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PERCORSO MONOGRAFICO

TESTI
nuova scrittura
I tre brani seguenti, tratti rispettivamente da Madame Bovary, Salambò e Bouvard e Pécuchet, mettono in luce stilistica-
mente, tematicamente e per quanto riguarda il punto di vista lo sviluppo della scrittura di Flaubert. Nel primo viene
descritta una situazione reale: un adulterio. Le emozioni, le sensazioni della protagonista vengono evidenziate tramite
il discorso indiretto libero: la situazione appare al lettore filtrata dal punto di vista di Emma, ma allo stesso tempo lo
sguardo dell’autore sembra far capolino. Nel secondo Flaubert descrive Cartagine, con uno stile completamente diver-
so, secco e ricco di particolari allo stesso tempo. Qui l’indiretto libero cede il passo ad una scrittura almeno apparente-
mente più misurata, “storica” e “oggettiva”. Infine, nel terzo, lo stile cambia completamente. Il tono ironico e persino
comico ci mostra un Flaubert inedito e sorprendente.

I furtivi convegni amorosi tra Emma e Léon


da Madame Bovary

Ogni giovedì Emma si reca a Rouen e in una stanza d’albergo incontra Léon. Nelle pagine che seguono
Flaubert ci dà uno straordinario saggio della sua arte, descrivendo tutto il percorso psicologico che la prota-
gonista compie ogni settimana: l’arrivo in città, la rapida corsa verso il luogo dell’incontro, la liberazione dei
desideri, il libero esplodere delle passioni, poi il ritorno, l’autoesilio nella casa del marito, l’angosciosa attesa
del giovedì successivo. Fondamentale nella resa degli eventi è la caratterizzazione dei luoghi del racconto. La
città all’alba, la stanza d’albergo, con il suo arredo adatto all’intimità, la diligenza che riporta la donna a casa,
la sua stanza nell’abitazione di Charles, che fa da contraltare alla camera di Rouen: quella, luogo chiuso e di
difesa, dove le passioni possono emergere, questa, luogo di prigionia, di repressione e di attesa snervante.
All’interno di tali luoghi divengono protagonisti gli oggetti, utilizzati dall’autore per alludere ai personaggi. Le
conchiglie sopra il caminetto, da cui è possibile ascoltare la voce del mare, rimandano al continuo desiderio
della protagonista di qualcosa di assoluto, che tuttavia si può solo percepire in lontananza; le pantofoline di
raso rosa che rimangono in bilico ai piedi di Emma fanno pensare alla sua fragilità, al suo equilibrio precario.
Infine il testo è disseminato di simboli precisi: in particolare la figura del mendicante cieco, simbolo di degra-
dazione, di morte e di dannazione, che sembra anticipare alla donna, anche con il suo canto volgare, l’ine-
luttabile sorte, la resa dei conti alla quale Emma è destinata.

La città si stava svegliando proprio allora. Commessi in berretto greco pulivano


le vetrine, donne con cesti premuti contro il fianco lanciavano a intervalli il loro
grido sonoro agli angoli delle strade. Lei camminava a occhi bassi, sfiorando i
muri, sorridendo di piacere sotto il velo nero calato.
5 Per timore d’esser vista, di solito non prendeva la via più breve. Si inoltrava in
straducole buie, e arrivava tutta in sudore quasi al fondo di rue Nationale, vici-
no alla grande fontana. È il quartiere del teatro, delle taverne e delle prostitute.
Spesso le passava accanto un carretto carico di scenari traballanti. Camerieri in
grembiule spargevano sabbia sul selcato, tra vasi di arbusti verdi. Nell’aria era
10 sentor d’assenzio1, di sigari e d’ostriche.
Girava d’un tratto per una via laterale; e subito lo riconosceva, lui, dalla capiglia-
tura ricciuta che sfuggiva all’ala del cappello.
Léon continuava a camminare sul marciapiede. Lei lo seguiva sino all’albergo; lui
saliva, apriva la porta, entrava... Come la stringeva forte, immediatamente!

1. assenzio: liquore ricavato dalla pianta omonima.

10 Vol. 5 - Cap. 3 - Gustave Flaubert © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


15 Dopo i baci, un diluvio di parole. Si raccontavano le pene della settimana, i pre-

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sentimenti, le ansie per le lettere; ma poi dimenticavano tutto; faccia contro fac-
cia si guardavano con risa di voluttà, invocazioni di tenerezza.
Il letto era grande, di mogano2, a forma di navicella. Le tende di damasco3 rosso,
che scendevano dal soffitto, si raccoglievano troppo in basso, sopra il largo
20 capezzale, e non c’era nulla di più bello della sua testa bruna e della sua pelle
bianca su quello sfondo di porpora, quando con un gesto pudico lei serrava le
braccia nude, nascondendo la faccia tra le mani.
La tiepida camera, con quel tappeto silenzioso, quelle decorazioni capricciose,
quella luce raccolta, pareva fatta in tutto e per tutto per le intimità della passio-
25 ne. Le aste delle tende diventavan frecce, e le patere4 di rame, i grossi pomi degli
alari risplendevan di colpo quando entrava il sole. Sul caminetto c’erano due di
quelle grandi conchiglie rosa che fanno sentir la voce del mare, ad appoggiarle
all’orecchio.
Quant’erano affezionati a quella cara stanza, così piena d’allegria nonostante il
30 suo gusto vecchiotto, un poco appassito! Ritrovavano sempre i mobili al loro
posto, a volte ritrovavano persino qualche forcina che lei aveva dimenticato il
giovedì precedente, sotto lo zoccolo della pendola. Pranzavano davanti al fuoco,
su un tavolino incrostato di palissandro5. Emma tagliava la carne, con mille
moine metteva i bocconi migliori nel piatto di Léon, e rideva sonoramente, liber-
35 tinamente quando la spuma dello champagne traboccava dal calice leggero sugli
anelli che portava alle dita. Eran talmente perduti nel reciproco possesso che cre-
devano di esser a casa propria, la casa in cui avrebbero dovuto vivere sino alla
morte, come due eterni giovani sposi. Dicevano: la nostra camera, il nostro tap-
peto, le nostre poltrone; lei arrivava a dire: le nostre pantofole, un regalo di Léon,
40 un capriccio che lei aveva avuto. Eran pantofoline di raso rosa orlate di piuma
di cigno. Quando gli sedeva sui ginocchi, la gamba diventava troppo corta, don-
dolava in aria, e la bella pantofolina, priva di sostegno, restava in bilico, tratte-
nuta appena dalle dita del piede nudo.
Lui assaporava per la prima volta l’inesprimibile delicatezza delle eleganze fem-
45 minili. Non s’era mai imbattuto in una simile grazia del parlare, un simile riser-
bo nel vestire, simili pose di colomba assopita. Ammirava l’esaltazione della sua
anima e i merletti della sua gonna. D’altra parte, non era forse una signorina della
buona società, e una donna sposata? Una vera amante, insomma?
Per la mutevolezza del suo umore, di volta in volta mistico e gioioso, loquace,
50 taciturno, impetuoso, svagato, lei richiamava in lui mille desideri, evocava istin-
ti e ricordi diversi. Era l’amante di ogni romanzo, l’eroina di ogni dramma, la
vaga donna di ogni volume di versi. Ritrovava sulle sue spalle il colore ambrato
dell’Odalisca al bagno; aveva il lungo busto delle castellane feudali; somigliava
alla Donna pallida di Barcellona: ma soprattutto era un angelo!
55 Spesso, guardandola, lui aveva l’impressione che la propria anima, slanciandosi
verso di lei, si spandesse come un’onda intorno alla sua testa, fosse travolta nel
candore del suo petto.
Si metteva a sedere per terra, davanti a lei, i gomiti sui ginocchi, la contemplava
con un sorriso, tenendole la fronte.
60 Allora lei si chinava verso di lui e bisbigliava, come soffocata dall’ebbrezza:
“Oh! Non muoverti! Non parlarmi! Guardami! Dai tuoi occhi esce qualcosa di
tanto dolce che mi fa un bene infinito!”
Lo chiamava bambino.
“Mi ami, bambino mio?”
65 E non stava mai a sentire la risposta nell’impeto delle labbra che cercavano la
sua bocca.
C’era sulla pendola un piccolo cupido di bronzo che curvava civettuolo le brac-
cia sotto una ghirlanda dorata. Ne risero più e più volte; ma, al momento di sepa-
rarsi, tutto diventava per loro così serio.
70 Immobili, si fronteggiavano, ripetendosi:

2. mogano: legno pregiato di colore rosso bruno. 4. patere: una specie di attaccapanni a muro.
3. damasco: tessuto di seta. 5. palissandro: legno pregiato di colore bruno violetto.

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS Vol. 5 - Cap. 3 - Gustave Flaubert 11


“A giovedì... A giovedì!...”
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D’improvviso, lei gli prendeva la testa tra le mani, lo baciava in fretta sulla fron-
te, gridando: “Addio!” e si slanciava per le scale.
Andava in rue de la Comédie, da un parrucchiere, a farsi aggiustare i capelli.
75 Cadeva la notte, nella bottega accendevano il lume a gas.
Sentiva la campanella del teatro chiamare le comparse allo spettacolo; vedeva
uomini dalle facce pallide e donne in vesti stinte passare dalla porta del palco-
scenico, davanti alla bottega.
Faceva caldo in quella stanzetta troppo bassa, in cui la stufa ronfava in mezzo
80 alle parrucche e alle pomate. L’odore dei ferri e quelle mani grasse che continua-
vano a palparle la testa finivano per stordirla, si assopiva un poco nell’accappa-
toio. Spesso, mentre la pettinava, il garzone del parrucchiere le offriva biglietti
per un ballo mascherato.
E poi lei se ne andava! Risaliva le strade; arrivava al Croce rossa; riprendeva le
85 soprascarpe che la mattina aveva nascosto sotto un sedile, e si rincantucciava al
suo posto tra i viaggiatori impazienti. Alcuni scendevano all’inizio della collina.
Restava sola nella diligenza.
A ogni svolta si scorgevano sempre più le luci della città che formavano come
un largo alone luminoso sopra le case confuse.
90 Emma si metteva in ginocchio sui cuscini, e lasciava che il suo sguardo si per-
desse in quel bagliore. Singhiozzava, chiamava Léon, gli inviava tenere parole,
baci che si smarrivano nel vento.
Sulla collina c’era un poveraccio che vagabondava tra le diligenze con il suo
bastone. Un mucchio di stracci gli copriva le spalle e un vecchio berretto di
95 castoro sfondato, arrotolato a forma di catino, gli nascondeva la faccia, ma, quan-
do se lo toglieva, scopriva al posto delle palpebre due orbite beanti e insaguina-
te. La carne gli si sfilacciava in brandelli rossi, lasciava colare umori che si coa-
gulavano in verde rogna sul naso dalle nere narici convulsamente palpitanti. Per
parlarti, arrovesciava indietro la testa con un riso idiota, e allora le sue pupille
100 turchinicce, roteando con un movimento continuo, andavano a urtare l’orlo della
piaga viva, verso le tempie.
Ripeteva una canzonetta, inseguendo le vetture:

“Spesso d’estate il calor


fa sognare alle pupe l’amor...”

105 E c’era tutto un seguito, con uccelli, sole e frasche.


A volte appariva di colpo alle spalle di Emma, a testa nuda.
Lei si tirava indietro con un grido. Hivert lo scherniva. Gli consigliava di prende-
re un baraccone alla fiera di San Romano, oppure gli domandava tra una sghi-
gnazzata e l’altra come stesse la sua amorosa.
110 Spesso, durante la strada, il cappellaccio entrava bruscamente nella diligenza
attraverso i finestrini, mentre il mendicante, arrampicato sul predelino, si teneva
aggrappato con un braccio tra gli schizzi delle ruote infangate. La sua voce, dap-
prima debole e gemente, diventava acuta. Si strascicava nella notte come il
lamento indistinto d’un vago dolore; attraverso il tintinnio delle bubbole, il fru-
115 scio degli alberi, il fracasso dello scatolone vuoto, aveva qualcosa di remoto che
turbava Emma. Le calava in fondo all’anima come il vortice di un abisso, la
sospingeva tra gli spazi di una malinconia senza fine. Ma Hivert, accortosi del
contrappeso, allungava grandi frustate al cieco. La sferza lo colpiva sulle piaghe:
urlando, cadeva nel fango.
120 I passeggeri della Rondine finivano per addormentarsi, alcuni a bocca aperta,
altri a mento abbassato, appoggiati alla spalla del vicino, oppure con un braccio
passato tra le corregge6, oscillando tutti regolarmente al movimento della vettu-
ra; e il riflesso del fanale che dondolava fuori sulla groppa dei cavalli, penetran-
do all’interno attraverso le tendine di calicò7 color cioccolato, posava ombre san-

6. corregge: cinghie di cuoio. 7. calicò: tela leggera di cotone a colori vivaci.

12 Vol. 5 - Cap. 3 - Gustave Flaubert © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


125 guinose su tutta quella gente immobile. Emma, ebbra di tristezza, tremava sotto

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le vesti e si sentiva i piedi sempre più gelati: aveva la morte nel cuore.
Charles, a casa, l’aspettava in ansia; la Rondine era sempre in ritardo il giovedì.
Finalmente la signora arrivava! Era tanto se baciava la piccola. La cena non era
ancora pronta, ma cosa importava? Lei perdonava la serva. Adesso a quella ragaz-
130 za pareva permesso tutto.
Più volte il marito, notando il suo pallore, le chiese se non si sentisse male.
“No,” rispondeva Emma.
“Ma,” ribatteva lui, “sei così strana stasera!”
“Eh! Non è nulla! Non è nulla!”
135 Certi giovedì, appena rientrata in casa, se ne saliva in camera; e Justin, che si tro-
vava lì, girava a passi felpati, più ingegnoso nel servirla d’una brava cameriera.
Metteva a posto i fiammiferi, il candeliere, un libro, disponeva sul letto la cami-
cia, scostava le lenzuola.
“Allora,” diceva lei, “così va bene, adesso vattene!”
140 Infatti capitava che lui se ne restasse impalato, le braccia abbandonate e gli occhi
sbarrati, come irretito dalla fitta ragnatela di un’improvvisa fantasticheria.
Il venerdì era orribile, i giorni successivi ancor più intollerabili per l’impazienza
che Emma aveva di riafferrare la propria felicità, era un desiderio aspro, infiam-
mato di note immagini, destinato a sfrenarsi in capo a una settimana tra le carez-
145 ze di Léon. Gli ardori di lui si nascondevano in espansioni di stupore e gratitu-
dine. Emma assaporava quell’amore in modo discreto e assorto, lo alimentava
con ogni artificio della sua tenerezza, e tremava un poco di poterlo perdere più
tardi.
da Madame Bovary, traduz. di O. Del Buono, Garzanti, Milano, 1983

L inee di analisi testuale

Il carattere di Emma
Agli occhi di Léon, così come a quelli del lettore, Emma appare come un essere misterioso ed imprevedi-
bile, dotato di un umore, di volta in volta mistico e gioioso, loquace, taciturno, impetuoso, svagato. La
donna è vista come eroina di romanzo, rappresentazione che secondo la tradizione (soprattutto settecen-
tesca) descrive la tipologia femminile come entità assolutamente irrazionale e dominata dagli impulsi dei
sensi. Si aggiunga che nel modo di porsi, di atteggiarsi di Emma c’è anche un risvolto teatrale, come si può
vedere nel gesto di commiato da lei utilizzato, quel gridare Addio!, slanciandosi contemporaneamente
verso le scale. Qui l’arte di Flaubert raggiunge una delle sue massime e allusive raffinatezze, visto che, pro-
prio nel recarsi ai suoi incontri con Léon, Emma attraversa regolarmente il quartiere del teatro, incontran-
do quasi sempre comparse, inservienti e lavoranti intenti all’allestimento scenico e alla preparazione degli
spettacoli.
I particolari descrittivi ambientali sono uno strumento essenziale nelle mani dell’autore nel chiarimento e
completamento delle linee caratteriali dei personaggi. Il motivo della “femminilità” tipica di Emma, che
risale ad una antica tradizione, subisce in Flaubert, però, una evoluzione decisiva. Mai prima tale motivo
era stato indagato in maniera così accurata e profonda, e mai era stato posto al centro della riflessione
romanzesca in termini così radicali. Il bovarismo di Emma, la sua capricciosa e irrazionale insoddisfazio-
ne per la vita non sono più semplicemente un risvolto dell’animo femminile, ma divengono simbolo del
malessere di una intera civiltà, quella borghese, assediata da una crisi di valori irreversibile.

I personaggi maschili: Léon e Charles


Di fronte ad Emma i due uomini, l’amante e il marito, appaiono come due figure assolutamente “passive”.
Léon, giovane e inesperto, assapora per la prima volta l’inesprimibile delicatezza delle eleganze femmini-
li (righe 44-45) La donna è per lui una vera amante e, allo stesso tempo, un angelo nel quale annullarsi.
Se per Emma l’adulterio, la conoscenza di Léon rappresentano un modo di vivere, una strategia “esisten-
ziale”, per Léon Emma è, e resta, un episodio, un evento accidentale, di cui quasi non riesce a rendersi
del tutto conto.
Ben diverso appare Charles, un essere incapace di vero trasporto passionale. Se mai vi sia stato in lui un
qualche impeto, ora esso si è spento. Gli resta l’ammirazione profonda e l’affetto coniugale per una per-
sona così diversa e pervasa di moti dell’animo per lui misteriosi e inconoscibili e, come tali, desiderabili
e degni di rispetto, nonostante tutto.

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS Vol. 5 - Cap. 3 - Gustave Flaubert 13


L
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avoro sul testo


Analisi e comprensione del testo
1. Dopo aver letto con attenzione il brano tratto da Madame Bovary, dividilo in sequenze e dai un titolo
ad ognuna di esse.
2. Rispondi alle seguenti domande (max 5 righe per ogni risposta).
a. Qual è lo stato d’animo di Emma a Rouen e a casa?
b. In quale modo l’autore descrive il luogo d’incontro di Emma e Léon?
c. Qual è l’atteggiamento di Léon nei confronti di Emma?
d. In che cosa consiste la “teatralità” di Emma?
3. Rintraccia nel testo il passo in cui Flaubert indica come viene percepita la stanza d’albergo dai due
amanti. Perché, a tuo avviso, credevano di essere a casa propria? Rispondi oralmente.
4. Sviluppa in forma di saggio breve il seguente argomento: Emma Bovary: le ragioni del suo malessere. Il
saggio è destinato ad una dispensa scolastica e non deve superare le due pagine di foglio protocollo.

Cartagine osservata dai Barbari


da Salambò

Il capitolo IV di Salambò, intitolato “Sotto le mura di Cartagine”, descrive l’arrivo dei mercenari ribelli (i
Barbari, secondo il punto di vista dei Cartaginesi), di fronte alla città nemica. Flaubert sceglie di descrivere
uno dei luoghi magnifici dell’antichità attraverso gli occhi dei guerrieri che appartengono ad una civiltà com-
pletamente diversa. In realtà nella prima parte del brano, secondo una procedura che gli è consueta, Flaubert
osserva la scena dal punto di vista opposto: sono i Cartaginesi a guardare con terrore gli strani uomini appar-
si davanti alla loro città, e soprattutto il misterioso piccolo individuo che esamina l’acquedotto urbano. Non
c’è possibilità di dialogo tra le due opposte fazioni, perché l’una si considera superiore all’altra. Subito dopo
però lo sguardo cambia di visuale, la visione sembra diventare più oggettiva. Ma alla fine della descrizione
delle magnificenze della metropoli, si intuisce che l’ammirazione per un tale spettacolo è proprio quella dei
Barbari. Essi vorrebbero raderla al suono, ma allo stesso tempo ne rimangono estasiati. È una sorta di adora-
zione da parte di una civiltà primitiva nei confronti di una molto più evoluta. L’integrazione con essa è però
impossibile, come gli stessi Cartaginesi hanno subito dimostrato, scagliando frecce contro i primi individui
della parte avversa che si avvicinano con rami di palma in segno di pace. L’unico modo di possedere un
mondo così diverso è distruggerlo.
Questo brano è perfettamente rappresentativo della capacità di Flaubert, anche attraverso uno stile semplice,
essenziale, ma allo stesso tempo ricco di descrizioni e di colori, di rendere un mondo lontano, dagli istinti
violenti e incontrollabili, dove tutto è ancora possibile.

Una turba di gente del contado, a caval d’asino o correndo a piedi, pallida e tra-
felata, pazza di paura, si riversò in città fuggendo dinanzi all’esercito. Questo
aveva percorso in tre giorni la strada di Sicca, per venire a Cartagine e mettervi
tutto a sterminio.
5 Si chiusero in fretta le porte. I Barbari comparvero quasi subito; però si ferma-
rono a mezzo l’istmo, in riva al lago.
A tutta prima non mostrarono intenzioni ostili. Parecchi anzi s’avvicinarono con
rami di palma in mano: furon respinti a colpi di freccia, tant’era il terrore che i
Cartaginesi ne avevano.
10 Al mattino e al calar della sera, alcuni vagabondi erravano talora lungo le mura.
Si notava tra questi in particolar modo un uomo piccolo, accuratamente ravvi-
luppato in un ampio mantello, col volto celato da una bassa visiera. Costui pas-
sava ore intere a contemplare l’acquedotto, con tale insistenza da far credere che
volesse trarre i Cartaginesi in inganno sui suoi veri propositi. L’accompagnava un
15 altr’uomo, sorta di gigante che camminava a capo scoperto.

14 Vol. 5 - Cap. 3 - Gustave Flaubert © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS

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