Sei sulla pagina 1di 39

MANUALE DAL CID AL RE CATTOLICI

ORIGINI - SPAGNA PREROMANZA → è tradizione della storiografia letteraria


spagnola includere nel proprio raggio d’interesse la ‘letteratura hispanorromana’,
cioè quella degli scrittori latini di origine ispanica, come Seneca.
MENÉDEZ PIDAL → nel suo studio circa le origini della letteratura spagnola,
prende in considerazione anche gli scrittori classici di origine peninsulare → Pidal
sostiene che esistano dei caratteri nazionali dominanti durevoli. Questi caratteri
sono legati alle diverse attitudini che di volta in volta poi prevalgono nella
collettività e alle condizioni storiche.
Secondo Pidal, il sostrato celtiberico e la colonizzazione romana hanno costituito
una base etnica e tradizionale. Successivamente, sono arrivati i superstiti
germanico e arabo, poco densi e deboli ma di grande valore, che furono imitati in
più di un aspetto.
Malgrado queste invasioni (germaniche e arabe) → nel temperamento iberico
perdurano ancora oggi alcuni tratti peculiari dell’epoca romana.
Pidal riconosce una linea precisa che unisce Seneca con tutti i più importanti
letterati spagnoli originari di Cordova, fino a Góngora. Questi scrittori, tutti
cordovesi, sono caratterizzati da modalità stilistiche che rimandano ad una
relazione etnica diversa dall’imitazione letteraria.
Da questa ricerca dei ‘caratteri primordiali’ della letteratura spagnola si ricavano
in realtà risultati troppo incoerenti → sicuramente questa letteratura è una delle
più caratterizzate letterature d’Europa.
CULTURA SPAGNOLA → contrassegnata da una certa chiusura in se stessa
rispetto alle altre culture europee, però alla stesso tempo non esclude
l’assimilazione di movimenti innovatori provenienti dall’esterno, come quello
rinascimentale o quello illuministico.
La trasmissione interrotta di alcuni tratti espressivi ipotizzata da Pidal, viene
messa in dubbio se si guardano le profonde crisi storiche, politiche e culturali che
la Spagna ha vissuto nel Medioevo → esempio: passaggio dal latino al romanzo,
scomparsa del romanzo nei territori arabi e nuova romanizzazione dopo la
Riconquista.
L’attuale cultura spagnola appare come il risultato di molteplici fusioni e di un
lungo processo di unificazione, come il punto di arrivo di un processo che parte
da una grande situazione di frammentazione.
Dati questi fattori, della teoria di Pidal rimane solo l’imitazione cosciente da parte
di scrittori spagnoli, che consideravamo gli scrittori latini dell’Hispania come
patrimonio culturale e modello da seguire.
AMERICO CASTRO → nega con fermezza l’esistenza di costanti biologico-
psichiche e sottolinea l’importanza per un popolo di vivere entro una specifica
realtà dinamica → sono spagnoli tutti coloro che sentono di esserlo nell’ambito di
una dimora spagnola, che si determina solo dopo l’invasione araba e l’inizio della
riconquista.
DIMORA SPAGNOLA → risulta da una plurisecolare esperienza di convivenza tra
cristiani, musulmani e giudei.
Castro nega una continuità tra visigoti e cristiani del nord → nel regno visigoto,
pur convivendo per lungo tempo cattolici e ariani, non si verifica alcuna
coincidenza fra interessi religiosi e politici.
Anche la tesi di Castro, pur raggiungendo una maggiore congruenza con la realtà,
risulta troppo rigida e costrittiva → lega la Spagna moderna ad una situazione
esistenziale determinatasi oltre dieci secoli fa.
È vero che leonesi, castigliani, aragonesi e catalani non sono goti, ma è chiaro che
dai goti hanno ereditato coscientemente tradizioni culturali e politiche.
SÁNCHEZ ALBORNO → non crede nell’esistenza di costanti biologico-psichiche,
come Castro, ma neanche in rapide e radicali ristrutturazioni della situazione
esistenziale di un popolo. Sánchez Alborno crede in un perenne e lento mutare
degli elementi di un complesso che ha una sua continuità. Egli valuta
equilibratamente ik fattore geografico e storico per ricercare la costante della
storia spagnola.
Non c’è un archetipo etnico spagnolo, né remoto né medievale.
Un fatto sorprendente, messo in luce da Castro, è quello che l’eredità visigota fu
assimilata in particolare dalle popolazioni del nord (asturiani e baschi), rimaste ai
margini del mondo romano e sottomesse dai visigoti solo successivamente, dopo
molte ribellioni → queste popolazioni si combatterono duramente anche contro gli
arabi per mantenere la loro libertà.
Questa eredità gota, viene accolta in maniera sempre maggiore man mano che la
Riconquista avanza (partendo appunto dai regni del nord). I nuovi regni, che in
origine dovevano poco o nulla al mondo visigoto, maturano sempre più quello che
è stato chiamato ‘mito goto’ → mito perché non si tratta di una restaurazione,
bensì di una creazione ex novo alla quale il mondo goto funge da modello e da
stimolo.

IV e V SECOLO → profonda crisi del sentimento collettivo della romanità di fronte


alla quale gli intellettuali del regno di Toledo (capitale dei re visigoti) hanno
elaborato un sentimento di comunità ispanica che vuole essere sintesi di latinità,
goticità e cristianesimo.
Nella vita politica e sociale rimane la struttura romana, l’attività intellettuale della
Spagna si organizza attorno all’aula regia di Toledo e da lì la cultura romana
impone il proprio prestigio ai goti. Le scuole monacali hanno avuto una notevole
fioritura → da esse provengono i numerosi vescovi letterati, tra cui Isidoro di
Siviglia.
ISIDORO → enciclopedista. Nelle sue opere l’eredità degli scrittori pagani tra un
perfetto equilibrio con la cultura cristiana.
VII SECOLO → la cultura rimane ad un livello alto ma statico, disinteressata al
greco e all’ebraico.
Questo ambiente culturale tardo romano viene stravolto nel 711 con l’invasione
araba → tutti i centri maggiori caddero in mano musulmana e vi rimasero per
secoli.
Qualche filone di cultura cristiana rimase vivo almeno fino al 1000 nelle città
mozarabe, come Cordova. Nelle terre del nord, erano rimasti pochi centri
monastici, ma le dure condizioni di vita non permettevano fioriture culturali.

POESIA MOZARABICA → con il crollo del regno visigoto, inizia nel 711 un ciclo
storico di fondamentale importanza per la Spagna, che si chiuderà nel 1492 con
la caduta di Granada e nel 1609 con l’atto di espulsione dei moriscos.
Al-Andalus, capitale delle Spagna musulmana, conobbe periodi di splendore
intellettuale senza pari → si osserva una precoce fioritura lirica che in parte
continua le tradizioni della poesia araba classica, in parte da luogo ad una nuova
produzione in lingua araba volgare. Parallelamente, viene coltivata anche una
lirica ebraica.
In questo ambiente molto ricco, viene introdotta verso il 900 una forma metrica
nuova detta muwashaha, che alla serie di versi lunghi monorimi (tradizionali
della poesia araba) sostituisce una poesia strofica a versi brevi secondo lo
schema: aa bbb aa ccc aa…
L’ultima parte dell’ultima strofa era chiamato jarcha → composta in arabo volgare
o dialetto romanzo.
L’invenzione di questo genere lirico viene attribuita ad un poeta di Cabra →
Muhammad ibn Hammud il cieco.
MUWASHAHA → coltivata da poeti arabi ed ebrei.
JARCHAS → rinvenute per la prima volta da Stern nel 1948 all’interno di
muwashaha.
PROBLEMATICHE:
1. Stabilire se la muwashaha sia un’invenzione araba o derivi dall’imitazione di
forme latine o neolatine a noi ignote.
2. Rapporto tra jarcha e muwashaha di cui essa fa parte
Il testo della jarcha viene presentato sempre come discorso diretto, posto in bocca
di donna e la sua congruenza con quanto la precede è spesso scarna → il poeta
passa alla jarcha ex abrupto.
La jarcha è in sostanza una citazione attribuita ad un personaggio diverso
dall’autore della muwashaha ma che parla in prima persona → essendo una
citazione viene spontaneo supporre la sua preesistenza o in una poesia romanza
fiorente in Al-Andalus o in una lirica romanza più antica (ipotesi più accreditata).
Questa poesia romanza antica rimane ad oggi molto enigmatica, le composizioni
arabe ed ebraiche che ce la tramandano risalgono alla seconda metà del XI
secolo, la più antica è però anteriore al 1042.
Al cospetto delle jarchas, preme stabilire il loro legame con uno dei generi
dell’antica lirica gallego-portoghese, le cantigas de amigo, e la lirica castigliana →
pur accettando l’ipotesi di un fondo comune, si osserva come la tradizione lirica
mozarabica (e le jarchas) non ebbe un successo tale da imporsi come più
importante rispetto alla tardizone gallego-portoghese.
Queste tre tradizioni sono in realtà di impostazione e gusto diverso, pur
utilizzando una tematica comune → è diverso il tramite attraverso il cui esse ci
giungono. Le jarchas rappresentano una selezione operata dai poeti arabi ed
ebraici nel patrimonio lirico romanzo.
CARATTERISTICHE → impianto semplicissimo che si realizza nel giro di un. Reve
momento di desiderio o di incertezza o di nostalgia. Assenza del gusto per la
metafora e mancanza di elementi tematici rurali.

TRADIZIONE EPICA E MESTER DE JUGLARÍA → nella Spagna musulmana il


peso scarso o inesistente della tradizione latina rese possibile l’assunzione di una
lirica popolare romanza. Anche nel nord però la cultura latina subì una grave
crisi → ciò spiega perché la letteratura castigliana non inizia con opere di
provenienza e impostazione clericale (come in Francia e in Italia).
In Spagna, questa assenza di un ambiente culturale e intellettuale latino, affida
ogni forma di produzione letteraria alla preziosa attività dei giullari.
Il ‘mester de juglaría’ si articolava variamente a seconda delle diverse capacità e
inclinazioni di chi lo esercitava.
Ai giullari era principalmente richiesto di intrattenere il loro pubblico,
declamando cantares de gesta → questa tradizione epica di tipo giullaresco noi la
conosciamo direttamente a partire dal secolo XII, non si sa se e di quanto essa sia
più antica, né quale origine abbia.
I contenuti di questa tradizione hanno tutti una base storica almeno parziale → i
dati storici passano però attraverso uno specifico filtro e si arricchiscono di
fioriture fantastiche. Tuttavia, questo fatto testimonia una tenace aderenza alla
vita e alla realtà dei secoli immediatamente precedenti, e suggerisce l'ipotesi di
una continuità narrativa dal momento in cui si sono svolti i fatti narrati a quello
in cui la canzone epica ha assunto la forma a noi nota.
IPOTESI ORIGINI DELL’EPICA.
Nella tradizione epica c'è un'indiscutibile preminenza della Castiglia → ciò deve
avere la sua ragione nello sviluppo di una più viva sensibilità alla problematica
storica ed etica tra un popolo che rapidamente, acquistando l'indipendenza, si
qualifica con una fisionomia tale da porsi alla testa del movimento di Riconquista.
Inoltre, il prestigio della poesia epica è dovuto sicuramente anche all'affermarsi
rapido del tipo linguistico castigliano. L'affermarsi di questo tipo linguistico
potrebbe essere avvenuto proprio per merito dei giullari che crearono diffusero la
poesia epica.
GIULLARI → oltre a esercitare una funzione informativa, avevano anche il
compito di intrattenere e dilettare il pubblico.
La tradizione epica nasce quando si passa da un proposito informativo ad un
compito formativo. Questa maturazione del racconto in poema epico si traduce
probabilmente in un mutamento delle consuetudini formali rispetto alle
precedenti composizioni informative o fantastiche pur conservandone nella forma
orale.
Una problematica che si incontra studiando la tradizione epica, è quella
cronologica → il testo più antico che ci è giunto indirettamente è una versione del
Cantar de los sietes Infantes de Lara, poco posteriore al mille e di cui rimane solo
un eco nella ESTORIA DE ESPAÑA di Alfonso X.

CANTAR DE MIO CID → composto verso il 1140 da un giullare che si dimostra


buon conoscitore delle regioni dell’alto Duero. La datazione si basa sulle
procedure giuridiche antiquate adottate a Toledo, ad un accenno al re Alfonso VII
come vivente.
Il poema si divide in tre cantari → il primo narra l’esilio del Cid da parte di re
Alfonso VI, il secondo narra di come il protagonista si conquisti un vasto dominio
e di come sottrasse Valencia ai musulmani. Inoltre, nel secondo cantare il
protagonista si ricongiunge con il suo re che accorda il matrimonio tra le figlie del
Cid e gli infanti di Carrión. Nel terzo cantare, gli infanti che dimostrano codardi in
battaglia e iniziano a nutrire gelosia nei confronti dell’eroe → rimasti soli con le
figlie del Cid, le picchiano e le abbandonano mezze morte. Il Cid chiede giustizia,
la ottiene e le sue figlie vanno in sposa agli infanti di Navarra e Aragona.
Il racconto del poema corrisponde in parte ad avvenimenti storici → il Cid fu
esiliato da Alfonso VI per un urto col potente García Ordoñez. Viene male accolto
a Barcellona e si mette al servizio di un re musulmano finché Alfonso VI non gli
affida la conquista del Levante. Grazie ai successi diventa signore di Valencia.
Successivamente, però, l’eroe entra ancora in conflitto con il re e continua a
lottare contro cristiani e mori. Il Cid muore nel 1099.
Non sappiamo se l'episodio del matrimonio delle figlie dell'eroe con gli infanti di
Carrión cambia un fondamento storico.
Il poema mostra interesse limitato per le grandi imprese militari del Cid →
risultano preferiti gli aspetti più privati della biografia dell’eroe.
Non si conosce la preistoria del poema fino al testo che ci è pervenuto del 1140
circa.
Il tema centrale dell'opera non è il trionfo dell’eroe nazionale o del campione della
cristianità, ma quello del piccolo nobile che, scacciato dalla sua terra, deve
affidarsi alle proprie sole forze, che si crea uno splendido dominio, è ferito poi
negli affetti più cari ed è infine vendicato sia dalla condanna degli offensori che
dalle maggiori fortune delle figlie.
Le origini dell'eroe sono umili → è un infanzón, nobile di basso rango e non legato
alla corte.
Nel poema non c'è soltanto la pura riproduzione di uno schema sociale imposto
dalla tradizione del genere epico, ma si raffigurano una situazione e una
mentalità assai caratteristicamente castigliane.
Il Cid diventa una figura archetipa della coscienza e della poesia castigliana.
La storia narrata non tratta solamente una vicenda privata → il Cid celebra dei
valori collettivi, caratteristica propria della poesia epica.

ALTRI POEMI EPICI ANTERIORI ALLA METÀ DEL 200 → è evidente riflesso del
Cid nella leggenda del Cerco de Zamora → storia del re Sancho ucciso a
tradimento sotto le mura della città in cui assediava il fratello Alfonso e la sorella
Urraca. In questa leggenda il Cid diventa prima il coprotagonista dell’azione, per
poi assumere una parte in primo piano.

‘200 - POEMETTI GIULLARESCHI → la grande popolarità in tutta Europa del


pellegrinaggio a Santiago di Compostela, aveva portato in Spagna fra XI e XII
secolo un flusso crescente di provenzali, francesi, italiani, tedeschi e inglesi.
Attraverso questa via la penisola si integra più profondamente nella vita europea
→ ciò rappresenta un'importante svolta storica.
La Spagna dei secoli XI, XII e XIII ha un'importanza straordinaria per la cultura
latina del medioevo e per i suoi ambienti più evoluti ed internazionali, attraverso i
quali si recupera la filosofia greca e si acquisiscono il pensiero e la scienza degli
arabi e degli ebrei.
In questo periodo, la penisola iberica conosce la produzione trobadorica → questo
contatto rimane epidermico nella zona castigliana; nella zona galego-portoghese,
invece, si sviluppa una tradizione lirica che accoglie ed elabora il messaggio
tobaorico, pur traducendolo in forme nuove.
Nel quadro di questa produzione è importante il più antico monumento del teatro
spagnolo → Autos de los Reyes Magos, metà XII secolo, il cui testo è senz'altro il
rapporto con opere francesi. L'opera drammatizza il racconto di San Matteo e
nella sua brevità illustra bene la tecnica del teatro medievale.
Testi come quello dell’Autos, avevano una destinazione orale ed erano affidate al
tramite del giullare → attraverso i giullari nelle piazze e nei castelli di Spagna in
entra in circolazione materiale agiografico. Di fatto, i giullari avevano repertorio
che andava ben al di là della poesia epica → l’esempio più significativo di questo
internazionalismo giullaresco ci è dato da una serie di composizioni narrative
piuttosto brevi.
I giullari, con questi poemetti, operano una rivoluzione molto importante →
introducono nella letteratura spagnola il distico a rima baciata, metro del
romanzo cortese e della poesia didattica galloromanza. Mentre però il distico
francese è di otto sillabe in genere regolari, in questi poemetti resta oscillante la
misura sillabica e la rima è spesso surrogata dall’assonanza.
ESEMPI DI POEMETTI GIULLARESCHI:
- Libro dei tre re d’Oriente → operetta che racchiude un racconto dell’adorazione
dei Magi, la fuga in Egitto, la guarigione di un lebbroso ecc.
- Razón de amor → poemetto che narra un’esperienza personale del poeta stesso
che incontra in un giardino la donna che amava, riamato, senza conoscerla. Il
giullare riprende qui alcuni motivi della poesia dell’amour de loin e il locus
amoenus ma il timbro della poesia nasce dall’estraneità del poeta al livello
cortese a cui ambisce
Meriti della mediazione culturale dei giullari → diffusione in Spagna di un vasto
patrimonio narrativo di circolazione internazionale, assieme ai valori sociali e
morali elaborati in area francese e provenzale, senza i quali non ci sarebbe stato il
successivo sviluppo della civiltà letteraria spagnola.

MESTER DE CLERECÍA → l’apertura alla civiltà letteraria europea si consolida


verso la metà del secolo con le opere appartenenti al genere del ‘mester de
clerecía’, individuate dall’uso della quartina monorima di alessandrini, dall’origine
colta del materiale narrativo e dalla coscienza e qualificazione letteraria dei loro
autori.
Gli autori di queste opere, anche anonimi, sono ben consapevoli della
responsabilità letteraria del loro lavoro → lo contrappongo a quello di juglaría e lo
descrivono come rigorosamente formale e sono rivestiti dall’obbligo morale di
distribuire la loro sapienza, secondo un precetto biblico.
Molti degli autori che fanno parte del mester de clerecía, all’inizio delle loro opere
utilizzano delle formule tipiche dei giullari e fanno spesso dichiarazione di
ignoranza → ciò per attirare l’attenzione ed avvicinarsi all’uditorio.
Questi scrittori non si pongono come oppositori colti della tradizione giullaresca e
non presuppongono il passaggio ad un pubblico diverso → implicano solo un
lento ma sicuro affermarsi di una più responsabile coscienza letteraria, il ricorso
al comune patrimonio letterario occidentale ad un livello più elaborato di quello
giullaresco ed uno sforzo verso la metrica colta.
Inoltre, con le loro opere comincia ad essere tenuta in conto la possibilità di una
lettura individuale o in una cerchia più ristretta.

GONZALO DE BERCEO → produzione ampia ma esclusivamente di argomento


religioso. Per le sue opere si serve sempre di fonti latine, non tralasciando tuttavia
la sua vena narrativa. Scrive alcune vite di santi, qualche opera mariana ed il suo
capolavoro, Los Milagros de Nuestra Señora. Nella sua poesia, l’elemento
‘ingenuo’, quello ‘letterario’ e quello ‘religioso’ si fondono in una forma semplice e
articolata allo stesso tempo. La sua poesia è giustificata da una fede sicura, che
lascia ai margini il male.
Secondo la tradizione del medioevo, l’io delle sue poesie si fonde con un ‘io’
esemplare, col paradigma umano.

ALTRI POEMI DEL ‘200 DEL MESTER DE CLERECÍA:


- Libro de Apolonio → prima metà XIII secolo. Versione in castigliano di un testo
latino o francese circa la leggenda di Apollonio di Tiro, perfetto esempio di
racconti bizantini dominati dall’avventura e dal caso. Il suo autore è anonimo.
In quest’opera per la prima volta si scopre la situazione dell’uomo che viene
travolto dal caso e rimane affidato soltanto alle sue capacità e alle sue doti
morali.
- Libro de Alexadre → primi anni XIII secolo. Racconto che segue la biografia di
Alessandro Magno. Nell’opera, la vicenda dell’eroe macedone si qualifica come
paradigma di vita cavalleresca esclusivamente dedita alla conquista della
gloria.
- Poema de Ferenán González → incompleto, metà XIII secolo. Importante
esempio di collaborazione clericale alle poesia epica. Il poeta, anonimo,
rielabora in quartine di alessandrini un antico testo sulle vicende del primo
conte di Castiglia.
LE ORIGINI DELLA PROSA → in Spagna le prime attestazioni di prosa in lingua
volgare sono documenti di archivio e statuti, privi di rilevanza letteraria.
La prosa letteraria nasce più tardi, nell’ambito di un’intensa attività traduttoria
che ha il suo precedente nella scuola di traduttori a Toledo → prima grande città
di Al-Andalus a cadere in mani cristiane; disponeva di buone biblioteche e di una
cerchia di intellettuali molto colta. La città iniziò presto ad attrarre studiosi
occidentali.
La tecnica con cui erano compiute le traduzioni è singolare, veniva prestata molta
attenzione all’eleganza delle frasi e alla loro scorrevolezza → passava però in
secondo piano la necessità della precisione.
Traducendo molti testi in volgare, si afferma così una coscienza linguistica
nuova.
Al circolo toledano si ricollega il più antico testo iberico in prosa, che non è una
semplice traduzione → Fazienda de Ultra mar, XII secolo. Descrizione della terra
santa. Quest’opera apre la strada alle successive traduzioni in volgare della
bibbia.
1250 → prima traduzione castigliana del Vecchio e del Nuovo Testamento, basata
sulla vulgata latina.
Contemporaneamente, si afferma anche l’uso del volgare come lingua giuridica →
tuttavia, con questi testi, non si tratta ancora di prosa letteraria.
Inizio XIII secolo → Los diez mandamientos e Disputa entre un cristiano y un judío.
Inizia ad acquistare un grande sviluppo anche la prosa di intento didattico ed in
poco tempo emergono molte raccolte gnomiche di tematica eterogenea →
l’interessa principale di queste opere era per le regole di comportamento nella vita
politica e per la morale, esse individuavano come destinatari i nobili. Le fonti di
queste opere erano per lo più orientali.

ALFONSO X ≪EL SABIO≫ → il suo regno segna una svolta importante per la
storia castigliana. Figlio di Ferdinando III (che aveva conquistato l’Andalusia),
sale al trono nel 1252. A lui si deve la presa di Murcia → nonostante il fatto che
per completare la guerra di Riconquista rimangano da conquistare ancora
Granada, sotto il suo regno, lotta secolare tra cristiani e musulmani sembra
pacarsi. In questo modo, però, la politica estera castigliana rimane priva di un
motivo centrale sentito dal popolo → le energie rivolte fino al quel momento per gli
scontri contro i mussulmani, si consumano in violenti scontri interni (che
saranno messi a termine solo dai Re Cattolici).
La Castiglia, con Alfonso X, si era molto ampliata a presentava una fisionomia
composita → c’erano molte minoranze arabe ed ebree e c’era un forte contrasto
tra vita agricola e pastorale del nord e vita urbana dell’Andalusia.
Questo re incerto e debole, ricco di aspirazioni ma destinato sempre
all’insuccesso, ha lasciato un’opera tra le più straordinarie del medioevo → un
insieme di lavori versatili e ampi che riassumono perfettamente la vita castigliana
del XIII secolo.
- Oltre 400 poesie liriche in gallego-portoghese → Cantigas de Santa María.
- Una compilazione legislativa → Siete Partidas → raccolta di leggi accompagnate
da spiegazioni razionali e riflessioni morali o filosofiche.
- Un’opera giuridica → Fuero Real.
- Due compilazioni storiche → Estoria de España e General e Grande Estoria.
- Alcuni libri magici.
- Undici trattati astrologici
- Un libro sugli scacchi ed altre opere minori.
Queste opere non furono tutte scritte esclusivamente da re → egli si circondava di
collaboratori, traduttori, estrattori di fonti, compilatori, estensori, poeti e musici.
Il re ‘fa’ un libro nel senso che ne mette insieme gli argomenti, li equilibra e li
ordina → dopodiché delega qualcuno che li metta per iscritto.
Il lavoro alfonsino si sviluppa dalla tradizione della scuola di traduttori di Toledo
e ne subisce anche l’influenza circa gli argomenti trattati. Esso dipende anche
dall’influenza che esercitano gli ambienti ebrei ed arabi → da essi sicuramente
ricava la rivendicazione del castigliano come lingua della prosa (allontanandosi
dalla produzione toledana).
Inoltre, per quanto riguarda la produzione toledana, al centro dei suoi interessi
c’erano sempre stati degli aspetti teorici, filosofici e scientifici → l’interesse di
Alfonso è invece esclusivamente pratico. Significativo è il suo totale disinteresse
per Aristotele, penetrato nella cultura europea attraverso Toledo.
OPERA DI ALFONSO → grande influenza sulla cultura castigliana ma pochissimo
eco fuori dalla penisola. Per questo motivo, essa rispecchia perfettamente la
specifica situazione culturale spagnola.
Estoria de España → prima opera troica del re. Le sue fonti sono molteplici: opere
storiografiche latine, qualche opera di storici arabi e cantares de gesta.
Compilando l’opera, non venne effettuata una selezione circa i materiali da
includere → si mirò ad integrare quante più notizie reperibili possibili.
L’identificazione di questa cronaca storica è stata possibile attraverso uno studio
di tutte le altre cronache fatto da Pidal.
Il valore di quest’opera come fonte storica è modesto. Tuttavia, la Estoria rimane
importante per la sua ampiezza e per la novità della prospettiva → per essa sono
state utilizzate anche fonti letterarie. L’opera non si occupa solo delle imprese dei
re, ma anche del mondo nobiliare.
Queste fonti letterarie (i canatres) conferiscono alla cronaca un valore particolare
→ sia perché essi sono andati quasi del tutto perduti, sia perché la loro
inserzione è prova di una valutazione positiva delle gesta castigliane come
documenti di pieno valore storico.

‘300 - PRIMI ESEMPI DI ROMANZO → ci sono due grandi opere che, iniziando
la narrativa in prosa, avviano la grande tradizione del romanzo cavalleresco.
Gran Conquista de Ultramar → fino XIII inizio XIV. Vastissima compilazione di
materiale francese. Il nucleo principale è costituito dalla storia delle crociate di
Guglielmo di Tiro. Come prologo, è narrata la storia del Cavaliere del Cigno
(anch’essa di provenienza epica francese). La sua struttura è amplissima e
scarsamente organica → è un trasferimento in sede romanzesca (piuttosto che
storica) dei procedimenti competitivi delle opere di Alfonso. Mette insieme tutto il
materiale attinente al tema, senza effettuare selezioni.
Una funzione analoga hanno avuto le versioni di testi sulla guerra di Troia →
anche Alfonsi X promuoverà traduzioni in prosa di questi racconti.
Libro del Cavallero Zifar → inizio XIV, primo romanzo originale. La prima parte,
che racconta le peripezie di Zifar, segue la falsariga dei romanzi bizantini → le
avventure sono dominate dal caso. La seconda parte, invece, rientra nella
tradizione didattica, con la fusione di esempi e sentenze. La terza parte, ha uno
spiccato carattere cavalleresco. È significativo che nell’opera si attui una sintesi
di materiale narrativo orientale e occidentale, aneddotico e romanzesco. Ls
procedura con cui si attua questa sintesi è tipicamente iberica → si rinuncia ad
una selezione.
JUAN MANUEL → la crisi interna iniziata con Alfonso X, diventa più grave nel
‘300. La nobiltà di sangue reale torna in primo piano. Di questa crisi si vedono
immediati riflessi nella vita di Juan Manuel, nipote di Alfonso X, nato nel 1282.
Fu co-reggente di Alfonso XI per poi entrare in lite con lui e schierarsi dalla parte
del re di Granada. Prima di morire nel 1348 torna affianco al re castigliano.
Juan Manuel trasferisce nella sua opera la crisi percepita all’epoca, soprattutto
riguardo il rapporto tra sovrani e nobiltà. La sua formazione letteraria è guidata
dall’esempio dello zio → fornisce un’edizione abbreviata della cronaca storica di
Alfonso X, la Crónica abreviada.
Tuttavia, Juan Manuel muta l’attenzione principalmente normativa di Alfonso X
in un ideale propriamente stilistico → le sue opere raggiungono una forma
definitiva e intangibile, a differenza di quelle dello zio che rimangono sempre
disponibili a revisioni.
Juan Manuel fu il primo autore castigliano a dimostrare una preoccupata
coscienza dell’inevitabile corruzione di una tradizione testuale → cerva di porvi
rimedio depositando in un monastero alcune copie-parametro delle sue opere
(oggi andate perdute).
Quasi tutta la sua opera rimane fedele al pretesto dialogico e utilizza lo schema
dell’esperto consigliere che ammaestra il giovane allievo → la sua opera è nutrita
dall’esperienza della vita, nonostante egli aveva una grande cultura.
- Libro del cavallero e del escudero → libro centrato sull’insegnamento della
prudenza e della discrezione. Assidua meditazione sui problemi della vita
cavalleresca.
- Libro de los estados → il quadro narrativo ha qui maggiore sviluppo. La storia è
ricava da un adattamento cristiano della storia di Buddha.
- Libro de los enxemplos del conde Lucanor e de Patronio → capolavoro della
prosa spagnola, raccolta di cinquanta esempi. Il pretesto dialogico e didattico fa
da cornice all’opera e racchiude cinquanta nuclei narrativi. Ogni volta, il conte
sottopone al suo consigliere un proprio concreto problema e Patronio gli
suggerisce il comportamento più adatto mediante un racconto da cui si ricava
una morale. La provenienza dei racconti è varia → alcuni provengono da
raccolte orientali, altri da fonti europee altri ancora da episodi storici o epici. Il
tipo di racconti è molto vario: ci sono apologhi, favole animali, favole
allegoriche, bravi aneddoti o trame più distese. Mancano del tutto i temi erotici.
I problemi posti dal conte sono sempre di comportamento → anche in questo
caso l’interesse di Juan Manuel è pratico e non teorico.
Con questa opera, l’esempio si avvia a diventare una novella → il racconto diventa
più autonomo.
Rispetto al discorso diretto, nei suoi racconti l’autore preferisce quello indiretto,
più riflessivo e dialettico, più sottile e sinuoso.
La novella diventa una sorta di indagine sulla natura umana → lo scopo
dell’autore non è raggiungere la vivezza drammatica nei racconti, ma spiegare u
comportamenti.

JUAN RUIZ, ARCIPRESTE DE HITA → di lui abbiamo poche informazioni


biografiche, solo ciò che lui stesso lascia trapelare nella sua unica opera. La sua
attività poetica deve essere posta nel secondo quarto del XIV secolo.
Libro de buen amor → preceduto da un prologo in prosa, è formato da una parte
narrativa in cuaderna via in cui sono inserite spesso liriche di metro vario. Dopo
aver constatato che tutti gli uomini sono trascinati dall’amore, il poeta, che si
riconosce peccatore, narra alcuni suoi insuccessi amorosi. Dopo aver fatto ricorso
al dio Amore, il quale gli suggerisce di servirsi di una mezzana per avere successo
in amore, il poeta si rivolge a Trottaconventi, che riesce a condurre a buon fine la
sua avventura amorosa con Doña Endrina. Dopo ciò, egli si ritira sulle montagne
dove ha altri quattro incontri con delle montanare, poi ha altri insuccessi finché,
con la morte della mezzana, il poeta si rivolge a don Furon. Il poema si chiude
con due liriche mariane che corrispondono ad altre due poste all’inizio, ed infine
una cantiga dei chierici di Talavera.
La narrazione delle avventure amorose è continuamente interrotta da parentesi
didattiche, apologhi, favole, divagazioni e poesia liriche.
Dell’opera ci rimangono tre manoscritti → due simili ed uno che contiene solo un
terzo dell’opera.
Il libro non è stato composto organicamente e la sua storia redazionale rimane
ancora oggi poco nota.
Le fonti sono ben individuabili → narrativa didattica di testi mediolatini e mondo
arabo, da cui provengono molti elementi.
Il fatto che sia un racconto autobiografico, tiene insieme tutta la materia
narrativa del libro → tuttavia non è chiaro fino a che punto l’io dell’opera sia
identificabile con il poeta che lo compone (lui stesso avverte i lettori che la storia
viene narrata come esempio, non che sia capitata davvero a lui). Probabilmente si
tratta di un io generico, non individualizzato. L’io protagonista impersona la
natura umana nella sua interezza.
È essenziale sottolineare il carattere didattico del libro, ampiamente sottolineato
nel prologo → il libro si concentra sull’evidenziare la negatività del ‘loco amor’, in
contrasto al ‘buen amor’, all’amore puro.
L’autore sostiene una visione polisemica del discorso umano → questa faccenda
gli particolarmente a cuore, tanto da illustrarla nel prologo. Questa polisemia del
linguaggio non da luogo a scetticismo → si rivela come una dato disponibile per
un efficace sfruttamento artistico.

LETTERATURA MINORE DEL ‘300 → a testimonianza della ridotta minoranza


islamica in Spagna c’è il Poema de Yúçuf → opera di un anonimo morisco
aragonese. L’opera è scritta in lingua romanza ma con caratteri arabi. Per quanto
la metrica dell’opera sia in cuaderna via, essa è del tutto musulmana sia per le
fonti che per lo spirito. Vi si narra la storia di Giuseppe, figlio di Giacobbe,
secondo il Corano.
Vale la pensa ricordare anche le ultime opere del mester de clerecía:
- Libro de miseria de omne → traduzione in cuaderna via di un’opera di papa
Innocenzo III.
- Proverbios de Salomón → componimento sulla vanità del mondo.
Parallelamente allo spegnersi del mester de clerecía, anche l’antica poesia epica
conosce un’ultima fioritura e viene a sua volta sostituita da componimenti che
cercano nuovi equilibri con la storia ed il romanzo.
Gli ultimi testi epici non ci sono noti direttamente, ma tramite prosificazioni (in
cronache storiche).
- Cantare degli Infantes de Salas → testo ricostruito molto rilevante, narra la
discordia tra due famiglie.
- Poema de Alfonso XI → qui si abbandona del tutto l’antica tradizione epica. Il
metro impiegato è la quartina di ottonari a rima abab. Il proposito del poeta
non è propriamente epico, bensì biografico e storico.
- Cantar de Rodrigo y el rey Fernando → opera che rielabora le imprese giovanili
del Cid. L’eroe uccide il conte Gómez de Gormaz e la figlia Ximena chiede al re
di sposare l’assassino del padre come riparazione. Qui il Cid è violento e
arrogante, privo di ideali e temuto da tutti, si avvicina alla figura di Rolando.
Ciò va giudicato come un tentativo, da parte dell’autore, di adeguare la materia
epica ad un nuovo gusto narrativo determinato sia dal successo dei primi
romanzi cavallereschi, sia dal profondo mutamento del pubblico rispetto ai tempi
della prima epica.

POESIA LIRICA DURANTE I PRIMI TRASTÁMARA → dopo la morte del re


trovatore Don Dinís, la tradizione di scrivere lirica in lingua gallego-portoghese
entra in crisi e contemporaneamente ha inizia la lirica castigliana con Juan
Manuel e Juan Ruiz.
Nella seconda metà del ‘300 c’è un gruppo di lirici che vivono in Castiglia e che
compongono le loro liriche sia in gallego-portoghese che in castigliano. La
tematica è la stessa delle cantigas de amor, non c’è nessuna ripresa invece della
cantigas de amigo.
In questa lirica, la figura della donna si caratterizza per una maggiore crudeltà,
aumenta il numero e la frequenza delle allegorie ed appare più spesso la figura di
Amore, che colpisce, giudica e punisce.
Prevale l’ottonario spesso accompagnato dal verso de ‘pié quebrado’ ed è comune
anche la forma della ballata, ‘zéjel’ (tristico con volta).
Inoltre, a poco a poco si determina la distinzione tra poesia cantata e poesia
destinata alla recitazione.
Alfonso Álvarez de Villasandino → uno dei più interessanti primi poeti di questa
lirica. La maggior parte delle sue liriche sono d’occasione, cantigas di elogio,
lamenti funebri ecc.
Nuova lirica → nata in un ambiente cortese e con un tono estremamente
letterario.

PERO LÓPEZ DE AYALA → nato nel 1332 da una famiglia nobile ma modesta,
crescendo alla corte di Perdo I di Castiglia.
STORIA → contro Perdo I insorge, assieme a delle truppe francesi, il fratello
Enrique conte di Trastámara. Il sovrano si rifugia a Sud e chiede aiuto alle truppe
inglesi → la guerra civile castigliana si mischia alle vicende della guerra dei
cent’anni, durante la quale Ayala è fatto prigioniero dalle truppe inglesi per un
breve periodo.
Quando con un inganno, Enrique riesce ad uccidere il fratello, viene incornato
come Enrique II. La Castiglia è alleata della Francia.
In questi anni, Ayala vive da protagonista un momento cruciale della storia
castigliana → il paese entra nella grande politica europea accanto alla Francia e
contro l’Inghilterra.
La crisi dei regno di Perdo I modifica profondamente la situazione interna della
Castiglia ed Ayala ha vissute queste vicende completamente schierato dalla parte
della nobiltà.
Della sua formazione giovanile non sappiamo molto, era un lettore accanito,
conosceva il latino e ha frequentato le corti avignonesi e francesi.
Quando fu prigioniero in Portogallo compose delle poesie che includerà nel
Rimado de Palacio → opera dall’aspetto composito dovuto alle diverse stesure.
Conta più di ottomila versi per lo più in cuaderna via ma con frequenti inserti
lirici. In esso si distinguono tre parti principali: una confessione, un quadro della
corruzione del mondo e un estratto versificato dei Moralia di san Gregorio Magno.
Il poema è in prima persona e vi si rinvengono tratti autobiografici → tuttavia
anche qui l’io si amplia, le colpe narrate sono quelle dell’umanità tutta, di cui il
poeta si erge esponente.
Il Rimado ci consegna una visione del mondo disincantata e più amara rispetto a
quella di Juan Manuel, perché alienata dalla tranquillizzante distanza tra
comportamento e norma etica.
La religiosità del poeta è intima e travagliata → egli informa la sua visione del
mondo ma sceglie forme più riservate suggerite dal vangelo e si risolve in colloqui
solitari don Dio e in confessioni di umiltà.

‘400 - UMANESIMO E TRADIZIONE MEDIEVALE → in questo secolo, nella


produzione letteraria acquistano peso fattori nuovi, l’influenza delle due culture
semitiche si indebolisce ma grazie all’azione di alcuni conversos la spiritualità
ebraica opera all’interno della cultura spagnola con intensità.
Un elemento nuovo è l’eco del rinnovamento umanistico italiano.
Una figura esemplare è quella di Juan Fernández de Heredia → risiede per lo più
ad Avignone, dove ha contatti con il rinnovamento culturale italiano e con la corte
di Barcellona, già aperta all’umanesimo. Viaggia spesso in Oriente e studia
manoscritti greci → tuttavia, il suo programma culturale calca le orme di Alfonso
X.
- Grant Crónica de Espanya → opera principale divisa in tre parti che narra tutto
ciò che il compilatore ha potuto trovare attinente alla Spagna nelle fonti
classiche e medievali.
- Grant Crónica de los Conquiridores → altra cronaca in due parti.
Per entrare le cronache, la traduzione viene utilizzata come mezzo e non come
fine, come di abitudine nel medioevo,
Enrico di Aragona → figura singolare che sorprese i contemporanei per il suo
disinteresse per la vita politica e militare e per la sua passione esclusiva per la
cultura. Scrisse molte opere astrologiche che furono bruciate dopo la sua morte;
la sua importanza però risiede nell’apertura alle più diverse correnti letterarie e
nel suo lavoro di mediazione culturale, decisivo per la posteriore cultura
castigliana. Enrico tradusse in castigliano molte opere importanti, come la
Commedia e l’Eneide, e ammirava la poesia dei trovatori → Arte de trovar: opera
in cui riprende il legame tra poeti di Provenza, poeti di Catalogna e lirici di
Castiglia.
Alfonso de Cartagena → svolse un ruolo di rilievo nella vita religiosa e politica
durante il regno di Juan II. Fu per un periodo in Portogallo in qualità di
ambasciatore → questo soggiorno fu molto proficuo per la sua produzione
letteraria. Alfonso tradusse molte opere dal latino, tra cui Seneca.
Primo umanesimo castigliano → timbro particolare che rende possibile la
conservazione dell’eredità del medioevo. Questo perché, al diretto influsso
dell’umanesimo italiano, si aggiunge quello delle numerose opere catalane già
nutrite degli spiriti nuovi. Inoltre un altro fattore influenzate fu quello della poesia
francese più recente.
Per queste vie, i castigliani partecipano a quel clima di ‘autunno del medioevo’,
dell’attuazione degli ideali cavallereschi in forme di vita paradossali e eccessive,
della nuova sensibilità raffinata e inquieta.
Gli elementi di provenienza straniera tendono ad innestarsi in Castiglia su una
base robusta di tradizioni locali e la loro sintesi fu fortemente condizionata da
circostanze politico-sociali particolari. La situazione castigliana non era favorevole
ad un umanesimo esclusivamente di tipo italiano → l’influente nobiltà non recepì
facilmente l’ideale del nobile colto, avendo origini militari.
L’estraneità dei nobili castigliani al culto delle lettere, non esclude però l’adesione
a ideali cavallereschi (di origine francese) ed ammette l’interesse per la storia.
L’interesse per la nuova cultura rimane circoscritto ad un limitato numero di
individui che tendevano a risolvere la profonda crisi storica della loro classe
dandole una nuova funzione di rinnovamento spirituale.
Questi nobili colti si servono di alcuni letterati di professione conversos, i quali
cercavano di reinserirsi nella società mediante la cultura.
Nuova cultura → nasce dalla necessità di autoqualificazione e dal tentativo di
stabilire una più vasta comunità di intellettuali; si limita ad ampliare ed
approfondire un classicismo di tipo medievale e non rinuncia a integrare la nuova
considerazione degli scrittori antichi nel patrimonio della cultura cristiana, né
dimentica il fine didattico della letteratura. Da ciò è evidente una preferenza per i
trecentisti italiani rispetto ai classici antichi ed il mantenimento di legami con la
cultura francese.
Nel ‘400 in Castiglia si continuano dunque ancora tradizioni culturali du
ascendenza medievale.
Clemente Sánchez de Vercial → autore del Sacramental (manuale sui sacramenti)
e di Libros de los exemplos por A.B.C. (550 brevi racconti di provenienza varia
sistemati in ordine alfabetico).
Alfonso Martínez de Toledo → scrisse alcune opere agiografiche e una cronaca
storica. Tuttavia, la sua fama è legata a un’opera in quattro libri, Arcipreste de
Talavera, denominata dai posteri Corbacho → qui scrive contro la lussuria, sui
difetti delle donne e contro l’astrologia. Quest’opera è un esempio
dell’adeguamento della tradizione moralistica alla nuova coscienza della realtà →
è una sintesi fra antico e nuovo, tipicamente castigliana.

POESIA AGLI INIZI DEL REGNO DI JUAN II → periodo cruciale per la storia
politica e culturale. Alla morte del padre, Enrique III, Juan aveva due anni e
dunque ci fu un periodo di reggenza fino alla sua maggiore età → periodo di
relativa stabilità e ricco dal punto di vista culturale. I poeti di inizio ‘400 sono i
migliori esempi di questa nuova situazione culturale → il loro numero cresce e la
loro provenienza è molto eterogenea (cortigiani, nobili, uomini di fede, giullari).
Anche il pubblico cambia → i poeti non si rivolgono più ai nuclei di corte, ma ad
un pubblico che proviene da ambienti più compositi, spesso dotato di una cultura
di origine scolastica (approssimativa).
Di conseguenza i temi trattati sono nuovi → diventano frequenti poesie
d’occasione, una specie di cronaca poetica circa i momenti cruciali della storia
castigliana. Diventano di moda i ‘decires’, componimenti che trattano della
trinità, dell’immacolata concezione, della morte, del libero arbitrio.
Gli autori si sforzano di creare un nuovo ideale di poesia sostituendo all’evasione
e al gioco erotico un impegno culturale. In realtà questo ideale non è nuovo →
raccoglie quello del medioevo che voleva il poeta teologo ed esperto di tutte le
scienze.
Punto di vista formale → parecchie novità. La forma più impiegata è quella
dell’arte mayor. Il verso è carico di allusioni erudite, con un lessico aulico o
tecnico fortemente metaforizzato, il timbro è più difficile e contorto.
Rilevante è l’influsso dantesco, di cui si fa tramite Francisco Imperial → genovese
trasferitosi a Siviglia. Attraverso di lui, la poesia dantesca diventa un modello di
poesia dottrinale → Dante viene assunto come esempio di costruzioni allegoriche
complesse. Il suo influsso è al tempio stesso contenutistico e stilistico.
Dantismo → soltanto uno degli elementi che conferiscono in questa nuova lirica,
assieme a diverse nuove forme di religiosità provenienti dall’esterno.
Gonzalo Martínez de Medina → sivigliano di famiglia nobile, raccoglie spunti della
‘devotio moderna’ fiorita nei Paesi Bassi ed elabora una religiosità più intima e
ombrosa.
Un altro stimolo invece proveniente dall’interno era la polemica con gli ebrei e
l’apporto dei conversos → da qui nasce una gamma di composizioni dal
moralismo severo e corrosivo.
Nel ‘400, inoltre, si sviluppa verso il tema della morte una sensibilità nuova →
importante è l’opera anonima Danza de la muerte → il componimento consiste in
un dialogo tra la morte ed alcuni uomini (generici) che la morte invita alla sua
danza, nonostante essi tentino di fuggire. Alle classiche figure esemplari che già
comparivano nella letteratura, si aggiungono quella del religioso ebreo e quello
mussulmano.

MARCHESE DI SANTILLANA → la seconda parte del regno di Juan II, dal punto
di vista letterario è il momento della maturazione e della pienezza.
Iñigo López de Mendoza → figura predominante, nipote di Ayala. Crebbe nella
corte dello zio di Juan II e vi conobbe i maggiori scrittori catalani del tempo.
Grazie ai suoi meriti militari, ricevette il titolo di marchese di Santillana.
La sua casa fu uno dei poli della cultura castigliana di quel tempo.
Nella sua opera Proverbios l’autore sottolinea la possibilità di conciliare armi e
lettere, della quale lui si pone come esempio. L’opera conta 100 detti ricavati da
fonti varie, rielaborati e preceduti da un prologo.
Nonostante conoscesse poco il latino e il greco, la sua curiosità culturale permise
la diffusione dei classici in Castiglia → non minore fu il suo interesse per i testi
cristiani e per gli autori italiani.
Prohemio e Carta → opera nella quale definisce la poesia come fusione di bellezza
e utilità intellettuale o morale, come nobilissima scienza. Inoltre, disegna un
panorama della storia della poesia che abbraccia tutta l’area romanza,
distinguendo generi (anche quella popolare) e ponendo in risalto diverse figure.
OPERE → produzione vasta e multiforme, in essa confluiscono tutte le tradizioni
culturali del tempo. Il poeta ammira Imperial da cui riprende il gusto per
l’allegoria.
Caratteristiche → interesse per il destino terreno dell’uomo, stile scuro, retorica
complessa e rigore concettuale controllato.
Le sue liriche sono per lo più legate alla razione cortese → il poeta scrisse molti
sonetti sull’esempio petrarchesco. Tuttavia, egli non disprezzò una forma di
poesia più leggera e musicale. Notevole è una lirica dedicata alle figlie, nella quale
inserisce quattro villancicos popolari.
- Bías contra Fortuna → dialogo in strofe di arte menor. Bias è uno dei sette saggi
di Grecia, figura semi-leggendaria di uomo politico, capo militare e filosofo. Lui
è una figura esemplare in cui armi e lettere raggiungono una sintesi felice,
incarna la superiorità dell’uomo saggio di fronte alle severe prove della fortuna.
La fortuna è concepita come nemico, in grado di piegare gli uomini. Opera più
matura di Santillana.
La sua poesia trova il proprio punto d’arrivo in una concezione che reintegra in
un orizzonte cristiano il moralismo dei classici antichi.

JUAN DE MENA → cordovese, proveniente da una famiglia di ebrei conversi,


studiò a Salamanca e viaggiò in Italia. Fu alla corte di Juan II come cronista e
segretario di lettere latine.
LIRICA → in gioventù compose delle liriche d’amore come esercizio → nei suoi
versi il livello stilistico è per lo più piano ed è frequente il ricorso a motivi religiosi
con valore profano (il trasferimento in sede erotica di riferimenti sacri). Ciò si lega
anche all’emergere di un pessimismo che esclude l’ipotesi del commento
dell’amore e vede la morte come unica alternativa.
Juan de Mena ebbe una formazione classica, aveva una perfetta padronanza del
latino ma non si interessò alla diffusione dei classici → le poche traduzioni che
fece erano mosse da una volontà di esercitarsi, non di rendere i testi accessibili ai
contemporanei.
PROSA → testimonia la sua grande capacità di modellare lo stile secondo
esigenze diverse e di costruire una discorso personale basandosi su spunti
antichi. Il testo più giovanile è un trattato sull’amore.
- Coronación → poemetto composto per celebrare la vittoria di Iñigo López de
Mendoza sui mori. Lo scopo dell’opera era celebrare l’amico non tanto come
poeta, quanto come cavaliere vittorioso. Il poemetto sintetizza la tradizione
medievale e quella antica.
Un’altra opera molto importante è Leberinto de Fortuna → poema in ottave di arte
mayor. Il poeta viene rapito dalla Provvidenza, una fanciulla, che lo conduce
all’interno del palazzo della Fortuna. Lì, il poeta osserva la terra e la descrive → si
accorge dell’esistenza di tre ruote: passato e futuro immobili e presente in
movimento. Ogni ruota ha 7 cerchi che corrispondi a vizi e virtù degli uomini. Il
poeta descrive tutti i cerchi facendo riferimento anche ad alcuni figure esemplari.
Quando giunge l’alba, il poeta chiede a Provvidenza il futuro di Juan II →
felicissimo e glorioso. Il poema si conclude con l’esortazione del poeta nei
confronti del re affinché realizzi la profezia.
I valori celebrati nell'opera sono la castità, l'amore virtuoso, l'equilibrio, la
prudenza, la giustizia → si tratta di un'etica civile messa in rilievo dall'esortazione
che alla fine di ogni cerchio il poeta rivolge al re affinché castighi il vizio e
promuova la virtù narrat.
Il tema principale è quello della fortuna, che però non appare mai nel poema,
sostituita da Provvidenza, accompagnatrice del poeta nel suo viaggio.
Lo stile dell'opera è sublime, pieno di latinismi sintattici e lessicali. Il Laberinto,
tuttavia, pur avendo una fortuna durevole, non ottenne molto consenso → ciò
probabilmente fu dovuto al profondo mutamento della situazione storico-politica
che si verificò con i Re cattolici e del panorama letterario della penisola con il
diverso equilibrio fra Rinascimento e tradizione nazionale che si stabilirono nel
‘500.

PÉREZ DE GUZMÁN E LA NUOVA STORIOGRAFIA → figura di rilievo per


quanto riguarda la storiografia Castigliana del secolo XV. Egli fu poeta e prosatore
→ tuttavia, la prosa verrà coltivata solamente nella sua fase più matura.
Guzmán è più incline alla poesia didattica e morale, questa poesia parte dal tema
moroso e si evolve in temi vari, da quelli mondani a quelli spirituali. Tuttavia, il
suo tono rimane discorsivo e povero, non riesce a maturare una poesia di origine
letteraria e riflessa di alto livello.
Per quanto riguarda la produzione in prosa, Guzmán tradusse in sette libri le
vicende della guerra di Troia. Scrisse, inoltre, il primo libro di profili biografici dei
nobili castigliani. Guzmán richiede allo storico, per non falsare la verità, l’altezza
e la bellezza dello stile, la sicura informazione e la piena libertà → deve scrivere
solo dei morti.
La prosa è secca, scarna di sintassi e lessico (a differenza del preziosismo dei suoi
contemporanei). I ritratto fisici e morali risultano invece molto vividi e le figura
narrate si impongono come modelli esmplari.

RELAZIONI DI VIAGGI → la narrazione dei viaggi fu un genere molto richiesto


dal pubblico, iniziato con il Libro de Alexandre. Le numerose relazioni di viaggi
fantastici o reali preparano il pubblico alle lettura dei racconti degli scopritori
d’America.

POESIA MINORE → dopo la conquista di Napoli, la città divenne uno dei centri
più vivi della cultura umanistica. In questo periodo si designarono due gruppi
differenti di poeti, quello che rimasero esclusivamente in Castiglia, e quelli che
invece operarono anche a Napoli. Nel secondo gruppo rientrano Lope d’Estúñiga e
Carvajal.
Lope → la sua fama è dovuta all’ispirazione cavalleresca delle sue opere. Nelle
liriche d’amore, il poeta si designa come servo della sua donna e destinato ad un
perenne dolore che si risolve con la morte. Dal punto di vista tematico non c’è
nessun novità.
Carvajal → sue caratteristiche sono la varietà tematica e l’unità stilistica che
rispondono ai gusti della corte. Presto egli abbandona del tutto la poesia politica
ed anche quella d’occasione. Carvajal si dedica per lo più alla poesia amorosa
tenendo di modificale lo stile cortese avvicinandolo a quello popolare.
In Castiglia, parallelamente, è molto apprezzata al poesia satirica → nata dagli
sconvolgimenti politici del tempo.
- Coplas de Ay, panadera! → scritte dal padre di Lope dopo la perdita di una
battaglia.
- Coplas del provincial → anonime. Vengono presi in giro cavalieri e dame di corte
travestiti da frati e monache di un convento corrotto.
- Coplas de Mingo Revulgo → opera in cui popolo e aristocrazia dialogano.
Accanto alla satira impegnata, ce n’è anche un’altra più disinteressata e si
continua ovviamente la composizione di poesie di tematica amorosa, di poesie
d’occasione e di poesie comiche, burlesche.
Gómez Manrique → importante percha a lui si deve a prima composizione di testi
drammatici dopo un lungo periodo di silenzio del teatro spagnolo.
Verso gli ultimi decenni del ‘400 la tendenza a scrivere testi di tipo drammatico si
diffonde ampiamente.
- Diálogo entre el Amor y un viejo → l’azione drammatica ruota attorno al dialogo
tra un vecchio e Amore, antagonisti. Amore prima convince il vecchio a cedere
al suo abbraccio, e quando ci riesce rivela le sue illusioni. Qui, anche se
vengono ripresi i temi della tradizione cortese, c’è una prospettiva disincantata:
l’amore rivela i suoi inganni. Inoltre, l’aspetto moralistico escluso dalla poesia
cortese è qui reintegrato: l’amore è passione che uccide, è peccato.

JORGE MANRIQUE → l’esercizio lirico del ‘400 si riscatta nelle sue Coplas por la
muerte de su padre, sua opera maggiore. Sono 40 coplas costruite
armoniosamente → in esse, il poeta medita sulla caducità e sulla vanità della
vita, evoca personaggi di un passato immediato ma già svanito, descrive la morte
del padre, serena ed esemplare. Questi temi non sono nuovi, derivano dalla
poesia morale, e il tema dell’ubi sunt deriva da una tradizione antichissima.
Tuttavia, queste coplas hanno un forte taglio personale → rimane estraneo al
sensualismo macabro per la morte, l’ubi sunt non è un’occasione per mettere in
mostra la conoscenza di storia e personaggi antichi, il motivo della fortuna è
subordinato a quello della morte, il pessimismo si spoglia di ragioni filosofiche,
l’immagine della morte è cristiana e dunque serena e consolante.
Stile → molto composto, il verso è povero di aggettivi ma ugualmente evocante.
Manrique conclude la tradizione lirica del medioevo e la riscatta in questo
capolavoro eternamente personale.
LA CULTURA ALL’AVVENTO DEI RE CATTOLICI → il regno dei re cattolici
segna una svolta decisiva in Spagna, sia per la politica interna che esterna → la
Spagna acquista una posizione di primo piano che determina un contrasto con la
Francia. Vengono unite le corone di Castiglia e Aragona, termina la guerra di
Riconquista e viene scoperta l’America.
Nell’ambito della lirica cortese appaiono due novità principali → l’affermazione di
un gusto per toni e temi popolari e il fiorire di una poesia religiosa.
Il teatro quasi inesistente nel medioevo, inizia ora la sua tradizione iberica
assimilando l’insegnamento dell’umanesimo.
Nella narrativa, si impongono due generi → il romanzo cavalleresco e quello
sentimentale. In questo generi, i temi della civiltà cortese sono proiettati in un
gusto per il meraviglioso e il fantastico che corrisponde alle nuove esigenze del
pubblico.
Un esempio di romanzo cavalleresco è l’Amadís de Gaula → nel 1508 si stampa a
Saragozza un’opera intitolata Los cuatro libros del virtuoso caballero Amadís de
Gaula, redatta fra 1492 e inizio ‘500 da Garci Rodríguez de Montalvo.
L’autore ammette di aver semplicemente modernizzato e corretto tre libri antichi,
gli originali, aggiungendone un quarto sulle avventure del figlio di Amadís.
L’opera originale risaliva sicuramente al Medioevo, il protagonista viene già
menzionato in un’opera di metà ‘300. L’Amadís medievale è andato perduto →
l’unica cosa certa che si sa sull’originale versione dell’opera, è che essa doveva
chiudersi con un duello tra Amadís e suo figlio, ignari delle loro identità, e con la
morte del padre.
Quando l’opera originale fu redatta, probabilmente non godette di tanto successo
→ tra ‘300 e ‘400 gli intellettuali spagnoli avevano una concezione di cavalleria
estranea a quella dei valori cortesi dell’Amdaís.
Solo durante il regno dei re cattolici, quando i valori cavalleresco tornano a
coincidere con quelli dell’Amadís, tutto il genere cavalleresco può rifiorire, a prova
del distacco ormai consumato tra situazione culturale contemporanea e
situazione culturale del medioevo.

STORIOGRAFIA → la prosa storica e didattica continua sulle orme di quelle del


secolo precedente. Tuttavia, alcuni cambiamenti voluti dai re cattolici vengono
attuati anche in questi generi → la corte reale diventa l’unico centro della vita
culturale (prima era solo un punto di riferimento); viene meno il contributo della
nobiltà alla letteratura ma iniziano ad acquisire importanza gli ambienti
accademici.
Diego de Valera → figura di maggiore rilievo. La sua attività di scrittore inizia la
traduzione di un’opera francese e molte opere dedicate a vari signori, indice
dell’ampiezza delle sue relazioni che però non sembra coincidere con una
posizione politica netta. Uomo di corte, colto, abile cavaliere e scrittore. Dopo
l’avvento al trono dei re cattolici la situazione cambia → per Isabel Diego compone
una Crónica de España dove riassume gli avvenimenti del regno di Juan II.
Continuando il suo lavoro da storiografo scrisse anche Memorial de diversas
hazañas e una Crónica de los Reyes Católicos. Dall’avvento dei re cattolici, tutta
la sua produzione di indirizza alla coppia reale e cessano le dediche ai signori.
Suggerendo alcune strategie militari/politiche al re in alcun epistole, Valera
diventa consigliere politico non rinunciando però alla letteratura.
Fernando de Pulgar → segretario e cronista di Isabel, la sua attività fu meno
cavalleresca e già politica rispetto a quella di Valera. L’arco della sua letteratura è
limitato agli anni dei re cattolici. La sua fama è dovuta soprattutto a Claros
Varones de Castilla → raccolta di 25 profili biografici di protagonisti della vita
castigliana sotto Juan II e Enrique IV. Le vicende di questi nobili sono narrate
soprattutto per un fine didattico e morale. I sovrani affidano a Pulgar la
compilazione della loro cronaca storica.
L’unica cronaca completa dei regno dei re cattolici fu scritta però da Andrés
Bernáldez → opera sei taglio popolaresco, lontana dagli ideale stilistici
dell’umanesimo.

NUOVA FILOLOGIA UMANISTICA → una figura che riassuma bene il


rinnovamento culturale che avviene con i re cattolici è quella di Alfonso de
Palencia → nelle sue opere, la giustapposizione di tradizione medievale e interessi
umanistici non si risolve secondo il modello italiano (con l’esaltazione
dell’umanesimo): bensì attenuando l’incidenza della tradizione medievale.
- Gesta hispaniensa → opera storica che scrive sotto Enrique IV.
- Universal vocabulario en latín y romance → inventario del lessico castigliano a
fine ‘400.
Antonio de Nebrija → di formazione umanistica, godette della protezione di molti
mecenati. La sua carriera si svolse per lo più in ambito universitario (novità).
Anche in lui si trova la componente storiografica, sempre per commissione reale.
Una questione che concentrò molto l’attenzione di Nerbija riguardava il problema
linguistico → a lui si deve la riforma dell’insegnamento del latino. Egli mirava a
restaurare un latino più aderente al modello classico e ad insegnarlo secondo i
metodi rinnovati dell’umanesimo. Anche lui pubblica un vocabolario latino-
spagnolo e la prima grammatica castigliana .
Jiménez de Cisneros → confessore di Isabella, poi arcivescovo di Toledo, reggente
del regno e infine cardinale. In lui, la riforma culturale e quella religiosa vanno
alla pari. Egli fondò l’università di Alcalá de Henares → in essa, l’umanesimo
trova la sua sede: vi si addestrano teologi alla conoscenza delle lingue antiche, si
insegnano le dottrine di Aristotele e San Tommaso, retorica e grammatica hanno
molto rilievo, così come lo studio del greco e dell’ebraico.

TARDI CANZONIERI E POESIA RELIGIOSA → il regno dei re cattolici coincide


con una nuova stagione poetica che trova come caratteristiche:
- recupero di atteggiamenti di tipo popolareggiante;
- accentuazione della tematica religiosa.
Cancioniero general → raccolta importante, da rilievo a l’aspetto più frivolo e
occasionale di una produzione galante che rimane ancorata alla tematica cortese.
- tra gli autori aumenta di numero di quelli appartenenti alla nobiltà
- le poesie si caratterizzano per un accentuarsi del concettismo e per un’estrema
formalizzazione.
Juan Álvarez Gato → converso con un ruolo di rilevo nella vita sociale del tempo.
In lui è chiaro il passaggio dalle poesie d’amore della giovinezza ad una
produzione di tipo satirico che investe una problematica morale e politica del
regno di Enrique IV. Il momento terminale della sua produzione sono le liriche
religiose composte sotto i re cattolici → in esse c’è un doppio recupero: viene
recuperata la religiosità come punto d’incontro e forme e toni popolari.
La sua attività letteraria si identifica dunque come recupero, non rivoluzione.
Fray Iñigo de Mendoza → proveniente da una famiglia cristiana recente,
predicatore di Isabel. La sua opera più importante è Coplas de vita Christi →
opera in cui, sfruttando spunti francescani (elogio povertà), inserisce digressioni
moralistiche e anche di critica sociale. In questo poema, posti in bocca della
vergine e degli angeli, ci sono canciones di taglio popolaresco ed anche lo stile si
rifà a quello popolare → esemplificazioni, proverbi, espressioni colloquiali.
Quest’opera anticipa la letteratura tipicamente isabellina.
I maggiori esponenti della poesia religiosa sotto i re cattolici sono Ambrosio
Montesino e Juan de Padilla.
Montesino → francescano, in lui non c’è più l’impegno sociale e politico d
Mendoza. La sua opera poetica, raccolta in un canzoniere, nasce per lo più in
seguito a commissioni ed essa si concentra sui temi mariani, sull’infanzia e sulla
passione di cristo. Il popolarismo, evitato a livello tematico, è invece accolto dal
punto di vista stilistico.
Padilla → frate certosino, ultimo ad utilizzare il metro de arte mayor. Nelle sue
opere ricorre ad allegorie di tipo dantesco e riprende lo stile elevato e complesso
di Mena.
- Cancionero musical de Palacio → fine ‘400 inizio ‘500 conserva echi di una
produzione più antica. In esso viene mostrato come, l’antica produzione, abbia
fornito gli spunti per lo sviluppo di una nuova produzione vitalissima. In esso
vedono ripresi i consueti temi della lirica castigliana.

LIRICA TRADIZIONALE → nel ‘400 il canto lirico tradizionale torna ad attirare


l’interesse dei poeti poiché esso offre spunti e temi nuovi. Questo gusto del
popolare si afferma destramente durante il regno dei re cattolici. Dai tempi di Al-
Andalus fino agli ultimi anni del ‘400 la lirica popolare apparentemente tace del
tutto → tuttavia è un errore considerarla inesistente. Di fatto, le liriche che
vennero stampate nel ‘500 risultano molto più antiche e derivano dalla tardizione
orale.
- Lamento per la morte di Guillén Peraza, stampato nel 1632 ma l’uomo morì
due secoli prima → il testo si era mantenuto nella memoria popolare
- Tres morillas me enamoraron → continua da un antico tema lirico arabo.
Queste poesie, destinate al canto, sono per lo più Villancicos → nome del
ritornello iniziale, distico o tristico rimato o assonanzato. Il carattere popolare di
queste liriche risiede nella loro modalità di diffusione. I loro temi sono
prevalentemente amorosi.

ROMANCERO → altro tipo di poesia popolare che affiora in questo periodo. I


primi affioramenti sono dovuti a Jaume de Olesa (che scrisse una versione in
catalano del romance della Dama e del Pastore) e a Juan Rodríguez del Padrón a
cui vengono attributi 3 romances raccolti in un canzoniere.
Sotto il regno di Enrique IV inizia la moda di questo genere in Castiglia, che
durerà fino al ‘600 → dopodiché i romances spariscono per poi essere riabilitati
con il romanticismo.
ROMANCE → la parola indicava una composizione narrativa in versi, sia didattica
che epica. Nel ‘400 il termine diventa specifico per un genere in particolare. Le
prime testimonianze di romances sono in doppi ottonari con il primo emistichio
piano, il secondo tronco e assonanzato in ‘e’. Nel ‘500, gli emistichi divennero dei
versi veri e propri, con l’assonanza limitata ai versi pari.
Secondo i romantici, i romances sarebbero così antichi da precedere e ispirare
l’epica → secondo altri studiosi invece avvenne il contrario.
In realtà, tra romances epici ed epica vera e propria ci sono delle differenze → nei
romances, il tema è estratto da nucleo centrale e viene narrato in modo vago, la
struttura dei romances è contratta e implicita rispetto a quella distesa e esplicita
dell’epica.
Un fatto sicuro è che i romances siano più antichi rispetto ai primi testi di cui
abbiamo testimonianza → per comprendere il loro periodo di latenza è utile
analizzare i romances storici e quelli epici. I più antichi narrano le vicende di
Fernando IV, morto nel 1312, ma non è sicuro stabilire quando questa storia
diede luogo a un romance.
I romances storici scritti durante la minore età di Juan II sono molto numerosi →
si parla in questo caso di romances fronterizos, di origine giullaresca e di intento
sia celebrativo che informativo.
Altri romances storici verosimilmente contemporanei alle imprese che narrano,
sono quelli scritti su re Pedro il crudele → tuttavia, questo genere di opere non
chiarisce bene il problema delle origini del genere.
Il romance si diffonde nel ‘300, in genere nelle classi sociali più basse ed è
dunque in origine un genere popolare → tuttavia, i testi del ‘500 che ci sono
pervenuti, passando per le mani di persone più colte, è probabile che sia stati
inevitabilmente ritoccati, filtrati attraverso il gusto coltivato in quegli anni.
TECNICA DEL TAGLIO FINALE → molti di questi testi hanno una conclusione ‘ex
abrupto’. Attraverso alcune ricostruzioni, Menédez Pidal è riuscito a risale alle
fonti di questi romances ed ha scoperto che essi sono il risultato di una ‘taglio’
effettuato successivamente, per rendere i componimenti piò misteriosi e
affascinanti.
STILE → frequente ricorso al parallelismo, alla ripetizione, all’anafora e alla
contrapposizione. Il poeta non interviene mai in prima persona, la narrazione è
concreta, di scorcio e si subordina al discorso diretto. I romances alternano
momenti di intensità drammatica con altri di distensione e contemplazione.

NARRATIVA - STILIZZAZIONE E TRAMONTO DELLA CIVILTÀ CORTESE → la


cultura europea riceve un nuovo impulso dalla diffusione della stampa → è il
tramonto di un’epoca e l’inizio di una nuova civiltà, nasce una concezione diversa
dell’attività dell’intellettuale e cambia il rapporto autore/destinatario. La richiesta
di opere da parte del pubblico cresce e la sfera d’influenza della letteratura
aumenta.
In questi anni si scrivono i Spagna alcune opere di fantasia destinate a grande
diffusione durante il ‘500 → si tratta per lo più di romanzi. Due generi si
impongono sul panorama letterario → il romanzo sentimentale (Cárcel de Amor) e
quello di cavalleria (Amadís de Gaula). Questi sono i primi prodotti che la
letteratura castigliana riesce ad esportare → entrambi appartengono ad una
letteratura di evasione e riutilizzano, rielaborandoli, alcuni miti del passato.
Questi generi hanno in comune una certa patina di arcaismo e convenzioni etiche
e linguistiche medievali. La loro fortuna fu probabilmente dovuta ad un nuovo
gusto per l’antico.
La creazione di personaggi fantastici e dei loro antagonisti è uno dei grandi temi
della cultura dei re cattolici.
Anche un altro genere fu particolarmente apprezzato → quello realista, che tratta
il mondo ruffianesco e crudele della Celestina.
Queste preferenze quasi contraddittorie, gettano il seme di un dualismo che
durerà a lungo nella letteratura spagnola.

ROMANZO SENTIMENTALE → il momento cruciale delle fioritura di questo


genere in Spagna è racchiuso in pochi decenni. Gli esemplari più tipici del genere
sono compresi in un arco di tempo che va dal regno dei re cattolici fino a inizio
‘500. Questi romanzi, anche se stretti nell’arco di pochi anni, raggiungono unità a
compattezza di genere letterario.
La traduzione in cui si iscrivono è varia e polimorfa → mondo della cortesia,
sfondo magico-cavalleresco della letteratura arturiana, allegorismo francese
tardo-medievale ecc.
I romanzi sentimentali tendono ad avere una struttura composita e diseguale,
definita come ‘a spiedo’ → c’è un filo conduttore narrativo che salda insieme più
nuclei retorici. L’argomento riguarda una vicenda sentimentale (dall’esito quasi
sempre funesto) a cui si lega una morale, dell’autore o di un personaggio che si
finge spettatore dei fatti.
Tipico schema d’intreccio → un cavaliere ama una dama che però, dopo aver
accettato di avere con lui una corrispondenza epistolare, non vuole o non può
ricambiarlo per ragioni d’onore. Il cavaliere, dopo aver lottato contro alcuni rivali
amorosi, si isola e si uccide. A volte, la dama sposa un rivale del cavaliere, che poi
viene ucciso in un duello, inutilmente. Ci sono anche varanti in cui l’amore del
cavaliere è ricambiato → in questi caso l’ostacolo è un re-padre che punisce gli
innamorati con la morte.
Il codice di massima è piuttosto rigido però allo stesso tempo flessibile, poiché
permette molti sbocchi ed invenzioni secondarie degli autori.
Lo scenario è simile a quello dei libri di cavalleria, però possiede un tempo e uno
spazio reali. Le numerose allegorie presenti nei testi provengono da modelli
francesi
Il centro di questi romanzi sono le epistole amorose → gli eroi, invece di palare o
agire, scrivono messaggi. Le lettere forniscono la prova della lontananza
dell’amata. Le loro lettere, enfatiche e prolisse, dove abbondano l’antitesi, i
parallelismi e i vezzi concettuali, hanno un effetto di compromissione e di
rivelazione dell’intimità. Nasce con queste lettere, una nuova retorica epistolare.
Le lettere sono gli esercizi di attesa che coprono il lungo tempo narrativo, creato
dalla forza del codice d’onore che obbliga la dama a rifiutare o resistere all’amore
→ più la dama resiste al cavaliere, più le lettere si fanno lente e lunghe.
L’impedimento all’amore è dunque spesso generato dal codice d’onore → luogo
comune della letteratura cortese. Nella letteratura spagnola se ne esalta il potere
istituzionale e repressivo. Basta l’amore a creare scandalo.
Questi romanzi, della cortesia, hanno solo dei residui etici → le torture d’amore
sono ormai solo immagini decorative, il linguaggio dei sentimenti ambisce alla
perfezione, l’inaccessibilità dell’amata non è un ideale, ma un’istituzione, che la
società fa rispettare rigorosamente. La forza dei cavalieri non consiste nel
conquistare la dama amata, ma nell’escogitare la propria morte in modo tragico.
Dietro ciò si nasconde una volontà di conservazione di una società cavalleresca
che sente compromessi i propri antichi valori.
Queste opere invitano il pubblico a ritualizzare e rinnovare la sacralità della vita
sentimentale.
Gli scrittori dei romanzi sentimentali scrivono avendo ben presente il loro tipo di
pubblico → il genere di romanzi che inventano conquista la popolarità perché,
con le sue figure, le sue passioni e le sue morti, simboleggia perfettamente
contenuti sociali tangibili e modelli di comportamento attuali (in particolare per la
nuova nobiltà che ama vestirsi ancora di panni cortesi, e per la borghesia).
Diego de San Pedro e Juan de Flore→ esempio di scrittori professionisti di questo
genere.
- Cárcel de amor → San Pedro, 1492.
- Grisel y Mirabella → de Flore.
- Questión de amor de dos enamorados → anonima, 1513.
AMADÍS DE GAULA E IL ROMANZO CAVALLERESCO → il cavaliere invincibile
che depone le armi e si concentra sull’amore, è l’eroe del romanzo sentimentale.
Quando questo cavaliere riprende le armi e parte all’avventura, torna ad essere il
protagonista dei romanzi cavallereschi. In realtà, nei anche nei libri di cavalleria
la materia amorosa è presente, anzi dominante → è il motore e il perno della vita
del cavaliere. Tutti i suoi nemici (draghi, giganti, altri cavalieri) sono solo ostacoli
sul cammino che porta alla dama. Anche qui l’amore del cavaliere è inteso come
un amore-servizio.
Questo genere inizia con una sola opera ed un solo eroe → i Cuatrso libros del
mum esforçado e virtuoso caballiero Amadís de Gaula, rielaborato e composto da
Montalvo dopo il 1492. Questo romanzo presenta sicuri legami con antichi
modelli castigliani e forse anche portoghesi e francesi → i primi tre libri sono un
rimaneggiamento di un testo antico. D’altra parte è molto evidente la volontà
dell’autore di un ammodernamento → prova ne sono la lingua impiegata e il
quarto libro libro.
La grande mole (quattro libri con un prologo ciascuno) è in funzione di un disegno
ben preciso → la lunghezza è regolata, persino la logorrea dei sentimenti e delle
virtù è chiusa in recinti di eloquenza e sono disposti lungo tutto l’arco del
racconto. La rotorica interna è connessa con l’ideologia cavalleresca → l’azione,
che procede in terza persona in un passato remoto e fiabesco, è qualcosa di più di
un filo conduttore, è il volto e il rumore del romanzo.
Sequenza interrotta di imprese cavalleresche, itinerari percorsi sulla mappa di
un’Europa indefinita → formano la struttura dell’Amdaís, che non pone limiti allo
spazio e al tempo.
L’Amadís oscilla tra due poli d’attrazione → la cavalleria come viaggio nella
fantasia, come peripezia illimitata, e l’etica del cavaliere, che tende a dare alle
azioni un ordinamento rigido e solenne. Romanzo → abbandono all’incanto del
mito e compendio di virtù cavalleresche.
TRAMA → fin dalla nascita, Amadís si presenta come l’eletto. Nasce da un amore
segreto tra il re Perión di Gaula e Elisena d’Inghilterra → è nascosto in una cesta
e abbandonato in un fiume. Viene raccolto da Gandales di Scozia e viene allevato
da lui in un cavaliere perfetto → il suo servizio è suggellato dalla promessa di
amore eterno con la figlia di Lisuarte re di Gran Bretagna, Oriana. Nel nome della
dama Amadís compie le sue prime avventure vittoriose. Viene riconosciuto dai
genitori e reintegrato al trono di Gaula. Tutto ciò avviene entro la metà del primo
libro → l’autore ha già rimosso dalla trama gli elementi fiabeschi d’effetto: origine
segreta, reintegrazione nel nucleo familiare ecc. Da qui in poi il racconto prosegue
moltiplicandone gli spunti iniziali.
Montalvo, muovendosi su materiali collaudati, leviga lo stile e introduce modifiche
marginali con alcuni meccanismi → uno di questi è l’impedimento.
Quasi tutte le azioni di Amadís sono legate a una condizione di divieto o di
ostacolo, nel cui superamento si celebra la virtù dell’eroe.
Nel romanzo, oltre agli impedimenti rappresentati dai nemici dell’eroe, c’è anche
un impedimento implicito → il caso, la sua incidenza sul racconto è grande.
Il primo tipo di impedimento si risolve nel momento stesso del suo superamento
→ mentre l’eroe percorre i suoi itinerari, si levano contro di lui degli antagonisti
che egli sconfigge. In base a ciò, la struttura del romanzo potrebbe essere definita
come un viaggio ininterrotto → interrotto infinite volte e ripreso infinite volte.
In questo tipo di ostacoli, l’autore rende a stento credibile che ci sia una
possibilità di disfatta poiché il meccanismo della rivalsa e l’immediatezza del
recupero, risultano tali da determinare una vera e propria coazione a ripetere da
parte dell’eroe.
L’altro tipo di impedimento, invece agisce a lungo sul destino del cavaliere → qui,
l’ostacolo è una forza deviante, nascosta e indipendente dalla volontà dell’eroe.
Questa forza deviante modifica e sconvolge il cammino dell’eroe → un esempio di
questo tipo di impedimento si trova nelle circostanze della nascita di Amadís.
La clandestinità della sua nascita opera un primo spostamento nel su destino →
l’eroe, figlio di re, viene abbandonato in una cesta che, portata via dal fiume,
simboleggia la devozione. Dal suo salvataggio, inizia poi una lunga fase di
recupero e rivalsa sull’impedimento, che culmina con il riconoscimento dei
genitori.
In questo tipo di ostacoli, i conflitti che si creano si incrociano e si susseguono
per interi libri, creando nel lettore meccanismi di identificazione e di attesa.
Al meccanismo dell’impedimento si affianca quello della verità apparente → il
mondo di Amadís è popolato da fantasmi o da immagini che, anche se reali, si
pongono sul piano di un’esistenza illusoria. L’eroe stesso si presenta
ambiguamente → il suo cammino è seminato da false parvenze, di segni impropri
e fallaci, di notizie sbagliate che provocano equivoci.
La polisemia che poi Cervantes farà propria nel Quijote, si presenta qui con la
forza di un codice favolistico di grande effetto.
L’autore dissemina di aspettative e di incertezza la mitologie cortese. Nell’opera
appare già la figura del narratore onnisciente, che ha nel pubblico il suo diretto
interlocutore. L’autore interviene ad arbitrare scontri incerti, riassume e crea
l’espediente del ‘passato indiretto’. Non è dentro al racconto in qualità di finto
personaggio, come nel romanzo sentimentale.
Da qui si gettano le premesse per quella che sarà la ‘commedia degli inganni’ del
barocco. La tecnica consiste nel disegnare un evento in ogni suo tratto particolare
senza svelarne subito il senso, nel mettere in scena personaggi dalla falsa identità
che campiono gesta misteriose → tuttavia, ogni mistero o inganno elaborato, sono
alla fine sempre rimossi.
In tutto questo disordine frenato e ricomposto trovano spazio anche le emozioni
→ nasce così il lirismo narrativo dell’Amadís.
Sul filo di una cronaca di eventi, si aprono intervalli di contemplazione attonita.
Ciò avviene con pochi tratti ed un ritmo temporale conciso oppure può annidarsi
nel simbolismo di alcune descrizioni di incantesimi o sogni. Il lirismo può anche
esplodere trasformandosi in realismo.
Esempi opposti → descrizione della torre e del giardino di Apolidon e descrizione
del drago. Sono i due poli ideali del romanzo secondo il classico antagonismo
fiabesco: il bene supremo in ogni sua parte e il male, il più tenebroso dei mali. La
descrizione del giardino è stata fatta dall’autore avendo a mente le allegorie
bibliche e cortesi, un cromatismo derivante dall’architettura araba e cristiana.
Quella del drago, invece, è stata fatta avendo a mente il demonismo figurativo del
tardo medioevo.
Da un lato l’Amadís ha il valore di un ritorno all’irrazionale della favola, dall’altro
mette anche in evidenza i limiti di questo irrazionale → si parte dalla favola e si
arriva a codici di comportamento reali.
L’Amadís è anche il romanzo delle tentazioni proibite → per esempio, la
componente dell’erotismo è lasciata allo stato latente, nascosta dietro la morale. Il
risultato è di un’ambiguità sconcertante. Il romanzo è tutto percorso da una
sensualità trattenuta che però appare, per questo, più provocante.
Spesso, un preannuncio discreto insinua più di quello che una scena dettagliata
direbbe → e poi la scena lungamente annunciata è raccontata vagamente con
poche parole.
Tutta la storia di Amadís è una storia di una perfezione morale continuamente
minacciata e ristabilita.
Con l’Amadís la cavalleria codifica i suoi simboli, esplicita la sua morale ‘per
pochi’ in un racconto ‘per molti’. Nella forma di questo romanzo fantastico, nasce
il primo manuale moderno del cavaliere perfetto.

CONTINUAZIONI E IMITAZIONI → il genere cavalleresco si afferma nel nuovo


secolo. Per molto tempo l’Amadís rimane un modello unico che da luogo a
numerose continuazioni e storie parallele.
Ha inizio il primo e più vistoso fenomeno di moda letteraria della cultura
moderna.
MOTIVI → uno dei motivi per il grande successo è sicuramente la formula del
romanzo: una racconto senza fine che permette la continuazione delle avventure
attraverso i discendenti di Amadís.
Amadís si sposa con Oriana ed ha un figlio, Esplandián che si dice destinato ad
imprese maggiori di quelle del padre.
Montalvo, nel 1510 da alle stampe un V libro, Las sergas de Esplandián. Nello
stesso anno appare anche un altro libro dedicato a Florisando, nipote di Amadís e
pochi anni dopo, una continuazione che ha come protagonista Lisuarte, il figlio di
Esplandián. Le continuazioni dell’Amadís giungono fino ad un dodicesimo libro.
Accanto a questa saga, ne fioriscono altre simili, come quella inaugurata nel 1511
con Palmerín de Oliva → in essa si ritrovano il tema dell’origine precaria e
clandestina, la rivalsa sull’impedimento con una serie di vittorie, il lieto fine.
Anche per quest’opera vi furono continuazioni → Primaleón, un anno dopo, che
racconta le avventure dei figli di Palmerín. Questa volta, viene dedicato ampio
spazio all’intreccio sentimentale, viene utilizzato un realismo più familiare e
vengono menzionati personaggi viventi. Ciò gli assicura grande popolarità.
I discendenti degli eroi introducono elementi nuovi che finiscono per dar vita ad
un genere diverso, modulato sulle nuove esigenze della società.
I romanzi di cavalleria, nati in pieno autunno del Medioevo, mettono radici sotto il
regno di Carlo V ed arrivano fino all’epoca di Cervantes. Sono gli anni del primato
spagnolo in Europa, della grande crisi religiosa e dei rapidi cambiamenti di gusto
nelle arti → l’Amadís e il Palmerín resistono a queste ondate innovatrici perché i
loro messaggi soddisfano delle esigenze profonde, non solo il bisogno di
intrattenere.
CRITICHE → su questi romanzi pesa una riserva di natura morale di impronta
erasmiana → quella dell’offesa della verità. Le opere sono giudicate come veicoli di
corruzione perché si fondano sulla menzogna → il loro rifiuto da parte di teologi e
umanisti è unanime.
Tuttavia, teologi e mistici si confessano lettori di questi romanzi come ad
evidenziare che, per i loro tempi, fosse un passaggio obbligatorio del loro percorso
intellettuale. Successivamente, con il tramonto del regno di Carlo V, il genere
subisce una sorta di ‘divinizzazione’ che segna il tramonto del romanzo
cavalleresco primitivo.
Altri motivi del successo del genere sono da trovarsi nell’affascinante occasione di
rischio che i romanzi propongono → una vendetta dell’irrazionale sulla
verosimiglianza. Amadís e Palmerín si affermano perché contravvengono al
monito degli umanisti, perché con le loro menzogne suggeriscono un
ampliamento della sfera del possibile. I valori che suggeriscono (il meraviglioso, la
violazione dei limiti spazio-temporali) assumono un particolare significato in
relazione al periodo storico che la Spagna sta vivendo. Il romanzo cavalleresco
riaccende la speranza nella possibilità dell’impresa perfetta ogni volta che avviene
una delusione in campo politico-militare.
Inoltre, i romanzi di cavalleria esercitano una profonda influenza incoraggiando
gli aspetti astratti dell’hidalguía → nell’Amadís, le difficolta che nascono,
contengono una morale e generano un codice di comportamento. L’eroe sa che è il
superamento dell’ostacolo a consacrarlo come eroe → si fa strada l’idea che la
dimostrazione di coraggio dia fama.
Ci sono almeno due sviluppi nei romanzi di cavalleria:
- Si determina una spirale della perfezione e dell’invincibilità del cavaliere (ogni
cavaliere è più coraggioso di quello precedente).
- Si accentua l’elemento prosaico delle avventure e degli amori.

LA CELESTINA → emerge un altro cavaliere aristocratico e ardente di passione,


che paga una mezzana per convincere la dama ad amarlo. Questo cavaliere è il
protagonista della Celestina → tragicommedia stampata per la prima volta a
Burgos nel 1499. Il suo avvento apre una prospettiva nuova nel rapporto tra
società cortigiana contemporanea e ideali della cortesia → è un improvviso
cambiamento di rotta che rifiuta ogni mediazione favolistica e si cimenta in
scenari di vita quotidiana.
Gli spazi sono quelli di una città, i personaggi sono concreti, parlano una lingua
familiare. Siamo all’opposto dei libri di cavalleria dove veniva narrata la cortesia
come ideale virtù ed eroismo. Si abbandonano gli stereotipi degli ambienti di corte
e ci si concentra sulla scoperta di nuclei sociali e modi di vita nascosti. Alla figura
del valoroso cavaliere si affianca quella di un amante degradato.
MODELLI → i suoi personaggi provengono da un’ampia tradizione di realismo
medievale. I modelli sono per lo più opere antiche → commedie di Plauto e
Terenzio, Libro de buen amor, la Bibbia, Petrarca ecc.
AUTORE → l’autore dell’opera si nasconde dietro un anonimato prudente → il
suo nome e qualche notizia su di lui si leggono dentro un acrostico. È l’opera
stessa a far luce sul suo autore. Questo anonimato potrebbe essere dovuto alla
situazione dell’autore → era un giovane converso, umanista che esercitava come
avvocato. A partire dall’edizione di Siviglia si affiancò un ‘correttore’.
Probabilmente l’opera fu composta a Salamanca, in pieno ambiente universitario
→ la città fu la prima ad accogliere le istanze dell’umanesimo.
L’opera è il frutto della stratificazione delle modifiche a cui essa andò in centro
durante la sua lunga e complessa storia editoriale.
RITROVAMENTO → FDR dice di aver trovato un’opera antica e che decide di
continuarla durante una vacanza.
ARGOMENTO → Calisto si innamora di Melibea che lo rifiuta. Sconsolato, sotto
consiglio dei suoi servi, chiede aiuto a Celestina che riesce a convincere la dama a
ricambiare Calisto. Celestina e i servi di Calisto si erano accordati per dividere la
ricompensa, ma quando la mezzana si rifiuta loro la uccidono, venendo poi uccisi
a loro volta per l’omicidio. Anche Calisto e Melibea muoiono → uscendo di
nascosto dalla camera dell’amata, Calisto scivola e muore. Vedendo la scena,
Melibea decide di togliersi la vita. L’opera termina con il pianto de padre di
Melibea, Pleberio.
MORALE → l’opera si presenta come un rimprovero agli innamorati folli, come
viene esplicitato nel prologo. La pluralità delle morti risalta il valore puntino di
quel tipo di amore. La morte di Calisto, causale e banale, è un autentico
exemplum.
La Celestina si trova a cavallo tra due mentalità → la vecchia concezione
medievale e la nuova visione rinascimentale, si apprezzano entrambi i mondi.
MEDIOEVO → l’opera rispecchia il proposito moralizzatore con la morte degli
amanti e di chi partecipa al loro amore come un castigo divino per le loro vite
disordinate.
RINASCIMENTO → gli aspetti relazionati a questa nuova mentalità sono: la
sensualità, la ricerca del piacere, l’individualismo, il paganesimo e la
secolarizzazione della vita.
Probabilmente la morale è soprattutto un obbligo dell’epoca, perché l’opera si
dimostra più vicina ai valori del rinascimento.
GENERE → è difficile qualificare il genere dell’opera. A primo impatto essa si
presenta come un’opera teatrale, tuttavia, se si esaminano cose come la
lunghezza e il numero degli atti e il mancato rispetto dell’unità di tempo, l’opera
si colloca a metà tra la narrativa e il teatro. È un opera teatrale scritta senza
preoccuparsi della sua messa in scena, che sarebbe impossibile.
La Celestina è la prima opera moderna in cui prende corpo il topos della
riflessione interiore sulle azioni umane → l’autore illustra la totalità dei pensieri
dei suoi personaggi, sia prima che dopo i fatti; procede a passi lenti, annotando
anche particolari secondari.
Attorno alle varie e numerose digressioni dei personaggi si snoda un tessuto
drammatico saggiamente costruito e calcolato di spazi e tempi reali.
I pensieri dei protagonisti formano uno strato di attesa attorno agli eventi. Di ciò
ne risente soprattutto lo stile.
STILE → periodi sentenziosi, brevi, che accolgono allo stesso tempo luoghi
comuni della retorica libresca e quelli della saggezza popolare.
Lo stile della Celestina è il risultato della tensione che si stabilisce tra due modi di
parlare → uno lento, astratto e uno rapido e simultaneo ai gesti.
Nell’opera, pur non essendoci due linguaggi diversi, vengono impiegati sia il
registro colto che quello popolare.
STRUTTURA → ogni atto corrisponde a brevi unità dinamiche e la lunghezza
dell’opera non impedisce che essa sia in alcuni punti fulminea. Esempio →
quando Parmeno parlando con Calisto riassume la trama dell’opera in poche
righe.
La vicenda dell’opera ruota essenzialmente attorno a tre temi → appagamento
dell’amore, sete di denaro e morte. Il resto è formato dai pensieri dei personaggi.
La struttura della Celestina consiste nell’alternanza fra pochi nuclei drammatici
in cui si celebra un evento e un itinerario di ‘viaggi per la città’, che ne costituisce
la preparazione-
Nell’opera c’è una triangolazione precisa che unisce i vari personaggi, un fitto
gioco di interni ed esterni e un gioco di alti e bassi. Tutto ciò ha delle motivazioni
profonde non è un caso che i protagonisti dell’opera siano sempre in movimento.
Il loro viaggiare è la rappresentazione della ruota della fortuna medievale ed è
motivato dai due grandi appetiti umani → lussuria e denaro, che si incrociano e
si alleano.
Il dramma si conclude con la morte quando le due corse parallele (lussuria e
denaro) si arrestano e i protagonisti precipitano dalla rete di appetiti che loro
stessi hanno creato.
CADUTA → accomuna tutti i personaggi dell’opera (tranne Celestina).
SCENARIO → lo sfondo dell’opera è una città autentica e il viaggiare all’interno
dei suoi spazi non ha solo un significato simbolico: è una forma di conoscenza
oggettiva della realtà visitata. L’autore parte da luoghi comuni della civiltà cortese
per arrivare ad un mondo che ripudia la cortesia. Un profilo convenzionale, come
quello di Calisto che appartiene ancora al mondo dei cavalieri amanti, si
trasforma in un personaggio dai tratti marcati e originali.
FDR tuttavia, nell’opera disegna un Calisto diverso rispetto ai cavalieri nobili → è
il rappresentante di una casta nobiliare che ha ridotto il suo privilegio e che per
raggiungere il proprio appagamento ricorre ad intermediari. Calisto è si il
protagonista di una passione totale, ma un amore come il suo è più vicino a un
lusso da nobiltà in decadenza piuttosto che a una sublime avventura.
Melibea → disegnata suoi cliché delle eroine cortesi, nel primo atto è quasi
assente. FDR la reinventa negli atti successivi insinuando in lei un desiderio di
emancipazione da nucleo familiare.
LINGUA → il contrasto tra vecchio e nuovo si vede soprattutto dal punto di vista
linguistico: la lingua impiegata dagli amanti è una spia circa l’atteggiamento
dell’autore verso il mondo signorile della fine del secolo.
Gli amanti usano una nomenclatura amorosa piena di artifici, la retorica dei
canzonieri per esprimere i loro sentimenti mentre i loro gesti mirano a una lingua
d’uso comune.
Esempio → passo in cui Calisto invece di dire ‘tramonto’ parla dei ‘cavalli di Febo’
Sempronio lo rimprovera di usare una lingua poetica non necessaria.
La lingua dei signori, la cavalleria, i loro abiti e usanze, il loro amore folle → tutto
è messo sotto il torchio.
SERVI → inducono una novità: il desiderio di conquistare un’autonomia sociale
sfruttando il loro rapporto con il padrone come occasione di commercio. Questa
voglia di trarre profitto che si aggiunge alla loro malvagità e astuzia è ciò che li
rende personaggi nuovi.
Prime edizioni → 16 atti.
1502 → 21 atti: vengono inseriti 5 atti da metà del XIV, prima che Calisto muoia.
L’operazione mantiene dunque intatto il finale dell’opera ma prolunga la storia
d’amore tra Calisto e Melibea.
Gli atti aggiunti sviluppano e rielaborano temi già presenti restando fedeli alla
logica del racconto → i personaggi crescono senza snaturarsi.
Nei 5 atti viene dato più spazio anche a Elicia e Areúsa → dai loro personaggi
nascerà un nuovo tipo letterario, ‘la hija de Celestina’, che sarà il modello di una
serie fortunata dal genere picaresco.
CENTURIO → figura del gradasso di periferia. Dovrebbe essere un sicario di
vaglia ma il suo ruolo è quello di una persona che trasforma gli omicidi in
gazzarra. Parla ma non agisce → è il negatore dell’avventura, il sicario inesistente.
A lui si ricorre per procurare la morte di Calisto → il suo ruolo sembra simile a
quello di Celestina, ma in realtà non ha niente a che vedere con la mezzana.
L’opera è costruita su profonde ambivalenze → rifiuta la cortesi e la magia,
eppure ne esalta le funzioni e le consuetudini morenti; inizia da artifici e tipologie
tradizionali, eppure scopre una società reale.
Sicuramente al suo successo contribuirono gli elementi realistici e magico-
popolari → tuttavia, a ciò contribuì anche il profondo legame che si instaura tra
opera e pubblico, la possibilità che il lettore possa partecipare attivamente
all’opera.

IL TEATRO DEI PASTORI E DELLA CORTE → in questi anni comincia a fiorire


in Castiglia una letteratura drammatica che assume le forme di spettacolo. A
Salamanca si rappresentano ‘autos’ d’argomento sacro e profano legate a
rappresentazioni medievali, alla poesia dei canzonieri e alla musica. Queste opere
saranno i modelli del teatro del XVI secolo. Gli scrittori di queste opere sono per
lo più professionisti, due nomi spiccano: Juan del Encina e Lucas Fernández.
JUAN → aperto alle esperienze mondane del rinascimento. Poeta e musico che
lascia la Spagna per l’Italia deve godrà di molto prestigio come poeta e umanista.
Opere → composta da esibizioni metriche e musicali che si trasformano in
spettacoli e la sua rivalutazione come drammaturgo è una scoperta moderna, per
anni il suo prestigio si è affidato solo alla sua attività dii poeta. Gli argomenti
delle sue opere sono scene di pastori e poesia cortigiana → stile pastorile e stile
cortigiano, due forme che rappresentano due livelli stilistici di una stessa
espressione letteraria.
Il suo teatro nasce dunque dalla poesia sfruttandone segrete potenzialità → la
grande svolta avviene quando lo stile pastorile si afferma ed entra nel tronco delle
rappresentazioni religiose; quando entra in scena un certo tipo di pastore che
impersona un mondo rustico preciso. Questo personaggio del pastore ciarliero e
rustico godrà di grande popolarità.
Caratteristiche pastore → si chiama con nomi rustici, indossa un cappuccio e
una tunica di lana, porta dei grandi sandali e parla con una lingua detta
‘sayagués’ → dialetto parlato nella zona leonese che sarà assunto come sua
lingua caratteristica. Quando parla si qualifica in modo preciso → allude a
oggetti, festività, mansioni e credenze di alcune aree regionali che lo collocano in
una dimensione socio-linguistica precisa.
Dalla lingua del pastore capiamo che Encina ha intuito che solo nel dialetto può
sprigionarsi un certo tipo di comicità. Inoltre, la lingua del pastore è importante
perché introduce nei testi drammatici il diritto alla parola dell’uomo del volgo.
ESTILO PASTORÍL → arma a doppio taglio: apre le porte della cultura al
patrimonio folcroristico e avvicina cortigiani e villivi, tuttavia, crea attorno a
questi ultimi una serie di condizionamenti precisi.
Nel teatro di Encina, alla figura del pastore si affianca poi quella di un altro
personaggio, di cultura più urbana → studente burlone. Affianco a questo
personaggio, il pastore può diventare ingenuo e sciocco,
La concezione del pastore non cambia neanche nelle eloghe religiose di Encina
nelle quali esso gioca un ruolo decisivo. In queste eloghe l’autore non inserisce i
personaggi di Gesù e della vergine → il suo teatro religioso si basa sulla
testimonianza di persone che hanno assistito agli eventi narrati. La storia sacra
viene resa per testimonianza invece che per immagini dirette, ed è avvolto da un
realismo pieno di elementi di vita quotidiana.
Da qui si avvia un particolare stile drammatico ripreso da tutto il teatro spagnolo
religioso e profano, fondato su due elementi:
- Livellamento linguistico tale diverse categorie di personaggi → un unico campo
di metafore e un unico corredo lessicale finisce per essere appropriato a tutti gli
usi.
- Interesse che privilegia la vita del particolare e del continente come punto di
osservazione del mondo → la vita domestica entra anche nei generi letterari più
ortodossi e in contesti più solenni.
Encina → primo ad orientarsi verso il trattamento elastico di forme e materie
diverse.
Agli ultimi anni del ’400 appartengono le sue eloghe più famose → questa
produzione matura ha un impianto più ambizioso, la ricerca dello stile è più
attenta. Tuttavia, trovano conferma la figura del pastore e del suo dialetto, la
conclusione musicale e l’unità d’azione delle altre opere. Un salto in avanti c’è per
quanto riguarda la lunghezza e la complessità del verso, più levigato e corposo.
Inoltre, alle burle dei pastori e alle rappresentazioni religiose, subentra anche il
tema dell’amore. Ciò sembrerebbe incoraggiato da un pubblico diverso e
conferisce alle opere un carisma di novità. Con queste opere, Encina, diventa un
erede degli utilizzatori dell’amore cortese dei canzonieri del secolo precedente,
esperto e elegante.
Sulla via tracciata dal suo teatro si muoverà il teatro popolare dei secoli d’oro e il
grande melodramma musicale. Inoltre, da essa sorgerà una poesia colta di
ispirazione bucolica e petrarchiggiante.
LUCAS → musico e poeta di Salamanca. La sua letteratura è rivestita da un
realismo dai toni concilianti.
Auto de la pasión → fine ‘400. Sulla falsariga dei vangeli, il poeta inventa un
cristo corporeo lacerato alla vigilia della morte. Cristo appare però fuori dalla
scena, nel racconti di alcuni testimoni.

TORRES NAHRRO E LA PROPALLADIA → inizia il suo percorso come chierico


per poi entrare nella milizia spagnola. Dopo essere stato rapito dai pirati, torna in
Italia dove viveva precedentemente e inizia la sua carriera letteraria, prima a
Roma poi a Napoli dove stamperà la Propalladia nel 1517.
PROPALLADIA → raccolta che comprende parte della sua precedente produzione
poetica e teatrale. Le novità dell’opera sono soprattutto due:
- C’è un allargamento dell’ambito sociale.
- C’è un atto di coscienza e responsabilità che l’autore compie nei confronti dello
spettacolo.
Al contrario di Encina, per lui il teatro rappresenta la sua stabile attività
professionale, mentre la produzione poetica è il riflesso di una moda letteraria, un
esercizio.
Nel proemio dell’opera, Naharro espone brevemente una propria teoria
drammatica, fondata sui precetti oriziani:
- 5 atti
- Decoro → coerenza nelle proporzioni, moderazione numero dei personaggi,
rispetto delle differenze di comportamento e lingua a seconda dei ruoli e delle
classi sociali.
- Distinzione tra commedie di fantasia e commedie ispirate ad avvenimenti reali
→ il poeta distingue due generi: ‘a noticia’ e ‘a fantasia’.
A FANTASIA → commedie di intreccio all’italiana che nascondo un castellanismo
di fondo.
A NOTICIA → hanno in comune con le altre commedie lo stile, la lingua dei
personaggi umili, la versificazione e i tempi d’azione.
In realtà, la sua opera smentisce i precetti annunciati dall’autore e, alla luce del
proemio, l’opera appare dunque come un fallimento del tentativo dell’autore ad
applicare i criteri competitivi secondo i quali si scriverebbe una buona commedia.

CARLO V → imperatore (I come re di Spagna, II d'Ungheria e IV di Napoli).


Figlio dell'arciduca d'Austria Filippo il Bello e di Giovanna la Pazza (figlia di
Ferdinando e di Isabella), divenne a soli sei anni, per la morte del fratello e della
sorella maggiore della madre, come pure di quella del padre, erede non solo dei
Paesi Bassi ma dell'Aragona e della Castiglia.
Passò i primi anni della sua infanzia a Malines e a Bruxelles, dove la zia
Margherita d'Austria, reggente dei Paesi Bassi, gli fece impartire un'accurata
educazione dagli umanisti spagnoli Juan de Vera e Luis Vaca e da Adriano,
decano di Utrecht (futuro papa Adriano VI).
Crebbe in mezzo alla nobiltà fiamminga, verso la quale dimostrò particolare
attaccamento anche dopo la sua ascesa al trono di Spagna. Diventato infatti nel
1516, alla morte di Ferdinando il Cattolico, re di Aragona e di Castiglia, si recò in
Spagna per prendere possesso dei suoi reami, ma la rapacità del suo seguito
formato quasi esclusivamente di Fiamminghi e la sua incomprensione per quel
conglomerato d'istituzioni e di elementi contrastanti ch'era la Spagna, lo rese
tutt'altro che gradito ai nuovi sudditi.
Quando nel 1519, in seguito alla morte del nonno Massimiliano, C. lasciò
temporaneamente la Spagna, affidando la reggenza in Castiglia ad Adriano di
Utrecht, per porre la propria candidatura alla corona imperiale, scoppiò la
cosiddetta rivolta dei comuneros che tuttavia ben presto fallì a causa della
defezione della nobiltà e del clero dal movimento insurrezionale allorché questo
minacciò di assumere un carattere sociale.
L'incoronazione di C. ad Aquisgrana, che ebbe luogo il 23 ott. 1520 e alla quale C.
giunse dopo lunghe trattative con i principi elettori dai quali ottenne, con molto
oro, il conferimento della dignità imperiale, mise tutt'a un tratto il nuovo Cesare
di fronte a gravi e ardue responsabilità politiche: egli era ormai impegnato a
fondare un'egemonia europea.
Contro questo sovrano non più fiammingo o spagnolo, ma europeo, la Francia si
difese: Francesco I, che invano aveva tentato di contrastare a C. l'ambita corona,
si trovava circondato da ogni parte dai possedimenti del rivale, che liberamente
poteva, a suo beneplacito, attaccare nello stesso tempo la Francia dalle Fiandre,
dai Pirenei, dalle Alpi e lungo il Reno.
Per liberarsi da questa morsa Francesco, allegando a pretesto i suoi diritti sul
ducato di Milano, iniziò nel 1521 quella serie di guerre contro C. che si
trascinarono quasi senza soluzione di continuità, fino al 1544 e continuarono
anche sotto il regno di suo figlio Enrico II.
La prima guerra, terminata a favore dell'imperatore con la vittoria di Pavia, dove
lo stesso re Francesco I fu fatto prigioniero, fu ben presto seguita da un'altra
campagna, che vide alleati contro C. il re di Francia, papa Clemente VII e la
maggior parte degli stati italiani. Ancora una volta l'imperatore riuscì vittorioso.
Lo stesso pontefice, rinchiuso in Castel Sant'Angelo, dovette venire a patti e i
trattati di Barcellona e di Bologna assicurarono finalmente a C. un periodo di
pace.
C. stesso venne in Italia per compiere l'antico rito medievale: a Bologna nel 1530
Clemente VII gli pose sul capo rispettivamente la corona ferrea e quella imperiale.
Nel frattempo in Germania era dilagato il movimento luterano. Ma C., tutto preso
dalla lotta contro Francesco I, non poteva assumere contro i protestanti un
atteggiamento troppo energico che avrebbe potuto facilmente suscitare un nuovo
focolaio di guerra rovinosa.
Anche per consiglio del suo cancelliere Mercurino da Gattinara, l'imperatore si
mostrò propenso alla riunione di un concilio generale, dove tutte le divergenze di
carattere teologico ed ecclesiastico potessero essere esaurientemente dibattute,
contrario invece a qualsiasi misura che significasse condanna preventiva del
luteranesimo.
Cercò egli insomma di mantenersi in una posizione d'equilibrio che non urtasse
eccessivamente i principi protestanti.
D'altra parte l'atteggiamento di Clemente VII, che si era alleato contro di lui con il
re di Francia, costituiva una giustificazione più che plausibile alla sua condotta
blanda verso coloro che erano considerati eretici dalla S. Sede. Pertanto C., pur
rimandando al futuro concilio generale qualsiasi definitiva determinazione sulla
controversia religiosa, permise nel 1526 ai luterani il libero esercizio della loro
confessione.
Solo dopo la riconciliazione col pontefice C. tentò di ritogliere quanto aveva
elargito, ma di fronte alle proteste dei luterani, unitisi nella lega di Smalcalda, e
al pericolo di una guerra in Germania, non insistette nella sua pretesa.
Dal 1530 al 1535 C. poté infine, dopo dieci anni di guerra, dedicarsi al
riordinamento dei suoi stati, la cui decadenza economica, unita a un'inefficiente
organizzazione fiscale, aveva sempre condizionato la sua dispendiosa politica
europea.
Nominò reggente dei Paesi Bassi la sorella Maria; fece proclamare re dei Romani il
fratello Ferdinando, al quale fin dal 1522 aveva ceduto i possedimenti asburgici
tedeschi; promosse in Italia la costituzione di una lega tra gli stati della penisola,
lega alla quale aderirono anche il pontefice e Venezia e che gli era garanzia di
pace, poiché altri due importanti stati della penisola gli erano assai obbligati,
Genova con Andrea Doria, e Firenze, ove C. aveva ricondotto i Medici con la forza
delle armi.
In questo stesso periodo egli decise, sensibile alle sollecitazioni soprattutto
spagnole, di affrontare la questione dei Turchi, che si facevano sentire non solo in
Ungheria, lungo il Danubio, ma proprio nel Mediterraneo, divenuto a causa delle
scorrerie dei Barbareschi una strada marittima spesso infida.
Dopo l'occupazione di Tunisi da parte del temuto pirata Barbarossa, C. nel 1535
organizzò una spedizione, alla quale parteciparono, salvo Venezia, quasi tutti gli
stati italiani: Tunisi fu presa d'assalto e il Tirreno e il Mediterraneo occidentale
per un certo tempo furono liberati dai pirati.
Ma il ducato di Milano continuava a costituire il pretesto giuridico delle lotte tra
C. e Francesco. Due nuove guerre ne furono causate. Ambedue queste campagne
furono favorevoli all'imperatore e Francesco I, con le sue abituali riserve mentali,
dichiarò ancora una volta di rinunciare a qualsiasi diritto sul ducato.
Nel 1546, quando ormai a Trento era stato aperto il concilio, C. stimò giunto il
momento di risolvere con la forza la questione protestante.
Radunato un esercito, la guerra procedette in maniera assai propizia fino alla
vittoria di Mühlberg (1547), ma, di fronte alla successiva ostilità papale, che per
quella vittoria che colpiva gli autonomisti germanici sentiva farsi più pesante il
giogo cesareo sull'Italia, l'imperatore preferì ancora una volta ripiegare sulla
politica del compromesso, concedendo forti garanzie ai protestanti.
La politica imperiale europea era comunque fallita: contro la Francia, che si era
valsa all'ultimo del valido appoggio di Maurizio di Sassonia; contro la Germania
che rifiutava l'imposizione d'un accentramento monarchico; contro la ripresa
turca e contro gli altri infiniti particolari problemi europei e coloniali, che avevano
reso la sua politica così complessa, a volte perfino contraddittoria, egli mostrò
ormai una sua tetra stanchezza.
Aveva tentato d'imporsi, animato da volontà tenace e da un profondo senso del
dovere, quasi di una missione, all'Europa, le cui sorti il destino gli aveva affidato:
ma i particolarismi e la varietà delle condizioni religiose, nazionali, economiche gli
avevano opposto difficoltà insormontabili; né sempre, del resto, egli si era reso
conto della complessità dei vari problemi.
Ritiratosi a Bruxelles, lasciò al fratello Ferdinando la cura di comporre le cose di
Germania; poi nel 1555 abdicò al governo dei Paesi Bassi e l'anno dopo a quello
delle terre spagnole, a favore del figlio Filippo II.
Portatosi quindi in Spagna, abitò una villa presso il monastero di S. Jerónimo de
Yuste, intervenendo qualche volta ancora, però, negli affari politici di Spagna.
Dettò in francese al suo segretario G. van Male alcuni Commentari al suo regno,
probabilmente col proposito che fossero volti in latino. L'originale è andato
perduto e se ne conserva solo una traduzione portoghese, di scarso interesse,
compiuta verso il 1620.
La letteratura della Spagna moderna nasce sotto il segno di molte contraddizioni
→ l’età di Carlo V è designata come l’apogeo di una letteratura in espansione, il
cui carattere unitario sarebbe dovuto dall’Impulso della Spagna all’avventura
‘hacia afuera’, diverso da quello ‘hacia adentro’ del regno di Filippo II.
Tra 1516 e 1536 nella penisola nasce e si consuma un’illusione di umanesimo
liberale. In 20 anni accade tutto → il pensiero di Erasmo viene tradotto e diffuso,
ma prima ancora che Erasmo scompaia, i suoi seguaci vengono già processati nei
tribunali e le sue opere messe al bando.
Dal punto di vista politico avviene la rivolta dei ‘comuneros’ che viene soppressa
nel sangue, eliminando le possibilità di affermazione di un’economia borghese.
Negli stessi anni Cortés raccoglie il frutto della scoperta dell’America,
conquistando il Messico e iniziano a farsi sentire le conseguenze della diaspora
ebraica.
A partire dal 3° decennio del secolo la Spagna, che ha il dominio di mezza Europa
e dell’America, vive in un contesto instabile fatto di splendore cortigiano da un
lato, e folle di scontenti e emarginati dall’altro. Questa situazione ha radici
profonde.
- Al movimento di centralizzazione e espansione della Castiglia non ha
corrisposto la formazione di una coscienza politica moderna.
- L’assenza di una struttura feudale ha avuto come conseguenza l’arricchimento
di nobiltà locali e l’assenza di una borghesia attiva.
- La riconquista ha gettato le basi per una fusione di ideali, politici e religiosi ed
ha spinto la Castiglia a radicalizzare il proprio centralismo nell’idea di una
crociata religiosa, pur ospitando minoranze ebraiche e musulmane.
1492 → scoperta dell’America, caduta di Granada e cacciata degli ebrei.
La società spagnola sembra resistere all’innovazione scientifica e al progresso →
si respinge come una minaccia.
Nella prima metà del ‘500 l’idea della ‘grandezza’ assume un significato
importante → non si identifica solo con il mito della forza guerriera, si adatta a
valori individuali e privati.
Venegas del Busto → teologo che parla dei vizi degli spagnoli:
- Sfarzo nel vestire → a causa di ciò si vive di prestiti.
- Considerare un disonore un lavoro manuale → gran numero di perdigiorno.
- Rifiuto di modificare se stessi.
- Rifiuto di conoscere.
Da questa grande crisi, dalle contraddizioni emerge una fioritura letteraria di alto
livello che può dia eludere e trasfigurare la realtà (Garcilaso) che rappresentarla
con asciuttezza e senso della verità (Lazarillo e letteratura satirica). Inoltre, al
fallimento delle ‘Indie’ e alle angustie della colonizzazione si accompagna una
prosa cronistica in lingua castigliana che rappresenta una fra le più ricche
testimonianze dell’avventura di conquista e di conoscenza innovatrice dell’uomo
moderno.
Già nella Spagna dei re cattolici una coscienza umanistica ha trovato mezzi
adeguati di espressione e ha instaurato atteggiamenti critici e scelte culturali che
si continuano nella prima metà del ‘500.
Prime testimonianza del nuovo cosmopolitismo, diverso dalle confuse ambizioni
del ‘400:
- Contatti con Erasmo
- Rinascita interesse mondo classico
- Coscienza del primato della propria lingua
- Centralismo culturale
- Viaggi in Italia e incontri con altri umanisti
- Diffusione teoria neoplatonica dell’amore
In letteratura, si fa più profondo il solco tra letteratura colta e letteratura di
divulgazione → anche questo è un segno dei tempi nuovi.
L’incontro delle nuove tendenze con elementi tradizionali, capace di opporre loro
una resistenza, ha però avuto come conseguenza quella di limitare o chiudere il
processo dell’esperienza.
Per la letteratura spagnola (insieme a poche altre), si può parlare di continuità
con il medioevo nel manierismo e nel barocco, ma nello stesso tempo si assiste ad
una tenace volontà di sperimentazione formale e di rinnovamento linguistico.
Rinascimento spagnolo → non cancella e non condanna i miti della religiosità
medievale, gli eroi dell’epica primitiva, ha uno spirito conservatore a cui sia
affianco però una volontà di sperimentazione.
Il tradizionalismo spagnolo è legato all’assenza di una borghesia attiva e alla
lentezza con cui si superano le convenzioni della civiltà cavalleresca.

LAZARILLO DE TORMES → libro anonimo che racconta le avventure di un


accattone dall’infanzia alla conquista di un’ambigua stabilità sociale. Ottiene in
poco tempo molto successo → tre edizioni simultanee nel 1554 e molte
continuazioni e ristampe sparse. La sua comparsa rappresenta l’ultimo evento
letterario del regno di Carlo V e la sua diffusione inaugura un genere romanzesco
che godrà di molta fortuna.
TITOLO → Vida de Lazarillo de Tormes y de sus fortunas y adversidades.
Confrontato ad altre opere contemporanee, è un libricino di poche pagine che
ruota attorno ad un unico tema con grande coerenza ed estrema sobrietà. La sua
importanza consiste nell’impostazione del modulo narrativo e nella qualità
dell’esecuzione.
Il racconto è molto autonomo, privo delle consuete impalcature libresche e
utilizza un ‘io’ narrativo particolarmente spiccato che veicola un’abile finzione
autobiografica. L’opera sembra avere un destinatario, immaginario o reale, che
affiora con insistenza lungo tutto l’arco del racconto.
Il Lazarillo può essere definito come un racconto senza cornice → l’opera si
realizza esclusivamente in ciò che narra. C’è un prologo (incorporato alla finzione
del racconto) e dei riferimenti esterni (osservazioni morali, destinatario nobile) ma
ciò serve da corredo alle imprese del protagonista → nel ‘500 era insolito.
La prima sensazione che il lettore ha, è quella di un libro trasparente → non si
traveste e non sente il bisogno di giustificare se stesso, è un libro che si limita a
raccontare. Ciò che lo scrittore rivendica è il semplice diritto di raccontare la
storia di un uomo qualsiasi dall’inizio alla fine dell’opera.
Si tratta, a prima vista, di un’autobiografia con un personaggio/autore che parla
in prima persona. L’autore del Lazarillo non si limita a trattare una materia in
maniera aspra e inquietante, rinunciando ad ogni copertura morale → egli vi si
colloca all’interno con un atto di identificazione che gli permette di essere, in una
sola volta, autore, protagonista bambino e personaggio pensante adulto.
Il Lazarillo inizia a distinguersi dalle altre opere perché la scelta del personaggio
pensante cade fuori sia dalla biografia reale dell’autore, ma anche dalla cerchia
sociale a cui egli appartiene, orientandosi verso un immaginario figlio del popolo.
Non ci vuole molto capire che l’autobiografia è fittizia → del vero autore non
sappiamo nulla tranne che, sicuramente, non fu il ‘mozo di muchos amos’ del
quale racconta. Ciò è intuibile dalle citazioni dotte del prologo e dalla raffinatezza
dello stile che sembrano qualificarlo come un intellettuale umanista.
L’autore, spinto all’anonimato forse per paura della censura, ha scritto questo
libro con il puro intento di diffonderlo → ha urgenza che esso sia letto da molti. In
questo modo, egli da all’io romanzesco una corposa verosimiglianza di un’identità
reale.
Inoltre, il fatto che per essere credibile, l’io abbia bisogna di un interlocutore non
viene trascurato → mette al cospetto di Lazaro un misterioso ‘vuestra Merced’ a
cui l’opera è dedicata. Questo è l’ultimo tassello che manca al romanzo per essere
perfetto.
PROLOGO → poche righe, sembra rientrare nei cliché della giustificazione, della
dedicatoria e della falsa modestia con molte citazioni colte → in realtà non è così.
L’autore si serve di alcuni luoghi comuni della retorica introduttiva per inserirli
nel cuore del romanzo → le bugie del prologo corrispondo alla verità romanzesca.
Il prologo va letto come una parte del racconto in cui l’io già veste i panni di
Lazaro adulto che scrive e qualifica la propria storia.
Un umanista d’ingegno, che non può rivelarsi, si serve di una personaggio da
suburbio e di un romanzo per intavolare il suo discorso sui mali della società con
un rappresentante della classe dei nobili.
L'opera non è un romanzo sociale nel senso stretto del termine → il protagonista,
figlio di un mugnaio, diventa l'argomento di conversazione e il tramite fra un
autore colto e un destinatario aristocratico entrambi privi di nome.
Già dalle prime parole del romanzo, l'importanza del nome appare subito evidente
nella caratterizzazione del protagonista → durante tutta l’opera, l'autore non
smetterà mai di puntare sulla forza dell'appellativo come su un tratto che
qualifica il protagonista rispetto agli altri, rispetto ai suoi padroni che vengono
chiamati con degli attributi del mestiere e dell'apparenza fisica, ma restano
perlopiù senza nome.
Il protagonista, nascendo nel Tormes si regala l’appellativo del fiume e nello
stesso tempo, all'inizio del romanzo, punta rapido ed incisivo sui dati della
miseria → il mestiere del padre, i furti che egli commette e dunque le
conseguenze legali, i servizi da lavandaia della madre e i nuovi furti del secondo
padre, anche questi puniti.
C’è già, in questa parte iniziale, una tessitura di razionalità documentaria e di
paradosso nei limiti del reale, che permette che si offra a un eroe sciagurato il
conforto di allusioni celebrative. L'oggettività del racconto, in realtà, viene
smontata nell'attimo stesso in cui si afferma come stile. Nel frattempo però, con il
passaggio alle derivate avventure, cambia rapporto fra l’io autobiografico e in
mondo → appena il protagonista esce dalla tutela materna, le cose ricordate
aumentano di numero e di sostanza. I fatti, essendo più vicine al tempo dello
scrivente, acquistano contorni meglio definiti e la narrazione si distende. Lazaro
non trasmette più soltanto notizie → si spinge a disegnare ritratti e a scendere in
particolari.
Lo scrittore, decide dunque di far coincidere questo mutamento di ritmo con
l'abbandono del nucleo familiare → la memoria del protagonista diventa lucida e
attiva quando egli non ha più nessuno a cui delegare la gestione della sua vita e
comincia raccontare episodi nei quali agisce in qualità di attore.
In ambito letterario, la figura del picaro nasce nell'attimo in cui si delinea questa
capacità di iniziativa del singolo a spese di un mondo che gli rifiuta ogni
possibilità di affrancamento oggettivo, nel momento in cui egli si conquista una
libertà psicologica strappata alla totale mancanza di libertà sociale.
SERVIZI → Lazaro fa inizialmente l'accompagnatore di un cieco: il ragazzo lo
osserva attentamente, ne studia le parole e i gesti. Fin da subito esplode in lui il
dramma della fame → sfruttato dal cieco, ne apprende anche la diabolica astuzia,
e se ne serve per ingannarlo, per sfamarsi e dissetarsi. Lazaro assimila dal suo
padrone anche la ferocia e la meticolosa strategia punitiva, essendo gli stesso
vittima, fino a ritorcerla contro il maestro.
Dopo il cieco, Lazaro è al servizio di un prete che si dimostra ancora più avaro e
cocciuto nello sfamarlo → il protagonista organizza allora dei salassi notturni ai
danni di una vecchia cassa in cui padrone rinchiude i pani votivi. Per
un'imprevisto, verrà scoperto, picchiato e cacciato.
Dopo un breve girovagare, trova un altro padrone: uno scudiero. Mentre i primi
due padroni erano avari, ciò che caratterizza lo scudiero è la povertà e lo
smisurato culto delle apparenze → i suoi abiti sono vecchi, la casa è vuota e non
c'è denaro per fare la spesa. In compenso, però, il nuovo padrone è molto gentile,
a tal punto che a Lazaro non viene in mente di beffarlo come ha fatto in
precedenza → il protagonista prova pena per il suo padrone ed è spinto ad
ingannarlo per venirgli in aiuto e procurargli qualche cibo di nascosto. Il servizio
presso lo scudiero finisce perché egli fugge a causa di alcuni problemi economici
e a Lazaro toccheranno altri cinque padroni prima che posso aggiungere al
compimento della carriera di servo → un frate mercedario, uno spacciatore di
bolle per le indulgenze, un maestro pittore di tamburelli, un cappellano e un
‘alguacil’.
A questo punto il protagonista è ormai è un giovanotto ed è passato dalla fase
dell'astuzia e della vigilanza estintiva a una più solida mentalità commerciale →
trova un buon impiego come banditore di vini per conto di un arciprete e riesce
sia a mettere assieme un po' di denaro che a trovare una moglie ( la serva del suo
padrone) adattandosi, in cambio di un sicuro benessere, al ménage a tre che la
nuova situazione comporta.
Dietro alle singole avventure del protagonista, c'è un'ampia tradizione folklorica
ricca di motivi di satira e di realismo → tipologie e spunti della novellistica
medievale, personaggi di farse, motti e proverbi appaiono tutti nel Lazarillo. In
realtà queste cose, nel ‘500, fanno parte di un patrimonio di uso comune,
popolare.
Dalla novellistica medievale derivano gli schemi del rapporto servo-padrone, il
gusto della pittura ambientale e il suggerimento sommario delle principali figure.
L' autore non inventa nessuno dei materiali che introduce nella sua opera, però
trovo un filo conduttore capace di saldarli tutti in ulteriore organismo compatto.
Ad ogni capitolo dell'opera corrisponde a grosso modo un servizio del protagonista
→ tuttavia, nella seconda parte del libro l'ampiezza dei capitoli è diseguale e il
rapporto capitolo-servizio non viene sempre rispettato → ciò deriva da motivi di
coerenza interna.
Il racconto si basa su un criterio distributivo ereditato dai libri di apologhi e di
novelle → ogni episodio è sentito come un’unità strutturale che ha un inizio e una
fine e da luogo a un intervallo tra se e l’episodio successivo.
Novità importante → assenza di una cornice esterna, di un narratore di fuori
introduce le sue storie e le giustifica.
Il narratore è anche il protagonista di ogni nuovo racconto ed è lui che salda ogni
episodio uno dopo l’altro → in questo modo, ogni avventura forma un continuum
che diviene il romanzo.
Nel Lazarillo ci sono due moduli narrativi in uno solo → da un lato, con l’io
autobiografico, siamo alle soglie del romanzo moderno; dall’altro, ogni avventura
si realizza di capitolo in capitolo, obbedendo a una logica elementare che è
propria della tradizione favolistica.
Prime avventure → c’è uno schema binario servo-padrone in cui il servo è la
costante e i padroni invece si succedono. C’è una trama di opposizioni che ruota
attorno al tema centrale della fame. Lazaro ha fame, il padrone lo priva di cibo
nascondendolo, Lazaro studia una strategia per sfamarsi, il padrone lo scopre e lo
punisce. Alla luce di ciò, la prima parte del romanzo può essere definita come
quella della violazione di una forma chiusa.
Il Lazarillo è il romanzo della conquista del nutrimento nel quale ci sono continui
rimandi al cibo → il romanzo inizia con la farina del mulino paterno, il pane
negato dal cieco e dal prete, e il pane che Lazaro divide con lo scudiero, il vino
che il protagonista sottrae al cieco e quello che venderà per conto dell’arciprete.
Dietro a questi cibi si avverte un nesso simbolico religioso.
STILE → si fonda su una semplice relazione fra cose. Per buona parte dell’opera i
personaggi comunica tra loro attraverso gli oggetti. È lo stile della necessità: si
muove solo in funzione di ciò che accade e tende a ignorare o modificare il
superfluo.
Esempio → anche se l’eroe è di famiglia contadina e viaggia da un punto all’altro
della Castiglia, la natura o le stagioni sono quasi assenti dai suoi ricordi, non si
va oltre i nomi di pochi villaggi. Motivo → la natura viene esclusa preché Lazaro
non ha tempo di scoprirla. Le sole cose che nomina sono il corso d’acqua dov’è
nato e l’unico evento agricolo che ricorda è la vendemmia → entrambi elementi
funzionali alla narrazione.
Città → formano attorno ai personaggi una geografia concreta e attuale. Non sono
rappresentate nel loro insieme ma a mano a mano che la letteratura procede la
loro presenza si avverte nitida. Nel racconto vengono dati dettagli fugaci ma
inesistenti che finiscono per dare alla vicenda un inconfondibile spessore urbano.
Nessuna immagine cittadina interessa all’autore a meno che essa non sia
funzionale al racconto → in quel caso le immagini cittadine delimitano i
personaggi e ne favoriscono i rapporti.
È corretto parlare, per il Lazarillo, di determinismo dell’ambiente sui fatti.
Alle spalle del romanzo non c’è solo la favolistica medievale → c’è anche l’astuzia
e la crudeltà della Celestina, la ruffianeria e il senso del profitto, le ambientazioni
suburbane del teatro del primo ‘500. Tuttavia, il linguaggio dell’autore non ha
niente in comune con la prosa esuberante di Rojas o con il dialetto di Encina.
Nella sua prosa non si avverte nessuna inclinazione all’iperbole → a volte,
all’improvviso, però, il racconto ha dei tratti tipici del barocco. Come quando il
cieco affonda il suo naso nello stomaco di Lazaro per odorare le salsicce e il suo
naso diventa quasi una ‘proboscide’.
SERVIZI DI LAZARO → PARODIA DI UN PROCESSO EDUCATIVO.
L’autore procede ad una geniale mistificazione del concetto di esperienza → fa in
modo che la serie dei furti possa essere letta come una storia di addestramento
alla vita, come un lungo processo educativo che ha per oggetto, invece della virtù,
il soddisfacimento dei bisogni primari. In questo processo, la vigilanza, l’astuzia e
la destrezza dell’inganno sono gli strumenti principali e la buona riuscita dei furti
è la prova di una verità professionale.
Nel primo capitolo, il movente pedagogico è dichiarato espressamente → ‘e fu così
che, dopo dio, quell’uomo mi diede la vita, e cieco com’era mi diede la luce e mi
addestrò al mestiere di vivere’.
La luce viene dall’oscurità → la cecità insegna un mestiere di vita e diventa il
simbolo di una realtà mutilata e distorta, di un’esperienza che nasce
dall’impedimento e da una percezione incompleta.
CIECO → alterna le tecniche specifiche alle sentenze, gli esempi alle conclusioni
morali: trasmette a Lazaro il linguaggio della malavita, gli insegna una serie di
arti subalterne e quel corredo di nozioni aggressive e difensive su cui si basa
l’accattonaggio.
La sua avarizia, la sua perfidia non sono ostacoli all’ammaestramento → ne
formano, anzi, l’incentivo e il mezzo.
Il servizio presso di lui dura il tempo necessario che occorre per far passare
l’alunno da uno stato di ignoranza a quello in cui ne sa più del maestro. Il lavoro
di Lazaro con il cieco costituisce l’apprendimento primario.
PRETE → momento della messa in pratica di ciò che Lazaro ha appreso dal cieco.
Il prete è istruttivo per opposizione, al contrario del cieco → egli è essenzialmente
solo una cosa, colui che nega il nutrimento.
SCUDIERO → Lazaro giunge al suo servizio già con una certa esperienza. Questo
è il momento del ribaltamento dell’esperienza ladresca, quello in cui l’arte appresa
precedentemente si annulla per mancanza di un vero antagonista. Lazaro non
deruba lo scudiero perché manca l’incentivo a scardinare e a violare. Questo
padrone non possiede nulla e dunque non nega niente a Lazaro.
Mentre le bugie del prete suscitavano nel protagonista un giudizio negativo,
quelle dello scudiero gli suscitano pena.
Lo schema pedagogico si riproduce e perfezione → da una parte c’è lo scudiero
che parla del codice d’onore con molti esempi, dall’altra il servo che ascolta. Nel
rapporto servo-padrone però qualcosa cambia → l’alunna ha ormai una morale
pratica da opporre al maestro: non solo rifiuta i suoi valori, ma li contrasta e ne
svela le contraddizioni. L’alunno riceve perciò una lezione indiretta.
La morale che Lazaro trae dal terzo padrone consiste nel convincimento che nella
società reale di ci parla non c’è altra alternativa possibile oltre alla follia.
Conclusi i servizi presso i primi tre padroni, Lazaro ha esaurito la parte più lunga
e sostanziosa delle sue avventure.
Forse motivi accidentali spinsero l’autore ad accelerare la narrazione da questo
momento in poi e a render poco conto dei servizi successivi → così facendo, però,
egli ha obedito anche ad un’esigenza interna del racconto. L’autore si è
concentrato maggiormente sulla fase della vita di Lazaro in cui predominano
l’istinto e la scoperta → quando Lazaro cresce, la rappresentazione dettagliata dei
fatti perde di interesse.
Il Lazarillo, essendo il romanzo della ‘conquista del nutrimento’ è quello
dell’esperienza istintuale del bambino, non può essere anche quello della
‘conquista del denaro’, e cioè dell’inserimento sociale.L’autore fornisce le minime
informazioni che servono per arrivare al presente della narrazione, a far sposare
Lazaro e a concludere la sua opera.
La fame di Lazaro è storicamente datata → la Castiglia dell’impero è il suo teatro
e nelle sue avventure si disegna la crisi di un’intera organizzazione sociale.
Dietro la sequenza discreta dei ritratti e la finta innocenza da letteratura per
l’infanzia, il Lazarillo nasconde un’acre a sfiduciata concezione del mondo.
La prima morale che il lettore apprezza nello schema del rapporto servo-padrone
è quella del castigo → la negazione del cibo aumenta l’astuzia e l’attitudine al
furto. In questi ambito sociale, il punito è il bambino che riesce a sfamarsi, non
l’adulto che nega il cibo.
L’ultima morale proposta è il naturale corollario della prima → solo quando il
protagonista adulto riduce i margini di errore nella conquista del profitto, viene
premiato con l’inserimento sociale.
La rinuncia all’onore e all’innocenza equivale per Lazaro ad ‘arrimarse a los
buenos’ → è ciò cielo introduce nel mondo degli onesti.
BUENOS → onesti, i ricchi e i potenti, quelli che commerciano abilmente,
posseggono una casa signorile e si godono le mogli dei propri servitori.
La cesura nel romanzo è funzionale anche in questo caso → ponendo una
distinzione tra due cicli dell’esperienza di Lazaro, ci aiuta a capire che quello della
finta biografia esemplare è, per l’autore, solo un punto di partenza.
Dietro l’educazione deviata di Lazaro c’è un ambiente che la favorisce, formato da
personaggi disadattati e corrotti, un mondo in cui tutti sono una ‘cosa’ e ne fanno
un’altra.
LAZARO → essendo un servo assolve alcune mansioni precise ma allo stesso
tempo è anche un apprendista che impara l’arte del vivere. Il suo mestiere è
vissuto solo in funzione di quell’arte. Riguardo le mansioni di Lazaro, l’autore
fornisce solo accenni frettolosi → ciò che importa di questi lavori è il fatto che essi
si trasformino in lezioni e corsi accelerati raggiro e furto.
CIECO → la sua abilità nel fare pronostici, recitare preghiere e procurare
medicine e unguenti rappresenta tutto ciò che rimane di una scienza laica. Il suo
modo di sopravvivere è accattonaggio. La cecità è alla genesi del libro come
simbolo di conoscenza parziale del mondo e la negromanzia è la degradazione di
un modello culturale di scienza.
Il cieco è una versione ulteriormente abbietta di Celestina, conserva qualche
nozione di stregoneria ma ha perso la clientela signorile.
Dalla sua cecità, Lazaro apprende l’inganno, dalla sua magia eredita un destino
di lavorante industrioso da corte dei miracoli.
PRETE → rappresenta i vizi del basso clero, oggetto di satira.
SCUDIERO → è un fantasma di se stesso, metafora vivente di un’appartenenza di
casta. Dovrebbe essere uno scudiero ma non ha un nobile da servire, parla e si
muove secondo il codice dei cavalieri ma la proprietà che farebbe di lui un hidalgo
non esiste. HIDALGO SENZA TERRA E SCUDIERO SENZA PADRONE. Finge di
essere tutto ciò che non è, però è l’unico a possedere il decoro della povertà e
un’etica che gli impedisce di rubare e vivere di inganni.
Con il successivo frate e il venditore di bolle si conclude il primo ciclo di
apprendimento di Lazaro ed anche un ciclo di visita a delle caste e delle categorie
sociali che è in realtà il senso ultimo del suo viaggio.
I primi tre padroni sono dei rappresentanti degradati delle tre caste che
dovrebbero dare equilibrio alla società.
MADRE E PADRE → nel racconto, l’omissione di dettagli circa il nucleo familiare
è calcolata. Sul destino di Lazaro chiaramente pesa l’assenza del padre → lui è il
primo fanciullo orfano della letteratura moderna. L’esistenza di suo padre è un
perno della sua vita in quanto sussiste come privazione ed assenza.
Scomparso il vero padre, morto senza dettagli, nasce una piccola serie di
paternità sostitutive → amante negro della madre (portatore di cibo), cieco
(paternità docente), scudiero (nutrito dal servo con pane che ricorda la farina
rubata dal padre di Lazaro e anche lui scompare abbandonandolo).
Inaugurato come dramma della fame, il Lazarillo si congeda dai lettori come il
romanzo della solitudine affettiva → abbandono del padre, rinuncia alla madre e
tradimenti della moglie. Il lieto fine dell’opera è costruito sull’infedeltà e sul morso
della solitudine, una vittoria sociale su un definitivo fallimento umano.
EREDITÀ → l’eredità del Lazarillo è raccolta dai continuatori del ‘500 e ‘600. Il
mito del picaro si afferma perché è l’antitesi figurata del soldato di Cristo e del
cavaliere invincibile. Il picaro, al contrario, disattende e non è premiato, vive in
un contesto sociale in cui rinnova i meccanismi dell’esclusione e del contrasto
invece che quelli dell’inserimento e della ragionata obbedienza.
Conclusione Lazarillo → delude l’attesa del lettore con un’immagine di stabilità
sociale. Viene negata la risorsa inesauribile dell’avventura.
La prima cosa che fanno i suoi discendenti è quella di rimettersi in cammino,
dando inizio a viaggi più lunghi e complessi, varcando anche spesso i confini
della Spagna.
Ampliando l’orinazione dei viaggi, cresce il numero di padroni e sfruttatori → la
picaresca diventa un genere letterario che rielabora i suggerimenti del primo
romanzo in un’infinita serie di variazioni possibili. L’eroe, che adesso si chiama
‘picaro’, prende coscienza di se stesso come personaggio di una tradizione scritta
e il lettore si aspetta da lui comportamenti e gesti ordinati secondo un codice
ancora suscettibile di varianti ma già formalizzato in grandi linee. Nasce la
picaresca come letteratura dell’ammonimenti cristiano.

Potrebbero piacerti anche