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SEICENTO – BAROCCO

Iniziato nel segno delle guerre di religione, che culmineranno nella guerra dei Trent’anni, il ‘600 è
un secolo di grandi rinnovamenti politici. In tutta Europa, tranne che in Italia e in Germania, si
afferma lo Stato moderno. Sul piano artistico il ‘600 è l’epoca del Barocco, con il tema della
meraviglia e dello stupore. In Italia dominano Marino e la lirica concettista, il classicismo barocco
di Chiabrera (antimarinista) e la satira di Frugoni. Nasce poi un nuovo genere, il “poema
eroicomico” di Tassoni, mentre si diffonde anche una letteratura gesuitica (Bartoli).
Nella produzione in prosa spicca l’opera di Basile ma, la novità più importante, è il sorgere della
prosa scientifica di Galileo, a cui si affiancano per intensità gli scritti filosofici di Campanella.

PREMESSA: La situazione politica e sociale condiziona, per ovvi motivi, la vita intellettuale di
questo periodo, ma fortunatamente non la spegne completamente. Il processo di attività di ricerca
culturale si sviluppa a partire dall’epoca dei comuni, poi nell’Umanesimo e Rinascimento
proseguendo nonostante le difficoltà e le persecuzioni. In questo nuovo secolo abbiamo un
distacco della scienza dalla teologia e la filosofia, per conquistarsi novità di metodo e
autonomia. La conquista dell’autonomia culturale e ideologica della scienza è frutto di un lungo
travaglio a partire dal lavoro degli umanisti (in cui cambia la percezione dell’antico e del moderno)
e le cause sono: il lavoro filologico degli umanisti (ritorno ai testi antichi), le nuove scoperte
geografiche e astronomiche.

Il Seicento fu un secolo ricco di innovazioni, segnato dal desiderio di differenziarsi dal periodo
precedente; questo non significò rinnegare il passato, anzi, si tenne molto in considerazione la
lezione degli antichi, ma molte novità come la stampa, gli apporti al nuovo mondo e le nuove
conoscenze naturali, portavano delle innovazioni in ogni campo.

LE ISTITUZIONI

CORTI: Poli culturali sono nel ‘600 ancora le corti, profondamente cambiate rispetto a quelle
rinascimentali, servendosi del prestigio che le lettere, le arti e gli spettacoli possono offrire,
coltivandone di conseguenza attività culturali e artistiche.

ACCADEMIE E UNIVERSITA’: Le università e le accademie diventano le vere sedi della


produzione e circolazione di idee: ogni città, anche piccola, ha la sua accademia, motore di
incontri e dibattiti. Sono presenti:

 Accademia degli Incogniti – Venezia


 Accademia degli Umoristi e dei Desiosi – Roma
 Accademia dei Gelati e della Notte – Bologna
 Accademia degli Oziosi – Napoli
 Accademia della Crusca – Firenze. Obiettivo: promuovere il toscano

COLLEZIONISTI: Anche i privati, con il collezionismo, si fanno promotori delle nuove


conoscenze. Con la raccolta, l’esposizione, il confronto di piante, animali e oggetti, che
contribuiscono a migliorare le tecniche per lo studio della natura. Le “Wunderkammern” o
“gabinetti della curiosità” si diffondono, tra fine ‘500 e metà ‘600, tanto che ogni città italiana può
vantare un collezionista – vengono visitati da viaggiatori provenienti da tutta Europa.
Collezionare significa poter vedere direttamente gli oggetti naturali, esaminarli e classificarli; sarà
poi il microscopio a perfezionare queste analisi.
ARTE E CULTURA: Si diffondono, successivamente, le biblioteche pubbliche e si aprono dei
teatri a pagamento per spettacoli di alta qualità. Si velocizza la comunicazione stampando
periodicamente “avvisi” e “manifesti” che riferiscono gli avvenimenti politici, di cronaca, di
cultura e politica – sono anticipi di moderni giornali – dando vita a una vera e propria propaganda;
la circolazione di questo materiale è favorito da un sistema postale che si è evoluto e
modernizzato. Anche il libro stampato non è più un prodotto raro, tant’è vero che raggiunge un
pubblico popolare: se Venezia è uno dei centri più importanti del mercato librario, sarà Amsterdam
ad aggiudicarsi il primato. Si pubblicano molti libri illustrati, diventando prodotti di alti livelli in grado
di unire la parola all’immagine.

Si avverte, quindi, nel ‘600, il carattere progressivo della conoscenza. Soprattutto dopo le scoperte
della scienza sperimentale: siamo di fronte a un secolo originale, che ha l’esigenza di
sperimentare cose nuove.

LA CHIESA: Abbiamo visto come i centri della cultura nel ‘600 sono molti, ma su di tutti eccelle la
città Roma per essere, a differenza delle altre, il centro della cristianità, tornando ad essere
“caput mundi” grazie anche alla riforma avviata con il Concilio di Trento. Al suo splendore
contribuisce papa Urbano VIII, il quale instaura una fase felice, detta età barberiniana, feconda di
produzione artistica e letteraria. E’ proprio sotto Urbano VIII che avviene anche il processo a
Galileo con la condanna delle teorie copernicane e il divieto di divulgare le nuove idee, che si
credevano contrarie al testo biblico.

Se da una parte da Roma viene lo splendore di una nuova civiltà, dall’altra mostra anche i limiti
della cultura italiana del ‘600. Nel mondo cattolico, a causa della censura sulla produzione
letteraria e il divieto di tradurre il testo biblico in volgare, viene a mancare quel rapporto tra fede e
conoscenza che aveva rappresentato l’Umanesimo.
Nel clima di questi controlli viene arso al rogo Giordano Bruno; le opere “problematiche”
vengono portate all’estero e pubblicate lì. Da lì ritornano clandestine in Italia arricchendo il dibattito
ma anche la conoscenza. Abbiamo la Chiesa tutt’altro che uniforme.
L’incontro fra gli educatori della Compagnia di Gesù e la Curia romana, modella un nuovo
rinascimento cristiano: anziché applicare aspetti troppo rigidi alla riforma cattolica, Roma coltiva
un’idea di verità che si manifesta nell’eleganza dell’architettura, delle arti e della musica: fonda il
suo potere politico-religioso non sulla forza, ma sul fascino.

SEMINARI E COLLEGI: strumenti di acculturazione sono i seminari e i collegi, soprattutto


quelli gesuiti. La “Ratio studiorum” (progetto educativo) ha come fondamento la
formazione umanistica attraverso l’educazione della parola. Nei collegi gesuiti si coltivano
anche gli spettacoli. L’opera del gesuita Antonio Possevino, “Bibliotheca selecta”, offre un
quadro della cultura e delle scienze con lo scopo di rimuovere le eresie, elencandovi tutti i
testi che possono servire al sapere. L’opera costituisce il manifesto di una cultura che vuole
farsi voce di una nuova combinazione di fede e conoscenza.
Vi sono anche le parrocchie che, attraverso le scuole della dottrina cristiana, tentano
anche un incremento della cultura nei ceti più bassi, destinati all’insegnamento del
catechismo.

CORTE E CITTA’: Se la religione è uno dei poli della cultura barocca, l’altro è la politica.
La corte emana splendore e prestigio anche se, le corti italiane, hanno perso quel primato che
avevano nel ‘500 e vivono sotto il dominio delle città di Madrid, Parigi e Londra. Tramontano i
centri di Mantova, Ferrara e Urbino.

ROMA: Sola eccezione, la quale conosce un periodo di grande splendore: la sua corte è
raffinata e raccoglie il meglio di musicisti, pittori, scultori, architetti, poeti e letterati
tanto da essere attirata da tutta Europa; anche il mecenatismo dei papi ha comunque
favorito le creazioni artistiche di artisti, quali: Caravaggio, Borromini e Bernini.

NAPOLI E MILANO: legate dallo stesso controllo spagnolo, conoscono a inizio ‘600
un’intensa attività culturale, ma entrambe sono coinvolte nella decadenza dell’Impero
che le governa, vedendo declinare le loro risorse umane ed economiche.
Napoli conosce periodi di rivolta, come quella guidata da Masaniello (1647/48), ma riesce
comunque a mantenere viva una tradizione di poesia e di studi.
Milano, nonostante la dipendenza della Spagna, è favorita dall’eredità di san Carlo e
dall’attività di Federico Borromeo (entrambi cardinali e vescovi della città), e sviluppa una
cultura di impronta religiosa che da un forte impulso anche all’arte.

TORINO: Troviamo la figura di Carlo Emanuele I che conduce una politica altalenante tra
Francia e Spagna che gli consente di rimanere libero da pesanti condizionamenti da parte
delle potenze europee. Questo permette al Ducato di Savoia un’autonoma affermazione
politico-culturale. La città, da poco scelta come capitale, riflette nell’urbanistica,
nell’architettura e nell’arte.

VENEZIA: resiste in modo più deciso al potere spagnolo e romano la Repubblica di


Venezia, la Serenissima, mantenendo salda la sua autonomia anche con uno scontro
contro l’autorità pontificia. Nel ‘600 Venezia conosce una straordinaria fioritura delle arti
figurative, della musica e dello spettacolo continuando ad attirare stranieri.

FIRENZE: tra le vecchie signorie, Firenze conserva il suo primato culturale sul quale
contribuiscono ancora i Medici, unica famiglia che riesce a mantenere un mecenatismo pari
a quello del Rinascimento. L’Accademia del Cimento favorisce il progresso delle
conoscenze, è voluta dai granduchi e riesce a mantenersi in contatto con i fronti più elevati
europei. L’Accademia della Crusca, invece, ha come obiettivo quello di tenere viva la
tradizione della lingua e della letteratura toscana, consentendo a Firenze di riservare una
tradizione classicista che argina gli aspetti del Barocco.

Stretta dal potere spagnolo, anche Genova ha una presenza importante nella cultura barocca,
così come ce l’hanno anche le città non capitali, come Bologna, che gode di un’intensa attività
culturale, letteraria e artistica, ruotante intorno all’università e le accademie; spostandoci nelle aree
periferiche si può notare come, nel ‘600, troviamo delle soluzioni artistiche in città come Lecce e
Noto. Si svilupperanno modelli architettonici, scuole di scultura e pittura, invenzioni musicali,
soprattutto le città di Roma e Venezia, facendo del secolo uno dei più ricchi dal punto di vista
artistico e musicale.

La rappresentazione artistica diventa un modo per rivelare l’apparenza, facendo intravedere


qualcosa al di là dei fenomeni, senza mai rivelarne il mistero. L’arte barocca userà la tecnica del
“trompe d’oeil”, per far vedere “ciò che non c’è”.
Nel ‘600 si pratica molto anche l’arte delle feste di corte (matrimoni, battesimi) e sacre (funerali,
feste di santi): tutto questo si riversa sulla città con spettacoli, ma è anche un modo per
comunicare il potere.

Se è vero che non tutto è oro quel che luccica, il ‘600 non conoscerà solo uno splendore artistico,
ma anche momenti drammatici, ricordandolo come un secolo di guerre, di povertà, di pesti
ricorrenti e di declino sociale vissuti dai ceti meno abbienti.

LA LINGUA: Il grande evento linguistico del ‘600 italiano è la pubblicazione del primo
“Vocabolario” (1612), dell’Accademia della Crusca. Formata a Firenze nel 1583 da un gruppo di
studiosi che aveva la passione per la difesa e la promozione della lingua toscana, la Crusca ha tra
i suoi obiettivi quello di organizzare un dizionario del volgare letterario, basato sugli autori del ‘300.
Si giunge al completamento dell’opera dopo un lungo lavoro di spoglio degli autori maggiori
(Dante, Petrarca, Boccaccio) e quelli minori. Il criterio selettivo della Crusca da vita a delle
polemiche e opposizioni dei non toscani, contro le ristrettezze della scelta di un secolo che
rappresenta solo “l’infanzia” della lingua italiana. La seconda edizione del “Vocabolario” (1623),
non introduce molti ampliamenti; sarà solo la terza edizione (1691) a vedere una dilatazione dei
termini moderni e di poeti come Tasso, fino allora escluso.
Il “Vocabolario” costituisce uno strumento normativo per la lingua toscana che conosce una
diffusione e un allargamento su terreni ancora occupati dal latino.
Il volgare viene quindi accolto anche negli ambiti che erano principalmente occupati dal
latino, come nel campo della comunicazione scientifica e storica. Galileo, che pubblica le sue
prime scoperte in latino, opta poi per il volgare sia per la coerenza con l’indirizzo culturale della
Firenze medicea, sia per un proposito divulgativo.
Attraverso la predicazione per la prima volta, la lingua italiana, si presenta uniforme anche ai ceti
più bassi e su tutto il territorio nazionale.

PERIODIZZAZIONE: All’avvio del secolo le forme del Manierismo sono ancora vive e ci sono
anche inclinazioni costanti verso il classicismo. La figura in qualcosa di certo, che aveva
determinato l’armonia e l’equilibrio rinascimentale, viene a morire con la scoperta di nuove
scienze. La linea di demarcazione fra il Manierismo e il Barocco non è facilmente tracciabile, in
quanto entrambi i fenomeni appartengono alla stessa cultura di corte e si differenziano solo per le
soluzioni presentate. Il Manierismo presenta un’arte introversa e preziosa, camminando sulla
raffinatezza; il Barocco, al contrario, mostra una tendenza più popolare con il suo gusto
espansivo ed esibizionista.

I caratteri più evidenti del Barocco sono la ricerca del nuovo e l’effetto della meraviglia. L’ordine
e la misura rinascimentale lasciano il posto all’inedito e al bizzarro. Entra nelle scelte degli scrittori
anche un nuovo criterio: il giudizio e il gusto del pubblico – si presta quindi una nuova
attenzione anche ai lettori in quanto gli autori si propongono di soddisfarli. Si cercano così generi
nuovi e tutto è accettato purché porti allo stupore, alla meraviglia.
Questa è la facoltà primaria del Barocco: la meravigliosa forza dell’intelletto capace di penetrare le
caratteristiche degli oggetti e metterli in relazione, incrementando lo stupore e accrescendo il
piacere della conoscenza. Il ‘600 non fu solo ricerca artificiosa, ma fu anche la nuova architettura
dell’anima, tra istinto e ragione, tra il carnale e lo spirituale, tra il naturale e il sovrannaturale.
POETICA E RETORICA

MANIERISMO: Verso la fine del ‘500 entra in crisi un modo di concepire la letteratura che aveva
dominato il secolo e che si basava sul confronto con la “Poetica” di Aristotele e “l’Ars poetica” di
Orazio: da essi poeti e scrittori avevano tratto norme e regole. Su questo confronto anche il
Rinascimento aveva formulato la sua idea di letteratura e classicità. Chiaramente il dibattito
letterario si esaurisce con il declino del secolo, mostrando il lento maturare delle nuove tendenze
letterarie che domineranno poi il ‘600. L’Umanesimo fin da Petrarca aveva sostenuto il primato
della poesia, come ultimo sostenitore Tasso; il nuovo atteggiamento, invece, vuole una costruzione
di meccanismi artificiosi del linguaggio.

BAROCCO: Contro la grandezza del secolo precedente, ovvio che il Barocco cerca di affermarsi
in qualche modo. La curiosità diventa una virtù e il nuovo, l’eccesso e l’insolito saranno ricercati
per causare effetti di meraviglia e stupore: qualunque sia il modo, l’importante è l’effetto.
Sull’impegno etico della poesia (docere), prevale il soddisfacimento (delectare).
L’obiettivo è quello di soddisfare il pubblico, il gusto del tempo in tutti i campi, con soluzioni che
esaltano l’originalità.
La figura retorica privilegiata è la metafora, perché fa vedere insieme più cose, come uno
scenario a più piani – la metafora offre la possibilità di far intravedere in una parola più di un
oggetto, di creare un “teatro di meraviglie” - . La conoscenza data dalla metafora è un tutt’uno con
la meraviglia, che nasce dallo stupore della mente.
Sulla base della metafora si creano i concetti, usati nell’oratoria, nella poesia, in ogni forma
letteraria. “Concetto” nella retorica barocca sta ad indicare un argomento vivace, quindi il
concettismo non è solo una questione di stile dal momento in cui richiede l’impegno di
un’ingegnosità intellettuale. Nel 1611 in un trattato di retorica sacra, “l’Arte di predicar bene”, un
capitolo è dedicato completamente a certe acutezze che rendono più sofisticata l’orazione.
Quando poi, nel 1639, Matteo Peregrini scrive “Trattato delle acutezze”, le arguzie sono ormai
considerate un vizio dell’eloquenza. Mostra che l’acutezza non è una questione di termini, ma di
analogie, quindi la creazione di nuovi sensi, di nuovi modi di interpretare la realtà.

EMANUELE TESAURO: Il documento della concezione retorica è “Il cannocchiale aristotelico”


di Emanuele Tesauro. Il trattato esce nel 1654 quando la moda è verso il declino. L’opera combina
antico e moderno. Lo strumento che aveva consentito a Galileo di scalzare le teorie di Aristotele è
qui abbinato alla “Poetica” aristotelica. Gran parte dell’opera è dedicata alla metafora, ma
l’argomento principale è l’acutezza, che viene ripartita in tre forme:
 Parole ingegnose
 Proposizioni ingegnose
 Argomenti ingegnosi
Per Tesauro l’argutezza è un processo che riguarda tutte le forme di significazione, inclusi i
linguaggi non verbali (Dio, angeli, natura). Il linguaggio è considerato esteriorità e solo in Dio la
comunicazione avviene senza mezzo (come egli dichiara). Sviluppa anche le varie tipologie di
segni, come quello vocale e muto; ingegnosi sono per lui i modi usati da Dio per comunicare con
l’essere umano (simboli, enigmi), dagli angeli (sogni, visioni), dalla natura (comete, costellazioni) e
dagli animali (il comportamento). L’importanza dell’opera risiede anche nel riflettere una nuova
concezione del linguaggio, quindi il sapere barocco si oppone a quello del secolo precedente.
TEORICI DELLA POESIA: La novità, la meraviglia, l’amore per l’ingegnoso e la metafora sono
criteri che valgono per tutti gli ambiti del Barocco letterario. Una delle prime espressioni teoriche
del secolo è la poetica di Tommaso Campanella. Compose due poetiche: la prima in italiano
(1596), la seconda in latino (1612) – riguardano tutta la scrittura in versi, latina e volgare,
risalendo dalle origini della poesia. La poesia è definita da Campanella il “fiore di ogni scienza”, è
un’arte che serve per far assimilare la verità e il bene.
Il grande quesito intorno a cui ruota la riflessione sulla poesia del ‘600 è il rapporto con la
tradizione petrarchista. Alessandro Tassoni, pur non rifiutando i tradizionali valori, nelle
“Considerazioni sopra le Rime del Petrarca”, procede alla revisione del culto rinascimentale del
trecentista e testimonia la possibilità di nuovi “campioni” di poesia, combattendo contro coloro
che credono che non si possa andar contro “le cose dette da lui” (Petrarca).
Tassoni è il difensore del progresso e della poesia: nei “Pensieri” dimostra che il presente ha i
suoi grandi, così come l’antichità ha avuto Virgilio.
Pieno riconoscimento al valore della sua poesia viene dato da Paolo Beni in cui dichiara che
Tasso non è solo superiore ad Ariosto, ma anche superiore ai grandi della tradizione epica,
riconoscendo in Tasso un poeta inferiore solo a Petrarca. Troviamo anche le riflessioni di
Chiabrera, espresse in cinque dialoghi in prosa, in cui nuovo e antico si incontrano nella ricerca
poetica, in cui il rinnovamento guarda alla poesia greca, a Dante e a Petrarca. Poiché Chiabrera
nella sua proposta si chiama all’equilibrio e alla misura, la sua poesia costituì un modello per chi
volle arginare il concettismo.

TEORICI DELLA PROSA: Nell’ambito della prosa non mancano le formulazioni teoriche. Le
riflessioni teoriche si concentrano perché ci si interroga sulla migliore espressione che possa dare
alla parola l’eleganza. Il punto di partenza è dato sempre dai classici.
Sono in gioco uno stile grave e spezzato (modello: Seneca e Tacito), contro uno stile abbondante,
versatile, elegante e decoroso (modello: Cicerone).
Cicerone è l’opzione dei gesuiti delle loro scuole in quanto, per la chiarezza e la varietà, la prosa
ciceroniana offre un esempio di eloquenza moderata e governata dal decoro.
La “Ratio studiorum” consacra Cicerone e Quintiliano come i maestri dell’educazione cristiana,
affidando alla parola il compito di governare l’individuo e il mondo.
Si oppone al modello ciceroniano Malvezzi. Egli costituisce il miglior esempio di
anticiceronianesimo assumendo come modello Tacito; nella sua ricerca risulta anche il miglior
esempio di stile conciso, breve. Con aforismi, sentenze e oscurità impegna il lettore in un continuo
esercizio interpretativo, ma sarà uno stile che tramonterà verso la metà del secolo.
Contro queste forme troviamo la figura di Bartoli, il quale nella sua opera “Dell’uomo di lettere
difeso ed emendato” offre una serie di considerazioni sullo stile: opta per una varietà controllata,
conforme alla verità delle cose che si trattano.

Alla definizione di uno stile per la prosa didascalica si impegna il gesuita Pallavicino, autore di
tragedie e della “Storia del Concilio di Trento”. Le sue idee retoriche sono esposte nel “Del bene”,
in cui affronta la questione dello stile in cui opta, e “Trattato dello stile e del dialogo”.
A questa prosa non sarà adatta la metafora ma la similitudine, altrettanto raro deve essere l’uso
del concetto. Propone come genere della scrittura scientifica e didattica il dialogo, rifiutando
uno stile fiorito e piacevole.

Tra il 1687 e il 1689 esce a Venezia il “Tribunal della critica” di Francesco Frugoni, in cui propone
un riassunto della cultura del secolo. L’opera appartiene al genere satirico ma con un orientamento
morale e educativo. In teoria Frugoni si pone come un critico degli eccessi ma in realtà si lascia
penetrare dal gusto concettista, dando mano libera alla sua creatività utilizzando giochi di parole,
allitterazioni, ripetizioni e tutto l’impasto tipico della prosa barocca.
L’ultimo volume dell’opera di Frugoni esce a un anno dalla fondazione dell’Accademia
dell’Arcadia, quando la sensibilità di quel tempo è già rivolta verso altre poetiche e altri criteri
fondati sulla chiarezza e sull’eleganza.
Il nuovo orientamento è frutto del modo di avvicinarsi al reale e non è un caso se proprio a Firenze
si avverte il primo rinnovamento delle lettere, in quanto i letterati vivevano a stretto contatto con gli
scienziati di formazione galileiana.
La “Poetica” di Menzini rappresenta il versante letterario della cultura fiorentina.
Egli si rifà a Orazio e alla tradizione italiana di Petrarca, Ariosto e Tasso per uno stile che unisca
i classici greci e latini con quelli italiani. La sua preoccupazione è la comprensibilità del testo.
Le indicazioni operative dell’opera saranno poi raffinate dai teorici che si raccolgono intorno
all’Accademia dell’Arcadia.
GALILEO GALILEI

INCIPIT: La nascita della scienza moderna coincide con la nascita della prosa scientifica. Galileo,
massimo esponente della scienza moderna, fu il primo ad utilizzare il volgare per un intento
divulgativo; i tuoi trattati e le sue epistole hanno valore epistemologico e letterario insieme. I suoi
allievi ereditano, insieme alla passione per l’indagine, anche questo alto grado di letteratura.
Queste diverse scoperte mettono in crisi le diverse concezioni dell’universo (concezione
tolemaica e concezione copernicana), quindi, nel momento in cui si va ad esprimere una nuova
cosmografia, ci si ritrova a mettere in discussione l’intera concezione della vita.
Il Galileismo è un tema centrale all’intero del secolo. Tanto Galileo, quanto i suoi seguaci,
scrissero in italiano, rompendo così la tradizione: questa cultura scientifica prosegue nonostante le
difficoltà che si presentano.

GALILEO – LE SCOPERTE: Galileo e i suoi allievi sono i principali protagonisti della rivoluzione
scientifica. Con le sue osservazioni celesti trova la via per dimostrare che il pensiero
aristotelico/tolemaico era sbagliato, esprimendo in un linguaggio preciso la sua nuova visione
del mondo.

Nato a Pisa nel 1564, fu inizialmente indirizzato alla professione medica, ma si rese conto che la
sua vocazione era per gli studi matematici, tanto da ottenere l’insegnamento a Pisa e
successivamente a Padova, mettendo mano a nuove ricerche sul rapporto tra peso e caduta dei
gravi e ampliando, strada facendo, le proprie ricerche.
L’impulso per proseguire gli studi astronomici avvenne quando nel 1604 ci fu l’apparizione di una
nova, una stella mai vista, esprimendo l’idea che ciò che stava oltre l’orbe lunare non era
immutabile. Costruì quindi, nel 1609, il primo telescopio, strumento che ebbe un impatto
straordinario sulla cultura dell’epoca: Galileo lo usò per scrutare il cielo, giungendo a delle
scoperte che avrebbero rivoluzionato il sapere contemporaneo.
Scrisse il “Sidereus nuncius”, in latino, in cui presentava le scoperte che trattavano della
superficie della Luna, l’immensità delle stelle, le nebulose, la Via Lattea e l’individuazione di
quattro satelliti di Giove che chiamerà “Medicei” – nel 1610 arrivò a definire le fasi di Venere, i
periodi dei satelliti di Giove e la configurazione di Saturno.

L’ACCADEMIA: Nel 1610 è chiamato a Firenze per ricoprire l’incarico di matematico e filosofo di
corte, successivamente si recò a Roma per espandere le proprie scoperte.
Ricevuto dal papa e conferma delle sue osservazioni da parte del Collegio dei gesuiti, per ovvi
motivi non mancarono dubbi da parte di terzi, ma Galileo fu troppo preso dal valore di ciò che
proponeva per preoccuparsi del pericolo a cui andava incontro nel promuovere l’abbandono del
sistema tolemaico per quello copernicano.
Gli fu offerta l’iscrizione all’Accademia dei Lincei (fondata nel 1603 per iniziativa del nobile
Federico Cesi). L’Accademia aveva già accolto il più grande esponente della scienza magica del
tempo, Giovan Battista Della Porta ma, la sua impostazione magica, fu superata dall’ingresso di
Galileo.
Nel discorso “Del natural desiderio di sapere”, Galileo, ebbe molta influenza sui giovani, così
Cesi iniziò la propagazione della sua scienza. All’attività nell’Accademia vanno attribuite molti dei
suoi scritti, come “Tesoro messicano” in cui c’erano notizie del Nuovo Mondo, associando
immagini e parole in modo tale da rendere più comprensibile la rappresentazione.
OPERE

PREMESSA: I trattati e le epistole sono dei veri e propri generi letterali, attraverso cui si raggiunge
un pubblico di non specializzati. Più tardi la concomitanza di diversi fattori hanno portato lo
scienziato a esprimersi in un linguaggio tecnico, rompendo i rapporti con un linguaggio comune e
letterario.
Il punto di vista dello scienziato è il punto di vista di colui che sa bene che quelle scoperte
scientifiche hanno a che vedere con l’uomo e con la vita stessa dell’uomo. Lo scrittore/scienziato
porta i risultati delle proprie scoperte condividendole con un pubblico largo e, si aggiunga anche il
fatto che lo scienziato all’epoca non aveva una cultura tecnica e specializzata; sappiamo
comunque che sia lo scienziato che il letterato studiavano nella stessa “sede umanistica” e quindi
la formazione era uguale per tutti – “formazione umanistica”.
Proprio perché le opere di scienza erano sempre state scritte in latino, il volgare non possedeva un
vocabolario tecnico e quindi in questo periodo il volgare/italiano era tutto da sperimentare. C’è da
specificare anche che gli scienziati del ‘600 sono molto influenzati dal gusto tipico del periodo in
cui vivono.

LETTERE COPERNICANE: Il successo romano e l’ostilità andavano però a braccetto. Il primo


attacco venne dall’aristotelico Lodovico delle Colombe, che contestò le sue tesi sul
comportamento dei corpi immersi nell’acqua.
Lo scienziato si esprimeva ormai in volgare, divulgando le proprie scoperte a un pubblico sempre
più vasto, diventando così, agli occhi degli oppositori, sempre più pericoloso.
La questione più seria venne sollevata dai predicatori domenicani che avanzavano per la
prima volta che l’opinione di Copernico, difesa da Galileo, fosse contraria alle Sacre Scritture.
Così, nel 1613, uscì “Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari”, una scoperta che
annunciava un nuovo cambiamento culturale. Questo fenomeno era stavo osservato da tempo da
Galileo e questo comprometteva nuovamente la tesi aristotelica dell’incorruttibilità dei corpi celesti.
Invece di scrivere un trattato, stavolta Galileo sceglie di rispondere con delle lettere, rimanendo
fedele per molto tempo alla forma epistolare, poiché la lettera consentiva di seguire passo per
passo le fasi della ricerca, dando uno spessore temporale all’indagine.
Chiaramente non mancarono opposizioni.

Galileo fu avvisato dall’allievo Castelli sui dubbi che circolavano anche a corte: la
Granduchessa Cristina lo aveva interrogato sulla congruenza delle scoperte galileiane con il
dettato delle Sacre Scritture. Scriverà, quindi: “Lettera al Castelli” – quella al Monsignor Pietro
Dini e quella a Cristina di Lorena: le cosiddette “lettere copernicane”. Le idee espresse
delineano un linguaggio semplice nel suo modo di concepire il rapporto tra scienza e Bibbia,
argomentando le sue tesi avvalendosi di molti riferimenti ai Padri della Chiesa e proponendo la
separazione dei due campi di indagine (teologico e scientifico), con però pari dignità.
La lettera al Castelli divenne però lo strumento per l’accusa: una copia incompleta fu utilizzata
per la denuncia al Sant’Uffizio. Antonio Foscarini difese Galileo con una “Lettera” (1615), subito
inquisita dal Sant’Uffizio; fece lo stesso Tommaso Campanella nel “Apologia pro Galilaeo”.
Galileo comprese che le sue idee si potevano difendere solo scardinando quelle aristoteliche e,
quando si recò a Roma per sostenere la sua posizione, il Sant’Uffizio procedette alla condanna
di due proporzioni copernicane come false: la centralità del Sole e la mobilità della Terra,
vietando allo scienziato di professarle e insegnarle.
“IL SAGGIATORE”: Nel 1616 (anno in cui ricevette l’ordine non sostenere più le tesi
copernicane), Galileo aveva scritto “Discorso del flusso e deflusso del mare”, in cui spiegava il
fenomeno delle maree, ma non lo poté pubblicare.
Tre anni dopo rispose al “De tribus cometis” del gesuita Orazio Grassi con il “Discorso delle
comete”, in cui rifiutava le argomentazioni di Grassi e avanza un’ipotesi che distrugge nuovamente
le teorie aristoteliche; Grassi ribatté con un’altra opera. Occorreva da qui una contrapposizione: fu
consigliato dai Lincei di rispondere tramite una lettera indirizzata a Virginio Cesarini,
affezionatissimo a Galileo stesso. Lo scienziato seguì l’indicazione e la sua risposta costituisce “Il
saggiatore”, uscito a Roma nel 1623, stesso anno in cui venne eletto papa Urbano VIII: l’opera fu
a lui dedicata perché dichiarato da tempo ammiratore di Galileo.
L’opera non nasconde l’intento polemico. Inizia infatti accusando Sarsi/Grassi di defraudare le sue
tesi e le sue scoperte. “Il saggiatore” annunciava che la scienza faceva il suo ingresso
nell’universo: diviso in 53 paragrafi in cui vengono discusse le tesi di Sarsi/Grassi, con la
scelta epistolare Galileo instaura con il destinatario un rapporto dialogico e infatti, l’opera, appare
oggi una propaganda culturale e di rottura dei vecchi metodi.
La teoria delle comete è il cuore della polemica e, con un argomentare che lascia spazio alle
vicende autobiografiche, l’opera è ricca di sarcasmo, in cui troviamo: ironia lessicale, antitesi e
forme alterate. Galileo userà anche la metafora per ridicolizzare a pieno le tesi del Sarsi/Grassi,
fino ad annullarle completamente.

“DIALOGO SOPRA I MASSIMI SISTEMI DEL MONDO”: La simpatia che Urbano VIII nei
confronti di Galileo, consentiva allo scienziato di guarda agli eventi come una possibilità di una
nuova fase culturale, credendo che fosse arrivato il momento di risollevare le sorti della scienza e
della sua visione del mondo. Si recò subito a Roma e, dagli incontri avvenuti col papa, scrisse
“Dialogo sopra i massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano” – la composizione fu
interrotta molte volte per problemi di salute e fu terminata nel 1629.
Nel 1630, con un altro viaggio a Roma, Galileo ottenne l’imprimatur (permesso concesso
dall'autorità ecclesiastica per opere direttamente o indirettamente attinenti alla religione) e il diritto
di stamparvi il libro. Decise poi di farlo uscire a Firenze sia per le difficoltà di circolazione causata
dalla peste, sia per la morte di Federico Cesi.

I termini dell’imprimatur richiedevano delle rivisitazioni che Galileo fece fare ai domenicani di
Firenze. Il dialogo uscì nel 1632 e incontrò immediatamente l’ostilità del papa.
Galileo aveva scelto di nuovo la forma letteraria perché la preferenza per il dialogo è il modo
migliore per valorizzare la nuova scienza.
TRAMA: in quattro giornate tre dialoganti, rispettivamente Sagredo, Salviati e Simplicio,
trattano due convinzioni cosmologiche facendo spazio a molti temi:
 Salviati: portavoce di Galileo, si presenta con la severa nobiltà del nobile fiorentino,
ma anche con la prudenza dello scienziato;
 Sagredo: con le sue domande movimenta il discorso;
 Simplicio: è lo sciocco e ostinato difensore delle tesi aristoteliche – l’ironia
possiamo notarla già nella scelta del nome.
Galileo nella prefazione annuncia l’edito del 1616 e i limiti della conoscenza umana, per poi
procedere con la difesa delle tesi eliocentriche:
 Nella prima giornata sono abbattuti i presupposti della scienza aristotelica, ovvero
la differenza fra cieli e Terra;
 La seconda giornata è dedicata alla dimostrazione del moto di rotazione della
Terra per smantellare le tesi contrarie;
 La terza giornata presenta il moto della Terra intorno al Sole. La giornata si apre
con il ritardo di Simplicio all’appuntamento, causato dall’abbassarsi della marea che
non ha consentito alla gondola di procedere.
 La quarta giornata annuncia le maree come prova del moto della Terra.

STILE: Galileo crea nell’opera un reale spazio di conversazione, movimenta la storia


suddividendola in quattro conversazioni in cui indica l’inizio e la conclusione. Le
dimostrazioni che presenta sono rigorose, aiutandosi con similitudini; non esclude né la
metafora né il concettismo e contamina il discorso scientifico con la satira.
Le sue frecciatine ironiche funzionano perché squalificano le tesi dell’avversario tramite il
riso, tant’è vero che lo stesso linguaggio del Simplicio lo rende oggetto di beffa.

LE LETTERE: Nella chiusa del “Dialogo”, Galileo pone in bocca a Simplicio l’obiezione che
Urbano VIII gli aveva sempre opposto, ovvero la libertà di Dio di fare che le cose potessero andare
diversamente dalle leggi che Galileo credeva di aver individuato.
Fu forse proprio questo modo di trattare le idee del pontefice che portò Galileo al processo,
accusato di aver trasgredito quanto imposto nel 1616.
Nonostante i numerosi interventi a favore di Galileo, gli fu intimato di presentarsi a Roma per
rispondere al Sant’Uffizio di ben otto capi d’accusa: lo scienziato cercò di evitare il viaggio ma
dovette cedere e presentarsi a Roma, dove ricevette alla fine una condanna peggiore di quello che
si aspettava: doveva abiurare, subire una pena e impegnarsi a non trattare più della mobilità
della terra e della stabilità del sole.
Da qui il “Dialogo” venne proibito e l’eliocentrismo fu considerato eretico.
Nell’abiura accettata da Galileo, fallivano tutte le speranze di rinnovare il sapere e, solo nel
1633, gli venne consentito di tornare a casa ma con il divieto di ricevere visite.
Galileo in questo periodo scrisse moltissime lettere, tanto che il suo epistolario si estende dal
1588 al 1642: rivolte a familiari, scienziati, ecclesiastici e uomini di stato; illustrano teoremi
scientifici e trattano il rapporto tra scienza e fede. Amava questo mezzo di comunicazione.

Le sue lettere lo accompagnano per tutta la vita, in cui vi appare la sorpresa e l’entusiasmo per la
scoperta ma allo stesso tempo lo sconforto nelle prove delineano i retroscena delle condanne.
Commovente è notare un Galileo rivolto ai sentimenti umani, come dopo la perdita della figlia,
quando sconfortato confessa di sentirsi chiamato dalla morte. Le lettere di Galileo, per la bellezza
della lingua, l’intensità degli affetti e il coraggio che mostrano nella ricerca, sono ritenute le pagine
più belle della storia della letteratura. Abbinano storia della scienza, cultura umanistica, gli interessi
che lo scienziato coltivava, come la musica e le arti.

Nel 1638 gli fu concesso di poter lasciare la casa per recarsi a ricevere le cure a Firenze. Si
dedicherà in quegli anni ai “Discorsi intorno a nuove scienze”, un dialogo con gli stessi personaggi
ma usciva fuori dall’Italia. L’ultima sua opera “Lettera al Principe Leopoldo di Toscana” riguarda la
luce lunare. Si spegne nel 1642 dopo una grave malattia.

I GALILEIANI

I giovani che ebbero modo di conoscere Galileo, personalmente o per via epistolare, furono
conquistati dalla sua gentilezza, dalle sue scoperte e dalla novità del suo metodo.

Gli studiosi aprirono la strada a nuove discipline sperimentali, anche in opere che preferivano il
volgare; questi scritti volevano rispettare l’immensa ricchezza del reale che la dura scienza
aristotelica non permetteva di vedere. Le censure subite da Galileo, però, agirono anche
negativamente sulla comunicabilità delle nuove conquiste:
 Castelli, professore di matematica e destinatario di una delle “Lettere copernicane”,
decise di abbandonare la cosmologia per dedicarsi agli studi di idraulica, trattando così
l’acqua, uno dei temi più amati dalla letteratura barocca. Compose “Della misura
dell’acque correnti”, in cui applicò i principi della fisica galileiana alla dinamica dei
fluidi. La sua prosa è limpida e chiara e, senso, ragione ed esperienza coincidono per la
conquista del nuovo sapere.
 Torricelli, con una prosa inquieta nelle sue opere in volgare, compose “Lezioni
accademiche” e “Scritture e Relazioni”. La prima opera è indirizzata all’Accademia
della Crusca, abbellita con ornamenti e interventi stilistici; la seconda è invece dirette a
un pubblico di tecnici e amministratori.
Torricelli tiene ben conto della diversità dei lettori e, fra tutti i galileiani, è l’unico ad
avere una ricchezza stilistica, riuscendo ad esprimere i concetti più difficili con
chiarezza, con l’uso di metafore e paragoni.

Vincenzo Viviani costituisce l’anello di congiunzione tra il gruppo di vecchi allievi e la nuova
generazione di scienziati. Compose “Racconto istorico della vita del sig. Galileo Galilei”,
sottoforma di lettera al duca Leopoldo, in cui ci presenta la passione del maestro per la
conoscenza.
Leopoldo di Toscana volle, per rialzare le sorti della propria dinastia e della scienza galileiana,
fondare un’accademia che ne continuasse l’attività.
Fondò quindi l’Accademia del Cimento, a Firenze, per fedeltà al metodo sperimentale inaugurato
da Galileo e per ancorarla a basi pratiche. La vita dell’Accademia non fu esente da contrasti ma
ebbe tra i suoi membri più illustri gli allievi di Galileo. Purtroppo cessò la sua attività nel 1667 per
conflitti interni ma le ricerche che vi condussero vennero registrate dal segretario Magalotti nel
suo saggio.

Membro dell’Accademia fu il napoletano Borelli, mente geniale in molti campi, fu ammirato in Italia
e all’estero per le numerose scoperte trasmesse in latino. In volgare compose un testo di medicina
“Delle cagioni”, in cui propose una moderna idea della pestilenza e della febbre, e lo scritto
astronomico “Del movimento della cometa”, a sostegno dell’orbita ellittica delle comete.

Il modello di Galileo influenzò molte generazioni di scienziati e si prolungò fino a Malpighi, che
aveva pensato di annunciare la sua scoperta dei vasi capillari e delle strutture degli alveoli
polmonari sotto forma di dialogo “De polmonibus”, in volgare scrisse “Risposte”, contro chi si
opponeva alla nuova medicina rispetto alla vecchia.

SCRITTORI/SCIENZIATI A FIRENZE: La scelta del volgare è prevalentemente negli scienziati


toscani, legati all’Accademia del Cimento e della Crusca.
 Francesco Reti, entrato nell’Accademia della Crusca, presentò le sue “Osservazioni
intorno alle vipere”, che dimostra sulla base dell’esperienza i nessi tra morso, ghiandole e
avvelenamento, distruggendo vecchie credenze. Ricevette la nomina di primo medico
ducale. Nel 1668 diede alle stampe “Esperienze intorno alla generazione degli insetti”, in
cui sconfiggeva un altro dei capisaldi della vecchia scienza e si fece promotore della terzi
edizione del “Vocabolario” dell’Accademia della Crusca.
 Bellini, che costantemente usa il volgare, per il suo studio sulla struttura dei reni scelse il
latino; solo dopo il suo ingresso alla Crusca optò per il volgare con cui compose “Discorsi di
anatomia”.
 Magalotti, figura complessa, dimostra il passaggio da un secolo all’altro, dalla scienza
galileiana all’atomismo. L’impegno linguistico maggiore possiamo notarlo nelle “Lettere
sopra i buccheri”, in cui traduce l’esaltazione dei sensi che le fragranze esotiche
sollecitano, manifestando le sensazioni attraverso le analogie.

I GESUITI: Il contribuito dei gesuiti alla prosa scientifica avvenne tardi nel ‘600 perché gli scienziati
del Collegio Romano preferivano il latino. Pur non rifiutando il metodo sperimentale e la scienza
galileiana, furono sempre alla ricerca di un sistema di pensiero nuovo che potesse offrire una
visione del mondo ordinata. Bartoli condusse ricerche sulla pressione, sul suono, sul ghiaccio e
sulla coagulazione e, attraverso l’analisi dell’esperienza, trae indizi per un nuovo rapporto
dell’essere umano con Dio. Troviamo la figura anche di Francesco Lana Terzi in quale scrive
“Prodromo dell’arte maestra”, una raccolta di notizie di scienze naturali in cui si propone di
abbracciare tutte le parti della scienza estendendosi fino alla pratica.

PROSA FILOSOFICA, SCIENTIFICA E STORICA

TOMMASO CAMPANELLA: entrato adolescente nell’ordine domenicano, fu presto sospettato di


eresia tant’è che, dal 1591 al 1597, subì quattro processi.
Iniziò un progetto di riforma politico-religiosa secondo linee che furono esposte nell’opera “Città
del Sole” (1623), il suo capolavoro, che delinea una società fondata sull’organizzazione della vita
sociale. Arrestato per una congiura contro la dominazione spagnola, si finse pazzo per evitare la
condanna a morte e fu rinchiuso in carcere fino al 1626.
La carcerazione gli consentì di comporre numerose opere e perfino di ricevere visite e insegnare.
Liberato nel 1629 per interessamento di papa Urbano VIII, andò a Parigi dove poi pubblicò le sue
opere e lì morì nel 1639.

Nei vari aspetti della natura e nell’opera stessa “Città del Sole”, Campanella si sforza di scoprire la
presenza del divino con gli stessi tre principi: potenza (cura guerre, paci e arti militari), sapienza
(cura le scienze e le arti) e amore (cura la generazione degli uomini).
L’opera è un’ideale visione politica che Campanella sperava di poter avverare. Il racconto è privo
di opinioni e giudizi, la descrizione della città è precisa e attenta al dettaglio, il linguaggio è legato
al concreto. Non c’è spazio per le citazioni dei classici e neanche per le passioni e i sentimenti; la
prosa è quasi secca, attenta alla sola “realtà”.

GIOVANNI BOTERO: autore dell’opera “Della ragion di stato” – dieci libri - (1589), il gesuita
Botero si poneva come l’anti-Machiavelli: l’opera era considerata la più importante risposta
cattolica al suo pensiero politico. Botero volle contraddire la spregiudicata teoria secondo il quale il
fine, in politica, giustifica i mezzi, e volle farlo da un punto di vista religioso, nella precisione da un
punto di vista cattolico. Nella sua opera cercò di conciliare le ragioni della politica con quelle della
morale e quindi “ricucire” lo strappo che Machiavelli aveva operato con tutta la tradizione del
pensiero politico. Botero aveva chiare le idee in fatto di rapporti fra la religione e lo Stato moderno,
come aveva chiare le idee anche sui rapporti tra l’economia e la politica: è questo l’aspetto più
innovativo del suo pensiero. La religione (che per Machiavelli era solo strumento di governo), per
Botero è posta come fondamento del potere e, su queste basi, tratta il modo di crescere le
ricchezze di uno stato, tratteggia l’immagine di un principe virtuoso, leale e giusto che sappia
mantenere il popolo nel benessere.
TRAIANO BOCCALINI: autore dei “Ragguagli di Parnaso” - divisa in tre centurie - (1612/13/15)
è costituita da una serie di resoconti, i ragguagli appunto, che descrivono le discussioni e i
processi che si svolgono sul monte Parnaso. Qui, secondo l'autore, si trova un nutrito gruppo di
letterati e politici noti al pubblico colto dell'epoca. Le dispute hanno per oggetto avvenimenti e
personaggi del passato e del presente; in questo modo l'autore può fare satira sulla vita politica
italiana e in particolare quella romana. La situazione dell'Italia, così come descritta nell'opera, è
molto negativa, eppure l'autore non pensa a nessun possibile rimedio e assume un atteggiamento
di rassegnazione: ritiene infatti che di volta in volta vada scelto quello che è il male minore.

Boccalini è molto lontano dalla saggistica utopica che, in quegli anni, annoverava tra gli esponenti,
come Tommaso Campanella. Fu un esponente del “tacitismo”, che segna molto l’epoca del
‘600. Cornelio Tacito venne assunto come paradigma delle ragioni della politica; parlare di Tacito
era un modo per affrontare i problemi sollevati da Machiavelli senza andare contro il rischio di
censura e, proprio sopra gli scritti di Tacito, deriva l’analisi dello stesso Boccalini.

PAOLO SARPI: non fu un teorico della politica, ma un frate veneziano che ebbe modo di
pronunciarsi sul rapporto religione-stato. La sua fu una meditazione per la salvezza
dell’indipendenza di Venezia, partecipando al conflitto che si aprì nel 1604 fra la Serenissima e
papa Paolo V, quando la città si rifiutò di consegnare al tribunale ecclesiastico due preti imputati di
reati comuni. Sarpi sostenne la posizione della Repubblica anche dopo l’interdetto (1606) a
prezzo di una scomunica personale. In Sarpi la passione politica e l’azione si fondono e trovano
unione nell’impegno morale; coscienza ed esperienza sono i due poli della scrittura sarpiana in cui
il frate fonde i suoi interessi: tratta delle passioni, della felicità e dei dolori. Un modello di
saggezza, per l’autore, è quella socratica, che si accontenta del presente evitando la ricerca della
perfezione.

La polemica con la Santa Sede per la questione dell’interdetto è documentata in un ampia serie di
scritti, in cui spiccano i 7 libri della “Istoria dell’Interdetto”, in cui tratta delle cose passate tra il
pontefice Paolo V e la Repubblica di Venezia (dal 1605 al 1607), pubblicata nel 1624, narra gli
avvenimento in modo puntuale e vigoroso usando anche una sottile ironia che mette in ridicolo gli
avversari. Altro capolavori di Sarpi è “Istoria del Concilio Tridentino”, uscito nel 1619 sotto lo
pseudonimo Pietro Polano. La storia del Concilio di Trento è ricostruita con appassionata cura
filologica. Qui Sarpi cerca le cause della rottura tra cattolici e protestanti, individuandole negli
interessi della curia romana. Quegli stessi interessi hanno causato la rottura del concilio, da cui
sono usciti rafforzati l’autoritarismo papale e la Chiesa. La prosa è asciutta, ispirata a quella di
Galilei di cui lo stesso Sarpi fu amico e ne condivise gli interessi scientifici.

AGOSTINO MASCARDI: autore de “Dell’Arte istorica”, Mascardi tratta la questione della verità
della storia, in quanto sulla storia stessa si devono fondare i giudizi e le azioni degli uomini, infatti
occorre che essa sia veritiera. Modello storico per l’autore è Livio, mentre il modello di verità
è la stessa Bibbia. Necessarie per Mascardi sono, invece, le “piene notizie del fatto” in quanto lo
storico ha il dovere di cercare le ragioni delle azioni e, in automatico, diventa anche indagatore
delle cause; la storia è per lui narrazione, è il “verificato racconto delle cose accadute” e la storia
non la fanno gli oggetti che appartengono a quel periodo storico, ma i fatti.

VIRGILIO MALVEZZI: il problematico atteggiamento verso la storia che prende come modello
Tacito, invece, si trova nel bolognese Malvezzi. Egli sostiene che l’esperienza e la riflessione sui
fatti umani possono essere maestre di vita. Nella sua opera “Discorsi sopra Cornelio Tacito”
tratta della ragion di stato riproponendo le idee di Machiavelli mentre, nei romanzi storici che
seguono (“Romulo”, “Tarquinio Superbo” e “Davide perseguitato”), la narrazione è interrotta da
giudizi morali. Lo studio dei meccanismi del potere conduce Malvezzi a un pessimismo, un
pessimismo sull’uomo che porta alla conclusione che la virtù non garantisce il successo, ma che
tutto dipende dalla fortuna. Lo stile non presenta metafore, ma tende ad assumere la forma
dell’aforisma.
Ultima e non meno importante è la rappresentazione di un ministro, il Conte Duca d’Olivares,
nell’opera “Ritratto del privato politico cristiano”. La funzione del “privato” è quasi una
missione, un cammino di perfezione verso l’annullamento delle proprie volontà: anche in questo
tratto storico troviamo narrazione e aforismi. Ottenne, con questa opera, un grande successo da
essere chiamato alla corte di Spagna come storico ufficiale. La sua idea era che un cattivo
principe, in un panorama europeo disastroso, era meglio della tirannia e che, un sovrano assoluto
ottimo, potesse migliorare le sorti dell’umanità.

SFORZA PALLAVICINO: con l'opera polemica e ostile di Sarpi sul Concilio di Trento, diversi
studiosi cattolici avevano già iniziato a raccogliere il materiale per una smentita di questo lavoro,
ma nessuno era stato in grado di terminare la gigantesca impresa. Il gesuita Alciati aveva raccolto
una vasta massa di materiale ma, alla sua morte improvvisa, il compito fu affidato a Sforza
Pallavicino, che in pochi anni riuscì a organizzare il materiale raccolto dall’Alciati in una “Istoria del
Concilio di Trento” in 24 libri (1656/57). Pallavicino volle per la sua opera anche una revisione
linguistica secondo i dettami della Crusca. Il papato riuscì quindi ad avere un testo capace di far
fronte a quello di Sarpi.

La differenza fra le due Istorie sta proprio nel diverso peso della materia documentata: l’una è
frutto di una ricostruzione personale, l’altra, esposta in bella forma, mostra l’abilità di Pallavicino
nel ricostruire i fatti ed esporli con una prosa chiara e logica.

TORQUATO ACCETTO: la passione per l’indagine sull’essere umano fu un argomento comune


nel secolo e, Torquato Accetto, ne tratta l’argomento nella sua opera “Della dissimulazione
onesta”, in cui rappresenta l’analisi emblematica di questa difficile condizione dell’essere umano
nel ‘600. L’opera uscì nel 1641 a Napoli, luogo in cui lo stesso autore poté frequentare l’Accademia
degli Oziosi e comporre rime amorose. All’interno dell’opera l’autore sostiene che la verità è da
venerare, ma appartiene alla dimensione divina. Nella condizione umana, caduta nel peccato, tutto
è apparenza. La dissimulazione nasce col peccato ed è frutto della cacciata dall’Eden.

Accetto, riflettendo sul comportamento generale, deduce che per la pace e la quiete nella società è
meglio nascondersi, ma ci si chiede che valenza abbia questo “nascondersi”: è proprio qui che
troviamo la novità dell’autore. Egli ritiene che la dissimulazione è la miglior alleata della prudenza,
è un velo composto, un’arte che si apprende ed è alleata alla Provvidenza.
Accetto fa della dissimulazione una virtù tanto pubblica quanto privata. La corte è il luogo in
cui prudenza e pazienza sono messe alla prova e quindi, la dissimulazione, resta la sola difesa
praticabile.

La segretezza è l’aspetto più proprio del barocco, in quanto si nasconde nelle ipocrisie e nelle
malizie per poi agire, nel bene o nel male.
IL “SAVIO” E LA CORTE: La maggior parte dei trattai di comportamento del ‘600 riguardano
proprio la condizione dell’uomo di studio all’interno della corte. Questo argomento trovò
spazio in una disputa all’interno dell’Accademia della Notte, a Bologna, e vide due tesi opposte
diventare opere:
 Matteo Peregrini: “Che al savio è convenevole corteggiare” – presupposto dell’autore è
che, al savio, spetta di collaborare con il governo come consigliere del principe.
 Giovan Battista Manzini: “Il servizio negato al savio” – oppositore del Peregrini, nega
l’utilità dell’impegno del savio nella corte, in quanto non può fare nulla per la costruzione
di un sapiente reggimento pubblico.
Il dibattito nel giro di poco tempo si spostò anche a Roma, dove altre figure, come quella di
Pallavicino e Mascardi, ne fecero voce nelle Accademie romane degli Umoristi e dei Desiosi.
Mascardi era a favore della presenza del savio all’interno della corte.

LA PREDICAZIONE: La letteratura controriformistica ha un punto di forza nella produzione di


predicatori. Le loro prediche non raggiungono alti profili teologici ma raggiungono alta
spettacolarità moralistica e teorica. La predicazione si appropriò di tutti gli strumenti ereditati dalla
tradizione classica e umanistica, dei trattati di retorica di Aristotele, Cicerone e Quintiliano.
Tra i predicatori troviamo:
 Paolo Segneri: Il suo “Quaresimale” è un capolavoro della letteratura sacra del ‘600;
nell’opera mette a nudo i problemi morali: ipocrisie, violenze, ingiustizie. Utilizza anche il
meraviglioso. Negli ultimi anni della sua vita fu impegnato nella battaglia contro il
“quietismo”, un movimento spirituale interno al cattolicesimo che riponeva piena fiducia in
Dio e invitava il credente ad abbandonargli la sua anima e la sua vita.
Segneri nel suo trattato “Concordia tra la fatica e la quiete nell’orazione”, si mostra
diffidente verso questa forma di abbandono a Dio.
 Daniello Bartoli: autore del “La ricreazione del savio”, l’opera vuole risollevare l’animo
dalle fatiche della ricostruzione storica. Bartoli ritiene che le cose naturali siano da
ammirare, da contemplare e da conoscere nel loro funzionamento. L’osservazione e la
descrizione sono rese con un dominio delle forme, in cui l’abbondanza barocca è contenuta
all’interno.
GIAMBATTISTA MARINO

Considerato il fondatore della poesia barocca, nonché il massimo esponente in Italia.


Formatosi nella Napoli di fine ‘500, conobbe i centri culturali più attivi dell’epoca. Le sue opere
segnarono una svolta nel modo di predicare, di abbinare pittura e poesia e, non meno importante,
ebbe un seguito di imitatori definiti poi marinisti.
La sua opera più importante è “L’Adone”, rappresentando il poema del secolo.

VITA

Nato nel 1569, fu avviato dal padre agli studi giuridici che presto abbandonò in quanto il suo
fascino andava più verso la poesia. Entrato nell’Accademia degli Svegliati fece le sue prime
prove che lo segnalarono come astro nascente della poesia. Gli anni napoletani furono segnati da
grandi ambizioni ma, allo stesso tempo, anche da anni di carcere.

1600: entrò al servizio del cardinale a Roma dove vennero pubblicate “Le Rime” – 1602 –
ristampate poi con la terza parte (1614) col titolo “La lira”, costituendo il primo evento letterario
significativo del ‘600 lirico. Le Rime si caratterizzano per le catene di metafore e per gli effetti
fonici. Con il successo dell’opera, ottenne a Roma la protezione di Pietro Aldobrandini, nipote
del papa; nel 1606 lo seguì a Ravenna e in altre città del Nord. In questo ambiente si concentrò
sulle letture ed ebbe modo di frequentare centri culturali, come Bologna, Modena e Parma.

1608: si trasferì a Torino e scrisse per Carlo Emanuele I un panegirico (componimento per
elogiare un personaggio illustre), “Il ritratto di Don Carlo Emanuello”, Duca di Savoia. Marino
conquistò subito i favori della corte ma anche le invidie di Gaspare Murtola, poeta di corte,
infastidito dal suo successo; il diverbio degenerò in uno scambio di sonetti aggressivi, quali
“Risate” di Murtola e “Fischiate” di Marino.

Dopo un primo periodo di successi, i rapporti con il Duca si ruppero, portando Marino in carcere
con il sequestro degli scritti. Sul poeta si andavano ad addensare nubi ancora più gravi generate
da una denuncia del Sant’Uffizio, che lo accusava di scritti osceni e lo volevano giudicare a Roma:
evitò di sottoporsi al giudizio romano e restò a Torino, in carcere, più di un anno.
Una volta liberato rimase per poco tempo in città.

1615: si trasferisce in Francia per cercare una sistemazione lontana dalla pressione del
Sant’Uffizio. Pubblicò “Il tempio” in quello stesso anno, un poemetto encomiastico (simile al
panegirico) per Maria de’ Medici. A Parigi scrisse:
 “Epitalami” – 1616, poesie per le nozze;
 “Francia consolata” – suggerito dal contesto delle guerre di religione;
 “La galeria” – 1619/20, rassegna di opere di scultura e pittura di artisti
contemporanei. Definisce la raccolta una “pinacoteca”. I ritratti (pitture), la parte più
corposa, sono divisi in sezioni che vanno dai principi agli eroi, ai pontefici ai
cardinali, dagli oratori a filosofi e poeti; sono incluse anche le donne che vanno da
scellerate e impudiche, da belle e magnanime.
 “La sampogna” – 1620, è una raccolta di 12 idilli (breve componimento poetico o
musicale), 8 di contenuto mitologico e 4 di contenuto pastorale. Marino mostrò
molto interesse per la poesia pastorale sul modello dell’ “Aminta” di Tasso, tanto da
comporre anche l’idillio “Europa” (1607) e “Testamento amoroso” (1611).
OPERE

Il trionfo letterario giunse con “Adone”, del 1623, la cui lussuosa edizione fu finanziata da re Luigi
XIII. La composizione fu a lungo elaborata perché Marino coltivò l’idea di un poema grande alla
maniera tassiana. Ci riuscì e lo superò: con 20 canti, 5mila ottave e un testo immenso, l’opera è tre
volte la “Gerusalemme liberata” di Tasso. Inutile dire che riscontrò subito un notevole successo.

Se inizialmente l’opera si presenta come un idillio, nel 1614 Marino esprime con chiarezza
l’intenzione di farne un “nuovo genere non più tentato da’ volgari”.
La trama mitologica viene arricchita con molti episodi e altre favole; l’eroismo è affidato al tema
amoroso con una sorta di inversione: mentre l’amore normalmente cede alle armi, qui le armi
cedono all’amore. Nello svolgimento del mito ciò che conta è come viene raccontato.
L’opera si presenta come una “fabbrica delle meraviglie”, un succedersi di metafore e sarebbe
inutile cercarvi un senso logico perché, in realtà, la novità sta proprio nel non seguire nessuna
regola classicista per quanto riguarda il poema eroico. L’incontro tra Venere e Adone è raccontato
tre volte prima che ottenga l’effetto dell’innamoramento, infatti per ben due volte Venere può
contemplare Adone dormire.

TRAMA: La storia prende inizio da una vendetta di Cupido. La vicenda che ne costituisce la trama
ha al centro dell’innamoramento Venere per il bellissimo giovane Adone.
1. Adone, spinto da Fortuna all’isola di Cipro – dove vive Venere – viene visto
addormentato da lei e immediatamente si innamora. Puntasi il piede con una rosa,
viene medicata da Adone che si innamora a sua volta.
2. Dopo che gli sono state narrate le vicende di Psiche, Amore, Paride e altri miti,
Adone viene condotto nel giardino del Piacere, costruito secondo l’anatomia umana
in cui sono 5 le suddivisioni, una per ogni senso: in ciascuna viene descritto l’organo
e i godimenti a cui porta. Adone e Venere si sposano nel giardino del tatto.
3. Marte, preso dalla gelosia, costringe il giovane a una serie di peripezie e alla fine ne
provoca la morte a opera di un cinghiale.
4. Gli ultimi due canti consistono nella consolazione di Venere e nei giochi funebri in
memoria dell’amato.

STRUTTURA: il poema appare come un insieme di narrazioni – autobiografia, novella, dramma,


satira – ma queste infinità di avventure non toccano il nucleo narrativo principale che non ha
avventure, tranne l’innamoramento e la morte di Adone. La struttura è complessa, in quanto la
ricca materia narrativa appare organizzata intorno ai momenti essenziali dell’innamoramento,
l’amore e l’allontanamento ma, allo stesso tempo, la narrazione appare strutturata secondo un
ottica bifocale perché gli eventi si duplicano: due incontri, due momenti di felicità, due volte il
male interviene.

SPAZIO: la vicenda si svolge nell’isola di Cipro e lo spazio ha un’organizzazione simbolica,


costruito in modo da rappresentare il corpo umano e percorso con l’uso dei cinque sensi.

In Marino la scienza entra come forma di linguaggio che promuove una nuova realtà, infatti è pure
inclusa una lode a Galileo e il cannocchiale. Il poema si allarga anche ai temi contemporanei,
includendo la materia della storia di Francia e anche la materia sacra: il personaggio di Adone
può essere visto secondo il modello di Cristo, in quanto molti episodi della storia del giovane
ripercorrono vicende delle vite dei santi. Non sono poche le occasioni in cui la corte è denigrata.
CRITICHE: L’Adone lasciò, dopo la sua uscita, una serie di polemiche soprattutto a Roma perché
si disse subito che il poema era da correggere. Dopo la morte di Marino (1625), il suo vecchio
avversario Tommaso Stigliani, fu il primo oppositore del poema; nella sua opera “Occhiale”
rimproverava l’assenza di unità e il mancato rispetto delle regole aristoteliche, così da mettere in
discussione tutto il fenomeno del barocco. A difesa di Marino troviamo Girolamo Aleandri, con
“Difesa dell’Adone” e Scipione Errico con “Occhiale appannato”.

ALTRE OPERE

“LA LIRA”: Nel 1602 Marino parte alla volta di Venezia. Il fine ultimo del viaggio è quello di
seguire la pubblicazione a stampa delle Rime. La raccolta è divisa in due parti:
 La prima è organizzata in: rime amorose, marittime, boscherecce, eroiche, morali, sacre e
varie, con una sezione di "proposte e risposte", cioè di scambi in versi con altri poeti;
 La seconda parte contiene i componimenti scritti nelle forme del madrigale e della
canzone.
 Una terza parte, annunciata dallo stampatore nella prefazione "al lettore", verrà data alle
stampe solo nel 1614, insieme alla riedizione delle prime due, quando verrà ribattezzato
con il nome “La Lira”.
Si tratta di un canzoniere frammentato per cui è difficile ricostruire la cronologia degli
avvenimenti. E’ evidente la volontà dell’autore di porsi come l’innovatore del modello petrarchesco
e tassiano; nell’opera mette a frutto le sue letture che vanno dai poeti dell’antichità fino ai poeti
napoletani. L’opera è caratterizzata da equilibrio ed eleganza nell’uso della metafora, con uno stile
che egli stesso definì “morbido”.

“DICERIE SACRE”: in contemporanea con “La Lira” (1602) uscirono le tre prediche che
costituiscono le “Dicerie sacre”. Non appartengono all’oratoria sacra, ma riflettono il clima culturale
torinese, sia nella scelta del genere (Savoia), sia nei temi: la Sindone, la musica, i santi Maurizio e
Lazzaro, sia nella scelta dei dedicatari (personaggi della fam. Ducale).
 La prima, con il titolo “La pittura”, prende la pittura come termine analogico
dell’impressione del corpo di Cristo sul lenzuolo della Sindone;
 La seconda, con il titolo “La musica”, tratta con la musica un tema ricorrente della pietà e
nella poesia all’epoca;
 La terza, con il titolo “Il cielo”, mette in analogia la volta celeste con l’Ordine dei Cavalieri
dei Santi Maurizio e Lazzaro.

Secondo la stampa l’opera non tiene un ordine cronologico nei tre discorsi esposti.

La sola certezza sulla composizione cronologica riguarda la terza diceria e, tra l’altro, è anche la
più diversa: appare come un’orazione accademica che non origina da ragioni di devozioni; anche
la forma si distingue in quanto non fa riferimenti bibliografici, si pensa infatti che abbia avuto un
momento separato di stesura.
Più difficile è invece da scandire i momenti cronologici delle altre due dicerie: la musica e la pittura.
La pittura appare, per complessità di discorsi e uniformità dei temi, quella più solida e coerente;
si pensa, infatti, che sia stata l’ultima ad essere composta.
Più problematica è la collocazione della Musica, in quanto presenta delle “fratture”
nell’argomento che in realtà dovrebbe essere molto omogeneo.
CLASSICISMO BAROCCO

Nella letteratura barocca va segnalata una corrente classicista che si differenzia dal marinismo.
Autori come Tassoni, Chiabrera e Testi si rifanno alla lezione di Torquato Tasso e alla tradizione
rinascimentale; al concettismo pieno di metafore di Marino si contrappone l’esperimento nei metri
poetici e nella lingua. Nel ‘600 la forma narrativa si sviluppa, infatti fiabe e novelle trovano nella
raccolta in dialetto napoletano di Basile la loro massima espressione.
Verso fine ‘500 si presentavano dei tentativi per svincolarsi dalla tradizione lirica petrarchesca, sia
per quanto riguarda i temi che lo stile: già Tasso ne era stato un innovatore. Viene riconosciuta
nella produzione poetica del ‘600, però, anche una corrente di poeti marinisti; solo il circolo che si
formò a Roma intorno a papa Urbano VIII costituì un modello alternativo.

LIRICA: L’effetto dell’influenza marinista determinò un rigoroso rinnovamento anche alla tradizione
lirica. Anche se Petrarca non è del tutto abbandonato, entrano però in scena nuovi soggetti
poetabili, quindi un nuovo lessico e un linguaggio più concreto.

Le opzioni metriche restano quelle tradizionali: madrigale, sonetto e canzone.


Il poeta d’amore rappresenta la donna nella sua concretezza infatti, non solo si arricchisce la
figura della donna ma viene rappresentata anche in molti lavori (ricama, tiene in braccio un
bambino, fa la contadina, fa la sarta, la ballerina e un infinito elenco di situazioni), come se la
poesia volesse dare un nuovo peso alla vita reale e domestica. Cambia anche l’espressione del
poeta innamorato in quanto si presentano accentuati i toni erotici ma, per amore della varietà,
entra in gioco in poesia anche il brutto: non si tratta del classico ritratto della donna brutta o
vecchia (che sfocia nel comico), ma nella ricerca di rappresentare il possibile della realtà con la
donna bella balbuziente o la bella zoppa.

Un altro tema importante è quello della morte, ovvero della vita che corre al nulla e la precarietà
dell’esistenza: la poesia riflette, con questo tema, una sensibilità tipica dell’epoca. Molti poemi
sull’orologio mostrano la coscienza sofferta dello scorrere del tempo; a questo tema si
accompagnano le figure del sepolcro, della putrefazione e dello scheletro.
Altro tema importante è quello della natura a cui i lirici prestano molta attenzione. La natura
trabocca di realtà, il genere encomiastico è abbondante, infatti troviamo celebrazioni di città come
Roma, Napoli e Venezia; molta attenzione è rivolta ai giardini, alle acque e alle fontane.

Sul piano della poesia lirica i due capiscuola della corrente classicista e antimarinista del
barocco furono Chiabrera e Fulvio Testi, lasciando un impronta anche sulla poesia del ‘700.

 CHIABRERA: la sua figura è sempre stata vista come una proposta alternativa al
concettismo di Marino. I suoi sperimenti tematici gli consentirono una musicalità nuova,
chiara e leggera. La sua produzione letteraria comprende quasi tutti i generi: poemi epici,
sacri e profani, tragedie, prese morali e numerose raccolte poetiche i cui testi erano spesso
destinati alla musica. Decisamente innovative furono le rime: tra il 1591 e il 1604 uscirono
le raccolte di “Canzoni”, “Canzonette”, “Scherzi e canzonette morali”, “Rime sacre”, in cui il
poeta comunicava affetti attraverso un modo ritmico ed espressivo.
 FULVIO TESTI: autore di un poemetto di 43 stanze, “Pianto d’Italia” (1617), fa una calda
esortazione a Carlo Emanuele I di Savoia a liberare la patria dalla dominazione spagnola,
fa parlare l’Italia della sua grandezza passata e della servitù presente. Più che scelta
politica la sua è una scelta moralista, in cui trova modo di lamentare i vizi del tempo. Nella
produzione successiva “Poesia liriche”, il concettismo barocco viene abbandonato in
nome di uno stile classicheggiante su modello di Chiabrera.
 CIRO DI PERS: con lo stesso malcontento di Testi troviamo la figura di Di Pers, il quale
nella sua opera “Poesie” del 1666, tratta il tema ossessivo della morte. Il tratto
caratteristico di questa sua lirica ossessiva è il suo trasferimento della vita nell’immagine
dell’orologio, emblema di un problema del tutto interiore: la sabbia della clessidra indica la
nullità dell’essere che è polvere, le ruote dell’orologio enunciano la legge universale della
morte.
 LUBRANO: contro l’ombrosità di Ciro di Pers, troviamo la figura luminosa di Lubrano, il
quale nella sua opera “Scintille poetiche” del 1690 (considerato l’ultimo libro del Barocco),
porta alle soglie del ‘700 la moda concettista. Le “scintille” sono indicate come “poesie
sacre e morali” e, infatti, l’autore si attiene al suo programma poiché tratta di tematiche
religiose o esperienze umane da cui ne trae degli insegnamenti morali.

CLASSICISMO ROMANO: Il marinismo si estese in modo ampio, raggiungendo il limite del secolo
e anche tutta l’Italia, ma non fu un fenomeno totalizzante.
Nell’età barberiniana ci fu il suggerimento di un’alternativa al modello marinista: la formazione di
una nuova poetica è da ricondurre all’insegnamento dei gesuiti del Collegio Romano. Urbano VIII
raggruppò intorno a lui una cerchia di poeti che vollero dare un’alternativa al genere di Marino, in
cui troviamo le figure di:

 CESARINI: raggiunse i risultati più validi riuscendo a comporre una significativa


raccolta di poesie latine e toscane edite solo dopo la morte.
Allievo del Collegio Romano, iniziò come petrarchista, ma presto alla lirica d’amore
oppose una poesia che giovasse al bene pubblico. Per la sua ricerca poetica
dichiara di attingere alla lezione degli antichi. La sua novità risiede nell’abbinare
la filosofia con la poesia, in modo che la prima nutra la seconda e questa divenga
la via per l’insegnamento della virtù. Cesarini usa la duplice valenza di Apollo, dio
della poesia ma anche della medicina, per mostrare l’identità di poesia-farmaco e il
potere della parola poetica di guarire i mali interiori.

 CAMPANELLA: autore della “Scelta di Rime”, Tommaso Campanella con la sua


opera mostra una totale autonomia rispetto al gusto del secolo. 82 componimenti
furono sequestrati al filosofo nel 1601 nel carcere napoletano ma lui li riscrisse, per
poi affidarli nel 1613 al fidato amico Tobia Adami, il quale in modo clandestino li
portò in Germania e riuscì a pubblicarli nel 1622. La stampa rimase quasi
dimenticata fino all’800, ma l’opera appare oggi come la più interessante raccolta
poetica. Le scelte metriche e stilistiche hanno un pensiero ignoto a Marino e i suoi
seguaci. La poesia di Campanella è una poesia filosofica, il linguaggio presenta un
impasto di forme dialettali e letterarie, neologismi e voci latine e un plurilinguismo
che richiama Dante: asciutto, essenziale, schietto. L’opera presenta temi
teologici: molte poesie contengono la testimonianza del suo coraggio profetico e
sono autobiografie che non lamentano la sua esperienza del carcere, anzi, la
mostrano come prova di fedeltà alla sua vocazione – il suo è un ottimismo radicale.
Campanella crede che il male abbia una sua necessità perché, se non ci fosse
differenza con il bene (Dio), non ci sarebbe storia e non ci sarebbe mondo.

 STIGLIANI: autore del “Nuovo mondo”, 1628, Stigliani dedica il poema alla
scoperta e alla conquista del continente americano, proposto come alternativa
all’”Adone”, ma la critica non l’accolse per lo stile che mescolava la varietà di
registri ariosteschi con quello tassiano.

GENERI NUOVI

IDILLIO BAROCCO: con l’uscita a stampa de “Della sampogna” di Marino nel 1607, cui seguì
l’anno successivo “La Salmace” di Girolamo Preti, si apre la stagione dell’idillio barocco.
L’idillio barocco combina il poemetto mitologico e le composizioni bucoliche, l’egloga e la pastorale
ma, mentre la pastorale si indirizza verso la musica, l’idillio resta un testo poetico, a volte
dialogato, a volte narrato. Sono presenti anche dei vezzeggiati che danno “morbidezza” melodica.
Abbiamo una verità di idillio, che vanno da quello amoroso (“L’amorosa ambasciatrice” e “Il
testamento amoroso” – Achillini) a quello sacro (“Idilli sacri” – Pier Matteo Petrucci).

POEMA EROICOMICO: contro la produzione del genere epico nasce il poema eroicomico. E’ un
genere che mescola l’epico con il ludico, acquistando polemica e satira. L’accostamento del
comico all’epico rende evidente l’esaurirsi del sistema letterario rinascimentale.
Massimo esponente di questo nuovo genere è Alessandro Tassoni con la sua opera “La secchia
rapita”, composto fra il 1614 e il 1618. L’opera racconta della guerra fra ghibellini modenesi e
guelfi bolognesi per il possesso di “un’infelice e vil secchia di legno”, sottratta da un pozzo
bolognese. Il resto è tratto da vicende storiche diverse, usate dal poeta in tutta libertà e calate
nell’ambiente municipale del tempo. Appare nel testo tutta una vena satirica che si rivolge con
forza contro i costumi morali, sociali e letterali contemporanei, cadendo a volte anche nella
polemica.

Quest’opera inaugura il “poema eroicomico”, nato dalla crisi del poema cavalleresco
umanistico e dalla presenza del nuovo modello della “Gerusalemme” di Tasso, in cui il poema
eroico si chiude in una “serietà” tragica e religiosa. La comicità di Tassoni nasce anche dallo
scontro fra la volgarità del provincialismo italiano e le aspirazioni eroiche di molti personaggi,
ancora profondamente legati all’ideale cortese. Il poema di Tassoni venne preceduto da “Scherno
degli dei” di Francesco Bracciolini, vantandosi di aver inaugurato un nuovo genere, dando luogo a
una contesa letteraria con Tassoni.

POESIA GIOCOSA E SATIRICA: il ‘600 registra anche una ricca produzione di poesia giocosa.
Tra gli autori di questa nuova produzione abbiamo:
 Francesco Bracciolini: a Firenze sono coltivate le forme della poesia rusticale nelle opere
“Ravanello alla Nenciotta” e “Risposta della Nenciotta”.
 Anton Giulio Brignole Sale: la sua opera “Il satirico innocente” presenta dei componimenti
rivolti ai costumi dei suoi tempi.
 Salvator Rosa: nella sua opera “Satire” si riferisce ai mali del tempo: guerra, invidia e
corruzione.
IL TEATRO

Nel ‘600 troviamo anche lo sviluppo del teatro, in cui si organizzano rappresentazioni e s’impone
l’utilizzo della musica. Nelle grandi città si riservano degli spazi per l’esibizione dei comici, ma
presto le corti si preoccuperanno di attrezzarsi, o attrezzare le loro città, con sale destinate ad
accogliere in modo migliore gli spettacoli.

SPETTACOLO: Il teatro all’italiana è modellato a forma di U allungata, con palchetti, platee in


pendenza, palcoscenico, quinte, sipari e fossa per l’orchestra.
La prima compagnia dei comici italiani si era formata nel 1545 a Padova quando, Francesco
Andreini e la moglie Isabella, fondarono la compagnia dei Gelosi; il figlio, Giovan Battista
Andreini, fonderà insieme a sua moglie la compagnia dei Fedeli. Troveremo anche la figura di
Cecchini, direttrice degli Accesi, e Flaminio Scala direttore dei Confidenti.
La spettacolarità è presente nelle celebrazioni di feste, per cui vengono preparati archi trionfali,
decori e statue; questo rinnovamento drammaturgico del ‘600 è determinato da tre fenomeni:
1. La diffusione delle compagnie di attori
2. La definizione dell’edificio teatrale moderno
3. Il rinnovamento del pubblico, non più costituito solo da nobili, ma anche da borghesi.

Per rispondere a un pubblico sempre più esigente, lo spettacolo arricchì anche le sue figure
interne, tanto da far nascere nuove professioni: musicisti per il teatro, scenografi, macchinisti
ecc. Gli effetti di meraviglia e di illusione erano prodotti dalle macchine infatti, sotto l’occhio
dello spettatore, si realizzavano delle inondazioni o la discesa dal cielo di nuvole.
Particolare è la figura dell’architetto/scultore Bernini, il quale simulò un cataclisma così reale da
indurre il pubblico a fuggire dal teatro.

TEATRO GESUITA: I gesuiti fecero del teatro un modello educativo, previsto nella loro Ratio
studiorum. La recitazione era considerata un esercizio scolastico che sfociava in due saggi
annuali. Per la rappresentazione venivano impiegati anche molti studenti ma non erano previste
attrici femminili; solo più tardi si fece eccezione per la Vergine Maria o altre donne appartenenti
alla santità. L’obiettivo dei gesuiti era quello di formare l’individuo. Tra i difensori del teatro
troviamo la figura di Ottonelli, che nel suo “Della cristiana moderazione del teatro” mira a riformare
in senso etico il teatro e Galluzzi, che scrive “Renovazione dell’antica tragedia” in cui si scosta dai
precetti aristotelici. Egli assegna alla tragedia la fine della tragedia greca: far odiare i tiranni e far
amare gli eroi. L’eroe delle tragedie dei gesuiti non è in conflitto tra la politica e la morale, ma è un
inviduo totalmente votato dal bene. Lo spettacolo deve anche coltivare gli affetti e le passioni, che
sono intesi dai gesuiti come energia vitale in grado di portare l’uomo a scegliere tra il male e il
bene.

COMMEDIA DELL’ARTE: con finalità diverse da quelle sacre si svolgevano gli spettacoli di
finzione, per illudere e affascinare. I comici dell’Arte fornivano un repertorio molto vasto, che
andava dalle commedie ai drammi sacri alle tragedie.
I comici dell’Arte recitavano all’improvviso (genere del tutto nuovo), ovvero con battute più o
meno spontanee; i personaggi indossavano delle maschere che suscitavano curiosità e
sorpresa: si passava da giochi gestuali o verbali (lazzi), da intrecci (canovacci) fino alle seduzioni
musicali e giullaresche. Per quanto riguarda i personaggi troviamo: gli innamorati – recitano in
italiano pezzi patetici e sono senza maschera – i servi (Zanni, Arlecchino, Pulcinella) che vestono
e parlano secondo la loro regione e portano la maschera. Altrettanto tipizzati sono i vecchi:
Pantalone e il Dottore bolognese.
Gli attori scelgono per le compagnie dei nomi di prestigio in quanto ambiscono ad essere
considerati degli intellettuali di alto livello.
Francesco Andreini compose “Le bravure del Capitano Spavento” (1607). Il personaggio ha il
sé del tragico e del comico, è eroe superbo e ambizioso che combatte contro gli infedeli.
Queste stampe editoriali preparano un terreno favorevole al figlio Giovan Battista Andreini, il
quale lavorò tra Italia e Francia. Compose “Amore allo specchio” (1622). Andreini mescola e
moltiplica i linguaggi e i generi: sarà dai suoi testi che si ricaveranno anche delle informazioni sulla
scenografia dell’epoca.

Legata alla compagnia dei Gelosi è l’opera di Flaminio Scala “Il Teatro delle favole
rappresentative…” (1611), prima di fondare la compagnia dei Confidenti. E’ una raccolta di
canovacci suddivisi in 50 giornate sul modello del “Decameron”.
Altri testi e indicazioni sulla scenografia si ricavano dalle commedie di Pier Maria Cecchini in “La
Flaminia schiava” e “L’amico tradito”.

Il lavoro della Commedia dell’Arte è significativo perché, quando si trovavano a corto di testi,
ricorrevano a dei testi stranieri e quindi contribuivano anche alle traduzioni.

TRAGEDIA CRISTIANA: con temi storici e biblici troviamo la figura di Federico Della Valle, il
quale compose “Adelonda di Frigia” e tre tragedie: “La reina di Scozia”, “Iudit” ed “Ester” –
queste tre tragedie hanno in comune le sorti del cattolicesimo in Europa.
 “La reina di Scozia”: rappresenta la figura di Maria Stuart, decapitata nel 1587 per ordine
di Elisabetta I. Della Valle non mette in scena la sua storia, ma la sua ultima prigionia,
lavorando alla trasformazione della regina a martire. Circondata da damigelle la donna
piange anticipatamente la sua morte e manifesta la sua accettazione alla condanna.

 “Iudit”: è la storia della figura della donna ebrea che libera la città dagli assedi degli Assiri,
fingendo di accondiscendere alle proposte amorose di Oloferne per poi approfittare della
sua ubriachezza per decapitarlo. Iudit è l’eroina religiosa, sfuggente e irrequieta che sente
di avere un compito per volere divino. La sua non è una personale azione ma una giustizia
divina: non si glorierà della vittoria, ma annuncerà semplicemente al popolo la guadagnata
libertà.

 “Ester”: è una riscrittura della storia biblica.

In tutte e tre le tragedie ci sono delle figure negative:


1. Vagao: adulatore di Olofrene, si fa invadere dal fremito di sensualità
2. Elisabetta I: appare come l’incarnazione della crudeltà e della perfidia
3. Aman: ambizioso consigliere del re persiano, tenta di ingannarlo mettendo in cattiva luce il
popolo ebreo di cui Ester ne fa parte.

Un altro martire è presente nella tragedia di Emanuele Tesauro, “Ermegildo” del 1661.
E’ la storia di due fratellastri, Ermegildo e Recaredo, figli del re di Siviglia: rispettivamente le
immagini del bene e del male. Si contendono l’eredità del regno e rappresentano due versanti
religiosi diversi – l’ortodossia e l’arianesimo.
Cherinto, cattivo consigliere di corte, muove l’azione elaborando una strategia, ingannando il re
facendogli credere che Ermegildo stia preparando contro il padre un colpo di stato. Il vecchio,
debole e senza forze, si fa manipolare dalla corte. Ermegildo alla fine accetta la sua condanna
come sacrificio. Solo dopo la sua morte si scoprirà la sua lealtà.
La tragedia è divisa in 5 atti e Ermegildo appare come la vittima volontaria e consapevole; da
questo gesto è tratto alla fede il fratello.

TRAGEDIA CLASSICA: la produzione tragica resta nel ‘600 più legata alla produzione che alla
rappresentazione. L’unica ad avere un successo in scene è “Il Solimano” di Prospero Bonarelli,
vertendo su intrighi di corte e amori infelici.
Impostata su una vicenda classica è l’opera di Carlo de’ Dottori “Aristodemo”, considerata la
migliore tragedia italiana del ‘600. Aristodemo, incarnazione della ragion di stato, è obbligato a
sacrificare la figlia per ottenere da Apollo la fine del conflitto con Sparta.

Questa tragedia ha un profondo significato religioso sviluppato intorno a tre motivi:


grandezza, morte e tenerezza. Di grandezza eroica è considerata Merope (figlia di Aristodemo)
quando crede che la propria morte sia un sacrificio per la patria; Aristodemo è portatore di morte
che distribuisce agli altri per un fine politico; alla morte si oppone la dolcezza e la tenerezza della
vita. La morte di Merope appare come un atto di santità.

MELODRAMMA: fondato dalla Camerata de’ Bardi, vide il suo massimo splendore con Claudio
Monteverdi. In occasione della festa per le nozze di Francesco Gonzaga e Margherita di Savoia
(1608), Monteverdi musicò “Arianna”. Claudio Monteverdi poté trovare nella città di Venezia un
pubblico in grado apprezzare il suo lavoto. La mancanza di una corte fu la richiesta di poter
rappresentare a pagamento il dramma cantato per poter fondare poi, nel 1637, il teatro pubblico
di San Cassian. Nel giro di dieci anni si attuò a Venezia la profonda trasformazione del
melodramma.

A riscontrare molto successo sarà anche l’opera di Guidobaldo Bonarelli, “Filli di Sciro” (1607).
Questo nuovo genere melodrammatico utilizza versi sciolti, endecasillabi e settenari, mentre per le
arie e i cori, si impiegano strofe chiuse. La produzione continuò per tutto il secolo.

La diffusione del melodramma in Italia portò molte diversificazioni.


Nel 1600 Emilio de’ Cavalieri mette in scena nell’oratorio dei filippini “Rappresentazione di
Anima e di Corpo”, in cui si rappresentava il dramma di un’anima divisa fra vizi e virtù, il demonio
e l’angelo; per il suo argomento religioso e morale, le cantate vanno sotto forma di orazione, un
genere privo di scenografia. L’origine dell’oratorio è oscura, forse riconducibile all’ambiente dei
filippini. Questo nuovo genere si diffonde con ritardo fuori Roma. A Firenze, con “Martirio di
sant’Agata di Catania” di Jacopo Cicognini (1622) e a Venezia con “Vergine in Egitto” (1662),
diventerà solo a fine ‘600 e per tutto il ‘700 patrimonio di tutta l’Europa cattolica.
Il melodramma a Roma coincide con la figura di Urbano VIII, quando fu inaugurato dai nipoti del
papa un teatro privato nel loro palazzo, destinato a delle grandiose rappresentazioni con tema
epico-cavalleresco.

Prima della fine del secolo a Venezia furono aperti ben 15 teatri pubblici e si affermò l’uso di
portare fuori città lo spettacolo ad opera delle compagnie che preparavano il loro repertorio.
L’adattamento alle diverse città produsse una grande varietà di situazioni sceniche, il complicarsi
delle trame, lo scambio di persone. Anche la sceneggiatura si arricchì di crolli di edifici,
quadretti domestici o incendi.
LA NARRATIVA

La narrativa vive, come tutti gli altri generi letterari, la tensione fra la tradizione e l’innovazione.
Si diffonde, nel ‘600:
1. Il romanzo
2. La novella
3. La favola
4. L’apologo
5. La letteratura di viaggio

ROMANZO: esplode in Italia, come in tutto il resto dell’Europa, l’interesse verso il romanzo. Si
cerca una scrittura d’intrattenimento che tratti una materia più vicina alla realtà dei lettori e, a
queste esigenze, da soddisfazione proprio la narrazione romanzesca.
Per romanzo nel Rinascimento si intendeva la narrazione di avventure amorose ed eroiche
raccontate nei poemi come “Orlando Furioso” e “Orlando Innamorato”; il romanzo seicentesco ne
assume indubbiamente le caratteristiche ma al contempo assorbe l’eredità anche da altri modelli.
Questo nuovo genere di romanzo viene influenzato anche dalla storia vera per gli intrighi della
vita di corte, mentre per il “tema patetico” c’è l’impronta dei poemi di Tasso.

Quella romanzesca è una letteratura che si adegua al costume sociale e letterario del secolo,
rispondendo al bisogno del pubblico formato da patrizi, alto-borghesi, donne e intellettuali. Il
genere si avvantaggia anche delle nuove condizioni del mercato librario di cui, la città di
Venezia, è la più incline a questa produzione.
La mancanza di codificazione appare una scelta consapevole, in quanto consente maggiore
libertà allo scrittore senza restringere il campo e le possibilità espressive, ma sfruttando a pieno
vari registri stilistici e tematici.

I romanzieri si avvantaggiano di un repertorio già precostruito, con figure e personaggi tipici e


con moduli stilisti familiari; vengono anche inserite lettere, poesie, novelle e prediche. La trama è
costituita da un testo teatrale (canovaccio) entro cui l’autore può far rientrare ogni materia.
Tra gli autori romanzeschi ricordiamo: Giovan Francesco Biondi – “Eromena” (1624). L’opera di
materia avventuroso/amorosa inaugura questa nuova stagione.
Il romanzo si suddivide a sua volta in:
 Romanzo erotico/avventuroso
 Romanzo dell’interiorità
 Romanzo storico/politico
 Romanzo di costume

R. EROTICO/AVVENTUROSO: prevale nella prima metà del secolo l’elemento fantastico che
genera romanzi su trame avventurose, sentimentali ed eroiche con personaggi per lo più
inventati. Sono vicende con lunghi viaggi per terra e per mare, con colpi di scena in cui lo sfondo, o
vicino o lontano, è sempre una corte. Autori di questi romanzi sono:
 Giovan Francesco Biondi – “La donzella desterrada” (1627) e “Il Coralbo” (1632).
L’autore costituisce intorno ai temi di amore e guerra un complesso di intrecci di eventi. La
sua è una narrazione aristocratica che ha anche momenti di orrore. La storia vera
penetra nel romanzo e permette un’analisi della ragion di stato e dei costumi di
un’aristocrazia ancora fossilizzata da tendenze barbariche. I meccanismi del potere sono
messi a nudo facendo emergere un’immagine della corte divisa tra l’eleganza e la violenza
passionale.
 Pace Pasini – “L’istoria del Cavalier Perduto” (1644). E’ una trama fantastica, costruita
su peripezie avventurose ed erotiche, fatto con un intreccio complesso.
Il ricchissimo racconto (che ha forse suggestionato Manzoni), si divide in tante storie
particolari tenute insieme dal fatto che ruotano tutte intorno al personaggio principale;
anche qui la corte funge da sfondo. La preoccupazione di Pasini è la ricerca dell’identità del
protagonista che, per l’appunto, chiama Cavalier Perduto perché non conosce le sue
origini.
 Giovanni Ambrogio Marini – “Il collandro fedele”. L’intreccio è fatto di complicatissime
avventure ambientate tra Costantinopoli, l’Egitto e l’Ungheria, che hanno come centro
l’amore di Calloandro e di Leonilda, due giovani contrassegnati da una straordinaria
somiglianza che consente loro di scambiare frequentemente i ruoli e dare luogo a situazioni
amorose ambigue. Le avventure sentimentali vanno a braccetto con quelle politiche:
imprigionamenti, guerre e duelli rendono la storia molto avvincente.

R. DELL’INTERIORITA’: a Genova (un altro centro di produzione romanzesca) i temi sono più
orientati all’approfondimento dell’interiorità, con conflitti interiori fra amore ed etica, che
sfociano in racconti religiosi e agiografici (letteratura relativa alla vita dei santi).
Troviamo la figura di:
 Brignole Sale – “Maria Maddalena” (1636). Romanzo religioso che costituisce il più
notevole esempio di questo tipo di narrazione. Il romanzo attinge ai Vangeli, ma non si
tratta di un racconto agiografico in quanto ha una forte costruzione letteraria quando si
narra della protagonista come una prostituta.
 Bernardo Morando – “Rosalinda” (1650). Romanzo religioso/edificante, l’opera narra le
avventure di una giovane donna cattolica che deve abbandonare l’Inghilterra protestante
per gli eventi rivoluzionari. L’interesse è rivolto alle esperienze interiori.
 Giambattista Rinuccini – “Cappuccino scozzese” (1644). La trama racconta di un
giovane calvinista, convertito al cattolicesimo e diventato a Roma cappuccino, fu inviato
nella sua patria per far convertire il popolo.

R. STORICO/POLITICO: L’attenzione alla realtà porta nel romanzo anche molte polemiche,
come quelle fatte da Ferrante Pallavicino: approda a racconti polemici anche contro la Chiesa.
Nel 1643 esce “Il divorzio celeste”, allegoria della Chiesa di papa Urbano VIII – “divorzio” da
Cristo – Pallavicino viene decapitato all’età di 29 anni.

La storia e la politica sono gli ingredienti fondamentali per un ricco filone romanzesco, di cui
esemplare è l’opera di Bisaccioni, “Il Demetrio moscovita” del 1643. La sua è una storia ricca di
suspense, di osservazioni sulla ragion di stato e sulla figura del principe. L’autore racconta di aver
appreso la lezione di Machiavelli intervenendo sia per indicare i modi della sua procedura, sia per
commentare gli eventi e dare lezione di arte politica. Bisaccioni dichiara che il suo intento è
quello di presentare l’instabilità delle cose umane.

R. DI COSTUME:Il gusto si evolve verso il romanzo di costume, come avviene nella trilogia di
Girolamo Brusoni: “La gondola a tre remi”, “Il carrozzino alla moda” e “La peota smarrita”.
La narrazione fa perno al personaggio principale Burano Glisomiro (anagramma di Girolamo
Brusoni), galante libertino, sempre in movimento e in fuga alla noia.
Il protagonista è una proiezione di quello che l’autore voleva forse essere; egli è il centro degli
eventi, specie amorosi, dove tutte le figure femminili sono in qualche modo a lui interessate: da qui
il nome di romanzo di costume.
NOVELLA: a coincidere con lo sviluppo del romanzo è la novella, che vede la più abbondante
produzione a Venezia. La lunga durata del modello di Boccaccio continua persistere anche nel
‘600 ma, come per gli altri generi, in narratori in questo secolo devono soddisfare il pubblico:
cambiano le regole ed emergono delle nuove forme, dei nuovi temi e dei nuovi moduli narrativi.

La raccolta di novelle più esemplare è costituita dalle “Cento novelle amorose de i Signori
Accademici Incogniti”, prodotte da un gruppo di letterati veneziani; la raccolta mostra nella
scelta numerica il modello del “Decameron”:
- Prima edizione: 1641 – conteneva 30 novelle;
- Seconda edizione: 1643 – conteneva 30 novelle;
- Terza edizione: 1651 – conteneva 40 novelle.
Promettendo di raggiungere il canonico numero di cento, l’imitazione al “Decameron” è solo nel
numero, poiché si distingue nella diversità dei temi e delle forme. I racconti hanno una forte
impronta passionale: sono spesso storie tragiche in cui risaltano tradimenti e perfidie; l’amore è
presente in tutte le sue forme. Alcune novelle sono brevissime, quasi dei riassunti.
Venezia è il crocevia di esperienze narrative, sede di pubblicazione e di diverse altre raccolte di
novelle.

Le accademie letterarie oltre a incentivare la produzione di novelle, ne improntavano anche la


forma. Le raccolte di novelle si sviluppano come incontri, discussioni; le raccolte novellistiche
mettono in scena gruppi di giovani che, per sfuggire alla peste o alla noia, si riuniscono in un luogo
ideale, eleggono un “re” e trascorrono le giornate a discutere.
Su questo modello troviamo le opere di:
 Anton Giulio Brignole Sale: “Le instabilità dell’ingegno”, racconta di quattro coppie di
giovani che, per evitare la peste, abbandonano Genova e si isolano a trascorrere il tempo
in colloqui accademici mettendo alla prova l’acutezza del loro ingegno.
 Giovanni Sagredo: “Arcadia in Brenta”, anche qui non predominano le novelle ma i
componimenti poetici, gli scherzi e le battute. La cornice ha un ruolo importante: è una
narrazione che rappresenta la vita di un’aristocrazia senza ideale volta all’intrattenimento
per sfuggire alla malinconia.

FAVOLE E APOLOGHI: nell’abbondante produzione favolistica che mette in scena i tipi umani,
vizi e virtù, notevole è “Brancaleone” (1610) di Giovan Pietro Giussani. La prima opera non
porta il nome dell’autore, ma per i caratteri linguistici senza dubbio l’opera è stata prodotta in un
ambiente milanese, da un autore vicino al circolo dei Borromeo. Si tratta di un romanzo di
“formazione” il cui protagonista è un asino. In una storia principale sono inserite novelle e
apologhi, favole e racconti di animali e di uomini, in un susseguirsi di narrazioni che possono
essere d’invenzione o di tradizione. L’autore attinge a Esopo, Luciano, Apuleio.

LETTERATURA DI VIAGGIO E DELL’IO: si realizza nel secolo anche il racconto biografico.


Il genere più gettonato per la rappresentazione dell’io è la lettera; i lasciti epistolari del ‘600 sono
abbondanti. Sono lettere per comunicare ma sono anche fondati sulla consapevolezza retorica, da
renderle così opere letterarie di pregio. Vi sono anche raccolte organizzate con l’intento di costruire
un’immagine dell’autore come le lettere dell’attrice Isabella Andreini o quelle di Gianbattista
Marino. Le confessioni e i diari sono il settore in cui è ampia la presenza anche delle donne,
ricordiamo, infatti, la figura di Veronica Giuliani con i “Diari”, che scriveva per ordine del
confessore su fogli che le venivano subito sottratti senza che potesse darvi una rilettura: sono
affascinanti proprio per la loro profondità.
Troviamo anche la figura di Carlo de’ Dottori con la sua opera “Le confessioni”, il quale scrive un
autobiografia. E’ presente lo sguardo dello scrittore, ormai vecchio, sulle cattive inclinazioni che
riconosce di aver avuto nella sua vita passata.

Il più praticato genere di scrittura in cui autore e narratore coincidono è la relazione al viaggio.
Orientata alla considerazione dei popoli, dai loro costumi e dal loro modo di vita, contribuisce
all’avvio della scienza antropologica. Le relazioni dei viaggi provengono spesso da mercanti, come
Francesco Carletti che riesce ad innalzare il viaggio commerciale, o come le figure di Marco Polo
e Amerigo Vespucci. Quest’ultimo scrisse “Ragionamenti del mio viaggio intorno al mondo”, un
opera di natura conversevole in cui l’autore narra l’esperienza della circumnavigazione del globo.
Di questi viaggiatori il più noto è Pietro Della Valle, che per 12 anni percorse l’Asia e scrisse
“I viaggi di Pietro Della Valle il Pellegrino”. Intraprese un viaggio che doveva portarlo da Napoli
a Costantinopoli, Egitto e Persia. A Baghdad sposò una cristiana – proseguì il viaggio sostando
per più di due anni in Persia, dove tentò di fondare lì una Nuova Roma – dovette assistere alla
morte della moglie e successivamente riprese il viaggio di ritorno.
L’opera è divisa in tre parti: Turchia, Persia e India. I suoi resoconti conquistano i lettori italiani
ed europei anche per il loro tono discorsivo e confidenziale.

LETTERATURE REGIONALI E DIALETTALI

Molte regioni italiane producono nel ‘600 una letteratura dai caratteri locali. Si tratta di una
produzione tutt’altro che minore che si sviluppa nel capolavoro di Giovan Battista Basile “Lo
cunto de li cunti”, prodotto a Napoli, che trovò nel dialetto una feconda via di valorizzazione della
sua realtà con altri autori come Giulio Cesare Cortese.
Al dialetto fanno ricorso anche scrittori di Venezia, Padova e Milano.

NAPOLI - GIOVAN BATTISTA BASILE: è con Basile che si afferma la letteratura dialettale
napoletana. A inizio secolo fu al servizio della Repubblica di Venezia, tornato a Napoli frequentò
l’Accademia degli Oziosi, visse per un breve periodo alla corte dei Gonzaga a Mantova e
successivamente lavorò al seguito della sorella Adriana, una famosa cantante.
Scrisse liriche e poemi che non si distaccano dai moduli marinistici e tardo-rinascimentali (“Il
pianto della Vergine” – “Madrigali e ode” – “Le avventurose disavventure” – “Egloghe amorose e
lugubri”). Pubblicò anche opere in dialetto napoletano molto apprezzate, che dimostrano
l’attaccamento alle tradizioni e alla cultura partenopea (“Le muse napoletane” 1635).

L’amore per le fiabe, le favole, i motti popolari e i proverbi lo portarono a raccogliere un prezioso
materiale: nacque così il suo capolavoro “Lo cunto de li cunti”, pubblicato postumo tra il 1634 e
il 1636, noto anche come “Pentamerone”. Si tratta di una raccolta di 50 fiabe con una speciale
cornice: le fiabe vengono raccontate in 5 giorni da dieci narranti.
La bellezza del libro è una vivacità narrativa straordinaria, un uso brillante e moderno della lingua;
la realtà e la fantasia si completano. I discorsi dei personaggi sono condotti con richiami eruditi,
con bisticci; è presente la metafora e l’onomatopea. Le trame crescono con viaggi, prove,
avventure e magie che sono tipiche della fiaba e ne mostrano la ricchezza. Sono i personaggi a
dare valore alle azioni.

Dalla sua raccolta derivano fiabe come Cenerentola, Il gatto con gli stivali e La bella addormentata.
“LO CUNTO DE LI CUNTI”: l’amore per Napoli e per la sua lingua spinge Basile a raccogliere in
una sorta di Decamerone le fiabe che si narravano a Napoli. Il libro non è rivolto ai bambini, ma
fu pensato a coloro che frequentavano i circoli letterari napoletani; lo scopo è quello di dare un
modello normativo per innalzare il dialetto a livello letterario.

TRAMA:
- E’ messa in scena la reggia di Vallepelosa, dove il re si dispera perché la figlia Zoza non
ride mai. Fa costruire, allora, una fontana sprizzante olio davanti alla reggia, convinto che
nel vedere le acrobazie della gente che evita di sporcarsi, la principessa sarà indotta a
ridere. La situazione ha esito positivo. Un giorno una vecchia andando ad attingere un po’
di olio alla fontana, si ritrova l’ampolla rotta a sassate a causa di un giovane: questo la fece
ridere a squarciagola.
- La vecchia, sentendosi beffata, scagliò una maledizione: Zoza non avrebbe più avuto pace
fino a quando non avesse sposato il principe di Caporotondo che giaceva su una tomba e
poteva essere risvegliato da una donna che sapesse riempire di lacrime un’intera brocca in
tre giorni. Dopo sette anni di ricerche Zoza trova la tomba e in due giorni di pianto riempe
l’anfora quasi al colmo ma sviene dalla stanchezza. Una schiava che assiste alla scena ne
approfitta e riempie l’anfora con quattro lacrime: il principe si sveglia e la porta in città per
sposarla.
- Zoza quando si riprende non trova il principe e va in città accompagnata dalle fate e, con i
doni concessole, suscita nella sposa novella di ascoltare racconti. Il principe convoca allora
nel regno le dieci narrative più brave.
- Ogni narratrice racconta una storia al giorno per cinque giorni, ma l’ultima nella quinta
giornata si ammala e lascia il posto a Zoza, che ha l’occasione di far emergere la verità.
Farà condannare l’usurpatrice e sposerà il principe.

BOLOGNA - GIULIO CESARE CROCE: minori, ma vibranti per il gusto popolare, sono i libri del
bolognese Croce. Nel 1575 l’autore si trasferisce a Bologna; la sua produzione fu vasta. La sua
fama letteraria resta affidata a quel piccolo capolavoro di narrazione popolare che sono le
proverbiali “Sottilissime astuzie di Bertoldo” del 1606, seguite da “Le piacevoli e ridicolose
semplicità di Bertoldino”, del 1608, figlio di Bertoldo.

Sono storie che raccontano delle imprese del contadino Bertoldo, buffone e dotto delle cose del
mondo, viene accolto alla corte di Alboino a Verona per l’ammirazione che il re nutre per la sua
sapienza; nonostante osteggiato dalla regina, egli riesce a difendersi ma, invece di portare avanti
la protesta delle plebi, si adegua alla regalità e diventa suddito stravagante ma fedele.
A Bertoldo succede il figlio Bertoldino, ugualmente brutto ma anche stolto, autore di sciocchezze
che la madre cerca di correggere.
“Le sottilissime astuzie di Bertoldo” consta di dialoghi che mostrano la retorica astuta di
Bertoldo, che non risponde mai alle domande direttamente ma fraintende; il suo è un parlare “alla
rovescia” – il dialogo crea giochi di parole e la storia muove di battute la commedia.

Nella città di Napoli incontra l’influenza dell’italiano letterario di Tasso, ma è con l’opera
“Vaiassedie” che si inaugura la stagione della letteratura dialettale di Giulio Cesare Croce. Nel
1612 esce il suo poema delle serve, in cui racconta l’esperienza della folla plebea femminile. E’ il
bisogno di una vita intima, di famiglia e di affetti, che muove queste donne verso avventure che
riescono nel matrimonio o falliscono nella prostituzione.
Tra le sue opere poetiche ricordiamo:
 “Micco Passaro ‘nnamorato” – racconta le gesta dell’eroe storico ed è una felice
invenzione eroicomica.
 “Lo Cerriglio ‘ncantato” – è dedicato a una famosa taverna napoletana trasformata in un
regno assaltato da Sarchiapone e dai suoi compagni
 “La Rosa” – racconta le sventure, anche amorose, di una fanciulla innamorata rapita dai
Turchi
 “Il viaggio di Parnaso” – è la giustificazione retorica delle scelte napoletane di Cortese.

VENEZIA: presenta una copiosa produzione dialettale, che fonda le sue radici nella coltivazione
della poesia veneziana. L’opera più notevole in dialetto veneziano è “La carta del navegar
pitoresco” di Marco Boschini. L’opera si divide in otto canti detti “Venti” – ogni “Vento” è
composto in quartine, in rime incrociate, ed è preceduto da un argomento. Boschini sostiene che la
Chiesa di San Giorgio supera i palazzi incantati di Tasso e Marino. La “carta” è una miniera di
espressioni del tempo e dell’ambiente, di immagini della vita veneziana; l’autore mostra un gusto
grottesco e ironizza su argomenti seri, come la Bibbia.

PADOVA: esce nel 1605, in dialetto padovano, “Dialogo de Cecco di Ronchitti”, attribuito a
Girolamo Spinelli, in cui dimostra che le scoperte della nuova scienza possono essere diffuse
anche tra i villani.

MILANO: abbiamo la presenza di Carlo Maria Maggi, il quale con il suo dialetto milanese apre
una tradizione che giunge sino al ‘900. Sotto il patronato dell’Accademia della Crusca si convertì al
dialetto e compose quattro commedie, tutte tra il 1695 e il 1698:
 “Il manco male”
 “Il Barone di Birbanza”
 “I consigli di Menenghino”
 “Il falso filosofo”
Ricordiamo anche l’opera di Francesco de Lemene, “La sposa Francesca” (1694) scritta in
dialetto lodigiano.

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