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Bologna - LA COSCIENZA STORICA DELL’ARTE D’ITALIA

Nel corso del 400 si sviluppa un senso di appartenenza all’Italia, che sebbene ancora lontana dalla sua
unificazione politica, individua in questo territorio una unica sede comune per varie innovazioni artistiche,
viene definita “Ytalia” già da Filaerte e Alberti per indicare appunto questa penisola, seppur divisa, come
una entità unica.
Lo stesso Durer (un osservatore esterno) afferma che il Rinascimento è stato opera di tutti gli italiani che
avevano cooperato e dato vita a questa rinascita, nata quindi uno spazio geo-fisico definito Italia. Il
concetto di patria era tuttavia legato a Firenze, quale nucleo attorno al quale tutto ruotava. Lo stesso
concetto di Patria espresso dall’Alberti è una identità nazionale-fiorentina poiché è da questa città che il
movimento umanistico prese il via. La città-patria di Firenze assume l’egemonia su tutte le arti.

Accanto alla coscienza nazionale fiorentina, la letteratura artistica ne considera anche altre, quali l’Etruria
(Siena, Pisa e i loro artisti) e Roma. Questo lo leggiamo ad esempio nei tre commentarii del Ghiberti che,
sebbene siano opera di un Fiorentino a Firenze, tengono d’occhio anche altre realtà. Notiamo come inizia a
farsi strada un senso di appartenenza ad una città-simbolo, dalla metà del 300 infatti l’appartenenza ad una
città specifica era identificativo. “il Buono e il Cattivo governo” di Ambrogio Lorenzetti a Siena rappresenta
proprio la vita cittadina di Siena del 300. La crescita della coscienza cittadina, il senso di appartenenza ad
una città che è già simbolo e ci identifica, è matrice di riconoscimento che va ricercato nella connessione fra
spirito civico ed arte, in città quali Firenze, Bologna, Padova ecc. accrescono nell’artista l’identificazione dei
propri valori morali e spirituali, delle proprie ideologie con la città. Nascono dunque “città ideali”, ovvero
città che riflettono in toto lo spirito dell’artista che le crea; L’uomo si riconosce nella sua città che diviene la
proiezione esterna delle virtù dell’uomo umanista. Una città ideale, utopistica o esemplare è ad esempio
“Sforzinda” di Filaerte. (Milano infatti inizia a diventare già verso la fine del 300 un luogo di convergenza fra
Italia ed Europa e vengono chiamati in causa anche artisti d’oltralpe come J.V Eyeck, Rogier Van der
Weyden e Fauquet). Viene ora spontaneo confrontare Firenze (antica) con Milano (che invece non era
affatto antica).

Bartolomeo Facio  era genovese, nel suo “De Viris Illustribus” del 1456 afferma che un pittore è eccelso
solo quando rappresenta la realtà in maniera analitica e minuziosa (come fanno i fiamminghi). Lui eleva
J.V.Eyeck ad un livello massimo della pittura poiché si ispira alla natura.
Van Eyeck  si basa su una “prospectiva naturalis”
Masaccio si basa su una “prospectiva artificialis”
Bartolomeo Facio aveva infatti individuato una affinità fra arte transalpina e italiana.
Secondo Facio infatti Gentile da Fabriano, Pisanello, Rogier Van der Weyden e Jean Van Eyeck sono i
quattro grandi pittori del suo tempo (quest’ultimo considerato proprio il principe indiscusso dei pittori del
400). Egli afferma che quell’attitudine a esplorare fin nel minimo dettaglio il visibile (che non è solo una
semplice abilità mimetica ma è proprio la capacità di attuare una ricerca consapevole volta a scrutare ogni
dettaglio della realtà sensibile, una attitudine mentale, un approccio analitico nei confronti della realtà
fondata sulla percezione visiva e sulla conoscenza approfondita di essa, eleva questi artisti sopra tutti, sopra
anche i pittori toscani moderni che invece fondano la loropittura sulla regola matematica, sulle regole, sui
criteri di proporzione e di prospettiva geometrica piuttostoo che sulla fenomenologia ottica (Van Eyeck 
si basa su una “prospectiva naturalis” mentre Masaccio si basa su una “prospectiva artificialis”).

Nell’Italia degli anni ’60 del 400 andava maturandosi una nuova consapevolezza, la coscienza di una unità
artistica sul suolo italiano, una “convivenza” di accordi artistici provenienti da diverse zone di uno stesso
territorio.
GIOVANNI SANTI nella “Cronaca” che scrisse per illustrare le grandi gesta del Duca Federico da Montefeltro,
prende spunto per parlare di artisti e sollevare la “disputa della pittura”. Ci colpisce soprattutto la divisione
netta fra l’ITALIA e BURGES (le Fiandre), con la volontà di rivendicare all’Italia un grado superiore a questi
ultimi (dunque Santi identifica già l’arte italiana come un unicum, parlando appunto di “Italia”). Santi in
questa disputa menziona inoltre non solo Firenze ed artisti fiorentini, ma non dimentica i territori più
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disparati dalla Sicilia a Venezia passando per Ferrara eccetera. E’ indubbio che ciò risulta come
L’IDENTIFICAZIONE DI UNO SPAZIO ARTISTICO ITALIANO a tutto tondo. L’UNITA’ CONSISTE PROPRIO NEL
RAPPORTO RECIPROCO FRA LE DIVERSE TRADIZIONI STILISTICHE PRESENTI SUL TERRITORIO ITALIANO, dove
la diversità è una forza e non uno svantaggio. D’altronde anche sul versante politico si era giunti ad un
equilibrio fra i vari stati regionali, gelosi della loro singola autonomia ma allo stesso tempo consapevoli
dell’interesse comune che li portava a considerarsi parte di un tutto, di un sistema. QUESTO E’ IL CONCETTO
DI “LIBERTA’ D’ITALIA”. L’UNIONE INFATTI AVEVA IL DUPLICE SCOPO DI TENERE LONTANI GLI
OLTRAMONTANI E DI PRESERVARE CONTEMPORANEAMENTE L’INDIPENDENZA DEI SINGOLI STATI ITALIANI.
Questo equilibrio fra i vari stili artistici di cui Giovanni Santi parla è in effetti specchio di un equilibrio
politico che l’Italia visse negli anni ’80-’90 del 400.

Tuttavia, questa forma di unificazione italiana dal punto di vista artistico in realtà non aveva costruito una
omogeneità culturale. Le varie capitali dell’arte si contendevano l’egemonia, alimentando polemiche
reciproche, in particolar modo fra Firenze, Venezia e Roma.

Tuttavia, la linea di Giovanni santi venne portata avanti, in particolar modo da BALDASSARRE CASTIGLIONE
e da ARIOSTO, SUMMONTE E MICHIEL, sino all’individuazione di una Italia non più fiorentinocentrica.
BALDASSARRE CASTIGLIONE nel suo “Libro del Cortegiano” enuncia per la prima volta IL PRINCIPIO DI
PARITA’ DELLE “PERFEZIONI”, riferendosi in particolar modo a Leonardo, Mantegna, Raffaello,
Michelangelo, Giorgione, criterio fondato sulla convinzione che LE VIE D’ACCESSO ALL’ECCELLENZA
POTEVANO ESSERE MOLTEPLICI. I cinque maestri da lui menzionati, DIVERSI NELLO STILE MA EQUAMENTE
ECCELLENTI, provengono da diverse zone della penisola, a dimostrazione del fatto che la le diversità
artistiche e geografiche sono comunque raccordabili fra loro.

LUDOVICO ARIOSTO nel suo Orlando Furioso inserisce una ottava in cui nomina ben Nove artisti eccellenti
che si eguagliano per eccellenza artistica: Leonardo, Mantegna, Bellini, i due Dossi, Michelangelo,
Sebastiano del Piombo, Raffaello e Tiziano. Come in Castiglione, vi è una sostanziale parità di valori, pur
nella diversità di origini. GRAZIE A GIOVANNI SANTI PRIMA, AD ARIOSTO E CASTIGLIONE POI, VA
SCEMANDO SEMPRE PIU’ L’IDEA DI UNA FIORENTINITA’ INDISCUSSA IN FAVORE INVECE DI UN
POLICENTRISMO DEL RINASCIMENTO ITALIANO. Su questa linea si schierano anche IL VENEZIANO
MARCANTONIO MICHIEL E IL NAPOLETANO PIETRO SUMMONTE. Questi due personaggi sono stati
fondamentali perché l’uno teneva in considerazione l’altro.
Inoltre, lo sconvolgimento che l’Italia subiva in quegli anni a causa delle invasioni barbariche aveva reso più
solide le consapevolezze di una unicità e omogeneità fra gli italiani, che sono ora solidali gli uni con gli altri.
I Veneziani provavano interesse e stima per l’arte napoletana e viceversa, questo favorì la percezione
dell’arte italiana come unità pure nel suo policentrismo.
Michiel estese per la prima volta la sua attenzione anche nei confronti delle fiandre, notando affinità fra
Antonello da Messina e i fiamminghi. Summonte, che inizialmente si era dimostrato ostile nei confronti
delle espressioni artistiche d’oltralpe (cose che puzzano di moderno e che cioè non sono realizzate su
modello degli antichi ma sono cose tedesche, francesi e barbare) compie ora un indubbio progresso
parlando addirittura di “disciplina di Fiandra”.
SUMMONTE precisò dunque il concetto di scuola, Michiel quello di “Italiano”, e senza trascurare le
esperienze fiorentine ma considerandole parte di un tutto.

VASARI invece si muove in tutt’altra direzione. dopo la pubblicazione delle sue “Vite” nel 1550 e nel 1568
vasari viene subito accusato di essere estremamente fiorentinocentrico e di non essere imparziale nei
confronti di Firenze, che nei suoi scritti diviene il centro nevralgico delle arti di Italia. Vasari è esplicito in
effetti; nella sua LETTERA A COSIMO I egli dice con chiarezza che gli autori della crescita e del
perfezionamento delle arti sono quasi tutti toscani e nello specifico fiorentini. Tuttavia Vasari non trascura
Roma, anzi, crea un vero asse immaginario che collega Firenze a Roma. In effetti Roma è stata l’altra sede di
maggiore attività di Michelangelo, ed è secondo il Vasari il luogo privilegiato per ogni aggiornamento degli
artisti. VASARI concentra la sua estetica sul PRINCIPIO DEL DISEGNO, rivendicato proprio dal culmine della
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ricerca Michelangiolesca. Lo stesso Raffaello secondo il Vasari migliora e diviene l’artista che è solo grazie
all’effetto dello studio di Michelangelo. Ed è per questo che GIORGIONE e TIZIANO, che non videro Roma,
rimasero “Bloccati” e non raggiunsero mai la perfezione a causa di questa grave mancanza e della forte
carenza che la tradizione veneziana ha nello studio del disegno. Questa è L’insufficienza dell’appello alla
natura, ed è per questo che vasari discrimina i veneziani.
Vasari traccia una linea netta che divide Venezia dall’asse Firenze-Roma, e secondo lui tutte le scelte
artistiche della penisola gravitano attorno a Firenze, ribadendo così la sua visione di un modello
monocentrico ed egemone nell’arte italiana. Vasari individua nella “maniera italiana” quella di Firenze-
Roma, cioè quella costituita in prima istanza dalla perfezione michelangiolesca, l’unica davvero valida,
l’unica davvero buona. LA COSCIENZA NAZIONALE VASARIANA DUNQUE E’ LEGATA AD UNA CONCEZIONE
MONOCENTRICA CHE VEDE LA SUA EGEMONIA A FIRENZE-ROMA.
D’all’altra parte si schiera invece VENEZIA. Un nuovo centro nevralgico delle arti sembra voler rivendicare la
propria egemonia. LA POLEMICA FRA DISEGNO FIORENTINO-ROMANO E COLORE VENETO CARATTERIZZO’
PER INTERO LA STORIOGRAFIA ARTISTICA DEL ‘500.

La nuova tendenza prende il via dal DIALOGO DI PITTURA DI PAOLO PINO.


PINO tuttavia prende le distanze anche da Venezia e delinea uno stile pittorico che si differenzia di da quello
toscano basato sul disegno che da quello veneziano fondato sull’uso del colore; Pino si riallaccia allo
sperimentalismo ottico dei fiamminghi, individuando in questo una linea pittorica LOMBARDA.
PINO PAREGGIA TRA LORO I MAESTRI DELLE VARIE REGIONI, dice che se Tiziano e Michelangelo fossero un
unico artista sarebbero insieme il Dio della pittura.
Ancora diverso è il pensiero di Dolce.
LUDOVICO DOLCE pubblica a Venezia nel 1557 il suo Dialogo sulla pittura, dove a Michelangelo è
contrapposto Raffaello; al “noioso disegno” michelangiolesco si contrappone la “varietà e la bella maniera”
di Raffello. Quindi: a Michelangelo va preferito Raffaello, non è d’accordo nemmeno sull’egemonia di
firenze poiché anche i veneziani hanno un loro indiscutibile primato. Dunque Dolce si rapporta ad una unità
italiana, si evince che il punto di vista dei DOLCE E’ CONTRARIO ALLA VISIONE FIORENTINOCENTRICA DEL
VASARI, è in relazione all’Italia, emerge una coscienza agglomerante, uno spazio unitario.
PROPRIO LA CONSAPEVOLEZZA DELLA DIVERSITA’ DI STILI DAL PUNTO DI VISTA ARTISTICO SUL SUOLO
ITALIANO PORTERA’ AL CONSOLIDAMENTO DI UNA CONCEZIONE DI “SCUOLE”.
LA FORZA DELLA DIVERSITA’ CHE E’ PARTE DI UN UNICUM, DOVE OGNI SINGOLA DIFFERENZA E’
IMPORTANTE ALLO STESSO MODO DI ALTRE, E’ UNA CONSAPEVOLEZZA CHE NASCE CON IL MILANESE
LOMAZZO, IL QUALE NEL SUO “IDEA DEL TEMPIO DELLA PITTURA” ESPONE IL CONCETTO BASE SECONDO
CUI OGNI SCUOLA, OGNI MANIETA E’ LA COLONNA DI UN TEMPIO E TUTTE DEBBONO ESSERE DI UGUAL
MISURA E NESSUNA SUPERIORE O INFERIORE PER NON LEDERE ALL’ASPETTO TOTALE DELLA COSTRUZIONE
CHE DEVE RISULTA COMUNQUE ARMONIOSA.
Queste colonne sono i governatori di questo tempio, ovvero della pittura, sono sette e sono: Michelangelo,
Gaudenzio Ferrari, Polidoro, Leonardo, Raffaello, Mantegna e tiziano.
L’Italia è per Lomazzo dunque un territorio dove le esperienze artistiche hanno egual valore e tutte assieme
concorrono alla perfezione artistica. LOMAZZO COSì CHIUDE LA STRADA A QUALSIASI TENTATIVO DI
EGEMONIZZAZIONE DI PARTE O DI PRIMATO IN CAMPO ARTISTICO DI UNA SCUOLA SU DI UN’ALTRA.
Le varie entità artistiche avevano pari cittadinanza sul suolo italiano e proprio il fatto che erano così diverse
fra loro era la forza vincente. LOMAZZO DEFINISCE CON CHIAREZZA LA COSCIENZA DELL’UNITA’ NELLA
PLURALITA’.

DURER, punto do vista esterno, parla dell’Italia che possiede la perfezione delle cose
HOLLANDER dice non si può dipingere bene se non in Italia
Quindi anche all’estero siamo visti come un tutt’uno artisticamente parlando.

TUTTAVIA nel 600 si tornerà indietro e si perderanno tutte le conquiste di unità artistica italiana fatte sino
ad ora. A Roma era in atto una vera battaglia fra i manieristi, i classicisti carracci e i naturalisti di caravaggio.
Diverse scuole erano in lotta fra loro nello stesso territorio (la schola del cavalier d’Arpino, la schola dei
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Carracci e quella del Caravaggio) e questo fece regredire il pensiero di unicità artistica italiana in favore
delle scuole individuali, erano ormai caduti ilegami e si accoglieva sempre più un rinnovato principio di
separazione piuttosto che di unione come invece Lomazzo aveva teorizzato.
Siamo di fronte ad una nuova parcellizzazione che riportava l’accento sul carattere policentrico della realtà
artistica italiana. QUESTO PROCESSO DI SEPARAZIONE COMINCIO’ AD APPARIRE ANCHE CON FREQUENZA
SUI LIBRI CHE VENNERO STAMPATI DALLA META’ DEL XVI SECOLO, LIBRI SULLE SINGOLE CITTA’: Lancillotti
su Modena, Scardeone su Padova, Pietro Lami su Bologna, Sansovino su Venezia, Bocchi su Firenze, Morigia
su Milano, ecc.
SE LEGGIAMO “IL RIPOSO” DI RAFFAELLO BORGHINI ci rendiamo conto di quanto la FIORENTINITA’ TORNA
AD ESSERE AL CENTRO DELLE IDEOLOGIE, vengono chiamati forestieri i maestri veneziani, bolognesi e
milanesi alla stregua dei fiamminghi.
Da questa parcellizzazione nasce un interesse regionalistico dell’arte, non più unitario, e anche quando ci si
interessava dell’arte europea lo si faceva con la volontà di rivendicare i meriti di questa o quell’altra scuola,
dove ad esempio la Francia deve molto a Caravaggio, vedi De la Tour, o vedi Poussin con Raffaello.

IL RINNOVATO SPIRITO UNITARIO DELL’ARTE ITALIANA GIUNGERA’ POI CON LE ISTANZE ILLUMINISTICHE,
dove si rese necessaria una lettura unitaria organica dell’arte italiana, e questa ricerca delle origni, questo
recupero del Medioevo, diviene un punto di raccordo tra le singole entità. QUESTA TENDENZA AD UNA
NUOVA E RINNOVATA UNIONE DELLE VARIE ENTITA’ ARTISTICHE ITALIANE CULMINA NELLA “STORIA
PITTORICA DELLA ITALIA” DI LUIGI LANZI.
Lanzi infatti porta ad una piena coscienza ciò che era già parso chiaro agli scrittori d’arte del tardo
umanesimo, da Santi, sino a Lomazzo.
VENNERO PUBBLICATI MOLTI SCRITTI CHE AVEVANO CARATTERE UNITARIO DELL’ITALIA, DAGLI “ANNALI
D’ITALIA” DIMURATORI, ALLA “STORIA DELLA LETTERATURA ITALIANA” DI TIRABOSCHI, e finalmente anche
una STORIA DELLA PITTURA ITALIANA CON LUIGI LANZI, appunto.
IN AMBITO EUROPEO FU LA STESSA COSA, COSI’ COME ROUSSEAU INSISTETTE SUL CONCETTO DI
PLURALITA’ DEGLI STATI SOTTO UN TERRITORIO UNICO, OVVERO L’EUROPA, LANZI TROVO’ ANALOGA
SITUAZIONE IN ITALIA. La storia della pittura italiana di Lanzi è una vera e propria constatazione del fatto
che l’Italia ha un primato unico nel campo dell’arte, nelle diverse “nazioni” che la compongono.
IL 700 DUNQUE SI CONCLUDE CON L’AFFERMAZIONE CHE L’ITALIA, PRISMA CON TANTE FACCE, ERA UNICA,
PUR NELLA SUA PLURALITA’ E LA SUA FORZA STA PRORPIO NEL SUO CARATTERE MOLTEPLICE, COME SI ERA
COMINCIATO A VEDERA CON FILAERTE, GIOVANNI SANTI NEL 400, ARIOSTO E DOLCE NEL 500, LOMAZZO
NEL 600. Nel 700 si giunge alla consapevolezza di una unione artistica italiana. E non bisognerà aspettare
ancora troppo per giungere ad una unione effettiva, politica e sociale che, come tutti sappiamo, arrivò nel
1861.

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