse vi è un riferimento a Giobbe 14,7). È significativo che Dante sia
ammesso al Purgatorio solo dopo essersi cinto d’umiltà. La superbia, secondo la tradizione, è
l’inizio di ogni vizio (secondo l’Ecclesiastico), è il peccato di Lucifero, perché ogni peccato nasce
da una ribellione a Dio.
L’umiltà, contrariamente, è l’inizio di ogni purificazione.
Su queste acque a suo tempo fece naufragio la nave di Ulisse, nel suo ultimo viaggio. Dante a
differenza di Ulisse, vi accede umilmente, autorizzato da Dio. È implicito il paragone con il
presuntuoso re di Itaca che cercò di giungervi con la forza e fu punito e non seppe più far
ritorno.

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