Sei sulla pagina 1di 8

GIUSEPPE UNGARETTI - ANALISI DI LIRICHE SCELTE

SOLDATI (da L’Allegria)


(Bosco di Courton, luglio 1918)
1. Si sta come
2. d’autunno
3. sugli alberi
4. le foglie

Parafrasi affiancata
1. Si sta (=i soldati stanno) come
2. in autunno
3. sugli alberi
4. le foglie

Parafrasi discorsiva: I soldati sono come le foglie in autunno.

Figure Retoriche
 Analogia vv. 1-2-3-4: Si sta come/ d’autunno/ sugli alberi/ le foglie.
 Enjambements vv. 1-2: Si sta come/ d’autunno.

 Similitudini vv. 1-2-3-4: Si sta come/ d’autunno/ sugli alberi/ le foglie.


Commento
La guerra nel Carso è fonte di grande ispirazione per Ungaretti, il quale scrive in trincea diverse poesie,
prima apparse sulla rivista «Lacerba» nel 1915 e poi pubblicate, nel dicembre 1916, nella raccolta Il porto
sepolto: il diario dal fronte. A queste poesie se ne aggiungono altre, confluite prima nella raccolta Allegria di
naufragi del 1919, poi nell’edizione dell’Allegria del 1931 e, con altre varianti, in quella definitiva del 1942.
Il titolo Il porto sepolto nasce da un ricordo dell’infanzia del poeta vissuta ad Alessandra d’Egitto: la
notizia di un «porto sommerso» in fondo al mare dalla sabbia del deserto, di un’era anteriore alla fondazione
della città e di cui si è persa la memoria. Un porto sepolto che è anche, in qualche modo, simbolo del mistero
dell’esistenza. La vita, infatti, è un mistero così difficile da decodificare che, anche in mezzo alla morte e alla
distruzione portata dalla guerra può nascere un’illogica vigoria, dalla quale deriva il titolo definitivo Allegria.
Nonostante la maggior parte delle liriche contenute nella raccolta facciano riferimento alla guerra e alla morte,
il titolo Allegria è giustificato, dunque, dal fatto che il sentimento d’allegria scaturisce nell’attimo in cui
l’uomo acquisisce la consapevolezza di essere riuscito a scampare alla morte.
Originariamente, la lirica Soldati (che appartiene alla sezione dell’Allegria intitolata Girovago) aveva
per titolo il sostantivo Militari che, come quello poi scelto definitivamente, risultava essere parte integrante
del testo e un ausilio indispensabile per comprendere il significato stesso della poesia.
Il poeta “racconta” la condizione dei soldati, paragonandoli alle foglie degli alberi in autunno. Le parole-
chiave della lirica sono proprio «autunno» (v. 2) e «foglie» (v.4). L’analogia nasce dalla somiglianza che
s’instaura fra la fragilità delle foglie d’autunno, destinate inesorabilmente a cadere e ad essere spazzate via dal
vento, e la precarietà della condizione dei soldati al fronte che, in qualsiasi momento, possono cadere a terra
per un colpo di arma da fuoco. Il poeta ricorre spesso nelle sue liriche all’artificio retorico dell’analogia per
sovrapporre in maniera immediata immagini che sono in apparenza molto distanti fra loro, fondendole senza
ricorrere all’utilizzo di passaggi logici espliciti.
Ungaretti racconta con pochissime parole, ma in maniera molto esplicita l’incertezza e la precarietà della
vita dei soldati al fronte. La brevità dei versi e l’assenza quasi totale di punteggiatura, come in tutte le liriche
dell’Allegria, consente al poeta di acquisire piena consapevolezza di ciò che sente e di riportare al lettore
soltanto le parole scavate di cui parla in Commiato1: i termini che vincono il silenzio e assumono una rilevanza
fondamentale, permettendo di far emergere ciò che è nascosto.
Il poeta associa, dunque, la vita umana e le foglie, come avevano già fatto in passato autori come Omero
(nell’Iliade) e Virgilio e come si era già verificato nella Bibbia.
La condizione dei soldati al fronte è particolarmente difficile, sia dal punto di vista fisico che da quello
psicologico. Sono uomini fragili (come le foglie) perché sono lontani dai propri affetti più cari e costretti a
rischiare la propria vita, oltre che a vedere ogni giorno immagini funeree negli occhi dei propri compagni.
Tuttavia, Ungaretti sembra dirci che non è necessario essere soldati per vivere una situazione di precarietà: la
riflessione pare universalizzarsi perché i soldati potrebbero essere tutti gli uomini e la guerra, in un certo qual
senso, potrebbe rappresentare la vita stessa che è assurda, come ogni conflitto, perché contrassegnata dalla
consapevolezza della finitudine. A riprova di ciò, notiamo l’utilizzo della forma impersonale «Si sta» (v. 1)
che rende la situazione universale, in quanto tutti abbiamo un equilibrio precario e su ognuno di noi aleggia
la presenza della morte.
La precarietà è ben esplicitata attraverso il ricorso all’enjambement dei primi due versi che crea un
effetto di sospensione e trasmette un’immagine che si discosta molto dalla stabilità.
Ungaretti che, come ci suggerisce all’inizio della lirica, sta svolgendo il suo ruolo come soldato in trincea nel
bosco di Courton (in Francia) vuole raccontare, dunque, al lettore la tragedia della guerra e la precarietà della
stessa condizione umana.
_______________________________________________________________________________________

FRATELLI (da L’Allegria)


(Mariano, il 15 luglio 1916)
1. Di che reggimento siete
2. fratelli?
3. Parola tremante
4. nella notte
5. Foglia appena nata
6. Nell’aria spasimante
7. involontaria rivolta
8. dell’uomo presente alla sua
9. fragilità
10. Fratelli

Parafrasi affiancata
Mariano, il 15 luglio 1916
1. A quale reggimento appartenete
2. fratelli?
3. La parola fratelli trema
4. nella notte
5. Come una foglia appena nata
6. Nell’aria della notte, lacerata da scoppi e lamenti,
7. c’è un’involontaria rivolta
8. dell’uomo, consapevole della propria
9. fragilità
10. Fratelli

Parafrasi discorsiva
Fratelli, a quale reggimento appartenete?
La parola fratelli trema nella notte, come una foglia appena nata.
Nell’aria della notte, lacerata da scoppi e lamenti, c’è un’involontaria rivolta dell’uomo, consapevole della
propria fragilità.

Figure Retoriche
 Analogie vv. 3-4: “Parola tremante/ nella notte”; v. 5: “Foglia appena nata”; vv. 6-9;
 Enjambements vv. 1-2; vv. 3-4; vv. 6-7; vv. 7-8; vv. 8-9;
 Iperbato “vv. 1-2: Di che reggimento siete/ fratelli?”;
 Metafore “v. 6: aria spasimante”.
Commento
La guerra nel Carso è fonte di grande ispirazione per Ungaretti, il quale scrive in trincea diverse poesie,
prima apparse su «Lacerba» nel 1915 e poi pubblicate, nel dicembre 1916, nella raccolta Il porto sepolto: il
diario dal fronte. A queste poesie se ne aggiungono altre, confluite prima nella raccolta Allegria di naufragi del
1919, poi nell’edizione dell’Allegria del 1931 e, con altre varianti, in quella definitiva del 1942.
Il titolo Il porto sepolto, nasce da un ricorso dell’infanzia del poeta vissuta ad Alessandria d’Egitto: la
notizia di un «porto sommerso» in fondo al mare dalla sabbia del deserto, di un’era anteriore alla fondazione
della città e di cui si è persa la memoria. Un porto sepolto che è anche, in qualche modo, simbolo del mistero
dell’esistenza. La vita, infatti, è un mistero così difficile da decodificare che, anche in mezzo alla morte e alla
distruzione portata dalla guerra può nascere un’illogica vigoria, dalla quale deriva il titolo definitivo Allegria.
La poesia Fratelli, come ci comunica il poeta stesso, viene composta durante la Prima Guerra Mondiale,
il 15 luglio del 1916, e si apre con una domanda che viene rivolta ai soldati che, nell’oscurità della notte, non
sono immediatamente riconoscibili al poeta e ai suoi commilitoni, i quali desiderano conoscere il reggimento
d’appartenenza dei militari che si ritrovano di fronte. Il punto interrogativo del verso 2 è, come spesso accade
in questa fase della poetica ungarettiana, l’unico segno d’interpunzione presente nella lirica.
Compare subito la parola chiave della poesia che coincide col titolo stesso ed assume particolare rilevanza
anche perché viene posta in fondo alla frase, in un verso isolato, attraverso l’artificio retorico dell’iperbato: si
tratta del termine fratelli. Il vocabolo in questione assume una connotazione diversa dal solito e rappresenta
un segno di speranza e di nuovo vigore. Anche in questa lirica, come in Soldati, Ungaretti ricorre all’uso
dell’analogia con l’immagine della foglia appena nata che è accompagnata dal sentimento di fratellanza che
s’istituisce fra i soldati che sono accomunati dalla paura di perdere la vita.
Ancora nel componimento Fratelli, come in Soldati, si parla della fragilità umana, della precarietà della
vita e del timore primordiale, dovuto all’aleggiare costante della morte. Tuttavia, con l’appellativo di fratelli,
i soldati riconquistano la propria umanità e l’immagine della foglia diventa un elemento di consolazione e un
tiepido affacciarsi della vigoria e della positività, nonostante l’esperienza traumatica della guerra.
I soldati, avendo sempre davanti ai propri occhi immagini di morte, sono ben consapevoli della tragedia
alla quale stanno prendendo parte e di quanto siano fragili, tuttavia riescono anche a comprendere che la
caducità è una caratteristica peculiare dell’intera condizione umana e accomuna tutti gli uomini in un
sentimento di dolorosa fraternità. Gli uomini prendono coscienza di ciò e desiderano ribellarsi all’orrore della
guerra attraverso una “involontaria rivolta” che possa permettere loro di tornare gradualmente alla vita.
Colpisce come il componimento termini con la parola-chiave Fratelli, posta nuovamente in posizione
isolata che crea una circolarità col titolo che, come in altre poesie di Ungaretti, è parte integrante della lirica.
Il poeta, che ha vissuto in prima persona la terribile esperienza dei due conflitti mondiali, esprime in
versi ciò che sente, senza usare immagini violente, ma ricorrendo ai propri moti dell’animo e la drammaticità
dell’esperienza viene accentuata dall’utilizzo dei cosiddetti versicoli che si stagliano sulla pagina bianca e
rivelano tutta loro potenza. Ungaretti, infatti, è costantemente alla ricerca della parola essenziale, nuda che,
liberata da ogni ornamento, riesce finalmente a restituire il proprio senso profondo.
_______________________________________________________________________________________

L’ISOLA (da Il sentimento del tempo)

1. A una proda ove sera era perenne


2. di anziane selve assorte, scese,
3. e s’inoltrò
4. e lo richiamò rumore di penne
5. ch’erasi sciolto dallo stridulo
6. batticuore dell’acqua torrida,
7. e una larva (languiva
8. e rifioriva) vide;
9. ritornato a salire vide
10. ch’era una ninfa e dormiva
11. ritta abbracciata a un olmo.
12. In sé da simulacro a fiamma vera
13. errando, giunse a un prato ove
14. l’ombra negli occhi s’addensava
15. delle vergini come
16. sera appiè degli ulivi;
17. distillavano i rami
18. una pioggia pigra di dardi,
19. qua pecore s’erano appisolate
20. sotto il liscio tepore,
21. altre brucavano
22. la coltre luminosa;
23. le mani del pastore erano un vetro
24. levigato da fioca febbre.

Parafrasi affiancata
1. Ad una riva dove sempre copriva d’ombra
2. la fitta e antica vegetazione, giunse
3. e lì s’inoltrò
4. e lo richiamò il frullo di un uccello
5. che si era alzato in volo
6. da un’acqua immersa nella calura e quasi percorsa da un’intensa vibrazione (stridulo batticuore).
7. E una presenza vaga e indecifrabile;
8. vide;
9. ritornato a salire vide
10. che era una ninfa che dormiva
11. in piedi, abbracciata ad un olmo.
12.Dentro di sé alla ricerca di un chiarificazione (fiamma vera)
13. vagando, giunse ad un prato dove
14. l’ombra si addensava negli occhi
15. delle vergini come
16. riverberandosi ai piedi degli alberi d’ulivo;
17. i rami intricati lasciavano cadere quasi ad uno ad uno i raggi del sole
18. come le gocce di una pioggia pigra, lenta e rada.
19. Lì alcune pecore si erano appisolate
20. al tepore dei raggi filtrati dagli alberi,
21. altre brucavano
22. il prato irregolarmente illuminato dai raggi del sole;
23. le mani del pastore erano trasparenti
24. come se una febbre leggera le imperlasse di umidità.

Parafrasi discorsiva
Giunse ad una riva che la fitta e antica vegetazione copriva sempre d’ombra, e lì s’inoltrò, e lo richiamò il
frullo di un uccello che si era alzato in volo da un’acqua immersa nella calura e quasi percorsa da un’intensa
vibrazione (stridulo batticuore). E vide una presenza vaga e indecifrabile; ritornato a salire vide che era una
ninfa che dormiva in piedi, abbracciata ad un olmo.
Vagando dentro di sé alla ricerca di una chiarificazione (fiamma vera), giunse ad un prato dove l’ombra si
addensava negli occhi delle vergini, riverberandosi ai piedi degli alberi d’ulivo; i rami intricati lasciavano
cadere quasi ad uno ad uno i raggi del sole, distillandoli come le gocce di una pioggia pigra, lenta e rada. Lì
alcune pecore si erano appisolate al tepore dei raggi filtrati dagli alberi, altre brucavano il prato irregolarmente
illuminato dai raggi del sole; le mani del pastore erano trasparenti come se una febbre leggera le imperlasse
di umidità.
Figure Retoriche
 Analogie v. 2: “anziane selve assorte”; v.v. 5-6: “stridulo/ batticuore dell’acqua torrida”; v. 18: “una
pioggia pigra di dardi”;
 Enjambements vv. 5-6; vv. 9-10; vv. 10-11; vv. 12-13; vv. 14-15; vv. 15-16; vv. 21-22: vv. 23-24;
 Metafore vv. 23-24: “le mani del pastore erano un vetro/ levigato da fioca febbre”;
 Personificazione v. 2: “anziane selve assorte”; vv. 5-6: “stridulo/ batticuore dell’acqua torrida”;
 Sinestesia v. 20: “liscio tepore”;
 Iperbato vv. 1-2: “A una proda ove sera era perenne/ di anziane selve assorte, scese”; vv. 13-14-15:
“ove/ l’ombra negli occhi s’addensava/ delle vergini”;
 Allitterazioni v. 1: “er”; v. 2: “s” ed “e”; vv. 4-8: “r”; vv. 18-19: “p”;
 Anafore vv. 3-4: “e s’inoltrò/ e lo richiamò…” ; vv. 7-8: “e una larva (languiva)/ e rifioriva”.

Commento
La lirica L’isola appartiene alla raccolta Sentimento del tempo, uscita per la prima volta nel 1933 e
comprendente poesie scritte a partire dagli anni venti. Secondo i maggiori critici questa raccolta, rispetto
all’Allegria, segna il passaggio ad una metrica più complessa e la ricomparsa dei versi tradizionali e della
punteggiatura. Si nota, inoltre, il ricorso ad un lessico più ricercato e l’utilizzo di analogie meno comprensibili.
La raccolta si concentra soprattutto sul tema dei paesaggi romani e laziali, che prendono il posto dei
paesaggi parigini e di quelli di trincea. Il tema della guerra lascia ora spazio a riflessioni di carattere più
generale sullo scorrere del tempo, sull’attesa della morte, sulla solitudine dell’uomo di fronte al dolore.
Cambia anche la stessa impostazione delle liriche che non sono più il frutto di illuminazioni improvvise,
ma il risultato di una riflessione ben più profonda e di una ricerca del senso stesso dell’esistenza. Tutte le
poesie di questa raccolta saranno degli importanti modelli per i poeti ermetici e questa lirica non fa affatto
eccezione.
Passando alla poesia L’isola, oltre all’anno di composizione, Ungaretti ci fornisce anche delle indicazioni
per comprendere meglio il testo: «Il paesaggio è quello di Tivoli. Perché l’isola? Perché è il punto dove io mi
isolo, dove sono solo: è un punto separato dal resto del mondo, non perché lo sia in realtà, ma perché nel mio
stato d’animo posso separarmene».
Tuttavia, nonostante le indicazioni forniteci dallo stesso autore, l’immagine dell’isola resta del tutto
irreale e tutta la poesia vive in un’atmosfera indeterminata, tant’è che lo stesso protagonista (il visitatore
dell’isola) resta anonimo, anche se alcuni critici tendono ad identificarlo con lo stesso Ungaretti.
Per l’appunto, in apertura della lirica notiamo subito l’utilizzo dell’iperbato che lascia sospeso il lettore
in attesa di sapere chi sia il soggetto della lirica dilatando il tempo e creando un’oculata sospensione. Il
componimento è dominato dall’elemento onirico; siamo all’interno di un’atmosfera fiabesca e di sogno e a tal
proposito notiamo ancora l’utilizzo del passato remoto che inserisce il componimento in un tempo
indeterminato e lontano.
Questo soggetto dall’identità indefinita giunge ad un luogo d’approdo silenzioso e perennemente coperto
dall’ombra, attraverso la vegetazione. L’individuo viene richiamato dal suono di un uccello che fa rumore con
le sue penne, increspando l’acqua torrida. Lì vede un’immagine che appare e scompare a intermittenza: è una
ninfa sdraiata su un olmo. Il protagonista sta errando in se stesso passando da apparizioni illusorie (v. 12:
simulacro) alla realtà (v. 12: fiamma vera). Ed anche la parte conclusiva della poesia, con l’apparizione del
pastore febbricitante, è tutto giocato sull’impossibilità di cogliere ciò che è vero e ciò che non lo è.
_______________________________________________________________________________________

LA MADRE (da Il sentimento del tempo)

1. E il cuore quando d’un ultimo battito


2. avrà fatto cadere il muro d’ombra,
3. per condurmi, Madre, sino al Signore,
4. come una volta mi darai la mano.
5. In ginocchio, decisa
6. sarai una statua davanti all’Eterno,
7. come già ti vedeva
8. quando eri ancora in vita.
9. Alzerai tremante le vecchie braccia,
10. come quando spirasti
11. dicendo: Mio Dio, eccomi.
12. E solo quando m’avrà perdonato,
13. ti verrà desiderio di guardarmi.
14. Ricorderai d’avermi atteso tanto,
15. e avrai negli occhi un rapido sospiro.

Parafrasi affiancata
1. E quando il mio cuore con un il suo ultimo battito
2. avrà fatto cadere il muro misterioso della morte
3. per condurmi, o madre, al cospetto del Signore,
4. tu mi darai la mano come al tempo dell’infanzia.
5. In ginocchio, decisa,
6. tu resterai immobile come una statua ad attendere il giudizio dell’Eterno,
7. nello stesso atteggiamento in cui ti vedevo
8. quando eri ancora in vita.
9. Solleverai le tue braccia anziane tremanti,
10. come quando moristi
11. dicendo: “Eccomi, mio Dio”.
12. E solo quando (Dio) m’avrà perdonato,
13. ti verrà il desiderio di guardarmi.
14. Ti ricorderai di avermi atteso a lungo,
15. e avrai negli occhi un sospiro di serenità.

Parafrasi discorsiva
E quando il mio cuore con il suo ultimo battito avrà fatto cadere il muro misterioso della morte per condurmi,
o madre, al cospetto del Signore, tu mi darai la mano come al tempo dell’infanzia. In ginocchio, decisa, tu
resterai immobile come una statua ad attendere il giudizio dell’Eterno, nello stesso atteggiamento in cui ti
vedevo quando eri ancora in vita. Solleverai le tue braccia anziane tremanti, come quando moristi dicendo:
“Eccomi, mio Dio”. E solo quando (Dio) m’avrà perdonato, ti verrà il desiderio di guardarmi. Ti ricorderai di
avermi atteso a lungo, e avrai negli occhi un sospiro di serenità.

Figure Retoriche
 Analogia v. 2: “avrà fatto cadere il muro d’ombra”;
 Anastrofi v. 1-2: “E il cuore quando d’un ultimo battito/ avrà fatto cadere il muro d’ombra”; v. 4:
“come una volta mi darai la mano”;
 Metafore v. 6: “sarai una statua davanti all’Eterno”;
 Sinestesia v. 15: “e avrai negli occhi un rapido sospiro”.

Commento
La lirica La madre appartiene alla raccolta Sentimento del tempo, uscita per la prima volta nel 1933 e
comprendente poesie scritte a partire dagli anni venti. La raccolta si concentra soprattutto sul tema dei paesaggi
romani e laziali, che prendono il posto dei paesaggi parigini e di quelli di trincea. Il tema della guerra lascia
ora spazio a riflessioni di carattere più generale sullo scorrere del tempo, sull’attesa della morte, sulla
solitudine dell’uomo di fronte al dolore. Dal punto di vista metrico, il poeta ritorna al verso e alla sintassi
tradizionale – dopo la frantumazione ritmica in particolare dell’Allegria, utilizzando l’endecasillabo e
il settenario.
Cambia la stessa impostazione delle liriche che non sono più il frutto di illuminazioni improvvise, ma il
risultato di una riflessione ben più profonda e di una ricerca del senso stesso dell’esistenza, nascosto dietro il
muro d’ombra (v. 2) costituito dalle effimere apparenze del mondo.
Ungaretti scrive La madre nel 1930 in occasione della morte della madre, due anni dopo la sua
conversione e il suo ritorno alla fede cristiana. Il poeta immagina il momento in cui, dopo che il suo cuore
avrà smesso di battere facendo cadere l’ostacolo terreno (muro d’ombra) che impedisce agli esseri umani di
vedere l’aldilà, egli si ritroverà al cospetto del Signore.
In quel momento rivedrà la madre che gli darà la mano come al tempo dell’infanzia, e sarà lì in
ginocchio, immobile, in attesa del giudizio divino, mantenendo lo stesso atteggiamento che aveva quando era
ancora in vita e si raccoglieva in preghiera. Sua madre sarà lì ad intercedere, con fermezza, per lui presso Dio
e, soltanto quando sarà sicura di aver garantito al suo pargoletto il perdono divino, si girerà per guardarlo. La
donna mostra un atteggiamento profondamente cristiano sia perché accetta serenamente la propria morte, sia
perché prega per intercedere per il figlio.
È evidente il cammino di conversione compiuto da Ungaretti e il suo profondo sentimento cristiano.
Nella poesia La madre la morte è vista come il momento in cui si può vedere la luce divina e si possono
ritrovare le persone care.
_______________________________________________________________________________________

NON GRIDATE PIU’ (da Il dolore)

1. Cessate d’uccidere i morti,


2. non gridate più, non gridate
3. se li volete ancora udire,
4. se sperate di non perire.
5. Hanno l’impercettibile sussurro,
6. non fanno più rumore
7. del crescere dell’erba,
8. lieta dove non passa l’uomo.

Parafrasi affiancata
1. Smettete di uccidere (nuovamente) i morti,
2. smettete di gridare, non gridate più
3. se li volete ancora ascoltare,
4. se sperate di non morire.
5. (I morti) hanno una voce fioca,
6. non fanno più rumore
7. dell’erba che cresce,
8. che può prosperare solo dove non passa l’uomo.

Parafrasi discorsiva
Smettete di uccidere (nuovamente) i morti, smettete di gridare, non gridate più se li volete ancora ascoltare,
se sperate di non morire.
(I morti) hanno una voce fioca, non fanno più rumore dell’erba che cresce, che può prosperare solo dove non
passa l’uomo.

Figure Retoriche
 Adynaton (cioè: “cosa impossibile”) v. 1: uccidere i morti;
 Allitterazioni “p”: vv. 4-6: “se sperate di non perire./ Hanno l’impercettibile sussurro,/ non fanno più
rumore”; “r” e “s”: vv. 5-8;
 Anafore vv. 3-4: se li volete ancora udire,/ se sperate di non perire;
 Personificazione vv. 7-8: del crescere dell’erba/ lieta dove non passa l’uomo;
 Ripetizione v. 2: non gridate più, non gridate.

Commento
La poesia Non gridate più appartiene alla raccolta Il dolore, pubblicata nel 1947, con la quale il poeta dà
voce al suo tormento personale (dovuto alla morte del fratello e del figlio di nove anni) e collettivo (provocato
dalla tragica occupazione di Roma da parte dei tedeschi e, in generale, dall’esperienza bellica).
Si tratta di una raccolta di liriche composte tra il 1937 e il 1946, divisa in sei sezioni. Le varie parti sono
collegate da un unico tema che è quello della sofferenza che accomuna tutti gli uomini, nel privato come nella
collettività, e può essere attenuata soltanto essendo solidali con gli altri esseri umani.
In questa raccolta il poeta non inserisce alcuna nota, ma si limita a dire: «So che cosa significhi la morte,
lo sapevo anche prima; ma allora, quando mi è stata strappata la parte migliore di me, la esperimento in me,
da quel momento, la morte. Il dolore è il libro che più amo, il libro che ho scritto negli anni orribili, stretto
alla gola. Se ne parlassi mi parrebbe d’essere impudico. Quel dolore non finirà più di straziarmi». Ungaretti,
inoltre, utilizza ora le misure metriche tradizionali e passa ad utilizzare un linguaggio più accessibile.
Il componimento Non gridate più, scritto nell’immediato dopoguerra, è rivolto a quanti hanno vissuto e
superato, come dice lo stesso poeta, la «tragedia di questi anni». Nonostante la serie d’imperativi l’intento del
poeta non è quello di esprimere un ordine o un comando, ma quello di rivolgere una preghiera agli uomini,
affinché salvino la stessa umanità, riscoprendo il valore della pietà.
Nella prima strofa, infatti, Ungaretti invita i vivi a cessare la violenza delle parole, una violenza che arriva
a profanare le tombe. Gridando – gli uomini – non fanno altro che soffocare la voce debole dei morti, arrivando
a cancellare il loro sacrificio, per cui il poeta invita, attraverso l’artificio dell’adýnaton («uccidere i morti»), a
superare le divisioni e a fare silenzio per lasciar parlare chi non c’è più.
Al gridare (sintomo di barbarie) si contrappone, infatti, la muta presenza dei morti: i vivi gridano ed
esprimono odio, mentre i morti sussurrano e trasmettono un messaggio di pace. Ungaretti teme che ormai ci
sia un distacco troppo grande fra chi è ancora in vita e chi non c’è più e la sua sfiducia diviene evidente negli
ultimi due versi, in cui l’immagine dell’erba che ha paura del passaggio dell’uomo, rende evidente la
disperazione di chi ha conosciuto le sue azioni terribili (gli orrori della Seconda guerra mondiale).
Sebbene i vivi possano ancora uccidere i morti con le proprie grida barbariche, Ungaretti mostra un
messaggio di pace e lo affida proprio alla debole voce dei morti che possono restituire agli uomini la propria
dignità.

Potrebbero piacerti anche