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Giovan Battista Marino 

è il poeta più significativo dell’epoca barocca ed indiscusso caposcuola


del barocco italiano. Prima di raggiungere successo, ricchezza e prestigio finisce varie volte in
prigione per la sua irrequietezza e intemperanza.

Vita

Giambattista Marino nasce a Napoli il 14 ottobre 1569, da un’agiata famiglia borghese.
Abbandona presto gli studi di legge, a cui lo aveva destinato il padre, per dedicarsi
esclusivamente alla poesia. Fin da giovane Marino frequenta gli ambienti dei nobili letterati.
Implicato in episodi oscuri, per cui viene anche incarcerato, ne esce grazie alla protezione di
potenti signori.
Marino vive nelle maggiori città del centro e del nord Italia come letterato cortigiano: Roma,
Venezia , Ravenna e Torino. Alla corte del Duca Carlo Emanuele I, grazie ad un suo poemetto
elogiativo Il Ritratto del serenissimo don Carlo Emanuele duca di Savoia ottiene la
nomina a cavaliere dei Santi Maurizio e Lazzaro. L’onorificenza suscita la rivalità del poeta
di corte Gaspare Murtola che tenta di ucciderlo. Marino scampa all’aggressione, si vendica e
replica all’avversario attraverso dei violenti e aggressivi versi nei sonetti
nell’opera Murtoleide.
 
Alla corte di Francia
Nel 1615 si trasferisce in Francia, chiamato da Maria de’ Medici, vedova di Enrico IV, a far parte
della sua corte e successivamete di quella di  Luigi XIII. A Parigi Giovan Battista Marino è
considerato dagli italianisants (i cultori della lingua e della poesia italiana) il maggiore letterato
vivente e gli viene assegnata una cospicua pensione che gli permette di vivere dedicandosi
esclusivamente alla pubblicazione ed al perfezionamento delle sue opere, senza dover assumere
alcun incarico pubblico.

Ritorno a Napoli

Giovan Battista Marino torna a Napoli otto anni dopo, nel giugno 1623, carico di onori e
come lui stesso afferma: "ricco come un asino", ed ora nella sua città d’origine viene
osannato come il maggior poeta dell’epoca.
Marino muore a Napoli il 25 marzo 1625.
 
La produzione letteraria
Giovan Battista Marino è un poeta molto prolifico e si cimenta in una vastissima varietà di
generi, la sua imponente produzione letteraria ha molto successo in Italia ed in Europa
durante la sua vita, meno nelle epoche successive in cui diviene superato per il prevalere del
gusto antibarocco.
Tra le molte opere di Marino vanno ricordate:
o La Lira (1614), raccolta di rime;
o Dicerie sacre (1614), orazioni sacre. Si compone di tre parti "La pittura" "La
musica" "Il cielo";
o Epitalami (1616), poesie per nozze;
o La Galeria (1619), raccolta di liriche che illustrano pitture e sculture, reali o solo
immaginate;
o La Sampogna (1620), componimenti mitologici e pastorali;
o Adone (1623), poema dedicato al re di Francia Luigi XIII, composto di ben 5033
ottave, che è considerato il suo capolavoro. Adone è il poema più lungo della
letteratura italiana. Rappresenta l’opera di una vita, come la "Gerusalemme
Liberata" per Torquato Tasso.

IL MANIERISMO
Giovan Battista Marino nel ’600 riscuote molto successo ed ispira un nuovo modo di poetare
di tendenza barocca a cui dà il proprio nome: Marinismo.
Il Marinismo si caratterizza per:
o tendenza alla grandiosità e alla monumentalità;
o predilezione per il virtuosismo formale (cioè l’esibizione, spesso fine a se stessa,
di abilità tecnica formale);
o ricerca, spesso esasperata, di effetti sorprendenti, perché lo scopo è quello di
stupire, di suscitare nel lettore meraviglia; Il motto della lirica marinista è riassunto
da Marino nei versi “chi non sa far stupir vada alla striglia” (chi non è in grado di
stupire vada a fare lo stalliere)
o un carattere artificioso e spesso arido, per riuscirci usa tutti gli artifici retorici:
analogie, antitesi, metafore. La figura prediletta dei poeti del barocco è la metafora,
la più ingegnosa, acuta, invenzione dei poeti. Per meravigliare e stupire Marino porta
ai limiti estremi il concettualismo attraverso l’accostamento inadeguato di idee e
oggetti lontanissimi fra loro. (esempio: la metafora dei capelli visti come onde
dorate e mare in tempesta, o l’ago della donna che cuce paragonata alla freccia
d’amore).
Con Giovan Battista Marino e il Marinismo cambia la considerazione dell’amore e della
donna, non vi è più il racconto lirico di una storia d’amore ma solo l’osservazione di qualche
dettaglio della figura femminile e dei particolari relativi alla realtà in cui la donna è immersa:
o La donna non è più rappresentata nella sua interezza ma in dettagli isolati, il
poeta si focalizza su particolari del corpo femminile: capelli, occhi, seni, guance,
bocca, orecchini;
o La donna della poetica di Marino viene vista in un contesto di realismo
quotidiano intenta in occupazioni domestiche come pettinarsi, specchiarsi, cucire,
suonare uno strumento, cantare, mungere o addirittura mendicare o nell’atto di
spulciarsi;
o Non esiste un canone preciso che distingua il bello dal brutto: col Marinismo tutto
diventa oggetto di poesia, anche i pidocchi o gli orecchini dell’amata.
o La tipologia della figura femminile si allarga a tutte le categorie sociali, dalla
signora, alla schiava, alla mendicante.
o I poeti Marinisti cantano la donna senza turbamenti e coinvolgimento passionale.
o L’amore per il Marinismo non è più passione e sentimento ma diventa un gioco.
La ricerca esasperata dell’originalità finalizzata allo stupore viene perseguito attraverso l’uso
della metafora ardita e continuata, perché questo strumento stilistico per Giovan Battista
Marino permette di creare relazioni sorprendenti tra le cose, mostrando che oggetti
apparentemente diversissimi o lontanissimi fra loro, in realtà, da un qualche punto di vista, si
somigliano (esempio: la metafora dei capelli visti come onde dorate e mare in tempesta, o
l’ago della donna che cuce paragonata alla freccia d’amore).
Molti lirici nella civiltà letteraria del Seicento si sono ispirati al Marinismo, come dimostra la
folta schiera di imitatori della poetica marinista. Inoltre la melodiosità della sua poesia, più
semplice ed elementare, contribuisce allo sviluppo del melodramma.

L’adone
L’Adone è una delle opere più ampie e di più faticosa lettura della letteratura
italiana. Marino vi lavora per lungo tempo, inserendo continuamente nuovi
argomenti e ampliamenti.
E’ un poema di venti canti in ottave che ha come tema l’amore di Venere per il giovane Adone,
un amore costellato di gelosie ed ostacoli, si conclude con la morte di Adone che
viene ferito da un cinghiale. L'opera parte con una struttura semplice, in cui
Venere si innamora di Adone e suscita la gelosia di Marte che fa uccidere il
giovane da un cinghiale, per poi arricchirsi attraverso un gran numero di
digressioni narrative e descrittive, si avvicendano varie immagini, luoghi,
situazioni in uno sfondo erotico e sensuale. Marino infrange i modelli dell’epica
tradizionale cinquecentesca apportando delle novità, dal punto di vista tematico, il
poema si colloca su un registro che non è né propriamente eroico (la materia non
è guerresca) né sacro (la favola è pagana) ma è un poema pacifico e amoroso,
dominato da un erotismo che viene elevato alla sfera del sacro.
Sul piano della forma, il poema rovescia la tradizionale struttura centripeta
(orientata verso un centro, un’unità) dando forma a una struttura espansiva e
centrifuga in cui le peripezie si accavallano senza che sia possibile distinguere la
vicenda principale dagli episodi secondari.
Adone non è né un eroe né un guerriero, le sue azioni rovesciano le consuetudini
del poema epico, per esempio, Adone non diventa re di Cipro per le sue imprese
militari ma perché risulta vincitore di un concorso di bellezza. Il protagonista,
Adone, ha le caratteristiche dell’antieroe.

I primi quattro canti espongono l’evento iniziale : Cupido, per vendicarsi della
madre, Venere, che lo ha battuto, la induce a innamorarsi di un mortale, Adone,
approdato all’isola di Cipro. Mentre cammina tra i boschi Venere si punge il piede
con la spina di una rosa bianca che spruzzata dal suo sangue diventa di colore
rosso. Venere si avvicina ad una fonte per pulirsi la ferita e vede il
bellissimo Adone addormentato, e se ne innamora. Al risveglio il giovane vorrebbe
fuggire, ma Venere lo prega di curarle il piede ferito. Adone medica la ferita e da
questo contatto nasce anche in lui l’amore. Venere pronuncia allora un elogio della
rosa perché grazie alla rosa è nata la loro storia d’amore, come ricompensa la rosa
diventerà il fiore prediletto da Venere e diventerà il simbolo della bellezza
femminile.
Il brano “Elogio della rosa” contiene i tratti peculiari della poesia di Marino e della
poesia barocca in genere:
o l’esigenza di descrivere la realtà fin nei suoi minuti particolari;
o L’abbondanza di figure retoriche ed in particolare di metafore;
o Il ritmo musicale.
Il primo verso, l’incipit: “Rosa, riso d'Amor, del Ciel fattura “, è un concentrato di
figure retoriche che impreziosiscono il verso: la personificazione di Amore e Cielo;
la paronomasia rosa/riso, che differiscono solo per una vocale a/i
l’allitterazione (Rosa, riso d'Amor); il chiasmo che pone vicini Amor e Ciel e
all’estremità del verso riso e fattura.  Questa ricchezza di figure retoriche continua
poi per l’intero brano in cui la natura appare vivificata, animata e personificata.
L’ultima ottava raggiunge il culmine del virtuosismo tecnico: le numerose metafore
s’intrecciano, e nascono addirittura l’una dall’altra.

i canti V-XI narrano come Adone venga iniziato alle delizie dei cinque sensi nel
giardino del piacere e successivamente a quelle dell’intelletto e delle arti. Adone
apprende anche i primi elementi della scienza moderna (compare qui anche
l’esaltazione di Galileo). Nel frattempo, Mercurio congiunge i due amanti in
matrimonio;

i canti XII-XVI narrano le peripezie di Adone che deve superare una serie di prove
di iniziazione. In particolare, egli deve difendersi (aiutato da un anello fatato
datogli da Venere) dagli agguati di Marte, geloso di Venere, ed è costretto a
fuggire da Cipro. Dopo numerose peripezie, infine torna a Cipro e ottiene la
signoria dell’isola dopo una vittoriosa partita a scacchi. Ma Adone rifiuta di
esercitare il potere, anche dopo che, in seguito a un concorso di bellezza da lui
vinto, è nominato re dell’isola;

i canti XVII-XX hanno per oggetto la partenza di Venere dall’isola, la morte di


Adone, ucciso da un cinghiale mandatogli contro da Marte, l’amante storico della
dea che aveva scoperto la loro relazione, la sepoltura del protagonista e gli
spettacoli e i giochi indetti da Venere in onore del defunto. A Venere non resta che
piangere sul corpo del giovane.

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