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Il romanzo realista e la cultura ottocentesca

Caratteri e strutture espressive del romanzo realista e lento passaggio al


naturalismo.
L'evoluzione del romanzo europeo nel XIX secolo si legò strettamente all'affermarsi del
Positivismo e se il successo della forma romanzesca, fino agli ultimi decenni del secolo, sembrò
relegare la poesia in secondo piano, fu proprio per la sua maggiore duttilità e funzionalità
rispetto agli scopi di oggettiva descrizione del reale che gradualmente i letterati si prefissero e
che sfociò in tutta l'Europa, nell'affermarsi del Realismo e della sua variante scientifica, il
Naturalismo.
Il processo che andò dal Realismo al Naturalismo e al suo superamento, già avvertibile
alla fine del secolo, non fu omogeneo in tutte le nazioni, anche se i caratteri della nuova prosa
rivelano anche numerose affinità. A partire almeno dagli anni Trenta si generalizzò una
reazione antiromantica che operava ancora dall'interno del movimento. Il primo sintomo fu il
diffondersi di un interesse sociale che spinse gli autori a non accontentarsi più di costruire una
vicenda interessante ed emozionante, ma a perseguire anche una finalità informativa di tipo
sociologico, inserendo l'intreccio romanzesco entro una vasta cornice descrittiva dalla quale
emergessero i tratti salienti e caratteristici dell'ambiente socio - economico contemporaneo.
Dal punto di vista tematico, tanto il Realismo che il Naturalismo significarono un progressivo
ampliarsi dell'oggetto della rappresentazione fino ad includere gradatamente tutte le classi
sociali, nel tentativo sia di fornire un quadro il più esaustivo possibile del reale, sia di esercitare
una attiva e concreta critica delle ingiustizie del sistema. Questa trasformazione rappresentò
un'evoluzione del romanzo storico, dal quale si mutuarono sia la duplicità dei piani (fantastico
e reale) sia l'importanza di una rigorosa documentazione. Gradualmente, poi, lo sfondo
venne ad assumere una posizione più rilevante di quella della vicenda narrata, determinando un
uso sempre più massiccio della descrizione, non più evocativa o suggestiva, ma più o meno
rigorosamente finalizzata a fornire al lettore una serie di informazioni.
Da un punto di vista ideologico, i presupposti che determinarono una tale evoluzione sono
rintracciabili all'interno del sistema di valori del Positivismo. Concepire il romanzo come uno
strumento per trasmettere un sapere di tipo sociologico (come fecero, sia pure con modalità
diversi, Balzac, Zola, Dickens, Tolstoj, Verga ) significava considerare il mondo stesso come
un testo leggibile, la cui verità potesse essere compresa e posseduta (dall'autore) e ritrasmessa
(al lettore) . Sia l'atteggiamento materialistico, che lo storicismo positivistico, inoltre,
influirono nella nuova forma romanzesca, condizionandone la scrittura, chiamando in causa il
suo rapporto con la realtà esterna: la novità più vistosa della nuova corrente letteraria fu infatti
l'enorme spazio che gradualmente si conquistò la descrizione, e dalla sua illusione di poter
copiare senza scarti un mondo esterno al quale costantemente rimanda. D’altra parte la volontà
di rappresentare gli oggetti senza mediazione alcuna spinse l'autore realista ad abbracciare
sempre più esclusivamente il criterio dell'impersonalità dell’arte, demandando la descrizione
allo sguardo del personaggio (testimone oculare) cercando di interferire il meno possibile
con questa visione. Tale atteggiamento ebbe due importanti conseguenze.
 Esso portò gradualmente alla scomparsa dell'autore onnisciente, soprattutto quando gli
intenti del narratore non erano marcatamente moralistici
 Inoltre, esso instaurò un nuovo rapporto asettico e scientifico fra autore e lettore, poiché il
messaggio letterario, assumendo un valore esclusivamente informativo, si spogliava di ogni
tensione emotiva
L'assenza di valenze affettive o suggestive, d'altra parte, è visibile tanto nelle tematiche (che
rifuggirono, o almeno fecero un uso in genere più modesto che in passato di scene realmente
tragiche, patetiche o strappalacrime) quanto in un linguaggio che ebbe come caratteristiche
primarie l'assertività ( poiché il testo realista comunica una certezza) e la ridondanza (poiché
il testo realista vuole garantire la facile leggibilità ). L'atteggiamento assertivo si tradusse
nella ricerca dell'esplicita denotazione piuttosto che della connotazione implicita e quindi
sfuggente.
Il carattere ridondante del linguaggio realistico si espresse soprattutto nelle lunghe liste ed
elenchi di cui sono ricche quasi tutte le descrizioni, nonché nell'ampio uso della parafrasi
definitoria, nell'insistita esaustività descrittiva.
Il personaggio presuppone:
 la descrizione di una sfera sociale di attività (ambiente socio-professionale)
 la descrizione del locale in cui si svolge la sua attività ( il sacerdote verrà descritto nella sua
chiesa, il salumiere nella sua salumeria,…)
 la descrizione della sua attività professionale specifica (il salumiere sarà appunto descritto
nella sua salumeria mentre prepara il suo sanguinaccio, il sacerdote nella sua chiesa nel
momento in cui celebra la messa,...)
L'ultima conseguenza dell'atteggiamento realistico riguardò il personaggio che, proprio per
garantire il difficile equilibrio fra finzione e realtà e non alterare la freddezza informativa dei
testo, non poté più assurgere a dimensioni realmente eroiche ed eccezionali.

Inghilterra
In Inghilterra il romanzo non si evolvette mai verso forme marcatamente naturalistiche,
poiché la coscienza degli squilibri sociali venne sempre mediata dal moralismo conciliante e
dall'utilitarismo che poi trionfarono definitivamente nella seconda metà del secolo, nel
periodo più florido dell’epoca vittoriana. Il più famoso autore del tempo fu Charles Dickens
( 1812 – 1870 ) che scrisse il Il circolo Pickwick, David Copperfíeld, Oliver Twist, La piccola
Dorrit, Tempi difficili, Bleak House e molti altri fortunati romanzi. li suo tema prediletto, la
rappresentazione della brutalità del sistema nei confronti dei più deboli ( i bambini, i
poveri, le vittime di una giustizia iniqua e dello sfruttamento) parrebbe situarlo fra gli
scrittori progressisti, ma nel complesso egli non andò mai oltre un atto di accusa che poi si
risolve, paternalisticamente, in una riconciliazione finale dove i cattivi vengono puniti e i
buoni ottengono il premio delle loro sofferenze passate, purché non si siano mai
abbandonati ad un ribellismo pericoloso e abbiano invece sopportato pazientemente ogni
avversità e ingiustizia senza mai derogare da solidi principi morali.
Questa mancanza di un radicalismo critico si riflette anche nella struttura narrativa che, in
Dickens come negli altri romanzieri inglesi contemporanei, non esibisce mai l'impassibilità
naturalistica né rifiuta il colpo di scena risolutore, per quanto melodrammatico o
inverosimile. La fortuna eccezionale riscossa da Dickens determinò il trionfo di una nuova
forma editoriale, la pubblicazione dei lunghi romanzi a fascicoli mensili, che divenne quasi
esclusiva in Inghilterra per diversi decenni e si diffuse poi anche all'estero. Essa si affermò di
pari passo con l'aumento del numero dei lettori (i quali potevano ora permettersi opere che,
acquistate in volume unico, avrebbero avuto un prezzo proibitivo) e finì per influenzare sia la
struttura del romanzo (poiché erano necessarie tematiche atte a tener desta l'attenzione del
destinatario e una ridondanza sufficiente a permettergli di riconnettere con facilità le varie
puntate alle precedenti ), sia il linguaggio, che si semplificò per rendersi facilmente
comprensibile a lettori di livello culturale spesso modesto. Di qui il senso di popolarità e di
fruibilità immediata che caratterizzò la maggior parte dei romanzi inglesi del periodo.

Germania
Del tutto particolare fu l'evoluzione del romanzo in Germania, dove, dopo lo scioglimento, in
seguito alla delusione del 1848, del gruppo degli scrittori della Giovane Germania costituitosi
negli anni Trenta intorno ad un progetto di letteratura sociale ed impegnata, si aprì - un lungo
periodo di stasi, anche se non mancarono del tutto narratori di un certo rilievo come Adalbert
Stifter (1805 - 1868) e soprattutto Theodore Fontane (1819-1898), autore di Errori e
turbamenti e di Effi Briest , che sono i romanzi più vicini al realismo moderno. Per il resto,
l'esperienza realistica fu pressoché inesistente e l'attenzione al presente e alla quotidianità si
sviluppò solo alla fine del secolo, per lo più nelle forme grottesche ed esasperate
dell'espressionismo.
Comune agli scrittori tedeschi più illustri che si dedicarono a rappresentare il loro tempo, era
l'attaccamento al vecchio angolo in cui avevano le loro radici; e così gli ingredienti poetici,
romantici, e anche robustamente borghesi, resero per molto tempo completamente impossibile
quella radicale mescolanza degli stili già presto compiutasi in Francia» (E. Auerbach ).

Russia
Straordinaria fu invece la fioritura realistica in Russia, paese tradizionalmente separato dal
resto d’Europa per l'arretratezza della sua organizzazione politica: il romanzo divenne la
forma privilegiata per dar voce allo scontento di un ceto intellettuale ansioso di
rinnovamento, che si andava ampliando e manifestava, nel suo complesso, un atteggiamento
progressista e socialmente impegnato.
Praticamente fino alla fine dell'Ottocento il nodo centrale intorno al quale si confrontarono i
letterati russi fu il conflitto fra libertà e legge nel quale confluivano motivi illuministici
(desunti soprattutto da J.J. Rousseau), romantici e positivistici dando forma ad un'originale
concezione estetica non pienamente riconducibile ad alcuno dei movimenti sviluppatisi nel
resto d’Europa. In tale conflitto si rifletté la contrapposizione fra un individuo -
l'intellettuale - ormai partecipe delle istanze progressiste autoctone e straniere, e i residui
dì un ordinamento statale ancora quasi feudale, nel quale la minaccia alla libertà del
singolo non veniva dall'impersonale ed inarrestabile meccanismo produttivo, ma dal
permanere di una gerarchia rigida, di un potere e forme di controllo rimaste pressoché
inalterate da secoli, di una tradizione dalla quale sembrava impossibile affrancarsi. L'autore
forse più significativo del realismo russo è Lev Tolstoj ( Guerra e pace, Anna Karenina,
Resurrezione )

Francia
Fu Honoré de Balzac a determinare, con una vera e propria rivoluzione letteraria, l'affermarsi
del romanzo realista ottocentesco nella sua forma già compiuta. Non mancavano in Francia,
intorno agli anni Trenta, altri potenti narratori, fra i quali Victor Hugo e Henry Beyle
(Stendhal). Ma nel vasto affresco dei Miserabili l'imponente descrizione storica della
Francia della restaurazione e l'attenzione alla realtà sociale fanno solo da contrappunto
alla vicenda umana di Jean Valjean, l'ex - forzato che si riscatta, riuscendo a far trionfare la
propria volontà sugli eventi, ed è dunque la visione etica, piuttosto che l'interesse sociologico,
pur esistente, a strutturare la vicenda.
In Stendhal (1783-1842), d'altra parte, autore di romanzi famosissimi quali Il rosso e il nero e
La certosa di Parma, le componenti illuministiche (razionalità e distacco), ancora
prepotentemente presenti, frenano lo sviluppo di un atteggiamento realmente storicistico:
persino le novelle ispirate a cronache rinascimentali italiane ( I Cenci del 1837, La badessa di
Castro del 1839) tendono a mettere in rilievo conflitti psicologici atemporali, mentre il tipico
eroe stendhaliano è pur sempre l'aristocratico individuo romantico, che una sensibilità
superiore separa da un volgo mai veramente indagato in una scrittura che è sì realistica
(soprattutto in senso psicologico), ma che limita rigorosamente il suo oggetto alle fasce più
elevate della società.

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Il rosso e il nero
La storia narrata nel romanzo fu ispirata a Stendhal da un fatto di cronaca la cui
conclusione ebbe per cornice il Tribunale di Corte d'Assise dell' Isère, il suo
Dipartimento d'origine. Nel 1827, un giovane seminarista, Berthet, fu giudicato e
condannato a morte per aver tentato di assassinare in una chiesa la sua ex amante. Il
Rosso e il Nero riprende, sviluppa e arricchisce questo aneddoto nel quale l'autore
vede la manifestazione di una energia popolare che la società conservatrice della
Restaurazione rintuzza e reprime (l'opera fu pubblicata col sottotitolo Cronaca del
1830).
Il romanzo ritrae l'ascesa sociale di Julien Sorel, giovane di origine modesta ma che,
sotto lo stimolo di una intelligenza precoce, ambisce ardentemente ad una migliore
collocazione sociale. Affascinato dal prestigio delle guerre napoleoniche, è
inizialmente allettato dalla vita militare, ma i suggerimenti del curato del suo
villaggio natale lo inducono ad entrare in seminario. (I colori del titolo dovrebbero
sinteticamente richiamare le due divise, il nero della tonaca talare e il rosso della
divisa militare).
Il primo gradino si presenta a Julien sotto le vesti di precettore presso la casa di M. de
Rénal, della cui moglie ben presto egli diventa l'amante. Ambizioso e concentrato,
Julien Sorel dedica ogni sforzo "per diventare qualcuno". Ma il carattere scandaloso
della sua relazione con M.me de Rénal lo costringe a lasciare la piccola città di
Verrières, nel Jura, per il seminario arcivescovile di Besançon. Questo distacco non
intaccherà affatto l'amore profondo che egli nutre per la signora de Rénal, e che
resterà al centro della sua esperienza emotiva.
A Besançon, città della Franca Contea, il marchese de la Mole, lo prende al suo
servizio. Quest'ultimo ha una figlia, Mathilde, con la quale il giovane Sorel
intraprende ben presto una relazione contrastata, passionale, ma forte. All'amore
ipergamico (di origine roussoiana, M.me de Warens), borghese, caldo, sensuale e
materno, succede l'amore con la coetanea - una Julien in gonnella - e sarà un amore
aristocratico, "freddo", di testa, geometrico, ma altrettanto incandescente.
L'ascesa di Julien continua grazie alla protezione del marchese ed alla sua personalità
brillante e fiera al tempo stesso. Potrebbe accontentarsene, ma una lunga missione
all'estero ed un incontro fortuito con uno dei suoi vecchi compagni di seminario
eccitano in lui il demone dell'intrigo. Tenta allora di irretire intenzionalmente una
grande aristocratica, ma tale decisione, nei fatti, determinerà la sua rovina. D'altra
parte, Mathilde è incinta di lui. Il marchese decide di procurarsi informazioni sul suo
conto, e scrive alla signora de Rénal che, ormai preda di scrupoli religiosi, risponde
con una lettera dove Julien è messo in cattivissima luce. Allarmato, il marchese de la
Mole ingiunge alla figlia di abbandonare Julien. Reso furioso dal tradimento di M.me
de Rénal, Julien perde la testa e, in un impulso omicida, si reca a Verrières dove tenta
di uccidere con un colpo di pistola la sua vecchia amante. Imprigionato, è indotto a
misurare nel gelo della sconfitta sociale l'incosistenza degli sforzi compiuti per
migliorare la propria condizione. Giudicato, è condannato alla pena capitale,
nonostante i molteplici e congiunti interventi in suo favore delle sue due amanti. La
sua morte precede di qualche giorno quella di M.me de Rénal.
Il rosso e il nero è un romanzo politico la cui azione si svolge in un periodo storico
che rende impossibile ogni attività politica. Sebbene la si avverta in tutto il libro
come una forza orientatrice, la politica è di rado in primo piano, se si eccettua il
capitolo in cui i nobili complottano per cauterizzare il loro paese e invocano l'aiuto
degli inglesi. La società di Il rosso e il nero non è totalitaria, essa impone il
conformismo attraverso una serie di occulte pressioni e non attraverso il terrore.
Mancando la libertà, l'istinto politico assume la forma dell'ambizione, dell'odio o del
brigantaggio: tutti e tre questi impulsi animano Julien Sorel. Il libro lascia
intravedere, tra l'altro, quale prezzo si debba pagare quando la politica viene
eliminata dalla superficie della vita sociale.
Stendhal ci fa vedere la politica che si incarna in un comportamento apolitico, la lotta
delle classi in un momento in cui esse erano addormentate, schiacciate e istupidite in
una falsa conciliazione. Niente può manifestarsi direttamente nel mondo di questo
romanzo, niente può esser detto apertamente. Julien Sorel è un uomo che muove una
sua guerra segreta alla società e questa guerra lo turba tanto, non avendo egli una
solida base di principi, da costringerlo a passare metà del suo tempo a combatterla
contro le sue amanti e contro se stesso; egli rappresenta la fase militante della politica
stendhaliana dell'astuzia, ma è un attivismo che ha perduto il suo senso con la
sconfitta dei giacobini. Egli è, come dice Stendhal, « un uomo infelice, in guerra
contro tutta la società » ma non riesce a fare le debite distinzioni fra i vari elementi
della società. Egli dice a se stesso: « Io non seguo la via di mezzo della vita borghese,
ricerco piuttosto una certa esaltazione "rivoluzionaria" », ma proprio questa
esaltazione, frutto di un'epoca di rinunce nel campo sociale, lo induce al delitto.
Julien è uno straniero in un mondo ostile ma uno straniero che non sa più quello che
vuole, a cui manca, come dice Stendhal, «il coraggio di essere sincero ». Egli, a volte,
è preso da sentimenti libertari, ha momenti di autentica compassione, ma la sua
principale protesta contro la società è che essa lo opprime: egli è amareggiato,
soprattutto, perché essa non gli vuol permettere di abbandonare, e forse tradire, la
propria classe sociale.
Il mondo, come si presenta a Julien Sorel è un campo di battaglia: la battaglia è stata
combattuta e persa. Tuttavia, l'immagine dei combattimento è d'importanza
essenziale, poiché in nessun altro romanzo dell'Ottocento vi è una consapevolezza
così esplicita del fatto che la società si è frantumata in tante classi in lotta fra loro.
Ogni personaggio del libro si identifica con un interesse particolare. «Tra la libertà di
stampa e la nostra vita di gentiluomini », dice M. de la Mole, portavoce della nobiltà,
« c'è una lotta ai coltelli ». M. Rénal, il borghese in ascesa, non può sopportare l'idea
che il suo rivale ha comprato due cavalli e non è soddisfatto finché non ha preso in
casa un precettore. Ecco l'aritmetica dei borghesi: due cavalli sono uguali ad un
precettore. E lo stesso Julien comincia il suo ultimo discorso alla giuria come se fosse
un prigioniero politico: «Signori, non ho l'onore di appartenere alla vostra classe... ».
Se Julien potesse esser trasferito nella Russia di un mezzo secolo dopo, sarebbe un
terrorista; data la necessità di vivere nella Francia della Restaurazione, che egli non
può né accettare né respingere, Julien è un eroe, un folle, un pagliaccio. Alla fine,
accetta la morte che gli è destinata nella consapevolezza di esser già diventato un
simbolo e anche in ciò è simile ad un martire politico.
Il simbolismo contenuto nei colori del titolo è un buon punto di partenza per
comprendere i significati multipli del romanzo. Il rosso evoca il sangue del crimine,
la passione, che si lega quindi al nero del dolore e della morte. D'altra parte, nero è il
colore dei vestiti del seminarista Julien Sorel, mentre rosso è il colore degli abiti
militari, carriera verso la quale Julien cova un'ambizione segreta. Si può anche
interpretare il titolo come un gioco d'azzardo, in cui il protagonista si lancia puntando
su uno dei due "colori" nello scopo di raggiungere i suoi sogni di ascesa sociale. Tale
interpretazione, tuttavia, è stata abbandonata dai critici, in quanto le mosse di Julien
sono ben meditate e non dominate dal caso.
Ulteriore interpretazione dei due colori è il rosso della rivoluzione francese (è
presente nel tricolore, è il sangue versato sulla ghigliottina, ecc...) e il nero (colore
delle tonache dei preti) della Restaurazione a essa succeduta: la tragedia di Julien è
proprio quella di essere nato troppo tardi, in un momento in cui a un giovane
ambizioso e intraprendente, ma di sangue plebeo, si aprono ben poche e anguste
prospettive di affermazione sociale.

I Malavoglia
Il romanzo narra la storia di una famiglia di pescatori che vive e lavora ad Aci
Trezza, un piccolo paese siciliano nei pressi di Catania. Il romanzo ha
un'impostazione corale, e rappresenta personaggi uniti dalla stessa cultura ma divisi
dalle loro diverse scelte di vita, soverchiate comunque da un destino ineluttabile.
Lo scrittore adotta la tecnica dell'impersonalità, riproducendo alcune caratteristiche
del dialetto e adattandosi quanto più possibile al punto di vista dei differenti
personaggi, rinunciando così all'abituale mediazione del narratore.
L'opera va inserita nel Ciclo dei vinti, insieme a Mastro-don Gesualdo e a La
Duchessa de Leyra, opere che affrontano il tema del progresso, visto dal punto di
vista degli "sconfitti" di ogni strato sociale. La Duchessa de Leyra rimase solo
abbozzato, mentre altri due romanzi previsti nel Ciclo (L'Onorevole Scipioni e
L'uomo di lusso) non vennero neppure iniziati.

Presso il paese di Aci Trezza, nel catanese, vive la famiglia Toscano che, nonostante
sia decisamente laboriosa, viene soprannominata Malavoglia per antifrasi. Il patriarca
è Padron 'Ntoni, vedovo, che vive presso la casa del nespolo insieme al figlio
Bastiano, detto Bastianazzo, quest'ultimo sposato con Maria (la Longa). Bastiano ha
cinque figli: 'Ntoni, Luca, Filomena (detta Mena), Alessio (detto Alessi) e Rosalia
(detta Lia). Il principale mezzo di sostentamento è la "Provvidenza", una piccola
imbarcazione utilizzata per la pesca. Nel 1863 'Ntoni, il maggiore dei figli, parte per
la leva militare. Per far fronte alla mancanza, Padron ‘Ntoni tenta un affare
comprando una grossa partita di lupini, peraltro avariati, da un suo compaesano,
chiamato Zio Crocifisso per via delle sue continue lamentele e del suo perenne
pessimismo. Il carico viene affidato al figlio Bastianazzo perché vada a venderlo a
Riposto, ma egli perderà tutta la merce durante un naufragio, e con essa anche la vita.
A seguito di questa sventura, la famiglia si ritrova con una triplice disgrazia: il debito
dei lupini, la Provvidenza da riparare e la perdita di Bastianazzo e quindi di un
membro importante della famiglia. Finito il servizio militare, 'Ntoni torna molto
malvolentieri alla vita laboriosa della sua famiglia, e non rappresenta alcun sostegno
per la già precaria situazione economica del nucleo familiare.
Purtroppo, le disgrazie per la famiglia non terminano. Luca, uno dei nipoti, muore
nella battaglia di Lissa (1866), e questo determina la rottura del fidanzamento di
Mena con Brasi Cipolla. Il debito causerà alla famiglia la perdita dell'amata Casa del
nespolo, e via via la reputazione della famiglia andrà peggiorando fino a raggiungere
livelli umilianti. Un nuovo naufragio della "Provvidenza" porta Padron 'Ntoni ad un
passo dalla morte, dalla quale, fortunatamente, riesce a scampare. In seguito
Maruzza, la nuora, muore di colera. Il primogenito 'Ntoni decide di andare via dal
paese per far ricchezze, ma, una volta tornato ancora più impoverito, perde ogni
desiderio di lavorare, dandosi all'alcolismo ed all'ozio. La partenza di 'Ntoni costringe
la famiglia a vendere la Provvidenza per accumulare denaro al fine di riacquistare la
casa del nespolo, mai dimenticata. La padrona dell'osteria Santuzza, già ambita dallo
sbirro Don Michele, a causa dei numerosi intrallazzi di quest'ultimo, si invaghisce di
'Ntoni, mantenendolo gratuitamente all'interno del suo locale. La condotta di 'Ntoni e
le lamentele del padre la convinceranno a distogliere le sue aspirazioni dal ragazzo, e
a richiamare Don Michele all'osteria. Ciò sarà origine di una rissa tra i due; rissa che
sfocerà in una coltellata di 'Ntoni al petto di Don Michele durante una retata anti
contrabbando alla quale il Malavoglia si era dato. 'Ntoni finirà dunque in prigione.
Padron 'Ntoni, accorso al processo e sentite le voci circa una relazione tra Don
Michele e sua nipote Lia, stramazza al suolo.
Ormai vecchio, il suo salmodiare si fa sconnesso e i suoi proverbi pronunciati senza
cognizione di causa. Lia, la sorella minore, vittima delle malelingue, lascia il paese e
si abbandona all'umiliante mestiere della prostituta. Mena, a causa della vergognosa
situazione della sorella, sceglie di rinunciare a sposarsi con compare Alfio, di cui è
innamorata, e rimarrà in casa ad accudire i figli di Nunziata e di Alessi, il minore dei
fratelli, che continuando a fare il pescatore ricostruirà la famiglia e potrà ricomprare
la "casa del nespolo". Acquistata la casa, ciò che resta della famiglia farà visita
all'ospedale al vecchio Padron 'Ntoni, per informarlo della compravendita e
annunciargli un suo imminente ritorno a casa. Sarà l'ultima gioia per il vecchio, che
morirà proprio nel giorno del suo agognato ritorno. Neanche il desiderio di morire
nella casa dov'era nato sarà dunque esaudito. Quando 'Ntoni, uscito di prigione,
ritornerà al paese, si renderà conto di non poter restare a causa del suo passato, in cui
si è auto-escluso dal nucleo familiare rinnegando sistematicamente i suoi valori.

Tutta la storia si svolge alla fine dell' 800 ad Aci Trezza, piccolo paese della Sicilia.
Si può dividere l'intera opera fondamentalmente in tre parti:
 La prima parte (capitoli I-IV) inizia con la presentazione dei Toscano, in
ordine di età, quindi si accenna alla partenza di 'Ntoni per il servizio militare e,
soprattutto, sono trattati lo sfortunato affare dei lupini e la morte di
Bastianazzo; i funerali di questo sono l'occasione, per Verga, di presentare i
principali concittadini dei Toscano.
 La seconda parte (capitoli V-IX) narra di diversi episodi, ma il principale è
costituito dal debito causato dai lupini e dal tentativo dei Toscano di saldarlo
senza rinunciare alla casa; infine, vista l'inutilità di tali tentativi, il
trasferimento nella casa del beccaio.
 La terza ed ultima parte inizia dopo un capitolo di transizione (il X), in cui
'Ntoni vorrebbe andare in una città a far fortuna; lo farà poi, approfittando della
morte della Longa, la quale era contraria alla sua partenza.
Quindi inizia la terza parte vera e propria (capitoli XI-XV), che narra di Padron
'Ntoni costretto a vendere la barca ed a recarsi da Padron Cipolla, del ritorno di
'Ntoni più povero di prima che, infine, vive da contrabbandiere. 'Ntoni accoltella
don Michele; l'avvocato di 'Ntoni però getta discredito sulla famiglia rivelando
una presunta relazione tra Don Michele e la Lia, che fuggirà verso la città. Il
nonno cade in uno stato di depressione e 'Ntoni finisce in prigione. Alla fine sono
narrati i destini dei membri della famiglia.

L'ambientazione è molto importante per lo svolgersi della vicenda: infatti, quello che
fa da sfondo al racconto è un paese con attività agricole o marittime di scarsa entità,
volte alla sopravvivenza più che all'arricchimento dei privati che le praticano, in linea
con un sistema economico arretrato ed antitetico ai precetti borghesi.
Il mondo ad Aci Trezza non cambia, e non cambierà nonostante le vicende dei
Malavoglia: a testimonianza di questo aspetto, Giovanni Verga applica uno stile
ripetitivo nella parte finale del racconto per creare l'idea di ripetizione nella mente del
lettore. L'autore vuole insegnarci che il progresso travolge le classi più umili, ancora
legate ai valori arcaici, le quali soccombono perdendo le antiche usanze senza riuscire
comunque ad adeguarsi alla società moderna. L'idea è quella di un progresso
impossibile ed inattuabile.
Ogni personaggio viene chiamato con un nomignolo attribuitogli dal popolo, e la
famiglia stessa viene chiamata dai concittadini i Malavoglia. Verga usa così una serie
di antifrasi, per le quali il soprannome attribuito a ciascun personaggio indica una
caratteristica opposta a quella reale. Ad esempio i Malavoglia sono così chiamati per
la loro volontà e la loro voglia di lavorare per poter sanare i propri debiti ed elevare la
loro condizione sociali.
Caratteristiche dei personaggi:
 Padron 'Ntoni: è il capostipite della famiglia. Si esprime spesso attraverso
proverbi e vecchi detti. Secondo lui "Gli uomini sono come le dita di una
mano:il dito grosso fa da dito grosso e il dito piccolo fa da dito piccolo".
 Zio Crocifisso: detto anche "Campana di legno", è l' usuraio del paese, vecchio
e avaro, protagonista di "negozi" e proprietario di barche e case. È zio della
Vespa, con la quale si sposerà non per amore, ma per appropriarsi della sua
chiusa; il matrimonio si rivelerà per lui un inferno, poiché la moglie dilapida in
breve tempo il patrimonio da lui costruito in una vita interamente trascorsa
ad accumulare denaro.
 Compare Agostino Piedipapera: sensale di pochi scrupoli, zoppo, immischiato
nella vicenda del contrabbando. Si rende responsabile, assieme allo zio
Crocifisso, della rovina economica dei Malavoglia, fingendo di acquistare il
credito che Padron 'Ntoni deve al vecchio usuraio e poter così far uscire la
famiglia dalla casa del nespolo. È sposato con Grazia Piedipapera, donna
pettegola ma sensibile ai problemi dei Malavoglia.
 La Locca: sorella dello zio Crocifisso, vedova, è una vecchia demente e fuori di
senno, che vaga perennemente per il paese alla ricerca del figlio Menico,
morto in mare sulla Provvidenza assieme a Bastianazzo ed al carico di lupini. È
madre di un altro ragazzo che non viene mai nominato, e che è sempre
chiamato "figlio della Locca". Dopo l'arresto di quest'ultimo, viene mandata
all'ospedale dei poveri.
 Alfio Mosca: onesto lavoratore, possiede un asino e un mulo, ed ha la sua
ambizione lavorativa. Si innamora di Mena, che ricambia, ma i due non
possono sposarsi perché Alfio è povero, e per convenienza Mena tenterà
invece il matrimonio con Brasi Cipolla. Alfio tornerà ad Aci Trezza 8 anni dopo
la sua partenza.
 Luca: secondogenito di Bastianazzo e la Longa, è più responsabile di 'Ntoni e
degli altri fratelli. Muore nel corso della battaglia di Lissa.

Nel romanzo vi è una sorta di visione pessimistica della vita da parte dell'autore: egli
sottolinea il fatto che le disgrazie debbano essere subite passivamente e vengano una
dopo l'altra per affondare le sorti di una famiglia intera. Quella in questione, è una
famiglia di tipo patriarcale con due capisaldi: Padron ‘Ntoni e l'imbarcazione "La
Provvidenza".
Il primo è il vecchio, il galantuomo, custode della saggezza; si ricordino, a tal
proposito, i tantissimi proverbi sciorinati in ogni momento. È possibile ipotizzare che
l'autore, attraverso queste manifestazioni della cultura del popolo, esprima il proprio
giudizio e le proprie opinioni: egli comunica con il lettore attraverso i detti e le
sentenze.
La seconda, la barca, è la fonte di guadagno, simbolo della vita: in essa sono
racchiuse le speranze di una buona pesca.

I temi principali sono gli affetti familiari e le prime irrequietudini per il benessere.
Come anticipato nella novella Fantasticheria, emerge il cosiddetto ideale
dell'ostrica: i personaggi che, tentando di migliorare le proprie condizioni
economiche, combattendo una continua lotta per la sopravvivenza, si allontanano dal
modello di vita consueto e finiscono male (come 'Ntoni e Lia). Soltanto quelli che si
adattano alla loro condizione possono salvarsi (è il caso di Alessi e di Mena)
Giovanni Verga torna più e più volte su un tema preciso: quello dell'attaccamento alla
famiglia, al focolare domestico, alla casa; è facile comprendere, quindi, i sentimenti
di amarezza e dolore di chi è costretto a vendere la propria abitazione per pagare i
debiti di un affare sfortunato, come nel caso dei Malavoglia. Per i Malavoglia la
"roba" consiste nella Provvidenza e nella casa del nespolo. Quando entrambe si
perdono, i membri della famiglia sentono di aver perduto le radici stesse della loro
esistenza. Solo alla fine del romanzo, Alessi riesce a recuperare la casa e con essa il
legame con il passato e gli affetti familiari.

Giovanni Verga riprende più volte il discorso economico, anche nelle tragedie
familiari. Quando, ad esempio, muore Bastianazzo, la prima ed ultima cosa che si
dice è che la barca era carica di lupini: quindi il fattore economico è molto
importante. Inoltre, Verga vuole sottolineare la differenza tra la malizia del popolo e
la famiglia operosa. Difatti è il popolo a pensare che Padron 'Ntoni si preoccupi dei
lupini, quando quest'ultimo è afflitto per il figlio. I Malavoglia per tutto il romanzo
sono tesi a recuperare la condizione economica iniziale, o a migliorarla. L'economia
del paese è chiusa e di tipo feudale: le classi sociali sono immobili e non è lasciata
nessuna possibilità alla libera iniziativa (come dimostra l'investimento nei lupini
avariati).
Nello stile di Verga bisogna ricordare la frequenza dei dialoghi. Mescolando il
discorso diretto, quello indiretto e il discorso indiretto libero, il Verga assume nella
lingua italiana modi tipici del parlato siciliano, avvicinandovisi con intenti veristi.
Questo stile narrativo ci permette di identificare i personaggi del romanzo come
esseri inseparabili dal proprio paese e dalla propria casa. Contemporaneamente, la
coralità del parlato permette allo scrittore di non comparire mai in primo piano con i
propri giudizi, lasciando campo libero alle interpretazioni proprie del lettore, posto di
fronte ad un fatto oggettivo.

Fontamara
Fontamara è il romanzo più noto di Ignazio Silone. Tradotto in innumerevoli lingue,
ha ottenuto ampio riconoscimento di pubblico in tutto il mondo.
Fontamara è un paesino arretrato economicamente e tecnologicamente; i Fontamaresi
guardano il mondo esterno sapendo di non potervi mai prender parte. Fontamara era e
sarà uguale a se stessa per sempre, non cambierà nulla e ogni anno sarà uguale a
quelli precedenti e a quelli successivi: prima la semina, poi l'insolfatura, in seguito la
mietitura e, infine, la vendemmia.
In questo universo contadino, sia le catastrofi naturali che le ingiustizie vengono
subite passivamente; ecco perché nella premessa tutta la vicenda di Fontamara,
ovvero la rivendicazione del diritto all'acqua, è definita come "un fatto strano".
Un altro aspetto del libro è la denuncia contro i potenti e le autorità.
L'azione di denuncia è volta anche contro il fascismo; infatti attraverso l'episodio di
Berardo l'autore ci presenta la realtà della censura e dei tentativi d'insurrezione
attraverso la stampa clandestina che incitava la gente alla disobbedienza e alla
ribellione. Silone descrive anche l'aspetto violento di quell'epoca, ovvero la dura
repressione contro i rivoluzionari attuata anche con la pena capitale.
Si scorge il sentimento religioso popolare quando nei dialoghi l'opera di deviazione
del corso d'acqua è considerata un sacrilegio, un peccato contro Dio, poiché cambia
la natura che Egli ha creato.

Scritto in esilio nel 1930, Fontamara è il primo dei libri con cui Silone, che ha
abbandonato una militanza politica attiva, continua il suo impegno morale e civile
con la letteratura. In primo luogo Silone ci rende nota la tremenda differenza tra
quelli che chiama "cafoni", ovvero i contadini poveri che popolano sia Fontamara sia
tanti paesi simili in tutto il mondo che lavorano la terra non per guadagnare, ma per
sopravvivere, che si sforzano di estinguere i debiti contratti per superare l'inverno
precedente, che parlano solo dialetto e ignorano la lingua dei cittadini: l'italiano, che
sono ricchi se hanno un asino o un mulo; ed i cittadini che cambiano il mondo,
lasciando i Fontamaresi spettatori.
Silone osserva che le discrepanze sono così notevoli che le due categorie
costituiscono addirittura due razze distinte, diverse persino nel linguaggio; un
cittadino e un cafone potranno parlare per ore senza comprendersi: per loro è
impossibile discutere. Non è così, invece, tra i cafoni del resto del mondo che
costituiscono un'unica razza e nella comunicazione riescono a superare le barriere
linguistiche e intendersi a meraviglia.
Il personaggio che incarna il potere è quello dell'Impresario, abile uomo d'affari che
ha saputo costruire la propria ricchezza in pochi anni, mentre la gente comune gettava
il sangue sulla terra da secoli senza riuscire a racimolare qualche soldo per migliorare
le proprie condizioni.
Per questo motivo i contadini sostengono, invidiosi, che egli abbia trovato l'America
a Fontamara, e i più sospettosi arrivano a supporre che egli sia il diavolo in persona.
L'autore, inoltre, ci narra delle tante burle dei cittadini ai danni dei Fontamaresi, come
quando le donne intenzionate a parlare col podestà si recano al municipio e vengono
derise da chi sostiene che porterebbero solo i pidocchi nello stabile, o come
nell'aneddoto del parroco e dell'asino.

Il romanzo narra la storia di un vecchio paese della Marsica, Fontamara, più arretrato
e misero degli altri. Esso rimase per la prima volta senza illuminazione elettrica
poiché nessuno pagava e si riabituò al chiaro di luna.
Il giorno dopo, all'alba, le mogli dei contadini si accorsero che un gruppo di operai
lavorava per deviare il corso d'acqua con la quale i Fontamaresi irrigavano i campi.
Subito i "cafoni" pensarono a una burla, poi le donne andarono verso il capoluogo per
parlare col sindaco, ma furono derise dalle guardie.
I carabinieri le accompagnarono poi a casa del podestà appena eletto, l'Impresario.
Dopo varie discussioni il segretario del comune decise che tre quarti dell'acqua
dovessero andare all'impresario e i tre quarti del rimanente ai Fontamaresi, spiegando
come si trattasse di una decisione equa che garantiva a tutti la stessa quantità d'acqua:
tre quarti, "cioè un po' più della metà". I cantonieri ripresero i lavori.
Berardo Viola decise di partire e far fortuna in America, ma non poté riuscirci a causa
di una nuova legge. Trovò lavoro da bracciante fuori da Fontamara e faticava
parecchio.
I rappresentanti dei cafoni della Marsica dovevano essere convocati ad Avezzano per
ascoltare le decisioni del nuovo Governo di Roma sulla questione del Fucino.
Un giorno arrivò a Fontamara un camion che, gratis, portava i cafoni ad Avezzano.
Salirono tutti sul camion, furono condotti in una grande piazza e successivamente
dovettero gridare inni ai podestà mentre la piazza era attraversata da un'automobile,
poi potevano tornare a casa.
Intanto nel paese arrivarono dei camion con i militari fascisti che, fatta rincasare la
popolazione, portarono via tutte le armi, violentarono le donne, uscirono in piazza e
chiesero agli uomini che tornavano dal lavoro circa il Governo, ma nessuno diede
risposte soddisfacenti.
I Fontamaresi decisero di chiedere consiglio a Don Circostanza affinché egli trovasse
un'occupazione in città per il povero Berardo.
I cantonieri finirono di scavare il nuovo letto per il ruscello e giunse l'ora della
spartizione dell'acqua; i Fontamaresi videro che il livello dell'acqua destinata a loro
scendeva sempre di più e capirono che sotto vi era l'inganno.
Berardo decise così di partire l'indomani, ma la sua avventura fu sfortunata perché tra
tasse, avvocati e inghippi vari rimase senza soldi, senza lavoro e venne incarcerato
poiché sospettato di essere il Solito Sconosciuto, un tale che cospirava contro il
sistema attraverso la stampa clandestina. Nonostante Berardo fosse innocente, decise
di addossarsi la colpa per permettere al vero Solito Sconosciuto di continuare la sua
azione di propaganda. Verrà ucciso pochi giorni dopo nella sua cella e i poliziotti lo
faranno passare per suicidio.
La storia giunse a Fontamara e i suoi abitanti decisero di scrivere allora un giornale
con gli appunti lasciati dal Solito Sconosciuto e fu intitolato "Che fare?".
L'autore e altri cafoni andarono a distribuirlo negli altri paesi, ma mentre tornavano a
Fontamara udirono degli spari. Era la guerra a Fontamara, chi aveva potuto era
scappato, gli altri erano morti. Il narratore, il figlio e i pochi cafoni che erano con loro
si salvarono nascondendosi nei campi. Non ebbero più notizie di nessuno del paese e
vissero all'estero grazie all'aiuto del Solito Sconosciuto, ma non poterono restarci.
Dopo tante pene, lutti, ingiustizie, odio, i cafoni superstiti si chiedono sempre: "Che
fare?".
Il narratore è interno e rappresentato da una famiglia di “cafoni”, i cui membri (gli zii
di Elvira), sono Matalè, il marito Giuvà e il loro figlio che hanno ormai raggiunto in
esilio l’autore, si alternano a raccontare, in un lungo flashback, ciascuno le proprie
esperienze.

I “cafoni” sono i miseri poverelli contadini meridionali proprietari al massimo di un


asino o di un mulo, non hanno mezzi per difendersi e vivono in una perpetua
ignoranza di cui approfitta persino colui che è considerato “l‘amico del popolo”, Don
Circostanza, che rappresenta insieme la difesa e la rovina dei fontamaresi; la loro vita
si ripete uguale di generazione in generazione segnata dal lavoro e dalla fatica. Essi
sono consapevoli della disperata condizione in cui vivono, come spiegano ad un
forestiero.
« In capo a tutti c'è Dio, padrone del cielo.
Questo ognuno lo sa.
Poi viene il principe di Torlonia, padrone della terra.
Poi vengono le guardie del principe.
Poi vengono i cani delle guardie del principe.
Poi, nulla.
Poi, ancora nulla.
Poi, ancora nulla.
Poi vengono i cafoni.
E si può dire ch'è finito. »
(da "Fontamara")
Il nome Fontamara racchiude in sé già un destino di sventure e sofferenze, inventato
appunto dall'autore per rispecchiare meglio la realtà del paese. Quasi tutti i nomi dei
personaggi del romanzo non sono casuali: Don Circostanza, infatti si adegua alle
diverse situazioni tenendo prima la parte dei contadini, quindi quella degli agiati
cittadini, cercando sempre un tornaconto personale; Don Abbacchio il prete, richiama
il verbo “abbacchiare” infatti egli non farà altro che deprimere i poveri abitanti della
Marsica, ignorando persino il suicidio di Teofilo, sacrestano della chiesa di
Fontamara; Don Carlo Magna è il ricco proprietario terriero; l'Impresario, il podestà
abile a speculare su alcuni terreni acquistati da don Carlo Magna a poco prezzo e sui
quali farà deviare l'acqua del ruscello di Fontamara riducendo alla miseria i cafoni;
Innocenzo La Legge, il messo incaricato di portare i nuovi ordinamenti dalla città.
Berardo Viola, protagonista maschile del romanzo, è l’eroe del paese, violento ma
altruista è il primo a sacrificarsi tra i cafoni per il bene della collettività: i cafoni
infatti erano stati raggirati di continuo ed ogni appello ai notabili del paese risultava
inutile poiché questi difendevano sempre gli interessi del ricco podestà, si ritrovavano
così sempre più poveri ma ognuno non aveva pensato che al proprio appezzamento di
terra, a se stesso. Attraverso il suo personaggio Silone sembra sottolineare il bisogno
che qualcuno muova all’azione, ponga fine alla totale indifferenza dei “cafoni”,
sempre più sfruttati e tenuti nell’ignoranza dal nuovo regime che li induce lavorare in
modo duro ed estenuante.
I cafoni non avevano mai rappresentato una vera minaccia per i gerarchi della potente
città, da cui erano sempre stati osteggiati grazie alla cultura ed all’ingegno ma, nel
momento in cui provano anche questi ad avvicinarsi al mondo scritto, sentiti come
una forte minaccia vengono rapidamente fatti scomparire.
Silone scrive in maniera molto leggibile, narrando l'azione in maniera umile, questo
perché, lo stile deve adattarsi all'argomento, e se si parla del mondo agricolo, allora
anche la forma sarà umile.
Sul piano linguistico prevale una costruzione paratattica del periodo con un
linguaggio piuttosto semplice e colloquiale che rispecchia l’ignoranza in cui vivono i
contadini, mentre i cittadini più istruiti ed importanti si esprimono in una forma più
ricercata e arricchita anche da citazioni e vocaboli latini.

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