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Emile Zola L'Assommoir

PREFAZIONE

I Rougon-Macquart dovranno comprendere una ventina di romanzi. Il piano generale fissato fin dal 1869, ed io lo seguo con estremo rigore. Arrivato il momento dell'Assommoir, l'ho scritto, cos come scriver gli altri, senza deviare nemmeno per un attimo dalla mia linea retta. Ecco da cosa deriva la mia forza. Ho un obiettivo cui tendere. Quando L'Assommoir apparso su un giornale, stato attaccato con una violenza senza precedenti. stato imputato di tutti i crimini. Occorre dunque ch'io spieghi qui, in poche righe, le mie intenzioni di scrittore? Quello che ho voluto dipingere il fatale decadimento d'una famiglia operaia nell'ambiente appestato dei nostri sobborghi. Al fondo dell'ubriachezza e della poltroneria, troviamo l'allentamento dei legami familiari, gli orrori della promiscuit, il progressivo oblio d'ogni onesto sentimento; quindi, come scioglimento, la vergogna e la morte. Non altro che morale in atto. L'Assommoir senza dubbio il pi casto dei miei libri. Ho dovuto spesso toccare delle piaghe ben altrimenti spaventose. Soltanto la forma ha scandalizzato. Se la son presa con le parole. Il mio crimine stato quello d'aver avuto la curiosit letteraria di raccogliere e fondere in uno stampo adeguatamente elaborato la lingua del popolo. Ah! la forma, ecco il pi grande dei crimini! Eppure, di tale lingua, esistono dei dizionari. Gli eruditi la studiano e ne apprezzano il vigore, l'imprevedibilit e la forza delle immagini. un boccone prelibato per i grammatici ficcanaso. Non conta. Nessuno si accorto che volevo fare un lavoro puramente filologico, un lavoro che credo del pi vivo interesse storico e sociale. Ma nemmeno mi difendo. La mia opera mi difender. un'opera di verit, il primo romanzo sul popolo che non menta e abbia lo stesso odore del popolo. Ma non bisogna affatto concluderne che il popolo per intero sia cattivo: i miei personaggi non sono infatti cattivi, sono soltanto ignoranti e corrotti dall'ambiente di dura fatica e di miseria in cui vivono. Si dovrebbe comunque leggere i miei romanzi, capirli, valutarli lucidamente nel loro insieme, prima d'emettere i giudizi bell'e fatti, ridicoli e odiosi che circolano sulla mia persona e sulle mie opere. Ah! se si sapesse fino a che punto i miei amici se la spassano alla sorprendente leggenda con cui la folla si diverte! Se si sapesse che l'assetato di sangue, l'implacabile romanziere, non altro che un degno borghese, un uomo di studio e di arte, che vive sobriamente nel suo cantuccio e la cui unica ambizione quella di lasciare un'opera il pi possibile ampia e viva! Non mi curo di smentire alcun racconto. Lavoro, e mi affido al tempo e alla buona fede del pubblico perch mi si possa alla fine scoprire

al di l del mucchio di sciocchezze che si sono nel frattempo accumulate. Emile Zola Parigi, 1 gennaio 1877 CAPITOLO PRIMO

Gervaise aveva aspettato Lantier fino alle due del mattino. Poi, tutta in brividi per essere rimasta in camicia all'aria frizzante della finestra, s'era assopita, gettata di traverso sul letto, febbricitante, le guance inondate di lacrime. Da otto giorni. appena uscivano dal Veau Deux Ttes, dove mangiavano, lui la mandava a dormire con i bambini e ricompariva soltanto a notte fonda, raccontandole che andava a cercar lavoro. Quella sera, mentre spiava il suo ritorno, le era sembrato di vederlo entrare al ballo del Grand-Balcon, le cui dieci finestre fiammeggianti illuminavano come in un manto d'incendio la nera colata dei boulevards esterni; e dietro di lui, a cinque o sei passi di distanza, le mani penzoloni, come se gli avesse appena lasciato il braccio per non passare insieme sotto il crudo chiarore dei globi del portone, aveva visto avanzare la piccola Adle, una brunitrice che mangiava al loro stesso ristorante. Quando Gervaise si svegli, verso le cinque, irrigidita, le reni a pezzi, scoppi in singhiozzi. Lantier non era tornato. Era la prima volta che dormiva fuori casa. Rest seduta sulla sponda del letto, sotto il brandello di perse sbiadita che pendeva da un braccio attaccato al soffitto con una cordicella. E lentamente, i suoi occhi velati di lacrime facevano il giro della misera camera ammobiliata: un cassettone di noce cui mancava un cassetto, tre sedie di paglia e un tavolino bisunto, su cui languiva una brocca slabbrata. Era stato aggiunto, per i bambini, un lettino di ferro che bloccava il cassettone e occupava i due terzi della stanza. Il baule di Gervaise e Lantier, spalancato in un angolo, mostrava i suoi fianchi vuoti e, sul fondo, un vecchio cappello d'uomo, nascosto sotto un mucchio di camicie e di calzini sporchi. Lungo le pareti, sulle spalliere dei mobili, pendevano uno scialle bucato, un paio di pantaloni mangiati dal fango, gli ultimi stracci rifiutati perfino dai rigattieri. Al centro del camino, fra due candelieri di zinco spaiati, c'era un pacchetto di bollette del Monte dei pegni, d'un rosa tenue. Era la camera migliore della locanda, la camera del primo piano, che dava sul boulevard. Coricati l'uno accanto all'altro sullo stesso guanciale, i due bambini intanto dormivano. Claude, che aveva otto anni, con le manine distese fuori della coperta, respirava lentamente, mentre Etienne, di soli quattro anni, sorrideva, un braccio passato attorno al collo del fratello. Lo sguardo smarrito della madre si ferm su di loro: scoppi allora nuovamente in singhiozzi, si schiacci un fazzoletto sulla bocca per soffocare le piccole grida che le sfuggivano. E a piedi nudi, senza curarsi di rimettere le ciabatte cadute a terra, torn ad affacciarsi alla

finestra, ricominci la stessa attesa della notte, frugando con lo sguardo i marciapiedi, in lontananza. La locanda si trovava sul boulevard de la Chapelle, a sinistra della barriera Poissonnire. Era una catapecchia a due piani, dipinta di color rosso vino fino al secondo, con persiane infradiciate dalla pioggia. Al di sopra d'un lampione dai vetri incrinati, si poteva leggere, fra le due finestre, in grandi lettere gialle da cui la muffa del gesso aveva portato via qualche frammento: Locanda Boncoeur, tenuta da Marsouillier. Gervaise, ostacolata dal lampione, doveva sporgersi, con il fazzoletto sempre sulle labbra. Guardava a destra, dalla parte del boulevard de Rochechouart, dove gruppi di beccai, davanti ai mattatoi, parevano immobili nei loro grembiali insanguinati: e il vento fresco trascinava con s, a tratti, un fetore, un odore selvaggio di bestie massacrate. Guardava a sinistra, abbracciando d'infilata il lungo nastro del viale, per arrestarsi quasi dirimpetto a s, alla massa bianca dell'ospedale di Lariboisire, allora in costruzione. Lentamente, da un capo all'altro dell'orizzonte, seguiva il muro del dazio, al di l del quale, la notte, sentiva a volte delle grida come di assassinati: e frugava allora con gli occhi gli angoli pi appartati, i punti pi oscuri, neri di umidit e lerciume, con la paura di scoprirvi il corpo di Lantier, crivellato nel ventre dalle coltellate. Quando sollevava lo sguardo, oltre la grigia e interminabile muraglia che circondava la citt come in una fascia di deserto, intravedeva un immenso chiarore, un pulviscolo di sole, gi riempito del chiasso mattutino di Parigi. Ma era pur sempre alla barriera Poissonnire che tornava, con il collo teso, sentendosi stordita dal veder scorrere, fra i due tozzi padiglioni del dazio, il flusso ininterrotto di uomini, bestie e carri, che calava dalle alture di Montmartre e della Chapelle. Era tutto uno scalpiccio d'armenti, una folla che arrestandosi all'improvviso s'allargava in pozzanghere sulla via, uno sfilare senza fine di operai che andavano al lavoro, con i loro arnesi sulla schiena e il loro pane sotto braccio. E quella folla si lasciava inghiottire da Parigi, per annegarvi, continuamente. Quando Gervaise, fra tutta quella gente, credeva di riconoscere Lantier, si sporgeva ancora di pi, rischiando di cadere. Si premeva poi ancora pi forte il fazzoletto sulla bocca, come per ricacciare indietro il suo dolore. Una voce giovane e allegra fece s che lasciasse la finestra. Vostro marito non dunque in casa, signora Lantier?. No, signor Coupeau, rispose sforzandosi di sorridere. Era un operaio zincatore che occupava, proprio in cima alla locanda, una stanzetta da dieci franchi. Aveva il suo sacco sulla spalla. Avendo trovato la chiave nella porta, era entrato, come un amico. Sapete, riprese, adesso lavoro l, all'ospedale... Eh! proprio un bel maggio! Picchia forte, stamattina. E guardava il viso di Gervaise, arrossato dalle lacrime. Quando s'accorse che il letto era intatto, scroll dolcemente il capo; poi, si port accanto al letto dei bambini, che continuavano a dormire con le loro rosee facce da cherubini, e abbassando la voce: Coraggio! vostro marito non si comporta saggiamente,

vero?... Non v'affliggete, signora Lantier. tutto preso dalla politica. L'altro giorno, quando si votato per Eugne Sue, uno perbene, almeno pare, sembrava come impazzito. Probabilmente, avr passato la notte con qualche amico a parlar male di quel crapulone di Bonaparte. No, no, mormor Gervaise con sforzo, non come credete. So bene dov' Lantier... Abbiamo anche noi i nostri dispiaceri, come tutti, mio Dio!. Coupeau ammicc, per farle capire che non si lasciava imbrogliare da quella menzogna. E se ne and, dopo essersi offerto d'andarle a comprare il latte, se lei non voleva uscire: era una brava e bella donna, e poteva sempre contare su di lui, il giorno che si fosse trovata in difficolt. Appena l'altro si fu allontanato, Gervaise si rimise alla finestra. Alla barriera, lo scalpiccio d'armenti continuava, nel freddo del mattino. Si riconoscevano i magnani con le loro casacche da lavoro in tela azzurra, i muratori con le loro tute bianche, i pittori con i loro cappotti, al di sotto dei quali comparivano dei lunghi camiciotti. Quella folla, da lungi, conservava una sua compattezza gessosa, una tonalit neutra, in cui dominavano l'azzurro sbiadito e il grigio sporco. A tratti, un operaio si fermava di colpo, riaccendeva la pipa, mentre attorno a lui gli altri continuavano a camminare, senza un sorriso, senza che una parola venisse detta a un compagno, le guance terree, il volto proteso verso Parigi che, uno a uno, li divorava attraverso la bocca spalancata del faubourg Poissonnire. Ai due angoli di rue des Poissonnires, alla porta dei due vinaioli che stavano levando le imposte, degli uomini rallentavano il passo e, prima d'entrare, restavano per un attimo sul bordo del marciapiede, con sguardi obliqui verso Parigi, le braccia abbandonate, gi guadagnati a un giorno di poltroneria. Davanti ai banconi, a gruppi si offrivano da bere, perdevano coscienza di se stessi, ritti in piedi, riempiendo le sale, sputando, tossendo, schiarendosi la gola a forza di bicchierini. Gervaise stava tenendo d'occhio, a sinistra della via, la sala di pap Colombe, dove credeva d'aver visto Lantier, quando si sent interpellare dal centro della strada da un donnone in grembiale e a testa nuda. Beh! com' che siete tanto mattiniera, signora Lantier?. Gervaise si sporse di pi. Toh! siete voi, signora Boche!.. Oh! ho un sacco di cose da fare, oggi!. Gi, proprio cos, le cose non si fanno certo da sole!. E cominci allora una conversazione dalla finestra al marciapiede. La signora Boche era la portinaia del caseggiato di cui il ristorante del Veau Deux Ttes occupava il pianterreno. Diverse volte, non volendo sedersi a tavola da sola con tutti gli uomini che le mangiavano accanto, Gervaise aveva aspettato Lantier nella sua guardiola. La portinaia raccont che stava andando a due passi da l, in rue de la Charbonnire, per sorprendere a letto un impiegato da cui il marito non riusciva a farsi saldare l'accomodatura d'una redingote. Parl poi d'uno dei suoi inquilini che, la sera prima, s'era portato a casa una donna e aveva impedito a tutti di dormire, fino alle tre del mattino. Ma

pur continuando a chiacchierare, studiava la giovane donna con un'espressione d'intensa curiosit: come se fosse venuta a mettersi sotto la finestra soprattutto per sapere. Il signor Lantier ancora a letto?, domand all'improvviso. S, dorme, rispose Gervaise, che non pot evitare d'arrossire. La signora Boche s'accorse delle lacrime che le riempivano gli occhi, e certo soddisfatta, stava gi per allontanarsi trattando gli uomini da maledetti fannulloni, quando torn indietro gridando: Andate stamattina al lavatoio, vero?... Ho anch'io qualcosa da lavare, vi terr un posto vicino a me, potremo chiacchierare. Poi, come presa da un improvviso senso di pena: Ma fareste meglio a togliervi di l, o finirete per ammalarvi... Siete tutta viola!. Ma Gervaise si ostin a restare alla finestra per altre due orribili ore, fino alle otto. Le botteghe erano ormai aperte. Il flusso d'operai che calava dalle alture s'era interrotto, solo qualche ritardatario superava la barriera a grandi falcate. Dai vinaioli, gli stessi uomini, sempre ritti in piedi, continuavano a bere, a tossire e a sputare. Dopo gli operai, era stata la volta delle operaie, delle brunitrici, delle modiste, delle fioriste, tutte strette nei loro miseri abitucci, trotterellanti lungo i boulevards esterni: camminavano a gruppi di tre o quattro, chiacchieravano allegramente, con dei gridolini e certe occhiate di fuoco gettate d'intorno. A tratti, una, solitaria, magra, l'aria pallida e austera, seguiva il muro del dazio, evitando le colate di lerciume. Erano poi passati gli impiegati, riscaldandosi le dita con il fiato e mangiando il loro pane da un soldo lungo la via: giovani affaticati, dai vestiti troppo corti, gli occhi cerchiati, ancora annebbiati dal sonno; vecchietti che si trascinavano sulle gambe, la faccia illividita, logorata dalle lunghe ore d'ufficio, che guardavano l'orologio per regolare il loro passo con l'approssimazione d'un secondo. I boulevards avevano alla fine assunto il loro aspetto pacifico del mattino: i benestanti del vicinato passeggiavano al sole; le madri, a capo scoperto, con sporche sottane, cullavano bambini in fasce, li cambiavano sulle panchine, tutta una marmaglia moccolosa, sbrindellata, si agitava, si buttava per terra, in mezzo a piagnucolii, risate e pianti. Gervaise si sent allora soffocare, in preda alla vertigine dell'angoscia. Si sent al termine d'ogni speranza, le sembrava che tutto fosse finito, che i tempi fossero finiti, che Lantier non sarebbe mai pi tornato. Il suo sguardo smarrito vagava dai vecchi mattatoi, anneriti dai massacri e dai fetori, al nuovo ospedale, cupissimo, che lasciava intravedere, attraverso le ferite ancora aperte delle sue file di finestre, le sale nude dove la morte sarebbe venuta con la sua falce. Di fronte a lei, dietro il muro del dazio, il cielo smagliante e il levarsi del sole, che ingigantiva sopra il grandioso risveglio di Parigi, l'abbagliavano. La giovane era seduta su una sedia, le mani abbandonate, e senza nemmeno pi piangere, quando Lantier entr tranquillamente. Sei tu! Sei tu!, grid Gervaise gettandoglisi al collo. S, sono io. E allora?, rispose l'altro. Non vorrai per caso

ricominciare con le tue solite sciocchezze!. L'aveva allontanata da s. Poi, con un moto di malumore, lanci al volo sul cassettone il suo cappello di feltro nero. Era un giovane di ventisei anni, Piccolo di statura, brunissimo, di bell'aspetto, con dei sottili mustacchi che aveva l'abitudine d'arricciare con un gesto meccanico della mano. Indossava una casacca da operaio, una vecchia redingote tutta macchiata che stringeva all'altezza della vita, e parlando aveva un accento provenzale assai spiccato. Gervaise, lasciatasi ricadere sulla sedia, si lamentava sommessamente con frasi interrotte. Non sono riuscita a chiudere occhio... Credevo che t'avessero giocato un brutto tiro... Dove sei stato? Dove hai passato la notte? Mio Dio, non ricominciare, diventer pazza... Dimmi, Auguste, dove sei andato?. Dove avevo qualcosa da fare, che diamine!, rispose alzando le spalle. Alle otto mi trovavo alla Glacire, da quel mio amico che vuole metter su una fabbrica di cappelli. Si fatto tardi. Allora, ho preferito dormire... Insomma, lo sai, non mi piace esser controllato. Lasciami in pace!. La giovane ricominci a singhiozzare. Gli sbalzi di voce e i movimenti inconsulti di Lantier, che andava a sbattere contro le sedie, avevano svegliato i bambini. Si levarono a sedere nel letto, seminudi, sbrogliandosi i capelli con le loro manine, e sentendo piangere la madre, lanciarono grida terribili, mentre i loro occhi appena riaperti si riempivano a loro volta di lacrime. Ecco! la solita musica!, url Lantier furibondo. Vi avverto, posso anche andarmene di nuovo, io! E me la svigno sul serio, stavolta!... Volete o no tacere! Addio! Torno da dove son venuto. Aveva gi ripreso il cappello sul cassettone. Ma Gervaise si precipit balbettando: No, no!. E soffoc con mille carezze le lacrime dei piccoli. Ne baciava i capelli, li ricoricava con tenere paroline. I piccoli, calmatisi di botto, ridendo sul guanciale, si divertirono a pizzicarsi l'un l'altro. Il padre, intanto, senza nemmeno sfilarsi gli stivali, s'era buttato sul letto, con l'aria affranta, la faccia terrea come per una notte passata in bianco. Non s'addorment, rimase con gli occhi spalancati, guardandosi in giro per la camera. davvero pulito, qui!, mormor. Poi, dopo aver guardato Gervaise per un attimo, aggiunse con cattiveria: Potresti anche sistemarti un po'!. Gervaise aveva solo ventidue anni. Era alta, un po' minuta, con dei lineamenti delicati, ma gi tirati dalle durezze della vita. Spettinata, in ciabatte, tremante di freddo sotto la camicia bianca su cui i mobili avevano lasciato un po' della loro polvere e del loro grasso, sembrava invecchiata di dieci anni dalle ore di angoscia e di pianto che aveva appena passato. La frase di Lantier la fece uscire dal suo atteggiamento impaurito e rassegnato. Sei ingiusto, disse animandosi. Sai bene che faccio tutto quello che posso. Non colpa mia se siamo finiti qui... Vorrei

veder te, con i due bambini, in una stanza dove non c' nemmeno un fornello per scaldare l'acqua... Appena arrivati a Parigi, avremmo dovuto trovar subito una sistemazione, come avevi promesso, invece di far fuori tutto il tuo denaro. Beh! senti un po'!, si mise a gridare Lantier, anche tu ti sei pappata il gruzzolo insieme a me! Non dovresti adesso sputare su quei buoni bocconi!. Ma Gervaise sembr non intenderlo, e continu: Insomma, con un po' di coraggio, potremmo comunque venirne fuori... Ieri sera ho incontrato la signora Fauconnier, la lavandaia di rue Neuve: andr da lei luned. Se tu ti metti con quell'amico della Glacire, potremo tornare a galla entro sei mesi, il tempo di farci qualche nuovo vestito e d'affittare un buco da qualche parte, dove saremo finalmente a casa nostra... Oh! certo, si dovr lavorare, lavorare.... Lantier si gir verso il muro con aria annoiata. Gervaise allora si lasci trascinare. S, cos, ma sappiamo bene che l'amore per il lavoro certo non ti opprime. Sei gonfio d'ambizione, vorresti esser vestito come un gran signore e portare a spasso qualche sgualdrina in abito di seta. Non forse cos? Non mi trovi pi abbastanza carina, da quando mi hai fatto portare tutti i miei vestiti al Monte dei pegni... Ecco, Auguste, non volevo nemmeno parlartene, avrei aspettato ancora, ma so dove hai passato la notte, ti ho visto entrare al Grand-Balcon con quella puttana di Adle. Ah! le scegli davvero bene! Lei s che tutta ripulita! Fa bene a prendere quelle sue arie da principessa... andata a letto con tutto il ristorante. Con un balzo, Lantier salt gi dal letto. Nel suo volto illividito, gli occhi erano adesso d'un nero inchiostro. In quell'ometto, l'ira suscitava come una tempesta. S, s, con tutto il ristorante!, ripet la giovane. La signora Boche finir per darle lo sfratto, a lei e a quella spilungona della sorella, perch sulle scale c' sempre una fila di uomini. Lantier sollev i pugni. Poi, resistendo alla voglia di batterla, l'afferr per le braccia, la scosse con violenza, la mand a cadere sul letto dei bambini che, di nuovo, si misero a gridare. E torn a coricarsi, bofonchiando, con l'espressione implacabile d'un uomo che prende una risoluzione di fronte alla quale ancora esitava. Non sai quello che hai appena fatto, Gervaise... Hai avuto torto, te ne accorgerai. I bambini continuarono a singhiozzare per qualche istante. La madre, ancora protesa verso di loro dalla sponda del letto, li stringeva in un unico abbraccio, ripetendo all'infinito, con voce monotona, quest'unica frase: Ah! se non ci foste voi, miei poveri piccoli! Se non ci foste voi!... Se non ci foste voi!.... Sdraiato tranquillamente, gli occhi levati sopra di s, sul brandello di perse sbiadita, Lantier non l'ascoltava nemmeno pi, immerso in qualche sua idea fissa. Rimase cos per quasi un'ora, senza cedere al sonno, malgrado la stanchezza che gli appesantiva le palpebre. Quando si rigir, poggiando su un

gomito, la faccia dura e determinata, Gervaise stava finendo di riordinare la camera. Rifaceva il letto dei bambini, che aveva appena lavato e vestito. Lantier la vide spazzare, spolverare i mobili: la stanza rimaneva pur sempre cupa e miserevole, con il soffitto fumoso, la carta scollata dall'umidit, le tre sedie e il cassettone zoppicanti, su cui il sudiciume resisteva ed anzi s'estendeva sotto lo strofinaccio. Poi, mentre lei si lavava con acqua abbondante, dopo essersi raccolta i capelli davanti allo specchietto rotondo, appeso alla spagnoletta della finestra, che gli serviva per radersi, sembr passarle in rassegna le braccia nude, il collo nudo, tutto il nudo che lei mostrava, come se nella sua mente avessero luogo dei confronti. E fece una smorfia con le labbra. Gervaise zoppicava dalla gamba destra, ma nessuno se ne accorgeva se non nelle giornate pi faticose, quando s'accasciava, le anche affrante. Quella mattina, distrutta dalla sua notte, trascinava la gamba, si appoggiava ai muri. Regnava il silenzio, non si erano pi scambiati una parola. Lantier sembrava attendere. Gervaise, macerandosi nel suo dolore, cercava d'assumere un'espressione indifferente, di far le cose in fretta. Stava facendo un involto della biancheria sporca gettata in un angolo, dietro al baule, quando l'altro si decise finalmente a parlare: Che stai facendo? Dove vai?, domand. Gervaise non rispose subito. Poi, quando Lantier ripet la sua domanda con furore, si decise: Lo vedi anche tu... Vado a lavare tutte queste cose... I bambini non possono vivere in mezzo allo sporco. Aspett che lei raccogliesse due o tre fazzoletti. Quindi, dopo un altro silenzio, riprese: Hai del denaro?. Gervaise si risollev di colpo, lo guard in faccia, senza lasciar cadere le camicie sporche dei bambini che teneva in mano. Del denaro? Dove pensi che l'abbia rubato?... Lo sai che l'altroieri ho avuto tre franchi per la mia gonna nera. Abbiamo mangiato due volte, e ci vuol poco a spendere quando si va dal pizzicagnolo... No, no, non ho del denaro. Ho quattro soldi per il lavatoio... Non ne guadagno come certe femmine. Lantier finse di non cogliere l'allusione. Era sceso dal letto e stava adesso esaminando i pochi stracci appesi in giro per la stanza. Alla fine, prese i pantaloni e lo scialle, apri il cassettone e aggiunse all'involto una camiciola e due camicie da donna. Quindi, gettando il tutto sulle braccia di Gervaise: Tieni, porta queste cose al Monte. Non vuoi che ci porti anche i bambini?, domand la giovane. Eh! se si desse a prestito anche sui figli, sarebbe proprio un bel modo di sbarazzarsene!. E tuttavia and al Monte dei pegni. In capo a mezz'ora, era gi di ritorno: mise una moneta da cento soldi sul camino e aggiunse la bolletta alle altre, fra i due candelieri. tutto quello che m'hanno dato, disse. Volevo sei franchi, ma non c' stato verso. Oh! non andranno certo in rovina... E c' sempre tanta di quella gente, l dentro!. Lantier non prese subito la moneta da cento soldi. Avrebbe

voluto che Gervaise la cambiasse in spiccioli, per lasciarle qualcosa. Ma si decise a infilarsela nel taschino del panciotto, vedendo sul cassettone un avanzo di prosciutto in un cartoccio e un pezzo di pane. Non sono andata dalla lattaia, le dobbiamo gi otto giorni, spieg Gervaise. Ma torner presto: in mia assenza, scendi a comprare del pane e delle cotolette impanate. Poi pranzeremo. Prendi anche un litro di vino. Non le disse di no. Pareva che la pace fosse tornata. La giovane stava finendo d'ammucchiare la biancheria sporca. Ma quando fece per prendere dal fondo del baule le camicie e i calzini di Lantier, questi le grid di non toccare le sue cose. Lascia la mia biancheria, mi senti! Non voglio!. Cos' che non vuoi?, domand Gervaise raddrizzandosi. Non penserai certo di rimetterti addosso queste porcherie! Bisogna pur lavarle. E lo scrutava, inquieta, ritrovando sul suo volto di bel ragazzo quella stessa durezza che nulla, ormai, sembrava poter piegare. Lantier s'infuri, le strapp dalle mani la biancheria e la ricacci in fondo al baule. Dio santo! Ubbidiscimi almeno una volta! Se ti dico che non voglio!. Ma perch?, riprese Gervaise, impallidendo, sfiorata da un orribile sospetto. Adesso non hai bisogno delle tue camicie, non stai per uscire... Che t'importa se le prendo?. L'altro esit per un attimo, a disagio sotto gli sguardi ardenti con cui la giovane lo fissava. Perch? Perch?, bofonchiava Che diamine! Vai dicendo in giro dappertutto che mi mantieni, che lavi, che rammendi. Ebbene! una cosa che mi fa andare in bestia! Fa' le tue faccende, io penser a fare le mie... Le lavandaie non lavorano per i cani. Lo supplic, neg d'essersi mai lamentata. Ma Lantier chiuse il baule bruscamente, vi si mise a sedere sopra, gridandole un bel no! sul muso. Era o no padrone delle cose che gli appartenevano? Poi, per sfuggire agli sguardi con cui l'altra lo inseguiva, torn a distendersi sul letto, dicendo d'aver sonno e che la smettesse di rompergli il cervello. E questa volta, infatti, sembr addormentarsi. Gervaise rest per un attimo indecisa. Era tentata di dare un bel calcio all'involto della biancheria, per poi mettersi seduta a cucire. Il respiro regolare di Lantier fin per rassicurarla. Prese il turchinetto e il pezzo di sapone che le erano rimasti dopo l'ultimo bucato, e avvicinandosi ai bambini che giocavano tranquillamente con dei vecchi turaccioli, davanti alla finestra, li baci, dicendo loro sottovoce: State buoni, non fate rumore. Pap dorme. Quando lasci la camera, soltanto le risate soffocate di Claude e di Etienne risuonavano nel grande silenzio, sotto il soffitto annerito. Erano le dieci. Un raggio di sole entrava dalla finestra semiaperta. Sul boulevard, Gervaise prese a sinistra e segu rue Neuve de la Goutte d'Or. Passando davanti alla bottega della signora Fauconnier, salut con un cenno del capo. Il lavatoio si trovava

quasi a met della via, nel punto in cui la strada cominciava a salire. Al di sopra d'un piatto edificio, tre enormi serbatoi d'acqua, dei cilindri di zinco saldamente bullonati, si mostravano nelle loro grigie rotondit, mentre un po' indietro s'innalzava lo stenditoio, un secondo piano abbastanza elevato e chiuso su ogni lato da persiane dalle stecche sottili, che lasciavano vedere i capi di biancheria posti ad asciugare sui fili d'ottone, e attraverso le quali l'aria entrava dall'esterno. Sulla destra dei serbatoi, la stretta canna della macchina a vapore sbuffava, un soffio forte e regolare, lanciando getti di fumo bianco. Gervaise, senza nemmeno raccogliersi le sottane, da donna abituata alle pozzanghere, oltrepass la porta ingombra di boccali d'acqua di candeggina. Conosceva gi la padrona del lavatoio, una donnetta delicata, dagli occhi malati, sempre seduta nel suo stanzino a vetri, con registri davanti a s, pani di sapone sulle mensole, vasi di turchinetto, libbre di bicarbonato di soda in pacchetti. Passando, le domand la mestola e il bruschino che le aveva affidato in occasione del suo ultimo bucato. Quindi, prese il suo numero ed entr. Era un immenso capannone dal soffitto piatto, con travi a vista, montato su pilastri di ghisa, chiuso da ampie finestre luminose. Un chiarore smorzato filtrava liberamente attraverso il caldo vapore sospeso come una nebbia lattiginosa. Dei fumi salivano da certi angoli, si dilatavano, coprendo il fondo con un velo azzurrognolo. Pioveva un'umidit opprimente, gonfia d'un odore saponoso, un odore slavato, madido, continuo. A tratti, dominavano aliti pi forti d'acqua di candeggina. Lungo le batterie, ai due lati della corsia centrale, c'erano file e file di donne, le braccia nude fino alle spalle, il collo nudo, le sottane raccolte in alto a mostrare le calze colorate e grandi scarpe a lacci. Battevano furiosamente, ridevano, s'arrovesciavano per gridare qualche parola in quel frastuono, si curvavano sul fondo dei loro mastelli, volgari, brutali, ondeggianti, infradiciate come da un acquazzone, le carni arrossate e fumanti. Attorno a loro, sotto di loro, scorreva come un torrente continuo: i secchi d'acqua calda passati e svuotati d'un tratto, i rubinetti aperti dell'acqua fredda, che colavano dall'alto, gli schizzi delle mestole, gli sgocciolii dei panni risciacquati, le pozzanghere in cui sguazzavano; e tutto scivolava via in tanti piccoli ruscelli sulle lastre inclinate. E in mezzo alle grida, ai colpi cadenzati, allo scroscio mormorante come di pioggia, a quel clamore da temporale che andava soffocandosi contro il soffitto inumidito, la macchina a vapore, a destra, tutta imbiancata come da una sottile rugiada, sbuffava e brontolava senza tregua, con l'armoniosa trepidazione del suo volantino che sembrava regolare l'immensit di quel chiasso. Gervaise, a piccoli passi, seguiva il corridoio, gettando lo sguardo a destra e a sinistra. Portava l'involto della biancheria sotto il braccio, l'anca un po' rialzata, zoppicando pi del solito, in mezzo al viavai delle lavandaie che la urtavano da ogni parte. Ehi, da questa parte, piccola!, grid il vocione della signora Boche. Poi, quando la giovane l'ebbe raggiunta, a sinistra, proprio in fondo, la portinaia, che stava sfregando energicamente un

calzino, cominci a parlare con frasi veloci, senza lasciare il suo lavoro. Mettetevi l, vi ho tenuto un posto... Oh! non ne ho per molto. Boche sporca cos poco la sua biancheria... E voi? Neanche per voi andr troppo per le lunghe, vero?... davvero piccolo, il vostro involto. Prima di mezzogiorno, avremo finito e potremo andare a mangiare... Un tempo, davo la mia biancheria a una lavandaia di rue Poulet, ma me la rovinava tutta a forza di cloro e colpi di spazzola. Allora ho deciso di lavarmela da sola. tanto di guadagnato. Costa solo il prezzo del sapone... Ma dite un po', ecco delle camicie che avreste dovuto mettere a mollo. Questi sporcaccioni di bambini, in fede mia, sembrano avere della fuliggine sul didietro!. Gervaise sciolse il suo involto, dispieg le camicie dei bambini. E poich la signora Boche le consigliava di prendere un secchio d'acqua di liscivia, rispose: Oh! no, baster l'acqua calda... So il fatto mio. Aveva gi separato la biancheria, mettendo da parte i pochi capi colorati. Poi, dopo aver riempito il suo mastello con quattro secchi d'acqua fredda, presa al rubinetto che era dietro di lei, vi immerse il mucchio di panni bianchi, e rialzandosi la sottana fino a stringersela fra le cosce, entr in una specie di bidoncino, sistemato per il dritto, che le arrivava fino al ventre. Sapete il fatto vostro, vero?, ripet la signora Boche. Facevate la lavandaia al vostro paese, cos, piccola?. Gervaise, con le maniche rimboccate a mostrare le sue belle braccia da bionda, ancora giovani, appena arrossate sui gomiti, cominciava a mettere in ammollo la sua biancheria. Dopo aver disteso una camicia sull'assicella della batteria, corrosa e imbiancata dall'usura dell'acqua, la sfregava con il sapone, la rigirava, la sfregava dall'altro lato. Prima di rispondere, impugn la sua mestola, si mise a battere, gridando queste frasi, punteggiandole con colpi secchi e cadenzati: S, si, lavandaia... A dieci anni... Sono passati dodici anni da allora... Andavamo al fiume... C'era un odore pi buono che qui... Avreste dovuto vedere, c'era un angolo sotto gli alberi... con dell'acqua limpida che scorreva... Sapete, a Plassans... Non conoscete Plassans?... vicino a Marsiglia?. Forte come una bestia!, esclam la signora Boche, meravigliata dall'energia di quei colpi di mestola. Che briccona! Schiaccerebbe il ferro con quelle sue braccine da signorina. La conversazione continu ad alta voce. La portinaia, a volte, era costretta a protendersi di pi, non riuscendo a sentire. I panni bianchi vennero battuti, e con che forza! Gervaise li rimise nel mastello, li riprese uno a uno per sfregarli una seconda volta con il sapone e strigliarli. Con una mano, teneva fermo il capo di biancheria sulla batteria, mentre con l'altra, che stringeva il corto bruschino di gramigna, faceva uscire dal panno una schiuma sporca, che scivolava in lunghe colate. Allora, nel minimo rumore del bruschino, si fecero pi vicine, chiacchierarono in modo pi intimo. No, non siamo sposati, riprese Gervaise. Non me ne vergogno. Lantier non cos garbato da far desiderare di essergli moglie. Se non ci fossero i bambini, allora!... Avevo

quattordici anni e lui diciotto, quando abbiamo avuto il primo. L'altro venuto quattro anni dopo... successo come succede sempre, lo sapete anche voi. Non ero felice in casa nostra. Pap Macquart, per un nonnulla, era capace di prendermi a calci nelle reni. E allora, proprio vero, uno cerca di divertirsi un po' fuori... Ci saremmo anche sposati, ma i nostri genitori, chiss poi perch, non hanno voluto. Scosse le mani, che si facevano rosse sotto la schiuma bianca. L'acqua davvero fredda, a Parigi, disse. La signora Boche continuava a lavare, ma lentamente. S'interrompeva, facendo durare pi a lungo il suo bucato, per rimaner l a conoscere quella storia che da quindici giorni tormentava la sua curiosit. Nel suo gran faccione, la bocca era quasi spalancata e gli occhi, a fior di testa, scintillavano. Pensava fra s, soddisfatta d'aver indovinato: Gi, la poverina chiacchiera troppo. Ci deve essere stato qualche battibecco. Poi, ad alta voce: Dunque, non si comporta bene con voi?. Non me ne parlate!, rispose Gervaise. Finch stavamo l, andava tutto bene per me, ma da quando siamo arrivati a Parigi, non riesco pi a venire a capo di nulla... Dovete sapere che sua madre morta l'anno scorso, lasciandogli qualcosa come mille e settecento franchi. Aveva deciso di venire a Parigi. Allora, anche perch pap Macquart continuava a prendermi a schiaffi senza nemmeno degnarsi d'aprir bocca, ho acconsentito ad andarmene con lui. Abbiamo fatto il viaggio con i due bambini. Doveva mettermi su una bottega da lavandaia, e lui si sarebbe dedicato al suo mestiere di cappellaio. Saremmo stati felici... Ma, vedete, Lantier un ambizioso, uno spendaccione, un uomo che non si cura che del proprio divertimento. Non vale granch, insomma... Siamo scesi alla locanda Montmartre, in rue Montmartre. E poi stato tutto un susseguirsi di pranzi, carrozze, il teatro, un orologio per lui, un vestito di seta per me: perch non di cattivo cuore, quando ha del denaro... E tutto il resto, capite... In capo a due mesi, eravamo all'asciutto. Ed stato allora che siamo venuti ad abitare alla locanda Boncoeur e che cominciata questa vita maledetta.... S'interruppe, la gola improvvisamente serrata, trattenendo le lacrime. Aveva intanto finito di strigliare la biancheria. Devo andare a prendere dell'acqua calda, mormor. Ma la signora Boche, decisamente contrariata dall'interrompersi di quelle confidenze, chiam l'inserviente del lavatoio che stava passando. Mio caro Charles, siate gentile, andate a prendere un secchio d'acqua calda per la signora, che ha fretta. L'inserviente prese il secchio e lo riport pieno. Gervaise pag: veniva un soldo al secchio. Vers l'acqua calda nel mastello e insapon la biancheria un'ultima volta, con le mani, sporgendosi al di sopra della batteria, immersa in un vapore che intrecciava fili di fumo grigio al biondo dei suoi capelli. Tenete, metteteci un po' di soda, ce l'ho io,. disse gentilmente la portinaia.

E svuot nel mastello di Gervaise il fondo d'un sacchetto di carbonato di soda, che aveva portato con s. Le offr anche dell'acqua di candeggina, ma la giovane la rifiut: andava bene per le macchie di grasso e le macchie di vino. Lo si direbbe un po' donnaiolo, riprese la signora Boche, ritornando a Lantier pur senza nominarlo. Gervaise, piegata in due, le mani affondate e contratte nella biancheria, si limit a scuotere la testa. S, s, continu l'altra, mi sono accorta di tante piccole cose.... Ma poi cos protest vedendo l'improvvisto moto di Gervaise, che si era raddrizzata, pallidissima, fissandola in volto: Oh! no, non so nulla! Gli piace scherzare, credo, ecco tutto... Per esempio, le due ragazze che abitano da noi, Adle e Virginie, le conoscete, ebbene! si diverte con loro, ma non si spinge certo pi in l, ne sono sicura. La giovane, ritta davanti a lei, il volto madido di sudore, le braccia che grondavano, continuava a fissarla con uno sguardo fermo e profondo. Allora la portinaia si adombr, si picchi il petto dando la sua parola d'onore. Gridava: Non ne so nulla! Se vi dico che non ne so nulla!. Poi, calmandosi, aggiunse con voce mielata, come si parla a una persona per cui la verit non varrebbe nulla: A me sembra che abbia degli occhi onesti... Vi sposer, piccola, potrei scommetterci!. Gervaise si asciug la fronte con la mano bagnata. Poi, trasse dall'acqua un altro capo di biancheria, scrollando di nuovo la testa. Rimasero entrambe in silenzio per un momento. Attorno a loro, il lavatoio s'era calmato. Battevano le undici. Met delle lavandaie, sedute a cavalcioni sul bordo dei loro mastelli, con un litro di vino stappato ai loro piedi, mangiavano salsicce in pezzi di pane tagliati in due. Soltanto le massaie, venute a lavare i loro piccoli involti di biancheria, facevano in modo d'affrettarsi, guardando l'orologio a occhio di bue appeso al di sopra dell'ufficio. Si sentiva ancora qualche colpo di mestola, intervallato, fra le risate addolcite, fra le conversazioni che si perdevano in un rumore di ghiotte mascelle; mentre la macchina a vapore, marciando al suo solito passo, senza riposo n tregua, sembrava alzare la voce, vibrando, sbuffando, riempiendo l'immensit della sala. Ma nessuna delle donne l'ascoltava: era come il respiro stesso del lavatoio, un fiato ardente che ammassava sotto le travi del soffitto l'eterno e fluttuante vapore. Il calore si faceva intollerabile. Raggi di sole penetravano a sinistra dalle alte finestre, accendendo i vapori fumanti in strisce opalescenti d'un grigio rosato e d'un grigio azzurro tenuissimi. E poich alcune se ne lagnavano, Charles, l'inserviente, andava da una finestra all'altra, tirava delle tende di tela grossolana; quindi, passava dall'altro lato, dal lato dell'ombra, e apriva dei vasistas. Lo acclamavano, gli battevano le mani: c'era una grande allegria nell'aria. Ben presto, anche le ultime mestole rimasero mute. Le lavandaie, a bocca piena, non facevano altro che gesti con i coltelli aperti che stringevano in mano. Il silenzio era ormai tale che si sentiva regolarmente, proprio in fondo alla sala, il raspare della pala del fuochista che

prendeva il carbon fossile e lo gettava nel forno della macchina. Gervaise stava intanto lavando i suoi capi colorati nell'acqua calda e grassa di sapone che aveva conservato. Quando ebbe finito, trasse a s un cavalletto e vi sistem di traverso tutti i panni, che andavano formando a terra delle chiazze azzurrognole. Cominci a risciacquare. Alle sue spalle, il rubinetto dell'acqua fredda colava su un ampio mastello fissato al suolo e attraversato da due sbarre di legno, destinate a reggere la biancheria. Pi in alto, in aria, passavano altre due sbarre, su cui la biancheria finiva di sgocciolare. Siete quasi alla fine, per fortuna, disse la signora Boche. Mi trattengo anch'io per aiutarvi a strizzare. Oh! non ne vale la pena, vi ringrazio molto, rispose la giovane, che stava strofinando e disguazzando nell'acqua chiara i suoi capi colorati. Se fossero delle lenzuola, capirei!. Ma fu comunque costretta ad accettare l'aiuto della portinaia. Stavano strizzando insieme, ognuna da un capo, una sottana, una lanetta d'un orribile color marrone da cui veniva fuori un'acqua giallastra, quando la signora Boche esclam: Ma guarda un po', la bella Virginie!... Cosa mai verr a lavare, quella l, con i suoi quattro stracci in un fazzoletto?. Gervaise aveva risollevato energicamente la testa. Virginie era una giovane della sua et, pi alta di lei, bruna, graziosa nonostante un volto un po' troppo lungo. Portava un vecchio abito nero a balze e un nastro rosso al collo. Si era pettinata con cura, la crocchia stretta in una reticella di ciniglia azzurra. Per un momento rimase immobile in mezzo al corridoio centrale, strizzando gli occhi con l'aria di cercare qualcuno; poi, avendo visto Gervaise, le pass accanto tutta impettita, insolente, dimenando i fianchi, e and a sistemarsi nella stessa fila, a cinque mastelli di distanza. Ma guarda che capriccio!, riprese la signora Boche abbassando la voce. Non si lava mai neanche un paio di maniche... Ah! una gran fannullona, ve lo dico io! Una rammendatrice che non rammenda nemmeno i suoi stivaletti! come la sorella, la brunitrice, quella scioperata di Adle, che manca in officina due giorni su tre! Non se ne conoscono n il padre n la madre, non si sa bene di cosa vivano, e se solo si volesse parlare... Ma cosa sta strigliando? Ah! una sottogonna! Mi sembra davvero disgustosa, deve averne viste di porcherie, quella sottogonna!. |[continua]| |[CAPITOLO PRIMO, 2]| La signora Boche voleva evidentemente far cosa gradita a Gervaise. In realt, prendeva spesso il caff con Adle e Virginie, quando le due giovani avevano del denaro. Gervaise non rispondeva, cercava di sbrigarsi, con gesti febbrili. Aveva finito di fare il suo turchinetto in un piccolo mastello montato su tre piedi. Vi immergeva i capi di bianco, li agitava velocemente nell'acqua colorata, il cui riflesso andava assumendo una sfumatura di lacca; e dopo averli leggermente strizzati, li sistemava in fila sulle sbarre di legno, in alto. Nel portare a

termine il suo lavoro, volgeva con affettazione le spalle a Virginie. Ma ne sentiva le risatacce, ne avvertiva su di s gli sguardi obliqui. Virginie sembrava esser venuta con il solo scopo di provocarla. Per un attimo, essendosi Gervaise rigirata, si fissarono negli occhi a vicenda. Lasciatela perdere, mormor la signora Boche. Non vorrete finire per prendervi per i capelli... Se vi dico che non c' nulla! E poi non lei!. In quello stesso momento, mentre la giovane stava appendendo l'ultimo capo di biancheria, si sentirono delle risate alla porta del lavatoio. Ci sono due bambini che chiedono della mamma!, grid Charles. Tutte le donne si rigirarono verso la porta. Gervaise riconobbe Claude ed Etienne, che vedendola le corsero incontro, in mezzo alle pozzanghere, battendo sulle lastre i tacchi delle loro scarpe slacciate. Claude, il maggiore, teneva per mano il fratellino. Le lavandaie, al loro passaggio, lanciavano piccole grida di tenerezza, vedendoli un po' spaventati, eppure sorridenti. Si fermarono davanti alla madre, senza separarsi, alzando le loro bionde testoline. Vi manda pap?, domand Gervaise. Ma abbassandosi per riallacciare le scarpe di Etienne, s'accorse della chiave della camera con il suo numero di rame, che Claude teneva con un dito facendola dondolare. Toh! mi porti la chiave!, disse assai meravigliata. Come mai?. Il bambino, vedendo la chiave che aveva dimenticato al dito, sembr ricordarsi di qualcosa e grid con voce chiara: Pap se n' andato. andato a comprare da mangiare, e vi ha detto di venirmi a cercare qui?. Claude guard il fratello, esit, non sapendo pi che dire. Ma riprese d'un tratto: Pap se n' andato... saltato gi dal letto, ha messo tutte le sue cose nel baule, ha caricato il baule su una carrozza... Se n' andato. Gervaise, accovacciata, si risollev lentamente, il volto bianco, portandosi le mani alle guance e alle tempie, come se si sentisse la testa scoppiare. E non riusc a trovare che queste sole parole, ripetendole all'infinito con voce monotona: Ah! mio Dio!... ah! mio Dio!. ah! mio Dio!.... La signora Boche stava intanto interrogando a sua volta il bambino, eccitatissima nel trovarsi immischiata in quella storia. Coraggio, piccolino, racconta un po' meglio come stanno le cose... E stato lui a chiudere la porta e a dirvi di portare la chiave, vero?. E abbassando la voce, all'orecchio di Claude: C'era forse una signora nella carrozza?. Il bambino si confuse di nuovo. Ricominci la sua storia con aria trionfante: saltato gi dal letto, ha messo tutte le sue cose nel baule, se n' andato.... Quindi, lasciato libero dalla signora Boche, port il fratello

davanti al rubinetto, e si divertirono insieme a far scorrere l'acqua. Gervaise non riusciva nemmeno a piangere. Soffocava, poggiandosi con i fianchi contro il suo mastello, con il viso sempre stretto fra le mani. Era scossa da piccoli brividi. A tratti, se ne usciva in un lungo sospiro, mentre si premeva ancora pi forte i pugni sugli occhi, come per annullarsi nelle tenebre del suo abbandono. Era una voragine tenebrosa in cui le sembrava di precipitare. Via, piccola, che diamine!, mormorava la signora Boche. Se sapeste! Se sapeste!, disse Gervaise a bassa voce. Stamattina mi ha mandato al Monte dei pegni con il mio scialle e le mie camicie, e tutto per pagare la carrozza!. E pianse. Il ricordo di quella corsa al Monte dei pegni, precisando un fatto della mattinata, le aveva strappato quei singhiozzi che le si strangolavano in gola. Quella corsa era una vergogna, il dolore pi grande nella sua disperazione. Le lacrime le colavano sul mento, gi inumidito dalle mani, ma non si curava nemmeno di prendere il fazzoletto. Siate ragionevole, tacete, vi guardano, ripeteva la signora Boche, che le s'affacendava d'intorno. mai possibile star tanto male per un uomo!... Lo amate ancora, vero, mia povera cara? Poco fa, sembrava proprio che ce l'aveste con lui. E adesso, eccovi qua a piangere, a farvi scoppiare il cuore... Mio Dio, siamo davvero delle stupide!. Volle poi mostrarsi materna. Una bella ragazza come voi! Se me lo consentite... Vi posso raccontare tutto, adesso, vero? Ebbene! vi ricordate, quando sono passata sotto la vostra finestra, gi m'immaginavo qualcosa... Dovete sapere che stanotte, quando Adle tornata, ho sentito un passo d'uomo insieme al suo. Allora, ho cercato di sapere, ho guardato su per le scale. L'uomo era gi al secondo piano, ma ho ugualmente riconosciuto la redingote di Lantier. Boche, che stamattina stava di guardia, lo ha visto ridiscendere tranquillamente... Era con Adle, capite. Virginie ha adesso un signore da cui va due volte alla settimana. La faccenda non comunque molto pulita, perch hanno solo una camera e un'alcova, e non so proprio immaginare dove Virginie abbia potuto dormire. S'interruppe per un istante, si rigir, riprendendo poi con il suo vocione soffocante: Si diverte a vedervi piangere, quella donna senza cuore. Metterei la mano sul fuoco che il suo bucato tutta una commedia... Ha imbarcato gli altri due, ed venuta qui per raccontar loro il diavolo a quattro che farete. Gervaise scost le mani, guard. Quando vide davanti a s Virginie, in mezzo a un gruppo di tre o quattro donne che parlavano sottovoce, fissandola, fu colta da un furore incontenibile. Le braccia protese in avanti, cercando per terra, girandosi attorno, in un tremore di tutte le membra, avanz di qualche passo, trov un secchio pieno, l'afferr con entrambe le mani e lo lanci in aria svuotandolo in un getto. Baldracca!, grid la bella Virginie. Aveva fatto un balzo all'indietro, e soltanto i suoi stivaletti

s'erano bagnati. Il lavatoio, tutto in scompiglio da qualche istante per le lacrime della giovane, si stringeva ondeggiando per assistere alla battaglia. Alcune lavandaie, finendo di mangiare il loro pane, salirono sui mastelli; altre si precipitarono con le mani ancora piene di sapone. Si form un cerchio. Ah, che baldracca!, ripet la bella Virginie. Che diavolo le prende, a questa cagna arrabbiata!. Gervaise, immobile, il mento proteso, la faccia convulsa, non rispondeva, non avendo ancora la facilit di parola delle parigine. L'altra continu: Ecco qua! stanca di battere la provincia, non aveva nemmeno dodici anni e gi faceva da pagliericcio a tutta la soldataglia, ha lasciato una gamba al suo paese... caduta gi marcia, la gamba.... Si sentirono delle risate. Virginie, visto il successo, avanz di due passi, si sollev in tutta la sua imponente statura e grid pi forte: Coraggio! fatti un po' avanti, ti voglio proprio dare una bella lezione! Cos impari a venire a darci fastidio... E chi la conosce, poi, questa baldracca!... Per fortuna che non mi ha preso, altrimenti le avrei tirate su le sottane, pensate un po' che spettacolo! Che dica almeno cosa le ho fatto... Allora, puttana, cosa ti ho fatto?. Non parlate tanto, balbett Gervaise. Lo sapete bene... Hanno visto mio marito, ieri sera... E tacete, che mi vien voglia di strangolarvi, proprio cos!. Suo marito! Ah! questa s che bella!... Il marito della signora! Come se si potesse avere un marito con un grugno del genere!... Non colpa mia se ti ha mollato. Non sono stata io a portartelo via. Potete frugarmi addosso... Vuoi proprio che te lo dica? l'asfissiavi, quell'uomo! Era troppo carino per te... Ma gliel'avevi messo il collare, almeno?... Qualcuno ha trovato il marito della signora? Si offre una ricompensa.... Ricominciarono le risate. Gervaise, quasi sottovoce, si limitava a mormorare: Lo sapete bene, lo sapete bene... Vostra sorella, la strozzer, vostra sorella.... Ma s, va pure a stuzzicare mia sorella, riprese Virginie sogghignando. Ah! mia sorella! Certo, possibile, mia sorella ha sicuramente pi classe di te... Ma forse che la cosa mi riguarda? Non si pu nemmeno lavare la biancheria in pace! Lasciami stare, mi senti, ne ho abbastanza!. Ma fu lei a tornare alla carica, dopo aver dato cinque o sei colpi di mestola, inebriata dalle ingiurie, fuori di s. Tacque e ricominci cos a pi riprese: Ebbene! S, mia sorella. Beh, sei contenta?... Si vogliono tutti e due un bene dell'anima. Bisogna vederli come si sbaciucchiano!... E ti ha mollato con i tuoi bastardi! quei mostriciattoli con la faccia piena di croste! Uno dei due figlio d'una guardia, vero? e altri tre li hai fatti crepare per alleggerirti il bagaglio quando siete venuti qui. stato Lantier a raccontarcelo! Ah! ne dice delle belle sul tuo conto, non ne poteva pi della tua carcassa!. Puttana! puttana! puttana!, grid Gervaise fuori di s,

ripresa da un tremito incontenibile. Si volt, cerc per terra ancora una volta, e non trovando altro che il piccolo mastello, l'afferr per i piedi, gett l'acqua del turchinetto in faccia a Virginie. Disgraziata! m'ha rovinato il vestito!, strill l'altra, che aveva una spalla tutta bagnata e la mano sinistra tinta d'azzurro. Aspetta un po', troia!. Afferr a sua volta un secchio e lo rovesci sulla giovane. Cominci allora una magnifica battaglia. Correvano entrambe lungo le file dei mastelli, si impadronivano dei secchi pieni d'acqua, tornavano a rovesciarseli sulla testa. E ogni inondazione era accompagnata da uno scoppio di voce. Ormai anche Gervaise replicava: Prendi, sporcacciona!... Te lo sei beccato, questo. Ti rinfrescher il deretano!. Ah! brutto ronzino! Prendi questo per il tuo lerciume. Lavati almeno una volta nella vita!. S, s, ti voglio togliere il sale di dosso, gran baccal!. Eccone un altro!... Sciacquati i denti, fa la tua toeletta per quando stasera andrai a battere all'angolo di rue Belhomme!. Alla fine, andavano a riempire i secchi ai rubinetti. E mentre aspettavano che si riempissero, continuavano a scambiarsi sconcezze. I primi secchi, lanciati male, le sfioravano appena, ma ben presto vi fecero la mano. Fu Virginie la prima a riceverne uno in piena faccia: entrandole dal collo, l'acqua le col lungo la schiena e il petto, sgocciol sotto il vestito. Ne era ancora tutta stordita, quando un secondo secchio la colse di striscio, colpendola forte sull'orecchio sinistro e infradiciandole la crocchia, che si sciolse come una cordicella. Gervaise fu dapprima raggiunta alle gambe, un secchio le riemp d'acqua le scarpe, schizzandola fino alle cosce; altri due la inondarono ai fianchi. Alla fine non fu pi possibile valutare i colpi. Erano entrambe sgocciolanti dalla testa ai piedi, i corsetti appiccicati alle spalle, le sottane incollate sulle reni, stecchite, intirizzite, tremanti di freddo, colando da tutte le parti come degli ombrelli durante un acquazzone. Non sono per niente divertenti!, disse la voce roca d'una lavandaia. Ma il lavatoio si divertiva enormemente. Le donne si eran messe da parte, per non esser colpite dagli schizzi. In mezzo al rumore come di cascata che facevano i secchi svuotati al volo, si sentivano degli applausi, delle prese in giro. Per terra, s'allargavano delle pozzanghere, e le due donne vi sguazzavano fino alle caviglie. Intanto Virginie, immaginando un colpo a tradimento, s'era impadronita d'un secchio d'acqua di liscivia bollente, che una delle sue vicine aveva domandato. E lo gett: ci fu un grido. Si pens che Gervaise ne fosse rimasta ustionata, ma solo il piede sinistro s'era leggermente scottato. Allora, esasperata dal dolore, con tutte le sue forze, senza nemmeno riempirlo, lanci un secchio fra le gambe di Virginie, che cadde. Tutte le lavandaie parlavano insieme. Le ha rotto una zampa!. Diamine! l'altra voleva farla cuocere!. Beh, dopo tutto la bionda ha ragione, se le hanno portato

via il suo uomo!. La signora Boche levava le braccia al cielo, lanciandosi in esclamazioni. Si era nascosta prudentemente fra due mastelli, mentre i due bambini, Claude ed Etienne, piangendo a singulti soffocati, impauriti, le si aggrappavano alle sottane con un unico grido continuo: Mamma! mamma!, che si spezzava fra i singhiozzi. Vedendo Virginie a terra, la signora Boche si precipit, tir Gervaise per le sottane, ripetendo: Basta, andatevene! Siate ragionevole!... Ho il sangue tutto rimescolato, parola mia! Non s' mai visto un simile massacro!. Ma fu costretta a indietreggiare, e torn a ripararsi fra i due mastelli con i bambini. Virginie s'era gettata alla gola di Gervaise. La stringeva al collo, cercava di strangolarla. Con un violento scossone, Gervaise riusc a liberarsi, s'appese alla coda della sua crocchia, come se avesse voluto strapparle la testa. La battaglia ricominci, questa volta muta, senza un grido, senza un'ingiuria. Non s'afferravano al corpo, ma miravano alla faccia con le mani aperte e adunche, pizzicando e graffiando dovunque arrivassero. Il nastro rosso e la reticella di ciniglia azzurra della bella bruna vennero strappati, e il suo corsetto, lacerato all'altezza del collo, ne lasci vedere la pelle in alto sulla spalla; mentre la bionda, seminuda, con una manica della camiciola bianca cavata via chiss come, aveva uno squarcio nella camicia che le metteva a nudo la piega della vita. Volavano in aria brandelli di stoffa. Gervaise fu la prima su cui si vide il sangue, tre lunghi graffi che le scendevano dalla bocca al mento. E cerc allora di proteggersi gli occhi, chiudendoli ad ogni colpo, per paura d'essere accecata. Virginie non sanguinava ancora. Gervaise mirava alle orecchie, s'infuriava non riuscendo a raggiungerle. Poi finalmente riusc a stringere uno degli orecchini, una pera di vetro giallo, tir a s con forza, lacer l'orecchio: ne usc del sangue. Si uccidono! Separate quelle scimmie!, gridarono in molte. Le lavandaie s'eran fatte pi vicine. Si formarono due schieramenti: le une incitavano le due donne come cagne che si battono, mentre le altre, pi nervose, tutte tremanti, volgevano il capo, ne avevano abbastanza, ripetevano che avrebbero finito per sentirsi male. E manc poco che la battaglia non si facesse generale: si trattavano l'un l'altra da senza cuore, da buone a nulla; le braccia nude si protendevano, si sent il suono di tre schiaffi. La signora Boche cercava intanto l'inserviente del lavatoio. Charles! Charles!... Ma dove s' ficcato?. Lo trov finalmente in prima fila, che guardava a braccia incrociate. Era alto e poderoso, con un collo enorme. Rideva, godendo alla vista dei pezzi di pelle che le due donne mostravano. La piccola bionda era grassoccia come una quaglia: sarebbe stato divertente, se la camicia le si fosse rotta! Toh!, mormor ammiccando, ha una voglia sotto il braccio!. Come! Siete qui!, grid la signora Boche scorgendolo. Ma aiutatemi invece a separarle... Voi potete certo separarle!. Ah, no! grazie! se devo farlo da solo!, rispose l'altro tranquillamente. Per farmi graffiare gli occhi come l'altro

giorno, vero? Non son qui per questo, avrei troppo da fare... Ma non abbiate paura! Un piccolo salasso non pu far loro che del bene. Le far pi tenere. La portinaia minacci allora d'andare a chiamare le guardie. Ma la padrona del lavatoio, la giovane delicata e dagli occhi malati, vi si oppose formalmente. Ripet a pi riprese: No, no, non voglio, comprometterebbe il mio esercizio. In terra, la lotta continuava. Virginie si risollev di colpo sulle ginocchia. Aveva preso una mestola, la brandiva. La sua voce era cambiata, e rantolava: Attenta a te, cagna! Fammi un po' vedere la tua biancheria sporca!. Gervaise allung velocemente una mano, afferr a sua volta una mestola, la tenne levata in alto come una mazza. Anche la sua voce s'era fatta pi roca. Ah! vuoi fare un gran bucato... Mostrami la pelle, che ne voglio fare degli strofinacci!. Rimasero per qualche attimo in ginocchio, a minacciarsi. Con i capelli sul viso, il petto affannoso, inzaccherate, tumefatte, si sorvegliavano, attendendo, riprendendo fiato. Gervaise assest il primo colpo: la sua mestola scivol sulla spalla di Virginie. Si gett allora di lato per evitare la mestola dell'altra, che le sfior l'anca. Poi, preso l'abbrivio, cominciarono a battersi come le lavandaie battono la loro biancheria, con colpi forti e cadenzati. Quando riuscivano a colpirsi, l'impatto sembrava attutirsi, come quello di una mano in un mastello pieno d'acqua. Attorno a loro, le lavandaie avevano smesso di ridere. Molte erano andate via, dicendo che cose del genere le facevano star male allo stomaco; le altre, quelle che rimanevano, allungavano il collo, gli occhi infiammati da una luce crudele, trovavano coraggiose le due guerriere. La signora Boche aveva allontanato Claude ed Etienne, e si sentiva all'altra estremit della sala lo scoppio dei loro singhiozzi, insieme ai colpi sonori delle due mestole. Ma all'improvviso, Gervaise si mise a urlare. Virginie l'aveva colpita sul braccio nudo, poco pi in alto del gomito, e una macchia rossa affior, la carne si gonfi all'istante. Allora s'avvent. Sembrava che volesse accoppare l'altra. Basta! Basta!, qualcuna grid. Ma la sua espressione era cos terribile, che nessuna os avvicinarsi. Dieci volte pi forte di prima, Gervaise afferr Virginie alla vita, la pieg, le incoll la faccia contro le lastre, le reni in aria, e nonostante i suoi scossoni, le sollev per bene le sottane. Virginie aveva sotto un calzoncino. Gervaise le pass la mano nello spacco, lo strapp, mostr tutto, le cosce nude, le natiche nude, e levata in alto la mestola, cominci a battere, come batteva in altri tempi a Plassans, sul bordo della Viorne, quando la sua padrona lavava la biancheria di tutta la guarnigione. Il legno affondava nelle carni con un rumore soffocato, mentre a ogni colpo una striscia rossa marezzava il bianco della pelle. Oh! oh!, mormorava Charles, l'inserviente, esterrefatto, gli occhi sgranati. Si erano sentite di nuovo delle risate. Ma ben presto il grido:

Basta! basta! ricominci. Gervaise non ascoltava, n sembrava stancarsi. Si dedicava al suo lavoro con impegno, tutta protesa, con l'unica preoccupazione di non lasciare un solo punto intatto. Voleva tutta quella pelle battuta e ribattuta, un'unica lividura. E parlottava, colta da una feroce allegria, ricordando una canzone da lavandaia: Pam! pam! Margot va a lavare... Pam! pam! con la mestola a colpire... Pam! pam! va a lavarsi il cuore... Pam! pam! tutto nero dal dolore.... E riprendeva: E questo per te, questo per tua sorella, questo per Lantier... Quando li vedi, d loro questo da parte mia... Attenta! ricomincio... Questo per Lantier, questo per tua sorella, questo per te... Pam! pam! Margot va a lavare... Pam! pam! con la mestola a colpire.... Le dovettero strappare Virginie dalle mani. La bella bruna, il volto rigato di lacrime, imporporata, confusa, riprese la sua biancheria e si mise in salvo: era sconfitta. Gervaise si riaggiustava intanto la manica della camiciola, si risistemava le sottane. Il braccio la faceva soffrire, e preg la signora Boche di metterle la biancheria sulla spalla. La portinaia rievocava la battaglia, diceva le sue emozioni e voleva esaminarle il corpo, per controllare. Potreste anche avere qualcosa di rotto... Ho sentito un colpo.... Ma la giovane voleva soprattutto andarsene. Non rispondeva alle parole di compassione o alle ovazioni chiassose delle lavandaie che la circondavano, ritte nei loro grembiali. Quando ebbe il suo carico, s'affrett verso la porta, dove i bambini l'aspettavano. Sono due ore, fanno due soldi, le disse fermandola la padrona del lavatoio, gi reinstallata nello stanzino a vetri. Perch due soldi? Gervaise non capiva che le veniva richiesto il prezzo del posto. Ma diede poi i due soldi. E zoppicando visibilmente sotto il peso della biancheria bagnata appesa alla spalla, sgocciolante, il gomito illividito e la guancia insanguinata, se ne and trascinandosi dietro con le braccia nude Etienne e Claude, che le trotterellavano di fianco, ancora scossi e bagnati in volto dai loro singhiozzi. Alle sue spalle, il lavatoio ricominciava a rumoreggiare come un'enorme cascata. Le lavandaie avevano mangiato il loro pane, bevuto il loro vino, e battevano adesso ancora pi forte, i volti accesi, messe in allegria dai fieri colpi di Gervaise e Virginie. Lungo le file dei mastelli, si agitavano di nuovo in una furia di braccia profili angolosi di marionette dalle reni spezzate e dalle spalle sbilenche, che si piegavano violentemente come attorno a delle cerniere. Le conversazioni continuavano da un'estremit all'altra dei corridoi. Le voci, le risate, le parole volgari, si amalgamavano al frastornante gorgoglio dell'acqua. I rubinetti sputavano, i secchi spruzzavano d'intorno, un fiume scorreva sotto le batterie. Era la fatica del pomeriggio, la biancheria battuta a colpi di mestola. Nell'immensa sala, i vapori si facevano rossastri, lacerati soltanto da qualche squarcio tondeggiante di sole, come delle palle d'oro che le tende

strappate lasciavano passare. Si respirava il soffocante tepore degli odori saponosi. All'improvviso, il capannone si riemp d'un bianco vapore: l'enorme coperchio della tinozza in cui ribolliva la liscivia saliva meccanicamente lungo un fusto centrale a cremagliera, e la bocca spalancata del rame, in fondo alla sua muratura di mattoni, esalava turbini di fumo dal dolce sapore di potassa. Di fianco erano in funzione gli strizzatoi: a ogni giro di ruota della macchina, ansimante, fumante, che faceva vibrare ancora pi forte il lavatoio con il continuo lavoro delle sue braccia d'acciaio, i mucchi di biancheria nei cilindri di ghisa risputavano tutta la loro acqua. Entrando nel viale della locanda Boncoeur, Gervaise si rimise a piangere. Era un viale stretto e scuro, con un rigagnolo che costeggiava il muro, per le acque sporche. Nel ritrovare quel fetore, non pot non pensare ai quindici giorni che vi aveva passato con Lantier, quindici giorni di miseria e di litigi, il cui ricordo, in quel momento, era venato da un cocente rimpianto. Le sembr d'entrare nel suo stesso abbandono. In alto, la camera era nuda e piena di sole, con la finestra aperta. Quella striscia di sole, quello sprazzo ondeggiante di pulviscolo d'oro, faceva sembrare ancora pi tristi il soffitto annerito e le pareti dalla carta strappata. Rimaneva soltanto, appeso a un chiodo del camino, un piccolo fisci da donna, attorcigliato come una corda. Il letto dei bambini, tirato al centro della stanza, lasciava adesso libero il cassettone i cui cassetti, rimasti aperti, mostravano i loro fianchi vuoti. Lantier si era lavato e aveva finito la pomata, due soldi di pomata in una carta da gioco: l'acqua resa grassa dalle sue mani riempiva il catino. E non aveva dimenticato nulla, l'angolo occupato un tempo dal baule pareva a Gervaise un'immensa voragine. Non ritrov pi nemmeno lo specchietto rotondo, appeso alla spagnoletta della finestra. Ebbe allora un presentimento, and a guardare sul camino: Lantier aveva portato via anche le bollette, il mucchietto rosa non era pi fra i due candelieri di zinco spaiati. Dopo aver appeso la biancheria alla spalliera d'una sedia, rimase ritta in piedi, guardando i mobili, colpita da un tale stupore da non essere nemmeno in grado di piangere. Le restava un soldo dei quattro soldi tenuti da parte per il lavatoio. Sentendo poi ridere alla finestra Etienne e Claude, ormai consolati, si avvicin, ne prese le teste sotto il braccio, perse per un attimo ogni coscienza di se stessa davanti a quella strada grigia in cui aveva visto, la mattina, il risveglio del popolo operaio, l'immenso lavoro di Parigi. La via, riscaldata dall'affaccendarsi del giorno, s'accendeva adesso in un riverbero ardente al di sopra della citt, dietro il muro del dazio. Ed era appunto in mezzo a quella via, a quell'aria da fornace, che veniva gettata da sola con i bambini. E il suo sguardo prese d'infilata i boulevards esterni, a destra, a sinistra, indugiando alle due estremit, sentendosi cogliere da un sordo spavento, come se ormai la sua vita fosse destinata a svolgersi tutta l, fra un mattatoio e un ospedale. CAPITOLO SECONDO

Tre settimane pi tardi, verso le undici e mezza d'un bel giorno di sole, Gervaise e Coupeau, l'operaio zincatore, stavano mangiando insieme una prugna in acquavite all'Assommoir di pap Colombe. Coupeau, che fumava una sigaretta sul marciapiede, l'aveva obbligata ad entrare, dopo averla fermata mentre attraversava la strada, al ritorno da una consegna di biancheria; e la sua grande cesta quadrata da lavandaia era a terra accanto a lei, dietro il tavolino di zinco. L'Assommoir di pap Colombe si trovava all'angolo fra rue des Poissonniers e boulevard de Rochechouart. L'insegna portava da un capo all'altro e in lunghe lettere azzurre una sola parola: Distillazione. Sulla porta, in due mezzi fusti, si vedevano degli oleandri polverosi. L'enorme bancone s'allungava sulla sinistra di chi entrava, con le sue file di bicchieri, la fontana e i misurini di stagno, mentre la vasta sala tutt'attorno era adornata di grosse botti dipinte di giallo chiaro, luccicanti di vernice, con i cerchi e le cannelle di rame risplendenti. Pi in alto, su delle mensole, bottiglie di liquori, boccali di frutta, ogni sorta di fiale disposte in bell'ordine, nascondevano le pareti, riflettendosi nello specchio dietro al bancone con le loro macchie vivaci, verde mela, oro pallido, lacca tenera. Ma la curiosit della casa era, in fondo, dall'altro lato d'uno steccato di quercia, in un cortile a vetri, la macchina da distillazione, che gli avventori potevano veder funzionare: alambicchi dai lunghi colli, serpentine che s'inabissavano sottoterra, tutta una cucina del diavolo dinnanzi alla quale venivano a sognare gli operai ubriaconi. A quell'ora, l'ora del pranzo, l'Assommoir era in genere vuoto. Un omaccione sui quarant'anni, pap Colombe, in panciotto con maniche, stava servendo una fanciullina d'una decina d'anni, che gli domandava quattro soldi d'acquavite in una scodella. Una striscia di sole entrava dalla porta, scaldando il pavimento di legno sempre inzuppato dagli scaracchi dei fumatori. Dal bancone, dalle botti, da tutta la sala, veniva su un odore liquoroso, un fumo d'alcool, che sembrava inspessire e ubriacare il pulviscolo ondeggiante del sole. Coupeau si stava intanto arrotolando un'altra sigaretta. Aveva un aspetto assai pulito, con il suo camiciotto da lavoro e il piccolo berretto di tela azzurra; sorridendo, mostrava dei denti bianchissimi. Aveva la mascella inferiore un po' sporgente, il naso leggermente schiacciato, degli occhi belli e castani, e una faccia da cagnolino allegro e bonaccione. La sua folta capigliatura arricciata si manteneva perfettamente dritta. Conservava ancora la pelle delicata dei suoi ventisei anni. Dirimpetto a lui, Gervaise, in una casacchina d'orlans nera, a testa scoperta, stava finendo di mangiare la sua prugna, che reggeva in punta di dita per il gambo. Erano vicini alla strada, nel primo dei quattro tavolini schierati lungo le botti, davanti al bancone. Subito dopo aver acceso la sigaretta, lo zincatore s'appoggi con i gomiti sul tavolino, si protese con il volto e guard per un

attimo senza parlare la giovane, il cui grazioso viso di bionda aveva quel giorno una trasparenza lattea di fine porcellana. Poi, alludendo a una questione che solo loro due conoscevano, e che gi avevano dibattuto, domand semplicemente sottovoce: Allora, no? dite di no?. Oh! certo che no, signor Coupeau, rispose tranquillamente Gervaise sorridendo. Non vorrete parlarmi di queste cose proprio qui. M'avevate pur promesso d'essere ragionevole... Se l'avessi saputo, avrei rifiutato il vostro invito. L'altro non aggiunse una parola, ma continu a guardarla sempre da vicino, con il tenero ardimento di chi si offre, affascinato soprattutto dagli angoli delle sue labbra, piccoli angoli d'un rosa pallido, un po' inumiditi, che lasciavano vedere il rosso acceso della bocca, quando sorrideva. Gervaise non si faceva comunque indietro, restava placida e affettuosa. Dopo un breve silenzio, fu ancora lei a parlare: Davvero, non ci pensate pi. Sono una vecchia, ho un figlio grande di otto anni... Che cosa faremmo insieme?. Perdinci!, mormor Coupeau sbattendo gli occhi. Quello che fanno tutti gli altri!. Ma Gervaise ebbe un piccolo gesto di noia. Ah! se credete che sia sempre piacevole! Si vede proprio che non avete mai avuto una famiglia... No, signor Coupeau, devo occuparmi di faccende ben pi serie. Spassarsela non porta a nulla, sapete! Ho due bocche da sfamare, a casa, e macinano forte! Come volete che riesca a tirar su la mia piccola gente, se perdo tempo con le frivolezze?... E poi, sentite, la mia disgrazia mi servita da lezione. Capite, adesso gli uomini non fanno pi per me. Non mi lascer riacciuffare per un bel po'!. Si spiegava senza collera, con grande saggezza, freddissima, come se stesse trattando una questione di lavoro, i motivi che le impedivano, per esempio, d'inamidare un fisci. Era evidentemente convinta di quanto diceva, come se ci fosse arrivata dopo mature riflessioni. Coupeau ripeteva intenerito: Mi date un gran dolore, un gran dolore.... S, lo vedo, riprese Gervaise, e me ne dispiace per voi, signor Coupeau... Ma non dovete sentirvene ferito. Se mi venisse in mente di spassarmela, mio Dio! sarebbe certo con voi piuttosto che con un altro. Sembrate un gran bravo ragazzo, siete gentile. Ci potremmo mettere insieme, vero? e andrebbe avanti finch andrebbe avanti. Non mi do certo delle arie da principessa, non dico che non avrebbe potuto accadere... E poi, perch mai dovrei farlo, se non ne ho voglia?... Da quindici giorni vado dalla signora Fauconnier. I bambini vanno a scuola. Lavoro, sono contenta... E quindi? non forse meglio rimanere cos come siamo?. E si chin per riprendere la sua cesta. Mi fate chiacchierare troppo, dalla padrona mi stanno certo gi aspettando... Ve ne troverete un'altra, che diamine! signor Coupeau, e sicuramente pi carina di me, e che non abbia due marmocchi da tirar su. Coupeau guard l'orologio a occhio di bue inquadrato nello specchio. La fece rimettere a sedere, gridando:

Ma aspettate ancora un po'! Sono solo le undici e trentacinque... Ho ancora venticinque minuti... Non dovete aver paura ch'io faccia chiss quale sciocchezza: c' anche il tavolino che ci separa... Oppure vi disgusto a tal punto che non volete nemmeno fare quattro chiacchiere con me?. Pos di nuovo la sua cesta, per non fargli dispiacere, e parlarono da buoni amici. Gervaise aveva pranzato prima d'andare a consegnare la biancheria, Coupeau aveva mangiato in fretta un po' di zuppa e di carne di manzo, per attenderla al varco. Pur rispondendogli con compiacenza, la giovane continuava ad osservare attraverso i vetri, fra i boccali di frutta sotto spirito, la grande animazione della via, in cui l'ora del pranzo faceva concentrare uno straordinario accalcarsi di folla. Sui due marciapiedi, nella soffocante strozzatura delle case, era tutto un affrettarsi di passi, di braccia penzoloni, un continuo urtarsi di gomiti. Alcuni ritardatari, operai trattenuti al lavoro, i lineamenti induriti dalla fame, attraversavano la strada a grandi falcate, entravano dal panettiere di fronte, e quando ripassavano con la loro libbra di pane sotto il braccio, andavano tre porte pi in su, al Veau Deux Ttes, a consumare un pasto da sei soldi. Accanto al panettiere, c'era anche una fruttivendola che vendeva patate fritte e cozze al prezzemolo: in una fila ininterrotta, operaie in lunghi grembiali portavan via cartocci di patate e scodelle di cozze, mentre altre, delle graziose fanciulle a capo scoperto e dall'aria delicata, compravano mazzi di ravanelli. Piegandosi un po' di lato, Gervaise poteva anche vedere una bottega di pizzicagnolo stracolma di gente, da cui uscivano ragazzini che tenevano in mano, avvolta in una carta bisunta, una cotoletta impanata, una salsiccia o un pezzo di sanguinaccio caldo caldo. Intanto, lungo la strada sempre inzaccherata di nera fanghiglia, anche nei giorni di bel tempo, nello scalpiccio della folla che avanzava, alcuni operai abbandonavano gi le bettole, scendevano a bande, bighellonando, con le mani aperte che battevano contro le cosce, appesantiti dal cibo, placidi e lenti in mezzo agli spintoni di quella calca. S'era formato un gruppo davanti alla porta dell'Assommoir. Senti un po', Bibi-la Grillade, domand una voce arrochita, sta dunque a te d'offrire un giro d'acquavite?. Cinque operai entrarono, rimasero in piedi. Ah! quel ladro di pap Colombe!, riprese la stessa voce. Sapete, ne vogliamo di quella vecchia, e non gusci di noce, dei veri bicchieri!. Pap Colombe serviva imperturbabile. Sopraggiunse un altro gruppo d'operai. A poco a poco le loro casacche si ammucchiavano all'angolo del marciapiede, facevano una breve sosta, finivano per entrare nella sala, passando fra i due oleandri grigi di polvere. Siete una bestia! Non pensate ad altro che a quelle porcherie!, stava dicendo Gervaise a Coupeau. Certo che lo amavo... Ma dopo il modo orribile con cui mi ha lasciato.... Parlavano di Lantier. Gervaise non l'aveva pi rivisto, era convinta che vivesse alla Glacire insieme alla sorella di Virginie, presso l'amico che voleva impiantare una fabbrica di cappelli. Ma

nemmeno si sognava di corrergli appresso. Sulle prime, la cosa le aveva cagionato un gran dolore, aveva perfino pensato d'annegarsi; ma ormai se n'era fatta una ragione, e tutto andava per il meglio. Probabilmente con Lantier non sarebbe mai riuscita a tirar su i bambini, con tutto il denaro che quello si mangiava. Certo, poteva sempre venire ad abbracciare Claude ed Etienne, non gli avrebbe chiuso la porta in faccia. Ma quanto a lei, si sarebbe fatta fare a pezzi prima di lasciarsi toccare da lui anche solo con un dito. E diceva tutte queste cose da donna ben determinata, mentre Coupeau, che non rinunciava al suo desiderio d'averla, volgeva tutto con fare scherzoso in oscenit, le faceva su Lantier delle domande anche assai crude, ma cos allegramente e con dei denti cos bianchi, che la giovane non pensava minimamente a lasciarsene ferire. Insomma, eravate voi a batterlo!, disse alla fine Coupeau. Oh! non siete certo buona! Prendete tutti a colpi di frusta!. Gervaise lo interruppe con una lunga risata. Del resto era vero, aveva pur preso a frustate quella gran carcassa di Virginie. Sarebbe stata cos felice, quel giorno, di strangolare qualcuno! E scoppi a ridere ancora pi forte, mentre Coupeau le raccontava che Virginie, umiliata dall'aver messo in mostra ogni parte di s, s'era decisa a lasciare il quartiere. Il viso di Gervaise conservava comunque una dolcezza infantile: spingeva innanzi a s le mani paffute, ripetendo che non avrebbe fatto male a una mosca; non conosceva le botte se non per averne gi ricevute molte in vita sua. Fin cos per parlare della sua giovinezza a Plassans. Non era certo il tipo da correre dietro agli uomini, gli uomini anzi l'annoiavano. Quando Lantier l'aveva presa, a quattordici anni, le era sembrato bello, perch lui si diceva suo marito, mentre a lei sembrava che giocassero a far gli sposini. Il suo unico difetto, assicurava, era quello d'essere fin troppo sensibile, di voler bene a tutti, d'entusiasmarsi per persone che le facevano poi mille angherie. Cos, quando amava un uomo, non stava a pensare alle sciocchezze, sognava soltanto di poter vivere sempre insieme, di poter essere sempre felice. E poich Coupeau sogghignava ricordandole i due figli, che non aveva certo trovato sotto un cavolo, gli diede dei buffetti sulle dita, e aggiunse che anche lei, naturalmente, era fatta dello stesso stampo delle altre donne, ma che tuttavia si aveva torto a credere le donne sempre intente a correr dietro a quelle cose: le donne pensavano alla famiglia, si facevano in quattro per la loro casa, e si coricavano troppo stanche, la sera, per non mettersi a dormire all'istante. Lei rassomigliava del resto alla madre, una gran lavoratrice, morta dalla fatica, che aveva fatto da bestia da soma a pap Macquart per pi di vent'anni. Era ancora un po' mingherlina, lei, mentre la madre aveva certe spalle da buttar gi le porte quando passava. Ma questo non contava, le rassomigliava soprattutto per la sua mania d'affezionarsi alle persone. Anche il fatto che zoppicava un po' le veniva da quella povera donna, che pap Macquart picchiava a sangue. Mille volte la madre le aveva raccontato delle notti in cui il padre, tornando a casa ubriaco, si mostrava d'una galanteria cos brutale da fracassarle le membra; e di certo lei doveva esser spuntata fuori in una di quelle notti, con la sua gamba in ritardo.

Oh! ma non quasi nulla, non si vede nemmeno, disse Coupeau per farle la corte. Gervaise sollev il mento: sapeva bene che invece si vedeva, a quarant'anni sarebbe stata rotta in due. Poi, dolcemente, con un piccolo sorriso: Avete proprio degli strani gusti, se amate una zoppa!. Allora Coupeau, sempre con i gomiti sul tavolino, facendosi ancora pi vicino con la faccia, cominci a farle dei complimenti con parole pi audaci, come per inebriarla. Ma Gervaise continuava sempre a rispondere di no con la testa, senza lasciarsi tentare, bench lusingata da quella voce carezzevole. Ascoltando, guardava all'esterno, sembrava interessarsi di nuovo alla folla che aumentava. Adesso, nelle botteghe deserte si stava dando un colpo di scopa; la fruttivendola ritirava la sua ultima padellata di patate fritte, mentre il pizzicagnolo rimetteva in ordine i piatti sparpagliati sul suo bancone. Da tutte le bettole uscivano frotte di operai: omaccioni con tanto di barba si spingevano l'un l'altro a manate, giocavano come ragazzini, con il frastuono delle loro grosse scarpe chiodate, graffiando il selciato in una scivolata; altri, con le mani affondate nelle tasche fumavano con aria pensosa, gli occhi rivolti verso il sole, le palpebre che sbattevano. Era una vera invasione del marciapiede, della carreggiata, dei rigagnoli, un flusso pigro che scorreva dalle porte aperte, si fermava in mezzo alle carrozze, formava una scia di casacche, di camiciotti e di vecchi cappotti; e tutto impallidiva e si scoloriva sotto la striscia di luce bionda che prendeva d'infilato la via. Si sentivano suonare in lontananza le campane delle officine; ma gli operai non s'affrettavano, riaccendevano le pipe, rialzavano le spalle, e dopo essersi richiamati a vicenda da un vinaiolo all'altro, si decidevano a riprendere la via che li portava al lavoro, strascicando i piedi. Gervaise si divert a seguire con lo sguardo tre operai, il primo alto e gli altri due bassi, che si voltavano indietro ogni dieci passi: finirono per scendere la via e vennero diritti all'Assommoir di pap Colombe. Ah! bene, mormor Gervaise, ecco tre veri fannulloni!. Toh!, disse Coupeau, quello alto lo conosco, MesBottes, un mio compagno. L'Assommoir si era riempito. Si parlava gridando, con scoppi di voce che squarciavano il grasso mormorio delle raucedini. Di quando in quando, dei pugni lasciati cadere sul bancone facevano tintinnare i bicchieri. Tutti in piedi, le mani incrociate sul ventre o dietro la schiena, i bevitori formavano dei piccoli gruppi, stretti gli uni agli altri; alcune compagnie, accanto alle botti, dovevano aspettare anche un quarto d'ora prima di poter ordinare il loro giro a pap Colombe. Come! quell'aristocratico di Cadet-Cassis!, si mise a gridare Mes-Bottes, dando una gran manata sulla spalla di Coupeau. Un bel signorino che si fa le sigarette con le cartine e ha certa biancheria!... Vogliamo dunque far colpo sull'amichetta, offrendole delle prelibatezze!. Eh! non mi scocciare!, rispose Coupeau, assai contrariato. Ma l'altro sghignazzava. Basta! siamo all'altezza della situazione, mio caro

buonuomo... I cafoni restano pur sempre dei cafoni, ecco!. E volse di nuovo le spalle, dopo aver lanciato un'orribile occhiata a Gervaise. La giovane si ritrasse alquanto spaventata. Il fumo delle pipe, l'acre sentore di tutti quegli uomini, montavano nell'aria satura di alcool. Si sentiva soffocare, scossa da piccoli colpi di tosse. Oh! che brutta cosa il bere!, disse sottovoce. E raccont che un tempo beveva l'anissette con la madre, a Plassans. Ma un giorno per poco non ne era morta, e la cosa l'aveva disgustata per sempre: adesso non sopportava pi nessun liquore. Vedete!, aggiunse indicando il suo bicchiere, ho mangiato la prugna, ma lascer il sugo, mi farebbe male. Nemmeno Coupeau riusciva a capire come si potessero bere tanti bicchieri pieni d'acquavite. Una prugna ogni tanto certo non poteva far male. Ma quanto all'acquavite, all'assenzio e a tutte le altre porcherie del genere, buona notte! davvero non se ne sentiva il bisogno. I suoi compagni potevano anche prenderlo in giro: lui continuava a rimanere sulla porta, quando quegli ubriaconi andavano a ficcarsi in qualche distilleria. Pap Coupeau, ch'era stato zincatore come lui, s'era sfracellato la testa sul selciato di rue Coquenard, un giorno di bisboccia, precipitando dalla grondaia del n. 25: un ricordo che, nella sua famiglia, li rendeva tutti sobri. Ogni volta che passava per rue Coquenard e rivedeva quel punto, avrebbe bevuto l'acqua dei rigagnolo piuttosto che mandar gi anche solo un bicchiere di vino offertogli gratis da qualche vinaiolo. E cos concluse: In un mestiere come il nostro, bisogna avere le gambe ben salde. Gervaise aveva ripreso la cesta, ma non si alzava: la teneva sulle ginocchia, con gli occhi smarriti, sognante, come se le parole del giovane operaio avessero risvegliato in lei chiss quali lontani pensieri di un'altra esistenza. E riprese a parlare, lentamente, senza nesso apparente: Mio Dio! non sono certo un'ambiziosa, non domando granch... Il mio ideale sarebbe di poter lavorare tranquillamente, aver sempre di che mangiare, un buco il pi possibile pulito per dormire, sapete! un letto, un tavolo e due sedie, nulla di pi... Ah! vorrei anche poter allevare come si deve i miei bambini, fare di loro dei bravi cittadini, se fosse possibile... Avrei anche un altro ideale: di non esser battuta, s, se mai rimettessi su famiglia, no, non mi piacerebbe certo d'essere battuta... Ecco tutto, vedete? ecco tutto.... Analizzava se stessa, interrogava i suoi desideri, non trovava null'altro di serio che la tentasse. Ma dopo una piccola esitazione, riprese: S, si pu alla fine desiderare di morire nel proprio letto... Dopo aver sfacchinato per tutta la vita, morirei volentieri nel mio letto, a casa mia. E si alz. Coupeau, che approvava con calore le sue aspirazioni, era gi in piedi, un po' in pensiero per l'ora. Ma non uscirono immediatamente. Gervaise, per semplice curiosit, volle andare a vedere, in fondo, oltre lo steccato di quercia, il grande alambicco di rame rosso, in piena attivit sotto i chiari

vetri del piccolo cortile; e lo zincatore, che l'aveva seguita, le illustr in che modo funzionava, indicandole con il dito i diversi pezzi dell'apparecchio, mostrandole la gigantesca storta da cui colava un limpido filo d'alcool. Con i suoi vasi dalla forma pi strana, le sue spirali senza fine di tubi, l'alambicco aveva un aspetto quanto mai cupo: non ne usciva nemmeno un soffio di fumo, si sentiva a malapena una sorta di respiro interiore, un russare sotterraneo. Sembrava la fatica notturna compiuta in pieno giorno da un lavoratore ombroso, possente e muto. Intanto Mes-Bottes, seguito dai suoi compagni, era venuto ad appoggiarsi con il gomito sullo steccato, nell'attesa che un angolo del bancone si liberasse. La sua risata rassomigliava allo stridere d'una puleggia male ingrassata: scrollava il capo, con gli occhi commossi e fissi sulla macchina fatta apposta per gli ubriaconi. Fulmini di Dio! com'era bella! C'era, in quel gran ventre di rame, di che rinfrescare l'ugola per almeno otto giorni. Avrebbe voluto che gli saldassero fra i denti uno dei capi della serpentina, per sentire l'acquavite ancora calda che lo riempiva, gli scendeva fino ai talloni, ancora, ancora, come un ruscelletto senza fine. Che diamine! non si sarebbe pi mosso da l: altro che i bicchierini piccoli come dei ditali di quell'avaraccio di pap Colombe! E i suoi compagni sogghignavano, dicevano che quel bestione di Mes-Bottes aveva perlomeno un modo tutto suo di parlare. Sordamente, senza una fiamma, senza nemmeno un guizzo nei riflessi spenti dei suoi rami, l'alambicco continuava a lavorare, lasciava colare il suo sudore d'alcool, simile a una sorgente lenta e ostinata che sembrava, a lungo andare, voler invadere tutta la sala, riversarsi sui boulevards esterni, inondare l'immensa fossa di Parigi. Gervaise, colta da un fremito, indietreggi; e si sforz di sorridere, mormorando: Lo so, sciocco, ma mi d i brividi, questa macchina... il bere mi d i brividi.... Poi, tornando sulla vagheggiata idea d'una perfetta felicit: Eh, non ho ragione? non sarebbe meglio cos: lavorare, aver sempre di che mangiare, avere un buco tutto per s, allevare i bambini, morire nel proprio letto.... E non essere battuta, aggiunse Coupeau allegramente. Ma certo non vi batterei io, se solo voi voleste, signora Gervaise... Non dovete aver paura, non bevo mai, e poi vi amo troppo... Allora, per stasera, ci terremo al caldo. Aveva abbassato la voce, le parlava quasi all'orecchio, mentre Gervaise si faceva strada spingendo la cesta in avanti. Ma disse ancora di no con la testa, a pi riprese. E tuttavia si voltava verso di lui, gli sorrideva, sembrava felice di sapere che l'altro non beveva. Certo, gli avrebbe detto volentieri di s, ma aveva giurato a se stessa di non rimettersi mai pi con un uomo. Guadagnarono alla fine la porta, uscirono. Alle loro spalle, l'Assommoir era ancora pieno e faceva arrivare fin sulla strada il frastuono delle voci arrochite e l'odore liquoroso dei giri d'acquavite. Si sentiva Mes-Bottes trattare pap Colombe da farabutto, accusandolo di avergli riempito il bicchiere soltanto a met. Lui era troppo per bene, un allocco, una vittima. Ah! accidenti! il capo poteva anche venirlo a stanare, lui non sarebbe tornato in officina, aveva la fiacca. E proponeva ai due

compagni d'andare al Petit Bonhomme qui tousse, una gran bella distilleria della barriera Saint-Denis, dove si poteva bere dell'alcool purissimo. Ah! si respira, disse Gervaise sul marciapiede. Ebbene! addio, e grazie, signor Coupeau... Torno subito a casa. S'incamminava gi lungo il boulevard, ma Coupeau, che le aveva preso la mano, non la lasciava andar via e ripeteva: Fate il giro insieme a me, passate per rue de la Goutted'Or... Non allungate nemmeno... Devo andare da mia sorella, prima di tornare al cantiere... Ci faremo compagnia. Gervaise fini per acconsentire, e risalirono insieme lungo rue des Poissonniers, fianco a fianco, senza nemmeno prendersi per il braccio. Coupeau le parlava della sua famiglia. La madre, mamma Coupeau, un tempo lavorante in panciotti, doveva adesso far la donna delle pulizie, per colpa degli occhi che le si andavano sempre pi indebolendo. Aveva appena compiuto sessantadue anni, il 3 del mese trascorso. Lui era il pi giovane. Una delle sue due sorelle, la signora Lerat, una vedova di trentasei anni, lavorava nei fiori e abitava in rue des Moines, a Batignolles. L'altra, di trent'anni, aveva sposato un fabbricante di catenelle, quell'acquacheta di Lorilleux. Era da quest'ultima che stava andando, in rue de la Goutte-d'Or. Abitava nel gran caseggiato a sinistra. Tutte le sere, mangiava in casa dai Lorilleux, era un risparmio per tutti e tre. Passava quindi da loro per avvertirli di non aspettarlo: quel giorno, era stato invitato da un amico. Gervaise, pur ascoltandolo, l'interruppe improvvisamente per domandargli sorridendo: E cos, vi chiamate Cadet-Cassis, signor Coupeau?. Oh!, rispose l'altro, un soprannome che mi hanno dato i compagni, perch prendo sempre del cassis, quando mi trascinano a forza da qualche vinaiolo... Sempre meglio chiamarsi Cadet-Cassis che Mes-Bottes, vero?. Certo, non male, Cadet-Cassis, conferm la giovane. E gli chiese poi del suo lavoro. Coupeau continuava a lavorare dietro il dazio, al nuovo ospedale. Oh! il lavoro non mancava davvero, non si sarebbe certo spostato da quel cantiere per tutto l'anno. C'erano metri e metri di grondaie! Sapete, disse, posso vedere la locanda Boncoeur, quando mi trovo lass... Ieri eravate alla finestra, vi ho fatto dei segni con le braccia, ma non mi avete visto. Si erano gi inoltrati di un centinaio di metri in rue de la Goutte-d'Or, quando Coupeau s'arrest, sollev lo sguardo e disse: Ecco la casa... Io sono nato qualche metro pi in l, al 22... Ma anche questo fabbricato un bell'ammasso di mura! All'interno grande come una caserma. Gervaise levava il mento in su, guardava la facciata. Visto dalla via, il caseggiato aveva cinque piani, e in ognuno si allineavano in fila quindici finestre, le cui scure persiane dalle stecche rotte conferivano un'aria di rovina e d'abbandono a quell'immensa estensione di mura. In basso, quattro botteghe occupavano il pianterreno: a destra del portone, la vasta sala d'una bettola scalcagnata; a sinistra, un carbonaio, un merciaio

e una venditrice di ombrelli. Il caseggiato sembrava ancor pi colossale innalzandosi fra due basse e miserabili costruzioni, praticamente incollate ad esso; e quadrato, simile a un blocco di calcina impastata grossolanamente, s'imputridiva e si sbriciolava sotto la pioggia, stagliandosi contro il cielo luminoso, al di sopra dei tetti pi vicini, con il suo enorme cubo grezzo, con le sue fiancate senza intonaco, color fango, in una interminabile nudit che faceva pensare ai muri d'una prigione, e su cui file e file d'addentellati sembravano mascelle caduche che sbadigliassero nel vuoto. Ma Gervaise guardava soprattutto il portone, un immenso portone rotondo che si elevava fino al secondo piano, dando luogo a un androne profondo, all'altra estremit del quale si riusciva a intravedere il pallido chiarore d'un grande cortile. Al centro dell'androne, lastricato come la strada, scorreva un rigagnolo che trasportava con s un'acqua d'un rosa tenuissimo. Entrate, coraggio, disse Coupeau, nessuno vi manger. Gervaise volle aspettarlo per strada. Nell'attesa, non pot resistere e s'inoltr sotto l'androne, fino alla guardiola del portinaio, che si trovava sulla destra. E l, sulla soglia, alz di nuovo lo sguardo. All'interno, le facciate avevano sei piani, quattro facciate regolari che racchiudevano l'ampio quadrato del cortile. Erano mura grigie, divorate da una lebbra gialla, rigate e sbavate dalla sgocciolatura dei tetti, e s'innalzavano completamente piatte dal selciato fino alle ardesie, senza una modanatura; solo i canali di scarico si curvavano a gomito all'altezza dei piani, dove i cassoni spalancati degli acquai mostravano la macchia della loro ghisa arrugginita. Le finestre prive di persiane lasciavano vedere i vetri nudi d'un verde glauco d'acqua torbida. Da alcune, spalancate, spenzolavano materassi a riquadri azzurri messi l a prendere aria; davanti ad altre, su corde tese, dei capi di biancheria asciugavano al sole, tutto il bucato d'una famiglia, le camicie dell'uomo le camiciole della donna, i pantaloncini dei bambini. A una finestra del terzo piano era steso un pannicello da neonato, tutto impiastricciato di lordura. Dall'alto in basso, le abitazioni troppo piccole esplodevano all'esterno, lasciando sfuggire brandelli della loro miseria da ogni apertura. In basso, servendo ogni facciata, una porta alta e stretta e senza rivestimenti di legno, come ritagliata nel gesso nudo, scavava un vestibolo screpolato in fondo al quale giravano i gradini infangati d'una scala con ringhiera di ferro. C'erano cos quattro scale, indicate con le prime lettere dell'alfabeto, dipinte sul muro. I pianterreni accoglievano immense officine chiuse da invetrate nere di polvere: fiammeggiava la fucina d'un magnano, si sentivano in lontananza i colpi di pialla d'un falegname, mentre vicino alla portineria un laboratorio di tintore lasciava colar fuori in grandi gorgoglii il rigagnolo d'un rosa tenuissimo che scorreva sotto l'androne. Insudiciato dalle pozze d'acqua colorata, dai trucioli, dai bruscoli di carbone, piantato ad erba sui bordi, fra le lastre sconnesse, il cortile era illuminato da un bagliore crudo, come tagliato in due lungo la linea su cui il sole si fermava. Dal lato dell'ombra, attorno alla fontana il cui rubinetto conservava una costante umidit a quella zona, tre gallinelle becchettavano il suolo, cercavano vermi di terra, con le loro zampe tutte

inzaccherate. E Gervaise, lentamente, vagabondava d'intorno con lo sguardo, scendeva dal sesto piano al lastricato, risaliva, sbalordita da quell'immensit, sentendosi al centro d'un enorme organismo vivente, nel cuore stesso d'una citt, interessandosi a quel caseggiato come se si trovasse di fronte a una gigantesca persona. Forse la signora sta cercando qualcuno?, grid insospettita la portinaia, affacciandosi alla porta della sua guardiola. La giovane le spieg allora che stava aspettando una persona. Ritorn sulla via poi, siccome Coupeau tardava, rivenne sui suoi passi, stranamente attirata, per guardare ancora. Il caseggiato non le sembrava affatto brutto. In mezzo agli stracci appesi alle finestre, ridevano angoli pi allegri, una violacciocca fiorita in un vaso, una gabbia di canarini da cui scaturiva un vivace cinguettio, specchi da barba che proiettavano nella profondit dell'ombra come degli splendori di stelle tondeggianti. In basso, un falegname cantava accompagnato dai sibili regolari del suo piallone, mentre nell'officina del magnano il frastuono dei martelli che battevano in cadenza dava vita a una sorta d'immenso argentino scampanio. Da quasi tutte le finestre aperte, sullo sfondo della miseria che si poteva intravedere, i bambini mostravano le loro testoline arruffate e sorridenti, le donne cucivano con i loro placidi profili chinati sul lavoro. Era l'ora in cui si riprendevano le faccende dopo il pranzo, nelle camere lasciate vuote dagli uomini che lavoravano fuori casa; l'ora in cui tutto il caseggiato riaffondava nel suo grande silenzio, interrotto esclusivamente dai rumori degli artigiani, dal monotono cullare di qualche ritornello, sempre lo stesso, ripetuto per ore e ore. Solo il cortile appariva un po' umido. Se Gervaise avesse abitato l, avrebbe voluto un alloggio sul fondo, dalla parte del sole. Aveva fatto cinque o sei passi, respirava l'odore sciapito delle case povere, un odore di polvere antica, di sudiciume irrancidito. Ma era pur sempre l'acre sentore delle acque della tintoria a dominare, e le sembrava allora che l'insieme puzzasse comunque meno che la locanda Boncoeur. E gi aveva scelto la sua finestra, una finestra nell'angolo di sinistra: c'era una cassetta piantata a fagioli di Spagna, i cui fragili steli cominciavano ad attorcigliarsi intorno a un piccolo pergolato di cordicelle. Vi ho fatto un po' aspettare, eh?, disse Coupeau, la cui presenza accanto a s Gervaise avvert all'improvviso. Fanno un sacco di storie quando non mangio da loro, anche perch oggi mia sorella aveva comprato del vitello. E poich la giovane aveva avuto un piccolo sussulto di sorpresa, continu guardandosi a sua volta d'intorno: Stavate osservando la casa. sempre tutta affittata da cima a fondo. Ci sono trecento inquilini, credo... Io stesso, se solo avessi dei mobili, avrei adocchiato una cameretta... Si potrebbe star bene qui, vero?. S, s potrebbe star bene, mormor Gervaise. A Plassans, nella via in cui abitavamo, non era certo cos affollato... Guardate com' carina quella finestra, al quinto piano, con i fagioli!. Allora, con tutta la sua ostinazione, Coupeau le domand

ancora se proprio non voleva. Una volta che avessero avuto un letto, avrebbero gi potuto dormir l. Ma Gervaise sfuggiva, si rifugiava correndo sotto l'androne, lo pregava di non ricominciare con le sue sciocchezze. La casa poteva anche crollare, e del resto non si sarebbe mai ficcata sotto le stesse coperte insieme a lui. Alla porta della bottega della signora Fauconnier, nel lasciarla, Coupeau riusc a trattenerle per un attimo la mano nella sua, e la giovane gliela abbandon in piena amicizia. La buona intesa fra Gervaise e l'operaio zincatore prosegu cos per due mesi. Coupeau la trovava davvero coraggiosa, vedendola ammazzarsi di lavoro, aver cura dei bambini e aver ancora le forze, la sera, per mettersi a cucire non importa quale straccio. Esistevano di sicuro delle donne poco per bene, amanti degli spassi, golose, ma, che diavolo! lei non era certo fatta di quella stoffa; prendeva la vita fin troppo sul serio! Allora Gervaise rideva, si scherniva con modestia. Per sua sventura, non era sempre stata cos saggia. E alludeva al suo primo parto, a quattordici anni, insisteva sui litri d'anisette scolati un tempo con la madre. L'esperienza la migliorava un po', ecco tutto. Si aveva torto ad attribuirle una forte volont, al contrario era debolissima, si lasciava trascinare da qualunque parte la si spingesse, per paura di far dispiacere a qualcuno. Il suo sogno era quello di poter vivere in mezzo a della gente onesta, perch le cattive compagnie, diceva, sono come una mazzata che rompe il cranio e schiaccia una donna in men che non si dica. Se pensava all'avvenire, le venivano i sudori freddi, e si paragonava a un soldo lanciato in aria e che ricade testa o croce, a seconda degli accidenti del suolo. Tutto ci a cui aveva assistito, i cattivi esempi suggeriti ai suoi occhi di bambina, le avevano dato una dura lezione. Ma Coupeau la prendeva in giro per le sue lugubri idee, la richiamava a tutto il suo coraggio, cercando nel frattempo di stringerla ai fianchi. La giovane lo respingeva, gli allungava dei piccoli schiaffi sulle mani, mentre l'altro protestava ridendo che, per essere una donna tanto debole, era pur sempre una difficile preda. Coupeau, di spirito allegro, non si preoccupava affatto dell'avvenire. Dopo un giorno veniva un altro giorno, perdinci! Purch si potesse sempre avere una cuccia e un po' di mangime! Il quartiere gli sembrava abbastanza come si deve, a parte una buona met degli ubriaconi da cui si sarebbe dovuto ripulire i rigagnoli. Non era un cattivo diavolo, era a volte capace di discorsi pieni di buon senso, aveva perfino una punta di vanit, fra i capelli una riga di lato sempre ben curata, delle belle cravatte, un paio di scarpe di vernice per la domenica. E oltre a tutto questo, una scioltezza e una sfrontatezza da scimmia, una buffoneria scherzosa da operaio parigino, una gran parlantina, un fascino che traspariva anche in quel suo grugno giovanile. Avevano finito per rendersi a vicenda una quantit di servigi, alla locanda Boncoeur. Coupeau andava a prenderle il latte, s'incaricava delle sue commissioni, portava gli involti di biancheria; e spesso, essendo il primo a tornare dal lavoro, accompagnava i bambini a spasso sul boulevard esterno. Gervaise, per contraccambiare tanta gentilezza, saliva a volte

nella minuscola cameretta in cui l'altro dormiva, proprio sotto i tetti, e gli metteva in ordine i vestiti, ricuciva i bottoni delle casacche, rammendava le giacchette di tela. Una gran familiarit andava consolidandosi fra di loro. La giovane non s'annoiava nemmeno per un istante, quando si trovava presso di lui, divertendosi alle canzoncine che Coupeau le ripeteva, a quell'eterno scherzare dei sobborghi di Parigi, per lei ancora cos sconosciuto. L'altro, a forza di strusciarsi contro le sue sottane, s'infiammava sempre di pi. Ma veniva sempre rimesso al suo posto, e con che decisione! Il che finiva per irritarlo. Continuava a ridere, ma con lo stomaco cos a mal partito, cos contratto, che la cosa non gli sembrava pi tanto divertente. Continuava a fare lo sciocco, non poteva incontrarla senza gridarle: A quando?. Gervaise capiva a cosa l'altro alludesse, e gli prometteva che la cosa sarebbe successa l'anno del mai. Allora lui la molestava, andava a trovarla con le pantofole in mano, come in un inizio di trasloco. Gervaise vi si divertiva, le sue giornate passavano piacevolmente, senza che le venisse mai d'arrossire, nonostante le continue allusioni licenziose in mezzo a cui Coupeau la faceva vivere. Purch non si mostrasse brutale, gli concedeva tutto. Soltanto una volta s'infuri: volendo prenderle un bacio con la forza, le aveva strappato una ciocca di capelli. |[continua]| |[CAPITOLO SECONDO, 2]| Verso gli ultimi giorni di giugno, Coupeau sembr perdere la sua allegria. Stava cambiando. Gervaise, allarmata da certi suoi sguardi, si barricava per la notte. Alla fine, dopo un broncio durato da domenica a marted, improvvisamente, la sera del marted, Coupeau venne a bussarle alla porta, verso le undici. Non voleva quasi aprirgli, ma la sua voce era cos dolce e tremante che fin per spostare il cassettone, spinto contro la porta. Quando fu entrato, le sembr ammalato, a tal punto lo vide pallido, gli occhi arrossati, il volto illividito. Restava in piedi, balbettando, scuotendo la testa. No, no, non era ammalato. Stava piangendo da due ore, lass, in camera sua, piangeva come un bambino, mordendo il guanciale per non farsi sentire dai vicini. Eran tre notti che non riusciva pi a chiudere occhio. Cos non poteva durare. Sentite, signora Gervaise, disse con la gola serrata, sul punto d'esser ripreso di nuovo dalle lacrime, bisogna farla finita, non vi sembra? Ci sposeremo. Lo voglio nel modo pi assoluto, sono deciso. Gervaise si mostr assai sorpresa. Era molto seria. Oh! signor Coupeau, mormor, che andate mai cercando? Non vi ho mai chiesto una cosa del genere, lo sapete bene... Non mi stava bene, ecco tutto... Oh! no, no, adesso una cosa seria, dovete riflettere, ve ne prego!. Ma l'altro continuava a scuotere la testa con un'espressione d'ostinata determinazione. Tutto era stato calcolato. Era sceso da lei perch aveva bisogno di passare una buona nottata. Non avrebbe certo voluto che risalisse in camera sua a piangere!

Bastava che dicesse di s, e non l'avrebbe pi tormentata, avrebbe potuto mettersi a letto tranquillamente. Voleva soltanto sentirla dire di s. Ne avrebbero riparlato meglio l'indomani. Ma non posso certo dire di s cos, su due piedi, rispose Gervaise. Non vorrei proprio che in seguito m'accusaste d'avervi spinto a compiere una sciocchezza... Vedete, signor Coupeau, fate davvero male ad ostinarvi. Non sapete nemmeno voi cosa sentite per me. Se non ci vedessimo per otto giorni, vi passerebbe, scommetto. Spesso gli uomini si sposano per una notte, la prima, e poi le notti si susseguono, i giorni s'allungano, tutta la vita, e si ritrovano alla fine profondamente disgustati... Sedetevi l, voglio parlare di tutto immediatamente. E cos, fino all'una del mattino, nella camera buia, al chiarore fumoso d'una candela che trascuravano di smoccolare, discussero del loro matrimonio, abbassando la voce per non svegliare i due bambini, Claude ed Etienne, che dormivano con il loro breve respiro, la testa sul medesimo guanciale. E Gervaise tornava sempre a loro, li mostrava a Coupeau: gli avrebbe portato davvero una gran bella dote! non se la sentiva proprio di mettergli sul groppone due marmocchi! E poi si vergognava soprattutto per lui: che avrebbero detto nel quartiere? L'avevano vista con il suo amante, conoscevano la sua storia; non sarebbe stato granch decoroso, se si fossero sposati in capo a nemmeno due mesi. A tutte quelle buone argomentazioni, Coupeau ribatteva alzando le spalle. Se ne fregava, lui, del quartiere! Lui non ficcava il naso negli affari degli altri, prima di tutto perch avrebbe avuto troppa paura di sporcarselo! Ebbene! s, anche se lei aveva avuto Lantier prima di lui, che c'era di male? Non faceva certo la vita, non si portava gli uomini in casa, come facevano tante altre donne anche pi ricche di lei. Quanto ai bambini, sarebbero cresciuti, li avrebbero allevati, perbacco! Mai avrebbe potuto trovare un'altra donna cos coraggiosa, cos buona, cos piena di tutte le virt. Ma nemmeno questo, in realt, contava: avrebbe anche potuto battere i marciapiedi, essere brutta, fannullona, ripugnante, avere una sfilza di bambini moccolosi, per lui non sarebbe cambiato nulla. La voleva. S, vi voglio, ripeteva picchiandosi il ginocchio con il pugno in un continuo martellare. Mi capite, vi voglio... C' poco da ribattere a una cosa del genere, mi sembra!. Gervaise a poco a poco si inteneriva. Si sentiva in preda a una sorta di debolezza del cuore e dei sensi, avvolta com'era dalla brutalit di quel desiderio. Ormai opponeva soltanto delle timide obiezioni: aveva le mani raccolte sulle sottane, il volto tutto soffuso di dolcezza. Da fuori, attraverso la finestra socchiusa, la bella nottata di giugno spirava aliti caldi che facevano fremere la candela, il cui lungo stoppino rossastro lentamente si carbonizzava. Nel gran silenzio del quartiere addormentato, si sentivano solamente i singhiozzi infantili d'un ubriaco sdraiato sulla schiena nel bel mezzo del boulevard, mentre in lontananza, in fondo a qualche trattoria, un violino rallegrava con una quadriglia popolaresca un festino di nozze prolungato, una musica cristallina, limpida e leggera come una frase d'armonica. Coupeau, vedendo la giovane a corto

d'argomenti, silenziosa e vagamente sorridente, le aveva afferrato le mani, l'attirava a s. Gervaise si trovava in una di quelle ore d'abbandono di cui tanto diffidava, vinta e troppo commossa per poter rifiutare qualcosa e far dispiacere a qualcuno. Ma lo zincatore non cap che la giovane era pronta a darsi: si limit a stringerle i polsi fin quasi a stritolarglieli, come per prendere possesso di lei, e a entrambi sfugg un sospiro a quel lieve dolore attraverso cui trovava sfogo tutta la loro tenerezza. Dite di s, vero?, domand Coupeau. Non mi tormentate, mormor la giovane. Lo volete veramente? ebbene, allora s.... Mio Dio! non staremo facendo una follia?. Coupeau s'era alzato. La prese per la vita e le schiocc un rude bacio sulla faccia, a casaccio. Poi, siccome quella manifestazione d'affetto aveva fatto fin troppo rumore, fu il primo a preoccuparsene, guard Claude ed Etienne, si mise a camminare a passi felpati, ad abbassare la voce. Zitti! dobbiamo essere prudenti, disse, non bisogna svegliare i bambini... A domani. E risal in camera sua. Gervaise, tutta tremante, rimase per quasi un'ora seduta sulla sponda del letto, senza nemmeno pensare a spogliarsi. Era commossa, trovava che Coupeau si era comportato in modo davvero onesto, anche perch a un certo punto aveva creduto di non aver pi scampo e che l'altro avrebbe finito per dormire l. L'ubriacone, da basso, sotto la finestra, gemeva adesso con un rantolo rauco da bestia braccata. In lontananza, il violino aveva smesso di suonare quella sua carola popolaresca. Nei giorni seguenti Coupeau cerc di convincere Gervaise a salire una sera in casa della sorella, in rue de la Goutte-d'Or. Ma la giovane, timidissima, confessava d'avere una gran paura per quella visita ai Lorilleux. S'era accorta facilmente fino a che punto lo zincatore temesse la famiglia. Ma non dipendeva certo dalla sorella, che non era nemmeno la maggiore. Mamma Coupeau avrebbe dato il suo consenso di tutto cuore: mai si sarebbe opposta al volere del figlio. Tuttavia, in famiglia, i Lorilleux erano ritenuti in grado di guadagnare fino a dieci franchi al giorno, il che dava loro una vera e propria autorit. Coupeau non avrebbe mai osato sposarsi, se per qualche motivo i Lorilleux non avessero accettato sua moglie. Ho parlato loro di voi, conoscono i nostri progetti, spiegava a Gervaise. Mio Dio! siete proprio una bambina! Venite stasera... Vi ho gi avvertito: mia sorella vi sembrer un po' sostenuta, e nemmeno Lorilleux in genere una persona piacevole. In realt, si sono un po' offesi, perch una volta sposato non manger pi a casa loro, e sar un risparmio in meno. Ma non importa, non vi metteranno di certo alla porta... Fatelo per me, assolutamente necessario. Queste parole non fecero che spaventare ancora di pi Gervaise. Un sabato sera, tuttavia, cedette. Coupeau venne a prenderla alle otto e mezzo. La giovane s'era vestita di tutto punto: un abito nero con uno scialle a palme gialle in mussolina di lana stampata, e una cuffia guarnita d'un piccolo merletto. In

sei settimane di lavoro aveva messo da parte i sette franchi dello scialle e i due franchi e cinquanta della cuffia; l'abito era un vecchio abito ripulito e rimodernato. Vi aspettano, le disse Coupeau mentre svoltavano l'angolo con rue des Poissonniers. Oh! cominciano a rassegnarsi all'idea di vedermi sposato. Stasera danno l'impressione di voler essere gentili... E poi, se non avete mai visto come si fanno le catenelle d'oro, vi divertirete di sicuro a guardare. Hanno un'ordinazione urgente per luned. Tengono dell'oro in casa?, domand Gervaise. Lo credo bene! ce n' dappertutto, sui muri, per terra!. Avevano nel frattempo oltrepassato il portone rotondo e attraversato il cortile. I Lorilleux abitavano al sesto piano, scala B. Coupeau le grid ridendo d'aggrapparsi saldamente alla ringhiera e di non mollarla pi. Gervaise alz gli occhi, sbatt le palpebre, scorgendo l'alta torre cava della tromba delle scale, illuminata da tre becchi a gas a ogni due piani; l'ultimo, proprio in cima, sembrava qualche stella tremolante in un cielo nero, mentre gli altri due proiettavano lunghi bagliori stranamente frastagliati sull'interminabile spirale dei gradini. Toh!, disse lo zincatore raggiungendo il pianerottolo del primo piano, si sente un bell'odore di zuppa di cipolle. Qualcuno sicuramente ha mangiato della zuppa di cipolle. La scala B, tutta grigia, sporca, con la ringhiera e i gradini bisunti, i muri graffiati e che mettevano a nudo il gesso, era infatti ancora tutta impregnata d'un penetrante sentore di cucina. Ad ogni pianerottolo, si aprivano corridoi risuonanti d'ogni genere di rumore, porte si spalancavano all'improvviso, pitturate di giallo, annerite attorno alla serratura dal grasso delle mani; e a livello delle finestre, i cassoni degli acquai esalavano un fetore umido, il cui lezzo si mescolava a quello pi acre della cipolla cotta. Dal pianterreno al sesto piano, non si sentivano altro che i rumori delle stoviglie, dei tegami che venivano risciacquati, delle casseruole che venivano grattate con i cucchiai per esser poi lucidate. Al primo piano, Gervaise intravide dallo spiraglio d'una porta, su cui la parola: Disegnatore, era scritta in grandi lettere, due uomini seduti a un tavolo davanti a un'incerata sparecchiata, che parlavano accanitamente in mezzo al fumo delle pipe. Il secondo e il terzo piano, gi pi tranquilli, lasciavano solo filtrare attraverso gli interstizi dei rivestimenti di legno la cadenza d'una culla, il pianto soffocato d'un bambino, il vocione d'una donna che scaturiva con un sordo mormorio d'acqua corrente, senza che fosse possibile distinguere anche solo una parola. E la giovane pot leggere dei cartellini inchiodati, su cui eran scritti dei nomi: Signora Caudron, cardatrice, e pi oltre: Signor Madinter, laboratorio d'imballaggio. Al quarto piano, stavano picchiandosi: un batter di piedi che faceva tremare tutto l'impiantito, mobili rovesciati, un fracasso orribile di bestemmie e di colpi. Il che non impediva ai vicini dirimpetto di giocare a carte, con la porta spalancata per avere un po' d'aria. Una volta raggiunto il quinto piano, Gervaise fu costretta a riprendere fiato: non era abituata a salire, e quel muro che non faceva altro che girare, quelle abitazioni appena intraviste una di seguito all'altra, le facevano

venire il mal di testa. Un'intera famiglia, del resto, occupava tutto il pianerottolo: il padre stava lavando i piatti su un piccolo fornello portatile, accanto all'acquaio, mentre la madre, appoggiata alla ringhiera, ripuliva il bambino prima di metterlo a dormire. Coupeau incoraggiava la giovane. Stavano per arrivare. E appena fu giunto al sesto piano, si rigir per aiutarla con un sorriso. Gervaise, con la testa in su, cercava di capire da dove provenisse quel filo di voce che sentiva fin dal primo gradino, chiaro e penetrante, che sovrastava tutti gli altri rumori. Si trattava d'una vecchierella che, proprio sotto i tetti, abbigliava cantando bambole da tredici soldi. La giovane riusc anche ad intravedere, mentre una bella ragazza rientrava con un secchio in una camera vicina, un letto disfatto su cui un uomo in maniche di camicia giaceva attendendo, stravaccato, con lo sguardo in aria: sulla porta, richiusa all'istante, un biglietto da visita scritto a mano indicava: Signorina Clmence, stiratrice. Arrivata in cima alle scale, con le gambe spezzate, il fiato corto, Gervaise ebbe la curiosit di sporgersi oltre la ringhiera: era adesso il becco a gas in basso a sembrare una stella, sul fondo dello stretto pozzo dei sei piani. E gli odori, la vita immensa e pulsante del caseggiato, giungevano fino a lei come in un unico respiro, le colpivano come una vampata di calore il volto inquieto, che s'arrischiava lass come sull'orlo d'un abisso. Ancora non ci siamo, disse Coupeau. Oh! un viaggio. Aveva preso a sinistra un lungo corridoio. Svolt due volte, la prima ancora a sinistra, la seconda a destra. Il corridoio sembrava farsi sempre pi lungo, si biforcava, stretto, sgretolato, scalcinato, illuminato a tratti da una debole fiammella di gas; mentre dalle porte tutte uguali, allineate come le porte di una prigione o di un convento, quasi tutte spalancate, s'intravedevano degli interni di miseria e di lavoro, che la calda serata di giugno riempiva come d'un vapore rossastro. Arrivarono alla fine a un'estremit del corridoio completamente immersa nel buio. Eccoci!, riprese lo zincatore. Attenzione! Tenetevi contro il muro, ci sono tre gradini. Gervaise avanz ancora d'una decina di passi, muovendosi con cautela nell'oscurit. Inciamp, cont i tre gradini. In fondo al corridoio, Coupeau aveva intanto sospinto una porta, senza nemmeno bussare. Un vivo chiarore si diffuse sul pavimento. Entrarono. La stanza era una specie di strozzatura, una sorta di budello che sembrava il prolungamento stesso del corridoio. Una cortina di lana scolorita, in quel momento tenuta sollevata da una cordicella, tagliava il budello in due. Il primo vano conteneva un letto sospinto sotto un angolo del soffitto mansardato, una stufa di ghisa rimasta ancora tiepida dall'ora di pranzo, due sedie, un tavolo e un armadio, a cui s'era dovuto segar via la cornice per farlo stare fra il letto e la porta. Nel secondo vano era installato il laboratorio: sul fondo, una stretta fucina con il mantice, a destra, una morsa fissata alla parete, sotto una scansia che reggeva ogni genere di ferraglia; a sinistra, vicino alla finestra, un piccolo banco da lavoro completamente ingombro di pinze, cesoie, seghe microscopiche, unte di grasso e sporchissime.

Siamo noi!, grid Coupeau portandosi fino alla cortina di lana. Ma dapprima non rispose nessuno. Emozionatissima, e soprattutto tutta sconvolta all'idea d'entrare in un luogo ricolmo d'oro, Gervaise si teneva dietro l'operaio, bofonchiando qualcosa, accennando con un piccolo movimento del capo a un saluto. Una lampada ardeva sul banco da lavoro, un braciere di carbone fiammeggiava nella fucina, e tutta quella luce rendeva ancora pi profondo il suo turbamento. Finalmente vide la signora Lorilleux: piccola di statura, rossiccia, abbastanza ben messa, stava tirando con tutto il vigore delle sue corte braccia, e con l'aiuto di una grossa tenaglia, un filo di metallo nero, che faceva poi passare nei fori d'una filiera fissata alla morsa. Davanti al banco da lavoro Lorilleux, altrettanto piccolo di statura ma con spalle ben pi gracili, manipolava con la punta delle pinze e con un'agilit da scimmia qualche lavoro cos minuto, che si perdeva fra le sue dita nodose. Fu il marito a sollevare per primo la testa, una testa dai capelli ormai radi, d'un pallore giallastro come di vecchia cera, lunga e sofferente. Ah! siete voi, bene, bene!, mormor. Dobbiamo fare in fretta, sapete. Non entrate nel laboratorio, sarebbe solo un fastidio. Restate nella camera. E torn a dedicarsi al suo minuto lavoro, con il volto di nuovo immerso nel riflesso verdastro d'un bulbo d'acqua, attraverso cui la lampada proiettava sulla sua opera un cerchio di viva luce. Prendi le sedie!, grid a sua volta la signora Lorilleux. Questa la signora, vero? Benissimo, benissimo!. Dopo aver arrotolato il filo, lo port alla fucina, e ravvivando il braciere con un largo ventaglio di legno, lo mise a ricuocere, per poi farlo passare negli ultimi fori della filiera. Coupeau spinse in avanti le sedie, e fece sedere Gervaise rasente la cortina. La stanza era cos stretta che non riusc a sistemarsi accanto a lei. Si mise a sedere alle sue spalle, protendendosi verso di lei in modo da mormorarle all'orecchio qualche spiegazione su quel lavoro. La giovane, un po' stranita a causa della bizzarra accoglienza dei Lorilleux, a disagio sotto i loro sguardi obliqui, sentiva come un ronzio nelle orecchie, che le impediva quasi d'ascoltare. La donna le sembrava assai pi vecchia dei suoi trent'anni, con quella sua aria arcigna, tutta in disordine, con i capelli rossastri arrotolati sulla camiciola slacciata. Quanto al marito, che aveva solo un anno di pi, le sembrava un vecchio dalle labbra sottili e crudeli, in maniche di camicia, con i piedi nudi infilati in un paio di pantofole scalcagnate. Ma ci che soprattutto la lasciava di sasso era la piccolezza del laboratorio, le pareti imbrattate, gli utensili di ferro scuriti, tutto quel nero sudiciume che s'accumulava in un'accozzaglia da rigattiere. Faceva un caldo terribile. Gocce di sudore imperlavano il volto verdognolo di Lorilleux, mentre la signora Lorilleux si decideva a sfilarsi la camiciola, rimanendo con le braccia nude e la camicia incollata ai seni cadenti. E l'oro?, domand Gervaise a mezza voce. I suoi occhi febbrili frugavano in ogni angolo, cercavano in mezzo a quel lerciume lo splendore che aveva sognato. Coupeau era scoppiato a ridere.

L'oro?, disse, tenete, eccolo, eccone ancora, ne avete anche sotto i piedi!. Aveva indicato nell'ordine il filo sottile che stava lavorando la sorella e un altro mucchietto di filo, simile a un gomitolo di fil di ferro, appeso al muro, accanto alla morsa; poi, mettendosi a quattro zampe, aveva raccolto da terra, sotto il tavolato che rivestiva il pavimento del laboratorio, uno scarto, un pezzetto di filo simile alla punta d'un ago arrugginito. Gervaise protestava: non poteva certo essere dell'oro, quel metallo nerastro e vile come il ferro! Coupeau dovette allora mordere lo scarto, farle vedere il graffio luccicante lasciato dai suoi denti. E ricominci con le spiegazioni: i padroni fornivano l'oro in filo tutto legato, i lavoranti lo passavano alla filiera per ottenerlo della grandezza voluta, avendo cura di farlo ricuocere cinque o sei volte durante l'operazione, perch non si rompesse. Oh! ci voleva polso e mestiere! La sorella impediva al marito di toccare le filiere, poich aveva la tosse. Quanto a lei, aveva una gran mano, l'aveva vista tirare l'oro sottile come un capello. Lorilleux, colto proprio in quel momento da un accesso di tosse, era tutto curvo sul suo sgabello. Nel pieno della crisi, volle comunque parlare e disse con voce soffocata, sempre evitando di guardare Gervaise, come per constatare la cosa esclusivamente fra s e s: Io faccio la colonna. Coupeau costrinse Gervaise ad alzarsi: poteva tranquillamente avvicinarsi, avrebbe visto meglio. Il fabbricante di catenelle diede il suo assenso con un grugnito. Dopo aver avvolto il filo preparato dalla moglie attorno a un mandrino, una sottilissima bacchetta d'acciaio, diede un leggero colpo di sega tagliando il filo tutt'attorno al mandrino, in modo che ogni giro finisse per formare una maglia. Poi sald. Le maglie venivano quindi messe su un grosso pezzo di carbone di legna. Lorilleux le inumidiva con una goccia di borace presa dal fondo d'un bicchiere rotto, che aveva sempre accanto a s, e finiva d'arroventarle sotto la lampada, alla fiamma orizzontale del cannello. Quando ebbe ottenuto in tal modo un centinaio di maglie, si rimise ancora una volta al suo lavoro minuto, appoggiandosi al bordo del tassello, una piccola asse che lo sfregamento delle sue mani aveva levigato. Piegava la maglia con una pinza, la stringeva da un lato, l'inseriva nella maglia superiore gi precedentemente sistemata, la riallargava con l'aiuto d'una punta. E tutto questo avveniva con costante regolarit: le maglie si succedevano alle maglie, e cos rapidamente che la catena s'allungava poco a poco sotto gli occhi di Gervaise, senza che a quest'ultima fosse possibile seguire e comprendere precisamente. Ecco, questa la colonna, disse Coupeau. Ci sono catenelle a giaco, catenelle a treccia, catenelle a corda, catenelle piatte. Ma questa la colonna. Lorilleux fa solo la colonna. Lorilleux fece un piccolo ghigno di soddisfazione. E grid, sempre continuando a stringere le maglie, invisibili fra le sue unghie nere: Ascolta, Cadet-Cassis!... Stamattina ho fatto un calcolo. Ho cominciato a dodici anni, d'accordo? Ebbene! vuoi sapere con

tutte le colonne che ho dovuto fare a che lunghezza sono arrivato fino ad oggi?. Sollev il pallido volto, strinse le palpebre arrossate. Ottomila metri, capisci! Due leghe!... Eh! ho fatto colonne per una lunghezza di due leghe! Quanto basta ad attorcigliare il collo a tutte le femmine del quartiere... E sai? la lunghezza continua ad aumentare. Spero di poter andare da Parigi a Versailles. Gervaise si era rimessa a sedere, delusa: le sembrava tutto cos brutto! Sorrise per far piacere al Lorilleux. Quello che soprattutto l'infastidiva era il silenzio tenuto sul suo matrimonio, su una faccenda cos importante per lei, senza la quale non si sarebbe mai sognata di venire fin l. I Lorilleux continuavano a trattarla come una ficcanaso importuna portata da Coupeau. Ed essendosi finalmente avviata una conversazione, questa s'aggir esclusivamente sugli inquilini del caseggiato. La signora Lorilleux domand al fratello se aveva sentito, salendo, quelli del quarto piano che si picchiavano. Quei Bnard se le davano di santa ragione tutti i giorni: il marito tornava a casa ubriaco come un porco, ma anche la moglie aveva i suoi torti, gridava delle cose disgustose. Si parl poi del disegnatore del primo piano, quello spilungone di Baudequin, uno tutto fasullo e mangiato vivo dai debiti, che non faceva altro che fumare ed alzare la voce con i suoi compagni. L'impresa d'imballaggio del signor Madinier andava avanti zoppicando: il padrone aveva perfino licenziato due operai il giorno prima, e sarebbe stata una vera manna dal cielo se fosse andato in malora, perch si stava mangiando tutto, lasciava i figli con il culo per terra. La signora Gaudron era bravissima a cardare i materassi, ma finiva sempre per trovarsi incinta, anche adesso, il che in fin dei conti era quasi indecente, alla sua et. Il proprietario aveva appena dato lo sfratto ai Coquet, quelli del quinto piano: gli dovevano gi tre trimestri, e si ostinavano ad accendere il fornello sul pianerottolo; tanto che il sabato precedente la signorina Remanjou, la vecchia dei sesto piano, portando gi le sue bambole, era scesa appena in tempo per impedire che il piccolo Linguerlot finisse per ritrovarsi con il corpo tutto bruciato. Quanto alla signorina Clmence, la stiratrice, si comportava come si comportava, ma non si poteva accusarla d'altro, adorava gli animali, aveva un cuor d'oro! Eh! davvero un peccato che una cos bella ragazza se la facesse con tutti gli uomini! Una notte l'avrebbero incontrata su qualche marciapiede, poco ma sicuro! Toh, eccone una, disse Lorilleux alla moglie, passandole il pezzo di catenella a cui stava lavorando dall'ora di pranzo. Puoi raddrizzarla. E aggiunse, con l'insistenza di chi non abbandona troppo facilmente una facezia: Ancora quattro piedi e mezzo... Il che m'avvicina sempre di pi a Versailles. La signora Lorilleux, dopo averla fatta ricuocere, stava adesso raddrizzando la colonna facendola passare alla filiera di taratura. La mise poi in una piccola casseruola di rame dal lungo manico, piena d'una soluzione acquosa d'acido nitrico, e la decap al fuoco della fucina. Nuovamente sospinta da Coupeau,

Gervaise fu costretta a seguire anche quest'ultima operazione. Una volta decapata, la catenella appar d'un rosso scuro. Era finita, pronta per esser consegnata. Le catenelle vengono consegnate cos, grezze, spieg ancora lo zincatore. Ci sono poi delle lustratrici che le sfregano con un panno. Gervaise si sentiva ormai venir meno ogni coraggio. Il calore era sempre pi forte e la soffocava. La porta doveva esser tenuta comunque chiusa, perch la minima corrente d'aria faceva raffreddare Lorilleux. Allora, tanto pi che si continuava a non parlare del loro matrimonio, la giovane ebbe voglia d'andarsene, tir leggermente per il vestito Coupeau. Questi cap all'istante. Del resto, cominciava a sua volta a sentirsi imbarazzato e offeso da quel silenzio ostentato. Bene, ce ne andiamo, disse. Vi lasciamo lavorare. Mosse un po' i piedi, attese, come sperando in una parola, in una piccola allusione. Alla fine si decise a intavolare egli stesso l'argomento. Ascoltate, Lorilleux, contiamo su di voi, sarete il testimone di mia moglie. Il fabbricante di catenelle sollev la testa, si mostr sorpreso, sogghign brevemente, mentre la moglie, lasciando le filiere, veniva a piantarsi al centro del laboratorio. Ma allora una cosa seria!, mormor Lorilleux. Questo benedetto Cadet-Cassis, non si capisce mai quando fa per scherzo o sul serio!. Ah! s, la signora la persona in questione, disse a sua volta la moglie squadrando Gervaise. Mio Dio! non possiamo certo darvi dei consigli... una strana idea, comunque, quella di sposarsi. Ma insomma, se la cosa sta bene a tutti e due... Quando non funziona, non bisogna prendersela che con se stessi, ecco tutto. E non che funzioni tanto spesso, no, non tanto spesso, non tanto spesso.... La voce le si spense su queste ultime parole, quindi scosse la testa, come per esaminare Gervaise dalla faccia alle mani, ai piedi, quasi avesse voluto spogliarla per studiarle perfino i grani della pelle. Probabilmente le sembr migliore di quello che aveva creduto. Mio fratello liberissimo di fare quello che vuole, continu in un tono pi infiammato. Certo, la famiglia avrebbe forse desiderato... Si fanno sempre dei progetti. Ma le cose cambiano poi in un modo cos imprevedibile... Comunque, non voglio perdermi in discussioni. Anche se ci avesse portato la feccia della feccia, gli avrei detto: "Sposala, e lasciami in pace...". Ma qui da noi non si trovava poi tanto male. bene in carne, si vede che non digiunava. E c'era sempre per lui una zuppa ben calda, fatta l per l... Di' un po', Lorilleux, non ti sembra che la signora rassomiglia a Thrse, sai di chi sto parlando, quella dirimpetto a noi che morta di mal di petto?. S, vagamente, rispose il fabbricante di catenelle. E avete due bambini, signora?, Ah! di questo, per esempio, ho parlato con mio fratello, gli ho detto: "Non capisco proprio come tu possa sposare una donna che ha due figli...". Non dovete offendervi, se penso anche al suo interesse: del tutto

naturale... E poi, non avete l'aria d'essere troppo robusta... Non vero, Lorilleux, che la signora non ha l'aria d'essere troppo robusta?. No, no, non mi sembra robusta. Non parlarono della sua gamba. Ma Gervaise capiva, da come la guardavano obliquamente e da come stringevano le labbra, che proprio a quella gamba intendevano fare allusione. Restava davanti a loro, stretta nel suo scialletto a palme gialle, rispondendo a monosillabi quasi si trovasse dinanzi a qualche giudice. Coupeau, vedendo che soffriva, fin per gridare: Tutto ci non c'entra nulla... Fra quel che voi dite e il niente non c' nessuna differenza. Le nozze avranno luogo sabato 29 luglio. Ho fatto il conto sull'almanacco. Siamo d'accordo? Va bene per voi?. Oh! per noi va sempre bene, rispose la sorella. Non avevi nemmeno bisogno di consultarci!... Non impedir certo a Lorilleux di fare da testimone. Amo la pace. Gervaise, a testa bassa, non sapendo pi che contegno tenere, aveva infilato la punta del piede in una losanga del tavolato che rivestiva il pavimento del laboratorio; poi, temendo d'aver fatto qualche danno nel ritrarla, s'era abbassata, tastando con la mano. Lorilleux s'avvicin con la lampada, precipitosamente, e le esamin le dita con fare sospettoso. Bisogna stare attenti, disse, i piccoli frammenti d'oro s'incollano sotto le scarpe, e c' il rischio di portarseli via senza che nessuno se ne accorga. E fece allora una lunga storia. I proprietari non ammettevano nemmeno un milligrammo di scarto: e le fece vedere la zampa di lepre con cui raccoglieva le particelle d'oro rimaste sul tassello, e anche la pelle che teneva distesa sulle ginocchia, perch appunto vi cadessero. Due volte alla settimana il laboratorio veniva accuratamente spazzato; le immondizie venivano conservate e quindi bruciate, le ceneri venivano passate. Ogni mese vi si trovava fino a venticinque o trenta franchi d'oro. La signora Lorilleux non distoglieva lo sguardo dalle scarpe di Gervaise. Ma non dovete offendervi, mormor con un sorriso. La signora si pu guardare da sola sotto le suole. E Gervaise, arrossendo, torn a sedersi, sollev i piedi, fece vedere che sotto non c'era nulla. Coupeau aveva gi spalancato la porta, gridando con voce brusca: Buonasera. La chiam dal corridoio. Gervaise usc allora a sua volta, dopo aver balbettato qualche parola di circostanza: sperava davvero che si sarebbero incontrati di nuovo, e soprattutto che sarebbero andati d'accordo. Ma i Lorilleux si erano gi rimessi al lavoro, in fondo al buco nero del laboratorio, dove la piccola fucina riluceva come un ultimo carbone incandescente nel grande calore d'un forno. La donna, con un lembo della camicia scivolato gi sulla spalla, la pelle arrossata dal riflesso del braciere, stava tirando un nuovo filo, gonfiando a ogni sforzo il collo, i cui muscoli s'attorcigliavano come piccole corde. Il marito, curvo sotto la luce verdastra del globo d'acqua, riprendeva invece un pezzo di catenella, piegava la maglia con la pinza, la stringeva da un lato,

l'inseriva nella maglia superiore, la riallargava con l'aiuto d'una punta, di continuo, meccanicamente, senza perdere un movimento per asciugarsi il sudore sul volto. Quando Gervaise sbuc passando per i corridoi sul pianerottolo del sesto piano, non riusc a trattenersi e disse con le lacrime agli occhi: Tutto ci non mi sembra promettere una gran felicit!. Coupeau scosse furiosamente il capo. Lorilleux gli avrebbe pagato quella serata! S'era mai visto un avaraccio del genere! Credere che qualcuno gli volesse portar via tre granelli della sua polvere d'oro! Tutte quelle storie non erano altro che pura avarizia! Sua sorella s'era forse illusa che lui non si sarebbe mai sposato, tanto per farle risparmiare quattro soldi sul suo mangiare? Insomma, la cosa sarebbe comunque avvenuta il 29 luglio. Se ne infischiava completamente di loro! Ma Gervaise, scendendo le scale, si sentiva sempre il cuore gonfio, torturata da un'assurda paura che la faceva indagare con inquietudine le ombre ingigantite della ringhiera. La scala era ormai addormentata e deserta, e soltanto illuminata dal becco a gas del secondo piano, la cui fiamma rattrappita metteva in fondo a quel pozzo di tenebre il fioco chiarore d'un lumino da notte. Oltre le porte chiuse, non si sentiva che un enorme silenzio, il sonno oppresso degli operai che s'erano messi a letto appena alzati da tavola. Una risata sommessa usciva tuttavia dalla camera della stiratrice, mentre un filo di luce filtrava dalla serratura della signorina Remanjou, ancora in piedi a tagliare, con un piccolo rumore di forbici, i vestitini di garza delle sue bambole da tredici soldi. Da basso, in casa della signora Gaudron, un bambino continuava a piangere. E i cassoni degli acquai alitavano un fetore ancora pi forte, in mezzo a quell'immensa pace, scura e silenziosa. Arrivati nel cortile, mentre Coupeau chiedeva che gli aprissero con voce cantarellante, Gervaise si volt, guard un'ultima volta la casa, che sembrava farsi ancora pi grande sotto il cielo senza luna. Le facciate grigie, e come ripulite dalla loro lebbra e spennellate dall'ombra, si allargavano, s'innalzavano, ed erano ancora pi nude, cos piatte, cos spoglie degli stracci che di giorno s'asciugavano al sole. Le finestre chiuse dormivano. Alcune, qua e l, allegramente illuminate, aprivano gli occhi, come se certi angoli si mettessero a sbirciare. Al di sopra d'ogni vestibolo, dal basso in alto, in fila, i vetri dei sei pianerottoli, bianchi di pallida luce, ergevano come una stretta torre luminosa. Il raggio d'una lampada, proiettato dal laboratorio d'imballaggio del secondo piano, gettava una striscia gialla sul lastricato del cortile, squarciando le tenebre in cui annegavano le botteghe del pianterreno. E dal fondo di quelle tenebre, nell'angolo umido, rumoroso in tanto silenzio, delle gocce d'acqua cadevano una dopo l'altra dal rubinetto della fontana, chiuso male. Sembr allora a Gervaise che tutto il caseggiato la sovrastasse, opprimente, glaciale alle sue spalle. Era ancora la sua assurda paura, una fanciullaggine di cui in seguito avrebbe certo sorriso. State attenta!, grid Coupeau. E Gervaise fu costretta, per uscire, a saltare al di sopra d'una

grande pozzanghera, colata fuori dalla tintoria. Quel giorno la pozzanghera era azzurra, l'azzurro profondo d'un cielo d'estate, in cui la piccola lampada da notte del portinaio accendeva come delle stelle. CAPITOLO TERZO

Gervaise non avrebbe voluto una festa di nozze. Perch mai spendere tanti soldi? Per di pi continuava a sentirsi un po' vergognosa, le sembrava inutile sbandierare il loro matrimonio davanti a tutto il quartiere. Ma Coupeau protestava: non ci si poteva sposare cos, senza nemmeno mangiare un boccone tutti insieme. Lui se ne infischiava bellamente del quartiere! Oh! non pensava a nulla di particolare, tutt'al pi una piccola passeggiata nel pomeriggio, nell'attesa d'andare a torcere il collo a qualche coniglio nella prima bettola che avrebbero incontrato. E senza musica al dessert, naturalmente, non ci sarebbe stato nessun clarinetto a far dimenare il deretano inzaccherato delle signore. Insomma, giusto per trincare qualcosa, prima d'andarsene a nanna ognuno a casa propria. Lo zincatore, scherzando, motteggiando, riusc finalmente a convincere la giovane giurandole che nessuno sarebbe andato troppo su di giri. Avrebbe pensato lui a tener d'occhio i bicchieri, per impedire che qualcuno si sbronzasse. Fin cos per organizzare un picnic a cento soldi a testa, da Auguste, al Moulin d'Argent, in boulevard de la Chapelle. Era un piccolo vinaiolo a basso prezzo, con una sorta di balera in fondo al retrobottega, sotto le tre acacie del cortile. Al primo piano sarebbero stati benissimo. Per dieci giorni Coupeau non fece altro che reclutare convitati nel caseggiato della sorella, in rue de la Goutte-dOr: il signor Madinier, la signorina Remanjou, la signora Gaudron e il marito. Riusc perfino a far accettare a Gervaise due dei suoi compagni, Bibi-la-Grillade e Mes-Bottes: certo, Mes-Bottes alzava un po' il gomito, ma faceva sempre mostra di un appetito cos straordinario che veniva immancabilmente invitato ai picnic, non foss'altro che per vedere l'espressione dell'oste davanti a quell'incredibile voragine intenta a divorare le sue dodici libbre di pane. La giovane, dal canto suo, promise di portare la sua padrona, la signora Fauconnier, e i Boche, bravissime persone. A conti fatti, sarebbero stati in quindici a tavola. Era pi che sufficiente. Quando si in troppi, finisce sempre che qualcuno si mette a litigare. Tuttavia Coupeau non aveva nemmeno un soldo. Non voleva certo fare il grande, ma intendeva comportarsi da persona perbene. Domand in prestito cinquanta franchi al padrone. Dopodich acquist in primo luogo la fede, una fede d'oro da dodici franchi, che Lorilleux gli fece avere direttamente dalla fabbrica per nove franchi. Si ordin poi una redingote, un paio di pantaloni e un panciotto, da un sarto di rue Myrrha, dandogli soltanto un acconto di venticinque franchi; le sue scarpe di vernice e il bolivar potevano ancora andare bene. Una volta messi da parte i dieci franchi per il picnic, e cio la quota per s

e per Gervaise, i bambini venendo considerati in sovrappi, gli rimasero esattamente sei franchi, il prezzo d'una messa all'altare dei poveri. A dir la verit, i preti non gli piacevano, gli piangeva il cuore all'idea di regalare i suoi sei franchi a quei bifolchi, che non ne avevano certo bisogno per rinfrescarsi l'ugola. Ma un matrimonio senza messa, c'era poco da dire, non era un vero matrimonio. And di persona alla chiesa a mercanteggiare, e per un'ora non fece che litigare con un vecchio pretino dalla sporca sottana, pi ladro d'una fruttivendola. Aveva una gran voglia di prenderlo a schiaffi. Tanto per scherzare, fin per domandargli se non poteva trovare nella sua bottega qualche messa d'occasione, non troppo sciupata, e di cui una coppia alla buona si poteva anche accontentare. Il vecchio prete, continuando a borbottare che il buon Dio non avrebbe benedetto troppo volentieri la sua unione, fin per lasciargli la messa a cinque franchi. Erano pur sempre venti soldi risparmiati. Gli restavano dunque venti soldi. Anche Gervaise ci teneva ad apparire il pi in ordine possibile. Una volta che il matrimonio fu definitivamente deciso, si diede da fare, fece delle ore in pi la sera, e riusc a mettere da parte trenta franchi. Aveva una gran voglia d'una mantellina di seta, che aveva visto in vendita a tredici franchi in rue du Faubourg-Poissonnire. La compr, poi acquist per dieci franchi, dal marito d'una lavandaia ch'era morta in casa della signora Fauconnier, un vestito di lana turchina, che risistem completamente riadattandolo alla sua taglia. Con i sette franchi che le rimanevano, riusc ad avere un paio di guanti di cotone, una rosa per la sua cuffia e un paio di scarpe per il figlio maggiore Claude. Per fortuna i vestitini dei bambini erano ancora abbastanza presentabili. Pass quattro notti ripulendo ogni cosa e rammendando anche i pi piccoli buchi delle sue calze e della sua camicia. Venne finalmente il venerd sera, la vigilia del gran giorno. Gervaise e Coupeau, tornando a casa dal lavoro, dovettero ancora sgobbare fino alle undici. Poi, prima d'andare a dormire ognuno a casa propria trascorsero un'ora insieme, nella camera della giovane, felici d'essere ormai al termine di tutte quelle noie. Nonostante la loro decisione di non preoccuparsi troppo del quartiere, avevano finito per prendere le cose a cuore, e s'erano in ogni modo sfiancati di fatica. Quando si diedero la buonanotte, dormivano letteralmente in piedi. Ma fecero comunque un gran sospiro di sollievo. Tutto era ormai sistemato. I testimoni di Coupeau erano il signor Madinier e Bibi-la-Grillade; Gervaise contava su Lorilleux e su Boche. Sarebbero andati tutti e sei tranquillamente in chiesa, senza portarsi dietro una pi lunga coda di persone. Le due sorelle dello sposo avevano perfino annunciato che sarebbero rimaste in casa: la loro presenza non era certo necessaria. Soltanto mamma Coupeau s'era messa a piagnucolare, dicendo che si sarebbe incamminata per prima, per nascondersi in qualche angolo. Le avevano allora promesso di portarla con loro. L'appuntamento con tutto il resto della comitiva era fissato per l'una, al Moulin d'Argent. Da l sarebbero andati a stuzzicarsi l'appetito nella piana di Saint-Denis: avrebbero preso la ferrovia,

per fare poi il ritorno a piedi, costeggiando la strada maestra. La scampagnata sembrava quanto mai promettente: non una mangiata di quelle da star male, ma qualcosa all'insegna dell'allegria, qualcosa di garbato e dignitoso. Il sabato mattina, mentre si vestiva, Coupeau fu colto dall'inquietudine pensando alla sua moneta da venti soldi. Gli era appena venuto in mente che, per essere gentile, avrebbe almeno dovuto offrire un bicchiere di vino e una fetta di prosciutto ai testimoni, aspettando l'ora di cena. E ci potevano essere inoltre delle spese impreviste. Insomma, quei venti soldi non potevano di certo bastare. Dopo aver accompagnato Claude ed Etienne in casa della signora Boche, che s'era incaricata di portarli la sera a cena, imbocc allora rue de la Goutte-d'Or e sal dai Lorilleux, deciso ad ottenerne un prestito di dieci franchi. La faccenda gli pesava sullo stomaco, perch gi s'immaginava la smorfia che avrebbe fatto il cognato. Lorilleux infatti grugn, sogghign con un'espressione stupida quanto feroce, ma alla fine prest le due monete da cento soldi. Coupeau sent la sorella che diceva a denti stretti che la cosa cominciava davvero bene. Il matrimonio in municipio era fissato per le dieci e mezza. Il tempo era bellissimo, con un sole fiammeggiante che faceva arrostire le strade. Per non essere troppo guardati, gli sposi, la mamma e i quattro testimoni, si divisero in due gruppi. In prima fila, Gervaise avanzava al braccio di Lorilleux, mentre il signor Madinier conduceva mamma Coupeau; poi, a venti passi di distanza e sull'altro marciapiede, venivano Coupeau, Boche e Bibi-la-Grillade. Gli ultimi tre indossavano una redingote nera, avevano le spalle curve e le braccia penzoloni; Boche aveva dei pantaloni gialli, Bibi-laGrillade, abbottonato fino al collo, senza panciotto, lasciava intravedere solo un angolo della cravatta arrotolata a corda. Soltanto il signor Madinier era vestito di tutto punto, con un bell'abito a coda quadrata; e i passanti si fermavano per guardar meglio quel signore che portava a spasso la grossa mamma Coupeau, in scialle verde, cuffia nera con nastri rossi. Gervaise, dolcissima, tutta allegra nel suo vestito turchino, con le spalle strette nella minuscola mantellina, ascoltava con compiacenza le battute di Lorilleux, affondato in un immenso cappotto a sacco, nonostante il caldo; poi, di quando in quando, alla svolta di qualche via, si rigirava un po' con la testa, lanciava un piccolo sorriso a Coupeau, cui i vestiti nuovi e luccicanti al sole davano un certo impaccio. Bench procedessero a passo assai lento, arrivarono in municipio con almeno mezz'ora d'anticipo. Il sindaco per di pi era in ritardo, e il loro turno venne soltanto verso le undici. Nell'attesa, si misero a sedere su delle sedie, in un angolo della sala, ammirando l'altezza del soffitto e la severit delle pareti, parlando sottovoce, tirandosi indietro con le sedie, per eccesso di gentilezza, ogni volta che passava un commesso. E tuttavia, a mezza voce, trattavano il sindaco da fannullone: doveva trovarsi di sicuro da qualche bionda, a farsi frizionare la gotta; a meno che non avesse finito per inghiottire la sua sciarpa tricolore. Ma quando il magistrato comparve, si alzarono rispettosamente. Furono di nuovo invitati a sedere. Assistettero cos a tre

matrimoni, confusi in mezzo a tre comitive di nozze borghesi, con le spose in bianco, delle fanciulline ricciolute, delle damigelle con le cinture rosa, e cortei interminabili di signori e signore in ghingheri e con l'aria assolutamente perbene. Alla fine, quando vennero chiamati, manc poco che non si potessero sposare: Bibi-la-Grillade era sparito. Boche lo ritrov da basso, sulla piazza, che fumava la pipa. Erano proprio dei gran bastardi, in quel buco di sopra, a infischiarsene della gente, solo perch non aveva dei guanti gialli da metter loro sotto il naso! E tutte le formalit, la lettura del Codice, le domande che venivano poste, la firma di tutte quelle carte, vennero liquidate cos in fretta che si guardarono l'un l'altro, sentendosi come defraudati d'una buona met della cerimonia. Gervaise era tutta stordita, con il cuore gonfio, e si premeva il fazzoletto sulle labbra. Mamma Coupeau piangeva a calde lacrime. Si erano tutti concentrati sul registro, tracciando il loro cognome in grandi lettere zoppicanti, ad eccezione dello sposo, che aveva firmato con una croce, non sapendo scrivere. Ognuno diede quattro soldi per i poveri. Quando il commesso consegn a Coupeau il certificato di nozze, questi, spinto con il gomito da Gervaise, si decise a tirar fuori altri cinque soldi. Era una bella camminata dal municipio alla chiesa. Lungo la via, gli uomini presero della birra, mamma Coupeau e Gervaise del cassis allungato con acqua. Dovettero seguire una lunga strada, su cui il sole batteva a piombo, senza un filo d'ombra. Il custode li aspettava al centro della chiesa vuota; li sospinse verso una piccola cappella, domandando loro rabbiosamente se era per prendersi gioco della religione che arrivavano tanto in ritardo. Un prete venne verso di loro a grandi passi, con l'aria corrucciata, il volto livido d'affamato, preceduto da un chierico trotterellante e dalla cotta inzaccherata. Il prete serv in fretta la messa, mangiandosi le frasi in latino, rigirandosi, abbassandosi, allargando le braccia, veloce, lanciando sguardi obliqui agli sposi e ai testimoni. I primi, una volta davanti all'altare, imbarazzatissimi, non sapendo nemmeno a che punto si dovessero inginocchiare, alzarsi, sedersi, attendevano un cenno del chierico. I testimoni, per essere all'altezza della situazione, restarono ritti in piedi per tutto il tempo, mentre mamma Coupeau, nuovamente in lacrime, piangeva su un messale preso in prestito da una vicina. Era intanto suonato mezzogiorno, l'ultima messa era stata detta, la chiesa si riempiva dello scalpiccio dei sacrestani, del fracasso delle sedie che venivano rimesse a posto. L'altare maggiore veniva probabilmente preparato per qualche festa: si sentiva il martello dei tapezzieri che inchiodavano gli addobbi. E in fondo alla cappella sperduta, in mezzo alla polvere d'un colpo di scopa appena dato dal custode, il prete dall'aria corrucciata agitava energicamente le mani rinsecchite sui capi reclinati di Gervaise e di Coupeau, sembrava unirli nel bel mezzo d'un trasloco, in assenza del buon Dio, fra due messe pi vere. Quando la comitiva ebbe di nuovo firmato il registro, e si ritrov in pieno sole, sotto il portico della chiesa, rimase per qualche attimo sgomenta, ansimante come se fosse stata condotta al galoppo. fatta!, disse Coupeau con un sorriso imbarazzato.

E si dondolava, non trovando altro da dire che potesse far ridere gli altri. Aggiunse tuttavia: Insomma, la cosa non va certo per le lunghe... Vi mandano via in quattro e quattr'otto... come dal dentista: non c' nemmeno il tempo di gridare uffa! Vi sposano senza dolore. S, s, un gran bel lavoro, mormor Lorilleux sogghignando. Ci si sbriga in cinque minuti e poi la cosa va avanti per tutta la vita... Ah! povero Cadet-Cassis, fatti coraggio!. E i quattro testimoni diedero delle gran manate sulle spalle di Coupeau, che curvava la schiena. Gervaise abbracciava intanto mamma Coupeau, sorridente ma con gli occhi ancora inumiditi di pianto. Rispondeva alle frasi interrotte della vecchia: Non abbiate paura, far il mio possibile. Se dovesse andar male, non sar per colpa mia. No, davvero, ho troppa voglia d'essere felice... Insomma, ormai fatta, vero? Dipender solo da noi fare tutto il possibile per andare d'accordo. Andarono poi difilato al Moulin d'Argent. Coupeau aveva preso la moglie per il braccio. Camminavano a passo spedito, ridendo, come fuori di s, precedendo gli altri di duecento passi, senza guardare n le case n i passanti n le carrozze. I rumori assordanti del boulevard rimbombavano nelle loro orecchie come campane a festa. Appena arrivati dal vinaiolo, Coupeau ordin due litri di vino, del pane e qualche fetta di prosciutto, nello stanzino a vetri, senza piatti e senza tovaglia, giusto per mangiucchiare qualcosa. Poi, accorgendosi che l'appetito di Boche e di Bibi-la-Grillade andava facendosi sempre pi gagliardo, fece venire un terzo litro di vino e un pezzo di Brie. Mamma Coupeau non aveva fame, era troppo commossa per mangiare. Gervaise, che moriva invece di sete, beveva enormi bicchieri d'acqua appena arrossata. Ci penso io, disse Coupeau passando direttamente alla cassa, dove pag quattro franchi e cinque soldi. Era ormai l'una, gli invitati cominciavano ad arrivare. La prima a comparire fu la signora Fauconnier, una donna imponente e ancora bella: aveva un vestito di tessuto cru a fiori stampati, una cravatta rosa e un berretto stracolmo di fiori. Poi arrivarono insieme la signorina Remanjou, ancor pi mingherlina nell'eterno vestito nero che sembrava indossare anche per andare a letto, e i coniugi Gaudron: il marito, con una grossolanit da bifolco, faceva scricchiolare la sua giacca scura al minimo movimento, mentre la moglie esibiva un gran ventre da donna incinta, di cui la sottana d'un violetto crudo faceva ancora pi risaltare la rotondit. Coupeau spieg che era inutile aspettare Mes-Bottes: il compagno avrebbe raggiunto la comitiva sulla strada per Saint-Denis. Benissimo!, grid entrando la signora Lerat, avremo un bell'acquazzone! Sar davvero uno spasso!. E invit la compagnia a farsi sulla porta del vinaiolo per guardare le nuvole, una tempesta nera come l'inchiostro che s'addensava rapidamente a sud di Parigi. La signora Lerat, la maggiore dei Coupeau, era un donnone asciutto e un po' mascolino, dalla voce nasale, quel giorno tutta infagottata in un vestito color pulce troppo largo, le cui lunghe frange la facevano

rassomigliare a un magro barboncino appena uscito dall'acqua. Maneggiava il suo ombrellino come se fosse stato un bastone. Dopo aver abbracciato Gervaise, riprese: Non vi potete immaginare che raffiche di vento si ricevono per la strada... Sembra quasi che vi gettino del fuoco in faccia!. Tutti dichiararono allora che avevano sentito la tempesta gi da molto tempo. Quando erano usciti dalla chiesa, il signor Madinier aveva perfettamente capito che cosa li aspettava. Lorilleux raccont a sua volta che i suoi calli gli avevano impedito di dormire, dopo le tre del mattino. Del resto non poteva che finire cos, erano tre giorni che faceva davvero troppo caldo. Oh! pu anche darsi che finisca per andar via, disse Coupeau in piedi sulla porta, interrogando il cielo con uno sguardo irrequieto. Manca soltanto mia sorella, se arrivasse potremmo comunque partire. La signora Lorilleux era infatti in ritardo. La signora Lerat era appena passata da lei, per venir via insieme. Ma l'aveva trovata che ancora doveva mettersi il corsetto, e avevano finito per litigare. L'imponente vedova aggiunse poi all'orecchio del fratello: L'ho mollata cos com'era... Ha un umore di quelli!... Vedrai che scena!. E la compagnia fu costretta a pazientare per un altro quarto d'ora, scalpitando nella bottega del vinaiolo, urtata, spinta, in mezzo agli uomini che entravano a bere un bicchierino al bancone. A tratti, Boche e la signora Fauconnier e Bibi-laGrillade si staccavano dal gruppo, si spingevano fin sul bordo del marciapiede, con gli occhi levati in aria. Il tempo non migliorava affatto, la luce scemava, soffi di vento raso terra sollevavano piccoli turbini di polvere bianca. Al primo tuono, la signorina Remanjou si fece il segno della croce. Tutti gli sguardi si volgevano ansiosamente verso l'orologio a occhio di bue che stava sopra lo specchio: erano gi le due meno venti. Ci siamo!, grid Coupeau. Gli angeli stanno piangendo. Una raffica di pioggia stava spazzando la strada, mentre alcune donne scappavano reggendosi le sottane con le mani. E fu appunto sotto questo primo acquazzone che arriv finalmente la signora Lorilleux, senza fiato, furibonda, alle prese sulla soglia con l'ombrello che non si voleva chiudere. Si mai visto nulla del genere?, balbett. Mi ha preso proprio sulla porta. Avevo una gran voglia di tornarmene a casa e di spogliarmi. Avrei fatto bene... Ah! proprio una gran bella festa di nozze! Lo dicevo io ch'era meglio rinviare tutto a sabato prossimo. E adesso piove perch non mi hanno dato retta! Tanto meglio! tanto meglio! Che venga pure gi il cielo!. Coupeau cerc di calmarla. Ma la sorella lo mand al diavolo: non sarebbe certo stato lui a ripagarle il vestito, se si fosse rovinato! Aveva un vestito di seta nera in cui soffocava: il corpetto era troppo stretto e le tirava attorno alle asole, le tagliava le spalle, mentre la sottana a foggia di tubino le stringeva cos forte le cosce da farla camminare a passettini. Le signore della compagnia la guardavano stringendo le labbra, evidentemente confuse davanti alla sua toilette. Quanto a lei,

sembr non accorgersi nemmeno della presenza di Gervaise, seduta accanto a mamma Coupeau. Chiam Lorilleux, gli chiese il fazzoletto, e poi, in un angolo della bottega, asciug una a una, accuratamente, le gocce di pioggia cadute sulla seta. L'acquazzone era improvvisamente cessato. La luce continuava a calare, faceva quasi notte, una notte livida e percorsa da larghi lampi. Bibi-la-Grillade ripeteva ridendo che certamente sarebbero venuti gi dal cielo dei curati. Di colpo, la tempesta torn a scoppiare con incredibile violenza. Per mezz'ora l'acqua cadde a catinelle, mentre i fulmini tuonavano senza tregua. Gli uomini, ritti in piedi sulla porta, contemplavano il velo grigio del temporale, i rigagnoli che s'ingrossavano, il pulviscolo d'acqua che s'innalzava dagli spruzzi delle pozzanghere. Le donne si erano messe a sedere, spaventate, coprendosi gli occhi con le mani. Nessuno parlava, tutte le gole erano come serrate. Una battuta un po' arrischiata di Boche, secondo cui san Pietro stava starnutendo nell'alto dei cieli, non fece sorridere nessuno. Appena i fulmini cominciarono a distanziare i loro boati, perdendosi in lontananza, la comitiva torn a spazientirsi: se la presero con il temporale, bestemmiando e mostrando i pugni alle nubi. Dal cielo color cenere cadeva adesso una pioggia fina, interminabile. Sono le due passate, strill la signora Lorilleux Non penserete di passare la notte in questo posto!. Avendo proposto la signorina Remanjou d'andare ugualmente in campagna, anche a costo di fermarsi nel fosso delle fortificazioni, tutto il resto della compagnia protest: le strade dovevano essere davvero in un bello stato, e nemmeno avrebbero potuto sedersi sull'erba, per di pi la faccenda non sembrava affatto finita, c'era di nuovo il rischio di un acquazzone. Coupeau, che stava seguendo con lo sguardo un operaio zoppo che camminava tranquillamente sotto la pioggia, mormor: Se quel bestione di Mes-Bottes ci sta aspettando sulla strada per Saint-Denis, non prender certo un colpo di sole. Ci si divert a quell'idea. Ma il malumore non faceva che aumentare. La cosa cominciava ad essere ormai insostenibile. In un modo o nell'altro, ci si doveva decidere. Non si poteva di certo restare cos, a guardarsi l'un l'altro nelle palle degli occhi fino all'ora di cena! Per un quarto d'ora, mentre l'acquazzone s'ostinava a durare, si spremettero tutti il cervello: Bibi-laGrillade proponeva una partita a carte; Boche, di temperamento pi licenzioso e sornione, diceva di conoscere un giochino davvero divertente, il gioco del confessore; la signora Gaudron parlava d'andare a mangiare una torta di cipolle in chausse a Clignancourt; la signora Lerat avrebbe desiderato che qualcuno raccontasse delle storielle; Gaudron non se la prendeva, stava bene anche l, proponeva soltanto che si mettessero subito a tavola. E a ogni proposta si discuteva, ci si arrabbiava: la cosa era troppo stupida, sarebbe venuto un colpo di sonno a tutti quanti, li avrebbero presi per dei ragazzini. Alla fine, quando Lorilleux, volendo dire la sua, invit gli altri a qualcosa di semplicissimo, una passeggiata sui boulevards esterni fino al Pre-Lachaise, dove avrebbero potuto entrare a visitare la

tomba di Abelardo ed Eloisa, avendone il tempo, la signora Lorilleux non si trattenne pi e sbott: lei tagliava la corda! Ecco cosa avrebbe fatto! Volevano forse prendere in giro la gente? S'era vestita, aveva preso la pioggia, e tutto per andare a rinchiudersi da un vinaiolo! No, no, ne aveva fin sopra i capelli d'una festa di nozze del genere, preferiva tornarsene a casa. Coupeau e Lorilleux furono costretti a sbarrarle la porta. Ma quella ripeteva: Toglietevi dai piedi! Vi dico che voglio andarmene!. Il marito riusc comunque a calmarla, e Coupeau s'avvicin allora a Gervaise, che se ne stava sempre tranquilla nel suo angolo a chiacchierare con la suocera e la signora Fauconnier. E voi non avete nessuna proposta da fare?, le chiese, non osando ancora darle del tu. Oh! a me va bene qualunque cosa venga decisa, rispose la giovane sorridendo. Non sono di gusti difficili. Uscire, non uscire, per me lo stesso. Sto benissimo, non domando di pi. E il suo volto appariva infatti illuminato da una gioia pacata. Da quando erano giunti gli invitati, parlava ad ognuno di loro con voce bassa ed emozionata, l'aria composta, senza mescolarsi alle discussioni. Durante la tempesta, era rimasta con gli occhi fissi, guardando i lampi, come intravedendo chiss quali gravi cose in lontananza, nell'avvenire, in ognuno di quei bagliori improvvisi. Il signor Madinier non aveva ancora avanzato una sua proposta. Se ne stava appoggiato contro il bancone, con le falde del vestito aperte, conservando la sua aria sussiegosa da padrone. Scaracchi a lungo, quindi volgendo in giro i suoi occhioni: Mio Dio!, disse, si potrebbe sempre andare al museo.... E si lisci il mento, sbattendo le palpebre come per chiedere il parere del resto della compagnia. Ci sono antichit, illustrazioni, quadri, un mucchio di belle cose. molto istruttivo... Forse non ne sapete niente, ma da vedere, almeno una volta!. Gli altri si guardavano, nessuno parlava. No, Gervaise non ne sapeva nulla di quelle cose, e nemmeno la signora Fauconnier, nemmeno Boche, insomma nessuno. Coupeau credeva d'esserci andato una domenica, ma non ne aveva conservato nessun ricordo. Erano ancora tutti esitanti quando la signora Lorilleux, che si lasciava sempre molto impressionare dall'aria d'importanza del signor Madinier, trov la proposta magnifica e davvero come si deve. Considerato che la giornata era ormai perduta, e che ci si era vestiti di tutto punto, tanto valeva visitare qualcosa per la propria istruzione. Tutti approvarono. Poich continuava a piovere ancora un po', presero in prestito degli ombrelli dal vinaiolo, dei vecchi ombrelli blu, verdi, marroni, dimenticati dai clienti. E s'incamminarono tutti insieme verso il museo. Svoltarono a destra, addentrandosi in Parigi attraverso il faubourg Saint-Denis. Coupeau e Gervaise camminavano di nuovo in testa, quasi correndo, distanziando gli altri. Il signor Madinier dava adesso il braccio alla signora Lorilleux: mamma Coupeau era infatti rimasta dal vinaiolo, per colpa delle gambe.

Poi venivano Lorilleux e la signora Lerat, Boche e la signora Fauconnier, Bibi-la-Grillade e la signorina Remanjou, e per ultimi i coniugi Gaudron. Erano in dodici: un bel corteo sul marciapiede. Oh! noi non c'entriamo proprio per nulla, ve l'assicuro, stava spiegando la signora Lorilleux al signor Madinier. Non sappiamo nemmeno dove l'abbia pescata, o meglio, lo sappiamo fin troppo... Ma non sta certo a noi di parlare, vero?... Mio marito ha dovuto pagare la fede. Stamattina, appena alzati, abbiamo dovuto prestar loro dieci franchi, altrimenti non si riusciva a far nulla... Una sposa che non fa venire nemmeno un parente alle sue nozze! Dice d'avere a Parigi una sorella che fa la pizzicagnola. E allora, perch non l'ha invitata?. S'interruppe per indicargli Gervaise, che il marciapiede in salita faceva visibilmente zoppicare. Ma guardatela! mai possibile!... Oh! una zoppa!. E questa parola, zoppa, fin per passare di bocca in bocca per tutta la compagnia. Lorilleux sghignazzava, diceva che d'ora in poi avrebbero dovuto chiamarla in quel modo. Ma la signora Fauconnier prendeva le difese di Gervaise: facevano male a prendersi gioco di lei, era lustra come un soldo e affrontava con coraggio il lavoro, quando era necessario. La signora Lerat, che amava in modo particolare le allusioni licenziose, chiamava la gamba della piccola un'ancora d'amore, e aggiungeva che a molti uomini piacevano cose del genere, ma rifiutava di spiegarsi di pi. Dopo aver oltrepassato rue Saint-Denis, la comitiva attravers il boulevard. Il flusso delle carrozze la costrinse a una breve sosta. Poi s'avventur sulla strada, ormai trasformata dal temporale in una pozza colante di fango. L'acquazzone stava ricominciando, la compagnia aveva dovuto riaprire gli ombrelli: e sotto quegli ombrelli scalcagnati, tenuti in equilibrio dalla mano degli uomini, le donne si rimboccavano le sottane, mentre la sfilata s'allargava nel fango, occupando tutto lo spazio fra un marciapiede e l'altro. Fu a quel punto che due perdigiorno si misero a gridare alla mascherata: accorsero allora dei passanti, mentre alcuni bottegai, con l'aria divertita, si sollevavano in punta di piedi da dietro le vetrine. In mezzo al calpestio della folla, sul fondo grigio e bagnato del boulevard, le coppie in processione stampavano come delle macchie violente: il vestito di lana turchina di Gervaise, il vestito di tessuto cru a fiori stampati della signora Fauconnier, i pantaloni color giallo canarino di Boche; quel non so che di rigido che caratterizza le persone vestite a festa dava un aspetto curiosamente carnevalesco alla redingote luccicante di Coupeau e all'abito squadrato del signor Madinier, mentre la bella toilette della signora Lorilleux, le frange della signora Lerat, le sottane sgualcite della signorina Remanjou, creavano tutto un guazzabuglio di mode, come la sfilata di quegli articoli da rigattiere che sono il solo lusso dei poveri. Ma erano soprattutto i cappelli degli uomini a divertire, vecchi cappelli tenuti da parte, appannati dall'oscurit degli armadi, con forme ridicole, alti, svasati, a punta, con tese inverosimili, rivoltati, piatti, troppo larghi o troppo stretti. E i sorrisi si facevano ancora pi larghi

quando, proprio in coda, come a chiudere lo spettacolo, si vedeva avanzare la signora Gaudron, la cardatrice, nel suo vestito violetto crudo, con il suo gran ventre di donna incinta tutto proteso in avanti. La compagnia non faceva comunque nulla per affrettarsi, si sentiva di buon umore, tutta felice d'essere guardata, divertendosi a sua volta a quelle battute. Toh! ecco la sposa!, grid uno dei due fannulloni, indicando la signora Gaudron. Ah! poverina! deve aver mandato gi qualcosa che l'ha fatta gonfiare!. Tutta la compagnia scoppi a ridere. Bibi-la-Grillade, rigirandosi, disse che quel furfante l'aveva proprio azzeccata. La cardatrice era quella che rideva di pi, addirittura si pavoneggiava: non c'era nulla di che vergognarsi, al contrario, pi d'una signora la guardava passando e avrebbe certo voluto essere al suo posto. Percorsero rue de Clry, poi imboccarono rue du Mail. In place des Victoires ci fu una piccola sosta. La sposa aveva la scarpa sinistra slacciata, e mentre se la riannodava ai piedi della statua di Luigi XIV, le coppie si serrarono dietro di lei, aspettando, lanciando battute su quel po' di polpaccio che s'intravedeva. Finalmente, dopo esser discesi per rue Croix-desPetits-Champs, arrivarono al Louvre. Il signor Madinier si offr con bel garbo di mettersi alla testa del corteo. Era tutto cos grande che ci si poteva anche perdere. Conosceva del resto le parti pi belle, c'era venuto spesso con un artista, un giovane intelligentissimo che lavorava per una grande impresa d'imballaggio: faceva disegni che venivano poi incollati sulle scatole. Da basso, appena la comitiva fu entrata nel museo assiro, si sent percorrere da un piccolo brivido. Perbacco! non si poteva certo dire che facesse caldo, la sala sarebbe stata una magnifica cantina. Le coppie procedevano lentamente, con la faccia in su, gli occhi che sbattevano, fra quei colossi di pietra, quegli dei di marmo nero cos muti nella loro ieratica rigidezza, quelle bestie mostruose per met gatte e per met donne, con volti di morte, il naso assottigliato e le labbra gonfie. Trovarono tutto ci decisamente volgare. Adesso s che si sapeva come lavorare la pietra! Un'iscrizione in caratteri fenici li lasci senza fiato. Non era possibile, di certo nessuno aveva mai letto quelle scritture indecifrabili. Ma gi il signor Madinier, sul primo pianerottolo insieme alla signora Lorilleux, li stava chiamando e gridava sotto le volte: Venite! roba da nulla, sono solo degli aggeggi... Al primo piano ci sono pi cose da vedere. La severa nudit delle scale li rese austeri. Un magnifico usciere in panciotto rosso e con la livrea gallonata d'oro, che sembrava quasi attenderli sul pianerottolo, raddoppi la loro emozione. Fu allora con il massimo rispetto, e camminando il pi silenziosamente possibile, che entrarono nella galleria francese. E qui, senza arrestarsi, con gli occhi abbagliati dall'oro delle cornici, seguirono l'infilata delle piccole sale, vedendo passare le immagini, troppo numerose per essere guardate con maggiore attenzione. A volerle comprendere a fondo, avrebbero dovuto fermarsi almeno un'ora davanti ad ognuna. Quanti quadri, Dio

santo! Non finivano pi. Ce ne dovevano essere di soldi l dentro! Alla fine il signor Madinier li fece improvvisamente fermare davanti alla Zattera della Medusa e spieg loro l'argomento. Catturati, immobili, non poterono far altro che tacere. Quando si rimisero in marcia, Boche riassunse il sentimento generale: era proprio una bella trovata. Nella galleria d'Apollo, fu soprattutto il pavimento di legno a sbalordire tutta la compagnia, un pavimento scintillante, limpido come uno specchio, in cui si riflettevano i piedi delle poltroncine. La signorina Remanjou chiudeva gli occhi, le sembrava di camminare sull'acqua. Si consigliava alla signora Gaudron di poggiare di piatto le scarpe, considerate le sue condizioni. Il signor Madinier cerc di mostrar loro le dorature e le pitture del soffitto, ma era cosa da spezzare il collo, e per di pi non riuscivano a distinguere nulla. Allora, prima d'entrare nella sala quadrata, indic loro una finestra e disse: Ecco il balcone da cui Carlo IX ha fatto sparare sulla folla. E intanto non perdeva di vista la coda del corteo. Con un piccolo cenno ordin al resto della comitiva di fermarsi al centro della sala quadrata. L dentro c'erano solo capolavori, mormor, proprio come in una chiesa. Fecero il giro della sala. Gervaise domand l'argomento delle Nozze di Cana: era assurdo che non scrivessero l'argomento sulle cornici. Coupeau s'arrest davanti alla Gioconda, che gli sembr notevolmente rassomigliante a una delle sue zie. Boche e Bibi-la-Grillade sogghignavano, indicandosi l'un l'altro con una strizzatina d'occhi le donne nude: soprattutto le cosce dell'Antione provocarono loro un sobbalzo d'emozione. In fondo alla coda, i coniugi Gaudron, il marito a bocca aperta e la moglie con le mani sul ventre, restavano ammirati, inteneriti e sbalorditi, di fronte alla Vergine del Murillo. Una volta concluso il giro della sala, il signor Madinier pens bene di cominciarlo da capo: ne valeva la pena. S'interessava particolarmente alla signora Lorilleux, forse a causa del suo vestito di seta, e ogni volta che quella l'interpellava, le rispondeva gravemente e con la massima compostezza. Poich l'altra s'appassionava molto alla storia dell'amante del Tiziano, la cui chioma bionda le sembrava identica alla sua, le fece a caso il nome della bella Ferronire, una delle amanti di Enrico IV, sulla quale s'era perfino rappresentato un dramma all'Ambigu. La comitiva si lanci poi nella lunga galleria che accoglie le scuole italiane e fiamminghe. Ancora quadri, ancora e sempre quadri, di santi, di uomini e donne dalle espressioni incomprensibili, di paesaggi cupissimi, di animali diventati gialli, tutto un brulichio di persone e di cose, un violento contrasto di colori da cui cominciavano a sentirsi rompere il cervello. Il signor Madinier aveva smesso di parlare, guidava lentamente il corteo, e tutti lo seguivano ordinatamente, con il collo teso e gli occhi levati in alto. Secoli e secoli d'arte sfilavano davanti alla loro ignoranza sbalordita, la delicata austerit dei primitivi, gli splendori dei Veneziani, la vita opulenta e scintillante di luce degli Olandesi. Ma erano soprattutto affascinati dai pittori che copiavano i quadri, con i loro cavalletti piazzati in mezzo alla gente, intenti a dipingere senza alcun imbarazzo: una vecchia

dama, ritta in piedi in cima a una grande scala, che faceva andare un pennello da calce nel cielo tenue d'una immensa tela, li colp in modo particolare. Poco a poco, intanto, doveva essersi diffusa la voce che una comitiva di nozze stava visitando il Louvre: pittori accorrevano con la bocca spalancata nel riso, curiosi si mettevano a sedere in fretta sulle poltroncine, per assistere comodamente alla sfilata, mentre i custodi, a labbra strette, trattenevano a fatica qualche battutaccia. La compagnia, gi sfiancata, perdendo in gran parte quel suo rispetto, trascinava le scarpe chiodate, batteva i tacchi sui pavimenti sonori, con lo scalpitio d'un armento allo sbando, sguinzagliato nel lindore spoglio e raccolto delle sale. Il signor Madinier adesso taceva ma solo per pregustare un sicuro effetto. And difilato verso la Festa del villaggio di Rubens, ma continu a non aprir bocca, limitandosi ad indicare la tela, strizzando l'occhio come in un'allusione salace. Le signore, una volta con il naso sul quadro, lanciarono delle piccole grida, e s'allontanarono, rosse in volto. I signori le trattennero, scherzando, cercando i particolari pi osceni. Ma guardate un po'!, ripeteva Boche, basta questo a ripagare tutti i soldi che abbiamo speso. Ecco uno che vomita. E quest'altro che sta innaffiando i denti di leone. E questo qui, oh! questo qui... Bene! bene! sono persone davvero come si deve!. Possiamo andarcene, disse il signor Madinier, felice del successo ottenuto. Qui dentro non c' pi nulla da vedere. La brigata torn sui suoi passi, attravers un'altra volta la sala quadrata e la galleria d'Apollo. La signora Lerat e la signorina Remanjou si lamentavano: era come se le loro gambe volessero rientrare nel corpo. Ma l'imballatore voleva mostrare a Lorilleux i monili antichi. Non era molto lontano, si trovavano in fondo a una saletta: poteva arrivarci anche ad occhi chiusi. E invece si confuse, fece perdere la compagnia attraverso sette od otto sale deserte, fredde, con dentro solo delle vetrine austere in cui s'allineavano in gran quantit vasi rotti e orribili figurine. La comitiva fremeva, s'annoiava mortalmente. Tentarono una porta, si trovarono in mezzo ai disegni. Cominci allora un'altra interminabile corsa: i disegni non finivano pi, le sale si succedevano alle sale, senza che incontrassero nulla d'interessante, ma solo fogli di carta scarabocchiati e messi sotto vetro, contro i muri. Il signor Madinier perse a sua volta la testa, ma non volle confessare d'essersi smarrito. Infil una scala, fece salire d'un altro piano la compagnia. Si trovarono a vagabondare nel bel mezzo del museo della marina, fra modelli di strumenti e di cannoni, planimetrie in rilievo, navi non pi grandi di giocattoli. Dopo un quarto d'ora di marcia, incontrarono un'altra scala, isolata, lontana. La percorsero in discesa: eccoli di nuovo in mezzo ai disegni. Fu allora la disperazione: sciamarono a caso nelle sale, le coppie sempre in fila, seguendo il signor Madinier che non faceva che asciugarsi la fronte, fuori di s, furioso contro l'amministrazione che accusava d'aver cambiato di posto alle porte. I custodi e gli altri visitatori li guardavano passare, sbigottiti. In nemmeno venti minuti, furono visti di nuovo nella sala quadrata, nella galleria francese, lungo le bacheche che accolgono il sonno dei piccoli dei

dell'Oriente. Ne sarebbero mai usciti? Con le gambe a pezzi, affranta, la comitiva faceva un baccano infernale, lasciandosi dietro nella sua folle corsa il ventre enorme della signora Gaudron. Si chiude! Si chiude!, gridarono con voce possente i custodi. Per poco non si fecero chiudere dentro. Fu necessario l'intervento d'un custode, che si mise alla testa del corteo e li riaccompagn fino a una delle uscite. Finalmente, nel cortile del Louvre, una volta recuperati gli ombrelli al guardaroba, respirarono di sollievo. Il signor Madinier aveva gi ritrovato tutta la sua disinvoltura: il suo errore era stato quello di non aver girato a sinistra, adesso ricordava perfettamente che i monili antichi si trovavano a sinistra. Tutta la compagnia, del resto, si diceva contentissima d'aver potuto vedere tutte quelle belle cose. Erano le quattro: il che significava altre due ore da far passare prima di cena. Si decise di fare comunque una passeggiata, cos, giusto per ammazzare il tempo. Le signore, affaticatissime, avrebbero preferito mettersi a sedere da qualche parte. Ma siccome nessuno si sognava d'offrire qualcosa da bere, si rimisero in cammino, seguendo il lungofiume. Fu allora che vennero sorpresi da un nuovo rovescio, e cos fitto che, nonostante gli ombrelli, le toilettes delle signore finirono per rovinarsi. La signora Lorilleux, con la morte nel cuore ad ogni goccia che le bagnava il vestito, propose di correre al riparo sotto il Pont-Royal: se poi non volevano seguirla, ci sarebbe comunque andata anche da sola, minacciava. E il corteo and quindi a rifugiarsi sotto il Pont-Royal. Ci si stava benissimo: era proprio un'idea azzeccata! Le signore stesero i loro fazzoletti sulle lastre, e si misero a riposare cos, con le ginocchia divaricate, strappando a piene mani i fili d'erba che crescevano fra le pietre, guardando scorrere quell'acqua intorbidita, come se si trovassero in campagna. Gli uomini si divertirono a urlare a squarciagola per ridestare l'eco dell'arcata dirimpetto a loro. Boche e Bibi-la-Grillade si davano il turno a lanciare improperi nel vuoto, gridavano a pieni polmoni: Porco!, e ridevano di gusto ogni volta che l'eco rimandava fino a loro il suono della parola. Alla fine, avendo ormai la gola arrochita, presero dei sassi piatti e si misero a giocare a rimbalzino. L'acquazzone era finito, ma la compagnia si sentiva cos a proprio agio che nessuno aveva pi voglia d'andar via. La Senna trascinava con s stracci bisunti, vecchi turaccioli e bucce di legumi, tutto un ammasso di porcherie che qualche piccolo vortice, di quando in quando, tratteneva per un istante nell'acqua minacciosa, offuscata dall'ombra della volta; e intanto, sul ponte, passavano rotolando gli omnibus e i fiacres, tutta la folla di quella Parigi di cui scorgevano soltanto i tetti, a destra e a sinistra, come dal fondo d'una fossa. La signorina Remanjou sospirava: se solo ci fossero state delle foglie, diceva, quel luogo le avrebbe ricordato un certo angolo della Marne, dove andava verso il 1817 con un giovane che ancora rimpiangeva. Il signor Madinier diede il segnale della partenza. Attraversarono il giardino delle Tuileries, in mezzo a una piccola

folla di bambini che portarono lo scompiglio, con i loro cerchi e con i loro palloni, nei ranghi ben ordinati delle coppie. Arrivati in place Vendme, mentre la comitiva ne ammirava la colonna, il signor Madinier pens di mostrarsi galante con le signore: propose loro di salire sulla colonna, da cui si poteva guardare Parigi. L'offerta sembr a tutti divertente. S, s, si doveva salire: ne avrebbero riso per chiss quanto tempo! La cosa non mancava certo d'interesse, per chi non aveva mai lasciato la terra ferma. Ma davvero credete che la Zoppa abbia voglia d'arrischiarsi fin lass, con quella sua gamba?, mormor la signora Lorilleux. Io salirei volentieri, disse la signora Lerat, ma non ci deve essere nessun uomo dietro di me. E cominciarono a salire. I dodici si arrampicavano in fila lungo la stretta spirale della scala, inciampando nei gradini consunti, tenendosi contro il muro. Quando l'oscurit si fece pressoch totale, non si sentirono che risatine soffocate. Le signore lanciavano gridolini. I signori facevano loro il solletico, davano pizzichi nelle gambe. Ma sarebbero state ben sciocche a protestare: bastava fingere che ci fossero dei topi! E poi era tutto cos innocente, sapevano fermarsi al momento giusto, erano uomini per bene. Boche escogit una facezia che venne poi ripetuta da tutta la compagnia. Si misero a chiamare la signora Gaudron, come se si fosse smarrita per via, chiedendole se il suo gran ventre riusciva o no a passare. Ma ci pensate! Se si fosse trovata intrappolata, senza poter n salire n ridiscendere, avrebbe bloccato tutto il passaggio, nessuno sarebbe pi riuscito ad andarsene via! E ridevano di quel ventre di donna incinta, con un'allegria fragorosa che faceva vibrare l'intera colonna. Ormai lanciatissimo, Boche cominci poi a dire che avrebbero finito per invecchiare in quella specie di gola di camino: non s'arrivava mai, stavano forse salendo fino in cielo? E faceva di tutto per terrorizzare le signore, gridando che la colonna si muoveva. Coupeau non parlava, era immediatamente alle spalle di Gervaise, la stringeva alla vita, sentiva che gli si abbandonava. Nel momento stesso in cui, all'improvviso, tornarono in piena luce, stava appunto per baciarla sul collo. Bravi! siete proprio carini, non si pu certo dire che vi sentiate in imbarazzo!, disse la signora Lorilleux con aria scandalizzata. Bibi-la-Grillade sembrava furibondo. Ripeteva fra s e s: Avete fatto un tale fracasso! Non sono nemmeno riuscito a contare i gradini!. Il signor Madinier aveva intanto raggiunto la piattaforma, e gi stava indicando i monumenti. La signora Fauconnier e la signorina Remanjou non vollero nemmeno oltrepassare la scala. La sola idea di dover guardare in gi, verso il lastricato, dava loro il capogiro, e si limitarono ad arrischiare di quando in quando qualche sbirciatina, affacciandosi oltre la piccola porta. La signora Lerat, pi ardimentosa, girava attorno alla piccola terrazza, stringendosi al bronzo della vetta. Ma insomma, c'era davvero di che sentirsi turbati: se si pensava che sarebbe bastato metter fuori una gamba! Che capitombolo, benedetto Iddio! Gli uomini, un po' pallidi, guardavano la piazza. Sembrava

d'essere sospesi in aria, lontani da tutto. No, veramente, era una cosa da far stringere le budella. Il signor Madinier raccomandava di guardare in alto, di volgere gli occhi diritti in avanti, in lontananza: rimedio sicuro contro le vertigini. E continuava ad indicare Les Invalides, il Panthon, Notre-Dame, la Tour Saint-Jacques, Montmartre. Alla signora Lorilleux salt poi in mente di domandare se si riusciva a vedere, sul boulevard de la Chapelle, il vinaiolo dove sarebbero andati a mangiare, al Moulin d'Argent. Per almeno dieci minuti, non fecero allora che guardarsi in giro, si misero perfino a litigare: ognuno vedeva il vinaiolo nel posto che preferiva. Tutt'attorno a loro, Parigi distendeva la sua grigia immensit, le sue lontananze azzurrastre, le sue vallate profonde, dove i tetti sembravano scorrere e ondeggiare. Tutta la riva destra era immersa nell'ombra, coperta da un enorme lembo di nuvole ramate, e dai bordi di quelle nuvole, frangiate d'oro, cadeva un largo raggio di sole che accendeva le migliaia di finestre della riva sinistra in uno scintillio di faville, facendo risaltare contro luce quell'angolo della citt in un cielo purissimo, lavato dal temporale. Non valeva la pena di salire fin quass solo per stare con il naso per aria!, disse Boche furioso, tornando verso la scala. Discesero in silenzio, corrucciati, accompagnati soltanto dallo scricchiolio delle scarpe sui gradini. Da basso, il signor Madinier voleva pagare, ma Coupeau protest e s'affrett a mettere in mano al custode ventiquattro soldi, due soldi per ogni persona. Erano ormai quasi le cinque e mezzo: c'era giusto il tempo di rientrare. Fecero quindi ritorno percorrendo i boulevards e il faubourg Poissonnire. Ma secondo Coupeau la passeggiata non poteva finire in quel modo, e convinse gli altri ad entrare da un vinaiolo, dove presero un po' di vermut. |[continua]| |[CAPITOLO TERZO, 2]| La cena era stata ordinata per le sei. Al Moulin d'Argent aspettavano la compagnia da almeno venti minuti. La signora Boche, che aveva affidato la portineria a una vicina, stava chiacchierando con mamma Coupeau nella sala del primo piano, davanti alla tavola apparecchiata, mentre i due ragazzini, Claude ed Etienne, venuti con lei, si rincorrevano per gioco sotto la tavola, in mezzo alle sedie sparpagliate. Quando Gervaise, entrando, scorse i piccoli, che non aveva visto per tutta la giornata, li prese sulle ginocchia, li accarezz, li copr di baci. Sono stati buoni?, domand alla signora Boche. Non vi hanno dato troppo fastidio, vero?. E poich l'altra s'era messa a raccontare con quali uscite i due birbantelli l'avevano fatta morire dal ridere per tutto il pomeriggio, la giovane li sollev di nuovo, li strinse a s in un impeto di tenerezza. strano, comunque, per Coupeau, diceva la signora Lorilleux alle altre signore, in fondo alla sala. Gervaise non aveva abbandonato la sorridente pacatezza del mattino. Dopo la passeggiata, tuttavia, c'erano momenti in cui appariva come rattristata, e guardava allora il marito e i

Lorilleux con la sua aria composta e pensierosa. Coupeau le sembrava un po' troppo debole con la sorella. Nemmeno ventiquattr'ore prima, s'era messo a sbraitare, aveva giurato di rimettere al loro posto quelle lingue di serpente, se solo avessero osato mancarle di riguardo. Ma in loro presenza, era evidente anche ai suoi occhi, si comportava come un cane da punta, pendeva dalle loro labbra, perdeva la testa quando li credeva offesi per qualche motivo. E questo, naturalmente, inquietava la giovane al pensiero del loro avvenire. Aspettavano soltanto Mes-Bottes, che ancora non s'era fatto vedere. Ah! accidenti!, sbott Coupeau, mettiamoci a tavola. Finir che lo vedremo arrivare di corsa, ha il naso fino, sente l'odore del cibo anche da lontano... Pensate un po' come deve spassarsela, se ancora l ad aspettarci sulla strada di SaintDenis!. La compagnia si mise allora allegramente a tavola con un gran rumore di sedie. Gervaise si trovava fra Lorilleux e il signor Madinier, Coupeau fra la signora Fauconnier e la signora Lorilleux. Gli altri invitati si sistemarono a loro piacere, anche perch si andava sempre a finire in gelosie e battibecchi, ogni volta che si trattava di fissare i posti. Boche si ficc vicino alla signora Lerat. Bibi-la-Grillade si trov come vicine la signorina Remanjou e la signora Gaudron. Quanto alla signora Boche e a mamma Coupeau, sedute all'estremit della tavola, presero ad occuparsi dei bambini, incaricandosi di tagliar loro la carne e di versare loro da bere, purch pochissimo vino. Non c' nessuno che vuol dire il Benedicite?, domand Boche, mentre le signore s'aggiustavano le sottane sotto la tovaglia, temendo le macchie. La signora Lorilleux non amava questo genere di battute. La zuppa di vermicelli, quasi fredda, venne mangiata in fretta, con gran risucchi delle labbra attorno ai cucchiai. Due camerieri servivano a tavola in giacchette corte e bisunte, in grembiali d'un bianco sospetto. Dalle quattro finestre aperte sulle acacie del cortile, irrompeva la piena luce del giorno, la fine d'una giornata di tempesta, limpida e ancora calda. In quell'angolo pi umido, il riflesso degli alberi dava toni di verde alla sala affumicata, faceva danzare le ombre delle foglie al di sopra della tovaglia, gi tutta impregnata d'un vago odore d'ammuffito. Due specchi, scacazzati dalle mosche, uno a ogni estremit, allungavano la tavola all'infinito, coperta di rozze stoviglie, tendenti al giallo, dove il grasso delle acque del lavello risaltava in nero nei graffi lasciati dai coltelli. In fondo alla sala, ogni volta che un cameriere risaliva dalla cucina, una porta sbatteva, mentre un forte sentore di soffritto alitava d'attorno. Non bisogna mai parlare tutti insieme, disse Boche, poich tutti tacevano, con il naso sul piatto. Stavano bevendo il primo bicchiere di vino, e covando con gli occhi due pasticci ripieni di carne trita, serviti proprio allora dai camerieri, quando entr Mes-Bottes. Insomma! siete proprio tutti quanti dei gran farabutti!, grid. Ho consumato le suole delle mie scarpe per almeno tre ore sulla strada, finch un gendarme mi ha domandato i

documenti... Ma vi sembrano porcherie da fare a un amico? Potevate almeno mandarmi un fiacre con un fattorino. Ah! no, sapete, scherzi a parte, dura da mandar gi. E per di pi pioveva, e cos forte che avevo l'acqua perfino nelle tasche... Davvero, ci si potrebbe pescar fuori una bella frittura. La compagnia si contorceva dal gran ridere. Quel bestione di Mes-Bottes era brillo, aveva gi in corpo i suoi soliti due litri, giusto per non soccombere in quella broda da ranocchie che il temporale gli aveva scaracchiato addosso. Ehi! conte di Gigot-Fin!, disse Coupeau, va a sederti laggi, vicino alla signora Gaudron. Lo vedi, ti stavamo aspettando. Oh! la cosa non lo metteva minimamente in imbarazzo, avrebbe ben saputo raggiungere gli altri: e domand per tre volte la zuppa di vermicelli, tagliandovi dentro delle enormi fette di pane. Quando fu il momento d'attaccare i pasticci, tutta la tavolata non pot che ammirarlo sinceramente. Come sbafava! I camerieri sbigottiti facevano la catena per passargli il pane, delle fette tagliate sottilissime che Mes-Bottes divorava in un solo boccone. Fin per irritarsi: voleva sempre del pane vicino. L'oste, alquanto preoccupato, s'affacci per un attimo sulla soglia della sala. La compagnia, che se l'aspettava, torn a contorcersi dal ridere. Quel giorno buttava male per il taverniere! Un gran bel tipo, comunque, quel Mes-Bottes! Non era forse stato lui, una volta, a mangiare dodici uova sode e a bere dodici bicchieri di vino, mentre battevano i dodici rintocchi di mezzogiorno? Non se ne incontrano poi tanti di quella forza! La signorina Remanjou, tutta intenerita, guardava Mes-Bottes che masticava, mentre il signor Madinier, dopo aver cercato la parola giusta per esprimere il proprio sbigottimento a dir poco rispettoso, dichiar assolutamente straordinaria una simile capacit. Segu un breve silenzio. Un cameriere aveva poggiato sulla tavola una fricassea di coniglio, in un piatto fondo, scavato come un'insalatiera. Coupeau, allegrissimo, volle dirne una delle sue. Ma dite un po', cameriere, sono forse conigli da grondaia, questi? Sta ancora miagolando!. E infatti un lieve miagolio, perfettamente imitato, sembrava uscire dal piatto. Era Coupeau a farlo con la gola, senza muovere le labbra: un gioco di societ che otteneva sempre un certo successo, tanto che non mangiava mai fuori casa senza ordinare una fricassea di coniglio. Non manc nemmeno di fare le fusa. Le signore si premevano i tovaglioli contro il volto, per il gran ridere. La signora Fauconnier domand la testa: le piaceva soltanto la testa. La signorina Remanjou adorava invece i lardelli. E siccome Boche affermava di preferire le cipolline, purch ben rosolate, la signora Lerat strinse le labbra mormorando: Capisco. Era magra come un chiodo, conduceva una vita da operaia prigioniera nel suo tran tran d'ogni giorno, non aveva pi visto la faccia d'un uomo in casa sua dopo la morte del marito, e tuttavia non faceva che appassionarsi alle cose pi licenziose, con una fissazione per i doppi sensi e le allusioni oscene, ma

d'una tale profondit che era la sola a capirci qualcosa. Essendosi Boche proteso verso di lei, in attesa d'una spiegazione, continu a bassissima voce, all'orecchio: Ma certo, le cipolline... Mi sembra che possa bastare. La conversazione s'era nel frattempo fatta pi seria. Ognuno parlava del proprio mestiere. Il signor Madinier esaltava l'imballaggio: c'erano dei veri artisti in quel settore, e parlava di certe confezioni da regalo di cui conosceva i modelli, delle vere meraviglie quanto a lusso. Lorilleux sogghignava: era orgogliosissimo di lavorare l'oro, gli sembrava di vederne il riflesso sulle sue stesse dita, ed anzi su tutta la sua persona. Senza contare, aggiungeva, che nei tempi dei tempi i gioiellieri portavano spesso la spada: e citava a casaccio il nome di Bernard Palissy. Coupeau raccontava a sua volta d'una certa banderuola, un capolavoro opera d'un suo compagno, formata da una colonna, un covone, una cesta di frutta e infine una bandiera: il tutto perfettamente riprodotto e fatto esclusivamente di pezzi di zinco ritagliati e quindi saldati. La signora Lerat mostrava a Bibi-la-Grillade come s'avvolgeva un gambo di rosa, facendo rotolare il manico del suo coltello fra le dita ossute. Le voci si facevano sempre pi alte, si incrociavano. Pur in mezzo a quel frastuono, si sentiva gridare la signora Fauconnier, che si lamentava ad alta voce d'una delle sue operaie, una giovane svaporata assunta come apprendista e che il giorno prima le aveva bruciato un paio di lenzuola. Dite quel che volete, grid Lorilleux dando un pugno sulla tavola, ma l'oro sempre l'oro!. E in mezzo al silenzio provocato da quella verit, non si sent che l'esile voce della signorina Remanjou, che continuava: Allora rimbocco la gonna, comincio a cucire all'interno... Poi conficc una spilla nella testa per tener fermo il berretto... E basta, le vendo a tredici soldi. Stava parlando delle sue bambole a Mes-Bottes, le cui mascelle si muovevano lentamente a mo' di macine. Non l'ascoltava, era troppo occupato a tener d'occhio i camerieri, non volendo che gli portassero via le portate prima che le avesse ben bene ripulite. Avevano mangiato un fricand al sugo con fagiolini. Portavano adesso l'arrosto, due polli rinsecchiti, allungati su un letto di crescione appassito e cotto al forno. All'esterno, il sole moriva sugli alti rami delle acacie. Nella sala, il riflesso verdastro si condensava insieme ai vapori che salivano dalla tavola, ormai macchiata di vino e di salsa, con le stoviglie in disordine, come in un crollo di tutta l'appareechiatura. Lungo le pareti, i piatti sporchi e i litri ormai vuoti, dimenticati dai camerieri, sembravano i rifiuti spazzati via e vomitati dalla tovaglia. Il caldo era insopportabile. Gli uomini si tolsero le redingotes e continuarono a mangiare in maniche di camicia. Signora Boche, vi prego, non fateli mangiare troppo, disse Gervaise, fino a quel momento quasi del tutto silenziosa, sorvegliando da lontano Claude ed Etienne. Si alz, e and a parlare un istante ritta dietro le sedie dei figli. I bambini non avevano un briciolo di giudizio, erano capaci di mangiare tutto il giorno senza rifiutare nemmeno un boccone. Ma fu lei stessa a servir loro un po' di petto di pollo. Mamma

Coupeau disse che per una volta potevano anche rischiare un'indigestione. La signora Boche accus a bassa voce il marito di dar pizzicotti sulle gambe alla signora Lerat. Oh! era un subdolo, uno che correva dietro alle femmine! L'aveva pur visto mentre faceva scivolare la mano sotto la tavola. Se solo avesse ricominciato, perdio! era donna da rovesciargli una caraffa piena sulla testa! Nel silenzio, il signor Madinier cominci a parlare di politica. La loro legge del 31 maggio una vergogna. Adesso ci vogliono almeno due anni di domicilio. Tre milioni di cittadini vengono cos cancellati dalle liste... Mi hanno riferito che Bonaparte in fondo assai dispiaciuto, perch ama il popolo e ne ha dato mille prove. Il signor Madinier era repubblicano, ma ammirava il principe, a causa dello zio, uno di quegli uomini che non s'incontrano tanto facilmente. Bibi-la-Grillade si ribell: gli era capitato di lavorare all'Eliseo, e aveva visto Bonaparte cos come adesso vedeva Mes-Bottes, proprio l, davanti a lui; ebbene! quell'idiota di presidente rassomigliava a uno sbirro, ecco la verit! Dicevano che stava per fare un giro dalle parti di Lione: sarebbe stato un bel modo di sbarazzarsi di lui, se casualmente si fosse rotto l'osso del collo in qualche fossato! La discussione tendeva a farsi pesante, e Coupeau fu costretto a intervenire. Ma basta! siete proprio degli illusi a prendervela tanto per la politica! Che gran presa in giro, la politica! Credete forse che qualcuno la faccia pensando a noi?... Metteteci pure chi vi pare, un re, un imperatore, nessuno, cosa cambia? Continuerei a guadagnare i miei cinque franchi, a mangiare, a dormire, non vi sembra?... No, davvero, tutto troppo stupido!. Lorilleux scrollava la testa. Era nato nello stesso giorno del conte di Chambord, il 29 settembre 1820. Tale coincidenza lo impressionava in modo del tutto particolare, lo faceva sprofondare in una vaga fantasticheria, secondo cui ci doveva essere una sorta di relazione fra il ritorno in Francia del re e la sua personale fortuna. Non diceva chiaramente quali fossero le sue speranze, ma dava a intendere che gli sarebbe allora capitato qualcosa di straordinariamente piacevole. Cos, ogni volta che un suo desiderio era troppo grande per poter essere soddisfatto, rinviava il tutto ad un altro momento, quando il re sarebbe tornato. Del resto, cominci a raccontare, una sera ho visto il conte di Chambord.... Tutti i visi si volsero verso di lui. Proprio cos. Un uomo alto, in cappotto, con l'aria da bravo ragazzo... Mi trovavo da Pquignot, un mio amico che vende mobili in Grande-Rue de la Chapelle... Il conte di Chambord vi aveva dimenticato il giorno prima un ombrello. entrato e ha detto cos, semplicemente: "Vi dispiacerebbe rendermi l'ombrello?". Mio Dio! s, era proprio lui, Pquignot mi ha dato la sua parola d'onore. Nessuno dei convitati si permise il minimo dubbio. Erano arrivati al dessert. I camerieri stavano sparecchiando la tavola con un gran rumore di stoviglie. La signora Lorilleux, fino a quel momento assolutamente decorosa e assai compunta, si lasci

sfuggire un Maledetto porco! perch uno dei camerieri, togliendo un piatto, le aveva rovesciato qualcosa di liquido gi per il collo. Di sicuro il suo vestito di seta era rovinato! Il signor Madinier fu costretto a controllarle la schiena: era tutto a posto, glielo poteva assicurare. Al centr della tovaglia, si vedeva adesso un dolce con gli albumi battuti a neve, in un'insalatiera, affiancato da due piatti di formaggi e da due piatti di frutta. Gli albumi battuti a neve, pur essendo un po' troppo cotti e galleggianti nel giallo della crema, suscitarono in tutti una sorta di raccoglimento: nessuno se li aspettava, e l'idea sembr ad ognuno quanto mai raffinata. Mes-Bottes continuava a mangiare. Aveva domandato dell'altro pane. Fin i due formaggi, e poich c'era ancora un avanzo di crema, si fece passare l'insalatiera, tagliandovi dentro delle grandi fette, come per una zuppa. Che uomo notevole!, disse il signor Madimer, nuovamente pieno d'ammirazione. I signori si alzarono per prendere le pipe. Per un attimo, rimasero ritti in piedi alle spalle di Mes-Bottes, dandogli delle gran manate, chiedendogli se si sentiva meglio. Bibi-la-Grillade lo sollev di peso con tutta la sedia. Per mille saette! quell'animale pesava adesso almeno il doppio! Coupeau, per burla, disse che l'amico non aveva fatto altro che un po' d'allenamento, e che adesso avrebbe continuato a mangiar pane per tutta la notte. I camerieri scapparono via terrorizzati. Boche, che era sceso per un attimo, risal raccontando in che condizioni aveva trovato il vinaiolo: se ne stava da basso tutto pallido dietro al bancone, mentre la moglie, non meno costernata, aveva mandato qualcuno a vedere se i panettieri erano ancora aperti. Anche il gatto di casa aveva l'aria allibita. C'era veramente da ridere! Bastava quello a ripagare i soldi della cena. Non era pensabile un picnic senza quel tritasassi di MesBottes. Gli uomini, con le pipe accese in bocca, lo guardavano con espressione quasi invidiosa: perch insomma, per mangiar tanto, si doveva pur essere ben solidamente costruiti! Non vorrei mai essere io a dovervi nutrire, disse la signora Gaudron. Ah! no, ci mancherebbe!. Sentite un po', mammina, non mi prendete in giro, rispose Mes-Bottes con uno sguardo obliquo sul ventre della sua vicina. Mi sembra che voi abbiate mandato gi pi roba di me!. Lo applaudirono, gli gridarono bravo! Quella era la risposta che ci voleva! Era ormai calata la notte, tre becchi a gas fiammeggiavano nella sala, smuovendo come dei grandi chiarori torbidi in mezzo al fumo delle pipe. I camerieri, dopo aver servito il caff e il cognac, avevano portato via le ultime pile di piatti sporchi. Da basso, sotto le tre acacie, si sentivano i primi suoni della balera, una cornetta e due violini che strimpellavano forte, qualche risata di donna, come arrochita nel caldo della notte. Qui ci vuole un bel punch!, grid Mes-Bottes, due litri d'acquavite pepata, molto limone e un pizzico di zucchero!. Ma Coupeau, accorgendosi dell'espressione preoccupata di Gervaise, si alz dicendo che non avrebbero pi bevuto. Avevano scolato ben venticinque litri, un litro e mezzo a testa,

calcolando i due bambini come persone adulte: era pi che sufficiente. Avevano mangiato un boccone insieme, in buona amicizia, senza tante cerimonie, perch si stimavano l'un l'altro e avevano desiderato celebrare in intimit una festa di famiglia. Tutto s'era svolto garbatamente, erano contenti, non ci si doveva adesso ubriacare vergognosamente, anche solo per non mancare di rispetto alle signore. Insomma, per concludere, si erano riuniti per bere alla salute della coppia di sposi, non per prendersi una sbornia. Il breve discorso, detto con tono convinto dallo zincatore, che si premeva la mano contro il petto alla fine d'ogni frase, ottenne la pi calda approvazione da parte di Lorilleux e del signor Madinier. Ma gli altri, Boche, Gaudron, Bibi-la-Grillade e soprattutto Mes-Bottes, gi sufficientemente ubriachi tutti e quattro, non facevano che sghignazzare, la bocca tutta impastata, prendendosela con quella loro maledettissima sete che in qualche modo si doveva pur placare. Chi ha sete ha sete, e chi non ha sete non ha sete, fece notare Mes-Bottes, Ordiniamo il punch!... Qui non si vuole costringere nessuno. Le persone delicate potranno sempre farsi portar su dell'acqua zuccherata!. E poich lo zincatore stava per ricominciare la sua predica, l'altro, che s'era levato in piedi, gli diede una gran pacca sul sedere e gli grid: Ah! sai, mi hai proprio rotto!... Cameriere, due litri, ma di quello vecchio!. Coupeau disse allora che la cosa poteva anche stargli bene, ma che prima di tutto si doveva assolutamente saldare il conto della cena. Era il modo migliore per evitare ogni possibile discussione. Le persone ben educate non avevano certo il dovere di pagare anche per gli ubriaconi. E infatti Mes-Bottes, dopo essersi frugato a lungo nelle tasche, non riusc a trovare che tre franchi e sette soldi. Ma insomma, perch l'avevano lasciato cos a lungo ad aspettare sulla strada di Saint Denis? Doveva forse lasciarsi annegare? Era stato costretto a cambiare la sua moneta da cento soldi. Erano gli altri a essere in colpa, ecco la verit! Fin per dare i tre franchi e tenersi i sette soldi per il tabacco dell'indomani. Coupeau, furibondo, l'avrebbe certo picchiato se Gervaise, spaventatissima e supplicante, non l'avesse trattenuto per la redingote. Si decise allora a chiedere altri due franchi in prestito a Lorilleux che, dopo averglieli rifiutati, glieli diede di nascosto dalla moglie, che sicuramente non sarebbe stata d'accordo. Il signor Madinier aveva intanto preso un piatto. Le donne, la signora Lerat, la signora Fauconnier e la signorina Remanjou, vi deposero la loro moneta da cento soldi per prime, con discrezione. Gli uomini s'appartarono poi all'altra estremit della sala, fecero i conti. Erano in quindici, il che significava un totale di settantacinque franchi. Quando i settantacinque franchi furono tutti nel piatto, ogni uomo vi aggiunse cinque soldi per i camerieri. Ci volle un quarto d'ora di calcoli quanto mai laboriosi, prima che l'intera faccenda venisse sistemata con soddisfazione di tutti. Ma quando il signor Madinier, che voleva trattare direttamente con il padrone, ebbe domandato dell'oste, tutta la

compagnia rimase sbigottita sentendogli affermare con un sorriso che quello non era per nulla il suo conto: c'erano dei supplementi. Quel termine, supplementi, fu accolto con esclamazioni di furore. Il vinaiolo diede allora il dettaglio: venticinque litri invece dei venti stabiliti, gli albumi battuti a neve, che aveva aggiunto di sua iniziativa, sembrandogli il dessert un po' troppo inconsistente; per finire, un piccolo boccale di rum, servito con il caff, nel caso a qualcuno piacesse il rum. Cominci allora una discussione interminabile. Coupeau, chiamato in causa, si difendeva: non aveva mai parlato di venti litri, e quanto agli albumi battuti a neve, dovevano essere considerati insieme al dessert, e tanto peggio per l'oste se li aveva aggiunti di sua spontanea volont. Restava il boccale di rum; una presa in giro, solo un modo d'aumentare il conto, mettendo di soppiatto sulla tavola dei liquori di cui nessuno s'era accorto. L'avete portato sullo stesso vassoio del caff?, gridava Coupeau, e allora! deve essere contato insieme al caff! Lasciateci in pace. Prendete il vostro denaro, e ci colga un accidente se rimetteremo mai pi piede nella vostra baracca!. Ci vogliono ancora sei franchi, ripeteva il vinaiolo. Datemi i miei sei franchi... E non ho nemmeno messo in conto i tre pani del signore!. Tutta la compagnia, strettasi intorno a lui, lo circondava con gesti di rabbia, con un mugolio di voci strozzate dall'ira. Soprattutto le donne abbandonavano la loro naturale compostezza, rifiutavano d'aggiungere un solo centesimo. Oh! tante grazie, era stata proprio piacevole quella festa di nozze! La signorina Remanjou diceva che non si sarebbe mai pi fatta incastrare in cene del genere. La signora Fauconnier sosteneva d'aver mangiato malissimo: a casa sua, con quei quaranta soldi, si sarebbe fatta dei piattini da leccarsi le dita. La signora Gaudron si lamentava amaramente d'essere stata confinata all'estremit peggiore della tavola, accanto a Mes-Bottes che non le aveva mostrato il minimo riguardo. Insomma, riunioni del genere finivano sempre malissimo! Se si voleva avere delle persone al proprio matrimonio, allora le si doveva anche invitare, che diamine! Quanto a Gervaise, che s'era rifugiata vicino a mamma Coupeau davanti a una delle finestre, non sapeva che dire, si sentiva tutta vergognosa, intuendo che tutte quelle recriminazioni finivano per ricarderle addosso. Il signor Madinier fin per scendere con il padrone. Li sentirono discutere da basso. In capo a mezz'ora l'imballatore risal: aveva sistemato tutta la faccenda con tre franchi in pi. Ma la comitiva restava di cattivo umore, esasperata, e non faceva che tornare sulla questione dei supplementi. La confusione raggiunse il suo culmine grazie a un colpo di testa della signora Boche. Avendo sempre continuato a tener d'occhio il marito, lo vide proprio allora, in un canto, stringere alla vita la signora Lerat. Gli lanci addosso con violenza una caraffa, che and a rompersi contro il muro. Come si vede che vostro marito un sarto, signora, disse l'imponente vedova, stringendo le labbra in una piccola smorfia piena di sottintesi. un sottaniere di prima categoria... Ma gli

ho allungato un bel paio di calci sotto la tavola. La serata era ormai rovinata. Gli animi si andavano sempre pi inasprendo. Il signor Madinier propose di cantare, ma Bibi-la Grillade, che aveva una bella voce, era scomparso: la signorina Remanjou, affacciata a una delle finestre, lo vide sotto le acacie tutto concentrato a ballare con una ragazzona dai capelli sciolti. La cornetta e i due violini stavano suonando Le marchand de moustarde, una quadriglia alla cui pastourelle ci si batteva a vicenda con le mani. Ci fu allora uno scompiglio generale: MesBottes e i due Gaudron scesero a loro volta, e anche Boche se la squagli. Dalle finestre si vedevano le coppie volteggiare fra le foglie, su cui le lanterne appese ai rami gettavano un verde crudo e come dipinto, simile a quello d'una quinta teatrale. La notte era immobile, senza un alito di vento, stremata dal gran caldo. Nella sala, intanto, Lorilleux e il signor Madinier s'erano messi a conversare di cose serie, mentre le signore, non sapendo pi in che modo sfogare la collera che ribolliva in loro, si esaminavano i vestiti alla ricerca delle eventuali macchie. Le frange della signora Lerat sembravano inzuppate nel caff. Il vestito di tessuto cru della signora Fauconnier era coperto di salsa. Lo scialle verde di mamma Coupeau, caduto da una sedia, era finito in un angolo, arrotolato e calpestato. Ma era soprattutto la signora Lorilleux a non trovar pace. Aveva una macchia sulla schiena, era inutile giurarle il contrario, se la sentiva addosso. E alla fine, contorcendosi davanti a uno specchio, riusc in effetti a vederla. Cosa vi dicevo?, grid. grasso di pollo. Il cameriere mi dovr ripagare il vestito, a costo di fargli causa... Ah! una giornata del genere non poteva che finire in questo modo. Avrei fatto meglio a restarmene a letto... Tanto per cominciare, me ne vado. Ne ho fin sopra i capelli delle loro maledettissime nozze!. E scapp via rabbiosamente, facendo tremare le scale sotto i colpi dei suoi tacchi. Lorilleux la rincorse. Ma tutto ci che riusc ad ottenere fu che la moglie avrebbe aspettato cinque minuti sul marciapiede, se anche gli altri avessero davvero deciso d'andar via. Avrebbe dovuto squagliarsela subito dopo il temporale, se solo avesse seguito il suo primo impulso. Gliel'avrebbe fatta pagare, a Coupeau, una giornataccia del genere! Vedendola a tal punto fuori di s dal furore, il fratello si mostr costernato. Gervaise, per evitargli altri fastidi, acconsent a che la comitiva si sciogliesse all'istante. Si abbracciarono l'un l'altro frettolosamente. Il signor Madinier si offr d'accompagnare mamma Coupeau. La signora Boche, in occasione della prima notte di nozze, avrebbe portato Claude ed Etienne a dormire a casa sua: la madre poteva star tranquilla, i due piccoli s'erano gi addormentati sulle sedie, appesantiti da una bella indigestione di albumi d'uovo battuti a neve. Gli sposi stavano gi per andarsene insieme a Lorilleux, lasciando il resto della comitiva dal vinaiolo, quando si sent da basso, nella balera, l'inizio d'una vera e propria battaglia fra la loro e un'altra compagnia: Boche e Mes-Bottes, che avevano sbaciucchiato una signora, non volevano pi restituirla a due militari, che ne vantavano il legittimo possesso, e minacciavano di fare a pezzi ogni cosa, il tutto in mezzo allo strepito furibondo della cornetta

e dei due violini, che suonavano adesso la polca delle Perles. Erano appena le undici. Sul boulevard de la Chapelle, come in tutto il quartiere della Goutte-d'Or, la paga della quindicina, che cadeva per l'appunto quel sabato, aveva portato un assordante fracasso d'operai ubriachi. La signora Lorilleux stava aspettando a venti passi dal Moulin d'Argent, in piedi sotto un lampione a gas. Prese per il braccio Lorilleux e cammin davanti agli altri, senza voltarsi, con un'andatura cos spedita che Gervaise e Coupeau la seguivano con affanno. Di quando in quando, erano costretti a scendere dal marciapiede, per far posto a qualche ubriacone che si buttava per terra all'improvviso, con le gambe in aria. Lorilleux si volt, cercando di sistemare le cose. Vi accompagniamo fin sotto casa, disse. Ma la signora Lorilleux, alzando la voce, disse che le sembrava assurdo passare la prima notte di nozze in quell'orribile buco che era la locanda Boncoeur. Non avrebbero fatto meglio a rinviare il matrimonio, mettere da parte quattro soldi, acquistare dei mobili e avere una casa propria in cui dormire la prima sera? Ah! sarebbero stati proprio bene, sotto i tetti, costretti in due in uno stanzino da dieci franchi, dove mancava perfino l'aria. Ho dato la disdetta, non staremo su da me, obiett Coupeau timidamente. Teniamo la camera di Gervaise, pi grande. La signora Lorilleux, senza riflettere, si rigir bruscamente. Questo il colmo!, grid. Vai a dormire nella camera della Zoppa!. Gervaise si sbianc in volto. Quel soprannome, che riceveva in faccia per la prima volta, la colpiva come uno schiaffo. Per di pi poteva ben comprendere la protesta della cognata: la camera della Zoppa era la stessa camera in cui lei aveva vissuto per un mese insieme a Lantier, vi si trovavano ancora le vestigia della sua vita passata. Coupeau non cap, si sent soltanto ferito dal soprannome. Sbagli a dare dei soprannomi agli altri, rispose sgarbatamente. Non lo sai che nel quartiere ti chiamano la Rossa, per i tuoi capelli? Ecco, la cosa non ti fa piacere, vero?... Perch mai non dovremmo tenere la camera del primo piano? Stasera i bambini dormono fuori, ci staremo benissimo. La signora Lorilleux non replic, si strinse tutta nella sua dignit, offesa a morte di sentirsi chiamare la Rossa. Coupeau, volendo consolare Gervaise, le strinse dolcemente il braccio, e riusc perfino a farla sorridere raccontandole in un orecchio che la loro vita in comune cominciava con la somma tonda tonda di sette soldi, tre monete da due soldi e una moneta da un soldo, che faceva tintinnare con la mano nella tasca dei pantaloni. Arrivati alla locanda Boncoeur, si diedero la buonanotte con aria offesa. Proprio nel momento in cui Coupeau spingeva le due donne l'una nelle braccia dell'altra, trattandole da sciocche, un ubriaco, che pareva voler passare a destra, fece un'improvvisa diversione a sinistra e venne a gettarsi fra loro. Toh! pap Bazouge!, disse Lorilleux. proprio cotto, oggi!.

Gervaise s'era spaventata e se ne stava adesso quasi incollata contro la porta della locanda. Pap Bazouge, un becchino sui cinquant'anni, aveva i pantaloni neri e macchiati di fango, la mantella nera allacciata sulle spalle e il cappello di cuoio nero ammaccato, come schiacciato da qualche caduta. Non abbiate paura, non cattivo, continu Lorilleux. un nostro vicino, sta nella terza camera dello stesso corridoio, prima d'arrivare da noi... Sarebbe un bel guaio che i suoi superiori lo vedessero conciato in questo modo!. Pap Bazouge s'era risentito per la paura della giovane donna. Insomma, che c'?, balbett. la gente come noi non mangia certo le persone... Valgo quanto qualunque altro, ecco la verit, carina... S, vero, ho bevuto un po' troppo! Ma quando il lavoro massacrante, bisogna pure ungere un po' le ruote. N voi n nessuno dei vostri amici sarebbe mai riuscito a portar gi quel tale che pesava seicento libbre, come abbiamo fatto noi soltanto in due, dal quarto piano e senza nemmeno farlo cadere una volta... Mi piace la gente che sa spassarsela. Ma Gervaise si rannicchi ancora di pi nell'angolo della porta. Sentiva una gran voglia di piangere, come se si fosse ormai del tutto rovinata quella festa che aveva vissuto con allegria e pacatezza. Non pensava pi ad abbracciare la cognata. Supplic Coupeau di mandar via l'ubriacone. Bazouge, barcollando, fece allora un gesto pieno di sdegno filosofico. Fate come volete, ma ci dovrete passare anche voi, carina... Forse un giorno sarete contenta di tirare le cuoia... S, conosco molte donne che mi ringrazierebbero, se le portassi con me. E mentre i Lorilleux, finalmente, lo trascinavano via, si volse un'ultima volta e balbett fra due singulti: Quando si morti... sentitemi bene... quando si morti, la cosa non finisce cos presto. CAPITOLO QUARTO

Furono quattro anni di duro lavoro. Nel quartiere, Gervaise e Coupeau erano visti come una coppia ben assortita: vivevano appartati, non si picchiavano mai, facevano la loro solita passeggiata la domenica, dalle parti di Saint-Ouen. La moglie sgobbava dodici ore al giorno dalla signora Fauconnier, ma trovava ancora il tempo per tenere la casa pulita come uno specchio e preparare da mangiare per tutta la famiglia, a pranzo e a cena. Il marito non si ubriacava, portava a casa le sue quindicine, si faceva una pipata alla finestra prima di mettersi a dormire, cos, giusto per prendere una boccata d'aria. La loro gentilezza era sulla bocca di tutti. E poich guadagnavano insieme quasi nove franchi al giorno, si calcolava che dovevano mettere da parte un piccolo gruzzoletto. Ma soprattutto nei primi tempi, furono costretti a faticare non poco, per riuscire a sbarcare il lunario. Il matrimonio li aveva caricati d'un debito di duecento franchi. Per di pi non sopportavano l'idea di continuare a vivere alla locanda

Boncoeur: la trovavano disgustosa, frequentata com'era da clienti tanto sudici, e sognavano d'avere una casa tutta per loro, con mobili loro, di cui avrebbero saputo aver cura. Mille volte calcolarono la somma necessaria: arrotondando, ci volevano almeno trecentocinquanta franchi, quanto bastava a non aver problemi per tenere in ordine le loro cose e ad avere a disposizione una casseruola o una padella, in caso di bisogno. Disperavano di poter mettere da parte una cifra cos grossa in meno di due anni, ma si present all'improvviso una buona occasione: un vecchio signore di Plassans domand che gli mandassero Claude, il maggiore dei due piccoli, per sistemarlo in un collegio. Era il generoso capriccio d'un vecchio originale amante dei quadri, rimasto fortemente impressionato da certe figurine scarabocchiate un tempo dal bambino. Claude costava loro un occhio della testa. Non appena ebbero a loro carico soltanto il minore, Etienne, riuscirono a risparmiare i trecentocinquanta franchi in sette mesi e mezzo. Il giorno in cui acquistarono i mobili da un rigattiere di rue Belhomme, non vollero tornare a casa prima d'aver passeggiato un po' sui boulevards esterni. Avevano il cuore gonfio di gioia. Si erano comprati un letto, un comodino da notte, un cassettone con il ripiano di marmo, una tavola rotonda con la sua incerata, sei sedie e il tutto di vecchio mogano, senza contare il corredo per il letto, la biancheria e gli utensili da cucina quasi nuovi. Sembr loro d'entrare pi seriamente e in modo pi definitivo nella vita, come se avessero conquistato qualcosa, che rendendoli proprietari, conferisse a entrambi una nuova importanza agli occhi dei benestanti del quartiere. La scelta dell'abitazione li tenne occupati per due mesi. Cercarono dapprima di prendere in affitto un alloggio nel gran caseggiato di rue de la Goutte-d'Or. Ma non c'era nemmeno una camera libera, e dovettero rinunciare al loro vecchio sogno. A dire il vero, Gervaise non ne fu in fondo particolarmente dispiaciuta: l'idea d'avere come vicini i Lorilleux, quasi porta a porta, l'avrebbe senza dubbio spaventata. Si misero a cercare altrove. Coupeau, non senza ragione, ci teneva a non allontanarsi troppo dalla bottega della signora Fauconnier, in modo che Gervaise la potesse raggiungere in pochi minuti a qualunque ora del giorno. Finalmente ebbero un colpo di fortuna: una grande camera, uno stanzino e una cucina in rue Neuve-de-la-Goutte-d'Or, quasi dirimpetto alla lavanderia. Era una piccola casa a un solo piano, con una scala ripidissima in cima alla quale si trovavano soltanto due appartamenti, il primo a destra e il secondo a sinistra. Da basso, alloggiava un noleggiatore di carrozze, i cui materiali occupavano dei capannoni in un vasto cortile lungo la strada. Gervaise ne era incantata, le sembrava di tornare in provincia: nessuna vicina, nessun pettegolezzo di cui aver paura, un angolo di pace che le riportava alla memoria un certo vicoletto di Plassans, alle spalle dei bastioni. E per colmo di fortuna, poteva vedere la sua finestra anche da dove lavorava, senza lasciare i ferri, semplicemente allungando un po' il collo. Il trasloco ebbe luogo verso la fine di aprile. Gervaise era incinta di otto mesi. Ma dava prova di tutto il suo coraggio, e

diceva che quel figlio le era d'aiuto perfino quando lavorava: sentiva dentro di s quelle manine che spingevano e le davano come una nuova forza. Ma niente affatto! rispondeva dolcemente a Coupeau, quando l'altro la voleva costringere a mettersi a letto, tanto per rilassarsi un po'. Si sarebbe messa a letto al sopraggiungere delle doglie. E ancora le sembrava fin troppo presto perch adesso, con una bocca in pi da sfamare, non c'era altro da fare che rimboccarsi le maniche e faticare a pi non posso. Volle quindi essere lei a ripulire l'appartamento, e poi ad aiutare il marito a sistemare i mobili. Mostr un vero culto per i mobili: li puliva con una cura quasi materna, le si spezzava il cuore alla vista del minimo graffio. Se le capitava d'urtarli mentre scopava, si fermava interdetta, come se avesse colpito se stessa. Amava soprattutto il cassettone: le sembrava cos bello, solido, dall'aria austera. Aveva un sogno di cui non osava nemmeno parlare, una pendola da mettere al centro del ripiano di marmo, con un effetto che s'immaginava magnifico. Se non ci fosse stato il marmocchio che stava nascendo, forse si sarebbe arrischiata a comprare la pendola. Insomma, era una cosa da rinviare ad un altro momento, ma ci pensava con un sospiro. Vissero nell'incanto in quella nuova dimora. Il letto di Etienne occupava quasi tutto lo stanzino, ma c'era ancora posto per una culla. La cucina era piccolissima e scura, ma lasciando la porta aperta, ci si poteva vedere abbastanza chiaramente. Del resto Gervaise non doveva cucinare per trenta persone, bastava che ci fosse il posto per le sue pentole. La grande camera era invece il suo vanto. Chiudevano le cortine dell'alcova fin dal primo mattino, erano cortine di calic bianco, e la camera si trovava trasformata in camera da pranzo, con la tavola al centro, l'armadio e il cassettone che si fronteggiavano. Il camino consumava quasi quindici soldi di carbone di terra al giorno, e l'avevano quindi sbarrato; una piccola stufa di ghisa, poggiata sulla lastra di marmo, bastava a riscaldarli nei giorni pi freddi con una spesa d'appena sette soldi. Coupeau aveva poi riempito le pareti alla meglio, ripromettendosi ulteriori abbellimenti: in alto, una stampa che rappresentava un maresciallo di Francia caracollante con il suo bastone in mano, fra un cannone e un cumulo di palle, serviva anche da specchio; al di sopra del cassettone, le fotografie di famiglia erano allineate in due file, a destra e a sinistra d'una vecchia acquasantiera di porcellana dorata, nella quale venivano messi i fiammiferi; sulla cornice dell'armadio, un busto di Pascal faceva riscontro a un busto di Branger, il primo tutto grave in volto, il secondo sorridente, accanto all'orologio a cuc di cui sembravano ascoltare i battiti. Era davvero una bella camera. Provate un po' a indovinare quanto paghiamo qui dentro?, domandava Gervaise ad ogni visitatore. E quando si diceva una cifra molto pi alta per la sua pigione, trionfava, e si metteva a gridare, felicissima d'essersi sistemata cos bene per pochi soldi. Centocinquanta franchi, non una lira di pi!... Davvero regalato!. Anche rue Neuve-de-la-Goutte-d'Or entrava a far parte della

loro felicit. Gervaise vi trascorreva tutte le sue giornate, andando senza posa da casa sua alla bottega della signora Fauconnier. La sera, Coupeau scendeva adesso nella via, a fumare la pipa sulla soglia di casa. La strada era senza marciapiede e la carreggiata, sfondata, andava in salita. In alto, dalla parte di rue de la Goutte-d'Or, si vedevano delle botteghe tetre e dai vetri sporchi, dei calzolai, dei bottai, una drogheria poco invitante, un vinaiolo sull'orlo del fallimento e le cui imposte, sbarrate da settimane, erano ormai coperte di manifesti. Dall'altra parte, verso Parigi, c'erano case di quattro piani che nascondevano il cielo, occupate al pianterreno da lavandaie, pigiate le une accanto alle altre, ammassate; mentre, isolata, una vetrina da parrucchiere di provincia, tutta dipinta di verde, riempita di fiale dai colori delicati, rallegrava quell'angolo oscuro con il vivace splendore dei suoi piatti di rame, sempre pulitissimi. Ma la parte pi allegra della via si trovava al centro, dove le costruzioni, facendosi sempre pi rare e pi basse, lasciavano effondersi d'attorno l'aria e il sole. I capannoni del noleggiatore di carrozze, il vicino stabilimento in cui si produceva l'acqua di Seltz, il lavatoio di fronte, si estendevano in un ampio spazio completamente libero e silenzioso, dove le voci soffocate delle lavandaie e il respiro regolare della macchina a vapore sembravano accrescere quella sensazione di raccoglimento. Fra i terreni profondi, fra i viali che si perdevano in mezzo all'oscurit delle mura, sorgeva una sorta di villaggio. E Coupeau, sempre divertito da quei pochi passanti che vedeva scavalcare l'eterno ruscello delle acque insaponate, diceva di ricordarsi d'un paese in cui era stato con uno zio, quando aveva cinque anni. Per Gervaise, era invece una gioia l'albero piantato in un cortile, a sinistra della finestra, un'acacia che protendeva uno solo dei suoi rami e il cui stento verdeggiare bastava a rallegrare tutta la via. Gervaise partor l'ultimo giorno d'aprile. Fu presa dalle doglie nel pomeriggio, verso le quattro, mentre stava stirando un paio di tende nella bottega della signora Fauconnier. Ma non volle andarsene a casa immediatamente, e rimase a contorcersi dal dolore su una sedia, rimettendosi subito a stirare appena il travaglio sembrava placarsi. Le tende erano del resto urgenti, voleva assolutamente finirle: e poi forse si trattava soltanto d'una colica, non si doveva far tante storie per un semplice mal di pancia. Parlava gi di mettersi a stirare anche delle camicie da uomo, quando impallid improvvisamente. Fu costretta ad uscire dalla bottega, e attravers la via piegata in due, sorreggendosi ai muri. Un'operaia s'offri d'accompagnarla, ma rifiut, e la preg piuttosto di fare un salto dalla levatrice che stava l accanto, in rue de la Charbonnire. La faccenda non era poi tanto urgente, ne avrebbe avuto di sicuro per tutta la notte. Non sarebbe certo stata una bazzecola del genere ad impedirle di preparare la cena per Coupeau, una volta arrivata a casa; e dopo, s, si sarebbe buttata per qualche minuto sul letto, senza nemmeno spogliarsi. Ma nelle scale fu colta da un tale accesso di dolore che non pot fare a meno di mettersi a sedere sui gradini, e si tapp con i pugni la bocca, per non gridare, perch le sembrava una vergogna essere trovata in quelle condizioni da

qualche uomo che poteva salire. Le doglie passarono, riusc ad aprire la porta di casa, sollevata, sicura d'essersi sbagliata. Aveva deciso di preparare per cena uno spezzatino di montone. Tutto and per il meglio fintanto che pelava le patate. Ma mentre le cotolette cominciavano a rosolare nella padella, i sudori e le contrazioni ricomparvero improvvisamente. Rimescolando la salsa di burro fuso, pestava i piedi davanti al fornello, accecata dalle lacrime. Anche se stava per partorire, non era certo una buona ragione per lasciare a digiuno Coupeau, tanto pi che lo spezzatino stava cuocendo da solo a fuoco lento sulla brace ricoperta di cenere. Torn nella camera, sper di fare in tempo ad apparecchiare almeno un capo della tavola. Ma non riusc nemmeno a reggere in mano il litro di vino, non ebbe pi la forza di raggiungere il letto, cadde per terra e si sgrav su uno stuoino. La levatrice arriv dopo un quarto d'ora, e fu per terra che la fece secondare. Lo zincatore lavorava ancora all'ospedale. Gervaise non volle che si andasse a chiamarlo. Quando il marito rientr verso le sette, la trov a letto, ben avviluppata, pallidissima sul bianco del guanciale. Il neonato piangeva, fasciato in uno scialle, coricato ai piedi della madre. Ah! povera moglie mia!, disse Coupeau baciando Gervaise. E pensare che mentre io me la stavo spassando, nemmeno un'ora fa, tu eri qui a lamentarti e a soffrire tutta sola!... Ma devo dire che non mi sembri in difficolt, l'hai scodellato mettendoci meno tempo di quello che ci vuole per uno starnuto!. Gervaise sorrise debolmente, poi mormor: una femminuccia. Perfetto!, rispose lo zincatore, scherzando per farle animo, avevo appunto ordinato una femminuccia!... Eh! eccomi servito! Fai proprio tutto ci che voglio!. Prese in braccio la bambina, e continu: Lasciatevi un po' guardare, signorina Piscialetto!... Che musettino scuro scuro! Finir per schiarirsi un po', non abbiate paura. Ma dovete comportarvi bene, non fare la poco di buono, crescere saggia e assennata, come il babbo e la mamma!. Gervaise era seria in volto e guardava la figlia con gli occhi sbarrati a poco a poco annebbiati come da una sorte di tristezza. Scosse piano la testa. Avrebbe voluto un maschietto: i maschi se la cavano sempre meglio, non corrono tutti i pericoli dell'insidiosa Parigi. La levatrice tolse il neonato dalle mani di Coupeau. Proib inoltre a Gervaise di parlare: gi si faceva fin troppo baccano attorno a lei! Lo zincatore disse che doveva andare ad avvertire mamma Coupeau e i Lorilleux, ma stava morendo di fame, gli conveniva prima cenare. Fu un grande dolore per la puerpera vedere il marito che si serviva da solo, correva in cucina a prendersi lo spezzatino, mangiava in un piatto fondo, non riusciva a trovare il pane. Nonostante il divieto, protestava, non faceva che rigirarsi fra le lenzuola. Era stata proprio una sciocca a non riuscire nemmeno ad apparecchiare la tavola, ma la colica l'aveva buttata a terra come una mazzata! Di certo il marito se la sarebbe presa con lei, costretto com'era a mangiare tanto male, mentre lei se ne

stava a letto a poltrire. Sperava almeno che le patate fossero cotte al punto giusto. Non ricordava pi se ci aveva messo il sale. Ma state un po' zitta!, sbott alla fine la levatrice. Ah! se credete che sia tanto facile impedirle di buttarsi gi dal letto!, disse Coupeau a bocca piena. Se non ci foste voi, sono pronto a scommettere che s'alzerebbe anche solo per tagliarmi il pane... Ma mettiti pi comoda sulla schiena, ochetta che non sei altro! Non devi affaticarti, altrimenti ti ci vorranno quindici giorni prima di poterti rimettere in piedi... Lo stufato buonissimo. La signora ne manger un po' con me. Dico bene, signora?. La levatrice rifiut, ma accett invece di bere un bicchiere di vino, anche perch era ancora tutta sconvolta, cos diceva, dall'aver trovato la sventurata e la bambina a terra sullo stuoino. Coupeau usc per andare ad annunciare alla famiglia la lieta novella. Torn in capo a mezz'ora accompagnato da tutti gli altri, mamma Coupeau, i Lorilleux, e la signora Lerat che aveva trovato in casa di questi ultimi. I Lorilleux, al cospetto della prosperit della coppia, erano diventati decisamente pi gentili, e si lanciavano adesso in elogi sperticati di Gervaise, pur lasciandosi sfuggire di quando in quando dei piccoli gesti di dubbio, delle scrollatine di capo, certi sbatter di ciglia, come per far intendere quale fosse la loro vera opinione. Insomma, nonostante tutte le cose che sapevano, non volevano andare contro il giudizio di tutto il quartiere. Sono accompagnato da una vera e propria processione!, grid Coupeau. Ma che ci potevo fare? Hanno voluto assolutamente vederti... Non dir niente, ti stato proibito. Rimarranno qui a guardarti, tranquillamente, senza tante cerimonie, vero?... Quanto a me, vado a fare un po' di buon caff!. E spar infatti in cucina. Mamma Coupeau, dopo aver baciato Gervaise, non faceva che meravigliarsi di quanto fosse grossa la bambina. Le altre due donne avevano a loro volta coperto di baci le guance della puerpera. E tutte e tre, ritte in piedi davanti al letto, commentavano con grandi esclamazioni tutti i particolari del parto, di quella strana cosa che un parto, non tanto peggio di un dente da cavare. La signora Lerat esamin la piccola da ogni lato, la dichiar perfettamente conformata e aggiunse perfino, con evidente intenzione, che ne sarebbe venuta fuori una gran dama; e siccome le sembrava che la testa fosse un po' troppo appuntita, faceva in modo d'arrotondarla modellandola con un tocco delicato, nonostante gli strilli della bambina. La signora Lorilleux le tolse dalle mani la piccola, indignata: era proprio la cosa giusta da fare per infondere tutti i vizi a quella creatura, palpeggiarla cos, quando il cranio era ancora tanto tenero! Si mise poi a cercare le rassomiglianze. Per poco non litigarono. Lorilleux, che allungava il collo stando alle spalle delle signore, sosteneva che la piccola non aveva preso proprio nulla da Coupeau: forse un po' il naso, ma nemmeno! Era tutta sua madre, ma con certi occhi, per, che non venivano di certo da quella parte della famiglia. Coupeau non si faceva ancora vedere. Lo sentivano in cucina

alle prese con il fornello e la caffettiera. Gervaise smaniava: non stava certo all'uomo preparare il caff! E gli gridava come doveva fare, senza dar retta agli zitta! energici della levatrice. Mettete gi la bambina!, disse Coupeau, tornando nella camera con la caffettiera in mano. Che moglie petulante! Vuol proprio farsi un problema di tutto... Lo berremo nei bicchieri, non vi dispiace, vero? perch, vedete, le tazzine sono ancora dal negoziante. Si sedettero attorno alla tavola, e lo zincatore volle versare personalmente il caff. Era davvero forte, non risciacquatura di piatti. La levatrice se ne and dopo aver centellinato il suo bicchiere: tutto andava per il meglio, non avevano pi bisogno di lei, se la notte fosse successo qualcosa, potevano cercarla l'indomani. Non aveva ancora finito di scendere le scale, che gi Lorilleux si mise a trattarla da ubriacona e buona a nulla: una che metteva ben quattro zollette di zucchero nel caff, e si faceva dare quindici franchi per poi lasciarvi partorire da sole. Ma Coupeau la difendeva: le dava volentieri quei quindici franchi, e dopo tutto erano donne che passavano la giovinezza a studiare, avevano ragione a farsi pagar caro. Subito dopo Lorilleux litig con la signora Lerat. Sosteneva che, se si voleva avere un maschio, si doveva girare la testa del letto verso il nord, mentre la cognata alzava le spalle, diceva che eran cose da bambini, e dava invece un'altra ricetta: bastava nascondere sotto il letto, senza dirlo nemmeno alla moglie, una bella manciata di ortiche fresche e colte sotto il sole. Avevano avvicinato la tavola al letto. Fino alle dieci, pur sentendosi cadere addosso un'immensa fatica, Gervaise si mostr sorridente e come un po' attonita, con la testa poggiata sul guanciale: vedeva, ascoltava, ma non trovava pi la forza d'accennare a un qualunque gesto, a una parola. Le sembrava d'essere morta, una morte dolcissima, dai cui abissi era tuttavia felice di guardare la vita degli altri. A tratti, si sentiva un piccolo vagito della bambina in mezzo a quel parlare ad alta voce, a quelle interminabili considerazioni su un certo delitto avvenuto il giorno prima in rue du Bon-Puits, all'altra estremit di rue de la Chapelle. Quando la compagnia cominci a parlare d'andarsene, venne fuori il problema del battesimo. I Lorilleux avevano accettato di fare da padrino e da madrina, ma in cuor loro storcevano il naso. Tuttavia, se la coppia non si fosse rivolta a loro, avrebbero evidentemente fatto una gran brutta figura con tutti. Coupeau non vedeva la necessit di battezzare la piccola: non per questo qualcuno le avrebbe regalato una rendita di diecimila lire, e per di pi la cosa poteva farle venire un'infreddatura. Meno si aveva a che fare con i preti e meglio era. Mamma Coupeau l'accus di non essere che un pagano. I Lorilleux, pur non andando quasi mai in chiesa a fare la comunione, si piccavano d'essere dei buoni cristiani. Potrebbe essere domenica, se a voi sta bene, disse il fabbricante di catenelle. Gervaise diede il suo assenso con un piccolo cenno del capo. Allora la baciarono di nuovo raccomandandole di star bene. Diedero la buonanotte anche alla bambina. Uno dopo l'altro,

andarono tutti a chinarsi su quel povero corpicino intirizzito, sorridendo, con paroline tenere, come se la piccola fosse gi in condizioni di capire. La chiamavano Nan, vezzeggiativo di Anna, il nome della madrina. Sogni d'oro, Nan... Su, Nan, comportatevi da brava signorina.... E finalmente se ne andarono. Coupeau avvicin la sedia alla sponda del letto e fin la sua pipa, stringendo nella sua la mano della moglie. Fumava lentamente, concedendosi qualche frase fra uno sbuffo e l'altro, visibilmente commosso. Eh! vecchia mia, ti hanno fatto venire il mal di testa, vero? Ma lo capisci anche tu, non ho potuto impedir loro di venire. In fondo, una bella prova d'amicizia... Ma da soli si sta davvero meglio! Ne sentivo proprio il bisogno, s, di stare un po' da solo con te... Mi sembrata una serata cos lunga!... Mia povera chioccia! Ti hanno fatto tanta bua? Questi marmocchi non s'immaginano nemmeno il male che fanno quando si decidono a venire al mondo! Deve essere come sentirsi aprire le reni... Dimmi dov' la bua, che voglio darci sopra mille baci!. Dopo essersi insinuato delicatamente con una delle sue grandi mani sotto la schiena di Gervaise, adesso l'attirava a s, le baciava il ventre attraverso il lenzuolo, colto da tutta la sua tenerezza di uomo rude al cospetto di quella fecondit ancora dolorante. Le chiedeva se le faceva tanto male, diceva che avrebbe voluto risanarla soffiandoci sopra. E Gervaise era felice. Gli giur che non soffriva quasi pi del tutto. Non vedeva l'ora di rimettersi in piedi: non era certo quello il momento di fare gli scioperati. Coupeau la tranquillizzava. Non era forse affar suo guadagnare quanto bastava per dare da mangiare alla piccola? Sarebbe stato un bel vigliacco a lasciarle la bambina sul groppone! Non era poi un gran merito mettere al mondo un figlio: il merito era se mai nel tirarlo su con ogni cura. Coupeau non riusc a chiudere occhio per tutta la notte. Aveva coperto il fuoco della stufa. Un'ora dopo l'altra, doveva alzarsi per dar da bere alla piccina qualche cucchiaio d'acqua tiepida zuccherata. Ma con tutto ci, usc di casa la mattina presto per recarsi al lavoro come ogni altro giorno. Approfitt perfino della pausa per il pranzo per andare in municipio, a fare la sua dichiarazione. La signora Boche, che era stata avvertita, si era intanto precipitata al capezzale di Gervaise, trascorrendovi quasi tutta la giornata. Quanto alla puerpera, dopo dieci ore di sonno profondo, gi aveva ricominciato a protestare, diceva di sentirsi tutta indolenzita, non ne poteva pi di stare a letto. Si sarebbe di certo ammalata, se non la lasciavano alzarsi. Quando Coupeau torn a casa la sera, gli raccont i suoi tormenti: sicuro che si fidava della signora Boche, ma la verit era che non sopportava di vedere un'estranea piazzarsi in camera sua, aprire i cassetti, toccare le sue cose. L'indomani la portinaia, tornando da una commissione, la trov in piedi, tutta vestita, occupata a spazzare e a preparare la cena per il marito. N ci fu verso di convincerla a rimettersi a letto. La volevano forse prendere in giro? Era una cosa che poteva andar bene per le signore, mostrarsi affrante e sfinite. Non ne avevano nemmeno il tempo, loro, non erano di certo dei ricchi! Non erano passati neanche

tre giorni dal parto, che gi s'era rimessa a stirare delle sottogonne nella bottega della signora Fauconnier, ad armeggiare con i suoi ferri, grondando sudore per il soffocante calore dei fornelli. Il sabato sera la signora Lorilleux si present con i suoi regali da madrina: una cuffia da trentacinque soldi, e un vestitino da battesimo, plissettato e ornato con un piccolo merletto, che aveva avuto per sei franchi, essendo un po' rovinato. L'indomani Lorilleux, nella sua qualit di padrino, diede alla puerpera sei libbre di zucchero. Facevano entrambi le cose come andavano fatte! E nemmeno la sera, giungendo alla cena che ebbe luogo dai Coupeau, si presentarono a mani vuote. Il marito arriv con una bottiglia di vino ancora sigillata per braccio, mentre la moglie reggeva un enorme budino acquistato da un pasticciere assai rinomato, dalle parti della chausse Clignancourt. Ma i Lorilleux andarono a vantarsi della loro generosit in tutto il quartiere: avevano speso poco meno di venti franchi! Venendo a conoscenza di questi pettegolezzi, Gervaise si sent stringere il cuore e non tenne pi in alcun conto le loro buone maniere. Fu in occasione della cena per il battesimo che i Coupeau si legarono ancor pi strettamente con i loro vicini di pianerottolo. Il secondo appartamento della casa era occupato da due persone, madre e figlio, i Goujet, cos si chiamavano. Fino a quella sera, si erano al massimo salutati sulle scale o per strada, nulla di pi: i vicini parevano anzi un po' scorbutici. La madre aveva portato un secchio d'acqua a Gervaise, il giorno dopo il parto, e alla giovane era sembrato opportuno invitarli alla cena, tanto pi che avevano tutta l'aria d'essere delle persone per bene. Avevano cos finito per fare conoscenza. I Goujet erano originari del dipartimento del Nord. La madre rammendava i merletti, mentre il figlio, fabbro di mestiere, lavorava in una fabbrica di bulloni. Vivevano da cinque anni nel secondo appartamento del pianerottolo. La pace silenziosa della loro esistenza nascondeva in realt un antico dolore: pap Goujet, un giorno ch'era pazzo furioso dal gran bere, aveva ucciso a Lille un compagno a colpi di spranga di ferro, per poi strangolarsi in prigione con un fazzoletto. La vedova e il bambino, scappati a Parigi subito dopo la disgrazia, sentivano ancora incombere questo dramma su tutta la loro vita, e cercavano di riscattarsi con la pi rigorosa delle onest, con una dolcezza e un coraggio che nulla poteva minacciare. Mostravano perfino una punta d'orgoglio, parlando della loro vicenda, perch alla fine pareva loro d'essere migliori di tanti altri. La signora Goujet era sempre vestita di nero, con la fronte come incorniciata da una cuffia quasi monacale, un volto pallido e rilassato da matrona, come se il biancore dei merletti e il lavoro minuzioso delle sue dita le avessero conferito un riflesso di serenit. Il figlio era un colosso di ventitr anni, magnifico di figura, il volto rasato, gli occhi azzurri, forte come un ercole. In officina i compagni lo chiamavano Gueule-d'Or, per la sua bella barba bionda. I due suscitarono subito in Gervaise un moto spontaneo di simpatia e di amicizia. La prima volta che entr in casa loro, rimase abbagliata dall'estremo lindore della dimora. C'era poco

da fare, si poteva anche soffiare dappertutto, non ne sarebbe volato via un solo granello di polvere. Il pavimento scintillava, limpido come uno specchio. La signora Goujet la invit ad entrare anche nella camera del figlio, se la voleva vedere. La camera era graziosa e ordinata come quella d'una fanciulla: c'erano un piccolo letto di ferro con cortine di mussola, un tavolo, una toilette, una minuscola libreria appesa alla parete, e soprattutto illustrazioni da tutte le parti, in alto, in basso, delle figurine ritagliate, delle stampe a colori fissate al muro con quattro chiodi, ritratti d'ogni genere di personaggio, evidentemente staccati da qualche giornale illustrato. La signora Goujet diceva sorridendo che suo figlio era un gran fanciullone: la sera la fatica gli impediva di leggere, e si divertiva allora ad ammirare le sue immagini. Gervaise pass un'ora in compagnia della vicina, come in una sorta d'oblio di tutto il resto. La signora Goujet s'era messa al telaio, davanti a una delle finestre. La giovane donna sembrava interessarsi alle centinaia di spilli che tenevano fermo il merletto, felicissima di trovarsi in quella casa, respirando a pieni polmoni il buon odore di pulito che aleggiava in tutto l'alloggio, osservando quel lavoro delicato che metteva tutt'attorno un silenzio raccolto. I Goujet ci guadagnavano ad essere frequentati. Sgobbavano dalla mattina alla sera, e mettevano pi d'un quarto della loro quindicina presso la Cassa di Risparmio. Tutto il quartiere li salutava, parlava delle loro economie. Goujet non aveva mai un buco nei vestiti, usciva mettendosi addosso delle casacche pulitissime, senza nemmeno una macchia. Era molto educato, perfino un po' timido, a dispetto delle sue spalle possenti. Le lavandaie che stavano all'estremit della via si divertivano a vederlo passare con gli occhi bassi. Non gli piacevano le loro facezie volgari, trovava disgustoso che delle donne non sapessero dire che sconcezze. Ma un giorno gli era capitato di tornare a casa ubriaco. La signora Goujet, per tutto rimprovero, l'aveva messo di fronte a un ritratto del padre, un orribile quadro pietosamente nascosto in fondo al cassettone. Dopo questa lezione, Goujet beveva soltanto quanto gli bastava, senza odiare tuttavia il vino, perch diceva che il vino necessario all'operaio. Ogni domenica usciva in compagnia della madre, dandole il braccio: il pi delle volte la portava dalle parti di Vincennes, pi raramente l'accompagnava a teatro. La madre era la sua unica passione. Si rivolgeva a lei come un ragazzino. La testa ben squadrata, la carne irrobustita dal duro lavoro del martello, gli conferivano un aspetto da bestione: un po' ottuso d'intelligenza, ma dal cuore buono. Per qualche giorno, la presenza di Gervaise lo mise in imbarazzo, ma in capo a poche settimane fin per abituarsi a lei. Era sempre pronto ad aiutarla a portare i suoi involti di biancheria, la trattava come una sorella, con brusca familiarit, ritagliando immagini da dedicarle. Una mattina, avendo spinto la porta senza bussare, la sorprese seminuda e intenta a lavarsi il collo; per otto giorni, non riusc pi a guardarla in faccia, a tal punto che anche Gervaise fin per arrossirne. Cadet-Cassis, fiero della sua parlantina tipicamente parigina, trovava Gueule-d'Or un po' sciocco. Faceva bene a non darsi ai

bagordi, a non ammiccare alle fanciulle sul marciapiede; ma insomma, un uomo doveva pur essere un uomo, altrimenti tanto valeva infilarsi delle sottane. Lo prendeva in giro anche in presenza di Gervaise, accusandolo di fare il cascamorto con tutte le femmine del quartiere, e quel tamburo maggiore di Goujet si difendeva strenuamente. Ma la cosa non impediva ai due operai d'essere ottimi compagni. Appena alzati, si chiamavano l'un l'altro, si muovevano di casa insieme, bevevano di quando in quando un bicchiere di birra prima di rientrare. Dopo la cena per il battesimo, avevano cominciato a darsi del tu, anche perch dire sempre Voi non fa altro che rendere pi lunghe le frasi. La loro amicizia era a questo punto, quando Gueule-d'Or rese a Cadet-Cassis un gran servigio, uno di quei servigi del tutto particolari di cui ci si ricorda per tutta la vita. Era il 2 dicembre. Lo zincatore, volendo divagarsi, aveva avuto la bella idea d'andare in citt a vedere la sommossa. Se ne infischiava bellamente della Repubblica del Bonaparte e di tutto il resto, ma gli piaceva l'odore della polvere da sparo, e le schioppettate gli sembravano divertenti. Stava appunto per essere beccato dietro una barricata, quando il fabbro, per fortuna a sua volta presente, riusc giusto in tempo a proteggerlo con il suo corpaccione per poi aiutarlo a battersela. Mentre risalivano lungo rue du Faubourg-Poissonnire, Goujet camminava in fretta, grave in volto. Lui s, s'occupava di politica, era repubblicano ma moderato, in nome della giustizia e del benessere di tutti. Ma non aveva mai sparato un colpo di fucile. E diceva le sue buone ragioni: il popolo non ne poteva pi di pagare ai borghesi le patate bollenti che il popolo stesso tirava fuori dal fuoco, bruciandosi le dita; Febbraio e Giugno erano state delle belle lezioni, e ormai i sobborghi avrebbero lasciato che la citt se la cavasse per i fatti suoi. Quando furono poi arrivati sull'altura, in rue des Poissonniers, gir la testa in direzione di Parigi: laggi il maledettissimo lavoro si trovava pur sempre, e un giorno il popolo si sarebbe forse pentito d'aver incrociato le braccia. Ma Coupeau ridacchiava, gli sembravano cos stupidi gli asini che rischiavano la loro pelle, con il solo risultato di non far perdere i loro venticinque franchi ai fottuti fannulloni della Camera. La sera, i Coupeau invitarono a cena i Goujet. Al dessert, Cadet-Cassis e Gueule-d'Or si baciarono l'un l'altro sulle guance, per due volte. Adesso era per la vita e per la morte. Per tre anni, l'esistenza delle due famiglie trascorse, da un lato come dall'altro del pianerottolo, senza particolari avvenimenti. Gervaise era riuscita a tirar su la piccola perdendo tutt'al pi due giorni di lavoro alla settimana. Si era ormai fatta un'ottima operaia di fino, guadagnava a volte fino a tre franchi. Aveva dunque deciso di far entrare Etienne, che andava per gli otto anni, in un piccolo pensionato di rue de Chartres, pagando cento soldi. La coppia, nonostante il peso dei due bambini, metteva fra i venti e i trenta franchi al mese alla Cassa di Risparmio. Quando le loro economie ammontarono a seicento franchi, la giovane cominci a perdere il sonno, era ossessionata da un sogno ambizioso: si voleva mettere in proprio, prendere in affitto qualche botteguccia, assumere a sua volta delle

operaie. Aveva calcolato tutto. In capo a vent'anni, se il lavoro procedeva bene, avrebbero potuto avere una rendita, e sarebbero andati a spendersela da qualche parte, per esempio in campagna. Ma non osava arrischiarsi. Diceva di cercare la bottega giusta, per darsi il tempo di riflettere. Il denaro non correva alcun pericolo alla Cassa di Risparmio, al contrario: fruttificava. In tre anni, aveva soddisfatto una sola delle sue voglie: aveva finalmente acquistato una pendola, anche se la pendola, una pendola di palissandro a colonne ritorte, con un bilanciere di rame dorato, doveva essere pagata in un anno, con piccole rate di venti soldi ogni luned. Si risentiva se Coupeau diceva che voleva essere lui a ricaricarla: lei sola poteva sollevare la campana, e spolverare religiosamente le colonne, come se il marmo del cassettone si fosse tramutato d'incanto in una cappella. Sotto la campana, dietro la pendola, Gervaise nascondeva il libretto della Cassa di Risparmio. E spesso, cominciando a fantasticare sulla sua bottega, si fissava l, davanti al quadrante, guardando con occhi sbarrati le lancette che giravano, con l'aria di chi attende lo scoccare d'un certo minuto prima di risolversi a qualche importante decisione. I Coupeau uscivano quasi tutte le domeniche con i Goujet. Facevano delle belle passeggiate, una frittura a Saint-Ouen o un coniglio a Vincennes, mangiati semplicemente sotto il boschetto di qualche trattoria. Gli uomini non bevevano mai pi del necessario, e tornavano verso casa con l'occhio appena appena un po' appannato, dando il braccio alle signore. La sera, prima di coricarsi, le due famiglie facevano i conti, dividevano a met tutte le spese, e non capitava mai che un soldo in pi o in meno facesse nascere una discussione. I Lorilleux erano gelosi dei Goujet. Non riuscivano a capacitarsi perch mai Cadet-Cassis e la Zoppa stessero tanto appresso a quei due estranei, quando avevano un'intera famiglia a disposizione. Ah! era dunque quella la verit! che se ne infischiavano in tutto e per tutto della famiglia! Da quando avevano messo da parte quattro soldi, avevano la pretesa di fare di testa loro. E la signora Lorilleux, mal sopportando di vedere il fratello sfuggirle di mano, aveva ricominciato a vomitare ingiurie contro Gervaise. La signora Lerat, al contrario, prendeva le parti della giovane, e la difendeva raccontando avventure straordinarie, tentativi di seduzione, la sera, sul boulevard, e di come Gervaise se la fosse cavata ogni volta con il piglio d'una vera eroina drammatica, colpendo con un bel paio di ceffoni i suoi aggressori. Mamma Coupeau, dal canto suo, si sforzava di mettere tutti d'accordo, di farsi ben accogliere da tutti i figli: la vista non faceva che calarle, aveva soltanto una famiglia, ed era ben contenta di trovare cento soldi in casa degli uni come in casa degli altri. Il giorno stesso che Nan compiva tre anni, Coupeau, tornando a casa la sera, trov Gervaise sconvolta. Ma non voleva parlare, non aveva nulla di nulla, diceva. Ma apparecchiava la tavola tutta al contrario, si fermava con i piatti in mano come lasciandosi andare a importanti considerazioni; e il marito volle assolutamente sapere. Ebbene!, fin per confessare, ecco, affittano la bottega del piccolo merciaio di rue de la Goutte-d'Or... Sono andata a

vederla un'ora fa, con il pretesto di comprare del filo... Mi venuto un colpo!. Era una bottega pulitissima, proprio nel gran caseggiato in cui un tempo avevano sognato di vivere. C'era la bottega, il retrobottega, e altre due camere, a destra e a sinistra. Insomma, proprio quello che faceva al caso loro. Le stanze erano forse un po' piccole, ma ben distribuite. Il problema era che le sembrava troppo caro: il proprietario parlava di cinquecento franchi. Quindi l'hai visitata e domandato il prezzo?, chiese Coupeau. Oh! sai, giusto per curiosit!, rispose Gervaise, simulando indifferenza. Si va in giro, si entra ogni volta che si vede un cartello, ma non ci si impegna a niente... Ma questa troppo cara, decisamente. E poi, forse farei una sciocchezza a mettermi in proprio. Tuttavia, subito dopo cena, torn nella bottega del piccolo merciaio. Fece una pianta del luogo sul margine d'un giornale. E continuava a parlarne, ne misurava ogni angolo, risistemava le stanze, come se fin dall'indomani avesse dovuto sistemarci i suoi mobili. Coupeau cerc allora di convincerla a prendere in affitto la bottega, se davvero ne aveva tanta voglia. Del resto, non avrebbe di certo potuto trovare nulla di meglio a meno di cinquecento franchi: ma non c'era proprio modo d'avere una piccola riduzione? La cosa pi fastidiosa era d'andare ad abitare nella stessa casa dei Lorilleux, che Gervaise ormai non poteva pi sopportare. Ma la giovane protest: non voleva male a nessuno; e nell'ardore del suo desiderio, si mise perfino a difendere i Lorilleux, dicendo che in fondo non erano poi cos cattivi, forse avrebbero potuto andare d'accordo. Si misero a letto. Coupeau stava gi dormendo che Gervaise continuava a far nella mente tutti i suoi spostamenti, anche se non aveva ancora del tutto deciso di prendere in affitto la bottega. L'indomani, rimasta sola, non riusc a resistere all'impulso di sollevare la campana della pendola e di guardare il libretto della Cassa di Risparmio. E pensare che la sua bottega era tutta l dentro, in quei foglietti ricoperti da termini tanto banali! Prima d'andare al lavoro, pens di chiedere consiglio alla signora Goujet, che approv incondizionatamente il suo progetto di mettersi in proprio: con un uomo come il suo, un gran bravo ragazzo che beveva appena appena un goccio ogni tanto, poteva dormire fra due guanciali, avrebbe fatto degli ottimi affari e se la sarebbe cavata senza che la cosa la stritolasse. All'ora di pranzo sal dai Lorilleux, per avere anche il loro parere. Non voleva dare l'impressione di fare le cose di nascosto dal resto della famiglia. La signora Lorilleux ne rimase esterrefatta. Come! la Zoppa avrebbe avuto una bottega tutta sua, e cos presto! E pur con la morte nel cuore, fu costretta a mostrarsi felicissima: ma s, quella bottega era davvero quello che ci voleva, Gervaise faceva bene a prenderla. Ma subito dopo, riacquistata la calma, sia lei che il marito cominciarono a parlare dell'umidit del cortile, di quanto fosse triste la luce nelle stanze del pianterreno. Oh! era davvero il posto giusto per buscarsi i reumatismi! Ma insomma, se Gervaise aveva ormai deciso di farlo, non sarebbero di certo

stati i loro commenti, vero? a farle cambiare idea e a impedirle d'affittare la bottega. |[continua]| |[CAPITOLO QUARTO, 2]| La sera, Gervaise confess sorridendo che ne avrebbe fatto una malattia, se non fosse riuscita ad avere la sua bottega. Ma prima di dire: deciso!, voleva portare Coupeau a vedere il posto, e se possibile ottenere una pigione pi bassa. Andiamoci domani, se ti va bene, disse il marito. Puoi venirmi a prendere verso le sei sul lavoro, in quel palazzo di rue de la Nation. Tornando verso casa, possiamo fare un salto in rue de la Goutte-d'Or. Coupeau stava allora finendo il tetto d'un nuovo caseggiato a tre piani. Quel giorno, doveva appunto sistemare le ultime lamine di zinco. Poich il tetto era quasi completamente piatto, era riuscito a portar su anche il suo banco da lavoro, una tavola di legno abbastanza larga e che poggiava su due cavalletti. Il bellissimo sole di maggio era ormai al tramonto, e copriva d'oro i comignoli. E lass, sul tetto, l'operaio tagliava tranquillamente lo zinco con le cesoie, come un sarto che tagliasse a casa propria un paio di pantaloni. Contro il muro della casa vicina, il suo aiutante, un ragazzino di diciassette anni, gracile e biondo, alimentava il fuoco del fornello azionando un enorme mantice; e a ogni sbuffo si sprigionava tutto un crepito di scintille. Ehi! Zidore, metti i ferri!, grid Coupeau. L'aiutante immerse i ferri per la saldatura al centro della brace, il cui colore sembrava d'un rosa pallido in quell'inondazione di luce. E si rimise a far soffiare il mantice. Coupeau aveva in mano l'ultima lamina di zinco. Doveva sistemarla proprio sul bordo del tetto, dove la pendenza era pi forte e si spalancava l'abisso della strada di sotto. Lo zincatore, come se fosse a casa propria, avanz strisciando lentamente con i piedi calzati in scarpette di vivagno, e fischiettando l'aria Oh! i piccoli agnelli. Arrivato all'altezza della voragine, si lasci scivolare, s'appoggi con un ginocchio contro la muratura d'un comignolo, e s'arrest a met strada fra il tetto e il lastricato. Una gamba pendeva nel vuoto. Ogni volta che doveva arrovesciarsi per chiamare quella lumaca di Zidore, si rannicchiava contro un angolo della muratura, ricordandosi che da basso, sotto di lui, c'era il marciapiede. Maledetta lumaca, vieni!... Deciditi a darmi i ferri! Che fai? guardi per aria, mucchio d'ossa che non sei altro!... Se speri che le allodole ti cadano gi bell'e arrostite!.... Ma Zidore non sembrava aver fretta. Era affascinato dai tetti vicini, dal gran fumo che saliva dal fondo di Parigi, verso Grenelle: e se fosse stato un incendio? Ma finalmente si mise a pancia in gi, con la testa al di sopra dell'abisso, e pass i ferri a Coupeau. Quest'ultimo cominci a saldare la lamina. S'accovacciava, si protendeva, riuscendo sempre a trovare una posizione d'equilibrio, seduto su una natica, appollaiato sulla punta d'un solo piede, trattenuto soltanto da un dito. Che bella agilit, che magnifica scioltezza di movimenti! Si sentiva

perfettamente a proprio agio, come chi non si cura del pericolo. A cose del genere aveva ormai fatto il callo! Era piuttosto la strada ad avere paura di lui. Continuava a stringere fra le labbra la pipa, e di quando in quando si girava per scaracchiare tranquillamente nella via. Toh! Signora Boche!, grid all'improvviso. Ehi! Signora Boche!. Aveva visto la portinaia attraversare la strada. La donna sollev la testa, lo riconobbe a sua volta. Si misero allora a chiacchierare cos, dal tetto al marciapiede. La signora Boche si nascondeva le mani sotto il grembiale, con il naso in aria. Coupeau si sporgeva, aggrappandosi con il braccio sinistro alla canna d'un comignolo. Avete per caso incontrato mia moglie?, chiese. No, ve l'avrei detto, rispose la portinaia. Perch? doveva passare da queste parti?. Mi viene a prendere... In casa vostra tutto bene?. Ma s, grazie! sono io quella che sta peggio, sapete... Vado dalle parti della chausse Clignancourt a comprare un piccolo cosciotto... Il beccaio accanto al Moulin-Rouge lo vende a soli sedici soldi. Pass una carrozza, furono costretti ad alzare la voce. Rue de la Nation, larga e in quel momento deserta, risuonava tutta delle loro parole lanciate nel vuoto; ma solo una vecchiarella s'era affacciata alla finestra e indugiava adesso cos, poggiata sul gomito, godendo di quell'inaspettata emozione, divertendosi a guardare l'uomo appeso sul tetto di fronte, quasi sperasse di vederlo cadere da un momento all'altro. Beh! vi saluto, grid ancora la signora Boche. Non vi voglio disturbare. Coupeau si volt e prese il ferro che Zidore gli porgeva. La portinaia si stava allontanando quando vide sull'altro marciapiede Gervaise e Nan, che la giovane donna teneva per mano. Avrebbe voluto avvertire lo zincatore, e gi accennava a guardare di nuovo verso l'altro, ma Gervaise la invit a tacere con un gesto deciso. E a mezza voce, per non farsi sentire fin lass, manifest il suo timore: aveva paura che, comparendo all'improvviso, potesse cogliere di sorpresa il marito e farlo precipitare. In quattro anni soltanto una volta era andata a cercarlo sul lavoro. Quel giorno era la seconda. Non se la sentiva proprio di stare a guardare, le si rimescolava il sangue nelle vene quando vedeva il suo uomo sospeso cos, fra il cielo e la terra, tanto in alto che nemmeno i passerotti vi si arrischiavano. Certo, non deve essere piacevole, mormor la signora Boche. Per fortuna che il mio uomo fa il sarto, non ho di questi tremori!. Se sapeste!, continu Gervaise, nei primi tempi, tremavo di paura dalla mattina alla sera. Me l'immaginavo sempre con la testa rotta, disteso su una barella... Ormai non ci penso quasi pi. Ci si abitua a tutto. Bisogna pure guadagnarsi il pane... Ma un pane che costa davvero caro, si rischia la pelle pi di quanto sarebbe necessario!. Smise di parlare e avvolse Nan fra le sue sottane, temendo che alla piccola potesse sfuggire un grido. E suo malgrado,

pallidissima, teneva gli occhi fissi in alto. Coupeau stava adesso saldando il bordo esterno della lamina vicino alla grondaia, si sporgeva in fuori il pi possibile, non riuscendo a toccarne l'estremit. S'arrischi di pi, muovendosi lentamente da operaio avvezzo alla cautela e all'agilit. Per un attimo rimase come sospeso del tutto nel vuoto, al di sopra della strada, non sorreggendosi pi in alcun modo, ma ugualmente tranquillo, tutto preso dal suo lavoro; mentre dalla via si vedeva crepitare la fiammella bianca della saldatura sotto il ferro che strisciava, mosso da quella mano cos esperta ed accurata. Gervaise, ammutolita, con la gola serrata dall'angoscia, stringeva i pugni, li levava in alto in un gesto inconsapevole di supplica. E le usc un sospiro troppo profondo. Coupeau era tornato a scalare il tetto, senza darsi fretta, concedendosi il tempo di scaracchiare un'ultima volta nella via. E cos vengo sorvegliato!, grid allegramente nel vederla. Sono sicuro che ha fatto le sue solite storie, vero, signora Boche?... Non ha voluto chiamarmi... Aspettami, ne ho ancora per dieci minuti!. Aveva quasi finito, doveva solo sistemare il capitello d'un comignolo, una bazzecola, una cosa proprio da nulla. La lavandaia e la portinaia rimasero sul marciapiede, facendo pettegolezzi sulla gente del quartiere, tenendo d'occhio Nan per impedirle d'inzaccherarsi nel rigagnolo, dove la piccola s'ostinava a voler cercare qualche pesciolino. Ma le due donne tornavano sempre a guardare verso il tetto, sorridendo e scrollando il capo, come per dire che non si sarebbero spazientite. La vecchia dirimpetto era sempre affacciata alla finestra; osservava, aspettava. Ma che avr mai da guardare, quella brutta strega!, disse la signora Boche. Che brutto ceffo!. Dall'alto si sentiva l'energica voce dello zincatore che cantava Ah! come bello coglier la fragola! Era adesso tutto curvo sul banco da lavoro, e tagliava lo zinco da vero artista. Aveva tracciato una linea servendosi del compasso, e staccava un ampio ventaglio servendosi d'un paio di cesoie ricurve; poi piegava delicatamente il ventaglio con il martello, a forma di fungo appuntito. Zidore aveva ricominciato ad alimentare il fuoco del fornello con il mantice. Il sole stava adesso tramontando alle spalle della casa in un immenso chiarore rosato, che impallidiva lentamente, volgendo al pi tenue dei lill. E contro il cielo aperto, nell'ora pi raccolta del giorno, le sagome dei due operai s'ingrandivano a dismisura, si stagliavano sul limpido fondale dell'aria, insieme alla scura tavola del banco da lavoro e al bizzarro profilo del mantice. Una volta sistemato il capitello, Coupeau lanci di nuovo il suo richiamo: Zidore! I ferri!. Ma Zidore era scomparso. Lo zincatore, bestemmiando, frug in giro con lo sguardo, lo chiam affacciandosi all'abbaino del solaio rimasto aperto. Lo scopr alla fine sul tetto d'una casa vicina, a due isolati di distanza. Il piccolo furfante stava passeggiando, esplorava i dintorni, con i sottili capelli biondi che svolazzavano all'aria aperta, e gli occhi che gli sbattevano di

meraviglia dinanzi all'immensit di Parigi. E allora, perdigiorno! credi forse d'essere in campagna!, grid Coupeau furibondo. Non sei Branger, non componi dei versi, mi sembra!... Vuoi passarmi o no quei ferri! Ma s' mai vista una cosa del genere! andare a zonzo sui tetti! Perch non chiami la tua amichetta? potresti sempre cantarle qualche scemenza... Insomma, mi dai o no i ferri, maledetto salame!. Dopo aver saldato, strill a Gervaise: Ecco, ho finito Vengo gi. La canna di cui doveva sistemare il capitello si trovava proprio al centro del tetto. Gervaise, ormai pi tranquilla, continuava a sorridere tenendo d'occhio i movimenti del marito. Nan, messa in allegria alla vista del padre, batteva le manine. S'era messa a sedere sul marciapiede, per guardare meglio verso l'alto. Pap! pap!, gridava con tutta la sua forza, pap! guarda!. Lo zincatore si protese verso l'esterno, ma il piede gli scivol. Cominci allora a rotolare irrefrenabilmente, stupidamente, come un gatto dalle zampe intrappolate, precipitando lungo la lieve pendenza del tetto, senza trovar nulla a cui potersi aggrappare. Cristo santo!, disse con voce soffocata. E cadde. Il suo corpo descrisse una curva ampia e sinuosa, gir per due volte su se stesso, and a schiantarsi in mezzo alla strada, con lo stesso tonfo sordo d'un mucchio di biancheria lasciato cadere dall'alto. Gervaise, sbigottita, con la gola lacerata da un urlo di strazio, rimase immobile con le braccia levate. Accorsero dei passanti, lentamente and formandosi un piccolo assembramento. La signora Boche, ugualmente sconvolta, con le gambe che le si piegavano, prese Nan fra le braccia per coprirle il volto e impedirle cos di vedere. La vecchiarella dirimpetto, come finalmente soddisfatta, aveva intanto chiuso tranquillamente la finestra. Alla fine quattro uomini trasportarono Coupeau fino a una farmacia all'angolo con rue des Poissonnires: vi rimase per quasi un'ora, al centro della bottega, sdraiato su una coperta, mentre gli altri erano andati a cercare una barella all'ospedale Lariboisire. Coupeau respirava ancora, ma il farmacista non faceva che scrollare la testa. Gervaise s'era inginocchiata a terra, singhiozzava di continuo, fradicia delle sue stesse lacrime, accecata, inebetita. Con un gesto quasi inconsapevole, allungava le mani, palpava il corpo del marito, dolcemente, dolcemente. Poi le ritraeva, guardava il farmacista che le aveva proibito di toccarlo, ma ricominciava da capo qualche secondo pi tardi, troppo ansiosa d'assicurarsi se il corpo era ancora caldo, illudendosi di fargli del bene. Arriv finalmente la barella. E quando qualcuno parl di portare Coupeau all'ospedale, Gervaise si risollev di scatto, dicendo con violenza: No, no, all'ospedale no!... Portatelo a casa nostra, in rue Neuve-de-la-Goutte-d'Or!. Cercarono inutilmente di spiegarle che le cure le sarebbero costate ben care, se decideva di tenersi il marito in casa.

Ripeteva testardamente: In rue Neuve-de-la-Goutte-d'Or... Vi far vedere il portone... Per voi non forse lo stesso? Ho qualche soldo da parte... mio marito, vero? mio, lo voglio!. E dovettero alla fine portare Coupeau a casa. Quando la barella si fece largo in mezzo alla folla che si stringeva davanti alla bottega del farmacista, le donne del quartiere stavano parlando di Gervaise con ammirazione: vero, zoppicava, quella briccona, ma nondimeno aveva energia da vendere e sicuramente sarebbe riuscita a salvare il marito, non come in ospedale, dove i medici facevano di tutto per far tirare al pi presto le cuoia agli ammalati troppo gravi, con l'unico scopo di non perdere il tempo e la testa nell'illusione di guarirli. La signora Boche, dopo aver condotto Nan a casa sua, era tornata e raccontava l'incidente con mille interminabili particolari, nonostante fosse ancora tutta scombussolata dall'emozione. Stavo andando a comprare un cosciotto, ero presente, l'ho visto cadere, ripeteva. stato per la piccola, voleva guardarla, e patatrac! Ah! Dio benedetto! non avrei certo voglia di vederne cadere un altro... Ma devo proprio andare a comprare il cosciotto. Per otto giorni Coupeau se la vide assai brutta. La famiglia, i vicini, tutti, s'aspettavano di vederlo tirare le cuoia da un momento all'altro. Il medico, un medico carissimo che si faceva pagare cento soldi alla visita, temeva qualche lesione interna: espressione che gettava tutti nel panico, e nel quartiere si diceva che lo zincatore s'era rotto il cuore nella caduta. Ma Gervaise, resa livida dalle notti trascorse in bianco, seria, risoluta, si limitava ad alzare le spalle. Il suo uomo s'era rotto la gamba destra, lo sapevano tutti, gliel'avrebbero rimessa a posto. Ecco tutto. Quanto al resto, al cuore spaccato, non era nulla. Ci avrebbe pensato lei a riaggiustargli il cuore. Sapeva bene come fare: ci volevano delle cure, ordine e pulizia, una salda amicizia. E si mostrava orgogliosamente sicura, convinta di guarirlo semplicemente restandogli accanto, sfiorandolo con le mani nei momenti di febbre. Non ebbe mai un dubbio. Durante l'intera settimana fu vista sempre in piedi, quasi completamente silenziosa, tutta concentrata nella sua ostinazione, con l'idea fissa di salvarlo, trascurando i bambini, la strada, la citt intera. Allo scadere del nono giorno, quando finalmente il medico garant per l'ammalato, si lasci cadere su una sedia, con le gambe molli, la schiena a pezzi, scoppiando a piangere. La notte acconsent a dormire due ore, la testa poggiata sulla sponda del letto. L'incidente di Coupeau aveva messo tutta la famiglia sottosopra. Mamma Coupeau passava le notti con Gervaise, ma alle nove s'addormentava immancabilmente sulla sedia. Ogni sera, al ritorno dal lavoro, la signora Lerat faceva un lungo giro per venire a chiedere se c'era qualcosa di nuovo. I Lorilleux erano venuti agli inizi anche due o tre volte al giorno, offrendosi di vegliare, portando perfino una poltrona per Gervaise. Ma ben presto erano sorte delle discussioni sul modo migliore d'assistere gli ammalati. La signora Lorilleux sosteneva d'aver salvato abbastanza vite, in passato, per sapere cosa si dovesse

fare. Accusava Gervaise di mandarla via, d'allontanarla dal letto del fratello. Ma s, la Zoppa faceva bene a voler guarire Coupeau, perch, insomma, se non fosse andata a dargli fastidio in rue de la Nation, di certo il marito non sarebbe caduto. Ma se continuava a stargli attorno cos, c'era da scommettere che l'altro era bell'e spacciato. Quando vide Coupeau ormai fuori pericolo, Gervaise smise di fare la guardia al suo letto con tanta scontrosa gelosia. Nessuno poteva pi ucciderglielo, e lasciava quindi che anche gli altri s'avvicinassero al marito, senza pi diffidarne. I familiari sciamavano nella camera. La convalescenza sarebbe stata assai lunga, il medico aveva parlato di quattro mesi. Durante i sonni prolungati dello zincatore, i Lorilleux cominciarono a trattare Gervaise da sciocca. Che vantaggio aveva a tenersi in casa il marito? All'ospedale si sarebbe ristabilito di certo pi in fretta. Lorilleux diceva che avrebbe voluto ammalarsi a sua volta, un acciacco qualunque, giusto per dimostrarle che non avrebbe esitato un secondo a farsi portare al Lariboisire. La signora Lorilleux aveva un'amica che ne era appena uscita: bene! aveva mangiato pollo dalla mattina alla sera! Ed entrambi, marito e moglie, per la millesima volta facevano il conto di quanto sarebbe costata alla coppia quella convalescenza di quattro mesi: prima di tutto, le giornate di lavoro perdute; poi il medico, le medicine, e successivamente del buon vino, della carne al sangue. Se alla fine i Coupeau si fossero ritrovati soltanto con i loro quattro soldi messi da parte spazzati via, sarebbero gi stati fortunati. Ma avrebbero finito necessariamente per indebitarsi: poco ma sicuro! Beh! erano fatti loro. Che non s'illudessero comunque di poter contare sulla famiglia: nessuno di loro era abbastanza ricco da poter mantenere un ammalato a casa propria. Tanto peggio per la Zoppa, in fin dei conti! Perch non aveva fatto come tutti gli altri, e lasciato che si portasse il suo uomo all'ospedale? Il quadro era completo. La verit era che si trattava solo d'orgoglio. Una sera, la signora Lorilleux le chiese malignamente: E allora! che ne della vostra bottega? quando l'affittate?. Gi, ghign Lorilleux, il portiere sempre l che vi aspetta. Gervaise si sent stringere il cuore. Aveva completamente dimenticato la bottega. Ma s'accorgeva benissimo del piacere maligno di quella gente, all'idea che ormai la sua bottega se n'era andata in fumo. Da quella sera in poi, i due Lorilleux colsero ogni occasione per sbeffeggiarla ricordandole il suo sogno finito in fondo al mare. Ogni volta che si parlava di qualche speranza impossibile da realizzare, le facevano balenare d'innanzi il giorno in cui sarebbe finalmente stata a sua volta padrona, in un bel negozio affacciato sulla via. E alle sue spalle era tutto un gran spettegolare. Gervaise non voleva pensare al peggio, ma in verit i Lorilleux parevano felicissimi dell'incidente di Coupeau, che le impediva d'aprire la sua lavanderia in rue de la Goutte-d'Or. Si sforz allora d'essere la prima a riderne, di far capire a quei due come sacrificasse volentieri quel denaro per la guarigione del marito. Ogni volta che prendeva in loro presenza

il libretto della Cassa di Risparmio da sotto la campana della pendola, diceva allegramente: Esco, vado ad affittare la mia bottega!. Non aveva voluto ritirare i suoi risparmi in una sola volta. Se ne faceva restituire cento franchi di quando in quando, per non tenere troppi soldi tutti insieme nel cassettone; e continuava poi a sperare vagamente in qualche miracolo, in un improvviso ristabilimento che consentisse loro di non sperperare l'intera somma. Dopo ogni salto alla Cassa di Risparmio, tornata a casa, calcolava su un pezzetto di carta quanto denaro restava ancora. Lo faceva solo perch tutto fosse in perfetto ordine. Il piccolo capitale cominciava ad essere seriamente intaccato, ma non contava, Gervaise continuava ad avere la sua aria assennata, il suo tranquillo sorriso, e soprattutto a misurare giorno dopo giorno la trionfale disfatta di tutte le loro economie. Ma non era gi consolante l'idea d'utilizzare cos bene quel denaro, d'averlo avuto a portata di mano nel momento della disgrazia? E cos, senza un rimpianto, tornava a riporre con gesti accurati il libretto dietro la pendola, sotto la campana. I Goujet si dimostrarono generosissimi nei confronti di Gervaise durante tutta la malattia di Coupeau. La signora Goujet era a sua completa disposizione, non scendeva una sola volta senza domandarle se non avesse per caso bisogno di zucchero, di sale, e le offriva sempre il brodo migliore, quando la sera faceva il bollito. Se la vedeva troppo occupata, si prendeva anche cura della cucina, le dava una mano per le stoviglie. Ogni mattina, Goujet prendeva i secchi della giovane donna, andava a riempirli alla fontana di rue des Poissonniers: era sempre un risparmio di due soldi. Poi, dopo cena, quando i familiari non invadevano pi con la loro presenza la camera, i Goujet venivano a far compagnia ai Coupeau. Per due ore, fino alle dieci, il fabbro fumava la pipa, guardava Gervaise che si dava da fare attorno al capezzale dell'ammalato. Non diceva pi di dieci parole in tutta la serata. Il suo faccione biondo sembrava affondare fra le spalle da colosso; s'inteneriva nel vederla versare la tisana in una tazza, girare lo zucchero con il cucchiaio senza fare rumore. Quando poi la vedeva rimboccare il letto e incoraggiare Coupeau con voce dolce, restava tutto commosso. Non aveva mai incontrato una donna tanto coraggiosa. E anche quel suo zoppicare non le stava poi tanto male, era anzi un merito in pi, visto il modo in cui sfacchinava tutto il giorno dandosi da fare per il marito. Non c'era che dire, non si sedeva nemmeno per un quarto d'ora, giusto il tempo di mangiare. Correva di continuo in farmacia, doveva toccare cose poco pulite, s'affacendava in mille modi per tenere in ordine la camera dove avveniva di tutto; e con ci, mai un lamento, sempre gentile, anche le sere in cui dormiva in piedi, a occhi aperti, da tanto ch'era stanca. E il fabbro, in quel clima d'assoluta dedizione, in mezzo agli intrugli dimenticati sui mobili, sentiva nascere in s un profondo affetto per Gervaise, a forza di vederla amare e curare con tutto il cuore Coupeau. Beh! vecchio mio! eccoti rimesso a nuovo, disse un giorno al convalescente. Del resto non ero affatto in pena, tua moglie il buon Dio in persona!.

Quanto a lui, si doveva sposare. O meglio: la madre gli aveva trovato una fanciulla davvero per bene, merlettaia come lei, e desiderava assolutamente che la sposasse. Per non farle dispiacere, lui diceva di s, e il matrimonio era addirittura stato fissato per i primi di settembre. Il denaro per metter su famiglia si trovava da molto tempo alla Cassa di Risparmio. Ma Goujet scuoteva la testa quando Gervaise gli parlava del matrimonio, e mormorava con la sua voce un po' strascicata: Non tutte le donne sono come voi, signora Coupeau. Se tutte le donne fossero come voi, uno si sposerebbe non una ma dieci volte!. In capo a due mesi Coupeau pot cominciare ad alzarsi dal letto. Non si spingeva mai troppo lontano, ma passeggiava dal letto alla finestra, sempre sorretto da Gervaise. Arrivato alla finestra, si metteva a sedere nella poltrona dei Lorilleux, con la gamba destra allungata su uno sgabello. Quel gran burlone, che amava scherzare sulle gambe che si rompevano nei giorni di gelata, era assai indispettito per il suo incidente. Mancava insomma di filosofia. Aveva passato quei due mesi a letto a bestemmiare, a mandare al diavolo tutti quanti. Non era certo un gran bel vivere, starsene sdraiati sulla schiena, con la gamba legata e irrigidita come un salame! Ah! come lo conosceva, ormai, quel soffitto! Per esempio, c'era una fenditura, nell'angolo dell'alcova, che avrebbe potuto disegnare anche ad occhi chiusi. Una volta conquistata la poltrona, cominci un'altra storia. Per quanto tempo avrebbe dovuto starsene l, inchiodato come una mummia? La strada non era nemmeno divertente, non ci passava mai nessuno, puzzava tutto il santo giorno di candeggina. No, davvero, non voleva invecchiare in quella poltrona, avrebbe ben volentieri dato dieci anni della propria vita solo per vedere in che stato erano le fortificazioni. E tornava sempre a prendersela veementemente con il destino. Non era giusto che gli fosse capitato quell'incidente, non doveva succedere proprio a lui: lui che era un buon operaio, un gran lavoratore, uno che non beveva mai. Fosse capitato a qualcun altro, d'accordo, allora s! l'avrebbe anche potuto capire. Pap Coupeau, diceva, s' rotto l'osso del collo un giorno che era cotto dal gran bere. Non voglio dire con questo che se lo sia meritato, ma insomma la cosa aveva almeno una sua giustificazione... Io invece ero a stomaco praticamente vuoto, me ne stavo tutto calmo e tranquillo, senza nemmeno una goccia d'alcool in corpo. Ed ecco che cado gi a capofitto, solo perch ho voluto girarmi per fare un salutino a Nan... Non vi sembra un po' dura da mandar gi? Ammesso che ci sia il buon Dio, mi pare che abbia un modo ben strano di mettere a posto le cose. Non riuscir mai a capacitarmi d'una faccenda del genere!. E anche quando recuper l'uso delle gambe, conserv nei confronti del lavoro un profondo rancore. Che mestiere disgraziato, quello di passare la giornata come i gatti, lungo le grondaie! I borghesi non sono affatto stupidi! sono cos codardi che non s'arrischiano nemmeno a salire in cima a una scala, e vi mandano diritti incontro alla morte, sistemandosi comodamente accanto al loro fuoco e infischiandosene bellamente della povera

gente. E si spingeva anche oltre: sosteneva che ognuno avrebbe dovuto mettersi da solo lo zinco sul tetto di casa propria. Che diamine! a voler essere giusti, la conclusione era una sola: se non vuoi stare al bagnato, fa' in modo di metterti al coperto! Rimpiangeva anche di non aver appreso qualche altro mestiere, un mestiere pi bello e meno pericoloso, per esempio quello d'ebanista. E anche in questo caso, la colpa era tutta di pap Coupeau: i padri avevano sempre quell'assurda fissazione d'obbligare ad ogni costo i figli ad abbracciare la loro stessa professione. Nei due mesi che seguirono, Coupeau fu costretto a camminare con l'aiuto delle stampelle. Agli inizi s'era limitato a scendere nella via e a farsi qualche pipata davanti al portone, poi aveva cominciato a spingersi fino al boulevard esterno, trascinandosi al sole e rimanendo per ore seduto su una panchina. Gli tornava l'allegria, la sua diabolica parlantina si faceva ancora pi sciolta e mordace, nutrendosi di quei lunghi ozi. Insieme al piacere di vivere, andava cos riacquistando tutta la gioia del dolce far niente, e si sentiva le membra tutte abbandonate, i muscoli che gli scivolavano in una sorta di dolcissimo sonno: era come la trionfale avanzata della pigrizia, che approfittava della sua convalescenza per entrargli nella pelle e per intorpidirlo, rammollirlo. Ricominciava a star bene, ad essere beffardo, a trovare bella la vita, e non capiva perch mai un simile stato di cose non avrebbe potuto continuare all'infinito. Quando pot fare a meno delle stampelle, spinse le sue passeggiate pi lontano, gironzol per i cantieri andando a salutare i compagni. Rimaneva a braccia incrociate davanti alle case in costruzione, sogghignando fra s e s, scrollando la testa, e si faceva gioco degli operai che sgobbavano, allungava la gamba come a mostrar loro il sicuro risultato di tanto sfacchinare. Quest'indulgere allo scherno, queste pause in cui non faceva che sbeffeggiare la fatica degli altri, accontentavano in qualche modo il suo sordo rancore nei confronti del lavoro. Ma s, prima o poi avrebbe ricominciato anche lui, non poteva farne a meno, ma l'avrebbe di certo fatto il pi tardi possibile! Oh! ne aveva di buone ragioni, per mancare a tal punto d'entusiasmo! E soprattutto, gli sembrava cos piacevole battere un po' la fiacca! Nei pomeriggi di noia, Coupeau saliva dai Lorilleux, dove si faceva compiangere e conquistare con ogni sorta d'amabile premura. Nei primi anni del loro matrimonio, grazie all'influenza di Gervaise, era riuscito a sfuggire alla loro tutela. Ma adesso i due lo stavano di nuovo riacciuffando, prendendolo in giro per la paura che gli incuteva la moglie. Ma insomma! era o non era un uomo? I Lorilleux davano comunque prova di grande discrezione, e non facevano che elogiare in modo smaccato i meriti della lavandaia. Coupeau, pur evitando ancora di farne un'occasione di litigio, giurava a Gervaise che la sorella l'adorava, e la pregava di mostrarsi a sua volta un po' meno malevola nei suoi confronti. La coppia aveva bisticciato per la prima volta una sera, a proposito di Etienne. Lo zincatore aveva trascorso il pomeriggio dai Lorilleux. Tornato a casa, poich la cena si faceva aspettare e i bambini strillavano reclamando il loro piatto di minestra, se l'era presa all'improvviso con Etienne,

mollandogli un paio di ceffoni. E aveva continuato a mugugnare almeno per un'ora: quel marmocchio non era suo, non sapeva nemmeno perch se lo teneva in casa, avrebbe finito per metterlo alla porta. Fino a quel momento aveva accettato la presenza del monello senza fare tante storie. L'indomani aveva tirato in ballo la sua dignit. Tre giorni dopo aveva preso l'abitudine di prendere a calci nel sedere il piccolo, dalla mattina alla sera, tanto che il bambino, appena lo sentiva salire le scale, correva a mettersi in salvo dai Goujet, dove la vecchia merlettaia gli teneva libero un angolo della tavola, perch vi potesse fare i compiti. Gervaise aveva ricominciato a lavorare da molto tempo. Non doveva pi preoccuparsi di togliere e rimettere la campana della pendola: tutte le loro economie erano ormai andate in fumo, e si trattava adesso di sfacchinare sul serio, e sfacchinare per quattro, perch erano quattro le bocche da sfamare. Soltanto lei poteva dar da mangiare a quel suo piccolo mondo. Se sentiva che qualcuno la compiangeva, si premurava di giustificare Coupeau. Ma mettetevi un po' nei suoi panni! aveva cos sofferto, che non c'era adesso da meravigliarsi se il suo carattere ne risentiva e si faceva pi aspro! Ma tutto sarebbe cambiato appena avesse recuperato le forze. E se le suggerivano che Coupeau, stando alle apparenze, era ormai perfettamente ristabilito e che poteva quindi tornare al cantiere, eccola ancora a protestare: no, no, era troppo presto! non voleva di certo vederlo un'altra volta costretto a letto! Ricordava benissimo cosa diceva il medico. Era lei che gli impediva di lavorare, e gli ripeteva ogni mattina di prendersela con calma, di non fare sforzi. Era ancora lei a ficcargli di nascosto delle monete da venti soldi nel taschino del panciotto. Coupeau accettava la situazione come se fosse la cosa pi naturale di questo mondo, si lamentava d'ogni sorta di dolore soltanto per farsi coccolare. I sei mesi erano ormai trascorsi, ma la sua convalescenza continuava ancora. Adesso, nei giorni in cui andava a guardare i compagni sul lavoro, entrava volentieri a bere un bicchiere di vino con loro. A dire la verit, non si stava affatto male dai vinaioli, si scherzava, ci si tratteneva giusto per cinque minuti. Non era un disonore per nessuno. Solo i pedanti amavano far la parte di chi muore di sete sulla porta. Facevano proprio bene un tempo a prenderlo in giro, un bicchiere di vino non ha mai ucciso nessuno. Ma si batteva il petto affermando ch'era un suo punto d'onoro bere soltanto del vino, sempre ed esclusivamente del vino, mai e poi mai dell'acquavite: il vino faceva vivere pi a lungo, non faceva star male, non ubriacava nemmeno. Ma in diverse occasioni, dopo giornate d'ozio trascorse passando di cantiere in cantiere, di bettola in bettola, era tornato a casa un po' alticcio. Gervaise aveva allora chiuso la porta di casa, adducendo a sua volta a pretesto un terribile mal di capo, non volendo che i Goujet ascoltassero tutte le scempiaggini di Coupeau. Ma a lungo andare la giovane fin per cadere in preda alla malinconia. Non faceva che passare per rue de la Goutte d'Or, e guardava di nascosto la bottega, che aspettava sempre d'essere affittata, come se si rendesse conto di comportarsi in un modo

infantile e indegno d'una persona adulta. La bottega ricominciava a farle girare la testa: la notte, a luci spente, con gli occhi spalancati, le bastava pensarci per sentire tutto l'incanto d'un piacere proibito. E tornava a fare i conti: duecentocinquanta franchi per l'affitto, altri centocinquanta franchi per gli utensili e i macchinari, cento franchi di riserva per avere di che vivere per almeno quindici giorni, in tutto cinquecento franchi, a voler essere stretti. Se evitava di parlarne esplicitamente e troppo spesso, era solo perch temeva di poter dare l'impressione di rimpiangere i risparmi spazzati via dalla malattia di Coupeau. Ma le capitava a volte di lasciar trasparire il suo desiderio; allora impallidiva tutta e cercava di mascherare il senso delle sue parole dicendosi distratta da qualche brutto pensiero. Ci volevano a quel punto quattro o cinque anni di lavoro, prima d'aver messo da parte una somma tanto consistente. Era soprattutto quest'idea a gettarla nello sconforto. Avrebbe voluto metter su bottega al pi presto, provvedere con le sue sole forze ai bisogni della famiglia, senza fare affidamento su Coupeau e lasciandogli anzi qualche altro mese di riposo, perch potesse alla fine ritrovare la voglia di lavorare. Allora s che si sarebbe sentita pi tranquilla, avrebbe avuto di nuovo fiducia nell'avvenire, finalmente libera da quelle inconfessabili paure che l'afferravano di quando in quando, vedendo tornare a casa il marito tutto felice e contento, canticchiando e raccontando di qualche buona battuta detta da quel gran bestione di Mes-Bottes, al quale aveva offerto un litro di vino. Una sera che Gervaise si trovava da sola in casa, entr Goujet, che non scapp via quasi subito come faceva d'abitudine. S'era messo a sedere e la fissava fumando. Doveva frullargli nel cervello chiss quale serio discorso: lo rigirava dentro di s, lo perfezionava, ma non riusciva ancora a dargli un'espressione adeguata. Finalmente, dopo un lungo silenzio, sembr decidersi, si tolse la pipa di bocca e recit infatti tutto d'un fiato: Signora Gervaise, vorrei che mi permetteste di farvi un piccolo prestito!. La giovane era curva sul cassettone aperto, cercando degli strofinacci. Si risollev di scatto rossa in viso. Possibile che Goujet l'avesse vista, quella mattina, immobile con aria estatica davanti alla bottega, per almeno dieci minuti? L'altro sorrideva imbarazzato, come se le avesse fatto una profferta offensiva. Gervaise rifiut decisamente: non avrebbe mai potuto accettare del denaro, senza sapere quando sarebbe stata in grado di restituirlo. Tanto pi che si trattava d'una somma davvero troppo alta. E poich Goujet insisteva, fin per esclamare: Ma il vostro matrimonio? Non posso certo prendere il denaro del vostro matrimonio!. Oh! non preoccupatevene, rispose Goujet arrossendo a sua volta. Non mi sposo pi. Sapete, era solo un'idea... Davvero, preferisco prestarli a voi, quei soldi. Abbassarono entrambi gli occhi. C'era fra loro qualcosa di dolcissimo che non osavano dirsi. E Gervaise accett. Goujet aveva gi avvertito la madre. Attraversarono il pianerottolo e

andarono a parlarle all'istante. La merlettaia era seria in volto, come un po' rattristata, tranquillamente ricurva sul telaio. Non voleva contrastare il desiderio del figlio, ma non approvava il progetto di Gervaise, e non manc di dirne chiaro e tondo le ragioni: Coupeau stava prendendo una cattiva strada, Coupeau avrebbe finito per farle fuori la bottega. La vecchia non perdonava allo zincatore di non aver voluto imparare a leggere, durante la convalescenza; il fabbro s'era offerto d'aiutarlo, ma l'altro l'aveva mandato a quel paese e se l'era presa con la scienza, che accusava d'affamare la povera gente. La cosa aveva quasi fatto litigare i due operai, e adesso ognuno andava per la sua strada. Vedendo gli sguardi di supplica del suo fanciullone, la signora Goujet si mostr tuttavia gentilissima nei confronti di Gervaise. Venne deciso alla fine che i Goujet avrebbero prestato i cinquecento franchi ai vicini, che li avrebbero restituiti in ragione di venti franchi al mese: prima o poi, la faccenda sarebbe pur finita. Ma dimmi un po'! non che il fabbro ti fa gli occhi dolci, per caso?, disse Coupeau ridendo, quando Gervaise lo mise al corrente di tutta la vicenda. Oh! posso stare tranquillo, uno che proprio non ci sa fare... Li avr indietro, i suoi soldi. Ma davvero, se avesse a che fare con qualche canaglia, sarebbe cos facile metterlo nel sacco!. Fin dall'indomani i Coupeau presero in affitto la bottega. Gervaise pass l'intera giornata a correre da rue Neuve a rue de la Goutte-d'Or. La gente del quartiere, al vederla passare cos leggera e felice, a tal punto che nemmeno pi zoppicava, raccontava che avevano dovuto farle chiss quale operazione. CAPITOLO QUINTO

I Boche avevano lasciato rue des Poissonniers subito dopo la scadenza di aprile, ed erano andati ad occupare la portineria proprio del gran caseggiato di rue de la Goutte-d'Or. Tutto s'accomodava quindi alla perfezione! Gervaise, che aveva vissuto fino ad allora in santa pace, nel suo buco di rue Neuve, senza l'incubo d'una portinaia, aveva dapprima temuto di poter capitare sotto il severo controllo di qualche bestiaccia cattiva, una di quelle con cui ci si trova prima o poi a litigare per un po' d'acqua fatta cadere a terra o per una porta sbattuta troppo rumorosamente, la sera. Che sudicia razza, infatti, quella dei portinai! Ma con i Boche sarebbe stato pi che altro un piacere. Si conoscevano, sarebbero andati sicuramente d'accordo. Insomma, era un po' come entrare in una grande famiglia. Il giorno della locazione, quando i Coupeau si presentarono per la firma del contratto, Gervaise si sentiva il cuore gonfio d'emozione nel passare sotto l'alta porta. Era dunque vero che stava andando ad abitare in quella casa che sembrava estendersi come una piccola citt, e dove i lunghi percorsi delle scale e dei corridoi s'allungavano e s'incrociavano all'infinito! E le grigie facciate, gli stracci che pendevano dalle finestre ad asciugare al sole, il livido cortile dal lastricato qua e l sfondato

come quello d'una piazza, il rumorio dei lavori che attraversava lo spessore dei muri, la turbavano enormemente, le facevano sentire tutta la gioia d'essere finalmente vicina a soddisfare la sua ambizione, ma insieme la paura di non farcela e di trovarsi alla fine annientata in quell'immane lotta contro la fame, di cui avvertiva gi l'alito. Le pareva di gettarsi in un'avventura fin troppo ardita, come fra le fauci d'un ingranaggio che si muovesse a sua insaputa. E intanto, i martelli del magnano e le pialle dell'ebanista continuavano a battere e a sibilare, in fondo alle botteghe del pianterreno. Le acque della tintoria che scorrevano sotto l'androne erano quel giorno d'un verde mela delicatissimo. Gervaise le scavalc sorridendo: vedeva in quel colore una sorta di felice presagio. L'incontro con il proprietario era stato fissato nella portineria dei Boche. Il signor Marescot, illustre coltellinaio di rue de la Paix, aveva un tempo fatto girare la mola sui marciapiedi. La sua ricchezza veniva adesso valutata sull'ordine di svariati milioni. Era un uomo di cinquantacinque anni, forte ma ossuto, decorato, e faceva sfoggio con orgoglio delle sue enormi mani da antico operaio. Una delle sue pi grandi soddisfazioni era quella d'affilare personalmente, per semplice diletto, i coltelli e le forbici dei suoi inquilini. Lo dicevano tutt'altro che superbo, e si tratteneva infatti per ore in compagnia dei suoi portinai, acquattato nell'ombra della guardiola, a rivedere i conti. L trattava tutti i suoi affari. I Coupeau lo trovarono seduto davanti alla sudicia tavola della signora Boche, tutto preso a farsi raccontare in che modo la sarta del secondo piano, nella scala A, si fosse rifiutata di pagare l'affitto con una parolaccia. Una volta firmato il contratto, diede una stretta di mano allo zincatore. Gli piacevano, gli operai. Un tempo, aveva avuto anche lui il suo gran da fare. Ma il lavoro aggiustava tutto. E dopo aver contato i duecentocinquanta franchi, che fece scomparire nel fondo della tasca, si mise a parlare della sua vita, mostr le decorazioni. Gervaise si sentiva alquanto a disagio di fronte allo strano atteggiamento dei Boche. Fingevano quasi di non conoscerla. Si mostravano invece pieni di premure nei confronti del proprietario, umili, pendevano dalle sue labbra, sempre pronti ad approvare con piccoli cenni del capo. La signora Boche usc in fretta e furia per cacciar via una banda di ragazzini che sguazzavano attorno alla fontana, il cui rubinetto, lasciato completamente aperto, rischiava d'allagare il lastricato. E quando ritorn, tutta severa e impettita dentro le sue sottane, attraversando il cortile con lunghe occhiate da una finestra all'altra, come per assicurarsi del buon funzionamento della casa, si limit a stringere appena appena le labbra, a voler significare di quanta autorit fosse ormai investita, adesso che aveva sotto di s trecento inquilini. Boche aveva ricominciato a parlare della sarta del secondo piano: era dell'avviso di cacciarla, e calcolava l'ammontare degli affitti arretrati assumendo l'aria d'importanza d'un amministratore la cui gestione potesse essere minacciata. Il signor Marescot approv l'idea dello sfratto, preferiva tuttavia aspettare un altro mezzo trimestre. Era brutto gettare la gente in mezzo alla strada, tanto pi che la cosa non faceva entrare nemmeno una lira in pi nelle

tasche del padrone di casa. Gervaise, non senza un piccolo brivido di paura, si domandava se avrebbero gettato anche lei in mezzo alla strada, il giorno in cui qualche sventura le avesse impedito di pagare. Fumosa, zeppa di mobili anneriti, la portineria era umida e livida come una cantina. Davanti alla finestra, la luce cadeva soltanto sul tavolo da lavoro del sarto, dove una vecchia redingote da rivoltare giaceva come abbandonata. Pauline, la figlia dei Boche, una bambina di quattro anni e dai capelli rossi, seduta per terra, controllava con espressione compunta la cottura d'un pezzo di vitello, lasciandosi avvolgere felicissima dal forte odore di cucina che veniva su dalla padella. Il signor Marescot tese di nuovo la mano allo zincatore, ma Coupeau pens bene d'accennare alle riparazioni, e gli ricord il suo impegno verbale di discuterne al momento opportuno. Il proprietario s'innervos: non s'era impegnato proprio a un bel nulla, e del resto quando mai s'era visto far delle riparazioni a una bottega! Acconsent tuttavia a visitare i locali, accompagnato dai Coupeau e da Boche. Andandosene, il piccolo merciaio s'era portato via l'intero arredo di scaffali e di assi; la bottega, completamente spoglia, mostrava cos a nudo il soffitto annerito e le pareti screpolate, da cui pendevano ancora dei brandelli di vecchia carta ingiallita. E in quelle stanze, in quel vuoto riecheggiante, s'avvi una furiosa discussione. Il signor Marescot sosteneva indignato che spettava ai negozianti mettere a nuovo i loro locali: perch, insomma! un negoziante poteva anche voler rivestire tutto d'oro, mentre lui, come proprietario, l'oro proprio non ce lo voleva! Raccont poi di come si fosse sistemato in rue de la Paix, spendendovi pi di ventimila franchi. Gervaise, con un'ostinazione tutta femminile, continuava a insistere su un ragionamento che le sembrava inconfutabile: se si fosse trattato d'una abitazione, il signor Marescot avrebbe o no fatto mettere della carta alle pareti? E allora! perch non considerare la bottega come un'abitazione? Non gli chiedeva altro, solo d'imbiancare il soffitto e far rimettere la carta alle pareti. Boche continuava a mostrarsi impenetrabile e dignitoso. Girava, si guardava attorno, senza esprimere il suo parere. Inutilmente Coupeau gli ammiccava, l'altro dava ad intendere di non voler abusare del suo grande potere sul padrone di casa. Ma fin tuttavia per lasciarsi sfuggire una piccola smorfia, un sorrisetto quasi impercettibile e accompagnato da un breve scrollare di capo. Appunto allora il signor Marescot, esasperato, con l'aria infelice, allargando le dita come in un crampo d'avaro che si vede strappare di mano il suo oro, stava cedendo alle insistenze di Gervaise, e le prometteva sia il soffitto che la carta, ma a condizione che almeno la carta venisse pagata a met. E scapp via in fretta, rifiutandosi a qualunque altro discorso. Una volta rimasto solo con i Coupeau, Boche si mostr tutto espansivo, si mise a dar loro delle gran pacche sulla schiena. Bene! ce l'avevano fatta! Ma se non era per lui, non avrebbero mai ottenuto n la carta n il soffitto. Non s'erano forse accorti di come il proprietario l'avesse consultato guardandolo con la coda dell'occhio, per poi decidersi tutto all'improvviso solo

perch l'aveva visto sorridere? Quindi, in via del tutto confidenziale, confess d'essere lui il vero padrone di casa: era lui a decidere degli sfratti, lui ad affittare soltanto alle persone che gli andavano a genio, ancora e sempre lui a riscuotere le pigioni e a tenerle poi da parte anche per quindici giorni nel suo cassettone. La sera, volendo ringraziare i Boche, i Coupeau ritennero doveroso portar loro due litri di vino. Una faccenda del genere meritava un regalo. Fin dal luned successivo, gli operai cominciarono a lavorare nella bottega. La scelta della carta da acquistare si rivel un vero problema. La lavandaia voleva una carta grigia a fiori azzurri, per illuminare e rallegrare le pareti. Boche si offr d'accompagnarla, lasciando comunque a lei la decisione. Ma aveva avuto delle indicazioni precise da parte del padrone di casa: non dovevano spendere pi di quindici soldi a rotolo. Si trattennero per pi di un'ora nel negozio. Gervaise, disperata, trovando orribili tutte le altre carte, insisteva a voler comprare una perse delicatissima da diciotto soldi. Alla fine il portinaio fu costretto a cedere: in qualche modo avrebbe sistemato lui la cosa, poteva sempre mettere in conto un rotolo in pi, se occorreva. Tornando verso casa, Gervaise prese dei dolci per Pauline. Non le piaceva mostrarsi da meno, c'era sempre da guadagnarci qualcosa ad essere compiacenti con lei. La bottega doveva essere pronta in quattro giorni. I lavori si protrassero invece per tre settimane. In un primo momento, s'era parlato di lisciviare soltanto gli stucchi. Ma questi stucchi, un tempo color rosso vino, erano ormai cos sudici e tristi che Gervaise si lasci convincere a ridipingere tutta la vetrina in un bell'azzurro chiaro con righe gialle. A quel punto, i lavori di restauro rischiarono di non aver pi fine. Coupeau, che non aveva ancora ripreso a lavorare, si presentava in bottega fin dal primo mattino, per controllare come procedeva la faccenda. Lo stesso Boche, trascurando la redingote o i pantaloni di cui doveva rifare le asole, veniva a sua volta a sorvegliare i suoi uomini. E sia l'uno che l'altro, ritti in piedi davanti agli operai, con le mani dietro la schiena, fumando, scaracchiando, passavano l'intera giornata a dar giudizi su ogni colpo di pennello. Ad ogni chiodo da cavare, si perdevano allora in considerazioni interminabili, in profonde fantasticherie. I pittori, due gran bravi ragazzi, scendevano a ogni istante dalle loro scale, si piantavano a loro volta al centro della bottega, e si univano alla discussione, scrollando il capo per ore e guardando con occhi sognanti il lavoro appena incominciato. Il soffitto venne intonacato abbastanza rapidamente. Ma con gli stucchi si corse il rischio di non venirne mai a capo. Non si volevano proprio asciugare. I pittori si presentavano verso le nove con i loro barattoli di colori, li poggiavano a terra da qualche parte, gettavano un'occhiata e scomparivano, non si facevano pi vedere. Andavano a mangiare, o a portare a termine qualche lavoretto, a due passi da l, in rue Myrrha. A volte era Coupeau stesso a portare tutta la combriccola a bere un bicchierino: non solo Boche e i pittori, ma anche i compagni che si trovavano a passare da quelle parti. Era un altro pomeriggio perduto. Gervaise si sentiva rimescolare il sangue. Poi, di colpo, in due

giorni fu tutto finito, gli stucchi stuccati, la carta incollata, i rifiuti gettati nel cassonetto. Gli operai avevano portato a termine il loro lavoro come per gioco, fischiettando in cima alle scale, cantando a squarciagola da assordare l'intero quartiere. Anche l'arredo venne sistemato in pochissimo tempo. Nei primi giorni, ogni volta che attraversava la strada al ritorno da qualche commissione, Gervaise sentiva in s una felicit quasi infantile. Rallentava il passo sorridendo: ecco la sua nuova dimora! Da lontano, in mezzo alla fila nera delle altre vetrine, la sua bottega le appariva come illuminata da una nuova allegria, con l'insegna azzurro chiaro in cui le parole: Lavandaia di fino, erano dipinte in grandi lettere gialle. Nella vetrina, chiusa sul fondo da tendine di mussola e tapezzata di carta azzurra, per far meglio risaltare il candore della biancheria, restavano sempre in mostra alcune camicie da uomo, mentre delle cuffie da signora pendevano con i lacci annodati ai fili d'ottone. Come le sembrava bella, la sua bottega, con quell'azzurro simile a quello del cielo! Anche all'interno ci si trovava immersi nell'azzurro. La carta, che imitava una perse rococ, raffigurava un pergolato attorno a cui s'avvolgevano dei convenevoli; il banco da lavoro, un'immensa tavola che occupava quasi i tre terzi della stanza, era rivestito da una spessa coperta che finiva in basso in frange di cretonne con grandi fogliami azzurri, in modo da nascondere i cavalletti. Gervaise si metteva a sedere su uno sgabello, respirava a fondo dalla gioia, si beava alla vista di quell'ambiente cos ordinato, covava con gli occhi le nuove attrezzature. Il suo primo sguardo era sempre per la macchina, una caldaia di ghisa su cui si potevano mettere ad arroventare dieci ferri contemporaneamente, in fila attorno al fuoco, su piastre oblique. Si inginocchiava, controllava, sempre con la paura che quella bestia della sua apprendista potesse far scoppiare la ghisa, a forza di riempire la caldaia di coke. Sul retro della bottega, l'abitazione era pi che decorosa. I Coupeau dormivano nella prima camera, che serviva anche da cucina e da sala da pranzo; in fondo, una porta si apriva sul cortile della casa. Il letto di Nan era sistemato nella camera di destra, uno stanzino abbastanza grande e illuminato da un lucernario rotondo che si apriva quasi all'altezza del soffitto. Quanto ad Etienne, occupava la camera di sinistra, che divideva con la biancheria sporca, sempre ammassata in enormi mucchi sull'impiantito. Non mancavano tuttavia gli inconvenienti: dapprima i Coupeau non vollero ammetterlo, ma le pareti trasudavano umidit, e gi alle tre del pomeriggio non c'era pi luce. La nuova bottega produsse in tutto il quartiere la pi profonda emozione. Qualcuno non manc di rimproverare ai Coupeau di correre un po' troppo in fretta, con il rischio d'andarsi a cacciare in qualche brutto pasticcio. La coppia aveva infatti speso tutti i cinquecento franchi dei Goujet per sistemare la bottega e l'alloggio, e non avevano tenuto da parte nemmeno di che vivere per quindici giorni, come s'erano invece ripromessi. La mattina in cui Gervaise tolse per la prima volta le imposte della sua bottega, non aveva nel borsellino che sei franchi. Ma non era affatto preoccupata, i primi clienti sarebbero ben presto

arrivati, gli affari promettevano bene. Otto giorni dopo, un sabato, prima di mettersi a dormire, pass due ore a far conti su un pezzetto di carta; quindi svegli Coupeau, con il volto raggiante, per dirgli che potevano guadagnare tutti i soldi che volevano, si trattava solo d'usare un po' di giudizio. Ma bene! ma benissimo!, andava strillando la signora Lorilleux per tutta rue de la Goutte-d'Or, quell'imbecille di mio fratello ne dovr vedere di tutti i colori!... Ci mancava solo che la Zoppa si mettesse a fare la bella vita!, Cos impara! dico bene?. I Lorilleux ce l'avevano a morte con Gervaise. Agli inizi, durante il restauro della bottega, s'erano sentiti schiattare dalla rabbia: se appena vedevano i pittori da lontano, passavano sull'altro marciapiede, tornavano a casa stringendo i denti. Una bottega tutta azzurra a quella mezza calzetta! non c'era forse di che far cascare le braccia alle persone per bene? E cos, fin dal secondo giorno, con il pretesto che l'apprendista aveva rovesciato in mezzo alla strada una tazza piena d'amido, proprio nel momento in cui lei usciva di casa, la signora Lorilleux aveva messo in sobbuglio tutta la via, accusando la cognata di farla insultare dalle sue operaie. Ogni rapporto era stato dunque interrotto: ogni volta che s'incontravano, era gi tanto se si scambiavano qualche occhiataccia feroce. S, s, la bella vita!, insisteva la signora Lorilleux. Lo sanno tutti dove andata a trovare i soldi per la sua baracca! Se li guadagnati con il fabbro... E anche quelli, proprio della gente come si deve! Il padre non s' del resto tagliata la gola con un coltello, per evitare la ghigliottina? Insomma, una qualche storiaccia del genere!. Accusava apertamente Gervaise d'andare a letto con Goujet. Mentendo, andava raccontando in giro d'averli sorpresi un giorno su una panchina del boulevard esterno. L'idea d'una relazione del genere e dei piaceri che vi doveva cogliere la cognata, bastava ad esasperarla, nella sua onest di donna brutta. Ogni giorno le saliva alle labbra un grido dal cuore: Ma che avr mai, quella minorata, per riuscire a farsi amare? E a me perch nessuno mi ama?. Era poi un interminabile spettegolare con le vicine. Raccontava loro tutta la storia. Per esempio, il giorno del matrimonio, aveva pur cercato di far intendere le sue ragioni! Oh! aveva il naso fino, aveva gi capito come sarebbe andata a finire. Ma poi, mio Dio! la Zoppa s'era mostrata cos gentile, o piuttosto cos ipocrita, che lei e il marito, per riguardo a Coupeau, avevano accettato di fare da padrino e madrina a Nan, anche se veniva a costare molto un battesimo come quello. Ma adesso come adesso, veramente! anche se la Zoppa si fosse trovata in punto di morte e avesse avuto bisogno d'un bicchier d'acqua, non sarebbe di sicuro stata lei a portarglielo! Non le piacevano le insolenti, le poco di buono, le svergognate. Quanto a Nan, era sempre la benvenuta, quando faceva un salto a salutare il padrino e la madrina. La piccola, vero? non era certo colpevole dei misfatti della madre. Coupeau non aveva bisogno di consigli: qualunque altro uomo, al posto suo, avrebbe messo a mollo in un secchio d'acqua il sedere della moglie, e le

avrebbe dato per di pi un bel paio di ceffoni! Insomma, erano fatti suoi, gli si domandava soltanto d'esigere un minimo di rispetto per la famiglia. Fulmini di Dio! se Lorilleux l'avesse colta in flagrante, lei, la signora Lorilleux, la cosa non sarebbe finita tanto tranquillamente, le avrebbe ficcato le forbici nel ventre! I Boche, arbitri severi in tutte le dispute del caseggiato, davano torto ai Lorilleux. Certo, i Lorilleux erano persone a modo, tranquille, che lavoravano tutto il santo giorno, che pagavano sempre puntualmente l'affitto. Ma in questo caso, onestamente, l'invidia doveva averli accecati. Senza dire ch'era gente capace di cavar sangue da una rapa! Dei tirchi, ecco che cos'erano! delle persone che nascondevano il loro litro di vino, quando qualcuno saliva da loro, per non doverne offrire nemmeno un bicchierino. Insomma, della gentaglia! Un giorno Gervaise aveva offerto ai Boche del cassis allungato con acqua di Seltz, e lo stavano appunto sorseggiando nella guardiola quando era passata la signora Lorilleux, tutta rigida e impettita, facendo il gesto di sputare sulla porta della signora Boche. Da quella volta, ogni sabato, quando scopava le scale e i corridoi, la portinaia lasciava sempre le immondizie davanti alla porta dei Lorilleux. Perbacco!, gridava la signora Lorilleux, la Zoppa deve proprio rimpinzarli per bene, quegli ingordi! Si sa, quando si fatti della stessa pasta! Ma meglio che non mi facciano troppo arrabbiare! Potrei anche andare a protestare dal padrone di casa... Giusto ieri ho visto quel viscido di Boche che si strusciava contro le sottane della signora Gaudron. Uno che corre dietro a una donna di quell'et, e che ha per di pi una caterva di figli, dico bene? deve essere per forza un gran porco!... Se solo mi fanno un'altra delle loro schifezze, vado subito a raccontare ogni cosa a mamma Boche, che rifili almeno una bella scarica di botte al suo uomo... Diamine! ci sarebbe proprio da divertirci!. Mamma Coupeau continuava a frequentare entrambe le famiglie. Adeguandosi di volta in volta a quello che dicevano gli altri, riusciva perfino a farsi invitare a cena pi spesso d'un tempo, ascoltando allora con la stessa compiacenza sia la figlia che la nuora, a turno. La signora Lerat aveva smesso, almeno per il momento, d'andare dai Coupeau. Aveva infatti litigato con la Zoppa a proposito d'un certo zuavo che aveva di recente tagliato il naso alla sua amante con un colpo di rasoio: la signora Lerat aveva preso le difese dello zuavo, quel colpo di rasoio le sembrava un gran segno d'amore, ma non voleva spiegarne le ragioni. Cos, non aveva nemmeno evitato d'esasperare ulteriormente il rancore della signora Lorilleux, riferendole che la Zoppa, chiacchierando in presenza di altre quindici o venti persone, l'aveva chiamata con il soprannome di Rossa, senza il minimo scrupolo. Mio Dio! s, di certo era cos, a quel punto sia i Boche che i vicini dovevano chiamarla in quel modo! In mezzo a tutti questi pettegolezzi, Gervaise continuava a mostrarsi pacata e sorridente, e a salutare con un piccolo cenno del capo, dalla soglia della sua bottega, gli amici che passavano. Le piaceva fermarsi l per qualche minuto, fra un colpo e l'altro di ferro, a sorridere a tutta la via, con il cuore gonfio di

quell'orgoglio che sente il bottegaio all'idea d'avere tutto per s un pezzo di marciapiede. Rue de la Goutte-d'Or le apparteneva, e lo stesso le strade vicine, il quartiere intero. Ogni volta che s'affacciava sulla soglia della sua bottega, in camiciola bianca e a braccia nude, con i biondi capelli ancora scomposti dall'affanno del lavoro, gettava un'occhiata a sinistra, un'occhiata a destra, da un capo all'altro della via, per afferrare in un unico sguardo i passanti, le case, il lastricato e il cielo. A sinistra, rue de la Goutte-d'Or, pacifica e deserta, andava a perdersi in un angolo da paese di provincia, con le donne che parlavano a bassa voce sulla porta; a destra, a pochi passi di distanza, rue des Poissonniers faceva arrivare fino a lei il frastuono delle carrozze e il continuo scalpitio della folla, che scendeva e risaliva la via trasformandola verso il fondo in un crocicchio popolato e rumoroso. Gervaise amava la strada, i sobbalzi dei carri a ogni buca del lastricato ormai tutto ingobbito, l'urtarsi delle persone sui marciapiedi troppo stretti e qua e l interrotti da acciottolati in ripido pendio. I tre metri di rigagnolo davanti alla bottega assumevano ai suoi occhi un immenso valore, diventavano un ampio fiume che scorreva limpido e tranquillo, un fiume strano ma vivo, le cui acque erano sempre colorate nei pi teneri capricci dalla tintoria del caseggiato, nonostante il nero del fango. Si divertiva poi a guardare i negozi vicini: una grande drogheria con una distesa di frutta secca protetta da reti a piccole maglie, una bottega di biancheria e berretti da operai, nella cui vetrina si vedevano dondolare al minimo soffio di vento le casacche e le tute azzurre appese a braccia e gambe divaricate. Nel negozio della fruttivendola e della trippaia riusciva a scorgere un angolo del bancone, su cui dei gatti superbi e impassibili facevano le fusa. La sua vicina, la signora Vigouroux, la carbonaia, non mancava mai di renderle il saluto. Era una donna piccola e grassa, dalla faccia nera e gli occhi scintillanti, sempre indaffarata a ridere e a scherzare in compagnia di qualche uomo, tutta appoggiata con il corpo contro la sua vetrina, che alcuni ciocchi dipinti su un fondale color rosso vino decoravano con un intricato disegno da chalet rustico. Un'altra bottega vicina a quella di Gervaise era il negozio d'ombrelli delle due Cugorge, madre e figlia, che non si facevano invece mai vedere: la loro vetrina era sempre immersa nell'ombra e la porta, ornata da due ombrellini di zinco rivestiti da uno spesso strato di vermiglio acceso, era sempre chiusa. Prima di rientrare, Gervaise gettava sempre un'occhiata al gran muro dirimpetto a lei, un muro senza nemmeno una finestra ma che si apriva in basso in un immenso portone, oltre il quale si riusciva a vedere, in fondo a un cortile ingombro di barrocci e di carrette con le stanghe all'aria, il fiammeggiare d'una fucina. Sul muro la parola: Maniscalco, era scritta in grandi lettere e incorniciata da un ventaglio di ferri da cavallo. Per tutta la giornata i martelli picchiavano sull'incudine, incendi di scintille squarciavano di luce l'ombra livida del cortile. E nella parte pi bassa del muro, fra una straccivendola e una piccola rivendita di patate fritte, in un bugigattolo poco pi grande d'un armadio, c'era la bottega d'un orologiaio, un signore in redingote e dall'aria per bene che passava tutto il tempo a frugare nei suoi

orologi con strumenti microscopici, sul banco da lavoro s'indovinavano degli oggetti delicatissimi custoditi sotto campane di vetro, mentre alle spalle dell'uomo i bilancieri di due o tre dozzine di piccolissimi cuc battevano insieme, in mezzo alla nera miseria della via e al fracasso cadenzato del maniscalco. Tutto il quartiere trovava Gervaise decisamente carina. Certo, giravano molti pettegolezzi sul suo conto, ma non c'era che una sola voce per riconoscere che aveva dei gran begli occhi, una bocca n troppo grande n troppo piccola, dei denti bianchissimi: insomma, era quel che si dice un gran pezzo di bionda, e avrebbe potuto prendere posto fra le pi belle se non fosse stato per quella sua gamba sventurata. Aveva quasi ventotto anni, era ingrassata. I suoi lineamenti delicati cominciavano ad appesantirsi, i suoi gesti assumevano una piacevole indolenza. Le capitava adesso d'abbandonarsi a volte sull'orlo d'una sedia, nell'attesa che il ferro si scaldasse, con un vago sorriso, il volto inondato d'una gioia golosa. Ed era vero che stava diventando golosa, lo dicevano tutti, ma non era poi un cos grave difetto, al contrario. Quando si guadagna quanto basta ad offrirsi i bocconi migliori, si sarebbe davvero degli sciocchi ad accontentarsi delle bucce di patate. Tanto pi che continuava a faticare come prima, facendosi in quattro per la sua clientela, passando le notti in bianco, con le imposte chiuse, se il lavoro era urgente. Come dicevano nel quartiere, aveva trovato una vera miniera d'oro, gli affari le andavano a gonfie vele. Lavava per tutto il caseggiato, per il signor Madinier, la signorina Remanjou, i Boche, era perfino riuscita a portar via alla sua padrona d'una volta, la signora Fauconnier, certe dame di Parigi che abitavano in rue du Faubourg-Poissonnire. Fin dalla seconda quindicina aveva dovuto assumere due operaie, la signora Putois e Clmence, la giovane che viveva un tempo al sesto piano: il che significava tre persone alle sue dipendenze, contando anche l'apprendista, quella strabicuccia di Augustine, brutta come il sedere di un pover'uomo. Altre ma non lei avrebbero di certo perso la testa di fronte a una simile fortuna. Era quindi comprensibile che si concedesse qualche buon piattino il luned, dopo aver sgobbato per tutta la settimana. Ne aveva bisogno: sarebbe di certo rimasta senza forze a guardare le camicie che si stiravano da sole, se non si fosse messa qualcosa d'appetitoso nello stomaco, qualcosa di buono alla cui sola idea si sentiva gi solleticare il palato. Mai Gervaise s'era mostrata cos compiacente. Era dolce come un agnello, buona come il pane. A parte la signora Lorilleux, che chiamava con il soprannome di Rossa soltanto per vendicarsi, non aveva rancore per nessuno, giustificava tutti. Nel languido abbandono della sua golosit, soprattutto se aveva ben pranzato e gi bevuto il suo caff, cedeva al bisogno d'una sorta di benevolenza universale. Il suo motto era: Ci si deve perdonare l'un l'altro, vero? se non si vuole vivere come i selvaggi. Se qualcuno le parlava della sua bont, rideva. Ci mancava solo che fosse anche cattiva! E si scherniva, diceva che non era certo merito suo se era buona. I suoi sogni non s'erano forse tutti realizzati, cos'altro le restava da desiderare nella vita?

Ricordava il suo ideale d'un tempo, quando s'era trovata all'improvviso sul lastrico: lavorare, aver sempre qualcosa da mangiare, avere un buco tutto per s, allevare i figli, non essere battuta, morire nel proprio letto. E adesso il suo ideale era stato perfino superato: aveva tutto, e tutto era ancora pi bello! Quanto al morire nel proprio letto, aggiungeva scherzando, ci contava, ma il pi tardi possibile, naturalmente. Era soprattutto con Coupeau che Gervaise si mostrava generosa. Mai che le venisse alle labbra una parola cattiva o un lamento alle spalle del marito. Lo zincatore aveva finalmente ricominciato a lavorare, e poich il suo cantiere si trovava in quel momento dall'altra parte di Parigi, Gervaise gli dava tutte le mattine quaranta soldi per la colazione, un bicchiere di vino e il tabacco. Ma almeno due giorni su sei Coupeau si fermava a met strada, andava a bersi i quaranta soldi con un amico, e tornava a casa all'ora di pranzo raccontando qualche fandonia. Una volta s'era addirittura fermato a due passi da casa, e si era concesso in compagnia di Mes-Bottes e di altri tre compagni una mangiata con i fiocchi, delle lumache, un arrosto e del vino in bottiglia, al Capucin, dalle parti della barriera della Chapelle; e alla fine, non bastandogli i quaranta soldi per pagare il conto, aveva mandato un cameriere dalla moglie, facendole dire ch'era rimasto completamente all'asciutto. Gervaise sorrideva, alzava le spalle. Che c'era di male se il suo uomo si divertiva un po'? Era sempre meglio lasciare agli uomini la briglia lunga sul collo, se si voleva aver la pace in famiglia. Bastava una parola di troppo, e si finiva ben presto per darsele di santa ragione. Mio Dio! lo si doveva pur giustificare, Coupeau continuava a soffrire per la sua gamba, e poi di certo si lasciava trascinare dai compagni, era costretto ad adeguarsi per non fare la figura del cafone. Tanto pi che la cosa era senza conseguenze: anche se tornava a casa un po' alticcio, gli bastava ficcarsi a letto e in capo a due ore era tutto passato. Le giornate s'erano intanto fatte sempre pi calde. Era un pomeriggio di giugno, un sabato. Il lavoro era ancora pi urgente del solito, e Gervaise aveva riempito la caldaia di coke. La canna della macchina brontolava, dieci ferri si stavano arroventando. Il sole batteva a picco sulla vetrina, dal marciapiede si sollevava un riverbero ardente, le cui ampie marezzature sembravano danzare sul soffitto della bottega, e quei tagli di luce, immersi a loro volta nel riflesso azzurro della carta delle mensole e della vetrina, si proiettavano sul tavolo da lavoro in un biancore accecante, come un pulviscolo di sole che andava a smorzarsi nel candore del bucato di fino. Crepavano tutte di caldo. Avevano lasciato spalancata la porta che dava sulla via, ma non ne entrava nemmeno un alito di vento. I panni che stavano in aria ad asciugare, appesi ai fili d'ottone, fumavano, s'irrigidivano come trucioli in meno di tre quarti d'ora. Da qualche momento, in quell'afa soffocante da fornace, regnava un completo silenzio: si sentiva solo il battere dei ferri, un battere sordo e come soffocato dalla spessa coperta frangiata di calic. Mio Dio!, disse Gervaise, c' da sciogliersi, oggi... Verrebbe voglia di togliersi anche la camicia!.

Accovacciata a terra davanti a un catino, stava passando nell'amido alcuni capi di biancheria. Aveva una sottana bianca, la camiciola arrotolata alle maniche le lasciava scoperte anche le spalle, aveva le braccia nude, il collo nudo, era tutta arrossata, sudava, le piccole ciocche bionde dei suoi capelli arruffati le si incollavano alla pelle. Immergeva con gesti accurati nell'acqua lattiginosa cuffie, petti di camicie da uomo, intere sottogonne, guarnizioni di calzoncini da donna. Quindi arrotolava i diversi capi e li metteva sul fondo d'una cesta quadrata, dopo aver immerso la mano in un secchio e averla poi scrollata sulle camicie e sui calzoni non inamidati. Questa cesta per voi, signora Putois, riprese. Farete il pi in fretta possibile, vero? Altrimenti si asciuga subito, e fra un'ora dovremo ricominciare tutto da capo. La signora Putois, una donna sui quarantacinque anni piccola e magra, tutta stretta in una vecchia casacchina marrone, stava stirando senza cacciar fuori una sola goccia di sudore. Non si era nemmeno tolta la cuffia, una cuffia nera dai nastri verdi ormai tendenti al giallo. Era tutta impettita davanti al tavolo da lavoro, troppo alto per lei, con i gomiti in fuori, e spingeva il ferro con gesti bruschi da marionetta. D'un tratto esclam: Ah! no, signorina Clmence, rimettetevi subito il corpetto. Lo sapete, certe indecenze proprio non mi piacciono. Gi che ci siete, mostrate pure tutta la vostra mercanzia! Guardate, gi si son fermati tre uomini sul marciapiede. Clmence la tratt a denti stretti da vecchia rimbecillita. Soffocava, aveva tutto il diritto di mettersi a proprio agio, non tutti avevano la pellaccia dura dell'altra. Come se poi si vedesse davvero qualcosa! Sollev le braccia: il suo petto prosperoso da giovane donna in fiore esplose nella camicia, le spalle fecero quasi scoppiare le maniche troppo corte. Clmence rischiava di sfiancarsi nel vizio ancor prima dei trent'anni. Dopo aver passato tutta una notte a folleggiare, il giorno dopo non si reggeva quasi in piedi, crollava dal sonno sul lavoro, si sentiva il cervello e lo stomaco come se fossero imbottiti di stracci. Ma non la mandavano via: nessuna operaia poteva vantarsi di stirare una camicia da uomo con tanta accuratezza. Le camicie da uomo erano la sua vera specialit. roba mia, oppure no?, fin per ribattere battendosi il petto con le mani. Non morde, non fa del male a nessuno!. Clmence, rimettetevi il corpetto, disse Gervaise. La signora Putois ha ragione, una cosa sconveniente... Prenderebbero la mia bottega per quello che non . Clmence si rivest allora brontolando. Quante ipocrisie! Come se i passanti non avessero mai visto delle tette! E pens bene di sfogare la sua rabbia sull'apprendista. Augustine, la povera strabicuccia, stava stirando dei capi semplici, qualche calza, qualche fazzoletto. Clmence la urt, le diede una gomitata. Augustine, piena d'astio, subdola e maligna come ogni essere deforme e destinato a far sempre da zimbello, le sput da dietro sul vestito, senza che nessuno la vedesse, per vendicarsi. Gervaise aveva intanto preso una cuffia della signora Boche, di cui voleva occuparsi personalmente. Aveva preparato

dell'amido cotto per rifarla come nuova. Stava passando e ripassando delicatamente la calotta della cuffia con un polacco, un piccolo ferro con le due estremit arrotondate, quando entr una donna ossuta e dal volto pieno di chiazze rossastre, con le sottane inzuppate. Era una lavandaia che aveva alle sue dipendenze tre operaie al lavatoio di rue de la Goutte-d'Or. Siete arrivata troppo presto, signora Bijard!, grid Gervaise. Vi avevo pur detto di passare stasera... In questo momento, mi siete pi che altro d'impiccio!. Ma poich la lavandaia si lamentava, temendo di non poter mettere i capi a mollo il giorno stesso, fu costretta a cedere e decise di darle subito la biancheria sporca. Andarono a prendere gli involti nella camera di sinistra, la stessa in cui dormiva Etienne, e tornarono entrambe con le braccia cariche di panni, che ammucchiarono sul pavimento, in un angolo della bottega. La cernita dur pi di mezz'ora. Gervaise faceva dei mucchi attorno a s, raccoglieva insieme le camicie da uomo, le camicie da donna, i fazzoletti, i calzini, gli strofinacci. Ogni volta che le capitava fra le mani il capo d'un nuovo cliente, lo segnava con una croce di filo rosso, per riconoscerlo. In quell'aria surriscaldata, la biancheria sporca e smossa di continuo emanava un fetore come irrancidito. Oh, mamma mia! che puzza!, disse Clmence tappandosi il naso. Beh! certo, se fosse roba pulita, non ce la porterebbero, spieg Gervaise pazientemente. Ogni cosa ha il suo giusto odore!... Allora, dicevamo, quattordici camicie da donna, giusto, signora Bijard?... Quindici, sedici, diciassette.... Continu a contare ad alta voce. Abituata com'era alla sporcizia, pi nulla le faceva disgusto. Affondava le braccia nude e rosee in mucchi di camicie ingiallite dall'unto, strofinacci irrigiditi dal grasso dei piatti risciacquati, calzini corrosi e infeltriti dal sudore. Ma in quell'odore penetrante che saliva fino al suo viso curvato sui mucchi, si sentiva come invadere da una dolce indolenza. Si era messa a sedere sul bordo d'uno sgabello, piegata in due, allungando le mani ora a destra e ora a sinistra, con gesti sempre pi lenti, come inebriata da quel fetore umano, con un vago sorriso sulle labbra, gli occhi sperduti nel vuoto. Sembrava che la sua pigrizia nascesse proprio da l, dall'asfissia di quella vecchia biancheria che le appestava l'aria d'intorno. Stava scrollando dei pannolini da neonato resi quasi irriconoscibili dalle lordure, quando entr Coupeau. Miseriaccia!, balbett, che cotta!... Picchia in testa!. Lo zincatore s'aggrapp con tutte e due le mani al banco da lavoro per non cadere. Era la prima volta che si presentava ubriaco a quel modo. Fino ad allora s'era limitato a tornare a casa un po' alticcio, mai di pi. Quel giorno aveva un occhio tutto illividito, forse il ceffone d'un amico andato confuso in qualche piccolo battibecco. I suoi capelli ondulati, dove cominciavano a comparire i primi fili bianchi, dovevano aver spolverato gli angoli di chiss quale lercia sala di vinaiolo, perch da un ciuffo sulla nuca spenzolava una ragnatela. Manteneva comunque un fare scherzoso, ma aveva i lineamenti come contratti e precocemente invecchiati, la mascella inferiore

ancora pi sporgente, restando pur sempre un gran bravo figliolo, come diceva di se stesso, e con una pelle ancora cos delicata da fare invidia a una duchessa. Ti devo raccontare tutto, riprese rivolgendosi a Gervaise. tutta colpa di Pied-de-Cleri, hai capito di chi parlo? quello che ha la gamba di legno... Doveva partire per il suo paese, e ha voluto offrirci da bere... Oh! eravamo tutti in gran forma, ma poi con questo maledetto sole... Per strada, la gente si sente tutta male. Dico davvero! ondeggiano tutti!.... E poich Clmence s'era messa a sghignazzare all'idea che Coupeau avesse visto ubriaca anche la via, fu colto a sua volta da un'incontenibile risata che per poco non lo soffoc. E si mise di nuovo a gridare: Ah! maledetti ubriaconi!... Sono proprio tutti ridicoli... Ma non colpa loro, colpa del sole.... Tutti nella bottega ridevano, perfino la signora Putois, che non poteva sopportare gli ubriachi. Quel mostriciattolo di Augustine aveva una risata chioccia da gallina, come un canto a gola spiegata e sempre sul punto di strozzarsi. Quanto a Gervaise, era stata colta all'improvviso dal sospetto che Coupeau non fosse tornato a casa difilato, ma avesse passato almeno un'ora dai Lorilleux, sempre pronti a dargli qualche cattivo consiglio. Quando il marito neg giurando sul proprio onore, si mise a ridere a sua volta, piena d'indulgenza, e non gli rimprover nemmeno d'aver perso un'intera giornata di lavoro. Quante ne dice di sciocchezze, mio Dio!, mormor. Si son mai sentite tante sciocchezze tutte in una volta?. Poi, in tono materno: Perch non vai a metterti un po' a letto? Lo vedi, adesso abbiamo da fare, ci dai fastidio... Allora, signora Bijard, eravamo a trentadue fazzoletti, vero? eccone altri due, e sono in tutto trentaquattro.... Ma Coupeau non aveva sonno. Rimase a ciondolare in giro, muovendosi a piccoli scatti come il bilanciere d'un orologio e sogghignando con un'espressione insieme testarda e dispettosa. Allora Gervaise, volendo sbarazzarsi al pi presto della signora Bijard, chiam Clmence e le fece contare la biancheria, continuando lei stessa a farne la lista. A ogni capo che passava Clmence, da quella maliziosa che era, se ne usciva con qualche parolaccia, con qualche oscenit; metteva in mostra le miserie dei clienti, le avventure da alcova, tirava fuori facezie da operai su ogni buco e su ogni macchia che le capitavano fra le mani. Augustine fingeva di non capire, tendeva le orecchie da piccola viziosa. La signora Putois stringeva le labbra, le sembrava assurdo dire certe cose in presenza di Coupeau: un uomo non dovrebbe mai vedere certi capi di biancheria, non sono esibizioni da farsi fra le persone come si deve. Gervaise, seria in volto e tutta presa dal suo lavoro, non stava nemmeno ad ascoltare. Pur continuando a scrivere la sua lista, seguiva i panni che passavano con uno sguardo vigile, come per riconoscerli a colpo d'occhio, e infatti non si sbagliava mai, metteva su ogni capo un nome, a naso, a seconda del colore. Quel tovaglioli erano dei Goujet: il che saltava agli occhi, non erano di certo serviti ad asciugare il culo delle padelle. Ecco una federa che apparteneva

senza dubbio ai Boche: lo si capiva dalla pomata con cui la signora Boche impiastricciava tutta la sua biancheria. Non c'era nemmeno bisogno di ficcare il naso nei panciotti di flanella del signor Madinier, per capire di chi erano: quell'uomo tingeva la lana, da tanto aveva grassa la pelle. E indovinava da mille altri particolari i segreti della pulizia d'ognuno, riconosceva la biancheria intima delle vicine che vedeva attraversare la via in sottane di seta, sapeva il numero di calze, di fazzoletti e di camicie che ogni cliente sporcava in una settimana, il modo in cui le diverse persone strappavano i loro capi, sempre nello stesso punto. Era piena di aneddoti. Le camicie della signorina Remanjou, per esempio, erano fonte di commenti interminabili: si consumavano in alto, la zitella doveva aver le ossa delle spalle davvero aguzze; ma non erano mai sporche, anche se le aveva portate per quindici giorni, il che dimostrava che a quell'et si come un pezzo di legno, quasi impossibile cavarne fuori anche una sola goccia di qualcosa. A ogni cernita, cos nella bottega mettevano a nudo tutto il quartiere della Goutte-d'Or. Che prelibatezza!, esclam Clmence aprendo un altro involto. Gervaise, colta all'improvviso da un gran disgusto, s'era tirata da parte. la roba della signora Gaudron, disse. Non voglio pi lavarla, bisogna trovare un pretesto... No, non sono certo pi schifiltosa di tante altre donne, mi gi capitato di dover ficcare le mani in mezzo alla biancheria pi ripugnante, ma questa, davvero! questa non riuscirei a toccarla nemmeno con un dito! Mi verrebbe subito da vomitare... Ma che diavolo far mai, quella donna, per ridurre la sua biancheria in un simile stato?. E preg Clmence di sbrigarsi. Ma l'operaia si ostinava a frugare, a cacciare le dita in tutti i buchi che incontrava, uscendosene con un'allusione oscena ad ogni panno che sventolava come lo stendardo stesso della sporcizia trionfante. I mucchi s'erano nel frattempo fatti pi alti attorno a Gervaise che, sempre seduta sull'orlo dello sgabello, sembrava adesso scomparire fra le camicie e le sottogonne. Aveva davanti a s le lenzuola, i pantaloni, le tovaglie, tutta l'apoteosi del luridume, e immersa in quei mucchi, in mezzo a quel lago che non faceva che crescere, affiorava immobile, ancora pi tenera e illanguidita, con le braccia nude, il collo nudo, le ciocche bionde dei suoi corti capelli incollate alle tempie. Aveva ritrovato la sua aria pi assennata, il suo sorriso da padrona attenta e coscienziosa, quasi avesse gi dimenticato i panni lerci della signora Gaudron, nel cui mucchio stava anzi frugando con una mano, come a sincerarsi di non aver commesso qualche errore, ormai indifferente al tanfo che ne emanava. Augustine, che si divertiva come una bambina a gettar palate di coke nella caldaia, l'aveva riempita a tal punto che le piastre di ghisa rosseggiavano. Il sole batteva obliquo sulla vetrina, tutta la bottega fiammeggiava. Coupeau, reso ancora pi ebbro dal gran caldo, si sent afferrare da una tenerezza improvvisa, si avvicin a Gervaise con le braccia spalancate, commosso. Sei proprio una brava moglie, balbett. Ti voglio abbracciare!.

Ma fin per incespicare nelle sottogonne che gli sbarravano la via, manc poco che cadesse. Sei proprio noioso!, disse Gervaise pur senza arrabbiarsi. Su, sta un po' tranquillo, abbiamo quasi finito. Macch! non c'era niente da fare: voleva abbracciarla, sentiva il bisogno di farlo, era la prova di quanto le voleva bene! Sempre bofonchiando qualcosa fra s e s, s'aggirava attorno al mucchio delle sottogonne, inciampava nel mucchio delle camicie, finch, a forza d'ostinarsi, riusc a mettere i piedi in fallo e and a cadere lungo disteso affondando con la faccia nel mucchio degli strofinacci. Gervaise ebbe un piccolo moto d'impazienza, gli diede uno scossone: le stava di nuovo mettendo sottosopra tutta la biancheria, protest. Ma Clmence e la stessa signora Putois le diedero torto: era una cosa cos carina, in fin dei conti! Il marito voleva abbracciarla. Perch mai Gervaise non doveva lasciarsi abbracciare? Siete fortunata, signora Coupeau, questa la verit!, disse la signora Bijard, che quell'ubriacone del marito, un fabbro ferraio, accoppava di botte tutte le sere appena tornava a casa. Se il mio uomo mi trattasse cos, quando un po' su di giri, v'assicuro che ne sarei ben felice!. Gervaise s'era gi calmata, rimpiangeva la sua reazione un po' troppo vivace. Aiut Coupeau a rimettersi in piedi, e gli porse sorridendo la guancia. Ma lo zincatore, tutt'altro che imbarazzato dalla presenza delle altre persone, le afferr i seni. Lasciamelo dire, mormor, ma puzza proprio la tua biancheria! Eppure, lo vedi? ti voglio bene ugualmente!. Dai, lasciami, mi fai il solletico, grid Gervaise ridendo. Che bestione! Non fai altro che dire delle sciocchezze!. L'aveva agguantata, non la mollava. Gervaise s'abbandonava all'abbraccio, come stordita dalla lieve vertigine che saliva fino a lei da quei mucchi di biancheria, non sentendosi nemmeno infastidita dall'alito avvinazzato di Coupeau. E il lungo bacio che si diedero sulla bocca, in mezzo a tutte le lordure del mestiere, era come una prima caduta nel progressivo infiacchimento della loro vita. |[continua]| |[CAPITOLO QUINTO, 2]| La signora Bijard stava intanto annodando gli involti di biancheria, e parlava della figlia Eulalie, una piccina di soli due anni ma gi in grado di capire le cose come una vera donna. Potevano tranquillamente lasciarla sola in casa, non piangeva, non si metteva mai a giocare con i fiammiferi. Usc dalla bottega portando via un fagotto alla volta, con il corpo piegato in due sotto il peso della biancheria, con il viso che le si riempiva di chiazze violacee. insopportabile, mi sembra d'arrostire, disse Gervaise asciugandosi il volto, prima di riprendere in mano la cuffia della signora Boche. S'accorsero che la caldaia era rovente: che voglia di prendere a schiaffi Augustine! Anche i ferri rosseggiavano! Doveva proprio avere il diavolo in corpo! Bastava voltarle le spalle per un

momento, e subito ne combinava una delle sue! E adesso dovevano aspettare almeno un quarto d'ora prima di potersi servire dei ferri. Gervaise copr il fuoco con due palate di cenere. Pens poi di appendere un paio di lenzuola ai fili d'ottone che scendevano dal soffitto, a mo' di tende, per ripararsi dal sole. Come si stava bene, adesso, a lavorare nella bottega! La temperatura era piacevole e dolce, ci si poteva credere in un'alcova, immersi in una luce quasi bianca, riparati come a casa propria, lontani dal mondo, anche se si sentivano ancora, al di l delle lenzuola, i passi delle persone che camminavano veloci sul marciapiede. Potevano finalmente mettersi a proprio agio. Clmence si tolse di nuovo il corpetto. Coupeau continuava a non aver nessuna voglia di ficcarsi a letto, e gli fu concesso di restare, purch promettesse di starsene tranquillo in un angolo: a quel punto, non potevano pi concedersi il lusso di battere la fiacca. Dove mai avr cacciato il polacco, quel maledetto vermiciattolo?, brontolava Gervaise alludendo ad Augustine. Passavano giornate intere a cercare dappertutto il piccolo ferro, e finivano per trovarlo nei punti pi impensati, dove l'apprendista, dicevano, doveva averlo nascosto per pura e semplice malignit. Gervaise aveva finito la calotta della cuffia della signora Boche. Aveva stirato i merletti, prima lisciandoli con la mano e subito dopo raddrizzandoli con un veloce colpo di ferro. La cuffia aveva i contorni a balze alternate a entre-deux ricamati. Gervaise vi si dedicava con la massima cura, stirando le balze e gli entre-deux con il gallo, un uovo di ferro fissato con un'asta in un piede di legno. Allora il silenzio fu completo. Non si sent pi per qualche istante che i colpi sordi e soffocati dalla coperta. Ai due lati del gran tavolo quadrato, la padrona, le due operaie e l'apprendista, ritte in piedi, si curvavano sul lavoro da fare, con le spalle inarcate e le braccia che s'agitavano in un avanti e indietro continuo. Tutte e quattro avevano alla loro destra una piastrella, un mattone piatto e bruciato dai ferri troppo caldi. Al centro del tavolo, sull'orlo d'un piatto fondo e pieno d'acqua limpidissima, stavano a mollo uno strofinaccio e una piccola spazzola. Un mazzo di gigli si schiudeva in un vecchio vaso di ciliegie sotto spirito, dando a tutto l'ambiente un vago sapore di giardino, con le ciocche dei suoi larghi fiori di neve. La signora Putois si stava dedicando alla cesta di biancheria che le aveva affidato Gervaise, tovaglioli, pantaloni, camicie, paia di maniche. Augustine perdeva tempo sulle sue calze e sui suoi strofinacci, con il naso levato in aria, tutta presa ad ammirare un calabrone che svolazzava. Quanto a Clmence, era arrivata nel corso della giornata alla trentacinquesima camicia da uomo. Sempre e soltanto del vino, mai e poi mai dell'acquavite!, disse all'improvviso lo zincatore, come se gli fosse sembrata assolutamente urgente un'affermazione del genere. L'acquavite mi fa male, non voglio proprio averci a che fare!. Clmence aveva preso un ferro dalla caldaia e adesso, stringendone fra le dita l'impugnatura di cuoio rivestita di latta, l'avvicinava alla guancia per assicurarsi che fosse abbastanza caldo. Dopo averlo strofinato contro la sua piastrella, l'asciug

con un panno che teneva appeso alla vita, e affront la sua trentacinquesima camicia da uomo, stirandone prima di tutto lo sprone e le maniche. Boh! signor Coupeau, disse in capo a qualche minuto, un bicchierino d'acquavite ogni tanto non pu di certo far male. A me, per esempio, d un'energia... E poi, ve lo dico io, prima ci si sente torcere le budella e prima ci si diverte... Oh! non mi faccio illusioni, so che le mie ossa non avranno il tempo d'invecchiare!. Ma quanto siete deprimente con tutti questi discorsi da funerale!, sbott interrompendola la signora Putois, che non amava affatto le considerazioni tristi. Coupeau s'era messo in piedi, si sentiva offeso all'idea che lo si accusasse d'aver bevuto dell'acquavite. Lo giurava sulla sua vita, su quella della moglie e della figlia: non aveva in corpo una sola goccia d'acquavite. E nel frattempo si faceva sempre pi vicino a Clmence, le alitava in faccia per farle sentire il fiato. Quando si ritrov con il naso quasi appiccicato alle sue spalle, si mise a ridacchiare. Voleva guardare. Clmence, dopo aver ripiegato il dorso della camicia e aver dato una passata di ferro sui due lati, era arrivata ai polsini e al collo. Ma Coupeau le si faceva sempre pi vicino, e Clmence fece una falsa piega, fu costretta a prendere la spazzola dal piatto fondo per allisciare l'amido. Signora!, grid, fate qualcosa, non possibile che mi stia cos addosso!. Lasciala in pace, non ti vuoi proprio rendere conto, disse Gervaise in tono pacato. Abbiamo fretta, lo capisci?. D'accordo, avevano fretta, e allora? non era colpa sua! Non faceva nulla di male. Non la stava toccando, si limitava a guardare. Non era forse pi permesso ammirare tutte le cose belle che ha creato il buon Dio? E quella svergognata di Clmence aveva senza dubbio delle gran belle tette! Poteva metterle in mostra per due soldi e farsele palpeggiare per bene, nessuno avrebbe di certo rimpianto il suo denaro. L'operaia aveva intanto smesso di difendersi, ed anzi cominciava a divertirsi a quelle pesanti galanterie da uomo in fregola. Non le dispiaceva nemmeno ribattere ai suoi scherzi. Coupeau s'era messo a prenderla in giro sulle camicie da uomo. A quanto pareva, aveva sempre a che fare con le camicie da uomo. Ma s, era il suo regno. Ah! poteva giurarlo su tutti gli dei, non c'era che lei a sapere perfettamente com'erano fatte. Glien'erano passate fra le mani centinaia di centinaia! Tutti i maschi del quartiere, biondi o bruni o com'altro fossero, si portavano addosso un po' del suo lavoro. Anche se le spalle le sobbalzavano dal gran ridere, non aveva smesso tuttavia di lavorare. Dopo aver sistemato il dietro della camicia appiattendola in cinque lunghe pieghe, introducendo il ferro dall'apertura dello sparato, stava adesso aggiustando la stoffa sul davanti, per poi ripiegarlo allo stesso modo ripassando a lungo con il ferro. Ecco la mia bandiera!, disse ridendo pi forte. Anche la povera Augustine scoppi a ridere, tanto le sembr buffa quella definizione. La rimproverarono. Pensare che quella

mocciosa gi si divertiva ad allusioni di cui non avrebbe nemmeno dovuto comprendere il senso! Clmence le pass il ferro. L'apprendista usava i ferri per ripassare gli strofinacci e le calze, quando non erano pi abbastanza caldi per stirare i panni inamidati. Ma lo prese in mano cos maldestramente che fin per bruciarsi il polso. Si mise allora a singhiozzare, accus Clmence d'averla fatta bruciare apposta. L'operaia, che era andata a prendere un ferro arroventato per ripassare il davanti della camicia, come tutta consolazione minacci di stirarle le orecchie, se non la faceva subito finita. Dopo aver infilato un pezzo di lana sotto lo sparato, spingeva lentamente il ferro, per dare all'amido tutto il tempo d'asciugarsi. Il davanti della camicia, lucido e duro, assomigliava a uno spesso foglio di carta. Cristo santo!, bestemmi Coupeau, che le stava sempre alle costole con la tipica ostinazione dell'ubriaco. Si sollevava sulla punta dei piedi, con delle risate che sembravano il cigolio d'una puleggia male ingrassata. Clmence, saldamente appoggiata contro il tavolo da lavoro, con i polsi in fuori e i gomiti sollevati e distanti fra loro, piegava il collo in una tensione di tutto il corpo; la sua carne nuda si gonfiava, le spalle risaltavano nel gioco appena accennato dei muscoli, la sua pelle delicata palpitava, il petto esplodeva, madido di sudore, nell'ombra rosata della camicia slacciata in alto. Coupeau allung le mani, voleva toccare. Signora! Signora!, grid Clmence, fatelo smettere una buona volta!... Se continua cos, me ne vado. Non voglio che mi si manchi di rispetto. Gervaise aveva sistemato la cuffia della signora Boche su un pomo rivestito di stoffa, e ne stava stirando a cannoncino i merletti, passando il ferro delicatamente. Sollev lo sguardo nel momento stesso in cui lo zincatore s'intrufolava ancora di pi con le mani, frugando ormai sotto la camicia. Non c' che fare, Coupeau, non vuoi proprio comportarti come si deve, disse con aria annoiata, come se stesse sgridando un bambino che s'ostinava a mangiare la marmellata senza pane. Va' a letto, meglio. Ma s, mettetevi a letto, signor Coupeau, la cosa migliore, approv la signora Putois. Va bene, va bene!, bofonchi lo zincatore senza smettere di ridacchiare, come siete cattiva, per!... Non si pu neanche pi scherzare, adesso? Eppure mi conoscete, non ho mai dato fastidio a una donna. Tutt'al pi qualche pizzicotto a una signora, ma la cosa sempre finita l... Bisogna pure rendere omaggio al bel sesso! E poi, se una donna mette in mostra tutta la sua mercanzia, vuol dire che l'uomo pu scegliere quel che gli pare, o mi sbaglio? Allora, se la bionda tira fuori tutto il suo ben di Dio, lei a comportarsi in modo poco pulito.... E rivolgendosi a Clmence: Senti un po', cocchina, fai male a far tanto la difficile... Se solo perch c' gente.... Ma non riusc a concludere. Gervaise l'aveva tirato via con una mano, tappandogli la bocca con l'altra. Mentre la moglie lo spingeva in fondo alla bottega, verso la loro stanza, Coupeau cerc di sfuggirle, cos, tanto per gioco. Si tolse la mano di

Gervaise dalla bocca, e disse che adesso s, aveva proprio voglia di ficcarsi a letto, purch la bionda venisse a scaldargli un po' i piedi. Le altre sentirono Gervaise che gli sfilava le scarpe. Lo stava spogliando strapazzandolo con fare materno. Quando si tratt d'abbassargli i pantaloni, Coupeau scoppi a ridere, abbandonandosi, riverso, stravaccato al centro del letto; e scalciava, diceva che gli stava facendo il solletico. Gervaise gli rimbocc con gesti affettuosi le lenzuola, come si fa con un bambino. Si sentiva meglio? Ma il marito non le rispose, e grid invece a Clmence: E allora, cocchina? io sono qui, ti sto aspettando!. Gervaise raggiunse le altre nella bottega. In quello stesso momento la povera Augustine veniva presa a schiaffi da Clmence. Era capitato che un ferro tutto annerito era finito chiss come sulla piastrella della signora Putois che, non avendone il minimo sospetto, s'era trovata a sporcare un'intera camicia. Clmence, per difendersi dall'eventuale accusa di non aver pulito il suo ferro, aveva accusato Augustine giurando solennemente che quel ferro non era il suo, nonostante le macchie d'amido bruciato che c'erano sotto; e l'apprendista, esasperata da una simile ingiustizia, le aveva di nuovo sputato addosso, ma questa volta senza far nulla per nascondersi, e sul davanti del vestito, non dietro come prima. Ecco il perch degli schiaffi. La strabicuccia ricacci indietro le lacrime, e ripul il ferro strofinandolo con un mozzicone di candela. Ma ogni volta che si trovava a passare alle spalle di Clmence, si riempiva la bocca di saliva e sputava, ridendo fra s e s alla vista dello scaracchio che sgocciolava lungo la sottana dell'altra. Gervaise ricominci a stirare a cannoncino i merletti della cuffia. E in quella pace improvvisa, si sent dal fondo del retrobottega la voce impastata di Coupeau. Era allegro come un fringuello, ridacchiava da solo, lanciando ogni tanto qualche piccola frase appena accennata. Che assurda, mia moglie!.. Che assurda, a mettermi a letto!... Ma s, a letto di pomeriggio, quando uno sta bene come me, davvero assurdo!. Poi di colpo cominci a russare. Gervaise sospir di sollievo. Era contenta che si fosse finalmente messo a dormire, smaltendo quella brutta sbornia in un lungo sonno ristoratore. E interruppe il silenzio parlando con voce lenta e pacata, senza distogliere comunque lo sguardo dal piccolo ferro che le serviva per stirare a cannoncino e che muoveva su e gi con gesti pieni d'energia. Che volete farci? non del tutto in s, non sarebbe giusto prendersela con lui. Anche se lo rimproverassi, non servirebbe a nulla. meglio assecondarlo e convincerlo a mettersi a letto. Almeno la cosa finisce l e posso stare tranquilla... E poi davvero un brav'uomo, mi vuole bene veramente. L'avete visto anche voi, poco fa, avrebbe fatto di tutto pur di potermi abbracciare! gi qualcosa: ce ne son tanti che, quando hanno bevuto, preferiscono andare a caccia di femmine... E invece lui torna difilato a casa. Gli piace far lo stupido con le operaie, ma la cosa non si spinge mai oltre. Sentite, Clmence, non ha senso che vi offendiate. La verit che ubriaco. Potrebbe uccidere il

padre e la madre, e poi nemmeno se ne ricorderebbe... Oh! quanto a me, gli perdono di tutto cuore. Non diverso dagli altri, perdinci!. Ma sosteneva i suoi argomenti fiaccamente, senza convinzione, come gi rassegnata alle sfuriate di Coupeau, giustificando ancora la sua indulgenza verso il marito, pur cominciando a pensare che non ci fosse nulla di male se quello si divertiva a pizzicare i fianchi a una delle ragazze, perfino a casa sua. Non aveva pi nulla da dire, e ci fu di nuovo un lungo silenzio. La signora Putois, ad ogni capo che prendeva, avvicinava a s la cesta nascosta sotto la guarnizione di cretonne che copriva il tavolo da lavoro; quindi, una volta stirato il capo, sollevava le corte braccia e lo riponeva su una delle mensole. Clmence stava finendo di plissettare con il ferro la sua trentacinquesima camicia da uomo. Il lavoro da fare era interminabile. Avevano deciso di vegliare fino alle undici: per quanto potessero lavorare in fretta, era proprio il tempo che ci voleva. Non c'era pi nulla che le potesse distrarre e tutte, nella bottega, s'accanivano sul lavoro, sgobbavano senza temere la fatica. Le loro braccia nude si muovevano rapidamente, coprendo con la tinta rosata della pelle il candore immacolato della biancheria. La macchina era stata ancora riempita di coke, e il sole, insinuandosi fra le lenzuola, andava a battere in pieno sul fornello della caldaia: sembrava allora di vedere quelle vampate di calore che salivano lungo i raggi, come una fiamma invisibile il cui fremito faceva vibrare l'aria. Si soffocava sotto la coltre delle tovaglie e delle sottane che s'asciugavano appese al soffitto, e la povera Augustine, ormai a corto di saliva, si inumidiva gli angoli delle labbra con la punta della lingua. Si sentiva in tutta la bottega l'odore della ghisa arroventata, dell'acqua d'amido inacidita, dei ferri messi a scaldare sul fuoco, un odore insieme tiepido e sciapito da vasca da bagno a cui le quattro operaie, denudandosi le spalle, avevano aggiunto l'afrore ancor pi penetrante delle loro crocchie e delle loro nuche infradiciate dal sudore. Nell'acqua imputridita che riempiva ancora il vaso, i gigli appassivano esalando un profumo purissimo e intenso. Di quando in quando, in mezzo al rumore dei ferri e dell'attizzatoio che raschiava l'interno della macchina, si sentiva il rantolo di Coupeau addormentato, regolare come il battito d'un grande orologio, un russare sommesso che sembrava scandire il tempo dell'immane fatica in cui era immersa tutta la bottega. All'indomani d'ogni sbornia, lo zincatore si sentiva sempre scoppiare la testa, un dolore terribile che lo faceva stare per tutto il giorno con i capelli arruffati, la bocca impastata, il muso gonfio e l'espressione storta. Si alzava tardi, si scrollava il sonno di dosso soltanto verso le otto; e passava il tempo a scaracchiare, bighellonando su e gi per la bottega, non si decideva ad uscire per andare al cantiere. Un'altra giornata che andava perduta. Per tutta la mattina non faceva altro che lamentarsi, diceva di sentirsi le gambe di gomma, si trattava da stupido per essersi ubriacato in quel modo, tanto pi che certe cose possono sfiancare la tempra d'un uomo. Ecco la verit: non era colpa sua, gli capitava sempre d'incontrare qualche canaglia

che non gli si toglieva pi dai piedi, lo costringevano a bere senza che ne avesse voglia, finiva coinvolto in qualche rissa e si trovava all'improvviso ubriaco fradicio. Ah! caspita, basta! non ci sarebbe cascato mai pi, non aveva nessuna intenzione di rimetterci la pelle nel fiore degli anni! Ma gli bastava mettersi qualcosa nello stomaco per risentirsi subito in gran forma. Si schiariva la gola per provare a se stesso che tutto era a posto. E cominciava a negare d'essersi mai sbronzato: ma s, la sera prima era un po' allegrotto, tutto qui! Ce n'erano ormai pochi di uomini del suo stampo: era sempre ben saldo al suo posto, aveva il polso fermo, poteva bere quanto voleva senza battere ciglio. Passava il pomeriggio a vagabondare per il quartiere. Quando le operaie non ne potevano pi delle sue molestie, la moglie gli dava venti soldi perch si levasse di torno. Usciva, andava a comprare il tabacco alla Petite Civette, in rue des Poissonniers, e si concedeva anche una prugna, se solo v'incontrava qualche amico. Quel che gli restava della moneta da venti soldi correva a spenderlo da Franois, all'angolo con rue de la Goutte-d'Or, dove c'era un buon vino giovane che rinfrescava la gola. Era una bettola ormai passata di moda, una bottega cupa dal soffitto basso e con una sala a parte, piena di fumo, in cui si poteva anche mangiare un piatto di minestra. Vi si tratteneva fino a sera, giocando qualche bicchierino alla ruota. Franois gli aveva aperto il conto, promettendogli formalmente di non rivolgersi in alcun caso alla moglie. Insomma, non faceva male sciacquarsi un po' la gola, era l'unico modo per ripulirla dopo le porcherie del giorno prima. Un bicchiere di vino ne caccia un altro. E tutto sommato era davvero un gran bravo ragazzo, non dava mai fastidio alle signore, gli piacevano gli scherzi, questo s! e gli capitava a volte di bere un po' troppo, s'ubriacava ma moderatamente, disprezzava tutte le bassezze di cui si rendevano colpevoli gli uomini caduti sotto il dominio dell'alcool, uomini che passavano il loro tempo a smaltire una sbornia da cui non uscivano mai! Tornava a casa allegro e affettuoso come un passerotto. Non si ancora visto il tuo spasimante?, chiedeva a volte a Gervaise tanto per punzecchiarla. scomparso da un bel po', finir che dovr andarlo a cercare. Lo spasimante era naturalmente Goujet. Il fabbro, in effetti, evitava di farsi vedere troppo spesso, non volendo esser d'impaccio e dare alimento ai pettegolezzi. Ma coglieva al volo il minimo pretesto, s'offriva di consegnare la biancheria, passava e ripassava sul marciapiede. C'era un angolo, nella bottega, verso il fondo, che amava particolarmente: gli piaceva restar l seduto a fumare, per ore e ore, immobile, stringendo fra le labbra la sua corta pipa. Certe sere, dopo aver cenato, una volta ogni dieci giorni, si faceva coraggio e si metteva a suo agio, ma senza perdersi in chiacchiere, ed anzi fin troppo silenzioso, con gli occhi fissi su Gervaise, limitandosi a togliersi di quando in quando la pipa di bocca per sorriderle ad ogni cosa che diceva. Quando le operaie si trattenevano a lavorare, ogni sabato, fino a sera, sembrava perdere la cognizione del tempo, si divertiva come se fosse stato a teatro. Capitava a volte che le operaie dovessero stirare fino alle tre del mattino. Dal soffitto pendeva

una lampada appesa a un filo di ferro, il paralume proiettava un cerchio di luce accecante, la biancheria aveva lo stesso soffice candore della neve. L'apprendista metteva le imposte alla porta della bottega, lasciata comunque aperta sulla via nelle notti pi ardenti di quel luglio. Le ore passavano, e le operaie si mettevano a loro agio slacciandosi i vestiti. Avevano una pelle delicata che la luce della lampada indorava, e Gervaise pi delle altre, con le carni gonfie, le spalle chiare e lisce come la seta, una piega infantile sul collo, che Goujet avrebbe potuto disegnare a memoria, a tal punto gli sembrava di conoscerla. Immerso a sua volta nel caldo asfissiante della macchina, nell'odore dei panni che fumavano sotto i ferri, scivolava lentamente in una sorta di torpore che gli annebbiava il cervello, mentre il suo sguardo si smarriva sui corpi delle donne che si muovevano con gesti veloci, agitando le braccia nude, passando la notte a rimettere a nuovo tutto il quartiere. Tutt'attorno alla bottega, le case vicine s'addormentavano, regnava il silenzio profondo del sonno. Mezzanotte, l'una, le due. Non c'era in giro una sola carrozza, un solo passante. E nella strada ormai deserta e oscura, la porta della bottega proiettava un piccolo raggio di luce, come uno scampolo di stoffa gialla srotolato a terra. Ma a momenti un passo risuonava da lontano, un uomo s'avvicinava; e attraversando quella striscia di luce, allungava un po' il collo, guardava, e s'allontanava di nuovo portando con s la rapida visione delle operaie scamiciate e immerse in quel vapore rossastro. Goujet s'era accorto che il pensiero di Etienne assillava Gervaise, e volendo salvare il bambino dai calci di Coupeau, era riuscito a farlo assumere nella sua fabbrica di bulloni come addetto al mantice. Il mestiere di chiodaio non era certo piacevole in s, lavorare nella fucina insudiciava e il fatto di battere ogni giorno gli stessi pezzi di ferro aveva qualcosa di stupido e ostinato; ma era pur sempre una condizione vantaggiosa, vi si poteva guadagnare dieci o anche dodici franchi al giorno. Il ragazzino, che aveva allora dodici anni, poteva in poco tempo imparare il mestiere, se gli piaceva. Etienne era cos diventato un legame in pi fra la lavandaia e il fabbro. Goujet riaccompagnava a casa il bambino, le raccontava i suoi progressi. Goujet doveva aver proprio una bella cotta per lei, le dicevano tutti ridendo. Gervaise lo sapeva, e arrossiva come una scolaretta in un piccolo fremito di pudore che le colorava le guance con i toni accesi d'una mela appiola. Eppure quel fanciullone di Goujet non l'aveva mai messa in imbarazzo: non una volta che le avesse accennato alla cosa, mai un gesto troppo audace o una parola volgare. E senza volerlo confessare nemmeno a se stessa, assaporava con volutt il piacere di sentirsi amata in quel modo, quasi fosse una santa vergine. Se le capitava qualche guaio, il suo pensiero correva subito al fabbro, e la cosa ogni volta la consolava. Nemmeno se rimanevano completamente soli, si sentivano in qualche modo turbati: si guardavano sorridendo con gli occhi negli occhi, senza parlare, senza dirsi quello che provavano. Era una sorta d'intenerimento pacato che non si curava degli aspetti pi materiali dell'esistenza, anche perch sempre meglio

conservare la propria tranquillit, quando si pu essere felici senza smettere d'essere in pace con se stessi. Verso la fine di quell'estate, Nan riusc a mettere sottosopra tutto il caseggiato. Aveva sei anni, e s'annunciava gi come un'autentica briccona. Per non averla sempre fra i piedi, la madre l'accompagnava tutte le mattine fino al piccolo pensionato della signorina Josse, in rue Polonceau, dove la bambina passava tutto il tempo a legare da dietro i vestitini delle sue compagne e a riempire di cenere la tabacchiera della direttrice. Aveva poi certe trovate indecenti che meglio non raccontare. La signorina Josse l'aveva mandata via per due volte, ma l'aveva poi sempre ripresa, non volendo perdere quei sei franchi al mese. Finite le lezioni, Nan si vendicava di quelle ore che aveva trascorso rinchiusa, faceva il diavolo a quattro nell'androne e nel cortile, dove le operaie, avendone i timpani rotti, le avevano detto d'andare a giocare. Era l che Nan incontrava Pauline, la figlia dei Boche, e Victor, il figlio dell'antica padrona di Gervaise, un babbeo di dieci anni che non vedeva l'ora d'abbandonarsi a ogni genere di ribalderie in compagnia delle bambine pi piccole. La signora Fauconnier era rimasta in buoni rapporti con i Coupeau, e vi accompagnava volentieri il figlio. L'intero caseggiato era del resto un inverosimile pullulare di marmocchi, frotte di ragazzini che sciamavano su e gi per le quattro rampe di scale e s'abbattevano alla fine sul selciato come stormi di passeri striduli e predatori. La sola signora Gaudron ne sguinzagliava in giro nove, biondi, bruni, spettinati, moccolosi, con i pantaloni tirati su fino agli occhi, le calze che s'afflosciavano sulle scarpe, e certe camiciole a brandelli che lasciavano vedere il biancore della pelle pur sotto gli strati di sudiciume. L'inquilina del quinto piano, una donna che portava il pane, ne aveva sette. Ma ne uscivano a schiere da tutte le case. E in quel formicaio di monelli dai rosei faccini lavati soltanto dalla pioggia, se ne vedevano alcuni gi alti e con l'aria scaltra, altri enormi e panciuti come uomini fatti, altri ancora piccolissimi, come appena usciti dalla culla, ancora incerti sulle gambe, veri animaletti che si trascinavano a quattro zampe quando cercavano di correre. Nan regnava su quella corte di monelli, faceva la padrona con ragazzine due volte pi grandi di lei, e si degnava di cedere un po' del suo potere solo a Pauline e Victor, i due intimi confidenti che appoggiavano ogni suo volere. La briccona proponeva ogni volta di giocare alla mamma, spogliava i pi piccini solo per il gusto di rivestirli, pretendeva di guardare gli altri dappertutto, li palpeggiava, esercitando insomma il dispotismo capriccioso d'una persona adulta e rotta a tutti i vizi. Sotto la sua guida facevano giochi che avrebbero meritato un bel paio di schiaffi. Sguazzavano nelle acque colorate della tintoria, uscendone con le gambe tinte d'azzurro o di rosso fino alle ginocchia; quindi correvano dal fabbro, gli rubavano dei chiodi e della limatura di ferro, scappavano di nuovo per andarsi a gettare in mezzo ai trucioli del falegname, mucchi enormi di trucioli in cui si divertivano ad avvoltolarsi mettendo in mostra il sedere. Il cortile era il loro regno. Il lastricato rimbombava sotto i colpi delle loro scarpine che si rincorrevano, o nel grido lacerante di

quelle voci che si facevano ancora pi acute non appena tutta la banda riprendeva il suo volo. Ma c'erano giorni in cui nemmeno il cortile sembrava abbastanza grande per loro. Allora si riversavano nelle cantine, risalivano, s'arrampicavano lungo una scala, infilavano un corridoio, scendevano di nuovo, rimontavano per un'altra scala, seguivano un altro corridoio; e tutto questo senza mai stancarsi, per ore, urlando, mentre l'immenso caseggiato sembrava vibrare, come scosso dal loro galoppo di piccole bestie scatenate e pericolose, acquattate in ogni angolo. Ma che sfacciati, questi bambini!, gridava la signora Boche. Si direbbe davvero che la gente non ha nulla di meglio da fare, se mette al mondo tanti figli... E poi si lamentano, dicono che hanno appena di che mangiare!. Boche diceva che i figli vengono su dalla miseria come i funghi dal letame. La portinaia strillava tutto il santo giorno, minacciandoli con la scopa. Alla fine fu costretta a chiudere la porta delle cantine. Pauline, che si prese in cambio un paio di schiaffi, le aveva raccontato di come a Nan fosse venuta la bella idea di giocare al dottore proprio laggi, nell'oscurit. La piccola viziosa aveva deciso di curare gli altri a forza di bacchettate. Insomma, un pomeriggio, s'arriv a un'orribile scenata. Prima o poi doveva pur capitare. Nan aveva inventato un gioco davvero spassoso. Aveva rubato uno zoccolo della signora Boche, che la portinaia aveva dimenticato sulla porta della sua guardiola. Dopo averlo legato a un pezzo di spago, cominci a trascinarlo come se fosse una carrozza. Da parte sua, Victor pens bene di riempire lo zoccolo di bucce di mela. Un piccolo corteo si mise allora in marcia. Nan era in prima fila e si tirava dietro lo zoccolo, con Pauline alla sua destra e Victor alla sua sinistra. Venivano poi tutti gli altri marmocchi, in ordine, con i pi grandi che precedevano i pi piccoli, spingendosi l'un l'altro. Chiudeva la sfilata un moccioso in gonnellino e con un cercine sfondato sull'orecchio. E il corteo intonava un canto lugubre e punteggiato da oh! e da ah! di compianto, perch Nan aveva detto che avrebbero giocato al funerale: le bucce di mela erano per l'appunto il morto. Fecero un primo giro del cortile, ne incominciarono un altro. Quel gioco doveva sembrar loro davvero simpatico e divertente. Ma che stanno facendo!, mormor la signora Boche, uscendo dalla guardiola per vedere meglio, sempre diffidente e sul chi vive. Le bast un attimo per capire, e grid allora fuori di s: Ma il mio zoccolo! Ah! maledetti furfanti!. E si mise a darle di santa ragione, prese a ceffoni Nan su entrambe le guance, diede un calcio a Pauline: cos imparava, quell'oca, a lasciar portar via lo zoccolo alla madre! Gervaise stava riempiendo un secchio alla fontana del cortile. Vedendo Nan con il naso sanguinante e quasi soffocata dai singhiozzi, per poco non salt al collo della portinaia. S'era mai visto battere un bambino come se fosse una bestia? Si doveva proprio essere senza cuore, la pi infame delle infami. La signora Boche replic: quando si aveva una figlia svergognata come la sua, era

meglio tenerla sotto chiave. Boche stesso s'affacci sulla soglia della guardiola, e grid alla moglie di rientrare in casa, invece di perder tempo in tante spiegazioni o d'immischiarsi in porcherie del genere. Da quel giorno i loro rapporti si guastarono completamente. Fra i Boche e i Coupeau le cose non andavano pi bene come una volta da almeno un mese. Gervaise, generosa per natura, non faceva che portar loro litri di vino, tazze di brodo, arance, fette di torta. Una sera era scesa in portineria con un avanzo di cicoria e di barbabietola, sapendo che la signora Boche avrebbe commesso qualunque infamia per un piatto di verdura. Ma l'indomani era rimasta di stucco, era impallidita, mentre la signorina Remanjou le raccontava in che modo la portinaia avesse buttato via la sua cicoria con aria disgustata, e per di pi in presenza d'altre persone, protestando indignata che, grazie a Dio! non era ancora arrivata al punto di dover mangiare dai piatti in cui gli altri avevano appena sbavato. Da quel momento, Gervaise aveva interrotto le sue elargizioni: basta con i litri di vino, basta con le tazze di brodo, con le arance, con le fette di torta o con qualunque altra cosa! La faccia dei Boche era un vero spettacolo! Si sentivano come derubati dai Coupeau. Gervaise aveva capito il suo errore: se non fosse stata tanto sciocca da rimpinzarli in quel modo, i Boche non avrebbero finito per prenderci gusto, avrebbero continuato a mostrarsi gentili. La portinaia diceva ormai peste e corna di lei. Alla scadenza d'ottobre, perse ore e ore a spettegolare sul suo conto con il padrone di casa, il signor Marescot, dicendogli che la lavandaia era in ritardo d'un giorno sulla sua pigione perch spendeva ogni soldo che guadagnava in ghiottonerie. E il signor Marescot, a sua volta tutt'altro che garbato, entr nella bottega di Gervaise senza nemmeno togliersi il cappello, pretendendo il suo denaro; e fu subito accontentato. I Boche si erano naturalmente riappacificati con i Lorilleux. Era in compagnia di questi ultimi che adesso mangiavano e bevevano nella loro guardiola, tutti e quattro inteneriti da quella riconciliazione. Non avrebbero mai litigato se non ci fosse stata di mezzo la Zoppa, una di quelle donne che avrebbero messo in guerra fra loro le montagne. Ah! anche loro, i Boche, avevano ormai capito con chi avevano a che fare, si rendevano conto della sofferenza dei Lorilleux. E ogni volta che Gervaise si trovava a passare, si mettevano a ridere pi forte solo per farsi sentire al di l della porta. Ma un giorno Gervaise non pot fare a meno di salire dai Lorilleux. C'era il problema di mamma Coupeau, che aveva allora sessantasette anni. I suoi occhi non ci vedevano pi, e anche le gambe erano male in arnese; aveva dovuto rinunciare a far la donna delle pulizie, e rischiava adesso di morire di fame se qualcuno non la soccorreva. A Gervaise sembrava vergognoso che una donna di quell'et, pur avendo tre figli, si trovasse a tal punto abbandonata e sola al mondo. Coupeau s'era rifiutato di parlarne con i Lorilleux, e aveva detto a Gervaise che poteva farlo lei stessa; e Gervaise s'era decisa a salire, sotto l'impulso d'una indignazione che le faceva scoppiare il cuore nel petto. Entr senza bussare, come una tempesta. Nulla era cambiato

dalla sera in cui i Lorilleux, per la prima volta, l'avevano accolta in un modo cos poco incoraggiante. Lo stesso brandello di lana scolorita separava la camera dal laboratorio, stretto come un budello e fatto apposta per un'anguilla. Lorilleux, curvo sul tavolo da lavoro, stava stringendo una a una le maglie d'un pezzo di colonna, mentre la signora Lorilleux, in piedi davanti alla morsa, tirava un filo d'oro alla filiera. La piccola fucina, nella piena luce del giorno, mandava riflessi rossastri. S, sono io!, disse Gervaise. La cosa vi stupisce, perch siamo ormai ai ferri corti? Ma non sono salita n per me n per voi, lo potete immaginare... Sono venuta da voi per mamma Coupeau. S, sono salita a vedere per quanto tempo ancora la lasceremo ad aspettare un tozzo di pane dalla carit degli altri. Bene! che bel modo d'entrare!, mormor la signora Lorilleux. Avete davvero una bella faccia tosta!. E si gir di spalle, riprese a tirare il filo d'oro, fingendo d'ignorare la presenza della cognata. Lorilleux aveva sollevato la faccia illividita, gridando: Ma di che parlate?. Aveva invece capito perfettamente, e continu: Ancora delle chiacchiere, vero? Ma che carina, mamma Coupeau, ad andare in giro a piangere miseria!... Come se appena due giorni fa non avesse cenato qui da noi! Tutto quello che possiamo fare, lo facciamo. Non abbiamo trovato il Per... Ma se continua ad andare a spettegolare in casa degli altri, allora che ci resti! a noi non vanno a genio i ficcanaso!. Riprese il pezzo di catena, e si gir a sua volta di spalle aggiungendo come a malincuore: Se tutti gli altri le daranno cento soldi al mese, glieli daremo anche noi. Gervaise s'era intanto un po' calmata. I volti terrei dei Lorilleux immancabilmente la raggelavano. Non aveva mai messo piede in casa loro senza provare all'istante una sorta di malessere. Con gli occhi abbassati a terra, sulle losanghe del pavimento di legno, dove andavano a cadere gli scarti dell'oro, diceva adesso le sue ragioni in un tono pi pacato. Mamma Coupeau aveva tre figli: se ognuno dava cento soldi, facevano in tutto solo quindici franchi, e quindici franchi non potevano bastare, non si poteva vivere con cos poco, si doveva almeno triplicare la somma. Ma Lorilleux protestava: dove credeva che potesse trovare quindici franchi al mese? La gente era davvero strana, lo credevano tutti ricco perch aveva dell'oro in casa! E se la prendeva di nuovo con mamma Coupeau: non voleva rinunciare al caff la mattina, le piaceva bere, aveva insomma gli stessi gusti di chi pu permetterseli avendo dei soldi. Perbacco! piacerebbe a tutti poter fare quel che si vuole, ma quando non si stati capaci di risparmiare nemmeno un soldo, bisogna fare come fanno gli altri, stringere la cinta! Del resto mamma Coupeau non era ancora tanto vecchia da non poter pi lavorare, e quanto al vederci, ci vedeva perfettamente quando doveva tirar su un buon boccone dal piatto. Insomma, era una furba di tre cotte, il suo sogno era quello di starsene tranquillamente in panciolle. Se anche ne avesse avuto i mezzi, gli sarebbe sembrato d'agire per il peggio incoraggiando

qualcuno nella poltroneria. Gervaise continuava a mostrarsi conciliante, e s'opponeva pacatamente a quelle ragioni poco convincenti. Cercava di commuovere i Lorilleux. Il marito smise perfino di risponderle. La moglie si trovava adesso davanti alla fucina, e stava decapando un pezzo di catena nella piccola casseruola di rame dal lungo manico, piena d'acido nitrico allungato nell'acqua. Faceva sempre in modo di volgerle le spalle, con ostentazione, come fingendo d'essere a cento leghe di distanza. Ma Gervaise s'ostinava a parlare, e li guardava intanto accanirsi sul lavoro, immersi nella polvere nerastra del laboratorio, con i corpi contratti, gli abiti sdruciti e bisunti, resi duri e stupidi come vecchi utensili dalla loro fatica da automi. Allora, di colpo, la collera la riafferr alla gola, e grid: Basta, forse meglio cos, tenetevi pure i vostri soldi!... Preferisco pensarci io a mamma Coupeau, mi capite? L'altra sera ho raccolto un gatto, posso benissimo raccogliere anche vostra madre. E non mancher di niente, avr il suo caff e il suo bicchierino!... Santo cielo! che sudicia famiglia!. La signora Lorilleux si rigir di scatto, brandendo la casseruola come se volesse gettare in faccia alla cognata l'acido nitrico allungato. Balbettava: Toglietevi dai piedi, o faccio uno sproposito... E non contate sui miei cento soldi, non vi dar nemmeno il becco d'un quattrino, nemmeno un soldo, nemmeno uno!... S, figuriamoci, cento soldi! La mamma vi farebbe da serva, e voi intanto ve la spassereste con i miei cento soldi! E se decide di venire a casa vostra, ditele proprio cos! pu anche trovarsi in fin di vita, non le porter nemmeno un bicchier d'acqua... Su, forza, vi ho detto di togliervi dai piedi!. Che donna orribile!, disse Gervaise sbattendo violentemente la porta. L'indomani stesso si prese in casa mamma Coupeau. Sistem il suo letto nello stanzino in cui dormiva Nan e che era illuminato dal grande lucernario rotondo che s'apriva quasi all'altezza del soffitto. Il trasloco non port via molto tempo. Mamma Coupeau aveva infatti pochi mobili: il letto, un vecchio armadio di noce che and a finire nella camera della biancheria sporca, un tavolo e due sedie; il tavolo fu venduto e le due sedie vennero fatte di nuovo impagliare. Fin dalla prima sera, la vecchia si mise a scopare e a lavare le stoviglie, cerc insomma di rendersi utile in ogni modo, felice che qualcuno si prendesse finalmente cura di lei. I Lorilleux schiattavano dalla rabbia, tanto pi che la signora Lerat aveva da poco fatto la pace con i Coupeau. Le due sorelle, la fiorista e la fabbricante di catenelle, avevano finito per prendersi a schiaffi in un feroce battibecco a proposito di Gervaise. La prima, dopo essersi azzardata ad approvare la condotta della cognata nei confronti di mamma Coupeau, vedendo la seconda esasperata e volendo soprattutto provocarla, non aveva esitato ad esaltare gli occhi della lavandaia, degli occhi magnifici che avrebbero potuto dar fuoco a un pezzo di carta. E tutte e due, dopo essersi schiaffeggiate, avevano giurato di non rivedersi mai pi. La signora Lerat trascorreva adesso le sue serate nella bottega di Gervaise, dove

si divertiva ad ascoltare le sconcezze di Clmence. Passarono tre anni. Litigarono e rifecero la pace infinite volte. Gervaise se ne infischiava dei Lorilleux, dei Boche e di tutti quelli che non la pensavano come lei. Se avevano qualcosa da ridire, potevano anche andarsene al diavolo! Guadagnava quel che voleva, questa era la cosa che per lei contava di pi. Nel quartiere era ormai tenuta in grande considerazione. Ce n'erano del resto ben poche di clienti come lei: una che pagava sempre puntualmente, non mercanteggiava, non faceva mai delle storie! Gervaise comprava il pane dalla signora Coudeloup, in rue des Poissonniers, la carne da Charles, il macellaio di rue Polonceau, le spezie da Lehongre, in rue de la Goutte-d'Or, quasi dirimpetto alla sua bottega. Franois, il vinaiolo che stava all'angolo della via, le portava il vino in ceste da cinquanta litri. Vigouroux, la cui moglie doveva avere i fianchi ormai viola per tutti i pizzicotti che si prendeva dagli uomini, le vendeva il coke allo stesso prezzo della Compagnia del gas. E si poteva ben dirlo: i suoi fornitori la servivano sempre con coscienza, lo sapevano anche loro che con lei c'era tutto da guadagnare a comportarsi da persone gentili. Ogni volta che andava in giro per il quartiere, in ciabatte e a testa nuda, la salutavano tutti con riguardo. Gervaise si sentiva come a casa propria, le strade vicine le sembravano come il naturale prolungamento dell'alloggio in cui viveva e che s'apriva al loro stesso livello sul marciapiede. Le capitava sempre pi spesso d'attardarsi in qualche commissione, felice d'essere all'aperto, in mezzo alla gente che conosceva. Nei giorni in cui le mancava perfino il tempo per mettere qualcosa sul fuoco, andava a prendere dei cibi gi cotti, e si tratteneva a chiacchierare con il trattore, che occupava una bottega dall'altra parte del caseggiato, un'ampia sala dalle grandi vetrate impolverate, oltre la cui sporcizia s'intravedeva in fondo la luce appannata del cortile. Oppure si fermava a parlare, con le mani cariche di piatti e di scodelle, davanti a una finestra del pianterreno, in modo da guardar dentro al bugigattolo del ciabattino: un letto disfatto, il pavimento ingombro di pezze, due culle zoppicanti e il vasetto di pece pieno d'acqua nera. Ma il vicino che rispettava di pi era pur sempre l'orologiaio dirimpetto, il signore in redingote e dall'aria perbene che passava ore e ore a frugare negli orologi con i suoi microscopici strumenti; e attraversava spesso la via soltanto per salutarlo, gli sorrideva e restava per qualche attimo ad ammirare, in quella bottega stretta come un armadio, l'allegro oscillare dei piccoli cuc i cui bilancieri si muovevano in fretta, battendo l'ora fuori tempo, tutti insieme. CAPITOLO SESTO

In un pomeriggio d'autunno, mentre tornava verso casa dopo aver consegnato dei capi di biancheria a una cliente di rue des Portes-Blanches, Gervaise si ritrov al cadere del giorno nella parte bassa di rue des Poissonniers. La mattina aveva piovuto, ma il tempo era adesso dolcissimo e un intenso profumo saliva

dal selciato ancora scivoloso. Appesantita dall'enorme paniere, con il corpo accasciato, la lavandaia soffocava, rallentava il passo, e risaliva la via sentendo dentro di s la vaga inquietudine d'un desiderio sensuale reso ancora pi forte dalla fatica. Avrebbe volentieri mangiato qualcosa di buono. Alzando per caso gli occhi, vide la targa di rue Mercadet e le venne allora l'idea improvvisa d'andare a trovare Goujet nella sua fucina. Mille volte il fabbro l'aveva invitata a farlo, se solo le fosse venuta la curiosit di vedere come si lavorava il ferro. Davanti agli altri operai, avrebbe chiesto di Etienne, in modo da far credere che s'era decisa a entrare unicamente per il figlio. La fabbrica di bulloni e di rivetti si doveva trovare proprio da quella parte di rue Mercadet, ma Gervaise non sapeva esattamente dove, tanto pi che la numerazione spesso mancava e fra un edificio e l'altro sorgevano a intervalli dei terreni abbandonati. Era una via in cui non avrebbe abitato per tutto l'oro del mondo, una via larga e sporca, annerita dalla polvere di carbone delle manifatture vicine, piena di buche e di solchi in cui le pozze d'acqua imputridivano. Lungo i bordi della strada s'innalzavano dei capannoni, grandi officine a vetri, costruzioni grige e come incompiute che lasciavano a nudo i mattoni e le ossature, tutto uno sparpagliamento di murature traballanti e interrotte da squarci che davano sulla campagna, fiancheggiate da locande malfamate e da bettole oscure. Gervaise ricordava soltanto che la fabbrica era quasi attaccata a un magazzino di stracci e di ferri vecchi, una sorta di cloaca che si spalancava a fior di terra e in cui giacevano ammassi di merci per centinaia di migliaia di franchi, stando almeno a quanto raccontava Goujet. Cerc allora d'orientarsi in mezzo allo strepito delle officine: sui tetti, canne sottili soffiavano con violenza sbuffi di vapore; da una segheria meccanica uscivano dei cigolii regolari, come strappi improvvisi in una pezza di calic; le manifatture di bottoni facevano vibrare il suolo con il battito ritmato delle loro macchine. Gervaise stava guardando verso Montmartre, indecisa, non sapendo se doveva spingersi ancora oltre, quando un colpo di vento fece ricadere la fuliggine d'un alto camino, ammorbando tutta la via; chiuse gli occhi, sentendosi soffocare, e proprio in quell'istante giunse fino a lei un rumore cadenzato di martelli. Era arrivata senza accorgersene di fronte alla fabbrica: la riconobbe dalla fossa tutta piena di stracci che si apriva da un lato. Ma esit ancora, non sapendo da che parte entrare. Una palizzata sfondata apriva un varco che sembrava inoltrarsi in mezzo ai calcinacci d'un cantiere in demolizione. Una pozza d'acqua melmosa impediva il passaggio, ma due grandi assi erano state gettate di traverso. Gervaise s'arrischi a salire sulle assi, volt a sinistra, e venne a trovarsi in una strana selva di vecchie carrette rovesciate a stanghe in aria e di casolari in rovina, le cui sole travature rimanevano in piedi. Verso il fondo s'intravedeva il bagliore d'un fuoco, il cui rosseggiare squarciava l'oscurit della notte, qua e l interrotta dall'ultima luce del giorno. I martelli avevano smesso di battere. Gervaise avanzava con prudenza, avvicinandosi sempre pi al chiarore sul fondo, quando all'improvviso le pass accanto un operaio dalla faccia

nera di carbone e come incespugliata da una barba da capro, con uno sguardo obliquo negli occhi un po' acquosi. Signore, domand, qui, vero, che lavora un bambino di nome Etienne?... mio figlio. Etienne, Etienne, ripeteva l'operaio, ciondolando, con una voce un po' roca. Etienne, no, non lo conosco. La sua bocca spalancata alitava lo stesso odore d'alcool che esce dalle vecchie botti d'acquavite, una volta che s' tolto il tappo. E poich quell'incontro con una donna in un angolo tanto appartato cominciava a renderlo pi audace, Gervaise indietreggi, mormorando: Ma qui, almeno, che lavora il signor Goujet?. Ah! Goujet, lui s!, rispose l'operaio, Goujet lo conosco! Se siete venuta per Goujet... Andate fino in fondo. E rigirandosi, strill con quella sua voce che risuonava come il rame incrinato: Ehi! Gueule-d'Or, c' una signora per te!. Ma il suo grido fu soffocato da un fracasso di ferri vecchi. Gervaise arriv fino in fondo alla strada, raggiunse una porta, guard dentro: era un locale immenso, ma dapprima non riusc a distinguervi quasi nulla. La fucina era come morta, e un bagliore lontano e offuscato come quello d'una stella faceva sembrare ancora pi remoti i contorni immersi nelle tenebre. Larghe ombre galleggiavano qua e l, e a tratti delle masse nere passavano davanti al fuoco, coprendo l'ultimo sprazzo di chiarore, uomini ingranditi a dismisura e di cui s'indovinavano le grosse membra. Gervaise, non osando avventurarsi, chiamava dalla porta, a mezza voce: Signor Goujet, signor Goujet.... D'un tratto tutto si rischiar. Sotto il respiro affannoso del mantice era sprizzato un getto di fiamma bianca. E Gervaise vide allora il capannone, chiuso da tramezzi di assi, con aperture murate in modo grossolano e spigoli rafforzati da strati di mattoni. Le polveri volteggianti del carbone intonacavano l'officina con una coltre di grigia fuliggine. Dalle travi pendevano grandi ragnatele, simili a stracci messi lass ad asciugare e fatti pesanti da anni e anni di sudiciume accumulato. Tutt'attorno alle pareti del capannone, abbandonati sulle scansie, appesi ai chiodi o gettati in qualche angolo oscuro, mucchi di vecchi ferri, d'attrezzi fuori uso e di utensili enormi mostravano i loro profili spezzati, sformati e duri. La fiamma incandescente continuava a sprizzare in alto, scintillante, illuminando come in un raggio di sole la terra battuta, dove l'acciaio levigato di quattro incudini ben salde nei loro ceppi prendeva un riflesso d'argento con pagliuzze dorate. Fu allora che Gervaise riconobbe la bella barba bionda del fabbro. Goujet era in piedi davanti alla fucina, mentre Etienne tirava il mantice. C'erano altri due operai, ma la lavandaia vide soltanto Goujet; s'avvicin, si ferm davanti a lui. Toh! la signora Gervaise!, grid Goujet illuminandosi in volto, ma che bella sorpresa!. Ma subito dopo, accorgendosi delle strane espressioni dei compagni, spinse Etienne verso la madre e aggiunse: Siete venuta a vedere il piccolo... in gamba, comincia gi

a farsi la mano. Certo che non facile arrivare fin qui, disse Gervaise. Avevo l'impressione d'essere in capo al mondo.... E raccont il suo viaggio. Poi domand come mai il nome di Etienne non era conosciuto nell'officina. Goujet sorrideva. Le spieg che il ragazzino veniva chiamato da tutti Zuz, perch aveva i capelli rapati come quelli d'uno zuavo. Mentre chiacchieravano, Etienne aveva smesso di tirare il mantice, e la fiamma della fucina s'abbassava, un roseo chiarore s'andava spegnendo in mezzo al capannone nuovamente immerso nell'ombra. Il fabbro guardava con tenerezza la giovane donna che gli sorrideva, tutta luminosa pur in quel barlume di luce. Poi, siccome entrambi non si dicevano pi nulla, come sospesi a loro volta in quelle tenebre, sembr ricordarsi all'improvviso di qualcosa, ruppe il silenzio: Dovete perdonarmi, signora Gervaise, ma ho un lavoro da finire. Potete rimanere, non date fastidio a nessuno. E Gervaise rimase. Etienne s'era rimesso a manovrare il mantice. La fucina fiammeggiava di sprazzi di scintille, tanto pi che il ragazzino, volendo mostrare la sua forza alla madre, riusciva a scatenare un soffio possente come un uragano. Goujet, in piedi, teneva d'occhio una sbarra di ferro che s'arroventava, aspettando con le tenaglie in mano. L'immenso bagliore della fucina lo illuminava violentemente, senza nemmeno un'ombra. La camicia avvoltolata alle maniche, aperta sul collo, gli scopriva le braccia nude, il petto nudo, una pelle rosata da fanciulla su cui s'arricciavano i suoi peli biondi; e con la testa un po' bassa fra le grosse spalle ingobbite di muscoli, l'espressione attenta, gli occhi chiari fissi sulla fiamma, senza un battito, sembrava un gigante in riposo e tranquillo nella sua forza. Quando la sbarra fu incandescente, l'afferr con le tenaglie e la tagli in tanti pezzi regolari battendola con il martello su un'incudine, come se avesse infranto dei pezzi di vetro a colpi leggeri. Quindi rimise i pezzi sul fuoco, riprendendoli uno a uno per forgiarli. Fabbricava dei rivetti a sei facce. Metteva i pezzi di ferro in una chiodaia, schiacciava il ferro che formava la capocchia, appiattiva le sei facce, gettava a terra i rivetti finiti e ancora roventi, la cui vivida macchia andava allora a spegnersi nell'ombra; e tutto questo senza mai smettere di picchiare sull'incudine, reggendo nella mano destra un martello di cinque libbre, aggiustando un dettaglio a ogni colpo, rivoltando e lavorando il ferro con una tale destrezza che poteva al tempo stesso conversare e guardare la gente. L'incudine aveva un suono argentino. E Goujet, per nulla sudato, del tutto a suo agio, continuava a battere tranquillamente, come se la cosa non gli costasse uno sforzo maggiore di quello che faceva a casa propria, la sera, quando si metteva a ritagliare le sue figure. Sono dei piccoli rivetti di venti millimetri, spiegava rispondendo alle domande che gli rivolgeva Gervaise. Se ne possono anche fare trecento al giorno... Ma bisogna farci l'abitudine, il braccio s'arrugginisce in fretta.... E quando Gervaise gli domand se il polso non gli si intorpidiva alla fine della giornata, scoppi a ridere. Lo prendeva

forse per una femminuccia? Il suo polso s'era sottoposto a prove ben pi dure, in quegli ultimi quindici anni, e s'era fatto a sua volta di ferro a forza di strofinarsi contro gli attrezzi del mestiere. Ma Gervaise aveva comunque ragione: un signore che non avesse mai fabbricato un rivetto o un bullone, e avesse voluto mettersi a giocare con il martello di cinque libbre, ne avrebbe avuto le ossa rotte in capo a due ore. Pareva una cosa da nulla, ma poteva buttare a terra dei veri colossi nel giro di pochi anni. Anche gli altri operai stavano battendo sulle incudini, tutti insieme. Le loro grandi ombre sembravano come danzare in quel bagliore d'incendio, mentre i lampi rossastri del ferro che uscivano dal braciere andavano a perdersi nelle tenebre sul fondo, e sprazzi di scintille s'alzavano in volo a ogni colpo di martello, irradiandosi come soli tutt'attorno alle incudini. A Gervaise sembrava d'essere a sua volta afferrata dal ritmo incessante della fucina; era contenta, non pensava affatto ad andarsene. Stava raggiungendo Etienne, dopo aver fatto un lungo giro per non correre il rischio di bruciarsi le mani, quando vide entrare l'operaio sudicio e barbuto con cui aveva parlato nel cortile. Beh! alla fine siete riuscita a scovarlo!, le disse quello con la sua aria beffarda da ubriacone. Lo sai, Gueule-d'Or? sono stato io a dire alla signora dove ti poteva trovare.... Lo chiamavano Bec-Sal, detto anche Boit-sans-Soif. Era il migliore dei migliori, uno che sapeva fare i bulloni come nessun altro, anche perch gli piaceva innaffiare il ferro con un litro d'acquavite al giorno. Era appena andato a farsene un bicchierino, non si sentiva abbastanza oliato da poter resistere fino alle sei. Quando venne a sapere che Zuz si chiamava in realt Etienne, la cosa gli sembr quanto mai divertente, e scoppi in un'enorme risata che gli scopr i denti ormai completamente anneriti. Poi riconobbe Gervaise. Non pi tardi del giorno prima, aveva bevuto un bicchierino con Coupeau. Ogni volta che qualcuno gli parlava di Bec-Sal, detto anche Boit-sans-Soif, subito Coupeau si metteva a gridare: Quello s che uno in gamba!. Ah! quell'animale di Coupeau! ce n'erano pochi in giro di generosi come lui, era sempre lui ad offrire da bere, anche quando sarebbe stato il turno d'un altro! Mi fa piacere sapere che siete sua moglie, ripeteva. Se la merita, una bella moglie! Non ho ragione Gueule-d'Or, la signora non forse una gran bella moglie?. E continuava a mostrarsi galante, cercava di farsi sempre pi vicino alla lavandaia. Gervaise riprese allora la cesta, e se la strinse al seno in modo da tenerlo a distanza. Goujet, visibilmente contrariato, capiva che il compagno si permetteva di scherzare con tanta libert proprio per la sua buona amicizia con Gervaise. E allora, sfaticato!, gli grid, quando pensi di farli i quaranta millimetri?... Ti senti abbastanza in forma, adesso che ti sei lubrificato per bene, ubriacone che non sei altro?. Il fabbro alludeva a un'ordinazione di grossi bulloni che richiedevano almeno due coniatori all'incudine. Ma subito, se vuoi, mio bel fanciullone!, rispose Bec-Sal, detto anche Boit-sans-Soif Ancora si succhia il pollice, e gi

pretende di far le cose come un uomo! Sarai pure grande e grosso, ma io ne ho fatti fuori anche di pi tosti!. E allora, d'accordo, subito! Vieni, a noi due!. Sono pronto, canaglia!. Si sfidavano, la presenza di Gervaise li infiammava. Goujet gett nel fuoco i pezzi di ferro che aveva gi tagliato, poi fiss su un'incudine una chiodaia di grosso calibro. Il suo compagno, dopo aver staccato dal muro due mazze di venti libbre, le due sorelle maggiori dell'officina, che gli operai chiamavano Fifine e Ddle, continuava a darsi delle arie, parlava di sei dozzine di rivetti che aveva forgiato per il faro di Dunkerque, dei veri gioielli, degli oggetti da esporre in un museo, da tanto erano perfettamente rifiniti. Accidenti! no e poi no non aveva paura della concorrenza, per trovarne un altro bravo come lui non sarebbe bastato frugare in tutte le officine della capitale. Adesso s che c'era da ridere, era una cosa tutta da vedere. Sar la signora a giudicare, disse volgendosi verso la giovane. Basta con le chiacchiere!, grid Goujet. Zuz, mettici un po' di forza! Deve accendersi di pi, ragazzo mio!. Ma Bec-Sal, detto anche Boit-sans-Soif, aveva ancora una domanda da fare: Allora, battiamo insieme?. Niente affatto! un bullone per uno, mio prode!. Queste parole crearono un gelo improvviso, e l'altro operaio, nonostante tutta la sua parlantina, rimase di colpo a bocca aperta dallo stupore. Dei bulloni di quaranta millimetri forgiati da un solo uomo erano una cosa mai vista, tanto pi che i bulloni dovevano essere a capocchia rotonda, un'impresa difficilissima, un vero capolavoro, ammesso di saperlo fare. Gli altri tre operai dell'officina avevano abbandonato il lavoro, e s'erano messi a guardare. Uno di loro, alto e magro, scommise un litro sulla sconfitta di Goujet. I due fabbri presero una mazza per uno, a occhi chiusi, perch Fifine pesava mezza libbra pi di Ddle. Bec-Sal, detto anche Boit-sans-Soif, ebbe la fortuna di scegliere Ddle, mentre a Gueule-d'Or capit Fifine. E mentre aspettavano che il ferro s'arroventasse, il primo, fattosi di nuovo baldanzoso, si piazz davanti all'incudine senza smettere di lanciare tenere occhiate in direzione della lavandaia. Prendeva la giusta posizione, picchiava con il piede a terra in segno di sfida, come un cavaliere sul punto di battersi in duello, faceva gi ondeggiare Ddle a tutta forza. Ah! fulmini di Dio! si sentiva davvero in gran forma, avrebbe potuto ridurre in frittelle la colonna Vendme! Su, comincia!, gli disse Goujet mettendo nella chiodaia un pezzo di ferro grosso come il polso d'una fanciulla. Bec-Sal, detto anche Boit-sans-Soif, s'inarc e diede il via alla danza di Ddle, reggendola con entrambe le mani. Piccolo, rinsecchito, con la sua barba da capro e gli occhi da lupo che gli scintillavano sotto la zazzera spettinata, si piegava in due a ogni colpo del martello, si sollevava da terra come trasportato dal suo stesso slancio. Sembrava che si battesse furiosamente con il ferro per il solo fatto di sentirlo tanto resistente; s'accaniva, e mandava fuori una specie di grugnito ogni volta che gli pareva

d'avergli assestato un duro colpo. Forse l'acquavite rendeva molli le braccia degli altri, ma lui aveva bisogno d'acquavite nelle vene, al posto del sangue: il bicchierino di prima gli aveva messo in moto la carcassa come una caldaia, sentiva in s la forza straordinaria d'una macchina a vapore. Era il ferro ad avere paura di lui, quella sera, facendosi piatto e molle come un mozzicone di sigaretta. E Ddle continuava a ballare, era uno spettacolo! Faceva la capriola con le gambe in aria, come una ballerina dell'Elyse-Montmartre che mette in mostra tutta la sua biancheria. Ma non c'era tempo da perdere, il ferro cos traditore che si raffredda all'istante, solo per il gusto di fare un dispetto al martello. In trenta colpi Bec-Sal, detto anche Boitsans-Soif, aveva dato forma alla capocchia del suo bullone. Ma ansimava, strabuzzava gli occhi, era fuori di s dalla rabbia perch le braccia gli scricchiolavano. Inferocito, saltellando, urlando, fece allora cadere altri due colpi, cos, unicamente per vendicarsi della sua fatica. E quando finalmente lo tir fuori dalla chiodaia, il bullone era ormai deformato e aveva la capocchia male impiantata come quella d'un gobbo. Beh! che ve ne pare, niente male, vero?, disse comunque senza scomporsi, mostrando il suo lavoro a Gervaise. Non so, non ne capisco nulla, signore, rispose la lavandaia con aria perplessa. Ma s'era accorta dei due ultimi colpi di taglio lasciati da Ddle sul bullone; e ne era felice, stringeva le labbra per non mettersi a ridere, perch adesso Goujet aveva tutte le probabilit di vincere. Toccava appunto a Gueule-d'Or. Prima di cominciare, il fabbro lanci alla lavandaia uno sguardo pieno di tenera fiducia. Poi non s'affrett, calcol la giusta distanza, fece ricadere il martello dall'alto a grandi bracciate regolari. Aveva un lancio classico, corretto, agile e perfettamente bilanciato. Nelle sue mani, Fifine non s'abbandonava a una danza sfrenata da balera, con le gambe in aria e le sottane in disordine, ma si sollevava e ricadeva in perfetta armonia, come una nobile signora dall'aria austera che stesse guidando un vecchio minuetto. I tacchi di Fifine battevano il tempo gravemente, affondavano nel ferro rovente, sulla capocchia del bullone, con un'arte ponderata, dapprima schiacciando il metallo nel mezzo, poi modellandolo con una serie di colpi precisi e ritmati. Non era di certo acquavite che Gueule-d'Or aveva nelle vene, era sangue, un sangue puro che pulsava potentemente fin dentro il martello e dava la giusta cadenza alla sua fatica. Era l'impresa d'un uomo magnifico, d'un vero colosso! Goujet era colpito in pieno dall'alta fiamma della fucina. I suoi corti capelli arricciati sulla fronte bassa, la sua bella barba bionda e inanellata, s'accendevano, gli illuminavano il volto con i loro fili d'oro, e il volto sembrava davvero intagliato nell'oro, senza esagerazione! E in pi un collo che assomigliava a una colonna, un collo bianco come quello d'un bambino, un petto ampio e tanto vasto da potervi coricare una donna di traverso, le spalle e le braccia come scolpite e ricalcate su quelle d'un gigante in un museo. Ogni volta che prendeva l'abbrivio, si vedevano i suoi muscoli che pulsavano, montagne di carne che tremavano e s'indurivano sotto la pelle;

e le spalle, il petto, il collo, si gonfiavano. Irradiava una sorta di luminosit tutt'attorno al suo corpo, diventava bello e onnipotente come un dio benevolo. Gi venti volte aveva calato a tutta forza Fifine, gli occhi fissi sul ferro, respirando a ogni colpo, mentre due gocce di sudore gli scorrevano sulle tempie. Contava: ventuno, ventidue, ventitr. Fifine continuava tranquillamente a fare i suoi inchini come una gran dama. Quante scene!, mormor sogghignando Bec-Sal, detto anche Boit-sans-Soif Gervaise si trovava proprio di fronte a Gueule-d'Or, e lo guardava sorridendo teneramente. Mio Dio! gli uomini erano proprio sciocchi! Quei due non s'accanivano forse sui loro bulloni soltanto per farle la corte? Oh! se ne accorgeva perfettamente, se la disputavano a colpi di martello, erano come due galli rossi che fanno i coraggiosi davanti a una bianca gallinella. Quante se ne inventano! Il cuore ha a volte degli strani modi di dichiararsi! S, era per lei il rimbombare di Ddle e Fifine sull'incudine, era per lei quell'agitarsi di tutta la fucina, adesso fiammeggiante come in un incendio, invasa com'era dal vivo scoppiettare delle scintille. Stavano forgiando per lei un amore, era lei la posta in gioco nel loro sfidarsi a chi alla fine avesse forgiato meglio. E la cosa le faceva in fondo piacere, perch alle donne le galanterie sono sempre gradite. Ma erano i colpi del martello di Gueuled'Or a riecheggiarle soprattutto nel cuore, suonandovi come sull'incudine una musica argentina che accompagnava i battiti accelerati del suo sangue. Sembra una sciocchezza, ma sentiva che qualcosa le si conficcava nel petto, qualcosa di saldo e resistente, quasi il ferro stesso del bullone. Al crepuscolo, prima d'entrare nell'officina, camminando lungo i marciapiedi ancora bagnati, aveva sentito in s un vago desiderio, il bisogno di mangiare un buon boccone: adesso era appagata, come se i colpi di martello di Gueule-d'Or l'avessero nutrita. Oh! non dubitava affatto della sua vittoria, era a lui che sarebbe appartenuta. E poi Bec-Sal, detto anche Boit-sans-Soif, era cos brutto mentre saltellava con l'aria di una scimmia appena scappata dalla gabbia, nel suo camiciotto e nella sua casacca insudiciata! E Gervaise aspettava, rossa in volto, godendo tuttavia di quell'immenso calore, felice di sentirsi a sua volta scossa dalla testa ai piedi dagli ultimi colpi di Fifine. Goujet continuava a contare. E ventotto!, grid alla fine poggiando il martello a terra. Ho finito, guardate!. La capocchia del bullone era liscia, compatta, senza un'incrinatura, rotonda come una sfera fatta con lo stampo, un vero lavoro da orefice. Gli operai l'ammiravano approvando con un cenno del capo: c'era poco da dire, veniva voglia di mettersi in ginocchio. Bec-Sal, detto anche Boit-sans-Soif, si sforz di prendere la cosa sul ridere, ma era indispettito, e fin per tornare alla sua incudine con fare imbronciato. Gervaise s'era intanto fatta pi vicina a Goujet per guardare meglio. Etienne aveva lasciato il mantice, la fucina si riempiva nuovamente di ombre, sembrava immersa nel tramonto d'un grande sole la cui rossa luce inondasse all'improvviso l'immensit delle tenebre. Il fabbro e la lavandaia assaporavano la dolcezza di quella notte

che li avvolgeva, in quel capannone annerito dalla fuliggine e dalla limatura, in quell'odore penetrante di vecchi ferri. Si sentivano soli come se si fossero trovati nel Bois de Vincennes, come se si fossero dati appuntamento in uno spiazzo d'erba appartato. Goujet le prese la mano come se l'avesse appena conquistata. Una volta fuori, non si scambiarono una sola parola. Il fabbro era silenzioso, le disse solo che non poteva lasciarle portar via Etienne, perch c'era ancora mezz'ora di lavoro. Gervaise fece per andarsene, ma l'altro la richiam, voleva trattenerla per qualche altro minuto. Venite con me, non avete ancora visto tutto... Vi interesser, ne sono sicuro. La condusse a destra, in un altro capannone dove il padrone stava impiantando una produzione automatizzata. Al momento d'entrare, come colta da un'istintiva paura, Gervaise esit. L'enorme locale, scosso dalle vibrazioni delle macchine, tremava, mentre ombre gigantesche ondeggiavano nel rosseggiare dei fuochi come macchie di buio. Ma il fabbro la rassicur sorridendo: non c'era nulla di cui aver paura, le giur, doveva solo stare attenta a non impigliarsi con le sottane negli ingranaggi. Avanz per primo, Gervaise lo segu nel frastuono assordante in cui ogni genere di rumore sibilava e brontolava, in mezzo ai vapori popolati da quegli esseri vaghi, uomini neri e indaffarati, macchine che agitavano le braccia. Per Gervaise era tutt'uno, era impossibile distinguere gli uomini dalle macchine. I passaggi erano strettissimi, ad ogni istante dovevano scavalcare degli ostacoli, evitare delle buche, gettarsi da parte per non essere investiti da un carrello. Non si sentiva una voce. Non vedeva ancora nulla, tutto ondeggiava. Poi, avvertendo poco pi in alto della sua testa come il fremito d'un immenso sbattere d'ali, si ferm, sollev lo sguardo, vide le corregge, lunghi nastri che disegnavano sul soffitto una gigantesca ragnatela i cui fili sembravano dipanarsi all'infinito. Il motore a vapore era nascosto in un angolo, dietro a un muricciolo di mattoni, e le corregge parevano muoversi da sole, come se prendessero il via dal fondo stesso delle tenebre, nella loro oscillazione continua, regolare e dolce come il volo d'un uccello notturno. Gervaise rischi di cadere: era inciampata in uno dei tubi del ventilatore che si ramificava sotto la terra battuta e distribuiva il suo soffio pungente come un vento alle piccole fucine collocate accanto alle macchine. Fu appunto la prima cosa che Goujet volle farle vedere. Quando sprigion il vento su uno dei forni, alte fiamme s'allargarono d'attorno a forma di ventaglio, un collaretto di fuoco frastagliato e abbagliante, appena colorato da una punta di lacca; la luce era cos viva che le piccole lampade degli operai sembravano gocce d'ombra in un sole. Poi alz la voce per spiegarle meglio, le mostr le macchine: le cesoie meccaniche che divoravano le sbarre di ferro inghiottendone un pezzo a ogni morso, per poi risputare i pezzi da dietro, uno a uno; le macchine per i bulloni e i rivetti, enormi, complicate, che forgiavano la capocchia con una sola pressione della loro vite possente; le sbavatrici dal volante di ghisa, una sfera di ghisa che faceva vibrare l'aria con violenza a ogni pezzo di ferro di cui

ripulivano le sbavature; le filettatrici, manovrate da donne, che filettavano i bulloni e le madreviti, con il ticchettio dei loro ingranaggi d'acciaio scintillante sotto il grasso degli olii. Gervaise poteva cos seguire tutto il lavoro, dalla sbarra di ferro ancora poggiata al muro ai bulloni e ai rivetti finiti; ce n'erano casse piene che ingombravano gli angoli. Cap, sorrise brevemente scrollando il capo, ma si sentiva ancora un nodo alla gola, impaurita nel vedersi cos piccola e indifesa in mezzo a quelle brutali manipolatrici di metallo; e si girava di scatto, con il sangue che le si faceva di ghiaccio, a ogni sordo colpo d'una sbavatrice. Cominciava ad abituarsi all'ombra, vedeva gi degli angoli oscuri in cui uomini immobili regolavano la danza ansimante dei volanti, ogni volta che uno dei forni sputava all'improvviso il lampo di luce del suo collaretto di fiamme. Ma suo malgrado, era sempre al soffitto che il suo sguardo tornava, alla vita, al sangue stesso delle macchine, al volo agile delle corregge, di cui ammirava sollevando gli occhi l'energia colossale e silenziosa che scorreva nelle incerte tenebre delle ossature. Goujet s'era intanto fermato davanti a una delle macchine per i rivetti; e rimaneva immobile, pensieroso, con la testa bassa, gli occhi fissi a terra. La macchina forgiava i rivetti di quaranta millimetri con la placida facilit d'un gigante. E in verit, non c'era nulla di pi semplice. Il fuochista prendeva il pezzo di ferro dal forno e il coniatore lo sistemava nella chiodaia, inumidita da un continuo filo d'acqua per evitare che l'acciaio si stemperasse; e la cosa era bell'e fatta, la vite s'abbassava, il bullone saltava a terra con la sua capocchia rotonda come una sfera fatta con lo stampo. In dodici ore era in grado di farne per centinaia di chili, quella macchina maledetta! Goujet non aveva in s nulla di violento, ma in certi momenti avrebbe afferrato volentieri Fifine per menar colpi su tutta quella ferraglia, a tal punto s'imbestialiva nel vederle delle braccia ben pi solide delle sue. Era una cosa che lo tormentava, anche quando si sentiva pi ragionevole, pur dicendo a se stesso che la carne non poteva competere con il ferro. Un giorno la macchina avrebbe di certo schiacciato l'operaio; le loro giornate di lavoro erano gi scese da dodici a nove franchi, e si parlava di abbassarle ancora. Insomma! non avevano nulla di divertente quelle enormi bestie che facevano bulloni e rivetti come avrebbero potuto fare salsicce! La guard per almeno tre minuti senza aprir bocca; le sue sopracciglia s'aggrottavano, la sua bella barba bionda s'arruffava come minacciosa. Poi un'espressione di dolce rassegnazione gli distese poco a poco i lineamenti del volto. Girandosi verso Gervaise, che gli si stringeva contro, disse con un triste sorriso: Eh! sono cose del genere a distruggerci! Ma forse un giorno serviranno a far la gente felice. Gervaise se ne infischiava della felicit della gente. E i bulloni fatti a macchina le sembravano decisamente brutti. Capite?, protest con calore, sono fatti fin troppo bene... Mi piacciono di pi i vostri. Si sente almeno il tocco d'un artista!. Che gioia, nel sentirla parlare cos! Goujet aveva temuto per

un attimo che Gervaise lo disprezzasse, dopo aver visto le macchine. Se lui era pi forte di Bec-Sal, detto anche Boitsans-Soif, le macchine erano comunque pi forti di lui, che diamine! Quando alla fine si separarono nel cortile, le strinse i polsi fin quasi a spezzarglieli, a tal punto si sentiva felice. La lavandaia andava ogni sabato dai Goujet per riportar loro la biancheria. Abitavano ancora nel piccolo alloggio di rue Neuve-de-la-Goutte-d'Or. Il primo anno, aveva puntualmente reso venti franchi al mese sui cinquecento che doveva loro; per non complicare i conti, facevano la somma del bucato soltanto a fine mese, e Gervaise aggiungeva gli spiccioli necessari a completare i venti franchi: il bucato dei Goujet non superava mai, ogni mese, i sette od otto franchi. Aveva quasi saldato la met del debito quando un giorno, il giorno in cui scadeva il trimestre, non sapendo pi come cavarsela, anche perch alcune clienti non avevano rispettato gli impegni presi con lei, aveva dovuto far ricorso ai Goujet, chiedendo in prestito di che pagare la pigione. In altre due occasioni, dovendo pagare le sue operaie, s'era di nuovo rivolta a loro, e il debito era cos risalito a quattrocentoventicinque franchi. E ormai non dava pi un soldo, si sdebitava esclusivamente con il bucato. Non che lavorasse di meno o che gli affari non fossero pi buoni come un tempo. Ma in casa sua s'aprivano delle continue falle, il denaro sembrava volatilizzarsi, e Gervaise era gi contenta quando riuscivano a sbarcare il lunario. Mio Dio! finch si vivi, non c' motivo di lamentarsi, non cos? Ingrassava, cedeva a tutte le piccole debolezze della sua pinguedine nascente, non aveva pi la forza d'inquietarsi pensando all'avvenire. Tanto peggio! il denaro prima o poi sarebbe pur venuto, e comunque s'arrugginiva se lo si metteva da parte. La signora Goujet continuava tuttavia ad avere un atteggiamento materno nei confronti di Gervaise. La rimproverava a volte con dolcezza, non tanto per il suo denaro, ma perch le voleva bene e temeva di vederla fare una brutta fine. Non alludeva quasi mai al suo denaro. Insomma, era piena di delicatezza. L'indomani della visita di Gervaise alla fucina era per l'appunto l'ultimo sabato del mese. Arrivando dai Goujet, dove ci teneva ad andare di persona, la cesta le aveva talmente spezzato le braccia che rimase senza fiato per almeno due minuti. Non s'immagina quanto pesa la biancheria, soprattutto quando ci sono delle lenzuola! Avete portato tutto?, domand la signora Goujet. Era un argomento su cui era invece assai severa. Pretendeva che le si riportasse la biancheria senza che un solo capo vi mancasse: era in nome dell'ordine, cos diceva. Un'altra sua esigenza era che la lavandaia venisse esattamente il giorno stabilito e sempre alla stessa ora, affinch nessuna delle due perdesse il suo tempo. Oh! s, c' proprio tutto, rispose Gervaise sorridendo. Lo sapete che non lascio mai nulla indietro. vero, ammise la signora Goujet, state prendendo delle brutte abitudini, ma questa ancora non ce l'avete!. E mentre la lavandaia svuotava la cesta, posando la biancheria sul letto, la vecchia cominci ad elogiarla: non

bruciava mai i capi, non li lacerava come facevano invece tante altre, non strappava i bottoni con il ferro; l'unica cosa era che usava troppo turchinetto e inamidava eccessivamente i davanti delle camicie. Guardate, sembra cartone, continu facendo scricchiolare il davanti d'una camicia. Mio figlio non si lamenta, ma cos gli si taglia il collo... Domani avr il collo tutto insanguinato, quanto torneremo da Vincennes. No, non dite cos!, protest Gervaise desolata. Se si vuole essere eleganti, le camicie devono essere un po' rigide, altrimenti sarebbe come avere uno straccio addosso. Guardate i signori... Sono solo io ad occuparmi della vostra biancheria, le mie operaie non c'entrano per niente; e lo faccio con gran cura, ve l'assicuro, potrei ricominciare tutto da capo per dieci volte di fila, perch roba vostra, capite?. Era arrossita leggermente finendo la frase in una specie di balbettio. Non voleva lasciar trasparire il piacere che provava stirando di persona le camicie di Goujet. Non che avesse pensieri disonesti, ma la cosa l'avrebbe comunque messa in imbarazzo. Oh! non critico affatto il vostro lavoro, lavorate magnificamente, disse la signora Goujet. Per esempio, questa cuffia fatta davvero a regola d'arte. Non ci siete che voi a far risaltare cos i ricami. E le pieghettature a cannoncino sono perfette, senza una grinza! Via, riconosco subito la vostra mano. Se fosse una delle vostre operaie ad occuparsi anche solo d'uno strofinaccio, me ne accorgerci all'istante... Per dovrete mettere un po' meno amido, ecco tutto! Goujet non ci tiene ad aver l'aspetto d'un signore. Aveva intanto preso il suo quaderno e cancellava i singoli capi con un tratto di penna. Andava tutto bene. Al momento di regolare i conti, s'accorse che Gervaise le faceva pagare una cuffia sei soldi. Protest, ma alla fine fu costretta ad ammettere che per il resto non era affatto cara: no, le camicie da uomo cinque soldi, i calzoncini da donna quattro soldi, le federe un soldo e mezzo, i grembiali un soldo, non si poteva proprio dire che fosse caro; molte lavandaie prendevano due lire o anche un soldo in pi per ognuno di quei capi. Gervaise pass quindi la biancheria sporca capo per capo, mentre la vecchia ne prendeva nota sul libriccino; poi la mise nella cesta, ma non se ne andava, rimaneva l tutta confusa, imbarazzata dalla domanda che le premeva in gola. Signora Goujet, disse finalmente, se per voi fosse lo stesso, questo mese prenderei il denaro del bucato. Il conto del mese era decisamente alto, il totale che avevano appena calcolato arrivava a dieci franchi e sette soldi. La vecchia la guard per un attimo con aria severa. Poi rispose: Figlia mia, faremo come volete. Non voglio rifiutarvi questo denaro, dal momento che ne avete bisogno... Tuttavia non mi sembra il modo migliore per saldare il vostro debito. Lo dico per voi, ve l'assicuro. Davvero, dovreste essere pi accorta!. Gervaise accett la predica abbassando la testa e balbettando qualcosa. I dieci franchi le servivano per completare la somma d'una cambiale che aveva firmato al suo fornitore di

coke. La signora Goujet si fece allora pi severa, sentendo la parola cambiale. Le disse di seguire il suo esempio: da quando le giornate lavorative di Goujet erano scese da dodici a nove franchi, aveva cominciato a ridurre le spese. Se non si saggi da giovani, si muore di fame da vecchi. Ma si contenne, non disse a Gervaise che le dava la biancheria da lavare solo per permetterle di pagare il suo debito; una volta lavava tutto da sola, e avrebbe ricominciato a farlo se il bucato doveva farle sborsare delle simili somme. Dopo aver avuto i suoi dieci franchi e sette soldi, Gervaise ringrazi la vecchia e scapp via in fretta. Una volta sul pianerottolo, si sent sollevata, aveva voglia di mettersi a ballare, perch cominciava gi ad abituarsi ai fastidi e alle infamie del denaro, e di quelle seccature non conservava in s che la gioia d'esserne uscita, almeno fino alla prossima volta. Fu appunto quel sabato che a Gervaise capit uno strano incontro. Mentre scendeva le scale dei Goujet, fu costretta a farsi di lato, quasi contro la ringhiera, per lasciar passare una donna alta e a capo scoperto che stava salendo e stringeva in mano, in un pezzo di carta, uno sgombro freschissimo e dalle branchie ancora insanguinate. Ed ecco che riconobbe Virginie, la giovane cui aveva sollevato le sottane al lavatoio! Si fissarono entrambe in volto. Gervaise chiuse gli occhi, temendo per un attimo che l'altra volesse sbatterle lo sgombro in faccia. Ma no! Virginie le fece un piccolo sorriso; e allora la lavandaia, il cui paniere bloccava la scala, si premur di mostrarsi a sua volta garbata. Vi chiedo scusa, disse. Siete scusata, rispose la bella bruna. E si trattennero cos a chiacchierare sugli scalini, fecero all'istante la pace, senza arrischiare una sola allusione al passato. Virginie, che aveva allora ventinove anni, era diventata una donna maestosa, possente, con il viso un po' lungo e incorniciato da due ciocche d'un nero corvino. Raccont d'un fiato tutta la sua storia per darsi un'aria d'importanza: adesso era una donna maritata, aveva sposato in primavera un operaio ebanista che aveva da poco finito il servizio militare e stava ora dandosi da fare per ottenere un posto di guardia municipale, perch un impiego pubblico sempre la cosa pi sicura e decorosa. Quanto a lei, era appena andata a comprare uno sgombro per il marito. Va pazzo per lo sgombro, disse. Gli uomini sono tutti dei bruti, sempre meglio viziarli un po'; non siete d'accordo?... Ma salite! voglio farvi vedere la nostra casa... Per di pi siamo proprio in mezzo a una corrente d'aria. Dopo che Gervaise le ebbe raccontato a sua volta del suo matrimonio, e le disse d'aver vissuto in quello stesso alloggio, dove aveva perfino messo al mondo una bambina, Virginie la invit di nuovo a salire, con pi insistenza e calore. Fa sempre piacere rivedere i posti in cui si stati felici! Aveva abitato per cinque anni dall'altra parte del fiume, al Gros-Caillou; era l che aveva conosciuto il marito, a quei tempi ancora sotto le armi. Ma s'annoiava, sognava di poter tornare nel quartiere di rue de la Goutte-d'Or, dove era amica di tutti. E infatti, da quindici giorni, viveva nella casa dirimpetto a quella dei Goujet. Oh! le

sue cose erano ancora tutte in disordine, ma avrebbe sistemato tutto con calma. Poi, sul pianerottolo, si scambiarono finalmente i cognomi. Signora Coupeau. Signora Poisson. E da quel momento in poi si chiamarono a vicenda soltanto cos, signora Poisson, signora Coupeau, riempiendosene la bocca, unicamente per il piacere di sentirsi delle signore, loro che s'eran conosciute in altri tempi in situazioni assai meno ortodosse. Ma Gervaise non riusciva a fidarsi del tutto. Forse la bella bruna aveva deciso di riappacificarsi con lei con il segreto disegno di vendicare l'offesa del lavatoio, rimuginando chiss quale complotto da bestiaccia ipocrita. Si riprometteva quindi di restare in guardia. Al momento Virginie si mostrava assolutamente gentile; doveva esserlo anche lei. |[continua]| |[CAPITOLO SESTO, 2]| Nella camera in alto, Poisson, il marito, un uomo sui trentacinque anni e dal volto livido, con mustacchi e pizzetto d'un bel rosso acceso, stava lavorando seduto a un tavolo accanto alla finestra. Faceva delle scatoline. Come unici utensili, aveva un temperino, una sega non pi grande d'una lima per le unghie e un vasetto di colla. Il legno di cui si serviva era ricavato da certe vecchie scatole da sigari, sottili assicelle di mogano grezzo in cui si divertiva a intagliare decorazioni di straordinaria raffinatezza. Per tutta la giornata, da un capo all'altro dell'anno, faceva sempre lo stesso tipo di scatolina: otto centimetri per sei. Ma la copriva d'intarsi, inventava nuove forme di coperchio, v'inseriva degli scomparti. Era solo per divagarsi, un modo come un altro di far passare il tempo, mentre aspettava la sua nomina a guardia municipale. La passione per le scatoline era l'unica cosa che avesse conservato del suo vecchio mestiere d'ebanista. Non vendeva mai i suoi lavori, li regalava ai conoscenti. Poisson si alz e salut garbatamente Gervaise, che la moglie gli present come una vecchia amica. Ma non era un gran conversatore, e torn subito a dedicarsi alla sua seghetta. A tratti lanciava tuttavia un piccolo sguardo in direzione dello sgombro, appoggiato sul bordo del cassettone. Gervaise era felice di rivedere la camera in cui un tempo aveva vissuto; indic i punti in cui erano disposti i suoi mobili, mostr l'angolo in cui aveva partorito, a terra. Ma in che strano modo s'incrociavano di nuovo i loro destini! Quando s'erano perse di vista, in altri tempi, non avrebbero mai immaginato di potersi ritrovare in quel modo, con una delle due che andava ad abitare nella stessa casa in cui l'altra aveva precedentemente vissuto. Virginie aggiunse altri particolari su lei e il marito: Poisson aveva appena avuto una piccola eredit, da una zia; prima o poi l'avrebbe di certo messa in proprio, ma per il momento continuava ad occuparsi di cucito, rimediava un vestito qu, un vestito l, come capitava. In capo a mezz'ora, la lavandaia pens bene d'andarsene. Poisson volse appena le spalle. Virginie

l'accompagn, promise di restituirle la visita; e comunque la cosa era decisa: sarebbe diventata una delle sue clienti. Poi, visto che insisteva a trattenerla sul pianerottolo, Gervaise pens che volesse parlarle di Lantier e della sorella Adle, la brunitrice. La sola idea la sconvolgeva. Ma non si scambiarono una sola parola su quell'argomento tanto spiacevole; e si separarono con un arrivederci! detto da entrambe nel pi amabile dei modi. Arrivederci, signora Coupeau. Arrivederci, signora Poisson. Fu l'inizio d'una grande amicizia. In capo a otto giorni, Virginie non poteva passare una sola volta davanti alla bottega di Gervaise senza che le venisse voglia d'entrare; e si perdeva in chiacchiere per due o tre ore, tanto che Poisson, preoccupato, gi immaginando un incidente, finiva ogni volta per venirla a cercare, con la sua faccia terrea e silenziosa da cadavere. Gervaise, a forza di vedere ogni giorno la cucitrice, cominci ben presto a sentire una vaga inquietudine: ogni volta che l'altra attaccava una frase, credeva che stesse per parlarle di Lantier. Finch Virginie non se ne andava, Gervaise non poteva far altro che pensare a Lantier, era una cosa irresistibile. Era assurdo, in fin dei conti, perch in realt se ne infischiava di Lantier e di Adle e di quello che poteva essere successo fra di loro; non le veniva da chiedere nulla, non era nemmeno curiosa di sapere qualcosa di loro. Proprio cos! era una cosa che la possedeva suo malgrado; il pensiero di loro le ronzava nel cervello come si pu avere un ritornello sulle labbra, un ritornello insistente e difficile da cacciar via. Del resto non ce l'aveva affatto con Virginie, la colpa non era di certo sua. Si divertiva in sua compagnia, e la tratteneva a lungo prima di decidersi a separarsi da lei. Intanto era arrivato l'inverno, il quarto inverno che i Coupeau passavano in rue de la Goutte-d'Or. Quell'anno dicembre e gennaio furono particolarmente rigidi. Il gelo spaccava le pietre. Dopo Capodanno, la neve rimase per tre settimane in mezzo alla strada senza sciogliersi. Ma la cosa non impediva di lavorare, al contrario: l'inverno la stagione migliore per le stiratrici. Come si stava bene nella bottega di Gervaise! I vetri non si coprivano di ghiaccioli come dal droghiere e dal cappellaio dirimpetto. La caldaia, riempita di coke, manteneva una temperatura costante da vasca da bagno; i panni fumavano, ci si poteva credere in piena estate. E si stava magnificamente bene con le porte chiuse, il calore si diffondeva in ogni angolo, a tal punto che veniva voglia di mettersi a dormire ad occhi aperti. Gervaise diceva sorridendo che le sembrava d'essere in campagna. Ed era vero: il rumore delle carrozze che scivolavano sulla neve era come soffocato, era gi tanto se si sentiva il calpestio dei passanti. In mezzo al gran silenzio del freddo si levavano in alto soltanto delle voci di fanciulli, il chiasso d'una frotta di monelli che avevano costruito un grande scivolo lungo il rigagnolo del maniscalco. Gervaise andava di quando in quando a uno dei riquadri della porta, ne toglieva con la mano il vapore, guardava l'effetto che faceva sul quartiere quel freddo maledetto: ma nemmeno un naso s'affacciava sulla soglia delle botteghe vicine; il quartiere, impellicciato di neve, sembrava darsi un'aria d'importanza. E la lavandaia scambiava solo un piccolo saluto

silenzioso con la carbonaia, che s'ostinava a camminare a testa nuda, la bocca spaccata da un'orecchio all'altro da quando il gelo s'era fatto cos forte. La cosa pi piacevole, con quel tempo da cani, era prendere a mezzogiorno una bella tazza di caff bollente. Le operaie non avevano di che lagnarsi: la padrona lo faceva fortissimo e non ci metteva nemmeno quattro chicchi di cicoria; non assomigliava affatto a quello della signora Fauconnier, che pi che un caff era un'autentica brodaglia. Ma quando era mamma Coupeau ad incaricarsi di far passare l'acqua sui fondi, la cosa non finiva pi, perch la vecchia s'addormentava davanti al bollitore. E le operaie, dopo aver pranzato, aspettavano allora il caff dando un altro colpo di ferro. Il giorno dopo l'Epifania, per l'appunto, a mezzogiorno e mezzo il caff non era ancora pronto. Quel giorno proprio non voleva saperne di passare! Mamma Coupeau batteva sul filtro con un cucchiaino, e si sentivano le gocce che colavano una a una, lentamente, senza fretta. Lasciatelo stare, disse Clmence. Cos non fate altro che intorbidirlo... Oggi avremo da bere e da mangiare tutto in una volta. Clmence stava rimettendo a nuovo una camicia da uomo, stendendone le pieghe con la punta dell'unghia. Aveva un raffreddore della malora, gli occhi gonfi, il petto squassato da attacchi di tosse che la costringevano a piegarsi in due, aggrappata al bordo del tavolo da lavoro. Eppure non aveva nemmeno un foulard al collo, indossava soltanto una lanetta da diciotto soldi in cui tremava dal freddo. Al suo fianco la signora Putois, avvolta nella sua flanella, imbacuccata fino alle orecchie, stirava una sottogonna facendola passare attorno a un'asse per i vestiti, la cui estremit meno estesa poggiava sullo schienale d'una sedia; e a terra, un lenzuolo disteso impediva che la sottogonna s'insudiciasse strusciando sul pavimento. Gervaise occupava met del banco da lavoro con le tendine di mussola ricamata su cui spingeva il ferro in linea retta, con le braccia distese, per evitare le false pieghe. A un tratto il caff cominci a colare rumorosamente, e la lavandaia risollev il capo. Augustine, quella maledetta strabicuccia, aveva fatto un buco nei fondi, conficcando un cucchiaio nel filtro. Ma proprio non riesci a startene un po' tranquilla?, le grid Gervaise. Ma che diavolo avrai mai in corpo? Finiremo per bere del fango!. Mamma Coupeau aveva intanto disposto cinque bicchieri su un angolo libero del tavolo da lavoro. Le operaie smisero allora di stirare, mentre la padrona versava il caff, dopo aver messo due zollette di zucchero in ogni bicchiere. Era il momento pi atteso di tutta la giornata. Quel giorno, mentre ognuna prendeva il suo bicchiere e andava ad accoccolarsi su uno sgabello di fronte alla caldaia, la porta che dava sulla strada si apr, ed entr Virginie tutta trafelata e tremante. Ah! ragazze mie, disse, fa un freddo che taglia in due! Non mi sento pi le orecchie. Che tempaccio maledetto!. Toh! la signora Poisson!, grid Gervaise. Bene! arrivate giusto in tempo... Prenderete il caff insieme a noi.

Insomma! non dico certo di no... Basta attraversare la strada, e ci si sente il gelo nelle ossa!. Per fortuna era rimasto del caff. Mamma Coupeau and a prendere un sesto bicchiere; e Gervaise, volendo mostrarsi gentile, lasci che Virginie se lo zuccherasse da sola. Le altre operaie si scostarono per fare un po' di posto alla nuova venuta accanto alla caldaia. Virginie continu a rabbrividire per qualche istante, con il naso rosso, stringendo le mani intirizzite attorno al bicchiere, per riscaldarsi. Era appena stata dal droghiere, dove s'era congelata aspettando un quarto di gruviera. E si lanciava in grandi esclamazioni sul bel calduccio della bottega: sembrava davvero d'entrare in un forno, sarebbe bastato a resuscitare un morto, a tal punto solleticava piacevolmente la pelle. Allora tutte e sei cominciarono a sorseggiare lentamente il caff, in mezzo al lavoro interrotto, nell'umidore soffocante dei panni che fumavano. Soltanto mamma Coupeau e Virginie erano sedute sulle sedie; le altre, sui loro piccoli sgabelli, parevano quasi per terra; quel mostriciattolo di Augustine aveva tirato a s un angolo del lenzuolo che riparava la sottogonna, e vi si era sdraiata sopra. Non avevano ancora voglia di parlare; avevano tutte il naso nel bicchiere, assaporavano il caff. Comunque buono!, disse Clmence. Ma per poco non rimase strozzata da un attacco di tosse. Appoggi la testa contro il muro per tossire pi forte. Siete proprio conciata per le feste, disse Virginie. Come ve la siete presa?. E chi lo sa!, rispose Clmence asciugandosi il viso con la manica. Deve essere stato l'altra sera. C'erano due donne che litigavano all'uscita del Grand-Balcon. Ho voluto guardare, sono rimasta ferma sotto la neve. Ah! se le davano proprio di santa ragione! c'era da morire dal ridere. Una delle due aveva il naso a pezzi, le colava il sangue fino a terra. Quando l'altra s' accorta del sangue, se l' data a gambe... Era una alta quasi come me... E poi, la notte, ho cominciato a tossire. Ma bisogna anche dire che gli uomini sono proprio delle bestie, quando sono a letto con una donna: non fanno altro che scoprirvi per tutta la notte.... Bel modo d'agire, brontol la signora Putois. Cos vi uccidete, bambina mia. E se per caso mi piacesse, d'uccidermi in questo modo?... La vita davvero assurda. Si sgobba per tutto il santo giorno per guadagnare cinquantacinque soldi, ci si brucia il sangue dalla mattina alla sera davanti alla caldaia... No! sapete, ne ho fin sopra i capelli!... Ma purtroppo questo raffreddore non mi render il servigio di farmi crepare; se ne andr cos come venuto. Segu un breve silenzio. Quella svergognata di Clmence, che nelle balere era sempre la pi scatenata della compagnia, e strillava come uno stoccafisso, al lavoro si divertiva a deprimere le altre operaie con i suoi pensieri di morte. Gervaise la conosceva, si limit quindi a dire: Non sembra che siate molto allegra all'indomani delle vostre scorribande!. La verit era che Gervaise avrebbe preferito che non si

parlasse affatto di donne che si picchiavano. Le tornava sempre in mente la famosa sculacciata del lavatoio, e le dispiaceva che si parlasse davanti a lei e a Virginie di calci negli stinchi e di schiaffi in faccia. Tanto pi che adesso Virginie la guardava sorridendo. Oh!, mormor l'altra, proprio ieri ho assistito a un litigio fra donne. Se le davano di santa ragione.... Ma chi?, domand la signora Putois. La levatrice che sta all'inizio della via e la sua serva, sapete? quella biondina... Una vera peste, quella ragazza! Gridava all'altra: "S, si, hai fatto abortire la fruttivendola, me ne vado dal commissario, se non mi paghi!". Ne diceva di tutti i colori, da non credere!... Allora la levatrice le ha mollato un ceffone, paf! in pieno grugno. Ecco allora che quella sgualdrinella salta agli occhi della sua padrona, la graffia, la spella, oh! una cosa fatta con i fiocchi... dovuto correre il pizzicagnolo a togliergliela dalle grinfie!. Le operaie sorrisero compiaciute. Quindi tutte e sei presero un altro goccio di caff, con aria golosa. Ma credete che sia vero che l'abbia fatta abortire?, riprese Clmence. Diamine! lo dicono tutti nel quartiere, rispose Virginie. Capite, io non c'ero... Del resto fa parte del mestiere. Lo fanno tutte. Davvero, proprio da stupide mettersi nelle loro mani, disse la signora Putois. Grazie tante! per farsi storpiare!... Ve lo dico io, c' un metodo che davvero perfetto. Tutte le sere bisogna bere un bicchiere d'acqua benedetta tracciandosi sul ventre tre segni di croce con il pollice. Se ne va come il vento. Ma mamma Coupeau, che le altre credevano addormentata, protest scrollando il capo. Conosceva un altro metodo, quello s infallibile. Si doveva mangiare un uovo sodo ogni due ore e applicarsi delle foglie di spinaci sulle reni. Le altre quattro donne ascoltavano con aria austera. Ma quella strabicuccia di Augustine, le cui esplosioni d'allegria prendevano il via sempre da sole, senza che se ne riuscisse mai a capire il perch, sbott all'improvviso in quel chiocciare da gallina che era il suo modo tutto speciale di ridere. L'avevano dimenticata. Gervaise sollev la sottogonna, la scopri sotto il lenzuolo, avvoltolata come un porcellino con le gambe in aria. E la fece uscire da l sotto, la rimise in piedi con uno schiaffo. Ma che aveva da ridere tanto, quell'oca? Perch si metteva ad ascoltare i discorsi delle persone adulte? E poi, tanto per cominciare, doveva ancora portare la biancheria a un'amica della signora Lerat, a Batignolles. E pur continuando a parlare, la padrona le infil il paniere sotto il braccio, la spinse verso la porta. La poverina recalcitrava singhiozzando, ma alla fine s'incammin strascicando i piedi nella neve. Mamma Coupeau, la signora Putois e Clmence stavano ancora discutendo sugli effetti delle uova sode e delle foglie di spinaci. Allora Virginie, che era rimasta fino a quel momento tutta pensierosa, stringendo il suo bicchiere in mano, disse a bassa voce: Mio Dio! prima ci si picchia e poi ci si abbraccia! Va sempre

a finir bene se si ha buon cuore.... E rivolgendosi a Gervaise con un sorriso: Ma no, lo sapete, non ve ne voglio... La faccenda del lavatoio, ricordate?. La lavandaia rimase immobile dall'imbarazzo. Ecco il momento che aveva sempre temuto! Adesso sentiva che si sarebbe parlato di Lantier e di Adle. La macchina brontolava in un ritorno di fiamma, il calore si sprigionava ancora pi forte dalla canna arroventata. E in quella sorta di torpore, le operaie, che facevano durare a lungo il caff per rimettersi al lavoro il pi tardi possibile, guardavano la neve in mezzo alla via con strane espressioni insieme vogliose e illanguidite. Era il momento delle confidenze. Raccontavano cosa avrebbero fatto se avessero avuto diecimila franchi di rendita: non avrebbero fatto assolutamente nulla, sarebbero rimaste per pomeriggi interi a scaldarsi e a sputare da lontano sulle fatiche della vita. Virginie s'era fatta pi vicina a Gervaise, per non farsi sentire dalle altre. E Gervaise si sent all'improvviso ancora pi languida e fiacca, forse a causa di quel caldo eccessivo, ma cos languida e fiacca da non aver pi la forza di deviare la conversazione; peggio ancora, aspettava le parole dell'altra con il cuore gonfio d'una emozione di cui godeva senza confessarselo. Spero che non vi dispiaccia, cominci la cucitrice, ma gi mille volte avrei voluto parlarvene. Insomma! visto che siamo sull'argomento... Giusto per parlare, capite?... Ah! ve l'assicuro, non ce l'ho affatto con voi per quanto accaduto. Parola d'onore! non ho il minimo rancore nei vostri confronti. Smosse il fondo del caff nel bicchiere per tirarne su tutto lo zucchero, e ne prese tre gocce con un piccolo risucchio delle labbra. Gervaise aveva la gola strozzata, continuava ad aspettare, e si chiedeva se veramente Virginie le aveva perdonato la sculacciata cos come diceva, perch vedeva che il nero dei suoi occhi s'accendeva di gialle scintille. Quella femmina scaltra si doveva essere ficcata in tasca il suo rancore coprendolo con il fazzoletto. Avevate del resto le vostre buone ragioni; continu Virginie. Vi avevano appena fatto una vera porcheria, una cosa abominevole. Oh! so essere giusta! Al vostro posto avrei tirato fuori il coltello!. E mand gi altre tre gocce di caff, schioccando la lingua contro l'orlo del bicchiere. Quindi aggiunse tutto d'un fiato e senza mai fermarsi, con la sua voce strascicata: E comunque la cosa non ha portato loro fortuna, ah! mio Dio, no! nemmeno un briciolo di fortuna!... Erano andati ad abitare a casa del diavolo, dalle parti della Glacire, in una strada tanto sudicia che vi si cammina con il fango fin sopra le ginocchia. Una mattina, forse due giorni dopo, ho preso su e sono andata a pranzo da loro; una bella galoppata in omnibus, ve l'assicuro! Ebbene, mia cara! li ho trovati che gi se le davano di santa ragione. Davvero, mentre entravo si stavano prendendo a ceffoni! Eh! ecco dei veri innamorati!... Lo sapete anche voi, Adle non vale nemmeno la corda per impiccarla. D'accordo, mia sorella, ma questo non mi impedisce di dire che una vera baldracca. Me ne ha fatte di porcherie; ma

sarebbe troppo lungo da raccontare, e poi son conti da regolare fra di noi... Quanto a Lantier, diamine! lo conoscete, non che sia molto meglio dell'altra! Un signorino, questo s! ma uno che vi prende a calci nel sedere per un s o per un no! E stringe il pugno, quando mena... Vi dicevo che se le stavano dando di santa ragione... Bastava salire le scale per sentire che facevano a botte. Un giorno arrivata perfino la polizia. Lantier aveva chiesto una zuppa all'olio, una schifezza che mangiano nel Mezzogiorno; e siccome Adle trovava la cosa disgustosa, si sono buttati in faccia la bottiglia dell'olio, la casseruola, la zuppiera e tutto il resto. Insomma! una scena da mettere a soqquadro tutto il quartiere. Raccont d'altre battaglie, non la finiva pi di parlare di quei due; sapeva sul loro conto delle cose da far rizzare i capelli sulla testa. Gervaise ascoltava tutta quella storia in assoluto silenzio, con il volto pallido e una piega nervosa che le contraeva gli angoli della bocca come in un piccolo sorriso. Da quasi sette anni non aveva pi sentito parlare di Lantier, e non avrebbe mai creduto che il nome di Lantier, cos sussurrato al suo orecchio, le potesse ancora provocare un simile calore alla bocca dello stomaco. No, davvero, non avrebbe mai sospettato d'avere dentro di s tanta curiosit per tutto ci che riguardava la sorte di quello sciagurato che s'era comportato cos male con lei. Ormai non poteva essere pi gelosa di Adle, eppure si compiaceva fra s e s dei furibondi litigi della coppia, s'immaginava il corpo della ragazza tutto pieno di lividi, e quel pensiero la vendicava e divertiva al tempo stesso. Sarebbe rimasta per tutta la notte ad ascoltare i racconti di Virginie. Se non le faceva nessuna domanda, era solo per evitare di mostrarsi interessata. Era come se all'improvviso le si colmasse una falla: il suo passato, in quel momento, andava difilato a ricongiungersi con il suo presente. Virginie aveva intanto rimesso il naso nel bicchiere, e succhiava lo zucchero con gli occhi socchiusi. Allora Gervaise, comprendendo che doveva pur dire qualcosa, prese un'aria d'indifferenza e domand: E vivono sempre alla Glacire?. Ma no!, rispose l'altra, non ve l'ho detto?... Da otto giorni non stanno pi insieme. Un bel mattino Adle ha portato via tutti i suoi vestiti, e Lantier non le di certo corso dietro, ve l'assicuro!. La lavandaia si lasci sfuggire un piccolo grido, ripetendo ad alta voce: Non stanno pi insieme!. Ma chi?, domand Clmence, interrompendo la sua conversazione con mamma Coupeau e la signora Putois. Nessuno, rispose Virginie, delle persone che non conoscete. Ma fissava Gervaise, che le sembrava profondamente turbata. Allora si fece ancora pi vicina, e ricominci a raccontarle la storia come se ne traesse chiss quale maligno piacere. Poi di colpo le domand cosa avrebbe fatto se per caso Lantier si fosse rifatto vivo; perch, insomma! gli uomini sono davvero bizzarri, e Lantier era anche capace di ritornare ai suoi

primi amori. Gervaise si raddrizz, si mostr risoluta e senza incertezze. Era una donna sposata, avrebbe messo Lantier alla porta, ecco tutto! Non ci poteva essere pi nulla fra di loro, nemmeno una stretta di mano. Si sarebbe davvero mostrata senza cuore, se solo un giorno avesse acconsentito a rivedere quell'uomo. Lo so, aggiunse, Etienne anche figlio suo, ed un legame che non posso rompere. Quando a Lantier verr voglia di riabbracciare Etienne, far in modo che la cosa possa avvenire, perch impossibile impedire a un padre di voler bene a suo figlio... Ma quanto a me, capite, signora Poisson? mi farei fare in mille pezzi prima di permettergli di sfiorarmi anche solo con la punta del dito. tutto finito!. Pronunciando queste ultime parole, tracci nell'aria una croce, come per suggellare per sempre il suo giuramento. Volendo quindi interrompere a quel punto la conversazione, sembr riscuotersi di soprassalto e grid alle operaie: E allora, voi altre! credete forse che la biancheria si stiri da sola?... Che belle pelandrone!... Coraggio! al lavoro!. Le operaie non si diedero comunque fretta, intorpidite e appesantite dalla pigrizia, con le braccia abbandonate sulle sottane, stringendo ancora in mano i bicchieri vuoti, sul cui fondo si vedeva appena qualche rimasuglio di caff. Continuarono a chiacchierare. S, l'ho conosciuta, la piccola Clestine, disse Clmence. Aveva la mania dei peli di gatto... Proprio cos, vedeva i peli di gatto dappertutto, e non faceva altro che muovere la lingua in questo modo, perch le sembrava sempre d'avere la bocca piena di peli di gatto. Quanto a me, intervenne a sua volta la signora Putois, ho avuto un'amica che aveva il verme... Oh! questi animaletti hanno certi capricci!... Il suo, per esempio, le straziava le viscere se lei non gli dava ogni volta la sua razione di pollo. Pensate! Il marito guadagnava sette franchi, andava via tutto in ghiottonerie per il verme.... Io l'avrei guarita in un batter d'occhio!, l'interruppe mamma Coupeau. Ma s! basta inghiottire un topo arrostito. Il verme resta stecchito sul colpo. Anche Gervaise s'era lasciata riafferrare dalla piacevolezza di quel dolce far niente. Ma si riscosse, e si mise in piedi! Bene! ecco un altro pomeriggio passato a pigreggiare! Non era certo il modo migliore per riempirsi la borsa! Torn immediatamente alle sue tendine, ma le trov macchiate di caff, e prima di riprendere in mano il ferro, fu costretta a strofinare la macchia con un panno bagnato. Le operaie si stiracchiavano davanti alla macchina, cercavano i loro ferri con aria riluttante. Appena si mosse, Clmence ebbe un altro attacco di tosse, una cosa da farle sputare la lingua; poi fin la sua camicia da uomo, appuntandone i polsini e il collo. La signora Putois aveva ripreso la sottogonna. Ebbene! arrivederci, disse Virginie. Ero scesa a comprare solo un quarto di gruviera. Poisson penser che il freddo m'abbia congelato in mezzo alla via. Ma aveva gi fatto tre passi sul marciapiede, quando riapr la

porta per gridare che aveva visto Augustine in fondo alla strada; quella bricconcella stava facendo degli scivoloni sul ghiaccio insieme a qualche altro monello. Ormai era uscita da pi di due ore. Entr a precipizio nella bottega, ansimante, trafelata, con la cesta sotto il braccio, i capelli inzaccherati da una palla di neve; e si lasci rimproverare con aria sorniona, s'invent che non si riusciva quasi pi a camminare per colpa della gelata. Qualche dispettoso doveva averle ficcato per scherzo nelle tasche dei pezzi di neve ghiacciata, perch in capo a un quarto d'ora le sue tasche cominciarono ad annaffiare la bottega come degli imbuti. I pomeriggi passavano tutti in quel modo. La bottega era diventata il rifugio della gente pi freddolosa del quartiere. Tutta rue de la Goutte-d'Or sapeva che l dentro si stava al caldo; era allora un continuo viavai di pettegole che si piazzavano davanti alla macchina con le sottane rimboccate fino alle ginocchia, in cerchio, ad assaporare un po' di quell'aria riscaldata dal fuoco. E Gervaise era orgogliosa di quel bel calduccio, invitava i passanti, teneva salotto, come dicevano malignamente i Lorilleux e i Boche. La verit era che Gervaise continuava a mostrarsi cortese e caritatevole, tanto da far entrare anche i poveri quando li vedeva rabbrividire dal freddo in mezzo alla via. S'era soprattutto affezionata a un vecchio di settant'anni, un tempo imbianchino, che abitava in un sottoscala dello stesso caseggiato, dove crepava di fame e di freddo; aveva perso i tre figli in Crimea, e viveva adesso d'espedienti, perch da due anni non riusciva pi a reggere in mano un pennello. Ogni volta che Gervaise vedeva pap Bru battere i piedi nella neve per scaldarsi, lo chiamava, gli teneva un posto accanto alla caldaia; spesso lo costringeva a mangiare un pezzo di pane e formaggio. Pap Bru, con il corpo curvo, la barba bianca, la faccia rugosa come una vecchia tela raggrinzita, rimaneva per ore e ore senza parlare, ascoltando gli scoppiettii del coke. Probabilmente ricordava i suoi cinquant'anni di lavoro, quel mezzo secolo passato sulle scale a ridipingere le porte e a intonacare i soffitti da un capo all'altro di Parigi. Ebbene! pap Bru, gli chiedeva a volte la lavandaia, a che state pensando?. A nulla, a tante cose insieme, rispondeva il vecchio con un'aria inebetita. Le operaie lo prendevano in giro, gli dicevano che di certo doveva avere qualche pena d'amore. Ma pap Bru, come se nemmeno le avesse ascoltate, ripiombava nel suo silenzio, nel suo atteggiamento cupo e meditativo. A partire da quell'epoca, Virginie riparl spesso a Gervaise di Lantier. Sembrava che si divertisse a tenerle occupato il cervello con il suo amante d'un tempo, solo per il gusto di metterla in imbarazzo con ogni sorta di supposizione. Un giorno le disse d'averlo incontrato, ma poich la lavandaia restava silenziosa, per il momento non aggiunse altro; l'indomani le lasci tuttavia capire che Lantier le aveva parlato a lungo di lei, con grande tenerezza. Gervaise era assai turbata da quei discorsi bisbigliati sottovoce in un angolo della bottega. Il nome di Lantier continuava a farle sentire una specie di fuoco alla bocca dello stomaco, come se quell'uomo le avesse lasciato sotto la pelle

qualcosa di s. Ma si credeva ben salda, voleva vivere da donna onesta, perch vivere onestamente significa gi essere felici almeno a met. E non si preoccupava affatto di Coupeau, in tutta quella faccenda, perch non aveva nulla da rimproverarsi nei confronti del marito, nemmeno nel pensiero. Le veniva invece in mente il fabbro, e il suo cuore si faceva ancora pi esitante e ammalato. Era come se quel ritorno in lei del ricordo di Lantier, quella lenta invasione da cui era di nuovo posseduta, la rendesse in qualche modo infedele a Goujet, al loro amore inconfessato e dolce come un'amicizia. Trascorreva delle tristi giornate quando si credeva in colpa nei confronti del suo buon amico. Esclusa la famiglia, avrebbe voluto avere dell'affetto soltanto per lui. Era un sentimento che viveva nella parte pi elevata di lei, al di sopra di tutte le infamie di cui Virginie sorvegliava il fuoco sul suo volto. All'arrivo della primavera, Gervaise decise di cercar scampo da Goujet. Ormai non si poteva pi mettere a sedere, per riflettere su una qualunque cosa, senza che il pensiero le corresse ben presto al suo primo amante; lo vedeva lasciare Adle, rimettere la sua biancheria in fondo al loro vecchio baule, tornare da lei con il baule nella carrozza. Ogni volta che usciva, delle assurde paure la coglievano all'improvviso in mezzo alla via: le sembrava di sentire il passo di Lantier alle sue spalle, non osava nemmeno voltarsi, e tremava immaginandosi che le sue mani l'afferrassero alla vita. Di certo doveva spiarla, un pomeriggio le sarebbe piombato addosso; e quell'idea le faceva venire i sudori freddi, perch Lantier l'avrebbe sicuramente baciata sull'orecchio, come faceva un tempo per stuzzicarla. Ed era proprio quel bacio a spaventarla: se ne sentiva gi assordata, era un ronzio che le riempiva il cervello e in cui ogni suono si confondeva, non facendole pi distinguere che i battiti accelerati del suo cuore. Allora, quando queste paure l'afferravano, l'officina era il suo unico rifugio; tornava sorridente e serena sotto la protezione di Goujet, il cui sonoro martello sembrava mettere in fuga le sue tristi fantasticherie. Che beata stagione! La lavandaia si prendeva cura in modo particolare della sua cliente di rue des Portes-Blanches; le riportava sempre di persona la biancheria, anche perch questa commissione, ogni venerd, era un ottimo pretesto per poter passare da rue Mercadet ed entrare nella fucina. Le bastava svoltare l'angolo della via per sentirsi all'istante libera e spensierata, come se stesse facendo una scampagnata in mezzo ai terreni abbandonati e costeggiati dalle grigie officine; la carreggiata nera di carbone, i pennacchi di vapore sui tetti, le rallegravano la vista come un piccolo sentiero immerso nel muschio di un boschetto della periferia e che andasse poi a perdersi in grosse macchie di verde. Amava quell'orizzonte livido e rigato dagli alti comignoli delle fabbriche, la collina di Montmartre che copriva quasi il cielo con le sue case gessose, in cui si aprivano gli squarci regolari delle finestre. Poi arrivando rallentava il passo, scavalcava le pozzanghere piene d'acqua, si divertiva ad attraversare gli angoli pi deserti e diroccati del cantiere in demolizione. In fondo, la fucina fiammeggiava anche in pieno giorno. Il cuore le balzava nel petto ascoltando la danza

dei martelli. Quando entrava, era rossa in volto, con i sottili capelli biondi che le svolazzavano sulla nuca come quelli d'una donna che giunga a un appuntamento. Goujet l'aspettava a petto nudo, a braccia nude; e in quei giorni picchiava pi forte sull'incudine, perch lei lo potesse sentire anche da lontano. E avvertiva subito la sua presenza, l'accoglieva con un sorriso dolce e silenzioso che gli illuminava la bella barba bionda. Ma Gervaise non voleva che si distogliesse dal lavoro; lo supplicava anzi di riprendere il martello, perch le piaceva ancora di pi quando glielo vedeva brandire con le sue grosse braccia gonfie di muscoli. Poi andava a dare un buffetto sulla guancia a Etienne, sempre appeso al suo mantice, e rimaneva per un'ora a guardare i bulloni. Si scambiavano al massimo dieci parole. Ma non avrebbero appagato meglio il loro bisogno di tenerezza se si fossero trovati chiusi a doppia mandata in una stanza. I sogghigni di Bec-Sal, detto anche Boit-sans-Soif, non li mettevano per nulla in imbarazzo; non se ne curavano affatto. Dopo un quarto d'ora, Gervaise cominciava a sentirsi un po' soffocare; quel calore, quell'odore cos intenso, quei vapori che continuavano a salire, la stordivano, mentre i colpi sordi del martello la facevano tremare dalla testa ai piedi. Allora non aveva pi desideri, quel piccolo piacere bastava gi ad appagarla. Anche se Goujet l'avesse presa fra le braccia, la sua emozione non sarebbe stata pi forte. Gli si stringeva quasi addosso, per sentire l'alito del martello sulla guancia, per entrare a sua volta nel colpo che l'altro vibrava. Quando qualche scintilla colpiva le sue mani delicate, invece di ritrarle di scatto, sembrava quasi assaporare quella pioggia di fuoco che le sferzava la pelle. Probabilmente il fabbro intuiva fino a che punto Gervaise si sentisse felice; e teneva da parte per il venerd i lavori pi difficili, per continuare a farle la corte con tutta la sua forza e tutta la sua abilit, senza risparmiarsi, anche a costo di rompere in due le incudini, ansimando, con le reni che gli vibravano di quella stessa gioia che le arrecava. Per tutta la primavera, la fucina risuon dei loro amori come in un tuonare di tempesta. Fu insomma un idillio in un'impresa da gigante, in mezzo al fiammeggiare del carbone, mentre il capannone tremava nella sua carcassa scricchiolante e nera di fuliggine. Era come se tutto quell'ammasso di ferro schiacciato, impastato come ceralacca, conservasse in s i rozzi sigilli delle loro tenerezze. Ogni venerd, dopo aver lasciato Gueule-d'Or, la lavandaia percorreva rue des Poissonniers a piccoli passi, appagata, stanca, rasserenata nello spirito e nella carne. Poco a poco la sua paura di Lantier cominci a farsi meno insistente; e Gervaise ritrov tutto il suo buon senso. Avrebbe perfino potuto dirsi felice se non fosse stato per Coupeau, che s'era messo ormai su una cattiva strada. Un giorno, mentre tornava per l'appunto dall'officina di Goujet, le sembr di riconoscere Coupeau nell'Assommoir di pap Colombe, tutto occupato a scambiarsi dei giri d'acquavite in compagnia di MesBottes, Bibi-la-Grillade e Bec-Sal, detto anche Boit-sans-Soif. Non volendo che quelli si credessero in qualche modo sorvegliati, pass oltre in fretta; ma subito dopo si rigir: s, era proprio Coupeau, quello che si stava rovesciando nel gozzo un

bicchierino di schnick con un gesto che le sembr gi abituale. Dunque le mentiva, era ormai passato all'acquavite! And verso casa disperata; tutto il suo orrore per l'acquavite l'afferrava di nuovo. Poteva anche ammettere il vino, perch il vino rid energia all'operaio; ma le bevande alcooliche erano al contrario delle porcherie, dei veleni che toglievano all'operaio ogni voglia di lavorare. Ah! il governo avrebbe dovuto proibire che si producessero delle schifezze del genere! Quando arriv in rue de la Goutte-d'Or, trov tutto il caseggiato in gran scompiglio. Le sue operaie, che avevano lasciato il lavoro, si trovavano in cortile con il naso per aria. Gervaise allora interrog Clmence. Pap Bijard sta massacrando di botte la moglie, rispose la stiratrice. Era gi nel portone, ubriaco come un Polacco, ad aspettare che lei tornasse dal lavatoio... Le ha fatto salire le scale a forza di pugni, e adesso la sta accoppando su da loro... Ecco, non sentite come gridano?. Gervaise s'affrett a salire. Sentiva un certo affetto per la signora Bijard, che lavava per lei ed era una donna di gran coraggio. Si augurava di poter mettere fine a tutta quella faccenda. In alto, al sesto piano, la porta della camera dei Bijard era rimasta aperta; qualche inquilino commentava ad alta voce sul pianerottolo, mentre la signora Boche strillava sulla soglia: Basta! volete o no farla finita?... O preferite che chiami le guardie?. Ma nessuno osava avventurarsi nella camera, a tal punto era conosciuta la fama di Bijard, un uomo che si trasformava in un'autentica furia ogni volta che si ubriacava. Del resto Bijard non smaltiva mai del tutto le sue sbronze. Nei rari giorni in cui lavorava, poggiava un litro d'acquavite accanto alla sua morsa da magnano, e beveva a canna ogni mezz'ora. Ormai non si reggeva pi in piedi se non in quel modo; avrebbe preso fuoco come una torcia, se solo qualcuno gli avesse accostato un fiammifero alla bocca. Non possiamo lasciare che si massacrino!, disse Gervaise tutta tremante. Ed entr. La camera, mansardata, era pulitissima ma nuda e fredda, saccheggiata com'era dalle continue scorrerie dell'ubriaco, che toglieva perfino le lenzuola dal letto per andarsele a bere. Il tavolo era rotolato vicino alla finestra, nella lotta, mentre le due sedie, urtate, erano cadute con le gambe in aria. Al centro della camera, sul pavimento, con le sottane ancora inzuppate dall'acqua del lavatoio e incollate alle cosce, i capelli scarmigliati, sanguinante, la signora Bijard rantolava con un respiro accelerato, con certi oh! e certi ah! a ogni calcio del marito. Bijard, dopo averla buttata a terra a forza di pugni, la calpestava adesso con i piedi. Ah! puttana!... Ah! puttana!... Ah! puttana!..., grugniva con voce sempre pi strozzata, accompagnando con questa parola ogni colpo, esasperandosi sempre di pi ogni volta che la ripeteva, colpendo pi forte via via che la voce gli si strozzava. Poi la voce gli manc del tutto, e continu a battere alla cieca, come un folle, tutto contratto nel suo camiciotto e nella sua casacca a brandelli, con la faccia illividita sotto la barba

sporca, il cranio calvo picchiettato da grandi chiazze rossastre. Sul pianerottolo, i vicini dicevano che la stava picchiando perch la mattina gli aveva rifiutato venti soldi. Si sent la voce di Boche in fondo alle scale. Chiamava la signora Boche, le gridava: Vieni gi, lascia pure che s'accoppino! Saranno sempre delle canaglie di meno!. Pap Bru era stato l'unico a seguire Gervaise nella camera. Con le loro sole forze, cercavano entrambi di far ragionare il magnano, lo spingevano verso la porta. Ma Bijard tornava sempre alla carica, muto, con la bava alla bocca, mentre nei suoi occhi slavati l'alcool divampava accendendo una luce omicida. La lavandaia fin per averne il polso contuso, il vecchio operaio and a sbattere contro il tavolo. La signora Bijard, sempre a terra, rantolava adesso ancora pi forte, con la bocca spalancata e le palpebre chiuse. Ormai Bijard non era pi in grado di colpirla; eppure s'ostinava a volerla battere, s' accaniva, falliva la mira, furibondo, accecato dalla rabbia, dando a se stesso i colpi che scagliava nel vuoto. E mentre questo scempio continuava, Gervaise poteva vedere in un angolo della camera la piccola Lalie, che aveva allora quattro anni, con lo sguardo fisso sul padre che sembrava deciso a massacrare la madre. La bambina stringeva fra le braccia, come per proteggerla, la sorella Henriette, svezzata appena da un giorno. Lalie era in piedi, con la testa coperta da una cuffia d'indiana, pallidissima, seria in volto; i suoi occhi erano neri e profondi, immobili e come gi offuscati dai troppi pensieri, senza una lacrima. Bijard and a sbattere contro una sedia, si lasci cadere a terra mettendosi subito a russare. Allora pap Bru aiut Gervaise a rimettere in piedi la signora Bijard. La donna piangeva adesso a calde lacrime, mentre Lalie, fattasi pi vicina, la guardava singhiozzare, come gi abituata a quelle scene, gi rassegnata. Scendendo nuovamente le scale, in mezzo al caseggiato che aveva finalmente ritrovato la sua pace, la lavandaia non riusciva a togliersi dagli occhi quello sguardo di bambina di quattro anni, grave e coraggioso come lo sguardo d'una donna. Il signor Coupeau sul marciapiede di fronte!, l'inform Clmence appena la vide. Sembra completamente ubriaco!. Coupeau stava proprio in quel momento attraversando la via. Manc la porta, e per poco non sfond la vetrina con una spallata. Aveva una sbronza triste, i denti stretti, il naso affilato. E Gervaise riconobbe all'istante, nel sangue avvelenato che gli illividiva la pelle, l'acquavite dell'Assommoir. Cerc comunque di sorridere, pensando di metterlo a letto come faceva nei giorni in cui il marito non aveva in corpo che l'euforia del vino. Ma Coupeau le diede una spinta senza dire una sola parola; e le pass accanto, andando da solo verso il letto, con il pugno levato a minacciarla. Assomigliava adesso all'altro, all'ubriacone che stava russando nella camera in alto, ormai stanco di battere. Allora si sent raggelare. Pensava agli uomini, al marito, a Goujet, a Lantier, con il cuore spezzato, disperando di poter mai essere felice.

CAPITOLO SETTIMO

Il compleanno di Gervaise cadeva il 19 giugno. Nei giorni di festa, in casa Coupeau si facevano le cose alla grande; erano banchetti da cui s'usciva rotondi come palle, con il ventre pieno per una settimana. Tutto il denaro veniva spazzato via in quel modo. Appena c'erano quattro soldi in famiglia, se li mangiavano. Inventavano dei santi sul calendario solo per potersi concedere delle grandi spanciate. Virginie approvava incondizionatamente che Gervaise si rimpinzasse dei cibi migliori. Quando si ha per marito un uomo che potrebbe tranquillamente bersi tutto, non cos? gi un miracolo se la casa non se ne va tutta in liquori, e se si riesce a riempirsi prima di tutto lo stomaco! Visto che il denaro sembrava in un modo o nell'altro volatilizzarsi, era sempre meglio spenderlo dal macellaio piuttosto che dal vinaiolo. E Gervaise, che si faceva sempre pi golosa, accettava volentieri quella scusa. Tanto peggio! era per colpa di Coupeau che lei non riusciva pi a mettere da parte nemmeno il becco d'un quattrino! S'era fatta ancora pi grassa, zoppicava ogni giorno di pi; e la sua gamba, gonfiandosi di lardo, sembrava raccorciarsi a vista d'occhio. Quell'anno incominciarono a parlare della festa con un mese d'anticipo. Studiavano i piatti migliori, si leccavano gi le dita. E tutta la bottega aveva una gran voglia d'abboffarsi. Ci voleva una scorpacciata con i fiocchi, qualcosa di straordinario e d'azzeccato. Mio Dio! non si faceva di certo baldoria tutti i giorni! La pi grande preoccupazione della lavandaia era quella di decidere chi avrebbe invitato; voleva che a tavola ci fossero dodici persone, non una di pi, non una di meno. C'erano lei, il marito, mamma Coupeau, la signora Lerat: il che significava quattro persone della famiglia. Poi ci sarebbero stati i Goujet e i Poisson. Dapprima s'era ripromessa di non invitare le sue operaie, la signora Putois e Clmence, per non dare l'impressione d'una eccessiva familiarit; ma poich in loro presenza non si faceva altro che parlare della festa, e le due operaie allungavano gi il collo, fin per considerarle della partita. Dunque: quattro e quattro, otto, e due, dieci. Volendo assolutamente arrivare a dodici, pens di riconciliarsi con i Lorilleux, che da un po' di tempo le ronzavano di nuovo attorno. Fu deciso che i Lorilleux sarebbero venuti alla cena; avrebbero poi fatto la pace con il bicchiere in mano. Anche perch non ha senso che in una famiglia regni sempre la discordia. L'idea della festa inteneriva del resto tutti i cuori. Era un'occasione che non si poteva perdere. Appena i Boche vennero a sapere dell'imminente riconciliazione, fecero di tutto per riconquistare l'amicizia di Gervaise, con mille gentilezze, con mille sorrisi di simpatia; e non si pot fare a meno di pregarli d'intervenire a loro volta. Insomma! alla fine sarebbero stati in quattordici, senza contare i bambini. Gervaise non aveva mai offerto un banchetto del genere, ne era tutta spaventata e orgogliosa. Il compleanno cadeva appunto di luned. Ed era una fortuna: Gervaise contava sul pomeriggio della domenica per mettere in

moto la cucina. Il sabato, mentre le stiratrici portavano avanti alla meno peggio il loro lavoro, ci fu una lunga discussione nella bottega; tutte volevano sapere che cosa si sarebbe mangiato. Una sola portata era stata gi decisa da tre settimane: un'oca grassa da fare arrosto. E ne parlavano con occhi golosi. L'oca era gi stata comprata. Mamma Coupeau and a prenderla per farne sentire il peso a Clmence e alla signora Putois. Allora fu un'unica esclamazione di meraviglia; la bestia sembr a tutte davvero enorme, con quella sua pelle ruvida e gonfia di grasso giallastro. Ma prima di tutto un bel lesso di manzo con verdure, giusto?, disse Gervaise. Una zuppa e un po' di bollito vanno sempre bene... Ma dopo ci vorrebbe un piatto in umido. Clmence propose del coniglio; ma non si mangiava altro che coniglio, ne avevano tutte fin sopra i capelli. E poi Gervaise pensava a qualcosa di pi raffinato. Quando la signora Putois accenn a una fricassea di vitello, tutte le altre si guardarono con un sorriso che si faceva sempre pi grande. Che bella idea! nulla avrebbe fatto tanto effetto come una fricassea di vitello! S, ma dopo ci vorrebbe comunque un piatto in umido, disse ancora Gervaise. Mamma Coupeau pens a un piatto di pesce. Ma tutte le altre fecero una smorfia, e si misero a battere i loro ferri pi forte. Nessuna di loro amava il pesce: lo stomaco non lo reggeva, e per di pi era tutto pieno di lische. E poich quella strabicuccia di Augustine s'era permessa d'intervenire dicendo che a lei piaceva la razza, Clmence le chiuse il becco con un ceffone. Finalmente la padrona si decise per una costata di maiale con patate; e quell'idea aveva gi illuminato tutti i volti, quando Virginie entr come una raffica di vento, con il viso acceso. Capitate al momento giusto, grid Gervaise. Mamma Coupeau, fatele vedere la bestia. E mamma Coupeau and a prendere l'oca grassa per la seconda volta. Virginie fu costretta a prenderla in mano. L'apprezz con esclamazioni di meraviglia. Cristo santo! era davvero pesante! Ma se ne liber quasi subito posandola sul tavolo da lavoro, fra una sottogonna e un pacco di camicie. Aveva la testa altrove. Port Gervaise nella camera in fondo. Sentite un po', piccolina, mormor con voce affrettata, dovete stare in guardia... Non indovinereste mai chi ho appena incontrato in fondo alla via... Lantier, mia cara! l che s'aggira, che sorveglia... Allora mi sono precipitata ad avvertirvi. Ho avuto paura per voi, capite?. La lavandaia era impallidita di colpo. Cosa mai poteva voler da lei, quello sciagurato? Ecco per di pi che le piombava addosso nel bel mezzo dei preparativi della festa! Davvero la fortuna le voltava sempre le spalle! mai che potesse prendersi un piacere in santa pace! Virginie le rispose che non valeva proprio la pena che si facesse cattivo sangue. Perbacco! se Lantier si fosse solo azzardato a seguirla, avrebbe subito chiamato un gendarme, l'avrebbe fatto sbattere in prigione! Da quando, un mese prima, il marito aveva finalmente ottenuto il suo posto di guardia municipale, la bella bruna aveva cominciato a darsi delle arie di superiorit, si diceva pronta a far arrestare il

mondo intero. Ma poich alzava troppo la voce, augurandosi d'essere molestata in piena via solo per il gusto di portare l'insolente al posto di polizia e di consegnarlo lei stessa a Poisson, Gervaise, non volendo che le operaie la sentissero, la preg con un gesto di tacere. Quindi rientr per prima nella bottega; e simulando la massima calma: Adesso ci vorrebbe un contorno, riprese. Gi! dei piselli al lardo, disse Virginie. Non mangerei altro!. S, s, dei piselli al lardo!, approvarono con calore tutte le altre, mentre Augustine, dall'entusiasmo, dava grandi colpi d'attizzatoio nella caldaia. L'indomani, domenica, non appena furono le tre, mamma Coupeau accese i due fornelli di casa e un terzo fornelletto a mano imprestato per l'occasione dai Boche. Alle tre e mezza, il lesso di manzo cominciava a bollire nel pentolone preso in prestito dal ristorante accanto: la pentola che usavano di solito era infatti sembrata troppo piccola. Avevano deciso di preparare la fricassea di vitello e la costata di maiale con un giorno d'anticipo, anche perch questi piatti sono ancora pi buoni quando vengono riscaldati; quanto alla salsa della fricassea di vitello, l'avrebbero unita solo al momento di mettersi a tavola. Rimaneva del resto ancora molto da fare per il luned: la zuppa, i piselli al lardo, l'oca arrosto. La camera in fondo era illuminata dal fuoco dei tre fornelli; i soffritti sfrigolavano nelle padelle in un denso fumo di farina bruciata, mentre il pentolone, con i fianchi scossi dal suo ribollire cupo e profondo, sbuffava getti di vapore come una caldaia. Mamma Coupeau e Gervaise, con un grembiale bianco allacciato sul davanti, s'affaccendavano su e gi per la stanza, agitatissime, sempre di corsa; mondavano il prezzemolo, controllavano di continuo il pepe e il sale, rivoltavano la carne con la mestola di legno. Per non averlo fra i piedi, avevano cacciato di casa Coupeau. Ma per tutto il pomeriggio furono prese d'assalto dal mondo intero. C'era un cos buon profumo di cucina in tutto il caseggiato che le vicine scendevano una dopo l'altra, entravano con un pretesto, chiedevano cosa mai stessero cucinando; e non si muovevano di l finch la lavandaia non si vedeva costretta a sollevare i coperchi. Verso le cinque comparve Virginie. Aveva di nuovo incontrato Lantier: insomma! non si poteva pi camminare per strada senza trovarselo fra i piedi! Anche la signora Boche l'aveva appena intravisto, immobile all'angolo del marciapiede, con l'aria di spiare. Gervaise, che s'accingeva a uscire per comprare un soldo di cipolle scottate che voleva aggiungere al bollito, fu colta da un brivido e non s'azzard pi a lasciare la bottega; tanto pi che la portinaia e la cucitrice, come se la volessero a bell'apposta spaventare, cominciarono a raccontarle delle storie da far rizzare i capelli sulla testa, di uomini che s'appostavano per aggredire le donne con pistole e coltelli nascosti sotto la redingote. Ma s, che diamine! i giornali eran pieni di fatti del genere! Quando uno di quegli scellerati perde la testa, e vuole a tutti i costi rovinare la vita alla sua amante d'un tempo, non c' pi nulla al mondo che lo possa fermare. Poi Virginie disse con fare amichevole che sarebbe andata lei a

comprare le cipolle scottate. Fra donne ci si doveva pur sempre aiutare, e comunque la povera piccola non poteva correre il rischio di farsi massacrare. Al suo ritorno rifer che Lantier se n'era andato: sapendosi ormai scoperto aveva evidentemente preferito tagliare la corda. Ma la conversazione, attorno ai fornelli, continu tuttavia ad aggirarsi su di lui fino a sera. Quando la signora Boche le consigli di raccontare tutto a Coupeau, Gervaise sembr colta all'improvviso da un immenso terrore, e la supplic di non lasciarsi mai sfuggire una sola parola su tutta quella faccenda. Ah, mio Dio! era proprio quello che ci voleva! Il marito doveva gi avere dei sospetti, perch da qualche giorno, al momento di mettersi a letto, cominciava a bestemmiare e a menar pugni contro il muro. La sola idea che due uomini si potessero fare a pezzi per lei la faceva tremare. Conosceva Coupeau: era cos geloso che sarebbe stato capace d'avventarsi su Lantier con le cesoie in mano. E mentre le quattro donne sembravano sprofondare in questo dramma, le salse continuavano a cuocere a fuoco lento sui fornelli coperti di cenere. Ogni volta che mamma Coupeau le scoperchiava, la fricassea di vitello e la costata di maiale sprigionavano un piccolo gemito, un fremito sommesso; il bollito continuava a russare come un cantore addormentato con la pancia al sole. Alla fine, volendo assaggiare il brodo, si versarono tutte e quattro un po' di zuppa in una scodella. Finalmente giunse il luned. Sapendo adesso che avrebbe avuto a tavola quattordici persone, Gervaise temeva di non riuscire ad accoglierle in modo adeguato. Decise che avrebbero cenato nella bottega; e fin dal mattino si mise a prendere le misure con un metro per capire da che lato avrebbe potuto sistemare la tavola. Poi fu necessario spostare altrove la biancheria e smontare il banco da lavoro, perch era appunto il banco da lavoro che, poggiato su altri cavalletti, doveva servire da tavola. Ma proprio nel bel mezzo di questo trambusto, una cliente entr nella bottega e fece un'autentica scenata: stava aspettando la sua biancheria fin dal venerd precedente, era chiaro che se ne infischiavano di lei, voleva subito indietro il suo bucato. Gervaise cerc allora di scusarsi, ment spudoratamente: la colpa non era sua, stavano ripulendo tutta la bottega, le sue operaie non sarebbero tornate al lavoro fino all'indomani. Conged la sua cliente dopo averla placata con la promessa che si sarebbe al pi presto occupata di lei. Ma appena quella se ne fu andata, si mise a imprecare. Che diavolo! se solo avesse dato retta alle sue clienti, non le sarebbe rimasto nemmeno il tempo di mangiare, avrebbe dovuto ammazzarsi di fatica soltanto per i loro begli occhi! E poi non era un cane alla catena. Diceva sul serio! anche se il Gran Turco in persona fosse venuto da lei per portarle un solino, anche se si fosse trattato di guadagnare centomila franchi, quel luned non avrebbe dato neanche un colpo di ferro, perch alla fin fine aveva anche lei il diritto di spassarsela un po'! L'intera mattinata fu dedicata alle cose che restavano da comprare. Gervaise usc di casa tre volte, e tre volte torn carica come un mulo. Ma proprio mentre stava per uscire di nuovo per andare a ordinare del vino, s'accorse di non avere

abbastanza denaro. Il vino l'avrebbe comunque preso a prestito; ma in casa non si poteva rimanere senza neanche un soldo, c'erano sempre mille piccole spese impreviste. Nella camera in fondo s'abbandon alla disperazione insieme a mamma Coupeau. Calcolarono che avevano bisogno d'almeno venti franchi: dove potevano mai trovare quelle quattro monete da cento soldi? Mamma Coupeau, che un tempo aveva fatto le pulizie di casa per un'attricetta del teatro di Batignolles fu la prima a parlare del Monte dei pegni. Gervaise sorrise, respir di sollievo. Che sciocca! se n'era completamente dimenticata! Allora pieg in fretta il suo vestito di seta nera, e l'avvolse in un asciugamano che appunt poi con degli spilli. Quindi nascose l'involto sotto il grembiale di mamma Coupeau, e le raccomand di tenerlo ben schiacciato contro il ventre, perch non voleva che i vicini s'accorgessero di qualcosa. E and ad appostarsi sulla soglia della bottega, per vedere se mai qualcuno seguisse la vecchia. Mamma Coupeau non era ancora arrivata all'altezza del carbonaio che Gervaise la richiam: Mamma! mamma!. La fece rientrare nella bottega, si sfil la fede dal dito e le disse: Prendete, metteteci anche questo. Cos avremo di pi. E quando mamma Coupeau le port venticinque franchi, si sarebbe messa a ballare dalla gioia. Pens allora d'ordinare sei bottiglie di vino sigillato da bere con l'arrosto. Cos i Lorilleux sarebbero stati definitivamente umiliati. Da quindici giorni era infatti questo il sogno dei Coupeau: umiliare i Lorilleux. Quei due, marito e moglie, una bella coppia davvero! ogni volta che avevano qualcosa di buono da mangiare, spingevano la loro ipocrisia fino al punto di nascondersi agli occhi di tutti, proprio come se l'avessero rubato! S! coprivano la finestra con una coperta per non far passare la luce e far credere che stavano dormendo. Nessuno allora si permetteva di salire, e i due s'abboffavano da soli, si rimpinzavano in fretta e furia, senza lasciarsi uscir di bocca nemmeno una parola ad alta voce. L'indomani evitavano perfino di buttare gli avanzi nella spazzatura, perch altrimenti i vicini avrebbero capito cosa avevano mangiato. La signora Lorilleux andava a gettarli nella bocca di scarico che si trovava in fondo alla via. Una mattina Gervaise l'aveva sorpresa a svuotare una cesta piena fino all'orlo di gusci d'ostrica. Ah! no, non si poteva di certo dire che quei due spilorci fossero particolarmente larghi di mano! E tutti quei piccoli sotterfugi nascevano unicamente dalla loro mania di fingersi pi poveri di quello che erano. Insomma! meritavano una lezione, ci si doveva mostrare ancor pi generosi del dovuto. Gervaise, se solo le fosse stato possibile, avrebbe messo la tavola in mezzo alla via, giusto per il piacere d'invitare tutti quelli che passavano. Che diamine! il denaro non stato inventato per farlo ammuffire! cos bello quando luccica al sole tutto nuovo di zecca! Quanto a lei, aveva ormai cos poco in comune con i Lorilleux che quando le capitava d'avere in tasca venti soldi faceva di tutto per far credere agli altri d'averne almeno quaranta. Fin dalle tre, mentre apparecchiavano la tavola, mamma

Coupeau e Gervaise non fecero altro che parlare appunto dei Lorilleux. Avevano appeso delle tende alla vetrina; ma poich faceva caldo, la porta che dava sulla via era rimasta spalancata, e tutto il quartiere sfilava cos davanti alla tavola. Le due donne non sistemavano una caraffa, una bottiglia, una saliera, senza farci entrare in un modo o nell'altro qualche umiliante allusione ai Lorilleux. Avevano fissato i posti a tavola in modo che i due potessero ammirare la superba distesa della tovaglia apparecchiata; e avevano serbato per loro le stoviglie pi belle: erano sicure che i piatti di porcellana avrebbero loro inferto un duro colpo. No, no, mamma!, grid Gervaise, quei tovaglioli non sono per loro! Ce ne sono due damascati. Magnifico!, mormor la vecchia, schiatteranno di rabbia!. E si sorrisero, ritte ai due lati della gran tavola bianca i cui quattordici coperti perfettamente allineati le facevano gonfiare d'orgoglio. Sembrava una cappella collocata al centro della bottega. Ecco!, riprese Gervaise, cos imparano a voler sempre fare la parte dei pezzenti... Per esempio, sapete? il mese scorso hanno mentito, quando la moglie si messa a raccontare in giro d'aver perso un pezzo della sua catenella d'oro mentre andava a riconsegnare il lavoro. Ma figuriamoci! come se fosse una di quelle che perdono qualcosa!... Era soltanto una scusa, un pretesto per piangere miseria, per non darvi i vostri cento soldi. Finora i miei cento soldi li ho avuti soltanto due volte, disse mamma Coupeau. Vogliamo scommettere che il mese prossimo s'inventeranno qualche altra storia?... Il che spiega fra l'altro perch si barricano dentro casa ogni volta che devono mangiare un coniglio. Insomma! verrebbe proprio voglia di parlar loro in questo modo: "Visto che potete permettervi di mangiare un coniglio, potreste anche dare quei famosi cento soldi a vostra madre!". Oh! ne hanno di vizi!... Che ne sarebbe stato di voi, se non v'avessi accolta in casa nostra?. Mamma Coupeau scroll il capo. Quel giorno, all'idea del banchetto che avrebbero offerto i Coupeau, sentiva d'avercela a morte con i Lorilleux. Amava la cucina, le chiacchiere attorno ai fornelli, le case messe sottosopra per le scorpacciate dei giorni di festa. Andava in genere abbastanza d'accordo con Gervaise. Ma quando succedeva che si punzecchiassero a vicenda, come capita spesso anche nelle migliori famiglie, la vecchia cominciava immancabilmente a brontolare, si diceva la pi infelice delle donne, le sembrava orribile essere in tutto e per tutto in balia della nuora. Tanto pi che doveva pur conservare in s un po' d'affetto per la signora Lorilleux, che in fin dei conti era sempre sua figlia. Non ho ragione?, continu Gervaise, non sareste di certo cos ben nutrita in casa loro! E niente caff, niente tabacco, niente dolci!... E poi, credete forse che vi avrebbero dato due materassi per il vostro letto?. Ma neanche per sogno!, rispose mamma Coupeau.

Appena m'accorgo che stanno per arrivare, mi metto davanti alla porta; voglio proprio vedere le smorfie che faranno. La sola idea delle smorfie che avrebbero fatto i Lorilleux bastava gi a metterle di buonumore. Ma non c'era pi tempo da perdere; s'erano soffermate fin troppo a lungo ad ammirare la tavola. I Coupeau avevano pranzato un po' pi tardi del solito, verso l'una, e avevano mangiato soltanto degli affettati: tutti e tre i fornelli erano infatti occupati, e del resto non volevano sporcare di nuovo le stoviglie gi lavate per la sera. Alle quattro le due donne erano ancora in pieno fermento. L'oca arrostiva davanti alla fornacetta sistemata a terra, contro il muro, accanto alla finestra spalancata; la bestia era tanto grossa che avevano dovuto conficcarla di forza nel girarrosto. Quella strabicuccia di Augustine, seduta su uno sgabello, colpita in pieno dal riverbero ardente della fornacetta, ungeva accuratamente l'oca servendosi d'un cucchiaio dal lungo manico. Gervaise s'occupava dei piselli al lardo. Mamma Coupeau, che perdeva letteralmente la testa in mezzo a tutti quei piatti, s'aggirava su e gi per la camera aspettando il momento di mettere a scaldare la costata di maiale e la fricassea di vitello. Gli invitati cominciarono ad arrivare verso le cinque. Comparvero dapprima le due operaie, Clmence e la signora Putois, entrambe vestite come per le grandi occasioni, la prima d'azzurro e la seconda di nero. Clmence aveva in mano un geranio, la signora Putois un eliotropio. Gervaise diede loro due grossi baci, gettando all'indietro le mani bianche di farina. Sulla loro scia entr subito dopo Virginie, elegante come una vera signora nel suo vestito di mussola stampata, in sciarpa e cappello bench avesse dovuto attraversare soltanto la via. Teneva in mano un vaso di garofani rossi. Afferr la lavandaia fra le sue grandi braccia e la strinse forte a s. Poi arrivarono gli altri: Boche, con un vaso di viole del pensiero; la signora Boche, con un vaso di reseda; e la signora Lerat, con un vaso di cedronella il cui terriccio aveva sporcato il suo vestito di merino violetto. Allora cominciarono tutti ad abbracciarsi, pigiati al centro della camera, asfissiati dai caldi vapori che s'innalzavano dai tre fornelli e dalla fornacetta. Lo sfrigolare delle padelle copriva quasi del tutto le voci. Quando uno dei vestiti and a impigliarsi nel girarrosto, fu una grande emozione per tutti. L'odore dell'oca era cos forte che i nasi si dilatavano. Gervaise, ancora pi amabile del solito, ringraziava ciascuno per i fiori che aveva portato; ma non per questo smetteva d'occuparsi della fricassea di vitello, la cui salsa stava adesso lavorando in una scodella. Aveva messo i vasi nella bottega, a un'estremit della tavola, senza toglier loro l'alto collaretto di carta bianca. Un dolce profumo di fiori si mescolava all'odore della cucina. Volete che vi aiuti?, domand Virginie. Quando penso che da tre giorni che state cucinando, e che spazzeremo via tutto in pochi minuti!.... Diamine!, rispose Gervaise, non son certo cose che si preparano da sole... No, inutile che vi sporchiate le mani. Vedete? tutto pronto. Manca solo da fare la zuppa.... Allora ognuno si mise in libert. Le signore poggiarono sul letto gli scialli e le cuffie, poi s'appuntarono le sottane con degli

spilli, tenendole sollevate per non sporcarle. Boche, che aveva mandato la moglie a far la guardia in portineria fino all'ora di cena, cominciava gi a darsi da fare con Clmence, la spingeva contro la stufa, le chiedeva se soffriva il solletico; e Clmence ansimava, si contorceva, si rannicchiava, con i seni che le scoppiavano sotto il corpetto: la sola idea del solletico le faceva venire i brividi in tutto il corpo. Le altre signore si erano spostate a loro volta nella bottega, per non esser d'impiccio alle due cuoche, e in piedi contro le pareti, non facevano che ammirare la tavola; ma poich la conversazione proseguiva attraverso la porta spalancata, e non sempre ci si riusciva a sentire, coglievano ogni pretesto per ritornare nella camera in fondo, l'invadevano con i loro improvvisi scoppi di voce, circondavano Gervaise che, per rispondere a tutte, finiva allora per trascurare ogni altra cosa, pur continuando a reggere in mano il suo cucchiaio ancora fumante. Ridevano, ne dicevano di tutti i colori. Virginie aveva appena detto che da due giorni aveva smesso di mangiare per svuotarsi meglio lo stomaco, che subito Clmence, da quella gran sudiciona che era, ne raccont una ancora pi grossa: quel mattino s'era svuotata le budella facendosi un clistere come gli Inglesi. Boche sugger un sistema infallibile per digerire all'istante. Era anche quella un'usanza degli Inglesi: bastava stringersi in una porta dopo ciascun piatto, in quel modo si poteva mangiare per dodici ore di fila senza affaticarsi lo stomaco. Quando uno invitato a cena, che diamine! la buona educazione gli impone di mangiare! Se vi offrono del vitello, o del maiale, o dell'oca, non certo perch ne avanzi qualcosa per i gatti! Oh! la padrona di casa poteva star tranquilla: avrebbero spazzato via tutto con tanta cura che il giorno dopo non avrebbe nemmeno dovuto lavare i piatti. E sembrava che la compagnia si facesse crescer l'appetito fiutando sopra i tegami e il girarrosto. Le signore finirono per mettersi a giocare come delle ragazzine; si davano delle spinte, correvano da una stanza all'altra facendo tremare l'impiantito, smuovendo, propagando gli odori della cucina con le loro sottogonne, in un fracasso assordante in cui le risate si mescolavano al rumore della mezzaluna di mamma Coupeau, che stava tritando il lardo. Goujet comparve proprio nel momento in cui tutti si divertivano a correre e a gridare. Era intimidito, non osava entrare. Reggeva fra le braccia un rosaio bianco, una pianta magnifica il cui lungo gambo gli arrivava fino alla faccia e cospargeva di fiori il biondo della sua barba. Gervaise gli corse incontro, con le gote infiammate dal fuoco dei fornelli. Ma Goujet non sapeva come sbarazzarsi del vaso; e quando lei glielo prese dalle mani, non seppe far altro che balbettare, non osando baciarla. Fu allora Gervaise a sollevarsi e a poggiargli la guancia contro le labbra; ma il fabbro era ancora cos turbato che la baci sull'occhio, rozzamente, quasi da accecarla. Rimasero tutti e due tremanti. Oh! signor Goujet, troppo bello!, disse Gervaise sistemando il rosaio accanto agli altri fiori, che superava in altezza con tutto il suo pennacchio di foglie. Ma no, ma no, ripeteva quello, non trovando altro da dire. E dopo aver tirato un gran sospiro, rianimatosi un po', le

annunci che non doveva contare sulla presenza della madre; aveva un attacco di sciatica. Gervaise ne fu desolata. Disse che le avrebbe lasciato da parte un pezzo d'oca; voleva assolutamente che la signora Goujet l'assaggiasse. Non doveva arrivare nessun altro. Coupeau stava di certo bighellonando per il quartiere in compagnia di Poisson, che era andato a prendere subito dopo pranzo; ma sarebbe rientrato da un momento all'altro, aveva promesso d'essere a casa per le sei in punto. Allora, poich la zuppa era quasi cotta, Gervaise chiam la signora Lerat, e le disse che le sembrava venuto il momento d'andare a prendere i Lorilleux. La signora Lerat assunse immediatamente la sua espressione pi austera: era stata lei a condurre le trattative e a stabilire in che modo le due famiglie si sarebbero incontrate. Si rimise lo scialle e la cuffia, e sal, tutta rigida nelle sue sottane, con aria d'importanza. La lavandaia continu a rimescolare la sua zuppa di pasta italiana, in assoluto silenzio. Il resto della compagnia, che sembrava aver ritrovato di colpo tutta la sua seriet, aspettava con fare solenne. La signora Lerat ricomparve per prima. Aveva fatto il giro dalla parte della strada, per dare maggior pompa alla riconciliazione. Con una mano tenne spalancata la porta della bottega, mentre la signora Lorilleux, che era vestita di seta, s'arrestava sulla soglia. Tutti gli invitati s'eran levati in piedi; Gervaise si fece avanti, e baci la cognata cos come era stato convenuto. Coraggio, entrate, le disse. tutto dimenticato, vero? D'ora in poi saremo entrambe pi gentili. E la signora Lorilleux rispose: Non chiedo di meglio, vorrei che fosse cos per sempre. Quando la moglie fu entrata, Lorilleux si ferm a sua volta sulla soglia, e aspett d'esser baciato prima d'inoltrarsi nella bottega. Nessuno dei due aveva portato dei fiori. Si erano assolutamente rifiutati di farlo; non volevano dare l'impressione di sottomettersi alla Zoppa portandole dei fiori la prima volta che andavano a casa sua. Gervaise grid ad Augustine di portare due litri. Riemp poi di vino i bicchieri poggiati su un angolo della tavola, e chiam a raccolta tutti gli invitati. Ciascuno prese un bicchiere, e si brind alla buona armonia della famiglia. La compagnia beveva in silenzio, le signore buttavano gi il vino fino all'ultima goccia, tutto d'un sorso. proprio quello che ci vuole prima della zuppa, disse Boche facendo schioccare la lingua. sempre meglio d'un calcio nel sedere. Mamma Coupeau s'era messa davanti alla porta per vedere le smorfie che avrebbero fatto i Lorilleux. Prese Gervaise per la sottana e la condusse nella camera in fondo. E curve tutte e due sulla zuppa, parlarono animatamente, a bassa voce. Mamma mia, che facce!, disse la vecchia. Voi non potevate guardarli, ma io li tenevo d'occhio... Quando lei ha visto la tavola, le si storto tutto il muso cos, ecco! gli angoli della bocca le sono saliti fino a toccare le orecchie; quanto a lui, sembrava che l'avessero strangolato, non ha fatto altro che tossire... Adesso, guardateli, sono rimasti senza parole, son l che si mangiano le labbra.

triste che ci siano delle persone talmente invidiose, mormor Gervaise. Ed era vero che i Lorilleux stavano facendo una gran brutta figura. A nessuno fa certo piacere d'essere umiliato; soprattutto nelle famiglie, quando gli uni riescono nella vita, gli altri si consumano di rabbia. naturale. Ma tuttavia ci si contiene, non cos? si cerca di non dar spettacolo! Era proprio quello che i Lorilleux non riuscivano a fare: contenersi. Era pi forte di loro. Continuavano a guardare di traverso, a storcere il grugno. Insomma! la cosa era cos evidente che gli altri invitati li fissavano con curiosit e domandavano loro se per caso non fossero indisposti. Mai e poi mai sarebbero riusciti a mandar gi quella tavola imbandita per quattordici persone, con la tovaglia immacolata e le fette di pane gi tagliate. Ci si poteva credere in un ristorante dei boulevards. La signora Lorilleux fece un giro attorno alla tavola, abbass gli occhi per non vedere i fiori; e come per caso sfior la tovaglia, tormentata dall'idea che doveva essere nuova. Ci siamo!, grid Gervaise riaffacciandosi sorridente e a braccia nude, con i corti capelli biondi che le svolazzavano sulle tempie. Gli invitati scalpitavano attorno alla tavola. Erano tutti affamati, sbadigliavano leggermente con aria annoiata. Se mio marito arrivasse, aggiunse la lavandaia, potremmo anche incominciare!. Tanto meglio!, disse la signora Lorilleux, cos la zuppa avr il tempo di raffreddarsi. Coupeau si dimentica sempre di tutto. Non avreste dovuto farlo uscire di casa. Erano gi le sei e mezza. Ormai stava tutto bruciando; l'oca sarebbe stata troppo cotta. Allora Gervaise, disperata, parl di mandare qualcuno a cercare Coupeau presso tutti i vinaioli del quartiere. E quando fu Goujet ad offrirle il suo aiuto, decise d'andare con lui. Virginie, a sua volta preoccupata per il marito, li accompagn. I tre, a capo scoperto, occupavano da soli tutto il marciapiede. Il fabbro, che indossava la sua redingote, teneva Gervaise al braccio sinistro e Virginie al braccio destro: gli sembrava d'essere un paniere con due manici, disse a un certo punto, e quell'espressione parve loro cos buffa che si fermarono in mezzo alla via, con le gambe piegate in due dal gran ridere. Si guardarono nello specchio del pizzicagnolo, e si misero a ridere ancora pi forte. Accanto a Goujet, tutto vestito di nero, le due donne sembravano due sgualdrinelle imbellettate, la cucitrice nella sua toilette di mussola stampata a fiori rosa, la lavandaia nel suo vestito di percalle bianco a pois azzurri, con i polsi nudi e una sciarpetta di seta grigia annodata al collo. Al loro passaggio la gente si voltava: erano cos allegri, cos freschi, vestiti come di domenica in quel giorno come tutti gli altri, mentre si facevano largo fra la folla che invadeva rue des Poissonniers in quella dolce serata di giugno! Ma non erano usciti per divertirsi. Andavano decisi alla porta d'ogni vinaiolo, allungavano il collo, cercavano con lo sguardo davanti al bancone. E se Coupeau fosse andato a farsi un bicchierino all'Arco di Trionfo? Avevano gi percorso tutta la parte superiore della strada, guardando nei posti pi probabili: alla Petite

Civette, rinomata soprattutto per le prugne; da mamma Banquet, che vendeva il vino d'Orlans a otto soldi; al Papillon, il ritrovo dei cocchieri, gente difficile da accontentare. Nemmeno l'ombra di Coupeau. Ma mentre scendevano verso il boulevard e passavano davanti alla bottega di Franois, l'oste all'angolo della via, Gervaise cacci all'improvviso un piccolo grido. Che succede?, domand Goujet. La lavandaia non rideva pi. Era pallida in volto, e cos turbata che per un attimo sembr sul punto di cadere. Virginie cap tutto all'istante: da Franois, seduto a un tavolino, Lantier stava mangiando tranquillamente. Le due donne trascinarono via il fabbro. Mi si storto un piede, disse Gervaise appena fu in grado di parlare. Finalmente riuscirono a scovare Coupeau e Poisson all'altro capo della via, nell'Assommoir di pap Colombe. Erano in piedi in mezzo a un gruppo di uomini. Mentre Coupeau, in casacca grigia, gridava e gesticolava come un pazzo, tempestando di pugni il bancone, Poisson, che quel giorno non era di servizio, stretto in un vecchio cappotto marrone, lo ascoltava con aria tetra e silenziosa, rizzando il pizzetto e i mustacchi rossi. Goujet lasci le due donne sul marciapiede, entr e poggi una mano sulla spalla dello zincatore. Ma appena l'altro s'accorse di Gervaise e Virginie che aspettavano di fuori, s'infuri ancora di pi. Chi gli aveva cacciato fra i piedi quelle donnacce? Era mai possibile che le gonnelle non lo lasciassero in pace! Ebbene! lui non si sarebbe mosso di l! che le mangiassero pur loro le schifezze che avevano preparato per la cena! Per placarlo, Goujet fu costretto ad accettare un bicchierino di qualcosa; ma anche cos Coupeau non abbandon le sue cattive maniere, e si trascin per altri cinque minuti davanti al bancone. Quando finalmente usc, disse alla moglie: Queste cose non mi piacciono... Se sto qui perch ho da fare, hai capito?. Gervaise non rispose. Tremava in tutto il corpo. Doveva aver parlato di Lantier con Virginie, perch quest'ultima diede una spinta al marito e a Goujet e disse loro d'incamminarsi per primi. Le due donne si misero poi ai fianchi dello zincatore, per distrarlo e impedirgli di guardarsi attorno. Coupeau era solo un po' alticcio, intontito pi dall'aver gridato che dall'aver bevuto. Per dispetto, vedendole ben decise a seguire il marciapiede di sinistra, si liber di loro spingendole di lato e pass sul marciapiede di destra. Allora le due donne gli corsero appresso, spaventate, e cercarono di nascondergli la porta di Franois. Ma Coupeau doveva essere gi informato della presenza di Lantier. E Gervaise rimase senza fiato quando lo sent mugugnare: Insomma! cocchina mia, se non sbaglio l dentro c' un tale che conosciamo. Mi devi proprio prendere per un babbeo... Se ti sorprendo un'altra volta ad andartene in giro con le tue arie da santarellina!. E vomit una sfilza di parolacce. Non era di certo lui che stava cercando, con le mani sui fianchi e la faccia tutta imbellettata; stava cercando il suo antico ganzo. Poi all'improvviso sfog tutta la sua rabbia prendendosela con

Lantier. Ah! quel farabutto! Ah! quel libertino! Uno dei due doveva assolutamente restare sul marciapiede con le trippe di fuori come un coniglio! Intanto Lantier sembrava non rendersi conto di nulla, e mangiava a piccoli bocconi del vitello all'acetosella. Si cominciava a radunar gente. Virginie alla fine riusc a portar via Coupeau, che si calm all'istante non appena ebbero svoltato l'angolo della via. Ma con tutto ci ritornarono nella bottega assai meno allegri di come ne erano usciti. Gli invitati aspettavano intorno alla tavola con i musi lunghi. Lo zincatore diede delle strette di mano ciondolando davanti alle signore. Gervaise, un po' abbattuta, parlava a mezza voce, invitava i suoi ospiti ad accomodarsi. Ma a un tratto s'accorse che, non essendo venuta la signora Goujet, un posto sarebbe rimasto vuoto, il posto accanto a quello della signora Lorilleux. Siamo in tredici!, disse con voce allarmata, come vedendovi una prova in pi della sventura da cui si sentiva minacciata negli ultimi tempi. Le signore, gi sedute, si rimisero in piedi con un'aria inquieta e contrariata. La signora Putois si disse disposta ad andar via: non erano cose con cui si poteva scherzare, e del resto le era passata la voglia di mangiare, tutti quei piatti le sarebbero rimasti sullo stomaco. Invece Boche sogghignava: preferiva essere in tredici che in quattordici; le porzioni sarebbero state pi grandi, ecco tutto. Aspettate!, riprese Gervaise. So come aggiustare le cose. E usc sul marciapiede per chiamare pap Bru, che stava attraversando proprio in quel momento la via. Il vecchio operaio entr tutto curvo, rigido, con la faccia inespressiva. Sedetevi, brav'uomo, gli disse la lavandaia. Mangerete con noi, vero?. L'altro fece soltanto un cenno con la testa. Accettava, per lui era lo stesso. Eh! lui o un altro!, continu Gervaise abbassando la voce. Non gli capita molto spesso d'aver da mangiare tanto da saziarsi. Almeno per una volta far un buon pranzetto E noi potremo rimpinzarci senza tanti scrupoli!. Goujet era cos commosso che gli occhi gli luccicavano. Anche gli altri si impietosirono, trovarono la cosa ben fatta: avrebbe portato fortuna a tutti. Ma la signora Lorilleux non sembrava particolarmente soddisfatta d'essere seduta accanto al vecchio; si scostava, gettava delle occhiate di disgusto sulle sue mani indurite dai calli, sulla sua casacca tutta rattoppata e scolorita. Pap Bru teneva la testa bassa, e sembrava soprattutto preoccupato del tovagliolo che copriva il piatto che gli stava davanti. Alla fine si decise a sollevarlo, e lo pos lentamente sul bordo della tovaglia, senza pensare a metterselo sulle ginocchia. Gervaise stava finalmente servendo la zuppa di pasta italiana, e gli invitati gi impugnavano i loro cucchiai, quando Virginie fece notare che Coupeau era sparito di nuovo. Probabilmente era tornato da pap Colombe. A quel punto la compagnia esplose indignata. Tanto peggio per lui, questa volta non l'avrebbero nemmeno cercato; poteva andarsene in giro per

il quartiere, se proprio non aveva fame. Ma mentre i cucchiai rovistavano in fondo ai piatti, Coupeau ricomparve con due vasi, uno per braccio, un garofano e una balsamina. Tutti i commensali applaudirono. Coupeau, con fare galante, and a collocare i vasi uno a destra e uno a sinistra del bicchiere di Gervaise. Poi si chin verso di lei, la baci e le disse: Mi ero scordato di te, cocchina... Ma non conta, ci si vuol bene ugualmente in un giorno come questo. Ma quant' garbato il signor Coupeau, questa sera, mormor Clmence all'orecchio di Boche. Non gli manca proprio nulla per essere adorabile. Le buone maniere del padrone di casa ristabilirono l'allegria, che per un attimo era stata compromessa. Gervaise, tranquillizzata, era di nuovo tutta sorridente. Gli invitati finirono la zuppa. Quindi cominciarono a girare i litri; e si sorseggi il primo bicchiere di vino, quattro dita di vino puro per mandar gi la pasta. Nella camera accanto i bambini stavano litigando. C'erano Etienne, Nan, Pauline e il piccolo Victor Fauconnier. Si era deciso di metterli in una tavola apposta per loro, raccomandando a tutti e quattro di fare i bravi. La povera Augustine, che sorvegliava i fornelli, doveva mangiare sulle ginocchia. Mamma! mamma!, grid all'improvviso Nan, Augustine sta facendo cadere il pane nel girarrosto!. E la lavandaia, accorsa a precipizio, sorprese la sciagurata sul punto d'inghiottire in fretta e furia una fetta di pane inzuppata di grasso d'oca bollente, con il rischio di bruciarsi la gola. Allora le diede un paio di schiaffi, anche perch quella birba indiavolata s'ostinava a strillare che non era vero. Dopo il bollito, quando comparve la fricassea, servita in un'insalatiera perch in casa non c'era un piatto abbastanza grande, gli invitati si sorrisero l'un l'altro. La cosa si fa seria, disse Poisson, che parlava di rado. Erano le sette e mezza. S'erano decisi a chiudere la porta della bottega, per non esser spiati dalla gente del quartiere. Soprattutto il piccolo orologiaio dirimpetto spalancava degli occhi grandi come scodelle, e toglieva loro il cibo di bocca con uno sguardo cos vorace che non riuscivano quasi pi a mangiare. Le tende appese davanti alla vetrina lasciavano filtrare una gran luce bianca, uniforme, senza un'ombra; la tavola vi sembrava galleggiare, con i coperti ancora ben allineati e i vasi di fiori adornati dagli alti collaretti di carta. Quel pallido chiarore, quel lento crepuscolo, dava un'aria signorile a tutta la compagnia. Fu Virginie a trovare l'espressione giusta: guard la stanza chiusa e tappezzata di mussola, e afferm che tutto era davvero carino. Quando un carro passava nella via, i bicchieri tremavano sulla tovaglia, e le signore erano costrette ad alzare la voce come gli uomini. Ma parlavano poco, si davano un contegno, si scambiavano cortesie. Coupeau era l'unico ad avere indosso la sua casacca da lavoro: con gli amici, diceva, non c' bisogno di far tante storie, e del resto la casacca il vestito d'onore dell'operaio. Le signore, strette nei loro corsetti, avevano i capelli impiastricciati come da una pomata su cui la luce si rifletteva; mentre i signori, seduti discosti dalla tavola,

tenevano il petto proteso in avanti e allargavano i gomiti per paura di sporcarsi la redingote. Ah! fulmini del cielo! che vuoti nella fricassea! Se parlavano poco, con le mascelle lavoravano sodo. Frugavano nell'insalatiera conficcando il cucchiaio al centro di quella salsa densa e saporita, una salsa gialla che tremolava come una gelatina. Da l pescavano i pezzi di vitello; e ce n'erano sempre, l'insalatiera passava di mano in mano, i volti si chinavano e cercavano dei funghi. I grossi pani appoggiati al muro, alle spalle dei commensali, sparivano in un batter d'occhio. Fra un boccone e l'altro si sentiva il rumore dei bicchieri che ricadevano sulla tavola. La salsa era un po' troppo salata, e ci vollero quattro litri per annegare quella maledetta fricassea, che scivolava gi come una crema e vi metteva un incendio nel ventre. E non ci fu nemmeno il tempo di riprender fiato, perch la costata di maiale, imbandita in un piatto fondo e circondata da enormi patate rotonde, stava gi arrivando in una nuvola di fumo. Fu un unico grido. Perdio! che trovata! Piaceva a tutti. E a quella vista l'appetito si risvegliava; ognuno seguiva il piatto con la coda dell'occhio, pulendo il coltello sul pane per essere pronto. Poi quando tutti si furono serviti, ci si diede di gomito, si parl con la bocca piena. Eh! che burro, quella costata! qualcosa di delicato e sostanzioso che si sentiva scorrere lungo le budella fino alla punta dei piedi. Le patate erano uno zucchero. Questa volta non c'era troppo sale; ma appunto per le patate, ci voleva una bella innaffiata a ogni minuto. Fecero fuori altri quattro litri. I piatti furono ripuliti cos bene che non li cambiarono per mangiare i piselli al lardo. Oh! i contorni non fanno mai male! E ne divoravano allora a cucchiaiate, come per gioco. Insomma! una vera ghiottoneria: erano la delizia delle signore. Il meglio dei piselli erano i pezzetti di lardo che, rosolati a puntino, puzzavano di zoccolo di cavallo. Bastarono due litri. Mamma! mamma!, grid all'improvviso Nan, Augustine sta mettendo le mani nel mio piatto!. Basta, mi scocci! mollale uno schiaffo!, rispose Gervaise che si stava abboffando di piselli. Nell'altra camera, alla tavola dei bambini, Nan faceva da padrona di casa. Si era seduta accanto a Victor, e aveva sistemato il fratello Etienne vicino alla piccola Pauline; e giocavano a marito e moglie, fingevano d'essere due coppie di sposi che facevano una gita. Dapprima Nan aveva servito i suoi invitati con molto garbo, con dei sorrisi gi da donna adulta; ma ben presto aveva ceduto al suo amore per i lardelli e li aveva presi tutti per s. Quella strabicuccia di Augustine, che ronzava di continuo attorno ai bambini, ne aveva approfittato per prendere i pezzetti di lardo a piene mani, con il pretesto di rifare le parti. Nan, furiosa, le aveva morsicato il polso. Ah! sai, mormor Augustine, vado a raccontare a tua madre che dopo la fricassea hai detto a Victor di baciarti. Ma tutto rientr nell'ordine, quando Gervaise e mamma Coupeau entrarono per sfilare l'oca dal girarrosto. Alla tavola grande i commensali tiravano il fiato, riversi contro lo schienale delle sedie. Gli uomini si sbottonavano il panciotto, le signore si asciugavano il volto con il tovagliolo. Il pranzo fu come

interrotto: solo qualche invitato, con le mascelle ancora in moto, continuava a inghiottire dei grossi bocconi di pane senza nemmeno accorgersene. Lasciavano che il cibo s'assestasse per bene nello stomaco, aspettavano. Lentamente era scesa la sera; una luce sporca, d'un grigio cenere, s'addensava dietro le tende. Quando Augustine accese due lumi e li sistem ai due capi della tavola, quella vivida luce mise di colpo a nudo tutto il disastro dell'apparecchiatura: le forchette e i piatti unti, la tovaglia macchiata di vino e coperta di briciole. C'era tutt'attorno un odore acre e soffocante. Ma ogni volta che una zaffata calda arrivava fino a loro, tutti i nasi si volgevano verso la cucina. Possiamo darvi una mano?, grid Virginie. E lasci la sua sedia, pass nella stanza vicina. Tutte le donne la seguirono una a una. In piedi attorno al girarrosto, osservarono con profondo interesse Gervaise e mamma Coupeau che s'affannavano a sfilare la bestia. Poi si lev un gran grido: si distinguevano le voci stridule e i salti di gioia dei bambini. L'ingresso fu davvero trionfale: Gervaise portava l'oca con le braccia tese, la faccia coperta di sudore e distesa in un largo sorriso silenzioso; le signore venivano dopo di lei e sorridevano a loro volta, mentre Nan, che chiudeva il corteo, si sollevava sulla punta dei piedi e spalancava gli occhi per veder meglio. Quando l'oca fu sulla tavola, enorme, dorata, colante di grasso, non l'attaccarono subito. Lo sbalordimento, la sorpresa piena d'ammirazione, avevano azzittito tutta la compagnia. Se la mostravano l'un l'altro ammiccando, scrollando il capo. Perbacco! una vera signora! che cosce e che ventre! Non certo ingrassata leccando i muri!, disse Boche. Allora si parl della bestia, si aggiunsero dei particolari. Gervaise diede notizie pi precise: quell'oca era il pi bel capo che fosse riuscita a trovare dal pollivendolo del faubourg Poissonnire; pesava dodici libbre e mezza alla bilancia del carbonaio; avevano consumato quasi un decalitro di carbone per cuocerla e aveva tirato fuori appena tre scodelle di grasso. Virginie l'interruppe per vantarsi d'aver visto la bestia cruda: la si sarebbe mangiata anche cos, diceva, tanto aveva la pelle sottile e delicata, una pelle da bionda, davvero! Tutti gli uomini si misero a ridere arricciando le labbra in una smorfia d'oscena golosit. Intanto Lorilleux e la moglie storcevano il muso, inviperiti, non reggendo alla vista di un'oca del genere sulla tavola della Zoppa. Ebbene! vediamo, non la vorremo mangiare intera!, disse alla fine la lavandaia. Chi vuole tagliarla?... No, no, io no! troppo grossa, mi fa impressione. Si offri Coupeau. Santo cielo! era la cosa pi facile del mondo! Bastava prenderla per le cosce e tirare verso l'alto; le parti venivano bene ugualmente. Ma gli altri protestarono, e gli tolsero di mano il coltello da cucina: ogni volta che era lui a tagliare, riduceva il piatto in un vero e proprio cimitero. Cercarono per un po' un uomo di buona volont. Poi la signora Lerat disse con la sua voce pi amabile: Ascoltate, tocca al signor Poisson... Ma s, tocca al signor Poisson.... E poich il resto della compagnia sembrava non capire,

aggiunse con un fare ancora pi complimentoso: Ma certo, tocca al signor Poisson... Non forse avvezzo all'uso delle armi?. E pass alla guardia municipale il coltello da cucina che teneva in mano. Tutti i commensali approvarono sorridendo di sollievo. Poisson chin la testa con un rigido gesto da militare, e si mise l'oca davanti. Le sue vicine, Gervaise e la signora Boche, si scostarono perch potesse muovere i gomiti pi comodamente. E Poisson cominci a tagliare lentamente, con gesti ampi, con gli occhi fissi sulla bestia come per tenerla inchiodata in fondo al piatto. Quando le affond il coltello nella carcassa, che scricchiol, Lorilleux s'abbandon a uno slancio patriottico. E grid: Eh! se fosse un Cosacco!. Vi siete forse battuto con i Cosacchi, signor Poisson?, domand la signora Boche. No, con i Beduini, rispose la guardia municipale staccando un'ala. Non ci son pi Cosacchi. Poi si fece un gran silenzio. Le teste s'allungavano, gli sguardi seguivano il coltello. Poisson preparava una sorpresa. A un tratto diede l'ultimo colpo; la parte posteriore si stacc, e la bestia rimase con il sedere ritto per aria: era il boccone del prete. L'ammirazione fu allora generale. Non c'erano che gli ex militari a saper essere tanto spiritosi in societ. L'oca aveva schizzato un getto di sugo dal buco spalancato del suo deretano. E Boche celiava: Io mi ci abbono!, mormor, purch mi si faccia sempre la pip in bocca in questo modo!. Oh, che porco!, gridarono le signore. Bisogna proprio essere un gran porco.... Davvero! non conosco nessuno pi disgustoso di lui!, disse la signora Boche, che era la pi furiosa di tutte. Taci, hai capito? Faresti venire il vomito a un esercito intero... Ma sapete, lo fa per potersi mangiare tutto da solo!. Clmence stava intanto ripetendo con insistenza, pur in mezzo a quel baccano: Signor Poisson, sentite, signor Poisson... Mi terrete da parte il boccone del prete, vero?. Mia cara, il boccone del prete vi spetta di diritto!, disse la signora Lerat con la sua espressione pi maliziosa. Poisson aveva finito di tagliare l'oca. Dopo aver concesso alla compagnia d'ammirare il boccone del prete per qualche minuto, aveva diviso le porzioni e le aveva disposte attorno al piatto. Ci si poteva servire. Ma le signore, slacciandosi i vestiti, si lamentavano del caldo. Coupeau grid che quella era casa sua, che se ne fregava dei vicini; e spalanc la porta che dava sulla via. Allora il banchetto continu in mezzo allo scorrere dei fiacre e all'urtarsi dei passanti sul marciapiede. Con le mascelle ormai riposate e lo stomaco di nuovo vuoto, ricominciarono a mangiare, s'avventarono furiosamente sull'oca. A forza d'aspettare e di guardare la bestia che veniva fatta a pezzi, disse quel burlone di Boche, la fricassea e la costata gli erano gi scese fin sotto i tacchi. |[continua]|

|[CAPITOLO SETTIMO, 2]| E fu davvero una colossale scorpacciata! Nessuno della compagnia ricordava d'aver mai avuto un'indigestione simile sulla coscienza. Gervaise, straboccante, poggiata sui gomiti, divorava enormi porzioni di petto in assoluto silenzio, per paura di lasciarsi sfuggire qualche boccone; era solo un po' imbarazzata dalla presenza di Goujet, si vergognava di mostrarsi al fabbro pi golosa d'una gatta. Del resto anche Goujet si rimpinzava pi volentieri, vedendola tutta colorita dal cibo. E poi, nella sua ingordigia, restava pur sempre cos gentile, cos buona! Gervaise non parlava, ma s'alzava dalla sedia di continuo, per prendersi cura di pap Bru e mettergli qualcosa di delicato nel piatto. Era commovente vedere quella ghiottona che si toglieva di bocca un'ala per passarla al vecchio che, come se non sapesse distinguere un pezzo da un altro, mandava gi tutto allo stesso modo, a testa bassa, inebetito dal troppo mangiare, proprio lui il cui palato non ricordava nemmeno pi il gusto del pane. I Lorilleux sfogavano la loro rabbia sull'arrosto; ne prendevano per tre giorni, avrebbero ingoiato il piatto, la tavola e l'intera bottega solo per il piacere di rovinare di colpo la Zoppa. Tutte le signore avevano voluto un po' della carcassa: la carcassa il boccone delle signore. La signora Lerat, la signora Boche e la signora Putois ripulivano le ossa, mentre mamma Coupeau, che adorava il collo, ne strappava la carne con gli ultimi due denti che le restavano. A Virginie piaceva la pelle, soprattutto se cos ben rosolata, e ogni invitato le metteva la sua nel piatto, per galanteria. Poisson fin per guardare la moglie con aria severa, le ordin di smetterla: ne aveva presa abbastanza; gi una volta, per essersi abboffata d'oca arrosto, era rimasta a letto per quindici giorni con la pancia che le scoppiava. Ma Coupeau s'indign e pass a Virginie un pezzo di coscia, gridando che, per tutti i fulmini! se non lo spolpava fino all'osso, non era una vera donna. Quando mai l'oca aveva fatto male a qualcuno? Al contrario, l'oca guariva le malattie della milza. La si mandava gi senza pane come un dessert. Quanto a lui, avrebbe potuto mangiarne per tutta la notte senza risentirne in alcun modo; e per fare lo sbruffone, si ficc in bocca tutta la parte inferiore della coscia. Clmence stava intanto finendo il boccone del prete, lo succhiava schioccando le labbra, torcendosi sulla sedia dal gran ridere per le oscenit che Boche le diceva sottovoce. Ah! perdio! s, che gran spanciata! Quando uno ci si trova, tanto vale che ne approfitti, non cos? e se non ci si concede una bella scorpacciata che una volta tanto, sarebbe proprio da sciocchi non riempirsi fino agli occhi! E davvero le trippe sembravano sul punto di scoppiare. Le signore parevano gravide. Mangiavano tutti a crepapelle, quei maledetti papponi! Con la bocca aperta e il mento impiastricciato di grasso, avevano delle facce che sembravano dei deretani, e dei deretani da gente ricca che scoppiasse di salute, da tanto che erano rosse. E il vino, ragazzi miei! il vino scorreva intorno alla tavola come l'acqua scorre verso la Senna. Un vero ruscello, come

quando ha piovuto e la terra assetata. Coupeau lo versava dall'alto, per veder spumeggiare quel getto rosso; e quando un litro era vuoto, si divertiva a rovesciarlo, gli strizzava il collo con il tipico gesto delle donne che mungono le vacche. Un altro litro che aveva la gola rotta! In un angolo della bottega, il mucchio dei litri svuotati ingigantiva, un cimitero di bottiglie su cui si buttavano gli avanzi della tavola. Quando la signora Putois aveva chiesto dell'acqua, lo zincatore, sdegnato, aveva fatto portar via le caraffe. Da quando in qua la gente perbene beveva dell'acqua? Voleva che le venissero le rane nella pancia? I bicchieri si svuotavano in un lampo, si sentiva il vino che, appena versato, scorreva in un sol sorso nelle gole, con il rumore che fanno le acque piovane lungo i tubi di scarico nei giorni di temporale. Pioveva vino, ecco! un vino che agli inizi sapeva di botte vecchia, ma a cui ci si abituava facilmente, tanto che alla fine sembrava sapere di nocciola. Ah! Cristo santo! i gesuiti avevano un bel dire, ma il sangue della vite era davvero una gran bella invenzione! La compagnia rideva, approvava: di certo l'operaio non poteva vivere senza il vino, pap No doveva aver piantato la sua vigna pensando agli zincatori, ai sarti e ai fabbri. Il vino ripuliva e riposava dal lavoro, metteva il fuoco in corpo anche ai fannulloni; e se poi quel traditore vi giocava qualche brutto tiro, che importava! il re non era vostro zio, Parigi vi apparteneva! E per di pi l'operaio, sfiancato dal lavoro, senza un soldo, disprezzato dai borghesi, aveva cos poco da stare allegro che non era proprio il caso di rinfacciargli una piccola sbronza presa ogni tanto al solo scopo di vedere la vita un po' pi in rosa! Eh! adesso, per esempio, se ne potevano infischiare dell'imperatore! Poteva darsi che anche l'imperatore fosse in quello stesso momento ubriaco. E con ci? Loro se la ridevano; lo sfidavano a chi fosse pi ubriaco e a chi se la spassasse di pi. Accidenti agli aristocratici! E Coupeau mandava tutti a quel paese. Ma trovava le donne carine; e si batteva sulla tasca in cui tre soldi tintinnavano, ridendo come se avesse rastrellato delle palate di monete da cento soldi. Lo stesso Goujet, in genere tanto sobrio, cominciava a essere un po' alticcio. Gli occhi di Boche si rimpicciolivano, quelli di Lorilleux si facevano ancora pi scialbi, mentre Poisson si guardava in giro con un'espressione sempre pi severa sulla sua faccia abbronzata di ex militare. Eran tutti ubriachi come cocuzze. E anche le signore ne avevano la loro parte: oh! una sbornia ancora leggera, il vino puro alle guance, e una smania di mettersi in libert che le spingeva a togliersi almeno il fisci; soltanto Clmence cominciava ad avere degli atteggiamenti tutt'altro che decorosi. Ma all'improvviso Gervaise si ricord delle sei bottiglie di vino sigillato; aveva dimenticato di portarle in tavola con l'oca, le prese, riemp i bicchieri. Allora Poisson si alz, e disse con il bicchiere in mano: Bevo alla salute della padrona di casa. Tutti i commensali si misero in piedi con un fracasso di sedie smosse; le braccia si protesero, i bicchieri si urtarono in un enorme baccano. Cinquanta di questi giorni!, grid Virginie. No, no, si schern Gervaise commossa e sorridente, sarei

troppo vecchia. Viene un momento che si contenti d'andarsene. Nel frattempo, sulla strada, al di l della porta spalancata, tutto il quartiere s'era messo a guardare e a partecipare al banchetto. I passanti si fermavano nella striscia di luce che s'allargava sul selciato, e ridevano di gusto vedendo tutta quella gente che s'abboffava con tanto fervore. I cocchieri, piegati a cassetta, sferzavano i loro ronzini gettando delle occhiate, lanciando qualche facezia: E allora, non ci offri nulla?... Oh! mammina, corro a chiamare la levatrice!.... E il profumo dell'oca rallegrava e saziava tutta la via; sul marciapiede di fronte i garzoni del droghiere si sentivano in bocca il sapore della bestia; la fruttivendola e la trippaia si piazzavano ad ogni momento davanti alla loro bottega, e annusavano l'aria, si leccavano le labbra. Insomma! tutta la strada stava scoppiando a sua volta d'indigestione. Le due Cudorge, madre e figlia, le ombrellaie di fianco, quelle che non si facevano mai vedere, attraversarono la via l'una appresso all'altra, con gli occhi illanguiditi e le facce tutte accaldate come se avessero appena finito di fare delle frittelle. Il piccolo orologiaio, seduto al banco da lavoro, eccitatissimo in mezzo ai suoi allegri cuc, non riusciva pi a lavorare, quasi si fosse a sua volta ubriacato soltanto a forza di contare i litri. Ma s! grid Coupeau, anche i vicini avevano la loro parte! Perch allora avrebbero dovuto nascondersi? I commensali, ormai lanciatissimi, non si vergognavano pi di farsi vedere a tavola; al contrario, si sentivano lusingati e perfino incoraggiati da tutta quella folla che s'accalcava con la bocca aperta e l'espressione ingorda. Avrebbero voluto sfondare la vetrina, spingere la tavola fino al centro della strada, per il gusto di prendere il dessert sotto gli occhi di tutti, nel continuo via vai che faceva tremare il selciato. Visto che nessuno li guardava con disgusto, che bisogno c'era di starsene barricati dentro casa come se fossero degli egoisti? Accorgendosi che il piccolo orologiaio, con la bava alla bocca, faceva degli scaracchi grossi come monete da dieci soldi, Coupeau gli mostr la bottiglia da lontano; e quando l'altro accett con un piccolo cenno della testa, gli port la bottiglia e un bicchiere. Una sorta di fratellanza accomunava ormai tutta la via. I convitati bevevano alla salute di chi passava, chiamavano i compagni che avevano un aspetto da persone perbene. L'abboffata s'estendeva, dilagava di minuto in minuto, a tal punto che l'intero quartiere della Goutte-d'Or sembrava scoppiare di cibo e si teneva il ventre in quel fracasso infernale. Da qualche istante la signora Vigoureux, la carbonaia, non faceva che passare e ripassare davanti alla porta. Ehi! signora Vigoureux! signora Vigoureux!, url la compagnia. E quella entr con un sorriso inebetito, con la faccia tutta ripulita, grassa da far scoppiare il busto. Gli uomini si divertivano a pizzicarla, perch la potevano pizzicare in ogni punto senza mai incontrare un osso. Boche la fece sedere al suo fianco, e subito le strinse furtivamente il ginocchio sotto la tavola. Ma l'altra, evidentemente abituata a cose del genere, scol tranquillamente il suo bicchiere di vino, raccontando che

tutti i vicini erano affacciati alle finestre e che qualcuno, nel caseggiato, cominciava gi a protestare. Oh! questo affar nostro, disse la signora Boche. Siamo o non siamo i portinai? Ebbene! rispondiamo noi della tranquillit di tutti... Vengano pure a lamentarsi, li accoglieremo come si deve!. Intanto, nella camera in fondo, Nan e Augustine se l'erano date di santa ragione, perch tutte e due volevano intingere il pane nel girarrosto. Per un quarto d'ora il girarrosto era rimbalzato sul pavimento con un rumore di vecchia casseruola. Adesso Nan si prendeva cura del piccolo Victor, che aveva un osso d'oca in gola; ficcandogli le dita sotto il mento, lo costringeva a inghiottire, come medicina, delle grosse zolle di zucchero. Il che non le impediva d'occhieggiare di continuo verso la tavola dei grandi. Non faceva altro che andare a chiedere del pane, del vino, della carne, per Etienne e Pauline. Toh! scoppia!, le gridava la madre. Finirai pure per lasciarmi in pace!. Ormai i bambini non riuscivano pi a mandar gi nulla, ma continuavano a mangiare, e battevano con le forchette il ritornello d'una canzoncina, come per eccitarsi. Pur in mezzo a quel frastuono, s'era intavolata una conversazione fra pap Bru e mamma Coupeau. Il vecchio, a cui il cibo e il vino avevano ben poco tolto del suo pallore, parlava dei figli morti in Crimea. Ah! se quelli fossero stati ancora vivi, non gli sarebbe mancato di certo di che nutrirsi tutti i giorni. Ma mamma Coupeau, che aveva la bocca un po' impastata, si chin verso di lui e gli disse: Con tutti i dispiaceri che ci danno i figli, via!... Mi credete felice, qui, vero? E invece son pi le volte che piango... No, lasciate perdere i figli!. Pap Bru scosse la testa. Non mi prendono pi a lavorare da nessuna parte, mormor. Sono troppo vecchio. Quando entro in un'officina, i giovani si mettono a ridere, mi chiedono se sono stato io a verniciare gli stivali di Enrico IV... L'anno scorso ho guadagnato trenta soldi al giorno dipingendo un ponte; dovevo star sdraiato sulla schiena, con il fiume che scorreva di sotto. da allora che ho la tosse... Ma ormai finita, mi hanno cacciato dappertutto. Si guard le povere mani irrigidite, e aggiunse: Ma comprensibile, non sono pi capace di far nulla. Hanno ragione loro, mi comporterei anch'io allo stesso modo... Vedete, la mia disgrazia quella di non essere ancora morto. Ma s! colpa mia. meglio mettersi a letto e crepare, quando non si pi in grado di lavorare!. A dire il vero, disse Lorilleux che stava ascoltando, non capisco perch il governo non faccia qualcosa a favore degli invalidi del lavoro... Leggevo l'altro giorno in un giornale.... Ma Poisson ritenne suo dovere difendere il governo. Gli operai non sono soldati, dichiar. Les Invalides sono per i soldati... Non bisogna chiedere l'impossibile. Il dessert era servito. Al centro c'era una torta di savoiardi a forma di tempio e con la cupola di fette di melone; sopra la cupola era piantata una rosa artificiale, accanto alla quale

ondeggiava una farfalla di carta argentata, appesa a un filo di ferro. Fra i petali del fiore, due gocce di resina imitavano due gocce di rugiada. Poi, a sinistra, un pezzo di ricotta galleggiava in un piatto fondo, mentre in un altro piatto, a destra, eran pigiati dei fragoloni che annegavano nel loro sugo. Ma era ancora rimasta un po' d'insalata, delle larghe foglie di lattuga romana imbevute d'olio. Allora, signora Boche, disse Gervaise con fare garbato, ancora un po' d'insalata? So che la vostra passione. No, no, grazie, sto scoppiando, rispose la portinaia. La lavandaia si volt allora dalla parte di Virginie, ma quest'ultima si ficc un dito in bocca come per toccare il cibo. Davvero, sono piena come un uovo, mormor. Non ho pi posto. Non c'entrerebbe un solo boccone. Oh! sforzandosi un po'!, riprese sorridendo Gervaise. Un posticino si trova sempre... L'insalata si pu mangiare anche quando non si ha fame... Non vorrete che la lattuga romana finisca per andare a male?. La potete mangiare domani ripassata con l'aceto, disse la signora Lerat. Ripassata ancora pi buona. Le signore sospiravano, guardando con aria di rimpianto l'insalatiera. Clmence raccont che un giorno aveva pranzato con tre mazzi di crescione. La signora Putois era ancora pi gagliarda: prendeva dei cespi di lattuga romana e li brucava cos com'erano, crudi e conditi soltanto con un po' di sale, senza nemmeno mondarli. Tutte avrebbero vissuto unicamente d'insalata, ne avrebbero consumate intere bigonce. E aiutate dalle chiacchiere, le signore svuotarono l'insalatiera. Io mi metterci a quattro zampe in un prato, diceva la portinaia con la bocca piena. Ridacchiarono davanti al dessert. Ormai contava poco, il dessert. Arrivava un po' tardi, ma che importava? l'avrebbero almeno assaggiato. Quand'anche avessero dovuto scoppiare come bombe, non si sarebbero lasciati spaventare da qualche fragola e da un po' di torta. E del resto non c'era fretta, avevano tutto il tempo che volevano, la notte intera, se occorreva. Tanto per cominciare, si riempirono i piatti di fragole e di ricotta. Gli uomini si accendevano la pipa; e poich le bottiglie di vino sigillato erano ormai vuote, tornarono ai litri: bevevano il vino fumando. Poi insistettero perch Gervaise tagliasse all'istante la torta di savoiardi. E Poisson, tutto galante, si alz, prese la rosa e la offri alla padrona di casa fra gli applausi di tutta la compagnia. La lavandaia se l'appunt con una spilla sul petto, a sinistra, dalla parte del cuore. Ogni volta che si muoveva, la farfalla svolazzava. Ma dite un po'!, esclam Lorilleux che aveva appena fatto una scoperta, non stiamo per caso mangiando sul vostro tavolo da lavoro?... Bene! credo che non abbia mai visto tanto lavoro!. Quella battuta un po' maligna ottenne un grande successo. Cominciarono a piovere le allusioni pi spiritose: Clmence non inghiottiva pi una cucchiaiata di fragole senza dire che stava dando un colpo di ferro; la signora Lerat sosteneva che la ricotta sapeva di amido; mentre la signora Lorilleux, sempre a denti

stretti, ripeteva che era proprio una gran bella idea quella di spazzar via in cos poco tempo del denaro, sulle stesse assi su cui s'era tanto stentato a guadagnarlo. Le risate e le grida rimbombavano come una tempesta. Ma a un tratto una voce pi forte impose il silenzio a tutta la compagnia. Boche, in piedi, aveva assunto un'aria sgangherata e canagliesca, e s'era messo a cantare Il vulcano d'amore, ovvero il soldatino seducente. Son io, Blavin, che seduco le belle... Una scarica d'applausi accolse la prima strofa. S, s, avrebbero cantato! Ognuno avrebbe fatto la sua parte. Non c'era nulla di pi divertente. E tutta la compagnia si piant con i gomiti sulla tavola, s'abbandon contro gli schienali delle sedie, sottolineando con piccoli cenni del capo i punti pi riusciti, bevendo ad ogni attacco dei ritornelli. Quell'animale di Boche aveva la specialit delle canzoni comiche. Avrebbe fatto morire dal ridere anche i bicchieri, quando faceva il verso al marmittone, con le dita aperte e il cappello all'indietro. Subito dopo Il vulcano d'amore, cominci a cantare La baronessa di Cervamatta uno dei suoi cavalli di battaglia. Quando arriv alla terza strofa, si gir verso Clmence, e mormor con voce pi lenta e voluttuosa: La baronessa in casa aveva gente, Ma erano le sue quattro sorelle, Tre erano brune e l'altra bionda, Con otto occhi pieni di languore. A quel punto la compagnia, rapita, inton il ritornello. Gli uomini battevano il tempo con i tacchi. Le signore avevano preso il coltello e colpivano in cadenza sul bicchiere. Tutti cantavano a squarciagola: Perdinci! ma chi pagher Da bere alla pa... alla pa... pa... Perdinci! ma chi pagher Da bere alla pa... alla pattu... glia? I vetri della bottega tintinnavano, quel cantare a pieni polmoni faceva svolazzare le tendine di mussola. Intanto Virginie se l'era gi squagliata due volte, e rientrando s'era curvata verso Gervaise per bisbigliarle all'orecchio chiss quale novit. La terza volta, quando rientr, le disse in mezzo a quel fracasso: Mia cara, sempre da Franois, finge di leggere il giornale... Ci deve essere sotto qualche imbroglio. Parlava naturalmente di Lantier. Non faceva che tenerlo d'occhio. E a ogni nuova ambasciata, Gervaise sembrava sempre pi inquieta. ubriaco?, domand a Virginie. No, rispose la bruna. Ha l'aria d'essere perfettamente in s. Ma appunto questa la cosa che mi preoccupa di pi. Perch

continua a star l se non ubriaco?... Mio Dio! mio Dio! purch non succeda nulla!.... La lavandaia, angosciatissima, la supplic di non parlare. S'era fatto all'improvviso un profondo silenzio. La signora Putois s'era alzata e aveva incominciato a cantare All'arrembaggio. I convitati, muti e raccolti, la guardavano; lo stesso Poisson aveva lasciato la pipa sul bordo della tavola per ascoltarla con pi attenzione. La donna s'era piantata ritta in piedi, piccola e stizzita, con una faccia illividita sotto la cuffia nera; spingeva in avanti il pugno sinistro con una fierezza piena di convinzione, e tuonava con una voce pi grossa di lei: Se un corsaro ha l'ardimento D'inseguirci, e ha il vento in poppa, Guai a quel filibustiere! Non gli daremo quartiere! Amici, su, ai cannoni! Berremo del rum con i bicchieri pieni! Sian pirati, sian corsari, Li impiccheremo ai sartiami! Quella s che era roba seria! E per di pi, Cristo, vi dava una vera idea della cosa. Poisson, che aveva viaggiato per mare, ciondolava il capo approvando ogni singolo dettaglio. Si sentiva benissimo, del resto, che quella canzone era nelle corde della signora Putois. Coupeau si pieg per raccontare che la signora Putois, una sera, in rue Poulet, aveva preso a schiaffi quattro uomini che la volevano disonorare. Intanto Gervaise, aiutata da mamma Coupeau, aveva servito il caff, bench tutta la compagnia fosse ancora alle prese con la torta di savoiardi. Non le permisero di rimettersi a sedere; le gridarono che adesso toccava a lei. La lavandaia si schern impallidendo, evidentemente a disagio; le domandarono perfino se per caso l'oca non le avesse dato qualche incomodo. Allora incominci a cantare Ah! lasciate ch'io dorma! con la sua voce flebile e dolce; ogni volta che arrivava al ritornello, a quel desiderio d'un sonno popolato di bei sogni, le palpebre le si abbassavano e il suo sguardo smarrito andava a perdersi nel buio, dalla parte della strada. Fu poi la volta di Poisson: dopo aver reso omaggio alle signore con un energico inchino, inton una canzone da osteria, I vini di Francia; ma cantava come se sparasse, e soltanto l'ultima strofa, la strofa patriottica, ebbe un certo successo, perch parlando della bandiera tricolore lev in alto il bicchiere, lo tenne sospeso per un attimo e fin per svuotarlo in un sorso in fondo alla sua gran gola spalancata. Seguirono poi le romanze: si cant di Venezia e dei suoi gondolieri nella barcarola della signora Boche, di Siviglia e delle belle andaluse nel bolero della signora Lorilleux, mentre il marito s'arrischi a cantare i profumi d'Arabia e gli amori di Fatima, la danzatrice. E attorno alla tavola unta, nell'aria appesantita da un acre sentore d'indigestione, si aprivano orizzonti dorati, passavano colli d'avorio, capelli d'ebano, baci sotto la luna e al suono delle chitarre, baiadere che seminavano sotto i loro passi una pioggia di perle e di gemme. Gli uomini fumavano

beatamente la pipa, le signore avevano un sorriso inconsapevole di gioia; si credevano tutti laggi a respirare i migliori profumi. Quando Clmence si mise a tubare Fate un nido con la gola tutta fremente, il piacere dei commensali fu completo: la canzone richiamava alla mente la campagna, il volo leggero degli uccelli, i balli sotto le frasche, i fiori dal calice di miele, insomma tutto ci che si poteva vedere nel Bois de Vincennes, quando s'andava a torcere il collo a qualche coniglio. Ma Virginie riport l'allegria con Mio bel cocchino; imitava la vivandiera ripiegando una mano sul fianco e spingendo il gomito in fuori; e versava da bere nel vuoto con l'altra mano, rivoltando il polso. A quel punto tutta la compagnia supplic mamma Coupeau di cantare Il topolino. La vecchia dapprima si rifiut, giurando di non conoscere una simile porcheria. Ma poi cominci a cantare con appena un filo di voce, mentre la sua faccia tutta raggrinzita, dagli occhietti ancora vivaci, non faceva che sottolineare ogni minima allusione, i terrori della signorina Lise che si stringeva addosso le sottane alla sola vista del topo. Tutta la tavolata rideva; le donne non riuscivano a star serie, e lanciavano ai vicini occhiate di fuoco. Ma in fin dei conti non c'era nulla di sconcio, non c'erano espressioni troppo crude. Boche, a dir la verit, si divertiva a far la parte del topo sui polpacci della carbonaia. Sarebbero forse finiti sul volgare se Goujet, spinto da un'occhiata di Gervaise, non avesse imposto il silenzio pi rispettoso con Gli addii d'Abd el-Kader, che intonava con la sua voce da basso. Lui s che aveva un petto possente! La voce gli usciva dalla bella barba bionda come da una tromba di rame. Quando lanci il grido: O mia nobile amica!, parlando della nera giumenta del guerriero, tutti i cuori si misero a battere pi forte, lo applaudirono senza aspettare la fine, a tal punto aveva urlato il suo canto. A voi, pap Bru, a voi!, disse mamma Coupeau. Cantate una delle vostre. Quelle vecchie son sempre pi allegre!. E la compagnia si volt verso il vecchio, insistendo, incoraggiandolo. L'altro, intorpidito, con la sua maschera immobile di pelle incartapecorita, guardava tutti come se non capisse. Gli domandarono se conosceva Le cinque vocali. Pap Bru abbass la testa; non ricordava pi; tutte le canzoni dei bei tempi gli si confondevano nella zucca. Ma poich non si decidevano a lasciarlo in pace, all'improvviso sembr ricordarsi di qualcosa, e balbett con voce cavernosa: Tra la la, tra la la, Tra la, tra la, tra la la! La sua faccia si animava, quel ritornello doveva risvegliare in lui chiss quali gioie perdute, che riassaporava adesso da solo, ascoltando la sua voce sempre pi sorda, con un rapimento quasi infantile: Tra la la, tra la la, Tra la, tra la, tra la la! Ascoltate, mia cara, mormor Virginie all'orecchio di Gervaise, dovete sapere che torno appena adesso da l. Tutta

quella faccenda mi preoccupava... Ebbene! Lantier non sta pi da Franois!. Non l'avete incontrato fuori?, domand la lavandaia. No, sono venuta via di corsa, non m' venuto in mente di guardare. Ma Virginie, che alzava gli occhi, s'interruppe e mand un sospiro soffocato: Oh! mio Dio!... Eccolo l, sul marciapiede di fronte; sta guardando dalla nostra parte. Gervaise, tutta sconvolta, arrischi tuttavia un'occhiata. Diverse persone s'erano radunate in mezzo alla via per sentir cantare la brigata. I garzoni dei droghieri, la trippaia, il piccolo orologiaio, facevano un gruppo, pareva che fossero a teatro. C'erano militari, borghesi in redingote, tre bambine di cinque o sei anni che si tenevano per mano, con l'aria compunta, meravigliate. E Lantier, infatti, era piantato l in prima fila, ad ascoltare e a guardare con aria tranquilla. Aveva davvero una gran faccia tosta! Gervaise si sent agghiacciare in tutto il corpo, dalle gambe fino al cuore, e non os pi muoversi, mentre pap Bru continuava: Tra la la, tra la la, Tra la, tra la, tra la la! Va bene, vecchio mio, adesso ne abbiamo abbastanza!, disse Coupeau. Possibile che non la sappiate tutta intera?... Ce la canterete un altro giorno, d'accordo? quando saremo pi allegri. Si sentirono delle risate. Il vecchio rimase interdetto, si guard attorno con i suoi occhi scialbi, e riprese la sua aria da bruto pensieroso. Avevano bevuto il caff. Lo zincatore aveva chiesto dell'altro vino. Clmence s'era rimessa a mangiare le fragole. Per qualche istante le canzoni cessarono; si parl d'una donna che era stata trovata impiccata, quella stessa mattina, nella casa accanto. Toccava adesso alla signora Lerat, ma le occorrevano dei preparativi. Inzupp un angolo del tovagliolo in un bicchiere d'acqua e se l'applic sulle tempie, perch cominciava a soffrire il caldo. Domand poi una goccia d'acquavite, la scol, si asciug a lungo le labbra. Il figlio del buon Dio, mormor, s, Il figlio del buon Dio ... E alta, mascolina, il naso ossuto e le spalle quadrate da gendarme, cominci: Il figlio smarrito che la madre abbandona, Trova sempre un asilo nel pi santo dei luoghi. Dio lo vede e protegge dal suo trono. Il figlio smarrito il figlio di Dio. La sua voce tremava su certe parole, si trascinava in note commosse; e i suoi occhi si levavano verso il cielo, mentre la mano destra indugiava all'altezza del petto per poi poggiarsi sul cuore, con un gesto di partecipazione. Allora Gervaise, tormentata dalla presenza di Lantier, non riusc pi a trattenere

le lacrime; le sembrava che quella canzone parlasse del suo strazio, le sembrava d'esser lei quel figlio smarrito, abbandonato, di cui il buon Dio doveva prendere le difese. Clmence, completamente ubriaca, si mise all'improvviso a singhiozzare; e con la testa abbandonata sulla tavola, soffocava i singulti contro la tovaglia. Il silenzio era assoluto e pareva percorso da brividi. Le signore avevano tirato fuori il fazzoletto e si asciugavano gli occhi, ma con il capo ben eretto, quasi facendosi belle della loro commozione. Gli uomini, abbassata la fronte, tenevano gli occhi fissi davanti a s, sbattevano tutt'al pi le palpebre. Poisson, strozzato e stringendo i denti, spezz per due volte il cannello della pipa, e ne sput a terra i pezzi pur senza smettere di fumare. Boche aveva tolto la mano dal ginocchio della carbonaia, e non la pizzicava pi, come in preda a un vago rimorso, a un vago rispetto, mentre due lacrimoni gli scendevano lungo le guance. Insomma! quei crapuloni erano rigidi come la giustizia e teneri come agnelli! Era il vino a sgorgare dai loro occhi, ecco la verit! Quando il ritornello ricominci, ancora pi lento e lamentoso, tutti s'abbandonarono, piangendo come vitelli nel piatto, sbottonandosi sulla pancia, fradici di buoni sentimenti. Ma Gervaise e Virginie, loro malgrado, continuavano a volgere lo sguardo verso il marciapiede di fronte. Anche la signora Boche s'accorse della presenza di Lantier, e si lasci sfuggire un piccolo grido, senza smettere per cos poco d'infradiciarsi di lacrime. Allora tutte e tre, con i volti contratti dall'ansia, si scambiarono involontari cenni d'intesa. Mio Dio! se Coupeau si fosse improvvisamente voltato, se Coupeau avesse visto quell'altro! Che carneficina! che macello! E tanto fecero che lo zincatore fin per domandare: Ma che avete da guardare tanto?. Si gir, riconobbe Lantier. Cristo santo! questo troppo!, mormor. Ah! che porco schifoso, ah! che porco schifoso!... No, questo troppo! bisogna farla finita!.... E mentre si levava in piedi balbettando atroci minacce, Gervaise lo supplic sottovoce: Ascoltami, ti scongiuro... Lascia perdere il coltello... Rimani al tuo posto, non fare uno sproposito. E Virginie gli dovette strappare di mano il coltello che aveva preso dalla tavola. Ma non riusc a impedirgli d'uscire e d'affrontare Lantier. Il resto della compagnia, nella sua crescente emozione, non s'accorgeva di nulla, piangeva sempre pi forte, mentre la signora Lerat cantava con un'espressione straziante: L'orfanella s'era smarrita, E nessuno ascoltava la sua voce, Se non gli alti alberi e il vento. L'ultimo verso pass come un soffio intollerabile di tempesta. La signora Putois, che stava bevendo, ne fu cos toccata che vers il vino sulla tovaglia. Ma Gervaise continuava a sentirsi come paralizzata; si teneva un pugno premuto contro la bocca

per non gridare, sbattendo gli occhi dallo spavento, aspettandosi di vedere da un momento all'altro uno dei due uomini cadere accoppato in mezzo alla via. Virginie e la signora Boche seguivano a loro volta tutta la scena con la massima partecipazione. Coupeau, stordito dall'aria aperta, per poco non era andato a cadere nel rigagnolo, nel tentativo d'avventarsi su Lantier. Quest'ultimo, con le mani in tasca, s'era semplicemente spostato. E adesso i due uomini si stavano ingiuriando; soprattutto lo zincatore conciava l'altro per le feste, trattandolo da porco infoiato, minacciava di cavargli le budella. Si udiva lo strepito rabbioso delle voci, si vedevano dei gesti furiosi, come se fossero decisi a slogarsi le braccia a forza di predersi a schiaffi. Gervaise si sentiva mancare, chiudeva gli occhi: la cosa andava troppo per le lunghe, e li credeva sempre l li per azzannarsi, tanto le loro facce s'avvicinavano. Poi, non sentendo pi nulla, riapr gli occhi, e rimase come inebetita nel vederli conversare amichevolmente. La voce della signora Lerat s'alzava languida e lamentosa, mentre cominciava un'altra strofa: L'indomani, mezza morta, L'infelice bambina fu raccolta Eppure ci son delle donne che son proprio delle puttane!, disse la signora Lorilleux in mezzo all'approvazione generale. Gervaise aveva scambiato un'occhiata con Virginie e la signora Boche. Tutto stava dunque andando per il meglio? Coupeau e Lantier continuavano a chiacchierare sull'orlo del marciapiede. Si scambiavano ancora delle ingiurie, ma in tono amichevole. Si chiamavano l'un l'altro maledetto bestione con una voce in cui si sentiva perfino una punta di tenerezza. Sentendosi osservati, finirono per mettersi a passeggiare lentamente fianco a fianco, costeggiando le case e fermandosi ogni dieci passi. Conversavano animatamente. A un tratto Coupeau sembr arrabbiarsi di nuovo, mentre l'altro rifiutava, si faceva pregare. E fu appunto lo zincatore a spingere Lantier e a costringerlo ad attraversare la strada, per entrare nella bottega. Ma se vi dico che di tutto cuore!, gridava. Berrete un bicchiere di vino... Gli uomini sono uomini, non cos? Son fatti apposta per capirsi.... La signora Lerat stava finendo l'ultima strofa. Le signore ripetevano tutte insieme, avvoltolando i fazzoletti: Il figlio smarrito il figlio di Dio. Si fecero mille complimenti alla cantante, che si mise a sedere affettando d'essere spossata. Chiese qualcosa da bere, perch metteva tanto sentimento in quella canzone che aveva sempre paura che le si rompesse una vena. Tutta la tavolata, intanto, aveva gli occhi fissi su Lantier, che seduto tranquillamente al fianco di Coupeau, stava mangiando l'ultima fetta della torta di savoiardi, inzuppandola in un bicchiere di vino. A parte Virginie e la signora Boche, nessuno lo conosceva. I Lorilleux, pur fiutando un imbroglio, non ne capivano nulla, e

avevano assunto un'aria ancor pi sostenuta. Quanto a Goujet, che si era accorto del turbamento di Gervaise, guardava il nuovo venuto di traverso. Poich il silenzio cominciava ad essere imbarazzante, Coupeau disse semplicemente: un amico. E rivolgendosi alla moglie: Su, dunque, datti da fare... Forse c' ancora del caff caldo. Gervaise li osservava l'uno dopo l'altro, con fare docile e stupefatto. Sulle prime, quando il marito aveva spinto il suo antico amante nella bottega, s'era presa la testa fra i pugni, con lo stesso gesto istintivo che aveva nei giorni di temporale, ad ogni tuono. Le sembrava tutto inverosimile; di certo i muri sarebbero crollati, seppellendo tutti. Ma poi, vedendo i due uomini seduti, senza che nemmeno le tende di mussola ne avessero a tremare, la faccenda aveva cominciato a sembrarle del tutto naturale. L'oca l'appesantiva alquanto, ne aveva mangiata troppa, ed era questo che le impediva di pensare. Una dolce pigrizia l'illanguidiva, la teneva rannicchiata contro il bordo della tavola; sentiva solo il bisogno di non esser infastidita. Mio Dio! perch mai farsi cattivo sangue se gli altri non se ne fanno, e le cose sembrano accomodarsi da s, con soddisfazione di tutti? S'alz per andare a vedere se era rimasto del caff. Nella camera in fondo, i bambini s'erano addormentati. L'infelice Augustine li aveva terrorizzati per tutto il dessert rubando loro le fragole, con minacce irripetibili. E adesso si sentiva male, accasciata su uno sgabello, con la faccia illividita, senza dire una parola. Pauline aveva abbandonato la testa contro la spalla di Etienne, a sua volta addormentato sull'orlo della tavola. Nan era seduta sullo scendiletto, accanto a Victor, che stringeva a s passandogli un braccio attorno al collo; e insonnolita, con gli occhi chiusi, ripeteva con voce flebile e petulante: Oh! mamma, ho la bua... Oh! mamma, ho la bua.... Perdinci!, mormor Augustine con la testa ciondolante e che le cadeva sulle spalle, sono cotti... hanno cantato come i grandi!. Gervaise sent una nuova fitta di dolore vedendo Etienne. Soffocava all'idea che il padre di quel monello si trovasse l, nella camera accanto, tutto occupato a mangiare la torta, senza nemmeno aver espresso il desiderio d'abbracciare il figlio. Fu tentata di svegliare Etienne e di portarlo nell'altra stanza fra le braccia. Ma ancora una volta le sembr perfetto il modo pacifico in cui le cose s'aggiustavano. Tanto pi che non era di certo il caso di scombussolare la fine della cena. Torn con la caffettiera e serv un bicchiere di caff a Lantier, che del resto pareva occuparsi ben poco di lei. Allora tocca a me, balbett Coupeau con voce impastata. Eh! mi si tiene in serbo per il gran finale... Ebbene! vi canter Quel porco di mio figlio. S, s, Quel porco di mio figlio!, approv tutta la tavolata. Il baccano ricominciava. Nessuno pensava pi a Lantier. Le signore prepararono i bicchieri e i coltelli per accompagnare il ritornello. I commensali gi ridevano al solo guardare lo

zincatore che si piegava sulle gambe con un'aria da canaglia. Si mise a chiocciare come una vecchia: Tutte le mattine, appena alzato, Ho lo stomaco senza sopra n sotto; E lo mando a comprarmi al mercato Quattro soldi di quello buono. Ma quasi un'ora va a zonzo per la via, E poi, quando finalmente risale in casa, Si scola met del mio bicchierino: Ah! quel porco di mio figlio! E le signore, battendo sui bicchieri, ripresero in coro, mentre l'allegria saliva alle stelle: Ah! quel porco di mio figlio! Ah! quel porco di mio figlio! Tutta rue de la Goutte d'Or s'era ormai unita alla compagnia. L'intero quartiere cantava Quel porco di mio figlio! Dall'altra parte della strada, il piccolo orologiaio, i garzoni del droghiere, la trippaia, la fruttivendola, che conoscevano la canzone, aspettavano il ritornello, dandosi delle pacche tanto per scherzare. Davvero la via sembrava a sua volta ubriaca: bastavano gli odori del banchetto che uscivano da casa Coupeau a dare alla testa alla gente appostata sul marciapiede. Quanto a quelli che stavano dentro, bisogna dire che ormai erano completamente partiti. La cosa era andata crescendo poco a poco, dopo il primo sorso di vino che aveva seguito la zuppa. Ma adesso avevano raggiunto il colmo: tutti strillavano, tutti scoppiavano dal gran mangiare, in mezzo al vapore rossastro dei due lumi che si consumavano fumando. Il baccano di quell'enorme scorpacciata copriva il rumore delle ultime carrozze. Due guardie municipali, credendola una sommossa, s'affrettarono a intervenire; ma riconoscendo Poisson, scambiarono con lui un piccolo cenno d'intesa. S'allontanarono camminando lentamente, l'uno accanto all'altro, nell'oscurit che avvolgeva le case. Coupeau era arrivato a questa strofa: La domenica, alla Petite-Villette, Subito dopo il gran caldo, Andiamo da mio zio Tinette, Che mastro bottinaio, Per avere un po' di letame Con cui tornare a casa. Ma quello ci si butta a capofitto: Ah! quel porco di mio figlio! Ah! quel porco di mio figlio! A quel punto tutto il caseggiato sembr tremare. Sal nell'aria tiepida e calma della notte un tale fracasso che quegli scalmanati finirono per applaudirsi da s, perch non si poteva certo sperare di urlare pi forte.

Nessuno dei commensali riusc mai a ricordare con precisione in che modo si fosse concluso il banchetto. Doveva essere assai tardi, ecco tutto, perch nella strada non passava pi un cane. Era perfino possibile che si fossero messi a ballare attorno alla tavola, tenendosi per mano. Tutto si confondeva in una sorta di nebbia giallastra, con delle facce paonazze che saltellavano, la bocca spalancata fino alle orecchie. Ma sapevano per certo d'essersi concessi del vino alla francese, sul finire; tuttavia non ricordavano pi se qualcuno avesse davvero avuto la bella idea di mettere del sale nei bicchieri. I bambini si dovevano essere spogliati e coricati da soli. L'indomani la signora Boche si vantava d'aver allungato un bel paio di schiaffi al marito, in un canto, dove chiacchierava troppo da vicino con la carbonaia; ma Boche aveva dimenticato ogni cosa, diceva che era tutta una frottola. Ma erano tutti d'accordo nel giudicare assolutamente indecente la condotta di Clmence, una di quelle signorine che non si dovevano mai invitare; aveva finito per mettere in mostra tutto quello che aveva, e le era venuto il mal di pancia, aveva vomitato dappertutto, tanto da rovinare una delle tendine di mussola. Almeno gli uomini andavano a liberarsi in mezzo alla strada; Lorilleux e Poisson, per esempio, con lo stomaco in subbuglio, erano usciti a precipizio correndo fino alla bottega del pizzicagnolo. Se uno stato educato come si deve, sa comportarsi bene in ogni occasione. Tant' vero che la signora Putois, la signora Lerat e Virginie, sentendosi oppresse dal caldo, erano semplicemente andate nella camera in fondo a levarsi i corsetti; e Virginie s'era allungata un po' sul letto, giusto per qualche minuto, in modo da evitare ogni inconveniente. Poi i commensali s'erano come dissolti nel nulla; sparivano gli uni appresso agli altri, si accompagnavano a vicenda, si perdevano in fondo al quartiere ancora immerso nelle tenebre, senza smettere del tutto di far chiasso: un furibondo litigio fra i Lorilleux, il lugubre e ostinato tra la la, tra la la di pap Bru. A Gervaise sembrava che Goujet si fosse messo a piangere, al momento d'andarsene. Coupeau continuava a cantare. Quanto a Lantier, si doveva essere trattenuto fino all'ultimo; e le era parso di sentire per un attimo come un alito fra i capelli, ma non avrebbe mai saputo dire se quell'alito fosse di Lantier o della notte ancora calda. Poich la signora Lerat s'era rifiutata di tornare a Batignolles a un'ora del genere, levarono dal letto un materasso e lo stesero per lei in un angolo della bottega, dopo aver spostato la tavola. E fu l che dorm, fra gli avanzi della cena. E per tutta quella notte, nel sonno profondo dei Coupeau che smaltivano la festa, il gatto d'una vicina, che aveva approfittato d'una finestra aperta, rosicchi le ossa dell'oca, fin di seppellire la bestia con il piccolo rumore dei suoi denti aguzzi. CAPITOLO OTTAVO

Il sabato seguente Coupeau, che non era tornato per cena, arriv a casa verso le dieci in compagnia di Lantier. Avevano

mangiato insieme degli zampetti di montone da Thomas, a Montmartre. Non ti arrabbiare con noi, mogliettina mia, disse lo zincatore. Siamo del tutto sobri, lo vedi anche tu... Oh! non ci sono pericoli del genere con lui; vi rimette subito sulla buona strada. E raccont che s'erano incontrati per caso in rue Rochechouart. Dopo cena, Lantier aveva respinto la sua proposta di bere qualcosa al caff della Boule noire, dicendo che quando si aveva per moglie una donna cos onesta e garbata, non s'aveva il diritto di vagabondare da una bettola all'altra. Gervaise ascoltava con un lieve sorriso. Ma certo che no! non le veniva nemmeno in mente d'arrabbiarsi; era troppo imbarazzata per farlo. Dalla sera della sua festa, sentiva che prima o poi le sarebbe capitato di rivedere il suo antico amante. Ma l'arrivo improvviso dei due uomini, a un'ora cos tarda e proprio quando stava per mettersi a letto, l'aveva colta di sorpresa; e con le mani tremanti cercava di raggiustarsi la crocchia che le si era sciolta sul collo. Ancora non lo sai, continu Coupeau, ma poich stato cos delicato da non voler bere nulla fuori, adesso dovrai versarcene un bicchierino... Ah! ce lo devi!. Le operaie se n'erano andate gi da tempo. Mamma Coupeau e Nan si erano appena coricate. Allora Gervaise, che stava rimettendo le imposte nel momento stesso in cui i due uomini erano comparsi, lasci la bottega aperta e poggi in un angolo del tavolo da lavoro dei bicchieri e il fondo d'una bottiglia di cognac. Lantier era sempre in piedi, evitava di rivolgerle direttamente la parola. Ma quando lei lo serv, esclam: Soltanto un goccio, signora, vi prego!. Coupeau li guard, ed espresse con franchezza le sue ragioni. Volevano per caso mettersi a fare i babbei? Il passato non era forse il passato? Se si capaci di conservare del rancore anche dopo nove o dieci anni, si finisce per non vedere pi nessuno. No, no, lui aveva il cuore in mano! E poi sapeva con chi aveva a che fare: con la migliore delle mogli e con un uomo perbene, con due amici, ecco! Era tranquillo, conosceva la loro onest. Oh! sicuro... sicuro..., ripeteva Gervaise tenendo gli occhi abbassati e senza capire nemmeno lei quello che stava dicendo. come una sorella, adesso, nient'altro che una sorella!, mormor a sua volta Lantier. E allora datevi la mano, in nome di Dio!, grid Coupeau, e freghiamocene dei borghesi! Quando si ha del sale in zucca, c' poco da invidiare i milionari! Quanto a me, metto l'amicizia al primo posto, perch l'amicizia sempre l'amicizia, e non c' nulla al mondo che valga di pi. Si batteva il petto con i pugni, e aveva un'aria cos sconvolta che lo dovettero calmare. Poi tutti e tre, in silenzio, brindarono e svuotarono i bicchieri. Gervaise ebbe allora tutto l'agio di guardare Lantier, mentre la sera della festa l'aveva visto come in una nebbia. S'era imbolsito, era tutto grasso e tondo, con le braccia e le gambe che sembravano ancora pi tozze a causa della sua piccola statura. Ma il volto conservava ancora qualche

traccia della sua bellezza d'un tempo, pur sotto i gonfiori della sua vita da sfaccendato; e poich non aveva smesso d'aver cura dei suoi sottili mustacchi, dimostrava esattamente l'et che aveva, trentacinque anni. Indossava quel giorno dei pantaloni grigi e un cappotto blu scuro, come un signore, e aveva in testa un cappello rotondo; portava anche l'orologio e una catenina d'argento da cui pendeva un anello, un ricordo. Me ne vado, disse. Sto a casa del diavolo. Era gi sul marciapiede, quando lo zincatore lo chiam indietro e gli fece promettere che d'allora in poi non sarebbe pi passato davanti alla porta della bottega senza far loro almeno un piccolo saluto. Gervaise, che nel frattempo era sparita senza far rumore, ritorn proprio allora spingendo davanti a s il piccolo Etienne, in maniche di camicia e con il faccino ancora addormentato. Il bambino sorrideva, si stropicciava gli occhi. Ma appena vide Lantier, rest tutto tremante e vergognoso, volgendo degli sguardi ansiosi alla madre e a Coupeau. Non riconosci il signore?, domand quest'ultimo. Il bambino abbass il capo senza rispondere. Poi fece un piccolo cenno per far capire che lo riconosceva. E allora, coraggio! non fare lo stupido, vai a baciarlo!. Lantier attendeva con aria grave e serena. Quando Etienne si decise ad andargli vicino, si curv e gli porse le guance; quindi diede a sua volta un grosso bacio sulla fronte del monello. Allora Etienne s'arrischi a guardare il padre. Ma tutt'a un tratto scoppi in singhiozzi e fugg via come un pazzo, inseguito dagli scherni e dai rimproveri di Coupeau che lo trattava da selvaggio. l'emozione, disse Gervaise a sua volta pallida e sconvolta. Oh! di solito cos dolce e gentile, spieg Coupeau. L'ho educato con rigore, vedrete... Deve soltanto abituarsi di nuovo a voi. Bisogna che conosca le persone... Insomma! non foss'altro che per il bambino, non si poteva continuare ad esser nemici, vero?... E avremmo dovuto pensarci gi da un bel pezzo, per il suo bene, perch mi farei tagliare la testa piuttosto che impedire a un padre di vedere suo figlio!. Dopodich propose di finire la bottiglia di cognac. Tutti e tre brindarono di nuovo. Lantier sembrava non stupirsi di nulla, restava imperturbabile. Prima d'andarsene, per contraccambiare tutte le gentilezze dello zincatore, volle assolutamente aiutarlo a chiudere la bottega. Poi, battendosi le mani per far andare via la polvere, augur la buonanotte alla coppia. Dormite bene! Spero di fare in tempo a prendere l'omnibus... Vi prometto di farmi vivo al pi presto. E infatti, a partire da quella sera, Lantier cominci a farsi vedere sempre pi spesso in rue de la Goutte-d'Or. Si presentava soltanto quando c'era anche lo zincatore, e chiedeva sue notizie dalla porta, sottolineando in quel modo che se entrava era unicamente per lui. Si metteva poi a sedere in faccia alla vetrina, senza togliersi mai il cappotto, sempre sbarbato e ben pettinato; e chiacchierava amabilmente, con i modi di un uomo che avesse ricevuto un'ottima educazione. I Coupeau poterono cos conoscere alcuni particolari della sua vita. Negli ultimi otto anni aveva diretto una fabbrica di cappelli, ma per

poco tempo; e quando gli domandavano perch mai si fosse ritirato da quell'attivit, si limitava ad accennare a uno dei soci, un suo compaesano, un vero furfante, una canaglia che aveva fatto fallire l'impresa correndo appresso alle donne. Ma il suo vecchio titolo di direttore restava su tutta la sua persona come un'insegna di nobilt ormai irrinunciabile. Parlava di continuo d'un magnifico affare che era sempre sul punto di concludere: certi cappellai l'avrebbero messo in proprio, gli volevano affidare degli enormi interessi. Nell'attesa, non faceva assolutamente nulla, passeggiava al sole con le mani in tasca, come un borghese. Nei giorni in cui si lamentava, se s'arrischiavano a indicargli una manifattura in cerca d'operai, sorrideva con condiscendenza: non aveva voglia di crepare di fame sfiancandosi per gli altri. Eppure quel bel tomo, come diceva Coupeau, non poteva certo campare d'aria! Oh! era un furbacchione, sapeva arrangiarsi, si procurava qualche affaruccio; perch in fin dei conti manteneva pur sempre una parvenza di prosperit, e gli ci volevano per forza dei soldi per comprarsi la biancheria di fino e quelle sue cravatte da figlio di pap! Un mattino lo zincatore l'aveva visto che si faceva lustrare le scarpe in boulevard Montmartre. La verit era che Lantier, gran chiacchierone quando si trattava degli altri, taceva o mentiva su tutto ci che lo riguardava. Non voleva nemmeno dire dove abitava. No, era ospite di un amico, laggi, a casa del diavolo, finch non avesse trovato una migliore sistemazione; e proibiva alle persone d'andarlo a cercare, dicendo che comunque non era mai in casa. Si trovano dieci posti di lavoro per uno che se ne perde, amava ripetere. Ma non vale la pena d'entrare in un buco da cui si ha voglia di scappare dopo nemmeno ventiquattr'ore... Per esempio, capito un luned da Champion, a Montrouge. Fin dalla prima sera Champion mi fa andare in bestia parlando di politica; non abbiamo di certo le stesse idee. Insomma! il marted mattina me la batto, visto che non ci troviamo pi al tempo degli schiavi, e non sono uno di quelli che si vendono per sette franchi al giorno!. Si era allora ai primi di novembre. Lantier port un giorno dei mazzetti di viole, che offr galantemente a Gervaise e alle due operaie. Poco a poco moltiplic le sue visite, fin per venire quasi ogni giorno. Pareva che volesse conquistare tutto il caseggiato, l'intero quartiere; e sedusse per prima Clmence e la signora Putois usando loro, senza distinzioni d'et, le attenzioni pi premurose. In capo a un mese le due operaie lo adoravano. I Boche, assai lusingati dal fatto che Lantier li andasse a salutare nella loro guardiola, andavano in estasi per il suo bel garbo. Quanto ai Lorilleux, quando vennero a sapere chi era quel signore capitato al momento del dessert, il giorno della festa, vomitarono subito mille orrori sul conto di Gervaise, che aveva avuto la sfacciataggine d'accogliere in casa il suo vecchio ganzo. Ma un giorno Lantier sal da loro, e si present cos bene ordinando una catenella per una signora di sua conoscenza, che l'invitarono a sedersi e lo trattennero per un'ora, incantati dalla sua conversazione; si domandarono anzi come mai un uomo tanto distinto avesse potuto convivere con la Zoppa. Le visite

del cappellaio in casa Coupeau finirono insomma per non scandalizzare pi nessuno; sembravano ormai naturali, a tal punto era riuscito ad entrare nelle buone grazie di tutta rue de la Goutte-d'Or. Soltanto Goujet continuava a mostrarsi perplesso. Se gli capitava d'essere presente quando l'altro arrivava, prendeva la porta per non essere costretto ad entrare in intimit con quel bel tomo. Eppure, in mezzo a questo delirio di simpatia nei confronti di Lantier, Gervaise trascorse le prime settimane immersa nel pi profondo turbamento. Sentiva alla bocca dello stomaco quello stesso calore da cui gi s'era sentita ardere nei giorni in cui si confidava con Virginie. Ci che soprattutto la spaventava era il timore di trovarsi del tutto impreparata, senza forze, se Lantier l'avesse sorpresa una sera da sola e si fosse azzardato a baciarla. Non faceva che pensare a lui, ne era per intero posseduta. Poi aveva cominciato a riacquistare la calma: lo vedeva cos pieno di rispetto, non la guardava mai in faccia, non la sfiorava nemmeno con la punta d'un dito, anche se gli altri volgevano loro le spalle. Virginie la faceva vergognare dei sui brutti pensieri, quasi riuscisse a leggere in lei. Di cosa aveva tanta paura? Non si poteva trovare un uomo pi garbato. Davvero, non aveva pi nulla da temere. E la bruna tanto fece che un giorno riusc a spingerli tutti e due in un angolo, portando il discorso sugli affari di cuore. Lantier dichiar con voce grave, e scegliendo le parole una a una, che il suo cuore era ormai morto, che voleva d'allora in poi dedicarsi esclusivamente al bene del figlio. Non nominava mai l'altro, Claude, che viveva sempre nel Mezzogiorno. Tutte le sere baciava Etienne sulla fronte, ma sembrava che non avesse nulla da dirgli; e anche quando il bambino continuava a restargli accanto, finiva ben presto per dimenticarlo e si metteva a fare il galante con Clmence. Allora Gervaise, tranquillizzata, sentiva che il passato moriva dentro di lei. La presenza continua di Lantier consumava i suoi rimpianti per Plassans e per la locanda Boncoeur. A forza di vederlo, non lo pensava pi. Sentiva perfino una sorta di disgusto al ricordo dei loro rapporti d'un tempo. Oh! era finita! era davvero finita! Se un giorno Lantier avesse avuto la faccia tosta di chiederle delle cose del genere, gli avrebbe risposto con un paio di schiaffi; meglio ancora, avrebbe raccontato ogni cosa al marito. E ricominciava a pensare senza rimorsi, e con una dolcezza straordinaria, alla buona amicizia di Goujet. Una mattina, mentre entrava nella bottega, Clmence raccont d'aver incontrato il giorno prima, verso le undici, il signor Lantier che dava il braccio a una signora. Ma ne parlava in termini volgari, aggiungendovi qualche malignit solo per il gusto di vedere la faccia della padrona. Si, proprio cos! il signor Lantier stava risalendo per rue Notre-Dame-de-Lorette; la donna era bionda, una sgualdrinella del boulevard, una di quelle che sembrano vive per miracolo, con il culo nudo sotto il vestito di seta. Li aveva seguiti, cos, per divertirsi. La puttanella era entrata da un pizzicagnolo per comprare dei gamberetti e del prosciutto. Arrivati in rue La Rochefoucauld, il signor Lantier s'era fermato sul marciapiede, davanti alla casa, con il naso in

aria, aspettando che l'altra, salita da sola, gli facesse dalla finestra il segno di raggiungerla. Clmence ebbe un bell'aggiungere i commenti pi disgustosi: Gervaise continuava a stirare tranquillamente un vestito bianco. Ma a tratti le veniva da sorridere ascoltando tutta quella storia. Questi Provenzali, diceva, erano sempre infoiati, non facevano che correre appresso alle donne; ne avevano bisogno di continuo, ne avrebbero raccolte a palate in un mucchio di spazzatura. E la sera, quando arriv il cappellaio, si divert ad ascoltare le punzecchiature di Clmence, che non gli dava pace e l'ossessionava a forza di parlargli della sua bionda. Lantier pareva del resto assai lusingato dal fatto che l'avessero scoperto. Oh! Mio Dio! era soltanto un vecchia amica che rivedeva di tanto in tanto, quando la cosa non dava fastidio a nessuno, una giovinetta di gran classe che aveva tutti i mobili in palissandro; e nominava alcuni dei suoi passati amanti, un visconte, il figlio d'un notaio, un mercante di maioliche. A lui piacevano le donne che si profumavano. E stava gi facendo annussare a Clmence uno dei suoi fazzoletti, che la piccola gli aveva profumato, quando entr Etienne. Allora assunse di nuovo la sua espressione pi austera, e baci il bambino, aggiungendo che quella pagliacciata non avrebbe avuto alcun seguito, e che il suo cuore continuava ad essere morto. Gervaise, china sul suo lavoro, scroll il capo con aria d'approvazione. E fu ancora, Clmence a pagare il fio della sua sfacciataggine, perch Lantier l'aveva gi pizzicata due o tre volte, facendo finta di nulla; e adesso si sentiva schiattare d'invidia all'idea di non odorare anche lei di muschio, come la puttanella del boulevard. Quando torn la primavera Lantier, ormai di casa, parl di venire ad abitare nel quartiere, in modo da essere pi vicino ai suoi amici. Voleva una camera ammobiliata in una casa pulita. La signora Boche e Gervaise stessa si fecero in quattro per trovargliela. Tutte le vie vicine furono passate in rassegna. Ma Lantier era troppo difficile, gli ci voleva un gran cortile, esigeva un pianterreno; insomma, tutte le possibili comodit. E ogni sera, dai Coupeau, sembrava adesso misurare l'altezza del soffitto, studiare la distribuzione di ogni stanza, quasi desiderasse un alloggio simile a quello. Oh! non avrebbe domandato di meglio, si sarebbe volentieri ricavato un buco tutto per s in quell'angolo caldo e tranquillo! E immancabilmente concludeva il suo esame con questa frase: Perbacco! non c' che dire, vi siete sistemati proprio come si deve!. Una sera che s'era trattenuto a cena, e aveva lasciato cadere la sua solita frase al momento del dessert, Coupeau, che s'era messo a dargli del tu, gli grid all'improvviso: Devi restar qui, vecchio mio, se il cuore che te lo dice... Ci arrangeremo.... E spieg che la camera della biancheria sporca, una volta ripulita, sarebbe diventata una gran bella stanza. Etienne poteva dormire nella bottega, su un materasso buttato per terra, ecco tutto. No, no, disse Lantier, non posso assolutamente accettare. Vi sarebbe troppo di disturbo. Lo so, l'avete detto con

il cuore, ma finiremmo per crepare dal caldo a star gli uni sugli altri... E poi, capite, a ognuno le sue libert. Mi toccherebbe attraversare la vostra camera, e non sempre sarebbe piacevole. Ah! che bestia!, riprese lo zincatore sganasciandosi dal ridere e picchiando sulla tavola per schiarirsi la voce, non pensa ad altro che alle scemenze!... Ma balordo che non sei altro, basta avere un po' d'inventiva! Ascolta: nella stanza ci sono due finestre. E allora ne abbassiamo una fino a terra e ne facciamo una porta. Cos, capisci, tu puoi entrare dal cortile, e possiamo anche murare la porta di comunicazione, se ci sembra opportuno. Mai visti n conosciuti, tu sei a casa tua e noi siamo a casa nostra. Segu un breve silenzio. Poi il cappellaio mormor: Ah! s, in questo modo, non dico... Ma no, no, vi starei comunque addosso.... Evitava di guardare Gervaise. Ma aspettava evidentemente una sua parola per accettare. Quanto a lei, era assai contrariata dall'idea del marito: non che il pensiero di vedere Lantier in casa sua l'inquietasse o la ferisse pi di tanto; semplicemente si domandava dove avrebbe potuto mettere la biancheria sporca. Intanto lo zincatore faceva valere tutti i vantaggi d'una soluzione del genere. L'affitto di cinquecento franchi era sempre stato un po' troppo alto. Ebbene! il compagno avrebbe pagato la camera tutta ammobiliata venti franchi al mese; per lui non sarebbe stata una cifra eccessiva, e in quel modo li avrebbe aiutati al momento della scadenza. Aggiunse che s'incaricava di ricavare sotto il letto una specie di cassettone, e che l'avrebbe fatto cos grande da poter contenere la biancheria sporca dell'intero quartiere. A quel punto Gervaise sembr esitare, e si consult con mamma Coupeau rivolgendole una breve occhiata; la vecchia parteggiava ormai da mesi per Lantier, che l'aveva definitivamente conquistata portandole delle pasticche di gomma contro il catarro. Naturalmente non ci dareste fastidio, disse alla fine Gervaise. Basterebbe trovare il modo d'organizzarsi.... No, grazie, ripet il cappellaio. Siete troppo gentili, mi sembrerebbe d'approffittarne!. Questa volta Coupeau s'arrabbi. Fino a quando avrebbe continuato a fare il salame? Ma se gli stavano dicendo ch'era di tutto cuore! Sarebbe stato lui a render loro un servigio, ecco! lo voleva capire oppure no? Poi url in tono furioso: Etienne! Etiernne!. Il monello s'era addormentato sulla tavola. Alz la testa di soprassalto. Ascolta, devi dirgli che lo vuoi anche tu... S, a questo signore... Diglielo, ma forte: "Lo voglio!". Lo voglio!, balbett Etienne con la bocca impastata dal sonno. Tutti si misero a ridere. Ma Lantier riprese subito la sua aria grave e compassata. Strinse la mano a Coupeau da sopra la tavola, e disse: Accetto... Purch sia in buona amicizia da una parte come dall'altra... S, accetto per il bambino.

L'indomani, essendo venuto il proprietario, il signor Marescot, a passare un'ora nella guardiola dei Boche, Gervaise gli parl dell'affare. L'altro si mostr dapprima assai preoccupato, s'oppose decisamente, mont su tutte le furie, come se gli avesse chiesto di buttar gi tutta un'ala del caseggiato. Ma dopo aver ispezionato minuziosamente i locali, e aver guardato in aria per vedere se i piani superiori non ne sarebbero stati per caso danneggiati, fin per dare la propria autorizzazione, ma a patto di non dover sopportare la minima spesa; e i Coupeau furono costretti a firmare una carta con cui s'impegnavano a ridare all'alloggio il suo aspetto primitivo, appena fosse scaduto il loro contratto. La sera stessa lo zincatore fece venire dei suoi compagni, un muratore, un falegname e un pittore, tre bravi ragazzi che si sarebbero occupati di quell'inezia alla fine della loro giornata di lavoro, unicamente per fargli un favore. Con tutto ci l'apertura della nuova porta e la ripulitura di tutta la stanza non costarono meno d'un centinaio di franchi, senza contare i litri di vino con cui venne innaffiata l'impresa. Lo zincatore disse ai compagni che li avrebbe pagati pi in l, con i primi soldi del suo inquilino. Si tratt poi d'ammobiliare la camera. Gervaise vi lasci l'armadio di mamma Coupeau, e vi aggiunse un tavolo e due sedie prese in camera sua; infine acquist una toeletta e un letto con tanto di corredo, il tutto per centotrenta franchi: una somma che avrebbe dovuto pagare in ragione di dieci franchi al mese. Se per una decina di mesi i venti franchi di Lantier non sarebbero serviti che a saldare i debiti cos contratti, in seguito ne avrebbero ricavato un bel guadagno. Ai primi di giugno il cappellaio si trasfer nel suo nuovo alloggio. Il giorno prima Coupeau s'era offerto d'aiutarlo a portar via il suo baule, per fargli risparmiare i trenta soldi di un fiacre. Ma l'altro, visibilmente imbarazzato, gli aveva risposto che il baule era troppo pesante, come se avesse voluto nascondere fino all'ultimo momento dove abitava. Arriv verso le tre del pomeriggio. Coupeau non c'era. E Gervaise, in piedi sulla soglia della bottega, si sent sbiancare in volto nel riconoscere il baule sul fiacre. Era il loro vecchio baule, lo stesso con cui era partita da Plassans, ma ormai tutto graffiato, a pezzi, tenuto insieme con le cinghie. Ecco che lo vedeva tornare come tante volte aveva sognato; e si poteva perfino immaginare che anche il fiacre fosse lo stesso, che fosse lo stesso fiacre in cui quella puttana di brunitrice s'era burlata di lei, a riportarglielo indietro! Boche stava intanto dando una mano a Lantier. La lavandaia li segu in silenzio, un po' stordita. Quando i due uomini ebbero deposto il loro fardello in mezzo alla camera, disse tanto per dire qualcosa: Oh! anche questa fatta!. Poi, riavutasi, accorgendosi che Lantier, tutto preso a slacciare le cinghie, nemmeno la guardava, aggiunse: Signor Boche, vi prego, entrate a bere qualcosa. E and a prendere un litro e dei bicchieri. Proprio in quel momento Poisson, in divisa, stava passando sul marciapiede. Gli fece un piccolo cenno, gli ammicc con un sorriso. La guardia municipale cap all'istante. Quando era in servizio, e qualcuno gli

ammiccava in quel modo, voleva dire che gli offrivano un bicchiere di vino. Cos, gli capitava di passeggiare per ore davanti alla bottega della lavandaia, nell'attesa che quella gli ammiccasse. Allora, per non essere visto, passava dal cortile, e si scolava il suo bicchiere di nascosto. Ah! Ah!, disse Lantier vedendolo entrare, siete voi, caro Badingue!. Lo chiamava Badingue per prenderlo in giro, per farsi gioco dell'imperatore. Poisson accettava la cosa con la sua aria severa, senza lasciar mai capire fino a che punto gli dispiacesse. Del resto i due uomini, pur separati dalle loro convinzioni politiche, erano diventati ottimi amici. Lo sapevate che l'imperatore stato guardia municipale a Londra?, disse Boche a sua volta. S, lo giuro! raccoglieva per strada le donne ubriache. Gervaise aveva intanto riempito tre bicchieri sulla tavola. Non aveva voglia di bere, si sentiva lo stomaco in sobbuglio. Eppure s'ostinava a star l, a guardare Lantier che stava slacciando le ultime cinghie, presa dal bisogno di vedere quello che c'era nel baule. Ricordava, in un angolo, un mucchio di calzini, due camicie sporche, un vecchio cappello. Chiss se quelle cose erano ancora dentro al baule? Stava forse per ritrovare le vestigia del loro passato? Lantier, prima di sollevare il coperchio, prese il suo bicchiere e brind. Alla vostra salute. Alla vostra, risposero Boche e Poisson. La lavandaia riemp di nuovo i bicchieri. I tre uomini si ripulirono la bocca con la mano. Alla fine il cappellaio apri il baule. Era pieno di un miscuglio di giornali, libri, vecchi vestiti, biancheria raccolta in fagotti. Lantier ne tir fuori una casseruola, un paio di stivali, un busto di Ledru-Rollin con il naso rotto, una camicia ricamata, dei pantaloni da lavoro. E Gervaise, piegata, sentiva venirne fuori un tanfo di tabacco, un tanfo d'uomo poco pulito, che cura soltanto la facciata, ci che appare della sua persona. No, il vecchio cappello non si trovava pi nell'angolo di sinistra. Al suo posto c'era un puntaspilli che non aveva mai visto prima, qualche regalo di donna. Allora si calm, senti una vaga tristezza; e continu a guardar passare un oggetto dopo l'altro, domandandosi se apparteneva al suo tempo o al tempo delle altre. Dite un po', Badingue, questo lo conoscete?, domand Lantier. E gli mise sotto il naso un opuscolo stampato a Bruxelles e illustrato con incisioni, Gli amori di Napoleone III. Fra gli altri aneddoti, vi si raccontava in che modo l'imperatore avesse corrotto la figlia tredicenne d'un cuoco; la figura rappresentava Napoleone III che, senza pantaloni, con addosso soltanto il gran cordone della Legione d'onore, inseguiva una bambinetta che faceva di tutto per sfuggire alla sua lussuria. Ah! proprio indovinata!, esclam Boche, i cui istinti segretamente voluttuosi erano stati in quel modo sollecitati. S, sempre cos che succede!. Poisson era rimasto esterefatto, costernato; non riusciva a trovare una sola parola per difendere l'imperatore. La cosa era

in un libro, non poteva negare l'evidenza. Ma alla fine, poich Lantier continuava a spingergli l'illustrazione sotto il naso con fare beffardo, si lasci scappare questo grido allargando le braccia: Ebbene! e con ci? Non son forse cose naturali?. Questa risposta chiuse la bocca a Lantier. Il cappellaio sistem i libri e i giornali su uno scaffale dell'armadio; e poich sembrava dispiaciuto che non ci fosse almeno una piccola libreria appesa al di sopra del tavolo, Gervaise promise di procurargliene una. Possedeva La storia di dieci anni di Louis Blanc, tranne il primo volume, che del resto non aveva mai avuto; I Girondini di Lamartine, tutti in fascicoli da due soldi; I misteri di Parigi e L'ebreo errante di Eugne Sue, senza contare un mucchio di opuscoli filosofici e umanitari che aveva raccattato nelle botteghe degli straccivendoli. Ma era soprattutto sui giornali che indugiava con degli sguardi commossi e rispettosi. Era una collezione che aveva messo insieme in anni e anni. Ogni volta che al caff gli capitava di leggere in un giornale un articolo che gli sembrava ben riuscito e conforme alle sue idee, comprava il giornale e lo teneva da parte. Ne aveva cos un pacco enorme, di tutte le date e di tutti i titoli, messi in pila senza alcun ordine. Dopo aver levato il pacco dal baule, vi picchi sopra con dei colpetti affettuosi, dicendo agli altri due: Li vedete? Ebbene, sono tutti miei!... Nessun altro pu vantarsi d'avere qualcosa del genere... Quello che c' scritto qui dentro, lo potreste a malapena immaginare. Voglio dire che, se s'applicasse anche solo la met di queste idee, la societ ne sarebbe di colpo ripulita. Si! l'imperatore e tutti i suoi sgherri colerebbero a picco in un momento.... Ma fu interrotto dalla guardia municipale, sulla cui faccia illividita il pizzetto e i mustacchi rossi fremevano d'indignazione. E l'esercito, dite un po', cosa pensereste di farne?. Allora Lantier si lasci trascinare. E grid, tempestando di pugni i giornali: Voglio la soppressione del militarismo, la fratellanza di tutti i popoli... Voglio l'abolizione dei privilegi, dei titoli e dei monopoli... Voglio la parit dei salari, la ridistribuzione degli utili, la glorificazione del proletariato... Tutte le libert, capite? Tutte!... E il divorzio!. S, s, il divorzio, per la morale!, approv Boche. Poisson aveva assunto un'aria maestosa. Rispose: Tuttavia, se non voglio saperne di tutte queste vostre libert, sono ben libero di farlo. Se non volete... se non volete..., balbett Lantier soffocato dalla passione. No, non siete libero!... Se non volete saperne, vi far sbattere in Caienna, si! in Caienna, con il vostro imperatore e tutti i porci della sua banda!. S'accapigliavano in questo modo ogni volta che s'incontravano. Gervaise, che non amava le discussioni, interveniva di solito a metter pace. Usc dal torpore da cui s'era sentita invadere alla vista di quel baule tutto impregnato del profumo corrotto del suo antico amore, e indic i bicchieri ai tre uomini.

Avete ragione, disse Lantier recuperando di colpo tutta la sua calma e prendendo il bicchiere. Alla vostra!. Alla vostra!, risposero insieme Boche e Poisson, brindando con lui. Ma Boche sembrava agitato, come travagliato da chiss quale inquietudine, e guardava la guardia municipale con la coda dell'occhio. Tutto ci deve restare fra noi, vero, signor Poisson?, bisbigli alla fine. Con tutte le cose che vi hanno detto e fatto vedere.... Ma Poisson non lo lasci nemmeno finire. Si mise la mano sul cuore, come per far intendere che nulla ne sarebbe mai uscito. Non faceva di certo la spia agli amici. Intanto era arrivato anche Coupeau, e svuotarono allora un secondo litro. La guardia municipale sgattaiol poi dal cortile, e appena fu di nuovo sul marciapiede riprese la sua andatura rigida e impettita, a passi misurati. Nei primi tempi regn il massimo scompiglio in casa della lavandaia. Lantier aveva, vero, una camera tutta per s, un ingresso solo per lui, la sua chiave; ma poich all'ultimo momento avevano cambiato idea e non avevano pi murato la porta di comunicazione, gli capitava il pi delle volte d'entrare dalla parte della bottega. Anche il problema della biancheria sporca continuava ad ossessionare Gervaise, perch il marito non s'occupava affatto del cassettone di cui aveva tanto parlato; e si trovava costretta a ficcare i panni un po' dappertutto, negli angoli, e specialmente sotto il letto: il che era tutt'altro che piacevole, soprattutto nelle calde notti d'estate. Inoltre le sembrava davvero una bella seccatura dover rifare ogni sera il letto di Etienne nel bel mezzo della bottega; le volte che le sue operaie lavoravano fino a tardi, il bambino doveva dormire su una sedia, aspettando. Fu anche per questo che, quando Goujet le accenn alla possibilit di mandare Etienne a Lilla, dove il suo padrone d'un tempo, un meccanico, cercava appunto degli apprendisti, si lasci subito tentare da quel progetto, tanto pi che il ragazzino, poco felice in famiglia e desideroso d'essere padrone di se stesso, la pregava d'acconsentire. Temeva soltanto un netto rifiuto da parte di Lantier. Era venuto ad abitare da loro unicamente per riavvicinarsi al figlio; non avrebbe voluto perderlo proprio quindici giorni dopo aver preso possesso del suo nuovo alloggio. Ma quando, pur tremando, si decise a parlargli di quell'idea, l'altro l'approv incondizionatamente, sostenendo che i giovani operai avevano bisogno ogni tanto di cambiar aria. E la mattina in cui Etienne finalmente part, dopo avergli fatto un lungo discorso sui suoi diritti, lo baci declamando: Ricordati che il lavoratore non uno schiavo, ma anche che chi non lavora un parassita. Allora il tran tran della casa ricominci come prima, tutto s'acquiet e s'assop nelle nuove abitudini. Gervaise s'era ormai assuefatta al disordine della biancheria sporca e all'andare e venire di Lantier. Il cappellaio parlava sempre dei suoi grandi progetti; usciva a volte ben pettinato, con la biancheria pulita, scompariva, dormiva perfino fuori, poi tornava affettando

d'essere spossato, d'aver la testa a pezzi, come se avesse appena discusso per un giorno di fila i pi gravi interessi. La verit era che se la prendeva comoda. Oh! non c'era pericolo che si facesse venire i calli alle mani! Si alzava di solito verso le dieci, e nel pomeriggio faceva una passeggiata, quando aveva voglia di starsene al sole; nei giorni di pioggia restava nella bottega a leggere il giornale. Era quello il suo vero elemento. Si sentiva perfettamente a suo agio fra le gonnelle, s'infilava sempre dove c'eran pi donne; e andava in visibilio a tutte le sconcezze che dicevano, le spingeva perfino a dirne di peggiori, pur mantenendo dal canto suo il linguaggio pi raffinato: il che spiegava perch gli piacesse tanto starsene sempre appiccicato alle lavandaie, fanciulle tutt'altro che puritane. Quando Clmence gli confidava i suoi segreti, l'ascoltava con fare tenero e sorridente, tirandosi i sottili mustacchi. L'odore della bottega, le operaie tutte accaldate che battevano i ferri con le braccia nude, quell'angolo cos simile a un'alcova e invaso dai panni pi intimi delle signore del quartiere, rappresentavano ormai per lui la tana cos a lungo sognata, il rifugio da sempre cercato in cui indulgere alla pigrizia e ai piaceri. Agli inizi Lantier aveva continuato a mangiare da Franois, all'angolo con rue des Poissonniers. Ma sui sette giorni della settimana, dedicava tre o quattro sere a cenare con i Coupeau; tanto che fin per proporre loro di prenderlo a pensione: avrebbe dato quindici franchi ogni sabato. A quel punto non si mosse pi di casa, ne prese possesso per intero. Lo si vedeva dalla mattina alla sera andare su e gi dalla bottega alla camera in fondo, in maniche di camicia, alzando la voce, dando ordini; rispondeva perfino alle clienti, portava avanti la baracca. Poich il vino di Franois l'aveva ormai disgustato, convinse Gervaise a comprare il vino da Vigoureux, il carbonaio di fianco, dove pizzicava la moglie insieme a Boche, ogni volta che andava a fare le sue ordinazioni. Poi trov mal cotto il pane di Coudeloup, e mand Augustine a comprare il pane da Meyer, il forno viennese del faubourg Poissonnire. Volle cambiare anche il droghiere, Lehongre; e l'unico a cui rest fedele fu Charles, il macellaio di rue Polonceau, ma pi che altro per le sue idee politiche. In capo a un mese fece in modo che tutto venisse cucinato con l'olio. Come diceva Clmence per prenderlo in giro, la macchia d'olio riaffiorava sempre in quel maledetto Provenzale. Era lui stesso a fare le frittate, delle frittate rivoltate dai due lati, ancora pi rosolate delle frittelle, e cos dure da sembrare delle gallette. Sorvegliava mamma Coupeau, voleva le bistecche stracotte, delle vere suole di scarpe; e aggiungeva l'aglio dappertutto, s'arrabbiava se solo gli tagliavano delle erbette nell'insalata: erano erbacce, gridava, e potevano anche essere velenose. Ma la sua gran passione era una zuppa di vermicelli cotti nell'acqua, densissima, in cui versava mezza bottiglia d'olio. Lui e Gervaise erano gli unici che la mangiassero; gli altri, i parigini, per essersi un giorno arrischiati ad assaggiarla non avevano per poco vomitato anche le budella. Poco per volta Lantier era anche riuscito a intromettersi negli affari di famiglia. Poich i Lorilleux continuavano a recalcitrare prima di levarsi di tasca i cento soldi di mamma Coupeau, non

aveva esitato a minacciarli spiegando loro che c'erano tutti gli elementi per un processo. Credevano davvero di poter prendere in giro la gente? Erano solo dieci franchi al mese che dovevano dare! E saliva lui stesso a prendere i dieci franchi, con un fare insieme cos deciso e garbato che la fabbricante di catenelle non osava rifiutarglieli. Anche la signora Lerat dava adesso le sue due monete da cento soldi. Mamma Coupeau avrebbe baciato le mani a Lantier, tanto pi che il cappellaio aveva assunto la parte di giudice supremo nelle discussioni fra la vecchia e Gervaise. Quando la lavandaia, in un momento d'impazienza, maltrattava la suocera, e questa si buttava piangendo sul letto, Lantier spingeva le due donne l'una verso l'altra, le convinceva ad abbracciarsi, domandando loro se credevano davvero d'essere divertenti con quei loro caratteracci. S'occupava allo stesso modo di Nan: sosteneva che l'educavano malissimo. E in questo non aveva torto, perch quando il padre la picchiava, la madre prendeva le difese della bambina, e quando era invece la madre a batterla, il padre faceva a sua volta una scenata. Nan, felicissima che i genitori s'accapigliassero per lei, si sentiva giustificata in anticipo e ne combinava di tutti i colori. S'era adesso inventata d'andare a giocare dal maniscalco dirimpetto. Passava il giorno intero appesa alle stanghe delle carrette, si nascondeva con bande di monelli in fondo al cortile livido e rischiarato dalle rosse fiamme della fucina; e tutt'a un tratto riappariva, correndo, urlando, sudicia e scarmigliata, seguita dal suo codazzo di teppistelli, come se una scarica di martellate avesse messo in fuga quella masnada di piccole canaglie. Soltanto Lantier poteva rimproverarla; ma anche in questo Nan sapeva prenderlo per il verso giusto. Quella sgualdrinella di dieci anni gli camminava davanti ancheggiando come una signora, lanciandogli sguardi di traverso, con occhi gi pieni di vizio. Il cappellaio aveva finito per, incaricarsi della sua educazione: le insegnava a ballare e a parlare in gergo. Pass un anno. La gente del quartiere era convinta che Lantier avesse delle rendite, perch solo in quel modo si poteva spiegare l'agiatezza in cui sembravano vivere i Coupeau. D'accordo, Gervaise almeno continuava a guadagnare qualche soldo; ma adesso che manteneva due uomini nell'oziopi assoluto, la bottega da sola non poteva di certo bastare; tanto pi che la bottega cominciava ad andare in malora, alcune clienti s'allontanavano, e le operaie si grattavano la pancia dalla mattina alla sera. La verit era che Lantier non pagava nulla, n il vitto n l'alloggio. Nei primi mesi aveva dato qualche acconto; poi s'era limitato a parlare d'una somma enorme che doveva riscuotere, e grazie alla quale si sarebbe finalmente sdebitato tutto in una volta. Gervaise non osava pi chiedergli un centesimo. E aveva cominciato a prendere fa credito il pane, il vino, la carne. I conti aumentavano dappertutto, s'andava avanti con tre o quattro franchi al giorno. Non aveva dato nemmeno un soldo al mercante di mobili, n ai tre compagni di Coupeau, il muratore, il falegname e il pittore. E tutti cominciavano a brontolare, nei negozi la trattavano meno gentilmente. Ma Gervaise era come presa dalla smania dei debiti; da quando aveva smesso di pagare, perdeva la testa,

sceglieva sempre le cose pi care, s'abbandonava alla sua golosit. Ma in fondo rimaneva il ritratto dell'onest: sognava di guadagnare in una giornata qualche centinaio di franchi, senza sapere nemmeno lei in che modo, solo per il gusto di sbattere in faccia ai suoi fornitori manciate di monete da cento soldi. Insomma, affondava; e tanto pi andava a rotoli, quanto pi parlava d'estendere i suoi affari. Intanto, verso la met dell'estate, Clmence se n'era andata, perch non c'era abbastanza lavoro per due operaie e doveva aspettare la sua paga per intere settimane. In questo sfacelo, Coupeau e Lantier ingrassavano. I due bei tomi, con il mento sulla tavola, si mangiavano l'intera bottega, s'impinguivano mandando in rovina l'esercizio; e s'incitavano l'un l'altro a far bocconi da gigante, si battevano ridendo la pancia, arrivati al dessert, tanto per digerire pi in fretta. L'argomento di conversazione che appassionava tutto il quartiere era se realmente Lantier si fosse rimesso con Gervaise. I pareri erano discordi. A prestar fede ai Lorilleux, la Zoppa faceva di tutto per riacciuffare il cappellaio, mentre l'altro non voleva pi saperne di lei, la trovava ormai sfiorita, aveva in citt delle ragazzine con dei musetti ben pi attraenti. Secondo i Boche, al contrario, la lavandaia era andata a trovare il suo antico ganzo fin dalla prima notte, non appena quel frescone di Coupeau s'era messo a russare. In un modo o nell'altro, la faccenda non sembrava troppo pulita. Ma ci sono tante porcherie nella vita, e anche di pi grosse, che la gente finiva per trovare del tutto naturale e perfino garbato il rapporto che esisteva fra quei tre: non si picchiavano mai e le convenienze erano salve. E sarebbe poi bastato ficcare il naso in qualche altra casa del quartiere, per trovarvi di certo delle lordure ben pi disgustose. In casa Coupeau si faceva tutto alla buona. Tutti e tre non badavano ad altro che a mangiar bene; poi si ubriacavano e andavano a letto insieme, ma senza far rumore, senza impedire ai vicini di dormire. Del resto tutto il quartiere continuava ad esser conquistato dalle belle maniere di Lantier. Quell'incantatore sapeva come chiudere il becco a tutte le pettegole. Anzi, nel dubbio in cui ci si trovava circa i suoi rapporti con Gervaise, quando la fruttivendola li negava parlandone con la trippaia, quest'ultima lasciava intendere che era un vero peccato, perch la cosa rendeva i Coupeau meno interessanti. Intanto Gervaise da questo lato era tranquilla, non pensava affatto a tutte quelle porcherie. Le cose arrivarono al punto che l'accusarono di mancare di cuore. In famiglia non capivano il suo rancore nei confronti nel cappellaio. La signora Lerat, che adorava immischiarsi nelle faccende d'amore, veniva ormai tutte le sere, trattava Lantier da uomo irresistibile, fra le cui braccia anche le signore pi altolocate dovevano per forza soccombere. La signora Boche non avrebbe risposto della sua virt, se solo avesse avuto dieci anni di meno. Una cospirazione sorda, incessante, senza tregua, pareva voler spingere Gervaise a cedere, come se tutte le donne attorno a lei avessero dovuto rimanere a loro volta appagate semplicemente dandole un amante. Ma Gervaise si stupiva, non trovava in Lantier tante

seduzioni. Senza dubbio era cambiato in meglio; indossava sempre il cappotto, s'era fatto una certa istruzione frequentando i caff e le riunioni politiche. Ma lei lo conosceva bene, e gli leggeva fin dentro l'anima al solo guardarlo negli occhi, ritrovandovi un'infinit di cose che la facevano ancora un po' rabbrividire. Insomma! se alle altre quel signore piaceva tanto, perch non si toglievano il gusto d'assaggiarne almeno un piccolo boccone? Fu appunto in questi termini che parl un giorno a Virginie, che si mostrava la pi calda. Allora la signora Lerat e Virginie, per montarle la testa, le raccontarono gli amori di Lantier e di Clmence. S, lei non s'era accorta di nulla; ma ogni volta che usciva per qualche commissione, il cappellaio si portava l'operaia in camera. Continuavano a vedersi anche adesso, e probabilmente Lantier andava a trovarla a casa sua. Ebbene?, disse la lavandaia con la voce un po' tremante, forse che la cosa mi riguarda?. E guard gli occhi gialli di Virginie, dove splendevano scintille d'oro lucente, come in quelli dei gatti. Ma allora quella donna l'odiava, visto che faceva di tutto per ingelosirla! La cucitrice prese un'aria innocente, e rispose: Ma certo, la cosa non vi riguarda affatto... Per dovreste consigliargli di lasciar perdere quella ragazza, che gli dar solamente dei dispiaceri. La cosa peggiore era che Lantier, sapendosi appoggiato, incominciava a cambiare il proprio atteggiamento nei confronti di Gervaise. Adesso, quando le dava una stretta di mano, le tratteneva per un attimo le dita fra le sue. L'ossessionava con il suo sguardo, fissava su di lei i suoi occhi arditi, dove si leggeva chiaramente quel che voleva da lei. Ogni volta che le passava alle spalle, le spingeva le ginocchia fra le sottane, le alitava sul collo come per addormentarla. Tuttavia aspettava ancora, prima d'essere pi esplicito e di dichiararsi. Ma una sera, trovandosi solo con lei, la spinse davanti a s senza una parola, la strinse tremante contro il muro, in fondo alla bottega, e cerc di baciarla. Volle il caso che proprio in quel momento entrasse Goujet. Allora Gervaise si dibatt, riusc a liberarsi. E i tre si scambiarono qualche parola, cos, come se nulla fosse. Goujet, livido in volto, aveva abbassato gli occhi, immaginando d'averli disturbati, e che Gervaise si fosse tanto dibattuta solo per non essere baciata di fronte ad altri. L'indomani la lavandaia non fece che andar su e gi per la bottega, sentendosi la pi infelice delle donne, incapace di stirare anche solo un fazzoletto. Doveva assolutamente vedere Goujet, spiegargli in che modo Lantier l'avesse costretta contro il muro. Tuttavia, da quando Etienne si trovava a Lilla, non osava pi andare alla fucina, dove Bec-Sal, detto anche Boitsans-Soif, l'accoglieva immancabilmente con un sorriso sardonico. Ma nel pomeriggio, cedendo al suo desiderio, prese una cesta vuota e usc dalla bottega con il pretesto d'andare a ritirare delle sottogonne dalla sua cliente di rue des PortesBlanches. Poi, quando fu in rue Mercadet, si mise a passeggiare su e gi, lentamente, davanti alla fabbrica di bulloni, sperando in un incontro fortuito. Evidentemente Goujet la stava aspettando, perch non era l nemmeno da cinque minuti che

usc come per caso. Toh! siete in giro a far commissioni, disse il fabbro sorridendole dolcemente. State tornando verso casa.... Diceva cos tanto per dire. Gervaise volgeva in quel momento le spalle a rue des Poissonniers. Risalirono allora verso Montmartre, fianco a fianco, senza prendersi il braccio. Sentivano soprattutto il bisogno d'allontanarsi al pi presto dalla fabbrica; non volevano dar l'impressione che si fossero dati un appuntamento davanti all'entrata. A capo basso seguivano la strada dal fondo dissestato, in mezzo al brusio delle officine. Poi, dopo duecento passi, naturalmente, come se avessero riconosciuto il posto, svoltarono a sinistra, sempre silenziosi, e s'inoltrarono in un terreno abbandonato. Fra una segheria meccanica e una manifattura di bottoni, c'era una striscia di prato ancora verde, con delle chiazze gialle d'erba bruciata: una capra, legata a un palo, vi girava attorno belando; sul fondo, un albero morto si sbriciolava al sole. Sembra davvero d'essere in campagna!, mormor Gervaise. Andarono a sedersi sotto l'albero morto. La lavandaia si mise la cesta accanto ai piedi. Di fronte a loro, Montmartre allineava le file dei suoi alti e grigi caseggiati, fra ciuffi di esili verzure; e quando rovesciavano all'indietro la testa, potevano vedere il cielo ampio, puro e ardente che sovrastava la citt, attraversato a settentrione da un volo di piccole nubi bianche. Ma la viva luce li abbagliava. Guardavano allora, diritto verso il piatto orizzonte, le terree lontananze dei sobborghi, seguendo il respiro della sottile canna fumaria della segheria meccanica, che sbuffava getti di vapore. E quei profondi sospiri sembravano dar sollievo al loro cuore martoriato. S, disse Gervaise imbarazzata da quel silenzio, stavo facendo delle commissioni, ero uscita.... Dopo aver tanto desiderato una spiegazione, tutt'a un tratto non riusciva pi a parlare. Si sentiva schiacciata dalla vergogna. Eppure sapeva che eran venuti fin l appunto per discorrere di quella faccenda, e che anzi lo stavano gi facendo, pur senza scambiarsi una sola parola. Il fatto del giorno prima incombeva fra loro come un peso che li opprimesse. Allora, colta da un'atroce tristezza, con le lacrime agli occhi, raccont l'agonia della signora Bijard, la sua lavandaia, morta quella stessa mattina dopo terribili sofferenze. tutto cominciato con un calcio che le ha dato Bijard, cominci a dire con una voce dolce e incolore. Le si gonfiato il ventre. Doveva averle rotto qualcosa dentro. Mio Dio! tre giorni passati fra le peggiori torture!... Ci sono in galera dei farabutti che non sono arrivati a tanto... Ma la giustizia avrebbe troppo da fare se s'occupasse di tutte le donne che crepano per colpa dei mariti. Un calcio di pi, un calcio di meno, fa poca differenza, quando se ne prendono tutti i giorni!... Tanto pi che la povera donna voleva salvare il suo uomo dalla forca, e raccontava a tutti che s'era fatta male al ventre scivolando su un mastello... Ha urlato per tutta la notte prima d'andarsene. Il fabbro taceva, strappava dei fili d'erba con le dita contratte.

Nemmeno quindici giorni fa, continu Gervaise, aveva svezzato l'ultimo figlio, Jules, e almeno questa una fortuna, perch il bambino non ne risentir... Che importa! il fatto che quella ragazzina, Lalie, si trova adesso con due marmocchi sulle spalle... Ha appena otto anni, ma gi seria e giudiziosa come una vera mammina. Ma con tutto ci il padre la picchia a sangue... Ah! davvero, s'incontrano degli esseri che sembrano nati apposta per soffrire!. Goujet la guard, e disse all'improvviso con le labbra tremanti: Mi avete molto addolorato, ieri, oh! s, mi avete molto addolorato!.... Gervaise era impallidita, si stringeva le mani. Ma l'altro continu: Lo so, prima o poi doveva avvenire... Ma avreste dovuto confidarvi con me, informarmi di come stavano le cose, per non lasciarmi con certe idee per la testa.... Ma non pot finire. Gervaise s'era alzata, comprendendo che anche Goujet la credeva caduta di nuovo fra le braccia di Lantier, come sosteneva tutto il quartiere. E grid tendendo le mani: No, no, ve lo giuro... Si, vero, mi stringeva, stava per baciarmi, ma la sua faccia non ha nemmeno sfiorato la mia, ed era la prima volta che cercava di farlo... Oh! ecco, ve lo giuro sulla mia vita, su quella dei miei figli, su tutto ci che ho di pi sacro!. Ma il fabbro scuoteva la testa. Diffidava, perch le donne negano sempre. Allora Gervaise assunse un'aria ancora pi grave, e disse pacatamente: Mi conoscete, signor Goujet, non sono una bugiarda... Ebbene! no, non come credete, parola d'onore!... Non succeder mai, capite? mai! Il giorno che accadesse, diventerei la peggiore delle donne, non meriterei pi l'amicizia d'un uomo onesto come voi. E aveva, parlando, un'espressione cos bella e cos piena di franchezza, che il fabbro le prese la mano e la fece di nuovo sedere. Adesso tornava a respirare pi liberamente, sorrideva dentro di s. Era la prima volta che le teneva in quel modo la mano, stringendola nella sua. Rimasero entrambi in silenzio. Nel cielo, il volo delle nubi bianche si spostava nuotando con una lentezza di cigno. In fondo al campo la capra, rivolta verso di loro, li guardava mandando a intervalli lunghi e regolari un dolcissimo belato. E senza lasciarsi le dita, con gli occhi colmi di tenerezza, si perdevano in lontananza, sulle livide pendici di Montmartre, in mezzo all'alta selva dei comignoli delle officine che rigavano l'orizzonte, in quella periferia grigia e desolata, dove i verdi boschetti delle bettolacce sembravano commuoverli fino alle lacrime. Vostra madre ce l'ha con me, lo so, riprese Gervaise a voce pi bassa. Non dite di no... Con tutti i soldi che le dobbiamo!.... Goujet si mostr allora brutale, pur di farla tacere. Le strinse la mano tanto da stritolargliela. Non voleva che parlasse del denaro. Poi esit, e fin per borbottare:

Ascoltatemi, da molto che penso di proporvi una cosa... Siete infelice. Mia madre sostiene che le cose si mettono male per voi.... Si ferm, come oppresso. Ebbene! dobbiamo andarcene via insieme!. Gervaise lo guard, non riuscendo a capir subito di cosa parlasse, sorpresa da quella dichiarazione d'un amore su cui l'altro aveva sempre taciuto. Come?, domand. S, continu il fabbro a testa bassa, andremo via da qui, a vivere da qualche altra parte, in Belgio se volete... quasi il mio paese... Lavorando tutti e due, in poco tempo riusciremo a cavarcela bene. Allora Gervaise arross. Se Goujet l'avesse stretta a s per baciarla, ne avrebbe avuto meno vergogna. Doveva proprio essere uno strano ragazzo, se aveva pensato di proporle un ratto, come nei romanzi e nell'alta societ. Oh! attorno a s vedeva degli operai corteggiare delle donne maritate, d'accordo! ma non le portavano nemmeno a Saint-Denis, la faccenda veniva sbrigata sul posto, senza tanti problemi. Ah! signor Goujet, signor Goujet..., mormorava senza trovare altro da dire. Insomma! ecco, saremmo soltanto noi due, riprese il fabbro. Gli altri mi danno noia, capite?... Quando sento dell'amicizia per una persona, non posso vedere quella persona con altri. Ma Gervaise, riavutasi dalla sorpresa, rifiutava adesso con aria assennata. Non possibile, signor Goujet. Sarebbe mal fatto... Sono sposata. Ho dei figli... Lo so bene che avete dell'amicizia per me e che vi faccio soffrire. Ma avremmo di certo dei rimorsi, non ne ricaveremmo alcun piacere... Sento anch'io dell'amicizia per voi, ne provo anzi troppa per permettervi di fare una sciocchezza. E lo sarebbe proprio, una sciocchezza, dico davvero... No, sentite, meglio se continuiamo cos come adesso. Ci stimiamo, i nostri sentimenti s'accordano. gi molto, e m'ha sorretto in pi di un'occasione. Quando si riesce a rimanere onesti, nella nostra posizione, si sempre ben ricompensati. Goujet l'ascoltava scrollando il capo. Le dava ragione, non poteva sostenere il contrario. A un tratto, nella piena luce del giorno, la prese fra le braccia, la strinse a s fin quasi a schiacciarla, e la baci furiosamente sul collo, come se avesse voluto divorarle la pelle. Poi la lasci andare senza chiedere altro. Non parl pi del loro amore. Gervaise si stava riavendo dall'abbraccio, e non si sentiva offesa: capiva che entrambi avevano meritato quel piccolo piacere. Il fabbro, scosso in tutto il corpo da un fremito possente, si era intanto allontanato da lei per non cedere alla tentazione di riprenderla fra le braccia; e si trascinava sulle ginocchia, quasi non sapesse che fare delle mani, cogliendo fiori di dente di leone che gettava da lontano nella cesta. In mezzo al manto d'erba bruciata, c'erano dei magnifici denti di leone gialli. Poco a poco quel gioco lo calm, lo divert. Con le dita irrigidite dal lavoro del martello, strappava delicatamente i fiori, li lanciava uno a uno, e

sorrideva con i suoi occhi di buon cane fedele ogni volta che non mancava il paniere. La lavandaia si era appoggiata all'albero morto, allegra e riposata, parlando a voce pi alta per farsi sentire nel forte ansimare della segheria meccanica. Quando lasciarono il terreno abbandonato, fianco a fianco, parlando di Etienne, che era contentissimo di vivere a Lilla, Gervaise riprese la sua cesta piena di fiori di dente di leone. In fondo Gervaise non si sentiva nei confronti di Lantier cos coraggiosa come diceva. Certo, era ben decisa a non permettergli di toccarla nemmeno con la punta delle dita; ma aveva paura, se mai l'altro fosse riuscito a toccarla, della sua debolezza d'un tempo, di quella mollezza e di quella compiacenza a cui si lasciava andare per far piacere agli altri. Ma Lantier abbandon per il momento ogni tentativo. Si ritrov diverse volte solo con lei e rimase tranquillo. Pareva adesso tutto preso dalla trippaia, una donna di quarantacinque anni, ma ben conservata. Gervaise, in presenza di Goujet, parlava sempre della trippaia per rassicurarlo. E rispondeva a Virginie e alla signora Lerat, quando queste facevano l'elogio del cappellaio, che Lantier poteva benissimo fare a meno della sua ammirazione, visto che tutte le vicine avevano una cotta per lui. |[continua]| |[CAPITOLO OTTAVO, 2]| Coupeau andava proclamando per tutto il quartiere che Lantier era un amico, uno di quelli veri. Potevano spettegolare finch volevano sul loro conto: lui sapeva quel che sapeva, se ne infischiava delle chiacchiere, dal momento che aveva l'onest dalla sua parte. La domenica, quando uscivano tutti e tre insieme, obbligava la moglie e il cappellaio a camminargli davanti, sottobraccio, tanto per fare il gradasso sotto gli occhi della gente; e guardava le persone con l'aria d'essere pronto a prenderle a schiaffi, se solo si fossero azzardate a fare il pi piccolo commento spiritoso. Certo, trovava Lantier un po' troppo vanesio, l'accusava di fare lo schifiltoso davanti all'acquavite, lo prendeva in giro perch sapeva leggere e parlava come un avvocato; ma a parte questo, sosteneva che era un tipo veramente in gamba. In tutta la Chapelle non se ne sarebbero trovati due altrettanto tosti. Quanto a loro, si comprendevano, erano fatti l'uno per l'altro. L'amicizia con un uomo sempre pi salda dell'amore con una donna. Ma bisogna anche dire che Coupeau e Lantier si concedevano insieme delle scorpacciate da rimetterci la pelle. Lantier aveva perfino incominciato a farsi prestare dei soldi da Gervaise, dieci, venti franchi, non appena sentiva in casa l'odore del denaro. Gli servivano sempre per i suoi grandi affari. Poi, in quei giorni, convinceva Coupeau, parlava d'una commissione da sbrigare lontano, lo portava con s; e una volta seduti a tavola, naso a naso, in fondo a qualche ristorante vicino, s'ingozzavano di tutti quei piatti che non potevano mangiare a casa, innaffiandoli con bottiglie di vino sigillato. Lo zincatore avrebbe preferito delle abboffate pi alla buona, ma era impressionato dai gusti

aristocratici del cappellaio, che in ogni men riusciva sempre a trovare le salse dal nome pi straordinario. Era difficile immaginare un altro dal palato cos delicato e incontentabile. Pare che siano tutti cos nel Mezzogiorno. Per esempio, non voleva cibi troppo piccanti, e discuteva ogni intingolo dal punto di vista della salute, facendo portare indietro la carne quando gli sembrava o troppo salata o con troppo pepe. Non parliamo poi delle correnti d'aria: ne aveva una paura indiavolata, e strapazzava tutto l'esercizio se solo una porta era rimasta socchiusa. Era inoltre avarissimo, lasciava due soldi di mancia al cameriere per pasti di sette o otto franchi. Ma che importa! davanti a lui si tremava, ed era ben conosciuto sui boulevards esterni, da Batignolles a Belleville. In Grand-Rue des Batignolles, andavano a mangiare la trippa alla moda di Caen, servita su piccoli scaldavivande. In fondo a Montmartre, trovavano alla Ville de Bar-le-Duc le migliori ostriche del quartiere. Quando s'arrischiavano fino in cima a Montmartre, al Moulin de la Galette cuocevano un coniglio al salto apposta per loro. In rue des Martyrs, i Lilas avevano la specialit della testina di vitello, mentre alla chausse Clignancourt, i ristoranti del Lion d'or e dei Deux Marronniers servivan loro dei rognoni saltati da leccarsi le dita. Ma giravano il pi delle volte verso sinistra, dalla parte di Belleville, dove avevano un tavolo riservato ai Vendanges de Bourgogne, al Cadran Bleu e al Capucin, locali di fiducia dove si poteva prender di tutto a occhi chiusi. Erano escursioni fatte alla chetichella, e di cui parlavano l'indomani con allusioni velate, sbocconcellando le patate di Gervaise. Un giorno Lantier port con s una donna al Moulin de la Galette, e Coupeau li lasci soli in un boschetto subito dopo il dessert. Ma naturalmente non si pu al tempo stesso far baldoria e lavorare. Cos, da che il cappellaio era entrato a far parte della famiglia, lo zincatore, che gi prima si dedicava fin troppo volentieri al dolce far niente, aveva finito per non prendere pi in mano nemmeno uno dei suoi arnesi. Quando accettava ancora d'andare a lavorare, stanco di trascinarsi per casa in ciabatte, il compagno andava a snidarlo sul cantiere, lo sbeffeggiava a morte trovandolo appeso in cima alla sua corda a nodi come un prosciutto affumicato; e gli gridava di scendere a farsi un bicchierino. Era la regola: lo zincatore lasciava il lavoro e cominciava a fare un giro di tutte le bettole che durava per giornate e settimane intere. Oh! erano davvero dei vagabondaggi senza fine, una rassegna generale di tutte le osterie del quartiere, la sbornia del mattino smaltita a mezzogiorno e riacchiappata la sera; i giri d'acquavite si moltiplicavano, si perdevano nella notte, come i lampioni d'una festa, finch l'ultima candela non si spegne insieme all'ultimo bicchiere! Ma quell'animale del cappellaio non andava mai fino in fondo. Lasciava che l'altro si ubriacasse, lo mollava in asso, e tornava verso casa sorridendo con la sua aria pi amabile. Era tutt'al pi un po' alticcio, ma con decenza, senza che la cosa si vedesse. Per chi lo conosceva bene, era possibile accorgersene soltanto dagli occhi che si facevano pi stretti e dai suoi modi pi intraprendenti con le donne. Lo zincatore diventava al

contrario assolutamente disgustoso, non poteva pi bere senza ridursi in uno stato davvero ignobile. Verso i primi di novembre, Coupeau si lasci appunto trascinare in uno di questi pellegrinaggi, e la cosa fin nel pi orribile dei modi sia per lui che per gli altri. Il giorno prima lo zincatore aveva finalmente trovato lavoro. Lantier era questa volta tutto pieno di buoni sentimenti; predicava le virt del lavoro, perch il lavoro nobilita l'uomo. Quel mattino si svegli perfino all'alba, e accompagn l'amico fino al cantiere, con fare austero, onorando in lui l'operaio veramente degno di questo nome. Ma arrivati davanti alla Petite Civette, che apriva proprio allora, entrarono a prendere una prugna, non pi di una, tanto per annaffiare insieme la ferma risoluzione d'una buona condotta. Di fronte al bancone, seduto su uno sgabello, con la schiena contro il muro, Bibi-la-Grillade fumava la pipa con aria annoiata. Toh! Bibi che fa lo sfaticato!, disse Coupeau. Si batte la fiacca, vecchio mio?. No, no, rispose il compagno stirandosi le braccia. Ma i padroni fanno davvero schifo... Ieri ho mandato al diavolo il mio... Non sono che dei crapuloni, delle canaglie.... E Bibi-la-Grillade accett una prugna. Doveva starsene l, seduto sullo sgabello, proprio ad aspettare che qualcuno gli offrisse da bere. Lantier s'era messo a difendere i padroni: si trovano a volte in un mare di guai, ne sapeva qualcosa lui, che s'era da poco ritirato dagli affari. Che razza di manigoldi, gli operai! sempre a far baldoria, a infischiarsene del lavoro, a mollarvi nel bel mezzo d'una ordinazione, a rifarsi vivi solo quando son rimasti senza il becco d'un quattrino! Per esempio, gli era capitato un Piccardo che aveva la mania d'andare in giro in carrozza; proprio cos, appena intascava la sua settimana, prendeva il fiacre per giornate intere. Da quando in qua gli operai avevano dei gusti del genere? Poi, a un tratto, Lantier cominci a prendersela anche con i padroni. Oh! lui vedeva le cose chiaramente, diceva ad ognuno la verit che si meritava. Una sporca razza, tutto sommato, degli sfruttatori senza vergogna, divoratori di carne umana! Lui almeno, grazie a Dio, poteva dormire con la coscienza tranquilla, perch s'era sempre comportato da amico con i suoi uomini, anche a costo di non guadagnare dei milioni come facevano gli altri. Andiamo, ragazzo mio, disse rivolgendosi a Coupeau. Bisogna aver giudizio, o finiremo per arrivare tardi. Bibi-la Grillade usc insieme a loro, le braccia penzoloni. Fuori, l'alba stava appena spuntando, un'alba livida e insudiciata dal riflesso fangoso del lastricato; il giorno prima aveva piovuto, ma il tempo era adesso dolcissimo. Avevano spento da poco i lampioni a gas; rue des Poissonniers, su cui ondeggiavano ancora brandelli di notte come strozzati fra una casa e l'altra, cominciava a risuonare del sordo scalpiccio degli operai che scendevano verso Parigi. Coupeau, con la sua sacca da zincatore passata a tracolla, camminava con l'aria spavalda di chi sa come cavarsela, una volta tanto. Bibi, vuoi venire a lavorare anche tu? Il padrone mi ha detto di portare un altro operaio, se lo trovavo.

Grazie, rispose Bibi-la-Grillade, ma ho bisogno di depurarmi... Proponilo piuttosto a Mes-Bottes, che cercava ieri un buco qualunque dove lavorare... Aspetta, lo troviamo sicuramente l dentro. E quando arrivarono in fondo alla strada, videro infatti MesBottes da pap Colombe. Bench fosse ancora molto presto, l'Assommoir era gi tutto sfolgorante di luce, con le imposte levate e il gas acceso. Lantier rest sulla porta, e raccomand a Coupeau di spicciarsi perch avevano al massimo ancora dieci minuti. Come! vai da quella canaglia di Borgognone!, strill MesBottes dopo che lo zincatore ebbe parlato. Farmi cacciare in una trappola del genere? No, preferirei piuttosto aver la lingua di fuori fino all'anno che viene... E anche tu, vecchio mio, ci resisterai a dir tanto tre giorni, meglio che tu lo sappia subito!. Ma davvero una trappola del genere?, domand Coupeau evidentemente preoccupato. Oh! mai visto niente di pi schifoso... Non ci si pu muovere. E quella bestia del padrone ti sta sempre addosso. Poi, come se non bastasse, certi modi di trattare la gente, la moglie del padrone che ti guarda come se fossi un ubriacone, un posto dove non si pu nemmeno sputare... Li ho mandati a quel paese fin dalla prima sera, capisci?. Bene! almeno m'hai avvisato. Non credo che mi fermer molto da loro... Adesso vado solo a tastare il terreno; ma se il padrone mi secca, l'agguanto per il collo e lo metto a sedere sulla moglie, sai, incollati come un paio di suole!. Lo zincatore stringeva la mano al compagno per ringraziarlo d'averlo messo in guardia; e stava gi per allontanarsi, quando tutt'a un tratto Mes-Bottes mont su tutte le furie. Fulmini del cielo! era mai possibile che il Borgognone dovesse impedir loro di farsi almeno un bicchierino? Gli uomini non erano allora pi uomini? Quell'animale del padrone poteva anche aspettare per altri cinque minuti. Lantier entr per accettare il giro, e i quattro operai rimasero in piedi davanti al bancone. Mes-Bottes, con le scarpe rotte, la casacca nera di sudiciume, il berretto schiacciato sulla zucca, sbraitava e gettava delle occhiate da padrone per tutto l'Assommoir. Era stato appena acclamato imperatore degli ubriaconi e re dei porci, perch aveva mangiato un'insalata di maggiolini vivi e addentato un gatto morto. Sentite un po', specie di Borgia!, grid a pap Colombe, dateci di quella gialla, un po' del vostro piscio d'asino numero uno. E quando pap Colombe, pallido e tranquillo nella sua maglia azzurra, ebbe riempito i quattro bicchieri, quei signori li svuotarono in un lampo, perch il liquore non svaporasse. Questa roba fa sempre bene quando la si manda gi, mormor Bibi-la-Grillade. Ma quell'animale di Mes-Bottes ne stava raccontando una davvero comica. Il venerd era cos ubriaco che i suoi compagni gli avevano murato la pipa in bocca con una manciata di gesso. Un altro ne sarebbe crepato; lui alzava le spalle, si pavoneggiava.

I signori ne vogliono ancora?, domand pap Colombe con la sua voce un po' untuosa. S, ancora, lo stesso, disse Lantier. Adesso tocca a me. Si erano messi a parlare di donne. La domenica precedente, Bibi-la-Grillade aveva portato la sua ganza a Montrouge, da una zia. Coupeau domand notizie della Malles-des-Indes, una lavandaia di Chaillot ben conosciuta in tutto l'esercizio. Stavano per bere, quando Mes-Bottes chiam ad alta voce Goujet e Lorilleux che passavano. I due uomini s'avvicinarono alla porta ma rifiutarono d'entrare. Il fabbro non sentiva bisogno di prendere nulla. Il fabbricante di catenelle, livido e tremante, stringeva in tasca le catenine d'oro che andava a consegnare; e tossiva, si scusava, dicendo che un bicchierino d'acquavite l'avrebbe definitivamente sfiancato. Ma che tartufi!, grugn Mes-Bottes. Scommetto che s'abboffano e s'ubriacano di nascosto. E dopo aver messo il naso nel suo bicchiere, se la prese con pap Colombe. Vecchia canaglia, hai cambiato litro!... Se credi di poterlo fare con me, di far pasticci con l'acquavite!.... Si era ormai fatto giorno, un fioco chiarore illuminava l'Assommoir, mentre il padrone spegneva il gas. Coupeau stava intanto giustificando il cognato che non poteva bere; non dovevano del resto fargliene una colpa. Approvava anche Goujet: era una bella fortuna non aver mai sete. E parlava d'andare a lavorare, quando Lantier, con la sua grand'aria da uomo come si deve, gli diede una lezione: doveva almeno pagare il suo giro prima di filarsela; non poteva mollare in asso gli amici come un codardo, nemmeno per andare a compiere il proprio dovere. Ma quanto ci stufa con il suo lavoro!, protest Mes-Bottes. Allora, il giro del signore?, domand pap Colombe a Coupeau. Lo zincatore pag il suo giro. Ma quando venne la volta di Bibi-la-Grillade, questi si chin all'orecchio del padrone, che manifest il suo rifiuto con un lento cenno dei capo. Mes-Bottes cap e incominci a inveire contro quel serpente velenoso di pap Colombe. Come! un miserabile della sua specie si permetteva d'usare quelle maniere con un suo compagno? Tutti i mercanti d'acquavite facevano credito! Bisognava capitare in una bettola del genere per essere insultati! Il padrone restava calmo, si dondolava poggiando i grossi polsi sull'orlo del bancone, e ripeteva gentilmente: Prestate del denaro al signore, sar pi semplice. In nome di Dio! s, glielo presto!, url Mes-Bottes. Toh! Bibi, gettagli i suoi quattrini in gola, a questo venduto!. Poi, ormai lanciato, irritato dalla sacca che Coupeau aveva tenuto a tracolla, continu rivolgendosi allo zincatore: Assomigli a una balia. Molla un po' il tuo pupo. Ti fa sembrare gobbo. Coupeau esit per un attimo; poi tranquillamente, come se si fosse deciso dopo una lunga riflessione, pos la sacca per terra, dicendo: Ormai troppo tardi. Andr dal Borgognone dopo pranzo.

Gli dir che mia moglie ha avuto delle coliche Ascoltate, pap Colombe, lascio i miei arnesi sotto questo sedile, li riprender verso mezzogiorno. Lantier approv questa soluzione con una scrollatina del capo. Si deve lavorare, su questo non c' il minimo dubbio. Tuttavia, quando ci si trova fra amici, l'educazione dovrebbe sempre averla vinta su tutto. Una smania di far baldoria s'era impadronita di colpo dei quattro operai, lasciandoli come intorpiditi, con le mani pesanti, ad ammiccarsi l'un l'altro. E quand'ebbero davanti a loro cinque ore d'ozio, furono presi a un tratto da una gioia chiassosa; s'allungarono delle manate, si gridarono in faccia delle parole affettuose. Soprattutto Coupeau, sollevato, ringalluzzito, chiamava gli altri miei vecchi rampolli. Annaffiarono ancora con un giro generale, poi andarono alla Puce qui renifle, una bettoluccia con tanto di biliardo. Il cappellaio arricci per un attimo il naso, perch si trattava di un locale non molto pulito: lo schnick costava un franco al litro, dieci soldi un mezzolitro in due bicchieri; e i frequentatori del locale avevano a tal punto insudiciato il biliardo che le palle vi restavano come incollate. Ma una volta incominciata la partita, Lantier, che aveva una steccata davvero micidiale, ritrov il suo garbo e il suo buonumore, mettendo fuori il petto e accompagnando con un bel movimento dei fianchi ogni carambola. Quando venne l'ora di mangiare, Coupeau ebbe un'idea. Batt i piedi gridando: Dobbiamo andare a prendere Bec-Sal. Lo so dove lavora... Lo porteremo a mangiare degli zampetti di montone in salsa bianca da mamma Louis. L'idea venne approvata con calore. S, Bec-Sal, detto anche Boit-sans-Soif, doveva certo aver bisogno di mangiare degli zampetti di montone in salsa bianca. Uscirono. Le strade erano gialle, cadeva una pioggerellina sottile; ma erano fin troppo infiammati dentro per poter sentire quella leggera innaffiatura sui loro vestiti. Coupeau li port in rue Mercadet, alla fabbrica di bulloni. E poich vi arrivarono almeno mezz'ora prima dell'uscita, lo zincatore diede due soldi a un monello, perch andasse a dire a Bec-Sal che la moglie stava male e lo voleva d'urgenza. Il fabbro comparve subito, dondolandosi, con l'aria tranquilla, gi pregustando una bella mangiata. Ah! che razza di ubriaconi!, disse appena li vide nascosti sotto un portone. Lo sapevo... Bene! che si mangia?. Da mamma Louis, mentre succhiavano gli ossicini degli zampetti, il discorso torn a cadere di nuovo sui padroni. BecSal, detto anche Boit-sans-Soif, raccontava che nella sua officina c'era un'ordinazione urgente. Oh! per il momento il padrone era di manica larga; anche se non si presentavano quando li chiamava, restava gentile, doveva stimarsi gi fortunato se qualcuno alla fine tornava. Del resto, non c'era pericolo che un padrone osasse mettere alla porta Bec-Sal, detto anche Boit-sans-Soif, perch se ne trovavano pochi di operai con le sue capacit. Dopo gli zampetti, mangiarono una frittata. Ciascuno bevve il suo litro. Mamma Louis faceva venire il vino dall'Auvergne, un vino color rosso sangue che si poteva

tagliare con il coltello. La cosa cominciava a farsi divertente, la compagnia si accendeva. Volete sapere cosa ha fatto per farmi imbestialire, quel povero cristo del mio padrone?, grid Bec-Sal al dessert. Non gli venuta l'idea d'attaccare una campana nella sua baracca?... La campana va bene per gli schiavi... Bene! pu anche farla suonare per tutto il giorno, oggi! Mi colga un fulmine se mi lascio rimettere all'incudine! Sono cinque giorni che mi ci ammazzo sopra di fatica, posso anche starmene un po' a far niente... Se solo s'azzarda a farmi una multa, lo mando a quel paese!. Sono costretto a lasciarvi, disse Coupeau con un'aria d'importanza, vado a lavorare... S, l'ho giurato a mia moglie... Divertitevi, il mio cuore resta con voi, lo sapete. Gli altri lo burlavano. Ma lo zincatore sembrava cos deciso che l'accompagnarono a riprendere i suoi arnesi da pap Colombe. Prese la sacca da sotto il sedile e se la mise davanti, mentre bevevano un ultimo bicchiere. All'una la compagnia si stava ancora offrendo dei giri. Allora Coupeau, con un gesto di noia, rimise gli arnesi sotto il sedile: gli davano fastidio, non poteva avvicinarsi al bancone senza inciamparvi. E poi era assurdo: sarebbe andato il giorno dopo dal Borgognone. Gli altri quattro, che litigavano sulla questione salariale, non si stupirono quando lo zincatore, senza alcuna spiegazione, propose un giretto sul boulevard, tanto per sgranchirsi un po' le gambe. Non pioveva pi. Il giretto dur in tutto duecento passi. Camminavano sulla stessa fila, con le braccia ciondoloni, senza aver pi nulla da dirsi, sorpresi dalla luce, irritati dal trovarsi all'aperto. Lentamente, senza doversi nemmeno consultare a colpi di gomito, risalirono come istintivamente rue des Poissonniers, ed entrarono da Franois a scolarsi qualche bottiglia. Ne avevano davvero bisogno per rimettersi in forze. A star per strada veniva una immensa tristezza; il fango era tale che non si sarebbe messo alla porta nemmeno una guardia municipale. Lantier spinse i compagni nel fondo del locale, in uno stanzino stretto e occupato da un solo tavolino, separato dalla sala comune con un tramezzo a vetri smerigliati. Era sempre l che prendeva le sue piccole sbornie, perch gli pareva meno indecoroso. I compagni ne erano contenti oppure no? Ci si poteva credere a casa propria, ci si poteva addormentare senza mettersi in soggezione. Chiese il giornale, lo apr e cominci a leggerlo aggrottando le sopracciglia. Coupeau e Mes-Bottes avevano iniziato una partita a picchetto. Due litri e cinque bicchieri sbadigliavano sul tavolino. E allora? cosa raccontano su quel foglio?, domand Bibi-laGrillade al cappellaio. Questi non rispose subito. Poi, senza alzare gli occhi: Mi sto occupando della Camera. Che repubblicani da quattro soldi, quei maledetti fannulloni della sinistra! Forse che il popolo li nomina per farsi poi asfissiare dalla loro aria fritta?... Crede in Dio, questo qui, e fa delle moine a quelle canaglie dei ministri! Se fossi eletto io, salirei in tribuna e direi: Merda! S, nient'altro, la mia opinione!. Sapete che Badinguet s' preso a schiaffi con la moglie,

l'altra sera, davanti a tutta la corte?, raccont Bec-Sal, detto anche Boit-sans-Soif. Parola d'onore! E cos, per nulla, a forza di punzecchiarsi... Badinguet era ubriaco. Ma lasciateci in pace con la vostra politica!, grid lo zincatore. Leggete piuttosto di qualche bell'assassinio, pi divertente!. E ritornando alla sua partita, annunci una terza ai nove e tre donne: Ho una terza alla fogna e tre colombe... Le crinoline non mi vogliono lasciare. Svuotarono i bicchieri. Lantier si mise a leggere ad alta voce: Un orribile misfatto ha gettato il terrore nel comune di Gaillon (Seine-et-Marne). Un giovane ha ucciso il padre a colpi di zappa, per rubargli trenta soldi.... Tutti lanciarono un grido d'orrore. Eccone uno che sarebbero andati a veder giustiziare con piacere! No, la ghigliottina non bastava; avrebbero dovuto farlo a pezzettini. Una storia d'infanticidio li disgust del pari; ma il cappellaio, buon moralista, giustific la donna mettendo tutti i torti dalla parte del seduttore: perch, insomma, se quel libertino non le avesse messo in pancia un marmocchio, quella sventurata non ne avrebbe mai avuto uno da buttare nella latrina. Ma ci che li entusiasm furono le gesta del Marchese di T, che uscendo da un ballo alle due del mattino, s'era difeso dall'attacco di tre teppisti sul boulevard des Invalides, senza nemmeno levarsi i guanti; s'era sbarazzato dei primi due scellerati a colpi di testa nel ventre e aveva condotto il terzo al posto di polizia, tirandolo per un orecchio. Eh! che grinta! Peccato solo che fosse un nobile. State a sentire, continu Lantier. Passo alle notizie sull'alta societ. "La contessa di Brtigny sposa la figlia maggiore al barone di Valanay, aiutante di campo di Sua Maest. Ci sono fra i regali di nozze pi di trecentomila franchi di merletti". Che ce ne importa!, l'interruppe Bibi-la-Grillade. Non vogliamo di certo sapere di che colore hanno la camicia... La piccola ha un bell'avere tutti quei merletti, vedr sempre la luna dallo stesso buco delle altre!. E poich Lantier sembrava intenzionato a proseguire nella sua lettura, Bec-Sal, detto anche Boit-sans-Soif, gli tolse il giornale di mano e ci si mise a sedere sopra, dicendo: Ah! no, basta!... Eccolo al caldo... La carta non sta bene che qua sotto!. Intanto Mes-Bottes, che guardava il suo gioco, dava un pugno sul tavolino in segno di trionfo. Aveva fatto novantatr. Ho la Rivoluzione!, grid. Quinta mangiona che porta il trifoglio alla vacca... Venti, giusto?... Poi terza maggiore di mattoni, e fa ventitr; tre buoi, ventisei; tre gobbi, ventinove; tre guerci, novantadue... Adesso gioco l'Anno uno della Repubblica, e faccio novantatr!. Sei fregato, vecchio mio, gridarono gli altri a Coupeau. Ordinarono dei nuovi litri. I bicchieri erano sempre pieni, i vapori del vino salivano. Verso le cinque la cosa cominci a farsi un po' disgustosa, tanto che Lantier aveva smesso di parlare e

pensava gi di svignarsela; quando ci si metteva a strillare e si rovesciava il vino per terra, finiva sempre per sentirsi a disagio. Ma proprio in quel momento Coupeau si alz e si fece il segno della croce degli ubriaconi. Sulla fronte disse Montparnasse, alla spalla destra Menilmonte, a quella sinistra La Courtille, in mezzo al petto Bagnolet, e alla bocca dello stomaco tre volte coniglio in fricassea. Allora il cappellaio, approfittando del chiasso sollevato da un cos pio esercizio, prese tranquillamente la porta. I compagni non s'accorsero nemmeno della sua fuga. Lantier aveva una bella sbornia; ma una volta all'aperto, si riscosse, ritrov tutta la sua disinvoltura; e rientr senza problemi nella bottega, dove raccont a Gervaise che Coupeau era con degli amici. Passarono due giorni. Lo zincatore non era ricomparso. Batteva il quartiere, non si sapeva bene dove. Delle persone dicevano d'averlo visto da mamma Baquet, al Papillon, al Petit bonhomme qui tousse. Ma gli uni assicuravano che era da solo, mentre gli altri l'avevano incontrato in compagnia di sette o otto ubriaconi della sua specie. E Gervaise alzava le spalle con aria rassegnata. Mio Dio! doveva pur farci l'abitudine! Non correva appresso al suo uomo; anzi, se lo vedeva da un vinaiolo, faceva un giro per non farlo imbestialire; e tuttavia aspettava sempre che tornasse, rimanendo in ascolto la notte se per caso non stesse russando davanti alla porta. Coupeau si metteva a dormire dovunque gli capitasse, su un mucchio di immondizie, su una panchina, in un terreno abbandonato, di traverso in un rigagnolo. L'indomani, con la sua sbronza del giorno prima non ancora smaltita, ripartiva, batteva alle imposte delle bettole, si lanciava nuovamente in una corsa furiosa, in mezzo ai bicchierini, ai bicchieri e ai litri, perdendo e ritrovando i suoi amici, spingendosi in spedizioni da cui tornava con gli occhi pieni di stupore, vedendo ballare le vie, cadere la notte e nascere il giorno senza altra idea se non quella di bere e di smaltire la sbornia sul posto. Quando l'aveva smaltita, la faccenda era chiusa. Tuttavia, il secondo giorno, Gervaise and all'Assommoir di pap Colombe in cerca di notizie; lo avevano visto cinque volte, non potevano dirle di pi. S'accontent di portar via la sacca degli arnesi, che era rimasta sotto il sedile. La sera Lantier, vedendo la lavandaia addolorata, le propose d'accompagnarla al caff-concerto, cos, tanto per passare qualche momento allegro. Dapprima Gervaise rifiut, non si sentiva in vena di ridere. Altrimenti non avrebbe detto di no, anche perch il cappellaio le aveva fatto il suo invito con un'aria tanto onesta, da non darle modo di sospettare un tranello. Lantier sembrava partecipare alla sua disgrazia e si mostrava davvero paterno. Coupeau non aveva mai dormito fuori casa per due notti di fila. Cos, quasi senza volerlo, ogni dieci minuti andava a piantarsi sulla porta senza abbandonare il suo ferro. Guardava da un capo all'altro della strada per vedere se il suo uomo non stesse per caso arrivando. A quel che diceva, sentiva nelle gambe come dei pizzichii che le impedivano di star ferma. Certo, Coupeau poteva rompersi il collo, cadere sotto una carrozza e restarci secco; e lei se ne sarebbe sbarazzata con piacere, perch proibiva a se stessa di conservare nel cuore il

minimo affetto per uno sporco figuro del genere. Ma alla fine era veramente una scocciatura starsi sempre a domandare se sarebbe o non sarebbe tornato a casa. E quando si accese il gas, poich Lantier insisteva a parlarle del caff-concerto, fin per accettare. In fin dei conti le sembrava d'essere troppo sciocca a negarsi quel piccolo divertimento, mentre da tre giorni il marito menava una vita da vero pulcinella. Visto che non tornava, sarebbe uscita anche lei. Tutta la baracca poteva anche bruciare, se voleva. Avrebbe dato fuoco lei stessa a tutto quel ciarpame, tanto ne aveva fin sopra gli occhi di tutte le noie della vita. Cenarono in fretta. Uscendo alle otto sottobraccio al cappellaio, Gervaise preg mamma Coupeau e Nan d'andare subito a letto. La bottega era chiusa. La lavandaia usc dalla porta del cortile, e affid la chiave alla signora Boche dicendole che, se quel porco del suo uomo fosse tornato, le facesse la gentilezza di metterlo a dormire. Il cappellaio l'aspettava sotto il portone, tutto elegante, fischiettando una canzone. Gervaise indossava il suo vestito di seta. Seguirono lentamente il marciapiede, camminando stretti stretti, rischiarati dalla luce che usciva dalle botteghe, parlandosi sottovoce e con un sorriso. Il caff-concerto si trovava sul boulevard de Rochechouart. Era un piccolo e vecchio caff che era stato poi ingrandito, dalla parte del cortile, con una baracca di assi. Sulla porta un cordone di palle di vetro disegnava una sorta di porticato luminoso. Lunghi manifesti, incollati su pannelli di legno, erano appoggiati a terra, all'altezza del rigagnolo. Siamo arrivati, disse Lantier. Questa sera, debutto della signorina Amanda, cantante di genere. Ma s'accorse di Bibi-la-Grillade, che stava leggendo a sua volta il manifesto. Bibi aveva un occhio pesto, qualche pugno beccato chiss dove il giorno prima. Ebbene! e Coupeau?, domand il cappellaio guardandosi attorno, avete dunque perso Coupeau?. Oh! da un bel po' di tempo, da ieri, rispose l'altro. Se le son date, uscendo da mamma Baquet. A me non piacciono gli scherzi con le mani... Sapete? stato con il cameriere di mamma Baquet, ci son state delle spiegazioni a proposito d'un litro che ci voleva far pagare due volte... Sono filato via, sono andato a schiacciare un sonnellino. Sbadigliava ancora, aveva dormito per diciotto ore di fila. Ma la sbornia gli era passata del tutto; aveva l'aria inebetita, e la sua vecchia giacca era piena di peli, poich doveva essersi buttato sul letto completamente vestito. E non avete idea di dove sia mio marito, signore?, chiese allora la lavandaia. Ma no, non ne so nulla... Erano le cinque quando siamo usciti da mamma Baquet. Ecco!... Sar forse andato in fondo alla via. S, mi sembra proprio d'averlo visto entrare al Papillon con un cocchiere... Oh! che stupido! davvero capace di farsi ammazzare!. Lantier e Gervaise passarono una piacevolissima serata al caff-concerto. Alle undici, quando chiuse il locale, tornarono verso casa gironzolando senza fretta. Il freddo era pungente, le

gente si ritirava a frotte, e si sentivano delle fanciulle che scoppiavano a ridere, laggi, sotto gli alberi, nell'ombra, agli scherzi degli uomini che si facevano troppo vicini. Lantier canticchiava a fior di labbra una delle canzonette della signorina Amanda: Mi pizzica nel naso. Gervaise, stordita, come ubriaca, ripeteva il ritornello. Aveva avuto molto caldo per tutta la sera. Le due bevande che aveva preso le rimescolavano lo stomaco, insieme al fumo delle pipe e all'odore di tutta quella gente ammucchiata. Ma soprattutto portava in s una forte impressione della signorina Amanda. Mai avrebbe osato esporsi cos nuda sotto gli occhi del pubblico. Bisognava essere onesti: quella dama aveva una pelle da fare invidia. E mentre Lantier entrava nei pi intimi particolari della vita della persona in questione, con l'aria di chi avesse potuto contarle le costole in privato, Gervaise l'ascoltava con una sorta di curiosit sensuale. Dormono tutti, disse dopo aver suonato tre volte, senza che i Boche avessero tirato la corda. Il portone si apr, ma l'androne era buio; e quando la lavandaia batt ai vetri della guardiola per riavere la chiave, la portinaia, tutta assonnata, le raccont una lunga storia di cui sulle prime non riusc a capir nulla. Finalmente comprese che la guardia municipale Poisson aveva riportato a casa Coupeau in uno stato da far piet, e che la chiave doveva essere nella serratura. Santo cielo!, mormor Lantier quando furono entrati, ma che ha combinato? un vero porcile!. Il fetore era davvero insopportabile. Gervaise, cercando dei fiammiferi, camminava su qualcosa di bagnato. Quando riusc ad accendere una candela, ai loro occhi si present un incredibile spettacolo. Lo zincatore aveva vomitato anche le budella. La camera ne era inondata, il letto e il tappeto impiastricciati, il cassettone stesso ne era tutto schizzato. E Coupeau, caduto dal letto in cui Poisson doveva averlo gettato, russava beatamente in mezzo alle sue lordure. Vi era disteso, stravaccato come un porco, con una guancia imbrattata; e un respiro appestato gli usciva dalla bocca spalancata, mentre i capelli gi grigi spazzavano la pozza che s'allargava attorno al suo capo. Oh! che porco! che porco!, ripeteva Gervaise indignata, esasperata. Ha insudiciato tutto... No, un cane non l'avrebbe fatto, la carogna d'un cane fa meno schifo!. Nessuno dei due osava muoversi, non sapevano dove mettere i piedi. Lo zincatore non era mai tornato a casa con una sbornia del genere, non aveva mai ridotto la camera in quello stato. Quella scena portava un duro colpo al sentimento che la moglie poteva ancora nutrire per lui. In altri tempi, quando il marito rientrava un po' brillo o ubriaco, Gervaise si mostrava compiacente e non nauseata. Ma ormai era troppo, il suo cuore si ribellava. Non l'avrebbe toccato nemmeno con le molle. La sola idea che la pelle di quel maiale potesse sfiorare la sua, la riempiva d'orrore, come se le avessero imposto di sdraiarsi accanto al corpo d'un morto, sconciato da qualche ignobile malattia. Ma dovr pur mettermi a letto anch'io, mormor. Non posso andare a dormire in mezzo alla strada Oh! cercher di

passargli sopra.... E cerc infatti di scavalcare l'ubriaco, aggrappandosi a un angolo del cassettone per non scivolare in tutta quella lordura. Coupeau ostruiva con il suo corpo tutta la zona del letto. Allora Lantier, che aveva un sorrisetto sulle labbra, sapendo bene che quella notte Gervaise non avrebbe fatto la nanna sul suo guanciale, le prese la mano e le disse con voce bassa e ardente: Gervaise... Ascoltami, Gervaise.... Ma l'altra aveva gi capito, e cerc di liberarsi, smarrita, dandogli a sua volta del tu come un tempo. No, lasciami... Te ne scongiuro, Auguste, torna in camera tua... Mi arranger, salir sul letto dalla parte dei piedi.... Gervaise, via, non fare la sciocca, insisteva Lantier. Non puoi restare qui, con tutta questa puzza... Vieni... Di cosa hai paura? Lui non ci pu certo sentire!. Ma Gervaise continuava a lottare con tutta la sua energia, diceva di no con la testa. Nel suo turbamento, come per dimostrare che avrebbe passato la notte in quella camera, si spogliava, gettava il vestito di seta su una sedia, rimaneva a un tratto in camicia e sottogonna, bianchissima, con il collo e le braccia nude. Non era forse quello il suo letto? Voleva dormire nel suo letto. Per due volte tent ancora di trovare un angolo pulito da cui passare. Ma Lantier non demordeva, la prendeva alla vita, sussurrandole delle cose che le mettevano il fuoco nelle vene. Ah! in che stato era ridotta, costretta a dibattersi fra un marito fannullone che le impediva di ficcarsi onestamente sotto le sue coperte e un porco maledetto che pensava unicamente ad approfittare della sua sventura per riaverla! E poich il cappellaio alzava la voce, lo supplic di tacere. Si mise in ascolto, con l'orecchio teso verso lo stanzino dove dormivano Nan e mamma Coupeau. La bambina e la vecchia dovevano dormire, si sentiva un respiro forte e regolare. Auguste, lasciami, le sveglierai, riprese a mani giunte. Sii ragionevole. Un altro giorno, in un altro posto... Non ora, non qui, davanti a mia figlia.... L'altro aveva smesso di parlare, ma continuava a sorridere. Quindi, lentamente, la baci sull'orecchio, come la baciava un tempo per eccitarla e stordirla. Allora Gervaise si senti abbandonare da tutte le sue forze, avvert un gran ronzio, un gran brivido che le penetrava nella carne. Ma fece di nuovo un passo in avanti. Fu costretta a indietreggiare. Era impossibile; il suo disgusto era cos grande, e quell'odore si faceva cos forte, che avrebbe finito lei stessa per vomitare nelle lenzuola. Coupeau, come se si sentisse avvolto nella bambagia, annientato dall'ubriachezza, smaltiva la sua sbornia con le membra morte e il collo di traverso. Tutta la strada avrebbe potuto godere della moglie, non un pelo del suo corpo si sarebbe scosso. Tanto peggio!, balbettava Gervaise, la colpa sua, non posso... Ah! Mio Dio! Mio Dio! mi si caccia dal letto, non ho pi un letto... No, non posso, colpa sua!. Tremava, perdeva la testa. E mentre Lantier la spingeva in camera sua, il viso di Nan s'affacci alla porta smerigliata dello stanzino, al di l dei vetri. La bambina s'era appena svegliata, e

s'era alzata piano piano, in camicia, pallida di sonno. Guard il padre avvoltolato nel suo vomito; poi con la faccia incollata al vetro della porta, rest l ad aspettare che la sottana della madre fosse sparita nella stanza dell'altro uomo, di fronte. Era tutta seria. I suoi occhioni enormi da bambina viziosa scintillavano di sensuale curiosit. CAPITOLO NONO

Quell'inverno mamma Coupeau rischi d'andarsene all'altro mondo in una crisi di soffocamento. Ogni anno, quando veniva dicembre, era sicura che la sua asma l'avrebbe tenuta inchiodata a letto almeno per due o tre settimane. Non era pi una ragazzina di quindici anni; ne avrebbe compiuti settantatr il giorno di Sant'Antonio. Per di pi cominciava a sentirsi senza forze, rantolava per un nonnulla, bench fosse massiccia e rotonda. Il medico diceva che se ne sarebbe andata tossendo, con appena il tempo di gridare: Buonasera a tutti, la candela si spenta! Quando si trovava costretta a letto, mamma Coupeau diventava una vera peste. Bisogna dire che lo stanzino in cui dormiva insieme a Nan non aveva nulla d'allegro. Fra il letto della bambina e il suo, c'era appena il posto per due sedie. La carta delle pareti, una vecchia carta grigia e ormai scolorita, si staccava a brandelli. Il lucernario rotondo, che si apriva all'altezza del soffitto, lasciava passare un chiarore fioco e pallido da cantina. S'invecchiava davvero in fretta, l dentro, soprattutto se si faceva fatica a respirare. La notte, almeno, quando la prendeva l'insonnia, stava a sentire la piccola che dormiva; era una distrazione. Ma di giorno, poich nessuno le faceva compagnia dalla mattina alla sera, brontolava, piangeva, ripetendo fra s e s per ore intere, mentre la sua testa s'agitava sul guanciale: Mio Dio! come sono infelice!... Mio Dio! come sono infelice!... In prigione, s! mi faranno morire in prigione!. E non appena qualcuno veniva a trovarla, per esempio Virginie o la signora Boche, per domandarle come si sentiva, non rispondeva nemmeno e cominciava subito a lamentarsi: Ah! mi costa caro il pane che mi fanno mangiare! No, non soffrirei cos tanto in casa d'estranei!... Ecco, ho chiesto una tazza di tisana. Ebbene! me ne hanno portato una caraffa piena, solo per rinfacciarmi che ne bevo troppa... Per non parlare di Nan, una bambina che ho tirato su io: la mattina scappa via a piedi scalzi e non si fa pi vedere per tutto il giorno. Come se io puzzassi!... Ma intanto la notte se la dorme bene, non si sveglierebbe nemmeno per una volta, a domandarmi se soffro... La verit che son loro d'impiccio, non vedono l'ora ch'io crepi. Oh! avverr presto. Ho perso mio figlio, quella canaglia della lavandaia me l'ha portato via. Mi batterebbe, mi finirebbe, se solo non avesse paura della giustizia. In realt Gervaise, in certi momenti, si mostrava un po' rude. La baracca andava di male in peggio; in casa tutti s'inasprivano

e si mandavano a quel paese alla prima occasione. Coupeau, una mattina che si sentiva la testa pesante, s'era messo a gridare: La vecchia continua a dire che sta morendo, e non muore mai!, frase che aveva colpito al cuore mamma Coupeau. Le rinfacciavano quello che costava, le dicevano tranquillamente che, senza di lei, avrebbero risparmiato un mucchio di soldi. A dir tutta la verit, nemmeno lei si comportava come avrebbe dovuto. Ogni volta che vedeva la figlia maggiore, la signora Lerat, piangeva miseria, accusava il figlio e la nuora di farla morire di fame; il tutto per cavarle di tasca una moneta da venti soldi, che sperperava in piccole ghiottonerie. Anche con i Lorilleux s'abbandonava ai pi ignobili pettegolezzi; raccontava a che servivano i loro dieci franchi, a soddisfare tutti i capricci della lavandaia, cuffie nuove, torte che venivano mangiate di nascosto, cose talmente vergognose che nemmeno osava parlarne con loro. In due o tre occasioni, poco manc che non facesse venire alle mani tutta la famiglia. Ora parteggiava per gli uni, ora per gli altri: insomma, un vero pasticcio. Al culmine della sua crisi, quell'inverno, un pomeriggio che la signora Lorilleux e la signora Lerat s'erano ritrovate al suo capezzale, mamma Coupeau ammicc con gli occhi per dir loro che si chinassero. Poteva parlare appena. Ed esal sottovoce: Bella roba!... Stanotte li ho sentiti. S, s, la Zoppa e il cappellaio... E ce la mettevano tutta! Coupeau servito. Bella roba!. E raccont a frasi spezzate, tossendo e soffocando, che il figlio doveva essere tornato a casa ubriaco fradicio, la sera prima. Allora, non riuscendo a dormire, s'era ben presto accorta di tutti i rumori che quei due stavano facendo: i piedi nudi della Zoppa che strisciavano furtivi sul pavimento, la voce sibilante del cappellaio che la chiamava, la porta di comunicazione spinta dolcemente, e tutto il resto. Dovevano esser rimasti insieme fino all'alba. Non avrebbe saputo dire l'ora precisa, perch nonostante i suoi sforzi aveva finito per assopirsi. Ma la cosa pi vergognosa che Nan avrebbe potuto sentirli, continu. Si agitata per tutta la notte, proprio lei che in genere dorme come un ghiro; saltava, si rigirava, come se nel suo letto ci fossero stati i carboni accesi. Le due donne non sembrarono particolarmente sorprese. Perbacco!, mormor la signora Lorilleux, la faccenda deve essere cominciata fin dal primo giorno... Ma dal momento che Coupeau felice cos, non dobbiamo immischiarcene. Ma non certo un onore per la famiglia!. Se ci fossi stata io, spieg la signora Lerat stringendo le labbra, avrei cercato di farle paura, le avrei gridato qualcosa, una cosa qualunque, per esempio: "Ti vedo!", oppure: Ecco i gendarmi!. La serva di un dottore mi ha detto che il suo padrone le ha detto che in quel modo si poteva far morire sul colpo una donna, in quei momenti che sapete... E se ci restasse secca, vero? sarebbe una cosa ben fatta, si troverebbe punita proprio l dove ha peccato. Tutto il quartiere fu ben presto informato che ogni notte Gervaise andava a trovare Lantier. Ogni volta che si trovava con i vicini, la signora Lorilleux ostentava un'indignazione

implacabile; e compiangeva il fratello, quel frescone che la moglie copriva di corna dalla testa ai piedi. A sentirla, se entrava ancora in una simile babele, era soltanto per la sua povera madre, che si trovava costretta a vivere in mezzo a quelle vergogne. Allora il quartiere fu tutto contro Gervaise. Doveva esser stata lei a sedurre il cappellaio. Glielo si leggeva negli occhi. S, nonostante le brutte voci, quel maledetto furbone di Lantier rimaneva nelle simpatie di tutti: continuava ad avere quella sua aria da uomo come si deve con tutta la gente, camminava sul marciapiede leggendo il giornale, era premuroso e galante con le signore, aveva sempre con s delle pasticche o dei fiori da regalare. Mio Dio! faceva soltanto il suo mestiere di gallo, un uomo sempre un uomo, non gli si pu domandare di resistere alle donne che gli si buttano al collo. Ma lei, lei non aveva nessuna giustificazione; disonorava tutta rue de la Goutte-d'Or. E i Lorilleux, come padrino e madrina, attiravano Nan in casa loro con la speranza di saperne qualcosa di pi. Quando l'interrogavano, ma prendendola alla larga, la bambina assumeva un'aria svagata, e rispondeva spegnendo la fiamma degli occhi sotto le sue palpebre lunghe e molli. In mezzo a quella pubblica indignazione, Gervaise continuava a vivere tranquilla, languida e un po' addormentata. Sulle prime s'era sentita colpevole, sudicia, e aveva provato orrore di se stessa. Quando usciva dalla camera di Lantier, si lavava le mani, inzuppava uno strofinaccio e si sfregava le spalle da scorticarle, come per cacciar via ogni traccia di quella sua vergogna. Se Coupeau cercava di prendersi uno spasso, s'arrabbiava, correva infreddolita a rivestirsi in fondo alla bottega; e non tollerava nemmeno che il cappellaio la toccasse, quando usciva dagli abbracci del marito. Avrebbe voluto cambiar pelle ogni volta che cambiava uomo. Ma poco a poco s'andava abituando. E poi non poteva passare la vita a lavarsi, era troppo faticoso. La pigrizia l'ammolliva, il bisogno d'essere felice la spingeva a ricavare tutto il piacere possibile dal suo stesso avvilimento. Era compiacente con s e con gli altri; cercava soltanto d'accomodare le cose in modo che nessuno ne avesse a patir troppo. Insomma! purch il marito e l'amante fossero contenti, e la casa andasse avanti con il suo piccolo tran tran regolare; purch si scherzasse dalla mattina alla sera, tutti grassi, tutti soddisfatti della vita che scorreva tanto dolcemente, non c'era davvero di che lamentarsi! Tanto pi che, in fin dei conti, non doveva poi comportarsi cos male, visto che le cose s'aggiustavano per il meglio e con soddisfazione di tutti; quando si agisce male, in genere si puniti. Allora la sua stessa spudoratezza era diventata un'abitudine. Tutto veniva adesso regolato come il bere e il mangiare. Ogni volta che Coupeau tornava a casa ubriaco, Gervaise passava la notte con Lantier, il che capitava almeno il luned, il marted e il mercoled d'ogni settimana. Divideva ormai le sue notti. Anzi, quando lo zincatore cominciava a russare troppo forte, lo lasciava nel bel mezzo del sonno, e andava tranquillamente a finire la sua nanna sul guanciale del vicino. Non che provasse pi amicizia per il cappellaio. No, semplicemente lo trovava pi pulito, riposava meglio in camera sua, dove le sembrava di prendere un bagno.

Assomigliava insomma alle gatte che si accovacciano con tanto piacere sulla biancheria pulita. Mamma Coupeau non os mai parlare esplicitamente della cosa. Ma dopo ogni loro litigio, se la lavandaia l'aveva maltrattata, la vecchia non risparmiava le allusioni. Diceva di conoscere degli uomini davvero sciocchi e delle donne davvero puttane; e biascicava anche delle parole pi ardite, con la crudezza di linguaggio di un'antica cucitrice di panciotti. La prima volta Gervaise s'era limitata a fissarla negli occhi senza rispondere. Poi, evitando a sua volta d'essere pi precisa, cominci a difendersi esprimendo le sue ragioni in termini generali. Quando una donna aveva per marito un ubriacone, un maiale che passava la vita avvoltolato nel suo stesso sudiciume, allora quella donna era certo da perdonare se cercava un po' di pulizia altrove. E andava anche pi in l, lasciava intendere che Lantier era suo marito almeno quanto Coupeau, se non di pi. Non l'aveva forse conosciuto a quattordici anni? Non aveva forse avuto due figli da lui? Ebbene! in quelle condizioni, tutto si giustificava; nessuno poteva scagliarle la prima pietra. Si sentiva in regola con le leggi della natura. E poi avrebbero fatto bene a non annoiarla tanto. Non ci avrebbe messo nulla a sbattere in faccia a ognuno le sue vergogne. Rue de la Goutted'Or non era poi cos pulita! La piccola signora Vigoureux, per esempio, passava le giornate a far capriole nel suo carbone. La signora Lehongre, la moglie del droghiere, se la faceva con il cognato, un lercio bavoso che lei non avrebbe toccato nemmeno con le molle. Quanto all'orologiaio dirimpetto, quel signore tanto sostenuto, per poco non era comparso in Assise per un'infamia: andava a letto con la figlia, una svergognata che batteva i boulevards. E con un ampio gesto, indicava il quartiere intero; le ci voleva un'ora soltanto a dispiegare i panni sporchi di tutta quella gente: le persone coricate come bestie, a mucchi, padri, madri, figli, che si rotolavano nella loro lordura. Oh! lo sapeva, l'infamia scorreva dappertutto, appestava le case dei dintorni! S, s, eran proprio qualcosa di pulito, l'uomo e la donna, in quell'angolo di Parigi, dove si viveva gli uni sugli altri, per colpa della miseria! Si potevano mettere i due sessi in un mortaio, e se ne sarebbe tirato fuori di che concimare tutti i ciliegi della pianura di Saint-Denis. Farebbero meglio a non sputare in aria, perch lo sputo ricade sempre sui loro nasi!, gridava quando la spingevano agli estremi. Ognuno nel suo buco, d'accordo? Che lascino vivere le brave persone a modo loro, se vogliono vivere al loro... Io accetto tutto, ma a patto di non esser trascinata nel fango da gente che vi immersa fino al collo. E poich mamma Coupeau era stata un giorno pi esplicita, le aveva detto a muso duro: Siete a letto, e ne approfittate... No, ascoltate, avete torto, sapete bene che sono gentile con voi, perch non vi ho mai rinfacciato la vita che avete condotto. Oh! lo so, una gran bella vita, con due o tre uomini, anche quando pap Coupeau era ancora vivo... No, ho finito, non tossite. Era soltanto per domandarvi di lasciarmi in pace, ecco tutto!. La vecchia per poco non ne era rimasta soffocata. Il giorno

dopo, essendo venuto Goujet a reclamare la biancheria della madre, in un momento che Gervaise era assente, mamma Coupeau lo mand a chiamare e lo trattenne a lungo al suo capezzale. Conosceva bene l'amicizia del fabbro, lo vedeva di giorno in giorno sempre pi cupo, infelice, come se sospettasse le brutte cose che accadevano. E volendo spettegolare per vendicarsi del litigio del giorno prima, gli disse la verit brutalmente, piangendo, disperandosi, come se la condotta di Gervaise fosse soprattutto un torto nei suoi riguardi. Quando usc dallo stanzino, Goujet s'appoggiava alle pareti, oppresso dal dolore. Al ritorno della lavandaia, mamma Coupeau le grid che la volevano subito in casa della signora Goujet, con la biancheria lavata oppure no; e la vecchia era cos animata che Gervaise immagin tutti i pettegolezzi, si raffigur la triste scena e il crepacuore da cui si sentiva minacciata. Pallidissima, con le membra gi a pezzi, mise la biancheria in una cesta e usc. Da anni non restituiva un soldo ai Goujet. Il debito ammontava sempre a quattrocentoventicinque franchi. Gervaise si faceva dare ogni volta i soldi del bucato, parlando delle sue difficolt. Ma per lei era una gran vergogna, perch non voleva aver l'aria d'approfittare dell'amicizia del fabbro per scroccargli tutto quel denaro. Coupeau, meno scrupoloso di lei, ormai se la rideva. Diceva che Goujet qualche pizzicotto doveva certo averglielo dato, e insomma! aveva gi trovato il modo di farsi pagare. Gervaise, nonostante l'indegno commercio in cui era caduta con Lantier, si rivoltava, e domandava al marito se era gi quello il pane che voleva mangiare. Non si poteva parlar male di Goujet in sua presenza; la tenerezza che aveva per il fabbro rimaneva dentro di lei come l'ultimo rifugio del suo onore. Cos, ogni volta che andava a riportare la biancheria a quella brava gente, si sentiva stringere il cuore fin dal primo gradino della scala. Ah! siete voi, finalmente!, le disse bruscamente la signora Goujet nell'aprirle la porta. Quando avr bisogno della morte, mander voi a chiamarla. Gervaise entr, imbarazzata, senza nemmeno azzardarsi a balbettare una scusa. Non era pi precisa come un tempo, non arrivava mai all'ora stabilita, si faceva aspettare anche per otto giorni. Poco a poco precipitava in un enorme disordine. gi una settimana che conto inutilmente su di voi, continu la merlettaia. E in pi mentite, mi mandate la vostra apprendista a raccontarmi un mucchio di storie: che state lavorando alla mia biancheria, che me la farete avere la sera stessa; oppure che capitato un incidente, l'involto che caduto in un secchio. Ma in tutto questo tempo perdo la mia giornata, non vedo arrivare nulla e mi torturo il cervello. No, non avete pi giudizio... Vediamo, cosa avete in quella cesta? C' tutto, almeno? Mi avete riportato quel paio di lenzuola che vi tenete da un mese, e la camicia che restata indietro all'ultimo bucato?. S, si, mormor Gervaise, c' anche la camicia, eccola. Ma la signora Goujet protest. Quella non era certo la sua camicia, non la voleva. Adesso le cambiavano anche la biancheria, era il colmo! Gi la settimana precedente le avevano

consegnato due fazzoletti che non portavano le sue cifre. Non era proprio di suo gradimento quella biancheria venuta da chiss dove. E poi ci teneva alle sue cose. E le lenzuola?, ricominci. Le avete dimenticate, vero?... Ebbene! bambina mia, arrangiatevi come potete, ma le voglio assolutamente per domani mattina, mi capite?. Vi fu un momento di silenzio. Il turbamento di Gervaise cresceva di minuto in minuto, anche perch s'era accorta che, alle sue spalle, la porta della stanza di Goujet era rimasta socchiusa. Il fabbro doveva essere in camera sua, ne era sicura; e si disperava all'idea che l'altro potesse ascoltare quei rimproveri tanto meritati, e ai quali non sapeva opporre la minima difesa. Si faceva docile, arrendevole, curvando la testa, posando la biancheria sul letto pi in fretta che poteva. Ma le cose si guastarono di nuovo quando la signora Goujet cominci ad esaminare i capi uno a uno. Li prendeva e li scartava, dicendo: Ah! state davvero perdendo la mano. Non vi si pu far sempre dei complimenti... S, ormai tirate via, non lavorate pi con la cura d'un tempo... Ecco, guardate il davanti di questa camicia, bruciato, il ferro ha lasciato il segno sulle pieghe. E i bottoni sono strappati. Non so proprio capire come facciate, non riuscite mai a salvare nemmeno un bottone... Oh! basta, questa camicia non ve la pagher! Ma guardate! le macchie d'unto ci sono ancora, le avete semplicemente diffuse. Grazie! se nemmeno la biancheria pi pulita.... Si ferm contando i capi. Poi protest di nuovo: Come! tutto qui quello che avete portato?... Mancano due paia di calze, sei tovaglioli, una tovaglia, degli strofinacci... Ma allora mi volete prendere in giro! Vi ho fatto dire di riportarmi tutto, stirato o non stirato. Se entro un'ora la vostra apprendista non qui con il resto, finiremo per litigare, signora Coupeau, vi avverto!. In quel momento Goujet toss in camera sua. Gervaise trasal appena. Mio Dio! lui era l, e la madre la stava trattando in quel modo! E rimase al centro della stanza, imbarazzata, confusa, aspettando la biancheria sporca. Ma la signora Goujet, dopo aver finito il suo conteggio, s'era rimessa tranquillamente a sedere accanto alla finestra, rammendando uno scialle di pizzo. E la biancheria?, domand timidamente la lavandaia. No, grazie, rispose la vecchia, non c' nulla, per questa settimana. Gervaise impallid. Le toglievano il lavoro. Allora perse completamente la testa; e poich le gambe non la reggevano pi fu costretta a mettersi a sedere. Ma non cerc di difendersi, e trov soltanto da dire: Il signor Goujet ammalato?. S, non si sentiva bene; aveva dovuto tornare a casa invece d'andare alla fucina, e si era steso sul letto per riposare. La signora Goujet parlava gravemente, come sempre vestita di nero, con la faccia pallida e incorniciata nella sua cuffia monacale. Avevano ancora ridotto il salario degli operai addetti ai bulloni: era calato da nove a sette franchi al giorno, per colpa delle macchine che ormai facevano tutto il lavoro. E spiegava

che avrebbero risparmiato su ogni cosa; voleva di nuovo lavare la sua biancheria da s. Naturalmente, sarebbe venuto proprio a proposito se i Coupeau le avessero potuto restituire il denaro prestato dal figlio. Ma non sarebbe certo stata lei a chiamare gli uscieri, se non potevano pagare. Da quando la vecchia s'era messa a parlare del debito, Gervaise, a testa bassa, sembrava seguire l'agile gioco dell'ago che riprendeva una a una le maglie. Tuttavia, continu la merlettaia, con qualche piccolo sacrificio, non vi sarebbe impossibile sdebitarvi. In casa vostra si mangia fin troppo bene, spendete molto, ne sono sicura... Se riusciste almeno a renderci dieci franchi al mese.... Ma fu interrotta dalla voce di Goujet che la chiamava: Mamma! Mamma!. Tornando di l a poco a sedersi, la vecchia cambi discorso. Senza dubbio il fabbro l'aveva scongiurata di non chiedere del denaro a Gervaise. Ma suo malgrado, in capo a cinque minuti, parlava di nuovo del debito. Oh! l'aveva pur previsto quel che adesso stava accadendo: lo zincatore si beveva tutta la bottega, e chiss fin dove avrebbe trascinato la moglie. Se il figlio le avesse dato retta, non avrebbe mai prestato quei cinquecento franchi. E adesso sarebbe sposato, invece di lasciarsi morire di tristezza, con l'unica prospettiva d'essere infelice per tutto il resto dei suoi giorni. Si animava, si faceva pi dura; e accusava ormai esplicitamente Gervaise d'essersi messa in combutta con Coupeau per abusare dell'ingenuit di suo figlio. S, c'erano donne che facevano le ipocrite per anni; ma la loro cattiva condotta finiva sempre per venire alla luce. Mamma! Mamma!, chiam per la seconda volta la voce di Goujet, ora pi forte. La vecchia si alz; e quando ricomparve, disse rimettendosi al suo pizzo: Entrate, vi vuol vedere. Gervaise, tremante, lasci la porta socchiusa. Quella scena la commuoveva, perch era come confessare la loro tenerezza davanti alla signora Goujet. Ritrov la cameretta tranquilla e tappezzata di figure, con il piccolo letto di ferro, cos simile a quella d'un ragazzino di quindici anni. L'enorme corpo di Goujet, con le membra spezzate dalla rivelazione di mamma Coupeau, era allungato sul letto; i suoi occhi erano rossi, la bella barba bionda era ancora bagnata di pianto. Nel primo impeto di rabbia, doveva aver sfondato il guanciale con i suoi terribili pugni, perch dalla tela spaccata uscivano le piume. Ascoltate, la mamma ha torto, disse alla lavandaia quasi sottovoce. Non mi dovete nulla, non voglio pi che si parli di queste cose. Si era sollevato, la guardava. Delle grosse lacrime gli riempirono gli occhi. Vi sentite male, signor Goujet?, domand Gervaise. Che avete? Vi prego, parlate!. Nulla, grazie. Ieri mi sono affaticato troppo. Dormir un po'. Poi il suo cuore si spezz; e non pot trattenere questo grido: Ah! mio Dio! mio Dio! Avevate giurato che non sarebbe mai

accaduto, mai, mai!... E invece, adesso, invece... Ah! mio Dio! mi fa troppo male, andatevene!. E con la mano l'allontanava da s, supplicandola dolcemente. Gervaise non s'avvicin al letto; se ne and come l'altro voleva, intontita, non riuscendo a dirgli una sola parola per confortarlo. Nella camera accanto, riprese la sua cesta; ma non si decideva ad uscire, avrebbe voluto dir qualcosa. La signora Goujet continuava a rammendare lo scialle senza alzare la testa. Fu poi la vecchia a parlare: Ebbene! buonasera, fatemi avere la biancheria, faremo i conti in un secondo momento. S, va bene, buonasera, balbett Gervaise. Richiuse la porta lentamente, gettando un ultimo sguardo su quella dimora cos pulita, cos ordinata, in cui le sembrava di lasciare qualcosa della sua onest. Torn verso la bottega con la stessa espressione ottusa che hanno le vacche quando tornano alla stalla senza darsi pensiero del cammino. Mamma Coupeau, seduta accanto alla caldaia, aveva appena lasciato il letto per la prima volta. Gervaise non le fece nemmeno un rimprovero; era troppo affaticata, si sentiva le ossa rotte come se l'avessero battuta. Pensava che la vita era in fin dei conti gi troppo dura, e che a meno di crepare all'istante, non ci si doveva sbranare il cuore da s. Ormai la lavandaia se ne infischiava di tutto e di tutti. Con un piccolo gesto della mano mandava al diavolo il mondo intero. A ogni nuova noia, si sprofondava nel suo solo piacere: quello di fare tre buoni pasti al giorno. Fosse pure crollata la bottega, a patto di non esser lei la prima a restarci sotto, che importava! se ne sarebbe andata volentieri senza portare con s nemmeno una camicia. E la bottega stava infatti crollando: non tutta in una volta, ma poco a poco, ogni giorno di pi. Uno a uno i clienti si spazientivano, e portavano altrove la loro biancheria. Il signor Madinier, la signorina Remanjou, gli stessi Boche, erano tornati dalla signora Fauconnier, sicuri d'esser serviti con pi precisione. Si erano stufati di dover reclamare un paio di calze per tre settimane, e di rimettersi addosso delle camicie che avevano ancora le macchie di grasso della domenica prima. Gervaise, senza perdere per cos poco l'appetito, augurava loro buon viaggio e li conciava a sua volta per le feste, gridando che era davvero felice di non dover pi frugare in mezzo alle loro schifezze. Tutto il quartiere voleva abbandonarla? Tanto meglio! si sarebbe sbarazzata d'un bel mucchio di porcherie! avrebbe avuto meno da lavorare! Nel frattempo riusciva a conservare soltanto le clienti peggiori, gli scarti, donne come la signora Gaudron, di cui nemmeno una lavandaia di rue Neuve avrebbe voluto lavare la biancheria, da tanto che puzzava! La bottega stava andando a rotoli. Gervaise aveva dovuto licenziare la sua ultima operaia, la signora Putois, ed era rimasta da sola con quella strabicuccia di Augustine, l'apprendista, che con il passare degli anni sembrava farsi sempre pi stupida; ma anche cos, in due, non sempre avevano da lavorare, e passavano pomeriggi interi con il sedere incollato allo sgabello. Insomma, lo sfacelo pi completo! Si sentiva gi un odore di rovina. Naturalmente, via via che entravano la pigrizia e la miseria,

entrava anche la sporcizia. Sarebbe stato ormai difficile riconoscere la bella bottega azzurra, dello stesso colore del cielo, di cui Gervaise era un tempo cos orgogliosa. I rivestimenti di legno e i vetri della mostra, che trascuravano sempre di lavare, restavano da cima a fondo inzaccherati dal fango delle carrozze. Al di sopra delle scansie, tre miseri stracci, lasciati in eredit da qualche cliente morto all'ospizio, finivano d'ingrigire sulla sbarra d'ottone. Ma l'interno della bottega era ancora pi desolato: l'umidit della biancheria appesa ad asciugare al soffitto, aveva fatto scollare la carta delle pareti; la perse pompadour era ridotta a brandelli e pendeva come una ragnatela appesantita dalla polvere; la macchina, ormai rotta, squarciata dai colpi d'attizzatoio, riempiva con i suoi rottami di vecchia ghisa l'angolo in cui si trovava, ne faceva come un angolo di rigattiere; il banco da lavoro sembrava aver fatto da tavola a un'intera guarnigione, macchiato com'era di caff e di vino, tutto impiastricciato di marmellata, unto dalle scorpacciate del luned. In pi, un odore d'amido inacidito, un fetore di muffa, di fritto e di grasso. Ma Gervaise ci si trovava benissimo. Non aveva visto la bottega farsi sempre pi sudicia; vi sguazzava, si abituava alla carta strappata e ai rivestimenti di legno bisunti, cos come arrivava al punto di portare delle sottane bucate e di non lavarsi pi le orecchie. Anzi, la sporcizia era diventata per lei una sorta di nido caldo in cui s'accoccolava con piacere. Lasciare le cose alla rinfusa, aspettare che la polvere riempisse i buchi e mettesse dappertutto il suo velluto, sentire che la casa s'addormentava attorno a lei nel profondo torpore dell'ozio: eran queste le cose di cui godeva, la volutt che pi d'ogni altra l'inebriava. La sua tranquillit prima di tutto; del resto se ne infischiava. I debiti, per quanto continuassero ad aumentare, avevano smesso di tormentarla. Cominciava a perdere un po' della sua onest. Li avrebbero pagati, non li avrebbero pagati? La cosa restava nel vago, preferiva non chiederselo. Se le chiudevano il conto in un negozio, ne apriva subito un altro nel negozio vicino. Si comprometteva con tutto il quartiere, aveva dei puffi in ogni bottega. Per non parlare che di rue de la Goutte-d'Or, faceva ormai di tutto per evitare il carbonaio, il droghiere, la fruttivendola; il che la costringeva, quando doveva andare al lavatoio, ad allungare per rue des Poissonniers, una scarpinata d'almeno dieci minuti. I fornitori cominciavano a trattarla da poco di buono. Una sera, l'uomo che le aveva venduto i mobili per Lantier mise in sobbuglio l'intero quartiere; gridava che le avrebbe sollevato le sottane e che avrebbe saldato i conti in quel modo, se non gli avesse dato all'istante tutto il suo denaro. Certo, quelle scene la lasciavano scossa e tremante; ma si scrollava in fretta come un cane battuto, e la cosa finiva l, non per questo cenava con meno appetito. Quegli insolenti volevano proprio farla infuriare! Se il denaro non ce l'aveva, doveva forse fabbricarlo? Tanto pi che i negozianti rubavano fin troppo, ed erano fatti apposta per aspettare. E tornava ad addormentarsi nel suo buco, evitando di pensare a ci che prima o poi sarebbe inevitabilmente accaduto. Avrebbe fatto un bel tonfo, perbacco! ma fino a quel momento pretendeva che la lasciassero in pace.

Mamma Coupeau s'era intanto ristabilita. Per un altro anno si vivacchi alla meno peggio. D'estate, naturalmente, c'era un po' pi di lavoro, si poteva almeno contare sulle sottane bianche e sui vestiti di percalle di qualche svergognata del boulevard esterno. Ma tuttavia casa Coupeau poco a poco affondava: con il muso sempre pi nel fango di settimana in settimana, con alti e bassi, delle sere in cui si grattavano la pancia davanti alla credenza vuota, altre in cui mangiavano vitello fino a scoppiarne. Mamma Coupeau era ormai l'unica della famiglia a farsi vedere in giro per il quartiere, con gli involti nascosti sotto il grembiale, mentre s'avviava con l'aria di chi sta facendo una passeggiata verso il Monte dei pegni di rue Polonceau. Curvava le spalle, con l'espressione ingorda e bigotta d'una beghina che sta andando alla messa; quegli intrighi non le dispiacevano affatto, i traffici di denaro la divertivano, il continuo cincischiare fra gli oggetti esaltava le sue passioni di vecchia comare. Gli impiegati di rue Polonceau la conoscevano bene; la chiamavano mamma quattro franchi, perch domandava sempre quattro franchi, ogni volta che gliene offrivano tre per quei suoi involti non pi grandi d'un soldo di cacio. Gervaise avrebbe svuotato tutta la casa; era presa dalla smania del pegno, si sarebbe tosata a zero se al Monte le avessero fatto un prestito anche sui capelli. Era cos comodo; non si poteva fare a meno d'andar l a prendere del denaro, quando si doveva comprare un pane di quattro libbre. Tutte le sue cianfrusaglie finivano in rue Polonceau: la biancheria, i vestiti, perfino gli utensili di casa e i mobili. Nei primi tempi, approfittava delle buone settimane per disimpegnare le sue cose, a costo d'impegnarle di nuovo la settimana dopo. Poi non se ne cur pi, le abbandon al loro destino, fin per vendere perfino le bollette. Soltanto una volta le si spezz il cuore: quando fu costretta a portare al Monte dei pegni la sua pendola, per pagare una cambiale di venti franchi a un usciere che veniva a farle un sequestro. Fino ad allora aveva giurato a se stessa che sarebbe morta di fame pur di non doversi mai separare dalla pendola. E quando mamma Coupeau usc portandola via in una cappelliera, si lasci cadere su una sedia, con le braccia molli e gli occhi umidi di pianto, come se le avessero portato via la sua stessa buona sorte. Ma appena la vecchia ricomparve con venticinque franchi, quel prestito insperato, quei cinque franchi in pi, la consolarono; e mand immediatamente mamma Coupeau a comprare quattro soldi di acquavite in un bicchiere, tanto per festeggiare la moneta da cento soldi. Ormai capitava spesso, quando filavano di perfetta intesa, che si scolassero insieme un bicchierino in un angolo del banco da lavoro: uno strano miscuglio, met acquavite e met cassis. Mamma Coupeau dava prova d'una abilit del tutto particolare, nel portare il bicchiere pieno in una tasca del grembiale senza versarne nemmeno una goccia. Non c'era nessun bisogno che i vicini se ne accorgessero, vero? Ma la verit era che i vicini s'accorgevano perfettamente di tutto. La fruttivendola, la trippaia, i garzoni del droghiere, dicevano: Toh! ecco la vecchia che sta andando al Monte!; oppure: Toh! ecco la vecchia che porta in tasca il suo bicchierino di brodaglia!. Il che, com'era naturale, spingeva sempre pi il

quartiere ad accanirsi contro Gervaise. Si stava mangiando tutto, ben presto avrebbe fatto a pezzi l'intera bottega. S, s, ancora tre o quattro bocconi al massimo, e di tutta quella baracca non sarebbe rimasto in piedi un bel nulla. In questo sfacelo generale, Coupeau prosperava. Quel maledetto ubriacone era felice come una pasqua. Il vino e l'acquavite lo facevano ingrassare. Mangiava come un porco, e se la rideva di quel tisicuccio di Lorilleux che accusava l'alcool d'assassinare le persone; per rispondergli, si picchiava sul ventre, dove la pelle tesa e gonfia di grasso assomigliava a quella d'un tamburo. Vi suonava sopra tutta una musica, i vespri della gola, dei rullii e delle battute da grancassa che avrebbero fatto la fortuna d'un cavadenti. Ma Lorilleux, che si vergognava di non aver nemmeno un filo di pancia, diceva che quello era un grasso giallo, un grasso malato. Coupeau se ne infischiava; e s'ubriacava ogni volta di pi proprio per mantenersi in buona salute. I suoi capelli brizzolati e lasciati liberi al vento fiammeggiavano come un brulotto. La sua faccia da ubriacone, con la mascella da scimmia, s'ingrommava e prendeva dei toni di blu vinaccia. Rimaneva d'indole allegra. Ma quando la moglie s'azzardava a raccontargli le sue preoccupazioni, la cacciava via in malo modo. Perch mai gli uomini avrebbero dovuto occuparsi di quelle seccature? La baracca poteva anche andare in malora, la cosa non lo riguardava. Purch la sua pappatoia fosse pronta a pranzo e a cena, non si chiedeva mai in che modo gliel'avessero riempita. Quando non lavorava per intere settimane, si faceva ancora pi esigente. Quanto al resto, era sempre in buona amicizia con Lantier, e gli dava delle gran pacche sulla schiena. Ignorava evidentemente la cattiva condotta di Gervaise. Alcuni, come i Boche e i Poisson, giuravano su tutti i loro santi che lo zincatore non sospettava di nulla, e che sarebbe stata una vera tragedia se fosse venuto a saperne qualcosa. Ma la signora Lerat, che era pur sempre sua sorella, scuoteva la testa, e raccontava di conoscere dei mariti a cui cose del genere non dispiacevano affatto. Una notte Gervaise, che stava uscendo dalla camera del cappellaio, era rimasta di ghiaccio sentendosi dare nell'oscurit una manata sul sedere; aveva poi finito per rassicurarsi, s'era convinta d'aver sbattuto contro la fiancata del letto. No, la situazione era gi fin troppo insostenibile,non era possibile che il marito si divertisse a farle quegli scherzetti. Nemmeno Lantier sembrava deperire. Aveva molta cura di s, si misurava il ventre con la cintura dei pantaloni, con la costante paura di dover stringere o allentare la fibbia; si piaceva esattamente cos com'era, non voleva n dimagrire n ingrassare, per civetteria. Il che lo rendeva ancora pi difficile sul cibo; stava attento a ogni piatto che mangiava, temendo che gli potesse guastare la linea. Anche quando in casa non c'era un soldo, non poteva fare a meno delle uova, delle costolette, delle cose insieme pi nutrienti e delicate. Da quando divideva la padrona di casa con il marito, si considerava in tutto e per tutto come l'altra met del governo della famiglia; intascava le monete da venti soldi che gli capitavano sottomano, si faceva obbedire da Gervaise a bacchetta, brontolava, gridava, aveva

l'aria di sentirsi a casa propria ancor pi dello zincatore. Insomma, era una baracca che aveva due mariti. E il marito d'occasione, quello pi scaltro, tirava sempre l'acqua al suo mulino, si prendeva il meglio d'ogni cosa, della moglie, della tavola e di tutto il resto. Scremava i Coupeau, ecco la verit! E nemmeno si vergognava di sbattere in pubblico il suo burro. Nan era sempre la sua preferita, perch gli piacevano le fanciulline gentili. S'occupava invece sempre meno di Etienne: i ragazzi, secondo lui, dovevano imparare a sbrigarsela da soli. Quando qualcuno veniva a cercare Coupeau, Lantier usciva dal retrobottega in pantofole e in maniche di camicia, con l'espressione scocciata d'un marito che si venga a importunare; e non esitava a rispondere al posto di Coupeau, dicendo che pi o meno era la stessa cosa. Fra questi due signori, Gervaise aveva ben poco da ridere. Grazie a Dio, non poteva lamentarsi della sua salute; stava anzi ingrassando fin troppo. Ma con due uomini sul groppone, due uomini da curare e d'accontentare, le sembrava il pi delle volte che le venissero meno le forze. Ah! in nome di Dio! come se non bastasse un solo marito a guastarvi il sangue! La cosa peggiore era che quei due bricconi andavano sempre d'amore e d'accordo. Mai una volta che litigassero! Al contrario, la sera, dopo cena, si sorridevano sul grugno, con i gomiti puntati sulla tavola; e passavano il giorno intero a strofinarsi l'uno contro l'altro, come i gatti che non cercano e coltivano se non il proprio piacere. Ogni volta che tornavano a casa infuriati, si sfogavano su di lei. Forza! dagli alla bestia! Tanto pi che quella bestia aveva delle buone spalle, e che a forza di strigliarla insieme i due finivano per sentirsi ancora pi amici. Guai se avesse osato ribellarsi! Agli inizi, quando uno dei due cominciava a gridare, supplicava l'altro con la coda dell'occhio, sperando d'ottenerne una parola d'amicizia. Ma non ne aveva ricavato mai nulla. Ormai aveva imparato a stare al suo posto, curvava le spalle; aveva capito che si divertivano a passarsela di mano in mano, tutta rotonda com'era, una vera palla. Coupeau, il pi sboccato, la trattava con parole che la facevano arrossire. Lantier sceglieva al contrario delle ingiurie pi raffinate, cercava le parole meno usate e che la potessero ferire di pi. Ma per fortuna ci si abitua a tutto; le cattiverie e le ingiustizie dei due uomini finivano ormai per scivolare sulla sua tenera pelle come su una tela incerata. Era arrivata anzi al punto di preferirli arrabbiati, perch quando si mettevano in testa di fare i galanti, l'opprimevano ancora di pi; le stavano sempre addosso, le impedivano di stirare anche solo una cuffia in santa pace. Le domandavano allora dei manicaretti; doveva salare e non salare, dire bianco e dire nero, coccolarli, metterli a dormire nella bambagia uno appresso all'altro. Alla fine della settimana aveva la testa e le membra a pezzi, si sentiva inebetita, con gli occhi spiritati. Fatiche del genere logorano qualunque donna. S, Coupeau e Lantier la logoravano, era la parola giusta; la bruciavano da tutti e due i capi, come si dice d'una candela. Certo, lo zincatore mancava d'istruzione, ma il cappellaio ne aveva fin troppa, o per meglio dire aveva un'istruzione cos come altri, le persone poco pulite, potevano avere una camicia

bianca: con il sudiciume di sotto. Una notte aveva sognato di trovarsi sull'orlo d'un pozzo; Coupeau la spingeva verso il basso con una mano, mentre Lantier le solleticava i fianchi per farla cadere pi in fretta. Ecco! la sua vita assomigliava a quel sogno! Ah! seguiva una buona scuola, non c'era da meravigliarsi se s'abbrutiva in quel modo! Ma la gente del quartiere si dimostrava tutt'altro che generosa, quando la rimproverava di prendere una brutta piega, perch le sue sventure non dipendevano soltanto da lei. A volte, quando vi rifletteva, un brivido le correva sulla pelle. Poi pensava che le cose avrebbero potuto andar peggio. Per esempio, era sempre meglio avere due uomini che perdere le braccia. Trovava ormai naturale la sua condizione, una condizione simile a tante altre; e cercava semplicemente di ricavarsi un piccolo angolo di felicit. Bastava gi a dimostrare fino a che punto fosse diventata accomodante e sciatta, il fatto che non riuscisse a odiare Coupeau pi di quanto non odiasse Lantier. In una commedia, alla Gait, aveva visto una poco di buono che detestava il marito e l'avvelenava, tutto per un amante; se n'era sentita quasi offesa, perch il suo cuore non le suggeriva nulla del genere. Non sarebbe stato pi saggio vivere tutti e tre in buona armonia? No, no, erano solo un mucchio di sciocchezze; ci si rovinava la vita a pensarla in quel modo, e la vita era gi cos poco divertente! Insomma, nonostante i debiti, nonostante la miseria che la minacciava, si sarebbe definita la pi tranquilla e la pi contenta delle donne, se solo lo zincatore e il cappellaio l'avessero logorata e maltrattata un po' meno. Ma sfortunatamente, verso l'autunno, in famiglia ci si guast di nuovo. Lantier si lamentava di dimagrire troppo, e aveva un muso che si faceva ogni giorno pi lungo. Trovava da ridire su tutto, storceva il naso davanti alla zuppa di patate, una sbobba che non poteva nemmeno assaggiare, cos diceva, senza aver poi delle coliche. I pi piccoli contrasti finivano ormai in vere e proprie scenate, in cui ci si rinfacciava l'un l'altro di mandare in rovina la casa; ed era un'impresa convincerli a rifare la pace, prima che ognuno se ne andasse a dormire nella sua cuccia. Quando la crusca finita, anche gli asini si battono fra loro, non forse cos? Lantier fiutava il tracollo. Non sopportava l'idea che la casa fosse ormai bell'e mangiata; gli pareva anzi cos ben ripulita che si vedeva gi prendere bastone e cappello per andare a cercarsi altrove la nanna e la pappa. S'era affezionato alla sua tana, vi aveva preso mille piccole abitudini, tutti lo coccolavano: un vero paese di cuccagna, le cui dolcezze non avrebbe forse mai pi ritrovato. Che diamine! non ci si pu rimpinzare fino agli occhi e pretendere d'avere ancora dei bocconi nel piatto! In fin dei conti non se la prendeva che con la sua stessa pancia, perch era proprio l dentro, nella sua pancia, ch'era andata a finire tutta la casa. Ma non era cos che ragionava; e mostrava invece il pi fiero disprezzo verso gli altri, verso quella gente che in due anni era riuscita a cadere nella miseria pi nera. Ecco la verit: i Coupeau erano degli smidollati! Cominci allora a urlare che Gervaise non aveva il senso dell'economia. Fulmini dei cielo! che ne sarebbe stato di loro? Ecco che gli amici lo abbandonavano proprio sul punto di

concludere un affare superbo, seimila franchi di stipendio in una fabbrica, quanto bastava a far nuotare tutta la famiglia nel lusso. Una sera di dicembre non poterono mangiar altro che con la fantasia. Non avevano il becco d'un quattrino. Lantier, cupissimo, usciva di buon'ora, e batteva il quartiere cercando una qualunque topaia in cui ci fosse almeno il profumo della cucina a rallegrare le facce. Rimaneva per ore a riflettere accanto alla caldaia. Poi, all'improvviso, mostr una grande amicizia per i Poisson. Non si burlava pi della guardia municipale chiamandola Badingue; fin anzi per concedergli che in fin dei conti l'imperatore poteva anche essere un bravo figliolo. Dimostrava soprattutto una grande ammirazione per Virginie, una donna con la testa sulle spalle, cos diceva, che avrebbe saputo condurre bene la sua baracca. Non c'era dubbio: li corteggiava. Si poteva perfino credere che si volesse mettere a pensione in casa loro. Ma Lantier aveva una zucca a doppio fondo, molto pi contorta di quel che poteva sembrare. Poich Virginie gli aveva confidato di volersi mettere in proprio, aprendo non sapeva ancora bene quale genere di bottega, il cappellaio cercava d'entrare nelle sue grazie appassionandosi a sua volta a quel magnifico progetto. S, doveva esser portata per il commercio; era cos maestosa, avvenente, attiva! Oh! avrebbe guadagnato a sua discrezione! Visto che il denaro era pronto da tanto tempo, l'eredit d'una zia, aveva tutte le ragioni di lasciar perdere quei quattro stracci che rimediava ogni stagione, per lanciarsi invece negli affari; e faceva i nomi di certe persone che erano sul punto di realizzare delle vere fortune: la fruttivendola all'angolo della via, una piccola commerciante di maioliche del boulevard esterno. Tanto pi che il momento era dei migliori; si sarebbero venduti anche gli scarti rimasti sul bancone. Ma Virginie era ancora esitante; cercava una bottega d'affittare, non voleva lasciare il quartiere. Allora un giorno Lantier la prese in disparte, parl sottovoce con lei per almeno una decina di minuti. Sembrava che la volesse convincere di qualcosa, quasi di forza; e l'altra non diceva pi di no, aveva l'aria d'autorizzarlo ad agire. Era come un segreto che li univa, un continuo ammiccare, parole bisbigliate in fretta, una sorda macchinazione che si tradiva gi nel loro modo di darsi la mano. Da quel momento in poi il cappellaio, pur continuando a mangiare il loro pane asciutto, cominci a guardare i Coupeau dall'alto in basso; era tornato chiacchierone come un tempo, e li stordiva con le sue continue geremiadi. Per tutto il giorno Gervaise sprofondava in quell'immagine di miseria che l'altro le dispiegava in modo compiaciuto sotto gli occhi. Non parlava di certo per s, gran Dio! Era anche pronto a morire di fame insieme agli amici, se occorreva! Ma la prudenza esigeva che ci si rendesse perfettamente conto della situazione. Dovevano almeno cinquecento franchi ai negozianti del quartiere, al panettiere, al carbonaio, al droghiere, per non parlare di tutti gli altri. Per di pi erano indietro di tre trimestri sulla pigione, il che significava altri duecentocinquanta franchi; e il padrone di casa, il signor Marescot, minacciava di sfrattarli se non l'avessero pagato entro il primo gennaio. Come se questo non bastasse, il

Monte dei pegni s'era ormai preso tutto; per quante cianfrusaglie avessero potuto raccattare, non ne avrebbero ottenuto pi di tre franchi, tanto la casa era stata ripulita per bene: restavano giusto i chiodi alle pareti, e nulla di pi, ma anche di quelli ce n'erano al massimo per due libbre da tre soldi. Gervaise, frastornata da tutti quei conti, si sentiva cadere le braccia, perdeva la testa, picchiava i pugni sulla tavola; oppure si metteva a piangere come una sciocca. Una sera grid: Basta! domani me ne vado!... Preferisco metter la chiave sotto la porta e dormire sul marciapiede, piuttosto che continuare a vivere in mezzo a queste angosce!. Sarebbe forse pi conveniente, disse subdolamente Lantier, cedere a qualcun altro il contratto d'affitto, ammesso che lo si riesca a trovare... Se solo tutti e due foste decisi a lasciare la bottega.... Gervaise lo interruppe con violenza: Ma oggi stesso, oggi stesso!... Ah! non mi parrebbe vero di sbarazzarmene!. Allora il cappellaio si mostr concreto. Cedendo il contratto di locazione, avrebbero senza dubbio ottenuto dal nuovo affittuario i due trimestri arretrati. E s'arrischi alla fine a fare il nome dei Poisson. Ricordava che Virginie stava per l'appunto cercando un negozio; la bottega di Gervaise le sarebbe probabilmente convenuta. Gli veniva anzi in mente d'averla sentita dire che le sarebbe piaciuto proprio qualcosa del genere. Ma al solo sentire il nome di Virginie, la lavandaia aveva riacquistato di colpo tutta la sua calma. Ci avrebbe pensato. Nei momenti di disperazione, si parlava sempre di piantare tutto in asso; ma la cosa non era poi cos facile, quando ci si metteva a ragionare. Nei giorni seguenti, quando Lantier insisteva con le sue litanie, Gervaise si limitava a rispondere che s'era trovata in acque anche peggiori, e che in un modo o nell'altro era sempre riuscita a tirarsene fuori. Bel guadagno, quando non avesse pi avuto la sua bottega! Come se il pane quotidiano le potesse davvero cadere dal cielo! Pensava invece d'assumere delle nuove operaie e di rifarsi una clientela. Parlava cos soprattutto per ribattere agli argomenti del cappellaio, che la dipingeva ormai sul lastrico, schiacciata dalle spese, senza la minima speranza di potersi mai rimettere in sella. Lantier, tuttavia, fece l'imprudenza di pronunciare di nuovo il nome di Virginie; Gervaise s'irrigid ancora di pi, and su tutte le furie. No, no, mai! Aveva sempre dubitato della sincerit di Virginie; se adesso Virginie smaniava tanto per la sua bottega, era solo per umiliarla. L'avrebbe ceduta piuttosto alla prima che passava per strada; a chiunque, ma mai e poi mai a quell'ipocrita che doveva aspettare da chiss quanti anni la soddisfazione di vederla andare in rovina. Oh! adesso s che tutto si spiegava! adesso s che capiva l'origine delle scintille gialle che s'accendevano negli occhi da gatta di quella sgualdrina! S, Virginie non aveva ancora digerito la sculacciata del lavatoio; covava il suo rancore sotto la cenere. Ebbene! avrebbe agito con pi prudenza mettendo la sua sculacciata sotto una campana di vetro, a meno che non volesse buscarsene un'altra. La misura era ormai colma! Virginie poteva gi cominciare a preparare il suo deretano! Sommerso

da questo profluvio d'ingiurie, sulle prime Lantier aggred a sua volta Gervaise, la chiam maledetta testona, dannata pettegola, signora Stringichiappe; e arriv al punto di trattare lo stesso Coupeau da cafone, l'accus di non esser capace di far rispettare un amico dalla moglie. Poi comprese che abbandonandosi in quel modo alla collera, avrebbe solo rischiato di compromettere ogni cosa; e giur che non si sarebbe mai pi immischiato nelle storie degli altri, soprattutto se doveva esser poi ricompensato con quelle belle parole. E sembr in effetti non insistere pi sulla cessione del contratto; ma in realt aspettava un'occasione migliore per riparlare dell'affare e convincere definitivamente la lavandaia. Era arrivato gennaio: un tempo orribile, umido e freddo. Mamma Coupeau, che aveva passato tutto il mese di dicembre a tossire e a soffocare, fu costretta a mettersi a letto subito dopo l'Epifania. Quella era la sua rendita; ogni inverno sapeva che ci poteva contare. Ma quell'inverno, si diceva attorno a lei che non sarebbe pi uscita da camera sua se non con i piedi in avanti. Aveva un rantolo terrificante, che puzzava gi di cadavere. Eppure era sempre grande e grossa, nonostante avesse un occhio gi spento e met della faccia contorta. I figli non le avrebbero di certo dato il colpo di grazia; tuttavia si trascinava da cos tanto tempo, era di tale impiccio, che si auguravano la sua morte come una vera liberazione. Lei per prima ne sarebbe stata pi contenta; aveva del resto fatto il suo tempo, e quando uno ha fatto il suo tempo, non cos? non ha pi nulla da rimpiangere. Il medico, dopo esser venuto una volta, non s'era fatto pi rivedere. Le davano delle tazze di tisana, tanto per non farla sentire abbandonata del tutto. Continuavano ad entrare in camera sua per vedere se era ancora viva. Non riusciva pi a parlare, soffocava troppo; ma il suo unico occhio rimasto ancora aperto, vivo e limpido, non faceva altro che fissare in volto le persone. E c'erano tante cose in quell'occhio: rimpianto dei tempi migliori, tristezza nell'accorgersi che i suoi non vedevano l'ora di liberarsi di lei, indignazione nei confronti di Nan, quella piccola viziosa che ormai non si vergognava pi di mettersi a spiare dalla porta a vetri, ogni notte, in camicia. |[continua]| |[CAPITOLO NONO, 2]| Un luned sera Coupeau rincas ubriaco. Da quando sapeva la madre in pericolo, viveva in uno stato di continua commozione. Dopo che si fu messo a letto, cominciando subito a russare profondamente, Gervaise si gir attorno ancora per qualche minuto. In genere passava una parte della notte al capezzale di mamma Coupeau. Nan si dimostrava del resto assai coraggiosa; continuava a dormire vicino alla vecchia, e diceva che se l'avesse sentita morire, ci avrebbe pensato lei ad avvertire tutti gli altri. Ma quella notte, poich la bambina dormiva e l'ammalata sembrava sonnecchiare pacificamente, la lavandaia fin per cedere a Lantier, che la chiamava in camera sua invitandola a riposare un poco. Lasciarono soltanto una bugia accesa, poggiata a terra, dietro l'armadio. Ma verso le tre

Gervaise salt bruscamente gi dal letto, oppressa da un'angoscia improvvisa. Aveva sentito come se un alito freddo le passasse sul corpo. Il pezzo di candela era ormai bruciato; e Gervaise si riaggiust le sottane al buio, stordita, con le mani febbricitanti. Fu solo nello stanzino, dopo aver sbattuto contro i mobili, che pot accendere una piccola lampada. In mezzo al silenzio opprimente delle tenebre, il russare continuo dello zincatore faceva risuonare due note gravi. Nan, allungata sul dorso, respirava sommessamente con le labbra dischiuse. Quando Gervaise, dopo aver abbassato la lampada che creava nel buio delle immense ombre danzanti, illumin il volto di mamma Coupeau, la vide bianca bianca, con la testa reclinata sulla spalla e gli occhi aperti. Mamma Coupeau era morta. Lentamente, senza che un solo grido le uscisse di bocca, raggelata e prudente, la lavandaia torn in camera di Lantier. Il cappellaio s'era riaddormentato. Si curv su di lui mormorando: Ascolta, finita, morta. Tutto appesantito dal sonno, sveglio solo a met, l'altro si limit dapprima a grugnire: Lasciami in pace, torna a letto... Non possiamo farci nulla, se morta. Poi si sollev sul gomito, e domand: Che ore sono?. Le tre. Soltanto le tre! Ti dico di tornare a letto. Ti prenderai un malanno... Quando far giorno, ci penseremo. Ma Gervaise non gli dava retta; stava finendo di rivestirsi. Allora Lantier torn a infilarsi sotto le coperte, con la faccia contro il muro, pigliandosela con le donne e con il loro cervello da gallina. Che fretta c'era d'annunciare alla gente che in casa avevano un morto? La faccenda era tutt'altro che divertente, nel cuore della notte. Per di pi, non tollerava l'idea che il suo sonno fosse stato disturbato da pensieri cos funesti. Dopo aver riportato nella sua camera tutti gli oggetti che le appartenevano, comprese le forcine per i capelli, Gervaise si lasci cadere sul letto e singhiozz liberamente, non avendo pi paura che la potessero sorprendere con il cappellaio. In fondo voleva davvero bene a mamma Coupeau; e dopo non aver sentito nel primo momento che terrore e fastidio, per l'ora cos poco opportuna che la vecchia aveva scelto per andarsene, provava adesso un autentico dolore. E piangeva sola sola, si disperava ad alta voce in quel silenzio in cui lo zincatore continuava tranquillamente a russare. Coupeau non s'era accorto di nulla. Gervaise lo aveva chiamato, lo aveva scosso; ma alla fine s'era decisa a lasciarlo in pace, dicendo a se stessa che il marito sarebbe stato soltanto d'impiccio se si fosse svegliato. Quando torn presso il cadavere, Nan era seduta sul letto e si stava stropicciando gli occhi. La bambina cap; e allung il collo per veder meglio la nonna, con una curiosit morbosa da piccola canaglia. Non diceva nulla. Tremava appena; sembrava sorpresa e come appagata da quella morte che pregustava da due giorni, da quell'orribile cosa che veniva tenuta nascosta e proibita ai bambini. E davanti a quella maschera bianca, resa ancora pi affilata dall'ultimo soprassalto della passione della vita, le sue

pupille di giovane gatta si dilatavano; sentiva lo stesso irrigidimento della schiena che la teneva inchiodata dietro la porta a vetri, quando vi si appostava per spiare tutte quelle cose che i mocciosi dovrebbero ignorare. Forza, alzati!, le disse sottovoce la madre. Non voglio che tu resti qui. Nan si lasci andare gi dal letto a malincuore, volgendo il capo, continuando a fissare la morta. La presenza della figlia imbarazzava non poco Gervaise; non sapeva dove metterla, finch non si fosse fatto giorno. Si era intanto decisa a farla almeno vestire, quando fu raggiunta da Lantier, in pantaloni e ciabatte. Non era pi riuscito a dormire, si vergognava un po' della sua condotta. Allora tutto s'aggiust. Si pu mettere nel mio letto, mormor il cappellaio. Lo spazio non manca. Nan guard la madre e Lantier con i suoi grandi e limpidi occhi, e prese la sua aria pi innocente, la stessa che aveva ogni capodanno, quando le regalavano delle pasticche di cioccolato. Non ci fu bisogno di convincerla. And via di corsa, in camicia, i piedi nudi che sfioravano appena il pavimento; e s'insinu come una biscia nel letto ancora caldo, vi si allung lasciandosi affondare, con il corpo snello che disegnava una piccola gobba sotto le coperte. Tutte le volte che entrava, la madre la trovava con gli occhi scintillanti e l'espressione ottusa; era rossa in volto, non dormiva, non si muoveva, sembrava tutta assorta in chiss quali gravi riflessioni. Lantier aveva intanto aiutato Gervaise a vestire mamma Coupeau; non era stata un'impresa da poco, perch la morta era davvero pesante. Non avrebbero mai immaginato che quella vecchia fosse cos grassa e bianca. Le avevano messo un paio di calze, una sottana bianca, una camiciola, una cuffia; insomma, la sua biancheria migliore. E intanto Coupeau continuava a russare: erano due sole note, la prima bassa, che scendeva, e la seconda alta, che risaliva; assomigliava alla musica da chiesa che accompagna le funzioni del Venerd Santo. Non appena la morta fu vestita e compostamente allungata sul suo letto, Lantier si vers un bicchiere di vino, giusto per rimettersi, perch si sentiva lo stomaco in sobbuglio. Gervaise frug nel cassettone, cercando il piccolo crocefisso di rame che aveva portato da Plassans; ma si ricord che proprio mamma Coupeau doveva averlo venduto. Avevano fatto del fuoco. Passarono il resto della notte a dormicchiare sulla sedia e a finire il litro di vino gi cominciato, irritati, tenendosi il broncio, come se fosse colpa loro. Finalmente, verso le sette, prima che fosse giorno, Coupeau si svegli. Quando apprese la disgrazia, rimase dapprima a occhi asciutti, balbettando, sospettando vagamente che gli volessero fare uno scherzo. Poi si gett per terra, e and a cadere davanti alla morta; la baciava, piangeva come un vitello, e con delle lacrime cos grosse che inzuppava le lenzuola ogni volta che vi si asciugava le guance. Allora Gervaise si rimise a singhiozzare, straziata dal dolore del marito. Si sentiva riconciliata con lui. S, in fondo era migliore di quel che credeva. La disperazione di Coupeau era resa ancora pi acuta da un violentissimo mal di

testa. Si passava di continuo le mani fra i capelli, aveva la bocca impastata come a ogni indomani d'una sbornia; ed era ancora un po' brillo, nonostante le sue dieci ore di sonno. Si lamentava stringendo i pugni. Oh! mio Dio! ecco che la povera mamma, la sua mamma che amava tanto, se n'era andata! Ah! che terribile mal di capo! sarebbe stato il suo colpo di grazia! Una vera corona di fuoco attorno alla fronte! E adesso gli strappavano anche il cuore! No, la sorte era troppo ingiusta ad accanirsi a tal punto contro un uomo! Andiamo, coraggio, vecchio mio, disse Lantier aiutandolo a risollevarsi. Bisogna farsi animo. E gli vers un bicchiere di vino. Ma Coupeau non volle bere. Ma che ho? come se avessi del rame in gola... per la mamma, appena l'ho vista ho sentito un sapore di rame... Mamma! mio Dio! mamma, mamma.... E ricominci a piangere come un bambino. Fin ugualmente per bere il bicchiere di vino, per spegnere il fuoco che gli bruciava il petto. Lantier se la svign di l a poco, con la scusa d'andare ad avvisare il resto della famiglia; sarebbe anche passato in Municipio per la denuncia. In realt, aveva bisogno d'una boccata d'aria. E fece quindi le cose con calma, fumando qualche sigaretta e assaporando il freddo pungente del mattino. Uscendo dalla casa della signora Lerat, entr in una latteria di Batignolles a prendere una tazza di caff bollente. E vi si ferm per pi di un'ora, a riflettere. Intanto, fin dalle nove, tutta la famiglia si trovava riunita nella bottega, le cui imposte non erano state aperte. Lorilleux fu l'unico a non piangere. Aveva del resto del lavoro urgente; e dopo aver indugiato per qualche istante con una faccia di circostanza, risal quasi subito nel suo laboratorio. La signora Lorilleux e la signora Lerat avevano abbracciato i Coupeau, e si asciugavano gli occhi appena appena arrossati da qualche lacrimuccia. Ma la prima, dopo aver gettato una rapida occhiata attorno alla morta, alz improvvisamente la voce per dire che in quella casa si mancava del pi elementare buon senso, perch non si lasciava mai una lampada accesa accanto a un cadavere; ci voleva una candela, e mand quindi Nan a comprare un pacco di candele, di quelle grandi. Insomma! se uno moriva in casa della Zoppa, veniva sistemato proprio in un bel modo! Che oca! non era nemmeno capace di trattare come si deve un morto! Non aveva mai seppellito nessuno in vita sua? La signora Lerat fu costretta a salire dai vicini per farsi prestare un crocefisso; ma ne port gi uno fin troppo grande, una croce di legno nero su cui era inchiodato un Cristo di cartapesta, che copr per intero il petto di mamma Coupeau e sembrava schiacciarla con il suo peso. Poi cercarono l'acqua santa, ma nessuno ce l'aveva. E fu di nuovo Nan a correre in chiesa a prenderne una boccettina. In un batter d'occhio la stanza ebbe un altro aspetto: una candela ardeva su un tavolino, accanto a un piccolo vaso pieno d'acqua santa, in cui era immerso un ramoscello di bosso. Adesso, se qualcuno fosse venuto, tutto era almeno come doveva essere. E si disposero le sedie in cerchio, nella bottega, per ricevere. Lantier ritorn soltanto alle undici. Aveva chiesto delle

informazioni all'ufficio delle pompe funebri. La bara costa dodici franchi, disse. Se volete una messa, saranno dieci franchi in pi. C' poi da pensare al carro funebre, che si paga a seconda degli addobbi.... Oh! assolutamente inutile, mormor la signora Lorilleux, alzando la testa con aria sorpresa e preoccupata. Non per questo la mamma tornerebbe in vita, vero?... Bisogna regolarsi secondo la propria borsa. Senza dubbio, proprio quello che penso anch'io, riprese Lantier. Ho chiesto i prezzi soltanto perch vi possiate regolare... Ditemi cosa decidete di fare; dopo pranzo andr ad ordinare quanto occorre. Parlavano sottovoce, nella debole luce che rischiarava la camera attraverso le fessure delle imposte. La porta dello stanzino era rimasta spalancata, e da quella sorta di bocca anelante usciva soltanto il profondo silenzio della morte. Risate infantili salivano dal cortile; una frotta di monelle giocava a girotondo nel pallido sole d'inverno. Tutt'a un tratto si sent la voce di Nan. Sfuggita alla sorveglianza dei Boche, presso i quali era stata mandata, urlava adesso i suoi ordini a squarciagola, mentre i tacchi battevano il suolo e una piccola canzone prendeva il volo in un frastuono d'uccelli schiamazzanti: Il nostro asino, il nostro asino Ha male a una zampa. La sua padrona gli ha fatto fare Una gran bella calzetta, E delle scarpe lill, la, la, E delle scarpe lill! Gervaise aspett, e disse a sua volta: Certo, non siamo ricchi, ma vorremmo almeno agire con decoro... Anche se mamma Coupeau non ci ha lasciato niente, non comunque una buona ragione per gettarla nella terra come un cane... No, ci vuole una messa e un carro funebre che sia almeno decente. E chi pagher?, domand con veemenza la signora Lorilleux. Noi no di certo, abbiamo perso del denaro la settimana scorsa; e voi nemmeno, poich non avete pi un soldo... Ah! dovreste finalmente accorgervi a cosa vi ha portato la vostra mania di far colpo sulla gente!. Coupeau, consultato, balbett qualcosa con un gesto di profonda indifferenza; quindi si riaddorment sulla sedia. La signora Lerat disse che avrebbe pagato la sua parte. Era dello stesso avviso di Gervaise: dovevano comportarsi con decoro. E si misero insieme a fare i conti su un foglietto di carta. Sarebbe costato in tutto poco pi di novanta franchi, perch avevano deciso, dopo una lunga consultazione, di prendere un carro funebre ornato soltanto da un piccolo festone. Siamo in tre, concluse la lavandaia. Fanno trenta franchi a testa. Non poi la rovina. Ma a quel punto la signora Lorilleux esplose, furiosa. Ebbene! mi rifiuto, s, mi rifiuto!... Non certo per quei trenta franchi. Ne darei centomila, se li avessi e se bastassero a

far resuscitare la mamma... Il fatto che non mi piacciono gli orgogliosi. Avete una bottega, pensate soltanto a darvi delle arie, a far colpo sul quartiere... Ma noi non vogliamo saperne di queste cose, non facciamo i grandi... Oh! fate come volete! Metteteci anche dei pennacchi, sul vostro carro funebre, se la cosa vi diverte!. Non siete obbligata a dar nulla, fin per rispondere Gervaise. Anche a costo di vendere me stessa, non voglio aver niente da rimproverarmi. Ho dato da mangiare a mamma Coupeau anche senza di voi, posso benissimo seppellirla senza di voi... Gi una volta vi ho detto in faccia quel che pensavo: se raccolgo i gatti randagi, non di certo per lasciar poi vostra madre nel fango. Allora la signora Lorilleux scoppi in lacrime, e Lantier dovette impedirle d'andarsene. La discussione si fece cos accesa che la signora Lerat, azzittendoli con energia, pens bene di fare un salto nello stanzino; e gett sulla morta uno sguardo inquieto e dolente, come se temesse di trovarla sveglia, ad ascoltare il litigio che si infiammava nella camera accanto. In quello stesso momento, il girotondo delle bambine faceva di nuovo risuonare il cortile; e l'acuto filo di voce di Nan sovrastava il canto di tutte le altre: Il nostro asino, il nostro asino Ha un gran mal di pancia. La sua padrona gli ha fatto fare Una gran bella ventriera, E delle scarpe, lill, la, la, E delle scarpe lill! Mio Dio! come sono scoccianti queste bambine con la loro canzoncina!, disse Gervaise a Lantier, tutta tremante, mentre lacrime d'impazienza e di tristezza cominciavano a salirle agli occhi. Fate in modo che stiano un po' zitte, e riportate Nan dalla portinaia a pedate nel sedere. La signora Lerat e la signora Lorilleux se ne andarono a pranzare, promettendo che sarebbero tornate. I Coupeau si misero a loro volta a tavola; mangiarono degli affettati, ma senza appetito, non osando quasi far rumore con le forchette. Erano irritati, inebetiti, con quella povera mamma Coupeau che incombeva su di loro e sembrava invadere tutte le stanze. La loro vita si trovava scompigliata. Nell'agitazione del primo momento, giravano qua e l senza trovare gli oggetti, si sentivano le ossa rotte come all'indomani d'un eccesso. Il cappellaio riprese subito l'uscio per tornare alle pompe funebri, con i trenta franchi della signora Lerat e i sessanta che Gervaise si era fatta prestare da Goujet, correndo da lui tutta scarmigliata, come una pazza. Nel pomeriggio ci furono le visite: delle vicine divorate dalla curiosit, che si presentavano sospirando, guardandosi attorno con occhi affranti; entravano nello stanzino, squadravano la morta facendosi il segno della croce e scuotendo il ramoscello di bosso immerso nell'acqua santa; quindi si mettevano a sedere nella bottega, parlavano di quella cara donna, all'infinito, senza stancarsi di ripetere la

stessa frase per ore. La signorina Remanjou aveva notato che il suo occhio destro era rimasto aperto; la signora Gaudron si ostinava a trovarle un bell'incarnato, per la sua et; e la signora Fauconnier si diceva esterrefatta: l'aveva vista prendere il caff soltanto tre giorni prima. Davvero, si faceva in fretta a crepare; era meglio tenersi sempre pronti, poteva succedere da un momento all'altro a chiunque. Verso sera i Coupeau cominciarono ad averne abbastanza. Era una gran bella tortura, per la famiglia, tenere un cadavere in casa per cos tanto tempo. Il governo avrebbe dovuto fare una nuova legge. Ancora per tutta una sera, tutta una notte e tutta una mattina! no, la cosa non sarebbe mai pi finita! Quando non si hanno pi lacrime da versare, non forse vero? il dolore si muta in irritazione; c' il rischio di comportarsi male. Mamma Coupeau, silenziosa e rigida in fondo all'angusto stanzino, sembrava incombere ancora di pi su tutta la casa, era ormai diventata un peso che opprimeva la gente. E la famiglia, suo malgrado, riprendeva gi il suo tran tran di sempre, cominciava a mancare di rispetto. Mangerete un boccone insieme a noi, disse Gervaise alla signora Lerat e alla signora Lorilleux, appena ricomparse. Siamo troppo tristi, non ci separeremo. S'apparecchi sul tavolo da lavoro. Ognuno, guardando i piatti, ripensava alle scorpacciate d'un tempo. Lantier era appena tornato. Lorilleux scese a sua volta. Un rosticcere aveva portato un pasticcio, perch la lavandaia non aveva la testa per occuparsi della cucina. Mentre si mettevano a sedere, comparve Boche, dicendo che il padrone di casa chiedeva di poter essere ammesso. Il signor Marescot venne avanti, serissimo, con la sua bella decorazione sulla redingote. Salut in silenzio, e and diritto verso lo stanzino, dove si inginocchi. Era un uomo di grande devozione; preg con un'aria raccolta da curato, poi tracci una croce nell'aria aspergendo il cadavere con il ramoscello di bosso. Tutta la famiglia, che si era mossa da tavola, era in piedi, immobile, profondamente impressionata. Il signor Marescot, finite le sue devozioni, pass nella bottega e disse ai Coupeau: Sono venuto per i due trimestri arretrati. Siete nelle condizioni di pagarli?. No, signore, niente affatto, balbett Gervaise, assai contrariata di dover parlare di quelle cose in presenza dei Lorilleux. Capite, con la disgrazia che ci appena capitata.... Certo, certo; ma ognuno ha le sue pene, rispose il padrone di casa allargando le sue enormi dita di vecchio operaio. Credetemi, sono davvero spiacente, ma non posso pi aspettare... Se non sono pagato entro dopodomani mattina, sar costretto a ricorrere a uno sfratto. Gervaise giunse le mani, con le lacrime agli occhi, muta e implorante. Ma con un cenno energico della sua grossa testa ossuta, il padrone di casa le fece comprendere che le suppliche erano inutili. E a maggior ragione, perch il rispetto dovuto ai morti proibiva qualunque discussione. Si ritir con discrezione, camminando all'indietro. Mille scuse per avervi incomodato, mormor. Dopodomani mattina, non dimenticate.

E poich, per uscire, doveva passare di nuovo davanti allo stanzino, rese omaggio per l'ultima volta alla salma inginocchiandosi devotamente di fronte alla porta spalancata. Dapprima mangiarono alla svelta, per non aver l'aria di prenderci gusto. Ma arrivati al dessert, cominciarono a far le cose con pi calma; sentivano un gran bisogno di benessere. Ogni tanto Gervaise o una delle due sorelle, con la bocca piena, andava a dare un'occhiata nello stanzino, senza nemmeno lasciare il tovagliolo; e quando si rimetteva a sedere, terminando il boccone, gli altri la guardavano per un secondo, per capire se tutto procedeva per il meglio, nella camera accanto. Poi le signore s'incomodarono sempre di meno; mamma Coupeau venne dimenticata. Avevano preparato una caraffa di caff, e di quello pi forte, per rimanere svegli tutta la notte. I Poisson arrivarono verso le otto. Furono invitati a berne un bicchiere. Lantier, che non perdeva d'occhio la faccia di Gervaise, sembr allora afferrare al volo l'occasione che aspettava fin dal mattino. Poich stavano parlando della volgarit dei padroni di casa, che entravano a chiedere del denaro nelle case dove c'era un morto, disse improvvisamente: un gesuita, quel mascalzone, con quella sua aria di servir messa!... Ma al posto vostro, lo pianterei in asso, lui e la sua bottega!. Gervaise, affranta dalla fatica, fiacca e snervata, rispose abbandonandosi: S, non aspetter di certo che vengano gli uscieri... Ah! basta, ne ho fin sopra i capelli, ne ho fin sopra i capelli!. I Lorilleux, che gi si rallegravano all'idea che la Zoppa non avrebbe pi avuto il suo negozio, l'approvarono calorosamente. Non ci si poteva nemmeno immaginare quanto costasse una bottega. Anche se avesse guadagnato soltanto tre franchi al giorno, lavorando per altri, non avrebbe almeno avuto tutte quelle spese; non avrebbe mai rischiato di perdere delle somme enormi. Convinsero Coupeau a insistere sull'argomento. Lo zincatore beveva troppo, non usciva dal suo stato di continua commozione, e piangeva solo solo nel suo piatto. Poich sembrava che la lavandaia si lasciasse convincere, Lantier guard i Poisson ammiccando. E Virginie intervenne a sua volta, si dimostr amabilissima. Vedete, ci si potrebbe intendere. Mi assumerei il carico dell'affitto, sistemerei la vostra questione con il proprietario... Sareste insomma pi tranquilla. No, grazie, rispose Gervaise, che si scosse come colta da un brivido. So dove trovare i soldi per la pigione, se voglio. Lavorer; mi sono ancora rimaste le braccia, grazie a Dio! mi aiuteranno a uscire da questo impiccio. Ne parleremo pi tardi, s'affrett a dire il cappellaio. Stasera sarebbe sconveniente... Pi tardi; domani, per esempio. In quel momento la signora Lerat, che era entrata nello stanzino, lanci un piccolo grido. Aveva avuto paura, trovando la candela spenta e consumata fino in fondo. Si diedero tutti da fare per accenderne un'altra; e scrollavano il capo, ripetendo che era un gran brutto segno quando si spegneva il lume messo

accanto a un morto. Cominci la veglia. Coupeau s'era buttato sul letto, non per dormire, diceva, ma per riflettere; e in capo a cinque minuti russava. Nan, quando la mandarono a dormire dai Boche, scoppi a piangere; assaporava fin dal mattino la speranza di potersi avvoltolare di nuovo nel lettone caldo del suo buon amico Lantier. I Poisson rimasero fino a mezzanotte. Avevano finito per fare il vino alla francese in un'insalatiera, perch il caff innervosiva troppo le signore. La conversazione s'era fatta pi confidenziale. Virginie parlava della campagna; avrebbe voluto esser seppellita in un angolo di bosco, con dei fiori di campo sulla tomba. La signora Lerat custodiva nell'armadio il lenzuolo in cui voleva essere avvolta, e lo profumava di continuo con dei mazzolini di lavanda; ci teneva ad avere sotto il naso un odore delicato, quando avrebbe visto l'erba dalla parte delle radici. Poi, senza alcun nesso apparente, la guardia municipale raccont d'aver arrestato, quella mattina, un gran bel pezzo di figliola che era stata sorpresa a rubare nella bottega d'un pizzicagnolo; perquisendola, in commissariato, le avevano trovato addosso dieci salsicciotti legati attorno al corpo, davanti e di dietro. E quando la signora Lorilleux disse con aria di disgusto che non avrebbe mai mangiato dei salsicciotti del genere, tutta la compagnia rise sommessamente. La veglia si fece pi animata, pur rispettando le convenienze. Ma mentre stavano finendo il vino alla francese, uno strano suono, una sorta di sordo gorgoglio, usc dallo stanzino. Tutti alzarono la testa, si guardarono. Non nulla, disse tranquillamente Lantier abbassando la voce. Si sta svuotando. Rassicurati da quella spiegazione, scrollando appena il capo, gli altri posarono i bicchieri sulla tavola. Finalmente i Poisson si congedarono. Lantier usc insieme a loro. Andava a dormire da un amico, diceva, per lasciare il letto alle signore; vi avrebbero potuto riposare a turno per un'ora. Lorilleux sal a coricarsi da solo, ripetendo che era la prima volta che gli capitava una cosa del genere da quando era sposato. Gervaise e le due sorelle, rimaste con Coupeau tuttora addormentato, si sistemarono accanto alla stufa, su cui misero a scaldare del caff. Raggomitolate, quasi piegate in due, con le mani sotto il grembiale e il volto sul fuoco, parlavano sottovoce nel gran silenzio del quartiere. La signora Lorilleux si lamentava: non aveva un vestito nero, e avrebbe fatto volentieri a meno di comprarne uno, perch in quel momento si trovavano in cattive acque, proprio cos, in cattive acque; e chiese a Gervaise se mamma Coupeau non avesse per caso lasciato una sottana nera, la sottana che le avevano regalato per la sua festa. Gervaise and allora a prendere la sottana. Con una piega alla vita avrebbe potuto andar bene. Ma la signora Lorilleux voleva anche della biancheria vecchia; parlava del letto, dell'armadio, delle due sedie; cercava con gli occhi tutte le piccole cianfrusaglie da spartire. E per poco non litigarono di nuovo. Ma la signora Lerat ristabil la pace. Era un fatto di giustizia: visto che i Coupeau avevano avuto il peso della madre, si erano ben guadagnati quei quattro stracci. E tutte e tre s'appisolarono di

nuovo con il naso sulla stufa, perdendosi in parole inutili e monotone. La notte parve loro terribilmente lunga. A tratti si riscuotevano, bevevano un goccio di caff, gettavano una rapida occhiata dentro lo stanzino, dove la candela, che non si doveva mai smoccolare, ardeva con una fiamma rossa e triste, ingrandita dai funghi carbonizzati dello stoppino. Verso il mattino, nonostante il calore della stufa, erano intirizzite dal freddo. Si sentivano oppresse dall'angoscia, stremate dalle chiacchiere; avevano la lingua asciutta e gli occhi pesti. La signora Lerat si butt sul letto del cappellaio, e si mise a russare come un uomo, mentre le altre due donne, con la testa piegata fin quasi a toccare le ginocchia, dormivano davanti al fuoco. Alle prime luci del giorno, un brivido le ridest. La candela di mamma Coupeau s'era appena spenta di nuovo. E poich quel sordo gorgoglio ricominciava a farsi sentire nelle tenebre, la signora Lorilleux ne ripet ad alta voce la spiegazione, come se volesse rassicurare in primo luogo se stessa. Si sta svuotando, disse accendendo un'altra candela. Il funerale era per le dieci e mezza. Ecco quel che si dice una bella mattina, una mattina da mettere insieme alla notte e a tutta la giornata appena trascorsa! E Gervaise, pur non avendo il becco d'un quattrino, avrebbe dato volentieri cento franchi a chi fosse venuto a portar via tre ore prima mamma Coupeau. No, con tutto il bene che si pu volere alle persone, quando sono morte finiscono per essere ben presto ingombranti; anzi, quanto pi le si ama, tanto pi in fretta ci si vorrebbe sbarazzare di loro. Ma la mattina d'un funerale per fortuna piena di distrazioni. Ci sono mille preparativi da fare. Per prima cosa fecero colazione. Poi fu proprio pap Bazouge, il becchino del sesto piano, a portare la bara e il sacco di crusca. Il brav'uomo era sempre ubriaco. Quel giorno, alle otto del mattino, doveva ancora smaltire la sbornia della sera prima. Ecco; qui, vero?, domand. E pos la cassa, che scricchiol con un rumore di legno nuovo. Ma mentre vi buttava a lato il sacco di crusca, rimase a bocca aperta, con gli occhi sgranati, scorgendo Gervaise in piedi davanti a lui. Vi chiedo perdono, mille scuse, mi sono sbagliato, balbett. M'avevano detto che era per casa vostra. Aveva gi ripreso il sacco. La lavandaia gli dovette gridare: Fermatevi; qui. Ah! fulmini del cielo! bisogna spiegarsi!, riprese quello battendosi sulla coscia. Capisco, la vecchia.... Gervaise era impallidita di colpo. Pap Bazouge aveva portato la bara per lei. Il vecchio continuava a mostrarsi galante, cercando di giustificarsi: Capite? ieri m'hanno detto che al pianterreno c'era una che era pronta per il grande viaggio. Allora ho creduto... Sapete, nel nostro mestiere, certe cose entrano da un orecchio ed escono dall'altro... Vi faccio comunque i miei auguri. Eh! sempre meglio domani che oggi, bench la vita non sia sempre divertente, ah! no, no di certo!.

Gervaise lo ascoltava, indietreggiava, quasi temendo che la volesse afferrare con le sue enormi mani sudice e portarla via nella sua cassa. Gi una volta, la sera delle sue nozze, le aveva detto di conoscere delle donne che l'avrebbero ringraziato di cuore, se le avesse portate via con s. Ebbene! lei non era ancora a questo punto, quell'idea le metteva i brividi nella schiena. La sua vita era rovinata, ma non voleva andarsene cos presto; s, preferiva morire di fame per anni e anni, giorno dopo giorno, piuttosto che crepare cos, in un secondo. Siete completamente ubriaco, mormor con un'aria di disgusto e insieme di spavento. L'amministrazione potrebbe almeno non mandare degli ubriaconi. Con quello che si paga!. Il becchino si fece allora insolente e beffardo. Ascoltate, mammina, vuol dire che sar per un'altra volta. Sapete, sono sempre al vostro servizio! Basta che mi facciate un cenno. Eccomi! sono io il vero consolatore delle signore... E non sputare su pap Bazouge, perch lui ne ha tenute fra le braccia almeno mille pi carine di te, e che si sono lasciate accomodare senza tante smorfie, tutte contente di continuare la loro nanna al buio. Fatela finita, pap Bazouge!, disse severamente Lorilleux, che era accorso al rumore delle voci. Certi scherzi non sono affatto divertenti. Se qualcuno si lagnasse di voi, sareste licenziato... Forza, toglietevi dai piedi, visto che non sapete rispettare i principi!. Il becchino s'allontan; ma lo sentirono a lungo bofonchiare sul marciapiede: S! i principi!... Ma non ci sono principi... Non ci sono principi C' soltanto l'onest!. Finalmente suonarono le dieci. E il carro funebre era in ritardo. Davanti alla bottega s'erano gi raccolte delle persone, gli amici, i vicini, il signor Madinier, Mes-Bottes, la signora Gaudron, la signorina Remanjou; e a ogni istante, fra le imposte chiuse, dall'apertura della porta spalancata, s'affacciava la testa d'un uomo o di una donna, per vedere se quella lumaca di carro non stesse per caso arrivando. La famiglia, riunita nella camera in fondo, dava delle strette di mano. Si facevano dei brevi silenzi, subito interrotti da rapidi sussurri, un'attesa impaziente e febbrile, con improvvisi svolazzare di sottane: la signora Lorilleux che aveva dimenticato il fazzoletto, o la signora Lerat che chiedeva a qualcuno un messale. Ognuno, arrivando, vedeva al centro dello stanzino, di fronte al letto, la bara aperta; e quasi senza volerlo, si fermava a studiarla con la coda dell'occhio, calcolando che mamma Coupeau, grossa com'era, non sarebbe mai riuscita a trovar posto l dentro. E tutti si guardavano con questo pensiero negli occhi, senza comunicarselo. Ma ci fu un po' di scompiglio alla porta che dava sulla strada. E subito dopo il signor Madinier entr annunciando con voce grave e sostenuta, aprendo le braccia: Eccoli!. Ma non era ancora il carro funebre. Quattro becchini entrarono uno dopo l'altro, con passo affrettato, i volti paonazzi e le mani indurite da sotterratori, nel nero sbiadito dei loro vestiti consumati e sbianchiti dal continuo strofinio delle bare. Il

primo a comparire era stato pap Bazouge, completamente ubriaco ma pieno di decoro; gli bastava mettersi al lavoro per ritrovare tutto il suo contegno. Non pronunciarono una sola parola; con la testa un po' bassa, soppesavano gi mamma Coupeau con lo sguardo. La cosa non and troppo per le lunghe; la povera vecchia venne imballata in fretta, giusto il tempo d'uno starnuto. Il pi piccolo dei quattro, un giovanotto dagli occhi un po' storti, dopo aver rovesciato la crusca nella bara, la distendeva e l'impastava con le mani, come se stesse facendo il pane. Un altro, grande e magro, con l'aria da burlone, vi aveva disteso sopra il lenzuolo. Poi, uno, due, via! tutti e quattro afferrarono il cadavere e lo sollevarono, due ai piedi e due alla testa. Veloci come se rigirassero una frittella! E quelli che allungavano il collo potevano credere che mamma Coupeau fosse saltata da sola nella cassa. Vi era scivolata dentro come in un guanto, oh! giusta giusta, proprio per un pelo, e anzi per cos poco che si era sentito il suo corpo strusciare contro il legno nuovo. Toccava da tutti i lati, come un quadro nella sua cornice. Ma insomma ci stava; il che meravigli gli astanti: si doveva esser ristretta in un solo giorno. Intanto i becchini si erano alzati e aspettavano; il giovane dagli occhi storti prese il coperchio, invitando i familiari a dare gli ultimi addii, mentre pap Bazouge si metteva dei chiodi in bocca e teneva pronto il martello. Allora Coupeau, le due sorelle, Gervaise, e altri ancora, si buttarono in ginocchio, baciarono piangendo la mamma che se ne andava; e le loro calde lacrime cadevano e scivolavano su quel volto irrigidito, freddo come il ghiaccio. Singhiozzarono a lungo, rumorosamente. Il coperchio fu sistemato sulla cassa; e pap Bazouge conficc i chiodi con la perizia d'un imballatore, due colpi per ogni chiodo. Non si sent pi piangere nessuno, in quel frastuono come di mobili che si aggiustano. Era finita. Si poteva andar via. mai possibile far tanto gli sbruffoni in un momento del genere!, disse la signora Lorilleux al marito, vedendo il carro funebre davanti alla porta. Il carro aveva messo in agitazione tutto il quartiere. La trippaia chiamava i garzoni del droghiere, il piccolo orologiaio si era appostato sul marciapiede, i vicini erano affacciati alle finestre. E tutti non parlavano che del festone, un festone a frange bianche di cotone. Ah! i Coupeau avrebbero fatto meglio a pagare i loro debiti! Ma come sostenevano i Lorilleux, quando si pieni d'orgoglio, la cosa vien fuori in qualunque occasione. Che vergogna!, ripeteva in quello stesso momento Gervaise, alludendo al fabbricante di catenelle e alla moglie. Pensare che questi taccagni non hanno portato nemmeno un mazzo di violette per la loro mamma!. I Lorilleux erano infatti venuti a mani vuote. La signora Lerat aveva portato una ghirlanda di fiori artificiali. Si mise inoltre sulla bara una corona di semprevivi e un mazzo di fiori che avevano comprato i Coupeau. I becchini avevano dovuto far forza di spalle per sollevare e caricare il cadavare. E corteo si mise in fila lentamente. Coupeau e Lorilleux, in redingote, con il cappello in mano, aprivano il corteo funebre; il primo, nella sua commozione alimentata dai due bicchieri di vino bianco che

aveva bevuto la mattina, si reggeva al braccio del cognato, con le gambe molli e la testa ancora dolorante. Poi venivano gli uomini: il signor Madinier, grave in volto e tutto vestito di nero; Mes-Bottes, con un cappotto sulla casacca; Boche, i cui pantaloni gialli non mancavano di far scalpore; e poi Lantier, Gaudron, Bibi-la-Grillade, Poisson e altri ancora. Seguivano quindi le signore: in prima fila la signora Lorilleux, che strascicava la sottana raccorciata della morta; la signora Lerat, che nascondeva sotto uno scialle il suo vestito da lutto improvvisato, una casacchina ornata di lill; poi, una di seguito all'altra, Virginie, la signora Gaudron, la signora Fauconnier, la signorina Remanjou, tutto il resto del corteo. Quando il carro funebre si mosse e cominci a scendere lentamente rue de la Goutte d'Or, fra segni della croce e scappellate, i quattro becchini presero la testa del corteo, i primi due davanti e gli altri due a sinistra e a destra. Gervaise era rimasta a chiudere la bottega. Dopo aver affidato Nan alla signora Boche, raggiunse il convoglio di corsa, mentre la bambina, tenuta dalla portinaia sotto l'androne, guardava con occhi pieni di curiosit la nonna che spariva in fondo alla via, in quella bella carrozza. Nel momento stesso in cui la lavandaia raggiungeva trafelata la coda del corteo, Goujet arrivava dall'altra parte della strada. Si un agli uomini; ma si rigir, la salut con un cenno della testa, e cos dolcemente che Gervaise si sent tutt'a un tratto ancora pi infelice e fu ripresa dalle lacrime. Ma non piangeva soltanto per mamma Coupeau; piangeva per qualcosa di vergognoso, che non avrebbe saputo dire e che l'opprimeva. Per tutto il tragitto si tenne il fazzoletto sugli occhi. La signora Lorilleux, con le gote asciutte e infiammate, la guardava di traverso, come per accusarla di far la commedia. In chiesa, la cerimonia fu liquidata alla svelta. Ma la messa and un po' per le lunghe, perch il prete era decrepito. MesBottes e Bibi-la-Grillade avevano preferito non entrare, per evitare la questua. Il signor Madinier pass tutto il tempo a osservare i preti e a comunicare le sue impressioni a Lantier: quei cialtroni, biascicando il loro latino, non sapevano nemmeno quanto andavano blaterando; seppellivano una persona cos come l'avrebbero battezzata o maritata, senza avere in cuore il minimo sentimento. Il signor Madinier deplor poi tutte quelle cerimonie, quelle luci, quelle voci lugubri, e tutto quello sfoggio al cospetto delle famiglie. Davvero, in quel modo si finiva per perdere i propri cari due volte, a casa e in chiesa. E tutti gli uomini gli davano ragione. Tanto pi che ci fu un altro momento penoso, quando, finita la messa, cominci un brusio di preghiere e gli astanti furono costretti a sfilare davanti alla salma, aspergendo la bara con l'acqua santa. Per fortuna il cimitero non era lontano: il piccolo cimitero della Chapelle, un lembo di giardino che s'apriva su rue Mercadet. Il corteo lo raggiunse alla rinfusa, e ormai scalpitando d'impazienza; ognuno parlava dei fatti suoi. La dura terra risuonava, vi avrebbero volentieri battuto i piedi per scaldarsi. La fossa spalancata, accanto alla quale fu posata la bara, era gi tutta gelata, grigia e pietrosa come una cava di gesso. Tutti erano schierati attorno ai monticelli di calcinacci, ma non trovavano affatto piacevole

aspettare con quel freddo, cominciavano a non poterne pi di guardare la fossa. Finalmente da una casupola comparve un prete in cotta; tremava dal freddo, gli si vedeva il fiato fumigare a ogni de profundis che diceva. All'ultimo segno della croce scapp via, senza aver voglia di ricominciare. Il becchino prese la pala; ma a causa del gelo non staccava che delle grosse zolle, che cadevano risuonando cupamente, laggi, sul fondo della fossa, un vero e proprio bombardamento sulla cassa, una sequela di colpi di cannone da far credere che il legno si spaccasse. C' poco da essere egoisti: quella musica vi spezza il cuore. Ricomparvero allora le lacrime. Andavano via, erano gi fuori, e ancora si sentivano quelle detonazioni. Mes-Bottes, soffiandosi sulle dita, fece ad alta voce un'osservazione: ah! fulmini del cielo! no! la povera mamma Coupeau non doveva aver di certo troppo caldo! Signore, signori, disse lo zincatore ai pochi amici rimasti ancora insieme alla famiglia, se volete permetterci d'offrirvi qualcosa.... Ed entr per primo da un vinaiolo di rue Mercadet, A la descente du cimitre. Gervaise, rimasta sul marciapiede, cerc di trattenere Goujet che si stava allontanando, dopo averla salutata con un altro cenno della testa. Non voleva proprio accettare un bicchiere di vino? Ma il fabbro andava di fretta, doveva tornare all'officina. Allora si guardarono per un attimo senza parlare. Vi prego di scusarmi per quei sessanta franchi, mormor finalmente la lavandaia. Mi sentivo come una pazza, ho pensato a voi.... Oh! non c' di che, siete scusata, la interruppe il fabbro. Poi, lo sapete, sono sempre a vostra disposizione, se vi capita qualche disgrazia... Ma non parlatene con la mamma, perch ha le sue idee, e non voglio contrariarla. Gervaise continuava a guardarlo; e vedendolo cos buono, cos triste, con la sua bella barba bionda, fu sul punto di accettare la sua antica proposta, di fuggir via con lui, per cercare d'esser felici altrove. Poi le venne un altro cattivo pensiero, quello di chiedergli in prestito i due trimestri da pagare, a qualunque prezzo. Tremava; e riprese con voce pi affettuosa: Non siamo in rotta, vero?. No, certamente, non lo saremo mai... Ma, capite? tutto finito!. E se ne and a grandi passi, lasciando Gervaise stordita, mentre quella sua ultima frase le risuonava nel cervello come un rintronare di campane. Entrando dal vinaiolo, si ripeteva oscuramente nel pi profondo del cuore: tutto finito, ebbene! s, tutto finito; non ho pi niente da fare, se tutto finito!. Si mise a sedere, divor un pezzo di pane e formaggio, svuot il bicchiere che le stava davanti. Era una lunga sala a pianterreno, dal soffitto basso, occupata da due grandi tavoli. Dei litri, dei quarti di pane, dei larghi triangoli di Brie disposti in tre piatti, si distendevano in fila. La compagnia mangiava con le mani, senza tovaglia e senza coperti. E pi in l, accanto alla stufa che russava, i quattro

becchini stavano finendo di pranzare. Mio Dio!, spiegava il signor Madinier, a ciascuno il suo turno. I vecchi lasciano il posto ai giovani... Vi sembrer certo vuota, la vostra casa, quando ci tornerete. Oh! mio fratello sta per lasciarla, disse vivacemente la signora Lorilleux. un vero disastro, quella bottega!. Coupeau era stato lavorato per bene. Tutti lo spingevano a cedere la locazione. La stessa signora Lerat, da qualche tempo in ottimi rapporti con Lantier e Virginie, solleticata dall'idea che potessero avere una bella cotta l'uno per l'altra, non faceva ormai che parlare di fallimento e di prigione, assumendo un'aria tutta spaventata. E improvvisamente lo zincatore s'arrabbi; la sua commozione si trasformava in furore, a forza d'essere innaffiata dall'alcool. Ascoltami, grid in faccia alla moglie, voglio che mi ascolti! La tua maledetta testa ne fa sempre qualcuna delle sue. Ma stavolta farai come voglio io, t'avverto!. Ah! bene!, disse Lantier, come se fosse possibile convincerla a ragionare con le buone! Ci vorrebbe un martello, per farle entrare un'idea del genere nella zucca!. E tutti e due continuarono per un po' a infierire su di lei. Ma non per questo le mascelle lavoravano meno. Il Brie spariva, i litri scorrevano come fontane. Intanto Gervaise si sentiva rammollire sotto quei colpi. Non rispondeva nulla, con la bocca sempre piena, spicciandosi, come se avesse avuto una gran fame. Quando i due uomini si stancarono, alz lentamente la testa e disse: Ne ho abbastanza, sapete! Me ne infischio della bottega! Non ne voglio pi sapere... Capite? me ne infischio! tutto finito!. Allora chiesero ancora del formaggio e del pane, si misero a parlare seriamente. I Poisson si assumevano la nuova locazione e si offrivano di rispondere dei due trimestri arretrati. Boche, con aria d'importanza, accettava l'accomodamento in nome del padrone di casa. E anzi, seduta stante, affitt un alloggio ai Coupeau, l'alloggio vuoto del sesto piano, sullo stesso corridoio dei Lorilleux. Quanto a Lantier, mio Dio! poteva benissimo tenersi la sua camera, se la cosa non dava fastidio ai Poisson. La guardia municipale fece un piccolo inchino: la cosa non gli dava per nulla fastidio; ci si intende sempre fra amici, nonostante le idee politiche. E Lantier, senza immischiarsi pi nella cessione, da uomo che ha concluso il suo piccolo affare, si prepar un'enorme tartina di Brie; si mise a sedere pi comodamente e cominci a mangiarla con devozione, tutto felice e contento, ardendo d'una gioia che dissimulava, strizzando gli occhi per ammiccare di volta in volta a Virginie e a Gervaise. Ehi! pap Bazouge!, chiam Coupeau, venite a farvi un bicchierino. Noi non siamo superbi, siamo tutti dei lavoratori. I quattro becchini, che stavano per uscire, tornarono indietro e brindarono con la compagnia. Non era certo per fare un rimprovero, ma la signora di prima era davvero pesante e valeva almeno un bicchiere di vino! Pap Bazouge non levava gli occhi di dosso dalla lavandaia, pur senza lasciarsi sfuggire una sola parola fuori posto. Gervaise si alz, sentendosi a disagio, e

lasci gli uomini che cominciavano a ubriacarsi. Coupeau, gi fradicio, aveva ripreso a piagniucolare, dicendo che era per il gran dolore. La sera, quando si ritrov nella sua casa, Gervaise rest a lungo inebetita su una sedia. Le sembrava che le stanze fossero immense e deserte. Era davvero il vuoto pi assoluto. Evidentemente, in fondo a quella fossa, nel piccolo giardino di rue Mercadet, non aveva lasciato soltanto mamma Coupeau. Troppe cose le mancavano. Doveva essere una parte della sua stessa vita, e la sua bottega, e tutto il suo orgoglio di padrona, e chiss quali altre emozioni, che quel giorno aveva seppellito. S, le pareti erano nude, e anche il suo cuore lo era; era uno sgombero completo, un salto nel buio. Ma si sentiva troppo stanca; si sarebbe risollevata pi tardi, se avesse potuto. Alle dieci, spogliandosi, Nan pianse, pest i piedi. Voleva dormire nel letto di mamma Coupeau. La madre cerc in ogni modo di farle paura; ma la bambina era fin troppo precoce, e i morti non le provocavano che una gran curiosit. E cos, per stare in pace, Gervaise fin per concederle di coricarsi nel posto di mamma Coupeau. Le piacevano i letti grandi, a quella briccona; e vi si allungava, vi si rotolava. Quella notte dorm veramente bene, in quel bel calduccio, solleticata dal materasso di piume. CAPITOLO DECIMO

La nuova abitazione dei Coupeau si trovava al sesto piano, scala B. Una volta passati davanti all'alloggio della signorina Remanjou, si prendeva il corridoio sulla sinistra. Poi si doveva svoltare ancora. La prima porta era quella dei Bijard. Quasi di fronte, in un bugigattolo senz'aria, sotto una piccola scala che saliva fino ai tetti, dormiva pap Bru. Due porte pi in l, c'era la camera di Bazouge. Infine, attaccati a Bazouge, c'erano i Coupeau: una camera e uno stanzino che davano sul cortile. Alla fine del corridoio, rimanevano soltanto due famiglie, prima d'arrivare, proprio in fondo, dai Lorilleux. Una camera e uno stanzino, nient'altro. Era qui che i Coupeau avevano fatto adesso il loro nido. E per di pi la camera era larga come il palmo d'una mano. Dovevano far tutto l dentro: dormire, mangiare e il resto. Quanto allo stanzino, il letto di Nan ci stava appena appena; la bambina doveva spogliarsi nella camera del padre e della madre, e le lasciavano la porta aperta, di notte, perch non soffocasse. Stavano cos stretti che Gervaise, al momento di lasciare la bottega, era stata costretta a cedere ai Poisson alcune delle sue cose, non sapendo dove metterle. Il letto, il tavolo e le quattro sedie, bastavano gi a riempire tutto l'alloggio. E con il cuore a pezzi, non avendo il coraggio di separarsi dal suo cassettone, aveva ingombrato la camera con quel mobile maledetto che copriva met della finestra. Una delle imposte era sempre chiusa; il che toglieva luce e allegria. Quando voleva affacciarsi alla finestra, poich si faceva sempre pi grassa, non sapeva nemmeno dove poggiare

i gomiti; e doveva sporgersi di traverso, torcendo il collo per guardare nel cortile. I primi giorni la lavandaia si buttava su una sedia e piangeva. Le sembrava troppo duro non riuscire pi a muoversi in casa propria, abituata com'era a vivere in spazi pi ampi. Soffocava; rimaneva alla finestra per ore, schiacciata fra il muro e il cassettone, a buscarsi dei gran torcicolli. Soltanto l respirava. Ma il cortile non le suggeriva ormai che ben tristi pensieri. Di fronte a lei, dalla parte del sole, vedeva ancora il suo sogno di un tempo, quella finestra del quinto piano dove, a ogni primavera, i fagioli di Spagna s'avvolgevano con i loro piccoli steli attorno a un pergolato di corde. La sua camera era invece dalla parte dell'ombra; i vasi di reseda morivano in capo a otto giorni. Ah! no, la vita certo non le sorrideva, non era quella l'esistenza che aveva sognato! Invece di prepararsi a una vecchiaia circondata di fiori, ecco che s'avvoltolava in cose poco pulite! Un giorno, affacciandosi, ebbe una strana sensazione; le sembr di vedere se stessa, proprio lei, di persona, laggi sotto l'androne, a due passi dalla guardiola del portinaio, con il naso in aria ad ammirare la casa come aveva fatto quella prima volta; quel balzo all'indietro di tredici anni le diede una fitta al cuore. Ma il cortile non era cambiato. Le nude facciate erano appena un po' pi nere e lebbrose, mentre lo stesso fetore saliva dai condotti corrosi dalla ruggine; alle corde delle finestre erano appesi ad asciugare capi di biancheria, pannolini imbrattati di lordura. In basso, il selciato era ancora tutto pieno di buche e insudiciato dai bruscoli di carbone del magnano e dai trucioli del falegname; nell'angolo pi umido della fontana, la pozza che colava dalla tintoria aveva una bellissima tinta azzurra, un azzurro non meno delicato dell'azzurro d'allora. Ma lei, lei s che era cambiata e sfiorita! Non era pi laggi, la faccia levata verso il cielo, contenta e coraggiosa, a sognare un bell'appartamento. Era sotto i tetti, nell'angolo dei pidocchiosi, nel buco pi lercio, in un luogo dove non entrava mai il pi piccolo raggio di sole. Non bastava questo a giustificare le sue lacrime? come avrebbe potuto esser felice della sua sorte? Tuttavia, quando Gervaise si fu un po' abituata, la vita della famiglia nel nuovo alloggio, almeno per i primi tempi, non si present poi cos male. L'inverno era quasi finito; e i quattro soldi dei mobili venduti a Virginie avevano reso pi facili le cose. Poi, appena il tempo si mise al bello, ebbero un colpo di fortuna: Coupeau trov da lavorare in provincia, a Etampes; e vi si ferm per quasi tre mesi, senza mai ubriacarsi, momentaneamente guarito dall'aria di campagna. Non si pu credere come tolga la sete agli ubriaconi il semplice fatto di lasciare l'aria di Parigi, le cui strade galleggiano nei vapori del vino e dell'acquavite. Al suo ritorno, era fresco come una rosa; e portava con s quattrocento franchi, che servirono a pagare i due trimestri arretrati della bottega, per i quali avevano garantito i Poisson, e altri piccoli debiti sparsi qua e l per il quartiere, i pi pressanti. Gervaise pot cos passare di nuovo per due o tre vie che aveva a lungo evitato. Naturalmente si era messa a fare la stiratrice a giornata. La signora Fauconnier, che era una gran brava donna purch la si lisciasse un poco, l'aveva ripresa volentieri. Le dava

anzi tre franchi come a una prima operaia, per riguardo alla sua trascorsa condizione di padrona. Sembrava quindi che la famiglia potesse andare avanti alla meno peggio. Con un po' di fatica e d'economia, si riprometteva Gervaise, un giorno sarebbero riusciti a pagare tutti i debiti e a garantirsi un piccolo tran tran decoroso. Ma faceva tutti questi buoni propositi soltanto nell'euforia della forte somma guadagnata dal marito; a freddo, continuava a prendere il tempo cos come veniva, e diceva che le cose belle duravano sempre troppo poco. I Coupeau soffrirono soprattutto nel vedere i Poisson installarsi nella bottega. Per natura non erano affatto invidiosi; ma sembrava che gli altri facessero apposta a stuzzicarli, magnificando in loro presenza gli abbellimenti dei loro successori. I Boche, e ancor pi i Lorilleux, non parlavano d'altro. A sentir loro, non si era mai vista una bottega cos bella. E raccontavano in che stato vergognoso d'abbandono i Poisson avessero trovato i locali; dicevano che la sola ripulitura non era costata meno di trenta franchi. Dopo qualche esitazione, Virginie s'era alla fine decisa per un piccolo commercio di drogheria di lusso, confetti, cioccolata, caff, t. Lantier le aveva vivamente consigliato un commercio del genere perch, diceva, c'eran da guadagnare delle somme enormi con le ghiottonerie. Tutta la bottega fu dipinta di nero, con delle righe gialle, due colori eleganti. Tre falegnami lavorarono otto giorni a sistemare gli scaffali, le vetrine e le mensole del bancone, per i boccali, proprio come nelle confetterie. La piccola eredit tenuta in serbo da Poisson ne rimase probabilmente intaccata. Ma Virginie trionfava; e i Lorilleux, con l'appoggio dei portinai, non risparmiavano a Gervaise nemmeno uno scaffale, una vetrina, un boccale, esultando ogni volta che la vedevano cambiare espressione. C' poco da non essere invidiosi; ci si rode sempre il fegato, quando gli altri s'infilano nelle nostre scarpe e ci calpestano. E per di pi c'era sotto anche tutta una questione di uomini. Si sosteneva che Lantier avesse lasciato Gervaise. Il quartiere lo proclamava ai quattro venti. Tanto meglio! finalmente la morale tornava ad abitare in quella via! E tutto il merito della separazione andava a quella volpe del cappellaio, che le signore continuavano a portare in palma di mano. Non mancavano i particolari: Lantier aveva dovuto prendere a schiaffi la lavandaia, per farla star buona, da tanto gli si era appiccicata addosso. Naturalmente nessuno diceva tutta la verit; quelli che avrebbero potuto conoscerla, la giudicavano troppo semplice e non abbastanza interessante. Se si voleva, Lantier aveva effettivamente lasciato Gervaise, nel senso che non la teneva pi a propria disposizione sia di giorno che di notte; ma sicuramente continuava a farle visita al sesto piano, quando ne aveva voglia, perch alla signorina Remanjou capitava spesso d'incontrarlo, mentre usciva dalla casa dei Coupeau nelle ore pi impensate. La loro relazione insomma continuava, ma affidata al caso, come e quando potevano, senza che nessuno dei due ne traesse poi un vero piacere: erano pi che altro delle compiacenze reciproche, un avanzo d'abitudine e nulla di pi. Ma ci che complicava adesso la situazione era il fatto che tutto

il quartiere infilava ormai Lantier e Virginie sotto lo stesso paio di lenzuola. Anche in questo caso il quartiere si dimostrava un po' troppo precipitoso. Era del resto vero che il cappellaio aveva messo gli occhi sulla bella bruna; e la cosa rientrava per cos dire nelle regole, perch Virginie aveva in tutto e per tutto preso il posto di Gervaise nella casa. Circolava addirittura una storiella. Si pretendeva che una notte il cappellaio fosse andato a cercare Gervaise nel letto del vicino, ma che al posto della lavandaia avesse portato Virginie in camera sua, e l'avesse tenuta con s per tutta la notte, non avendola riconosciuta se non alle prime luci dell'alba. La storiella era divertente. Ma Lantier non era in realt cos avanti; si permetteva appena di pizzicarle i fianchi. Ma non per questo i Lorilleux, in presenza di Gervaise, parlavano con meno tenerezza degli amori di Lantier e di Virginie, sperando d'ingelosirla. I Boche lasciavano capire a loro volta che non avevano mai visto una coppia meglio assortita. Il buffo, in tutta questa faccenda, era che rue de la Goutte-d'Or non sembrava affatto scandalizzarsi di quel nuovo connubio a tre; no, la morale, tanto rigida verso Gervaise, si mostrava invece indulgente con Virginie. Ma forse la sorridente benevolenza di tutta la via derivava dal fatto che suo marito era pur sempre una guardia municipale. Per fortuna la gelosia non tormentava affatto Gervaise. Le infedelt di Lantier la lasciavano ormai del tutto indifferente, anche perch il cuore, da molto tempo, non aveva pi una gran parte nella loro relazione. Pur non avendo cercato in nessun modo di saperle, era venuta a conoscenza di certe storie poco edificanti che riguardavano il cappellaio, di avventure con le peggiori donnacce, le prime cagne imbellettate che aveva incontrato per strada; e la cosa le aveva fatto cos poco effetto che aveva continuato a mostrarsi compiacente, senza nemmeno trovare in se stessa quella rabbia che le avrebbe forse permesso di farla finita una volta per tutte. Non diger tuttavia cos facilmente la nuova infatuazione del suo amante. Se c'era Virginie di mezzo, era allora tutta un'altra faccenda. Dovevano aver escogitato insieme quella storia soprattutto per farle dispetto; se ne infischiava della loro bagatella, ma pretendeva che non le si mancasse di riguardo. E cos, quando la signora Lorilleux o qualche altra bestiaccia maligna diceva apposta in sua presenza che il povero Poisson non riusciva nemmeno pi a passare sotto la porta di Saint-Denis, si sbiancava di colpo, con il cuore dilaniato e un gran bruciore alla bocca dello stomaco. Ma stringeva le labbra e cercava di trattenersi, non volendo dare la minima soddisfazione ai suoi nemici. Probabilmente non era riuscita a controllarsi altrettanto bene con Lantier, perch la signorina Remanjou giur d'aver sentito il rumore d'uno schiaffo, un pomeriggio. E un litigio in effetti c'era stato. Lantier non le rivolse la parola per quindici giorni; ma poi torn a cercarla, e le cose sembrarono ricominciare come prima, come se nulla fosse accaduto. La lavandaia preferiva ormai rassegnarsi alla sua parte, aborriva la sola idea d'accapigliarsi con l'altra, e voleva soltanto che non le rovinassero ancora di pi la vita. Ah! non aveva pi vent'anni; e aveva smesso d'amare gli uomini fino al punto di prendere una rivale a

sculacciate, soltanto per i loro begli occhi, con il rischio di perdere il lavoro. Ma metteva anche questo in conto, insieme a tutto il resto. Coupeau invece si divertiva. Quel marito cos comodo, che non aveva mai voluto sentir parlare di corna in casa propria, si sbellicava adesso dal ridere davanti al bel paio di corna di Poisson. Se c'era lui di mezzo non gli faceva nessun effetto, ma se si trattava di qualcun altro gli sembrava la cosa pi ridicola del mondo; e si dava un gran da fare per scoprire tutti i possibili fatterelli del genere, quando cio erano le mogli dei vicini a guardare la foglia di fico dall'altro lato. Che gran frescone, per esempio, quel Poisson! E dire che portava la spada, che si permetteva di prendere a spintoni la gente in mezzo alla via! Coupeau spingeva poi la sua beata incoscienza fino al punto di sbeffeggiare Gervaise. Bene! benissimo! ecco che il suo ganzo cominciava ad averne abbastanza di lei! Non si poteva certo dire che avesse fortuna: gi una prima volta, con i fabbri, le cose le erano andate male; e adesso, la seconda volta, erano i cappellai a darsela a gambe. Non c'era che dire: continuava a rivolgersi a corporazioni poco serie. Perch non si prendeva invece un bel muratore, un uomo dalla presa sicura, che sapesse impastare ben saldo il suo gesso? Naturalmente parlava in questo modo tanto per scherzare; ma Gervaise si faceva ugualmente di tutti i colori, anche perch il marito sembrava frugarle nel cervello con i suoi occhietti grigi, come se avesse voluto conficcarvi quelle parole con un succhiello. Quando cominciava a dir sconcezze, Gervaise non riusciva pi a capire se parlava per scherzo o sul serio. Un uomo che si ubriaca da un capo all'altro dell'anno, non pi in s con la testa; e ci sono dei mariti, gelosissimi a vent'anni, che a forza di bere diventano di manica assai larga, a trenta, sul capitolo della fedelt coniugale. Che spettacolo, Coupeau, quando si metteva a far lo smargiasso in rue de la Goutte-d'Or! Parlava di Poisson dandogli del cornuto! Cos chiudeva il becco alle chiacchierone! Ormai non era pi lui, il cornuto! Oh! sapeva tutto quello che c'era da sapere. Se un tempo non aveva voluto dar retta alle chiacchiere della gente, era solo perch i pettegolezzi non gli piacevano. Ognuno padrone in casa propria, e si gratta dove pi gli prude. Ebbene! se a lui non prudeva in nessun posto, doveva forse grattarsi per far piacere alla gente? Nemmeno la guardia municipale pareva tener conto di quello che dicevano gli altri! Eppure questa volta era tutto vero; i due amanti eran stati visti insieme, non si trattava di chiacchiere campate in aria come nel suo caso. E s'indignava. Non capiva perch mai un uomo, un funzionario del governo, potesse sopportare un tale scandalo nella sua stessa dimora. Alla guardia municipale doveva piacere la rimasticatura degli altri, ecco la verit! Il che comunque non gli impediva, le sere in cui s'annoiava a star solo con la moglie nel loro buco sotto i tetti, di scendere a cercare Lantier e di trascinarlo con s a viva forza. La loro baracca gli sembrava ancora pi triste, da quando il suo compagno li aveva lasciati. E gli faceva far pace con Gervaise, ogni volta che li vedeva sul freddo. Fulmini del cielo! bisogna saper mandare al diavolo la gente! O per caso proibito divertirsi come pare e piace?

Sogghignava; delle idee di grandezza gli si accendevano negli occhi incerti da ubriaco; sentiva il bisogno di dividere tutto con il cappellaio, perch la vita gli sembrasse un po' pi allegra. Era soprattutto in sere del genere che Gervaise non capiva se il marito parlava per scherzo o sul serio. Lantier, in mezzo a queste storie, assumeva un'aria sempre pi austera; si mostrava paterno e dignitoso. Gi in tre occasioni era riuscito ad impedire che i Poisson e i Coupeau litigassero; la buona armonia fra le due famiglie era una delle ragioni della sua soddisfazione. Grazie agli sguardi insieme teneri e fermi con cui sorvegliava Gervaise e Virginie, le due donne continuavano a dimostrarsi l'un l'altra la pi grande amicizia. E il cappellaio, regnando sulla bionda e sulla bruna con una tranquilla aria da pasci, s'impinguiva della sua stessa ribalderia. Quella canaglia non aveva ancora finito di digerire i Coupeau, e gi cominciava ad addentare i Poisson. Oh! non che la cosa lo mettesse in imbarazzo! Semplicemente, una volta divorata una bottega, ne attaccava subito un'altra. Insomma, sono soltanto gli individui della sua specie ad avere fortuna. Quell'anno, a giugno, Nan fece la sua prima comunione. Aveva quasi tredici anni; era alta come una stanga e aveva un'espressione da sfrontata. L'anno prima era stata cacciata dal catechismo per la sua cattiva condotta; e questa volta il curato l'aveva accettata soltanto perch aveva paura che non si facesse pi vedere, e perch non voleva abbandonare in mezzo alla strada un'eretica in pi. Nan ballava di gioia all'idea del suo vestito bianco. I Lorilleux, in quanto padrino e madrina, le avevano promesso il vestito, un regalo di cui si vantavano gi in tutto il caseggiato; la signora Lerat le avrebbe dato il velo e la cuffia, Virginie la borsetta e Lantier il messale. La famiglia Coupeau poteva quindi affrontare la cerimonia senza darsene troppo pensiero. I Poisson, che volevano festeggiare l'inaugurazione dei loro nuovi locali con un piccolo rinfresco, scelsero per l'appunto quello stesso giorno, probabilmente consigliati dal cappellaio. Invitarono i Coupeau e i Boche, la cui figlia doveva fare a sua volta la prima comunione. La sera avrebbero cenato in casa loro con un cosciotto e qualche contorno. Il giorno prima, mentre Nan stava ammirando a bocca aperta i regali disposti in bell'ordine sul cassettone, Coupeau rientr in uno stato vergognoso. L'aria di Parigi l'aveva gi riconquistato. Aggred la moglie e la figlia con ingiurie da ubriaco, con delle oscenit che non erano certo appropriate a una circostanza del genere. Nan, del resto, cominciava a sua volta a farsi sboccata, costretta com'era a non ascoltare che i discorsi pi disgustosi. Se le capitava di litigare con la madre, la trattava senza peli sulla lingua da bagascia e da vacca. Ho fame!, strillava lo zincatore. Dove diavolo la mia zuppa, branco di carogne!... Ma guardatele, queste due donnicciole, con tutte le loro cianfrusaglie! Mi ci siedo sopra, sapete, a questo mucchio di stracci, se non mi date subito da mangiare!. Come asfissiante, quando ubriaco!, mormor Gervaise spazientita.

E rivolgendosi al marito: La zuppa si sta scaldando. Lasciaci un po' in pace!. Nan quel giorno aveva deciso di fare la modesta, perch le pareva l'atteggiamento pi appropriato. Continuava a guardare i suoi regali messi in fila sul cassettone, e teneva gli occhi ostentatamente abbassati, fingendo di non capire le volgarit del padre. Ma lo zincatore, le sere che rientrava ubriaco, era pi petulante d'una scimmia. Le parlava quasi nelle orecchie. Te li do io, i vestiti bianchi! Dimmi un po'! pensi ancora di farti le tette nel corpetto con delle palle di carta, come l'altra domenica?... S, si, aspetta un po'! So bene quanto ti piace scuotere il didietro! Ti fanno prudere, i bei vestiti, vero? ti mettono la fregola addosso!... Vuoi o no levarti dai piedi, dannato bacherozzo! Togli le mani di l, fa scomparire questa roba in un cassetto, o ti ci pulisco tutto il grugno!. Nan, a testa bassa, continuava a non rispondere. Aveva preso in mano la cuffia di tulle, e domandava alla madre quanto costava. Coupeau allung le zampe per strapparle di mano la cuffia; Gervaise lo spinse indietro gridando: Ma lasciala un po' stare, questa bambina! cos carina, non sta facendo niente di male!. Allora lo zincatore ne vomit ancora di pi crude: Ah! che puttane! la madre peggio della figlia, e tutte e due insieme ne fanno proprio un bel paio! Ma vi sembra una bella cosa, andare a mangiare il buon Dio facendo le civette con gli uomini?... Osa un po' dire il contrario, piccola sudiciona!... Ti far vestire con un sacco; vedremo se anche cos ti verr il prurito addosso. S, con un sacco, per farvene passare la voglia, a te e ai tuoi preti! O credi forse che mi faccia piacere che t'insegnino tutti i vizi?... Insomma! in nome di Dio! mi volete o no ascoltare, voi due?. Ma tutt'a un tratto Nan si volt inviperita, mentre Gervaise allungava le mani per mettere in salvo le cose che Coupeau minacciava di fare a brandelli. La bambina fiss per un attimo il padre; poi, dimenticando la modestia che le aveva raccomandato il suo confessore, disse a denti stretti: Porco!. Subito dopo aver mangiato la zuppa, lo zincatore si mise a russare. L'indomani si svegli d'ottimo umore. Aveva ancora un resto della sbornia del giorno prima, quel tanto che gli permetteva d'essere amabile. Poi volle assistere alla vestizione della piccola, e il vestito bianco lo commosse; trovava che un nonnulla dava a quel passerottino una vera aria da principessa. Insomma, come gli piaceva ripetere, in un'occasione del genere un padre non pu che essere orgoglioso della sua bambina. E bisognava vedere con che grazia Nan portava quel suo vestitino un po' troppo corto, sorridendo con l'imbarazzo d'una sposina! Finalmente scesero. Quando Nan vide Pauline sulla porta della guardiola, abbigliata nel suo stesso identico modo, s'arrest di colpo e la squadr a lungo con il suo limpido sguardo; ma poi si mostr affettuosissima, trovando che l'amica era decisamente meno elegante di lei e che assomigliava pi che altro a un fagotto. Subito dopo le due famiglie s'avviarono insieme verso la chiesa. Nan e Pauline camminavano davanti,

stringendo il messale in mano e trattenendo i veli che il vento faceva ondeggiare. Non parlavano, ma si sentivano entrambe venir meno dal piacere ogni volta che qualcuno s'affacciava alla porta d'una bottega; e assumevano la loro aria pi devota per sentirsi dire, mentre passavano, che erano davvero graziose. La signora Boche e la signora Lorilleux erano rimaste apposta un po' indietro per scambiarsi le loro riflessioni sulla Zoppa, una vera scialacquatrice, la cui figlia non sarebbe nemmeno riuscita a comunicarsi, se i parenti non le avessero regalato tutto, s, tutto, perfino una camicia nuova, per rispetto verso la Santa Mensa. La signora Lorilleux era in agitazione soprattutto per il vestito, che era appunto il suo regalo; e fulminava Nan con lo sguardo, la chiamava piccola sporcacciona, ogni volta che la bambina, per avvicinarsi troppo ai negozi, raccattava tutta la polvere da terra con la sottana. In chiesa, Coupeau pianse per tutto il tempo. Era assurdo, lo sapeva, ma non riusciva proprio a trattenere le lacrime. Tutto lo colpiva: il modo in cui il prete allargava le braccia, le fanciulle che sfilavano a mani giunte e che assomigliavano agli angeli; la musica dell'organo gli risuonava nelle budella, e il buon odore dell'incenso lo costringeva a tirar su con il naso, come se gli avessero spinto sul viso un mazzo di fiori. Insomma, vedeva tutto il mondo in azzurro; si sentiva stringere il cuore. Fu soprattutto un cantico, qualcosa d'assolutamente celestiale, mentre le fanciulline ricevevano il corpo di nostro Signore, a scorrergli gi per il collo, mettendogli un brivido in tutta la schiena. Attorno a lui, del resto, tutte le persone di buon cuore stavano a loro volta inzuppando i fazzoletti. Davvero, era proprio un gran bel giorno, il pi bel giorno della vita! All'uscita dalla chiesa, tuttavia, quando and a farsi un bicchierino in compagnia di Lorilleux, che era invece rimasto a occhi asciutti e si divertiva a prenderlo in giro, mont su tutte le furie, accus i preti di far ardere in chiesa chiss quali erbe diaboliche, per rinfrollire gli uomini. Ma in fin dei conti perch avrebbe dovuto vergognarsi? Ebbene! s, i suoi occhi avevano pianto; il che dimostrava semplicemente che non aveva un sasso al posto del cuore. E ordin un altro giro. La sera, il ricevimento dei Poisson per l'inaugurazione dei nuovi locali si svolse nella pi grande allegria. L'amicizia regn dall'inizio alla fine della cena, senza il minimo intoppo. Anche quando arrivano i brutti giorni, capitano sempre delle ore del genere, delle buone serate in cui ci si vuol bene perfino fra persone che di solito si detestano. Lantier, che aveva alla sua sinistra Gervaise e alla sua destra Virginie, si mostr amabile con entrambe e si prodig in mille tenerezze, come un gallo che vuole la pace nel suo pollaio. Dirimpetto a lui, Poisson conservava la sua aria assorta, tranquilla e severa da guardia municipale, la sua abitudine di non pensare a nulla, con gli occhi velati, come durante i lunghi turni di guardia agli angoli dei marciapiedi. Le regine della festa furono le due ragazzine, Nan e Pauline, che avevano avuto il permesso di non cambiarsi d'abito. Se ne stavano tutte impettite, per paura di macchiarsi il loro vestito bianco; e a ogni boccone si gridava loro di alzare bene il mento, per mandar gi il cibo senza sporcarsi. Nan,

infastidita, fin per rovesciarsi tutto il vino sul corpetto. Fu un affare di stato: le fecero togliere il vestito e lavarono immediatamente il corpetto con un bicchiere d'acqua. Al dessert si parl seriamente dell'avvenire delle fanciulle. La signora Boche aveva gi fatto la sua scelta: Pauline sarebbe entrata in un laboratorio di traforatrici in oro e in argento, dove poteva guadagnare dai cinque ai sei franchi al giorno. Gervaise non aveva ancora un'idea precisa, tanto pi che Nan non mostrava nessuna vera inclinazione. Oh! le piaceva far la vagabonda, questa s che era la sua vocazione! ma per il resto aveva le mani di burro. Io, se fossi in voi, disse la signora Lerat, ne farei una fiorista. un mestiere onesto e piacevole. Le fioriste, mormor Lorilleux, sono tutte puttane. Ah, s! allora anch'io!, rispose la vedova stringendo le labbra. Ma come siete galante! Eppure lo sapete, non sono certo una cagna, e non mi metto con le zampe all'aria appena mi fanno un fischio!. Ma tutta la compagnia l'azzitt. Signora Lerat! oh! signora Lerat!. E con la coda dell'occhio le indicavano le due comunicande. Nan e Pauline ficcavano il naso nel bicchiere per non ridere. Per convenienza, gli stessi uomini avevano usato fino a quel momento soltanto le espressioni pi innocenti. Ma la signora Lerat non volle accettare l'ammonimento. Quello che aveva appena detto l'aveva sentito dire nelle migliori compagnie. Si piccava del resto di conoscere perfettamente la sua lingua; le facevano spesso i complimenti per come sapeva parlare di tutto, anche davanti ai bambini, senza offendere mai la decenza. Ci sono delle donne assai per bene fra le fioriste, tenetevelo a mente!, grid. Certo, sono fatte come tutte le altre donne, non hanno la scorza dappertutto. Ma sanno contenersi; e scelgono con gusto, ogni volta che si concedono una scappatella... S, deve essere tutto merito dei fiori! Ecco perch mi sono conservata.... Mio Dio!, l'interruppe Gervaise, non ho nulla contro i fiori. Ma devono piacere a Nan; non bisogna contrariare i fanciulli nella loro vocazione... Sentiamo, Nan, non fare la sciocca, rispondi. Ti piacciono i fiori?. La piccola, chinata sul piatto, raccattava le briciole d'un dolce con il dito bagnato, e poi lo succhiava. Non s'affrett a rispondere. Aveva un sorriso malizioso. Ma s, mamma, mi piacciono, fin per dichiarare. Allora la cosa venne subito combinata. Coupeau acconsent che la signora Lerat conducesse la fanciulla al suo laboratorio, in rue du Caire, fin dall'indomani. E la compagnia parl gravemente dei doveri della vita. Boche diceva che Nan e Pauline erano ormai delle donne, adesso che avevano fatto la prima comunione. Poisson aggiungeva che dovevano imparare a cucinare, a rammendare i calzini, a mandare avanti una casa. Si parl perfino del loro matrimonio e dei figli che un giorno avrebbero avuto. Le due ragazzine ascoltavano e ridacchiavano di nascosto; si sfregavano l'una contro l'altra, con il cuore gonfio, felici d'essere gi donne, rosse e imbarazzate nel loro

vestito bianco. Ma fu soprattutto Lantier a stuzzicarle, quando domand loro, prendendole in giro, se non c'era gi in vista qualche fidanzatino. E Nan fu costretta a confessare che voleva bene a Victor Fauconnier, il figlio della padrona di sua madre. Insomma!, disse la signora Lorilleux ai Boche, mentre si salutavano, nostra figlioccia, ma dal momento che ne fanno una fiorista, d'ora in poi ce ne laveremo le mani. Una puttana in pi per i boulevards... Tempo sei mesi, e ne far vedere delle belle!. Risalendo per andare a dormire, i Coupeau convennero che tutto era proceduto per il meglio, e che i Poisson erano in fondo delle brave persone. Gervaise trovava addirittura che la bottega era stata sistemata proprio come si deve. Si era immaginata di soffrire, a passar cos la serata nel suo alloggio d'un tempo, dove degli estranei si erano piazzati tanto comodamente; ed era rimasta sorpresa di non aver avuto nemmeno un momento di stizza. Nan, spogliandosi, chiese alla madre se il vestito della signorina del secondo piano, che si era sposata il mese prima, era di mussola come il suo. Ma quello fu l'ultimo bel giorno della famiglia. Trascorsero due anni, e i Coupeau andarono sempre pi a fondo. Erano soprattutto gli inverni a dissanguarli. Se nella bella stagione avevano di che mangiare, con la pioggia e con il freddo arrivavano, nella piccola Siberia della loro stamberga, anche la fame, i pasti saltati, le cene fatte soltanto nel ricordo. Quel dannato dicembre entrava in casa loro passando sotto la porta, e trascinava con s tutti i mali: la disoccupazione nelle fabbriche, gli ozi intorpiditi delle grandi gelate, la nera miseria dei giorni pi umidi. Il primo inverno, in certe serate, fecero ancora un po' di fuoco; e si rannicchiavano attorno alla stufa, preferendo scaldarsi piuttosto che mangiare. Ma il secondo inverno la stufa rimase con la ruggine, e ghiacciava tutta la camera con il suo lugubre aspetto di cippo di ghisa. Ma erano specialmente gli affitti da pagare a spezzar loro le gambe, ad annientarli. Oh! quella maledetta scadenza di gennaio, quando non avevano il becco d'un quattrino e pap Boche presentava gi la ricevuta! Sentivano allora ancora pi freddo, una vera tempesta di tramontana. Il signor Marescot arrivava il sabato dopo, coperto da un buon cappotto, le zampe infilate in guanti di lana; e aveva sempre in bocca la parola sfratto, mentre fuori cadeva la neve, come a preparare per loro un bel letto sul marciapiede, con lenzuola bianche. Per pagare la pigione avrebbero venduto la loro stessa carne. Era la pigione a svuotare la stufa e la credenza. In tutto il caseggiato risuonava del resto un unico lamento. Si piangeva a tutti i piani; una musica di sventura riecheggiava lungo le scale e i corridoi. Se in ogni casa ci fosse stato un morto, non si sarebbe sentito un suono d'organo altrettanto doloroso. Sembrava il giorno del giudizio universale, la fine della fine, la vita impossibile, l'annientamento della povera gente. La donna del terzo piano si era messa a battere all'angolo di rue Belhomme. Un operaio, il muratore del quinto piano, aveva rubato in casa del padrone. Senza dubbio i Coupeau non potevano incolpare che se stessi. Per quanto dura sia l'esistenza, con un po' d'ordine e

d'economia sempre possibile rimanere a galla. Lo dimostravano i Lorilleux, che pagavano il loro affitto puntualmente, avvolgendo i soldi in pezzi di carta sudicia; ma quei due menavano una vera vita da cani, da far odiare il lavoro. Nan con i fiori non guadagnava ancora nulla, e anzi spendeva parecchio per s. Gervaise cominciava ad essere mal vista nella bottega della signora Fauconnier. Non ci sapeva pi fare, e combinava dei tali pasticci sul lavoro che la principale le aveva ridotto la paga a quaranta soldi, il salario delle peggiori operaie. E con tutto ci, orgogliosa e suscettibile com'era, si ostinava a sbattere in faccia al mondo intero la sua trascorsa condizione di padrona. Mancava dal lavoro per intere giornate, lasciava la bottega per puro capriccio. Una volta, per esempio, si era a tal punto risentita nel vedere che la signora Fauconnier aveva preso con s la signora Putois, e si era cos offesa all'idea di dover lavorare gomito a gomito con la sua operaia d'un tempo, che era sparita per quindici giorni. Dopo queste scenate, veniva ripresa soltanto per carit; il che l'inaspriva ancora di pi. Naturalmente, alla fine della settimana, la paga era tutt'altro che grassa; come diceva con amarezza, sarebbe arrivato prima o poi un sabato in cui avrebbe dovuto esser lei a dare qualcosa alla padrona. Quanto a Coupeau, i casi erano due: o non lavorava affatto, o se lavorava doveva di certo fare omaggio del suo lavoro al governo, perch Gervaise, dopo la trasferta ad Etampes, non aveva pi visto il colore dei suoi soldi. Nei giorni della santa paga, non gli guardava nemmeno pi le mani, quando rientrava. Arrivava con le braccia ciondoloni, le tasche vuote, spesso anche senza il fazzoletto; mio Dio! s, aveva perso il suo moccichino, oppure glielo aveva rubato qualche birbante di compagno. Le prime volte buttava gi dei conti, s'inventava delle panzane: dieci franchi per una sottoscrizione, venti franchi che gli erano caduti di tasca per colpa d'un buco che faceva vedere, cinquanta franchi per pagare dei debiti immaginari. Poi aveva perso ogni ritegno. Il denaro si volatizzava, ecco tutto! Non l'aveva in tasca, l'aveva nel ventre: un altro modo non molto divertente di portarlo alla moglie. La lavandaia, consigliata dalla signora Boche, andava qualche volta ad aspettare il suo uomo all'uscita dal lavoro, con la speranza di acciuffare il gruzzolo fresco fresco; ma non serviva a niente, i compagni avvertivano Coupeau, e il denaro scompariva nelle sue scarpe o in qualche altro borsellino ancora meno decente. La signora Boche si era fatta molto scaltra sull'argomento, perch Boche le faceva sparire delle monete da dieci franchi, e se ne serviva di nascosto per offrire dei conigli alle amabili signore di sua conoscenza; la portinaia frugava allora in tutti i possibili ripostigli dei suoi vestiti, e trovava in genere nella visiera del berretto, cucita fra il cuoio e la stoffa, la moneta che mancava all'appello. Ah! lo zincatore non era uno di quelli che imbottivano i loro stracci con l'oro! Se lo metteva direttamente in corpo. Gervaise non poteva prendere le forbici e scucirgli la pelle della pancia. S, la colpa era di tutta la famiglia, se andava di male in peggio di stagione in stagione. Ma sono cose che non si ammettono facilmente, soprattutto quando ci si trova nel fango.

Accusavano la sorte, affermavano che Dio ce l'aveva con loro. Ormai in casa c'era l'inferno. Passavano l'intera giornata a litigare. Ma non avevano ancora cominciato a picchiarsi; tutt'al pi qualche scappellotto sfuggito involontariamente di mano al culmine della discussione. La cosa ancora pi triste era che avevano aperto la gabbia all'amicizia; i sentimenti migliori erano volati via come dei canarini. Il bel calore dei padri, delle madri e dei figli, quando questo piccolo mondo si mantiene unito, stretto stretto, si ritraeva da loro, lasciandoli tremanti, ognuno nel suo cantuccio. Tutti e tre, Coupeau, Gervaise e Nan, avevano i nervi sempre a fior di pelle; si sbranavano per una parola con l'odio negli occhi; sembrava che qualcosa si fosse ormai rotto, la grande molla della famiglia, l'ingranaggio che, nelle persone felici, fa battere i cuori all'unisono. Ah! senza dubbio Gervaise non si turbava pi come una volta, quando vedeva Coupeau appeso sull'orlo delle grondaie, a dodici o quindici metri dal marciapiede. Non che l'avrebbe buttato gi lei stessa; ma se il marito fosse caduto cos, per caso, non le sembrava in verit che il mondo avrebbe subito una grave perdita. I giorni in cui regnava la discordia, gli gridava che avrebbe voluto vederlo tornare di nuovo a casa in una barella! Questo ormai si augurava; solo cos le avrebbero restituito la sua felicit! A che serviva, quell'ubriacone, se non a farla piangere, a spazzarle via ogni cosa, a spingerla al male? Ebbene! gli uomini inutili come lui erano gettati il pi presto possibile nella fossa, e ci si ballava sopra la polca della libert riconquistata. Quando la madre diceva: Ammazzalo! la figlia rispondeva: Accoppalo! Nan leggeva nei giornali le disgrazie con commenti da figlia snaturata. Suo padre aveva una tale fortuna, che un omnibus l'aveva buttato a terra senza nemmeno fargli passare la sbornia. Non sarebbe dunque mai crepata, quella carogna? In mezzo a questa esistenza esasperata dalla miseria, Gervaise era per di pi costretta a soffrire per tutti gli stenti di cui sentiva il rantolo attorno a s. Quell'angolo del caseggiato era l'angolo dei pidocchiosi, dove sembrava che tre o quattro famiglie si fossero messe d'accordo per non aver di che mangiare tutti i giorni. Le porte avevano un bell'aprirsi; non ne uscivano molto spesso gli odori di cucina. Nel corridoio c'era un silenzio di morte, e i muri risuonavano cavernosi come pance vuote. A momenti si sentivano degli strepiti, donne che piangevano, bambini che si lamentavano per la fame, famiglie che si sbranavano fra di loro, per ingannare lo stomaco. Era un generale crampo alla gola; tutte quelle bocche tese sbadigliavano e i petti si scavavano al solo respirare quell'aria, dove nemmeno i moscerini avrebbero potuto vivere, per mancanza di nutrimento. Ma la compassione di Gervaise era tutta per pap Bru, sotto la piccola scala, nel suo buco. Il vecchio vi si ritirava come una marmotta, si raggomitolava per aver meno freddo; rimaneva per intere giornate senza muoversi, buttato su un mucchio di paglia. Nemmeno la fame lo faceva uscire, perch era inutile andar fuori a farsi crescere l'appetito, visto che nessuno l'aveva invitato a mangiare. Quando scompariva per tre o quattro giorni di fila, i vicini spingevano la sua porta, guardavano se per caso non fosse

morto. Ma no! continuava a vivere come poteva, non del tutto, appena un poco, da un occhio soltanto; anche la morte lo dimenticava! Gervaise, non appena aveva del pane, gli portava delle croste. Anche se s'incattiviva e detestava gli uomini per colpa del marito, compiangeva sempre e sinceramente gli animali e pap Bru; quel povero vecchio che lasciavano crepare solo perch non riusciva pi a reggere in mano un pennello, era per lei come un cane, una bestia ormai fuori servizio, di cui nemmeno uno scortichino avrebbe voluto comprare il grasso o la pelle. E aveva come un peso sul cuore, sapendolo sempre l, dall'altra parte del corridoio, abbandonato da Dio e dagli uomini, ridotto a nutrirsi soltanto di se stesso, con il corpo che tornava a rimpicciolirsi e assomigliava a quello d'un bambino, raggrinzito e svuotato come un arancio messo a rinsecchire sul camino. La lavandaia era anche esasperata dalla vicinanza con Bazouge il becchino. Un semplice tramezzo, sottilissimo, separava le loro due camere. L'altro non poteva mettersi un dito in bocca senza che lei lo sentisse. Quando Bazouge tornava a casa la sera, Gervaise seguiva, come suo malgrado, tutto il suo piccolo affaccendarsi: il cappello nero di cuoio che risuonava sinistramente sul cassettone, come una palata di terra; il mantello nero che, appeso al muro, lo sfregava in un fruscio d'ali d'uccello notturno; tutti i suoi stracci neri, che venivano gettati in mezzo alla stanza e la riempivano con un disordine di lutto. Lo sentiva andare su e gi per la camera, s'irritava al suo minimo movimento, trasaliva se l'altro inciampava in un mobile o urtava le sue stoviglie. Quel maledetto ubriacone era il suo cruccio; la pi sorda paura si univa in lei a una disperata voglia di sapere. E intanto Bazouge, sempre allegro, con il sacco pieno tutti i giorni e il cervello sottosopra non soltanto la domenica, tossiva, scaracchiava, stonava le sue canzonacce oscene, si lasciava andare a cose tutt'altro che pulite, andava a sbattere contro tutte e quattro le pareti prima di trovare finalmente il suo letto. Tutta pallida in volto, Gervaise si domandava da quali mai strane faccende il becchino fosse a tal punto preso; aveva delle atroci fantasticherie, si ficcava in mente che dovesse aver portato con s un morto e che lo mettesse sotto il letto. Mio Dio! non aveva appunto letto in un giornale d'un fattaccio del genere, di un impiegato delle pompe funebri che si teneva in casa una vera collezione di bambini chiusi nelle loro piccole bare, semplicemente per risparmiarsi un po' di fatica e fare un solo viaggio al cimitero? Una cosa era comunque certa: quando Bazouge arrivava, il tanfo della morte si faceva sentire anche attraverso il tramezzo. Ci si poteva credere alloggiati di fronte al Pre-Lachaise, in pieno regno delle talpe. Era davvero spaventoso, quell'animale, con quel suo ridere continuamente da solo, come se il suo mestiere lo rallegrasse. Anche quando aveva finito di far baccano, e si buttava sul letto, russava in un modo cos fuori dal comune che alla lavandaia si mozzava il respiro. Passava ore e ore con l'orecchio teso; aveva l'impressione che dei cortei funebri sfilassero in casa del vicino. S, il peggio era che Gervaise, nonostante tutto il suo terrore, ne era a tal punto attratta da incollare l'orecchio contro il muro, per sentire meglio. Bazouge le faceva insomma lo stesso effetto

che i begli uomini fanno alle donne oneste: li vorrebbero toccare, ma non osano, la buona educazione le trattiene. Ebbene! se la paura non l'avesse trattenuta, Gervaise avrebbe voluto toccare la morte, vedere di cosa era fatta. In certi momenti si faceva cos curiosa, con il fiato sospeso, tutta protesa in ascolto, come se si aspettasse la rivelazione di quel segreto da un semplice movimento di Bazouge, che Coupeau le domandava ridacchiando se per caso non si fosse presa una bella cotta per il becchino della porta accanto. Allora s'infuriava, parlava di cambiare casa, tanto quella vicinanza le ripugnava; ma suo malgrado, appena il vecchio arrivava portandosi dietro il suo odore di cimitero, ripiombava nelle sue fantasticherie, e prendeva l'aria trepidante e accesa d'una sposa che s'abbandona al sogno di un piccolo strappo alla fedelt coniugale. Non le aveva forse offerto due volte d'imballarla e di portarla con s in altri luoghi, in una cuccia dove il piacere del sonno cos grande da far dimenticare d'un tratto tutti i mali? Che fosse davvero quella la cosa migliore? Poco a poco sentiva crescere in s una tentazione: di farne la prova. S, avrebbe voluto farne la prova per quindici giorni, un mese. Oh! dormire per un mese, soprattutto d'inverno, il mese della pigione, quando i fastidi della vita l'uccidevano! Ma non era possibile. Avrebbe dovuto dormire per sempre, se solo avesse cominciato a dormire per un'ora; questa idea l'agghiacciava, la sua infatuazione per la morte scompariva, davanti al patto eterno e severo che la terra esigeva. Tuttavia una sera di gennaio batt con i pugni sul tramezzo. Aveva passato una settimana angosciosa, maltrattata da tutti, senza nemmeno un soldo, ormai a corto di coraggio. Quella sera non si sentiva bene, batteva i denti per la febbre e aveva negli occhi come un danzare di fiamme. Allora, invece di buttarsi dalla finestra, come per un momento aveva pensato di fare, si mise a bussare e a chiamare: Pap Bazouge! Pap Bazouge!. Il becchino si stava levando le scarpe, e cantava: C'eran tre belle ragazze. Il lavoro doveva essere andato bene, quel giorno, perch sembrava pi confuso del solito. Pap Bazouge! Pap Bazouge!, grid Gervaise alzando la voce. Come mai non la sentiva? Eppure era pronta a darsi a lui in quello stesso istante; avrebbe potuto prenderla per il collo e portarla via con s, dove portava tutte le altre donne, le ricche e le povere che consolava. E quella sua canzone: C'eran tre belle ragazze, la feriva, perch vi vedeva quasi il disdegno di un uomo che ha fin troppe innamorate. S! che c'? che c'?, balbett Bazouge. C' qualcuno che sta male?... Eccomi, mammina!. Ma a quella voce roca, Gervaise si svegli come da un incubo. Cosa aveva fatto? Di certo doveva aver battuto sul tramezzo. Allora fu come se le avessero dato una mazzata sulle reni; la fifa le fece stringere le natiche e indietreggi, sembrandole di vedere le enormi zampe del becchino che uscivano dal muro e l'afferravano per i capelli. No, no, non voleva; non era ancora pronta. Se aveva battuto, doveva averlo

fatto con il gomito, mentre si rigirava nel letto, senza averne l'intenzione. E alla sola idea di vedersi trascinare fra le braccia di quel vecchio, tutta irrigidita e con la faccia bianca come un lenzuolo, un vero e proprio terrore le saliva dalle ginocchia fino al collo. E allora? non c' pi nessuno?, riprese Bazouge nel silenzio. Aspettate, si sempre compiacenti con le signore. Nulla, non nulla, disse alla fine la lavandaia con voce strozzata. Non ho bisogno di nulla. Grazie. E mentre il becchino si riaddormentava grugnendo, rimase ansiosa ad ascoltare, non osando quasi pi muoversi, per paura che l'altro s'immaginasse di sentirla bussare di nuovo. E giur a se stessa che da allora in poi sarebbe stata pi attenta. Anche se si fosse sentita in punto di morte, non avrebbe chiesto aiuto al vicino. Ma pensava cos soprattutto per rassicurarsi, perch in certi momenti, nonostante tutta la sua paura, sentiva ancora il fascino di quella terribile attrazione. Pur nel suo angolo di miseria, in mezzo ai suoi affanni e a quelli degli altri, Gervaise trovava un bell'esempio di coraggio in casa dei Bijard. La piccola Lalie, quella bambina di otto anni, non pi alta d'un soldo di cacio, mandava avanti la casa con la stessa cura d'una vera donna; e non era un'impresa da poco, perch aveva sulle spalle i due marmocchi, il fratello Jules e la sorella Henriette, due mocciosi di tre e cinque anni, sui quali doveva vegliare tutto il giorno, anche mentre scopava o lavava le stoviglie. Da quando pap Bijard aveva ucciso la moglie con un calcio nel ventre, Lalie era diventata la mammina di tutto questo piccolo mondo. Senza dire nulla, spontaneamente, aveva preso il posto della morta; lo teneva anzi cos bene che quel bruto del padre, senza dubbio per rendere perfetta la rassomiglianza, massacrava adesso la figlia come un tempo aveva massacrato la madre. Quando tornava a casa ubriaco, aveva bisogno di donne da accoppare. Non s'accorgeva nemmeno di quanto Lalie fosse piccola e fragile; non avrebbe picchiato pi forte su una vecchia carcassa. Con uno schiaffo le prendeva tutta la faccia; la carne della bambina era ancora cos delicata che il segno delle cinque dita vi rimaneva impresso almeno per due giorni. La batteva in un modo infame, la pestava per un s o per un no; era davvero un lupo infuriato che s'avventava su un povero gattino timido e innocuo, magro da far piangere, e che si lasciava malmenare con i suoi dolci occhi rassegnati, senza lamentarsi. No, Lalie non si ribellava mai. Ma piegava un po' il collo per proteggere il viso, e si tratteneva dal gridare per non allarmare il caseggiato. Poi, quando il padre era stanco di sbatterla a forza di pedate da un angolo all'altro della stanza, aspettava di aver la forza di tirarsi su; e si rimetteva subito al lavoro, ripuliva i bambini, preparava la zuppa, non lasciava un filo di polvere sui mobili. Essere picchiata rientrava nei suoi doveri di tutti i giorni. Gervaise si era presa di grande amicizia per la sua vicina. E la trattava da sua eguale, da donna adulta che conosce la vita. Bisogna dire che Lalie aveva una fisionomia pallida e austera, un'espressione un po' da zitella. A sentirla parlare, le si sarebbero dati trent'anni. Era bravissima a fare la spesa, a

rammendare, a tener pulita tutta la casa; e parlava dei bambini come se ne avesse gi partoriti almeno due o tre. Con i suoi otto anni, faceva sorridere chi l'ascoltava; ma poi rimanevano tutti con un groppo alla gola, e se ne andavano per non mettersi a piangere. Gervaise la teneva con s pi che poteva; e se appena era in grado di farlo, le dava qualcosa da mangiare o le regalava qualche vecchio vestito. Un giorno, mentre le faceva provare una vecchia casacchina di Nan, era rimasta senza fiato vedendole la schiena illividita, il gomito scorticato e ancora sanguinante, tutta la sua carne di piccola innocente martorizzata e incollata alle ossa. Bazouge poteva davvero tenerle pronta la bara; di quel passo, ne avrebbe avuto bisogno ben presto! Ma la piccina aveva pregato Gervaise di non farne parola con nessuno. Non voleva che per colpa sua il padre andasse incontro a qualche guaio. Lo difendeva; giurava che non era cattivo, quando non aveva bevuto. Era come un pazzo, non capiva pi quello che faceva. Oh! lei lo perdonava, perch ai pazzi si deve perdonare ogni cosa. Da quel giorno Gervaise vigilava, cercava di intervenire non appena sentiva il passo di pap Bijard sulle scale. Ma il pi delle volte riusciva soltanto a buscarsi la sua parte di botte. Nel corso della giornata, quando entrava, le capitava spesso di trovare Lalie legata a un piede del letto di ferro: un'idea del magnano che, prima d'uscire, le avvolgeva le gambe e la pancia con una grossa fune, ma senza che si potesse capirne il perch; una fissazione di quel cervello sconvolto dal bere, un bisogno di martorizzare la piccola anche quando non era in casa. Irrigidita come una sbarra di ferro, con le gambe che le formicolavano, Lalie restava al palo per intere giornate; vi rest addirittura per tutta una notte, una volta che Bijard si era dimenticato di rincasare. Quando Gervaise, piena d'indignazione, la voleva sciogliere, la piccola la supplicava di non toccare nemmeno una corda, perch il padre montava su tutte le furie se non ritrovava i suoi nodi fatti nello stesso modo. E poi, davvero, non ci stava cos male; anzi, si riposava. E lo diceva sorridendo, con le sue corte gambe da cherubino gonfie e senza vita. Soltanto una cosa l'addolorava: che stando inchiodata a quel letto, davanti alla casa tutta in disordine, il suo lavoro certo non ci guadagnava. Sarebbe stato meglio se il padre avesse inventato qualcos'altro. Ma continuava a sorvegliare i due bambini, si faceva obbedire, chiamava Henriette e Jules per smoccolarli. Avendo le mani libere, lavorava a maglia aspettando d'essere liberata, per non perdere del tutto il suo tempo. E soffriva soprattutto quando Bijard la slegava; si trascinava per un quarto d'ora a terra, non riuscendo a rimettersi in piedi, per colpa del sangue che circolava male. |[continua]| |[CAPITOLO DECIMO, 2]| Il magnano aveva immaginato un altro giochetto. Metteva dei soldi ad arroventare sulla stufa, quindi li posava su un angolo del camino. Poi chiamava Lalie, le diceva d'andare a prendere due libbre di pane. La piccola, senza sospettare di

nulla, afferrava i soldi, lanciava un grido, li lasciava cadere scuotendo la manina scottata. Allora il padre s'infuriava. Chi gli aveva appioppato una sgualdrinella del genere? Ecco che adesso buttava via il denaro! E minacciava di scorticarle il deretano, se non raccattava subito quei soldi. Quando la bambina esitava, le dava un primo avvertimento, un ceffone cos forte che le faceva vedere le stelle. In silenzio, con due lacrimoni che le colavan gi dagli occhi, raccattava i soldi e se ne andava, facendoli saltellare nel palmo della mano per raffreddarli. No, non si pu lontanamente immaginare quali idee di brutale ferocia possono germogliare in fondo al cervello di un ubriacone. Per esempio, un pomeriggio Lalie, dopo aver rassettato tutta la casa, s'era messa a giocare con i bambini. La finestra era spalancata; c'era una piccola corrente d'aria e il vento, infiltrandosi nel corridoio, faceva tremare la porta con leggere scosse. il signor Ardito, diceva la bambina. Entrate pure, signor Ardito. Prego, favorite d'entrare. E faceva degli inchini davanti alla porta, salutava il vento. Henriette e Jules, alle sue spalle, salutavano anche loro, felicissimi di quel gioco, contorcendosi dal ridere come se qualcuno li stesse solleticando. E Lalie era tutta contenta vedendo che si divertivano con tanto gusto; vi prendeva anzi la sua parte di piacere, il che le capitava soltanto nel mese del mai. Buongiorno, signor Ardito. Come state, signor Ardito?. Ma in quello stesso momento una mano brutale spinse la porta; pap Bijard entr. Allora la scena cambi completamente: Henriette e Jules caddero all'indietro battendo contro il muro, mentre Lalie, terrorizzata, era rimasta immobile nel bel mezzo di un inchino. Il magnano impugnava una grande frusta da carrettiere, nuova di zecca, con un lungo manico di legno bianco e la correggia di cuoio che finiva in una sferza sottile. Pos la frusta nell'angolo accanto al letto, e non allung la sua abituale pedata alla piccola, che stava gi in guardia e gli presentava le reni. Un ghigno orribile gli scopriva i denti neri; era allegrissimo, ubriaco fradicio, con il grugno illuminato da qualche ridicola idea. Beh?, disse, ti sei messa a fare la sgualdrina, pidocchietto che non sei altro? Ti ho sentito ballare gi in fondo alle scale... Allora, vieni avanti! Fatti pi vicina, in nome di Dio! e di faccia; non ho nessuna voglia d'annusarti il deretano. Perch tremi come una foglia, se nemmeno ti sto toccando?... Toglimi le scarpe!. Lalie, pi spaventata del solito proprio perch non aveva ancora ricevuto la sua razione quotidiana di botte, fattasi di nuovo pallida, gli sfil le scarpe. Dopo essersi seduto sulla sponda del letto, pap Bijard vi si sdrai tutto vestito, e rimase con gli occhi aperti a seguire i movimenti della bambina nella stanza. Lalie, inebetita sotto quello sguardo, gironzolava per la camera, con le membra invase poco a poco da una tale paura che fin per rompere una tazza. Allora, senza scomodarsi, il padre prese la frusta e gliela mostr. Senti un po', bestiolina, guarda qua: un regalino per te!

S, ecco che mi hai fatto spendere altri cinquanta soldi... Con questo giocattolino, non sar pi obbligato a correrti dietro; avrai un bel ficcarti nei cantucci! Vuoi provarla?... Ah! e cos rompi le tazze!... Allora, hop! coraggio, balla, fa' pure i tuoi inchini al signor Ardito!. Non si sollev nemmeno; stravaccato a pancia in aria, con la testa affondata nel guanciale, cominci a far schioccare la grande frusta per la stanza, con il baccano d'un postiglione che lancia al galoppo i suoi cavalli. Poi, abbassando il braccio, sferz Lalie in pieno corpo, l'avvolse e la svoltol come una trottola. La piccola cadde, cerc di mettersi in salvo a quattro zampe; ma il padre la sferz di nuovo e la rimise in piedi. Hop! hop!, sbraitava, ecco la corsa delle asine!... Ah! va benissimo per le mattine d'inverno; resto nella mia cuccia, non mi raffreddo, e colpisco i vitelli da lontano, senza scorticarmi i geloni!... Ecco! in quell'angolo! colpita, gazza maledetta! E in quell'altro angolo! ancora colpita! E in quell'altro! colpita di nuovo!... Ah! se ti nascondi sotto il letto, ti batto con il manico... Hop! a cavallo! a cavallo!. Una leggera schiuma gli usciva dalla bocca; gli occhi gialli gli schizzavano dalle orbite. Lalie, in preda al panico, urlava, saltava da un angolo all'altro della stanza, si rannicchiava a terra, si incollava ai muri; ma la sottile sferza della frusta la raggiungeva dappertutto, le schioccava nelle orecchie come degli scoppi di mortaretti, mordendole la carne in lunghe bruciature. Un vero ballo di animale a cui s'insegni a danzare. E quel povero gattino ballava, era da vedere! con i calcagni per aria come le ragazzine che giocano alla corda e gridano: Hopl! Non riusciva pi a respirare; rimbalzava su se stessa, come una palla elastica, lasciandosi colpire, accecata, stanca di cercare invano un rifugio. E quel lupo di suo padre trionfava; la chiamava sciocca ramazza, le domandava se ne avesse abbastanza e se si fosse ormai persuasa ad abbandonare ogni speranza di sfuggirgli. Ma a un tratto entr Gervaise, che era stata richiamata dalle grida della piccina. Di fronte a un simile quadro, fu colta dalla pi furiosa indignazione. Ah! che uomo scellerato!, grid. Volete insomma lasciarla, brigante! O devo correre a denunciarvi alla polizia?. Bijard mand un grugnito da animale che venga disturbato; poi balbett: Sentite, brutta sciancata, impicciatevi un po' degli affaracci vostri! Dovrei forse infilarmi i guanti per darle una bella raddrizzata?... Lo faccio solo per metterla in guardia, lo vedete bene, per farle capire che ho il braccio lungo. E schiocc un ultimo colpo di frusta, che raggiunse Lalie in pieno viso. Il labbro superiore si spacc e ne col il sangue. Gervaise aveva preso una sedia. Cerc d'avventarsi sul magnano, ma Lalie tese verso di lei le sue mani supplicanti, dicendo che non era nulla, che era tutto finito. Si asciugava il sangue con un lembo del grembiale, e faceva chetare i bambini che piangevano a grossi singhiozzi, quasi si fossero sentiti addosso a loro volta quella sfuriata di colpi di frusta. Quando pensava a Lalie, Gervaise non osava pi lamentarsi.

Avrebbe voluto avere lo stesso coraggio di quella bambina di otto anni, che ne sopportava da sola quanto tutte insieme le donne della scala. L'aveva vista vivere per tre mesi a pane e acqua, non avendo abbastanza croste nemmeno per sfamarsi, cos magra e indebolita che si reggeva ai muri per camminare; e quando le portava di nascosto degli avanzi di carne, si sentiva scoppiare il cuore nel vederla inghiottire a piccoli bocconi, lacrimando in silenzio, perch la sua gola rattrappita non lasciava pi passare il cibo. E con tutto ci era sempre tenera e affettuosa, molto pi giudiziosa della sua et; adempiva ai suoi doveri di mammina con tutta se stessa, fino a morire di quella maternit che era stata risvegliata troppo in fretta nella sua fragile e innocente carne di bambina. E Gervaise prendeva esempio da quella cara creatura che viveva nella sofferenza e nel perdono; cercava di imparare da lei a tacere il proprio martirio. Lalie conservava soltanto il suo sguardo muto, i suoi grandi occhi neri rassegnati, in fondo ai quali non s'indovinava che un'eterna notte di miseria e d'agonia. Mai una parola; nient'altro che quei grandi occhi neri spalancati. Ma anche in casa dei Coupeau l'acquavite dell'Assommoir cominciava a fare i suoi guasti. La lavandaia vedeva ormai avvicinarsi l'ora in cui il suo uomo avrebbe preso una frusta come Bijard, per condurre la danza. E la sventura che la minacciava la rendeva naturalmente pi sensibile alla sventura della bambina. S, Coupeau stava prendendo una gran brutta piega! Era finito il tempo in cui anche la peggiore acquavite gli dava un bel colorito. Non poteva pi picchiarsi sulla pancia e vantarsi che quel maledetto bere lo impinguiva; il brutto grasso giallo dei primi anni se n'era infatti andato, e lo zincatore cominciava a farsi macilento, terreo, con delle sfumature verdi da cadavere che imputridisce in uno stagno. Anche l'appetito era scomparso. Poco a poco aveva perso il gusto per il cibo, era arrivato al punto di schifare i suoi piatti preferiti. Gli avrebbero potuto servire le pietanze meglio cucinate, che il suo stomaco le avrebbe comunque rifiutate; e i suoi denti vacillanti non riuscivano pi a masticare. Per sostenersi, gli ci voleva il suo mezzo litro d'acquavite al giorno; era la sua razione, il suo mangiare e il suo bere, il solo cibo che digeriva. La mattina, appena saltava gi dal letto, rimaneva per pi d'un quarto d'ora piegato in due, tossendo e scricchiolando in tutte le ossa, tenendosi la testa e cacciando la pituita, qualcosa d'amaro come il fiele e che gli andava su e gi per la gola. Era immancabile; gli si doveva tener sempre pronta la padella. Non riusciva a reggersi in piedi se non dopo il primo bicchierino d'acquavite, un vero toccasana il cui fuoco gli cauterizzava le budella. Nella giornata le forze gli ritornavano. Dapprima aveva sentito dei solletichii, dei pizzicori sulla pelle, ai piedi e alle mani; e ne aveva riso, raccontava che gli facevano delle burle, che la moglie gli doveva mettere nelle lenzuola della polvere da grattare. Poi le gambe gli si eran fatte pesanti, quei pizzicori avevano finito per trasformarsi in terribili crampi che gli strizzavano la ciccia come in una morsa. Il che gli sembrava assai meno divertente. Non rideva pi; si fermava di botto sul marciapiede, stordito, con le orecchie che gli ronzavano, gli

occhi accecati da mille scintille. Tutto gli sembrava giallo, le case ballavano; barcollava per qualche istante, con la paura di cadere lungo disteso. Altre volte, pur con la schiena al sole pi cocente, sentiva una sorta di brivido, come se dell'acqua ghiacciata gli scorresse dalle spalle fino al sedere. Ma pi di tutto era impressionato da un piccolo tremolio che gli prendeva tutte e due le mani; specialmente la mano destra doveva aver commesso qualche grave fallo, tanto pareva oppressa dagli incubi. In nome di Dio! non era dunque pi un uomo, stava diventando come una vecchietta! E tendeva furiosamente i muscoli, impugnava il bicchiere, scommetteva di tenerlo immobile, quasi avesse avuto la mano di marmo; ma nonostante il suo sforzo, il bicchiere ballava il can can, saltava a destra, saltava a sinistra, con un piccolo tremolio accelerato e regolare. Allora se lo svuotava in gola, infuriato, urlando che se solo avesse potuto berne qualche dozzina, si sarebbe poi preso l'impegno di trasportare una botte senza che gli tremasse un dito. Gervaise gli diceva al contrario di smettere di bere, se voleva far finire quel tremolio. Ma Coupeau se ne infischiava, si scolava dei litri interi soltanto per rifare da capo l'esperimento; montava ogni volta su tutte le furie, incolpando gli omnibus che passavano di fargli rovesciare l'alcool. Nel mese di marzo, Coupeau torn a casa una sera bagnato fradicio. Era stato con Mes-Bottes a Montrouge, dove avevano fatto una scorpacciata di zuppa d'anguille; sulla via del ritorno, fra la barriera dei Fourneaux e la barriera Poissonnire, una strada che non finiva mai, si era preso un bell'acquazzone. Durante la notte gli venne una tosse terribile; era rosso rosso, con una febbre da cavallo, ansimava come un mantice crepato. Il medico dei Boche, la mattina dopo, non appena l'ebbe visitato e gli ebbe auscultato la schiena, scosse la testa e prese Gervaise in disparte, per consigliarla di far subito portare il marito all'ospedale. Coupeau aveva la polmonite. E Gervaise non si disper di certo. Un tempo si sarebbe fatta fare a pezzi, prima di consegnare il suo uomo agli studenti di medicina. Quando era capitato l'incidente di rue de la Nation, aveva consumato tutto il loro gruzzolo pur di tenerselo in casa. Ma i bei sentimenti durano sempre poco, quando gli uomini si danno alla crapula. No, no, non aveva pi la minima intenzione di prendersi un simile grattacapo. Glielo potevano anche portar via e non restituirglielo mai pi; avrebbe detto soltanto un bel grazie. Tuttavia, quando arriv la barella e vi caricarono sopra Coupeau come un oggetto inanimato, impallid di colpo e strinse le labbra; e anche se continuava a borbottare e a trovare che era la cosa migliore da farsi, il cuore le mancava, avrebbe voluto avere anche soltanto dieci franchi nel cassettone per non lasciarlo andar via. Lo accompagn al Lariboisire; guard gli infermieri che lo mettevano in un letto in fondo a una grande sala, mentre gli altri ammalati in fila, con le loro facce da trapassati, si sollevavano e seguivano con gli occhi il compagno che era stato appena portato. Si moriva d'oppressione, l dentro: un fetore di malattia che prendeva alla gola e una musica di tisici che vi avrebbe fatto sputare i polmoni; bisogna aggiungere che la sala aveva l'aspetto di un piccolo Pre-Lachaise,

fiancheggiata com'era da tutti quei lettini bianchi, un vero viale di tombe. Poi, vedendo Coupeau sempre sprofondato con la testa sul guanciale, and via, non trovando una parola, non avendo sfortunatamente niente in tasca che lo potesse confortare. Appena fuori, di fronte all'ospedale, si rigir e gett un'occhiata all'edificio. Ripensava ai bei giorni d'un tempo, quando Coupeau, appollaiato sull'orlo delle grondaie, piazzava le sue lamine di zinco lass, sui tetti, cantando nel sole. Non beveva, allora; aveva una pelle da fanciulla. Dalla sua finestra della locanda Boncoeur, Gervaise lo cercava con lo sguardo, lo vedeva stagliarsi contro il cielo; e tutti e due sventolavano i fazzoletti, si mandavano dei salutini come per telegrafo. S, Coupeau aveva lavorato proprio lass, non immaginando affatto che stava lavorando per s. Adesso non era pi in cima ai tetti, come un passero sorridente e malizioso; adesso l'avevano messo laggi, aveva fatto il suo nido all'ospedale, e vi sarebbe crepato con la cotenna rinsecchita. Mio Dio! come le sembrava lontano, quel giorno, il tempo degli amori! Due giorni dopo, quando Gervaise si present per aver notizie, trov il letto vuoto. Una suora le spieg che avevano dovuto trasferire il marito al manicomio di Sainte-Anne, perch il giorno prima, tutt'a un tratto, aveva incominciato a vaneggiare. Oh! uno sconquasso totale, delle idee da sfracellarsi la testa contro il muro, degli strilli che impedivano agli altri ammalati di dormire. A quanto si diceva, era tutta colpa del bere. L'alcool che gli covava nel corpo gli aveva aggredito e tormentato i nervi, approfittando della polmonite che lo costringeva a letto senza forze. La lavandaia torn a casa sconvolta. Il suo uomo era ormai pazzo! La loro vita sarebbe stata davvero allegra, se l'avessero rimesso in libert! Nan strillava che dovevano lasciarlo in manicomio, o avrebbe finito per massacrarle tutte e due. Soltanto la domenica Gervaise ebbe modo d'andare a SainteAnne. Era un vero e proprio viaggio. Ma l'omnibus che portava dal boulevard Rochechouart alla Glacire passava per fortuna nei dintorni del manicomio. Percorse rue de la Sant e compr due arance, per non arrivare a mani vuote. Un altro edificio enorme, con cortili grigi, corridoi interminabili, tutto un tanfo di vecchie medicine andate a male, che di certo non poteva ispirare allegria. Ma quando l'ebbero fatta entrare in una cella, rimase di stucco nel vedere Coupeau praticamente guarito. Si trovava in quel momento sulla seggetta, una cassa di legno pulitissima e da cui non usciva il minimo odore; e scoppiarono entrambi a ridere: l'aveva sorpreso nel pieno esercizio delle sue funzioni, il sedere all'aria! Sappiamo bene a cosa si riduce un ammalato. Si era appollaiato come un papa sul suo trono; e ciarlava con la sua parlantina d'un tempo. Oh! s, stava meglio; ogni cosa riprendeva il suo giusto corso. E la polmonite?, domand la lavandaia. Sparita!, rispose il marito. Me l'hanno tolta di dosso in un amen! Ho ancora un po' di tosse, ma mi hanno ormai ripulito. Poi, al momento di lasciare la seggetta per ficcarsi nel letto, ricominci a scherzare. Certo che hai proprio un naso robusto! Nemmeno una puzza

del genere ti fa paura!. E ricominciarono a ridere. In fondo erano contenti. E quel giocare cos insieme a chi le sparava pi grosse, era un modo come un altro di manifestare la loro gioia. Bisogna aver avuto degli ammalati per capire il piacere che si prova nel vederli di nuovo funzionar bene di sopra come di sotto. Non appena fu a letto, Gervaise gli diede le due arance; il che lo commosse fino alle lacrime. Gli tornava fuori tutto il suo buon cuore, da che beveva soltanto delle tisane e non poteva pi dimenticare il cervello sul bancone d'ogni bettola. La moglie s'arrischi a parlare di quando aveva dato i numeri; era sorpresa di sentirlo ragionare come ai bei tempi. Ah! s, disse Coupeau prendendosi in giro da se stesso, sono stato proprio un bel matto!... Figurati, vedevo dei sorci; correvo a quattro zampe per mettere un grano di sale sulla loro coda. E tu mi chiamavi; c'erano degli uomini che volevano farti la festa. Insomma, un bel mucchio di schiocchezze, dei fantasmi in pieno giorno... Oh! mi ricordo di tutto perfettamente, la zucca funziona ancora come si deve... Adesso tutto finito; vaneggio un po' nell'addormentarmi, ho degli incubi, ma tutti ne hanno. Gervaise gli fece compagnia fino a sera. Quando l'assistente venne alla visita delle sei, gli fece allungare le mani; non tremavano quasi pi, appena un tremito gli agitava la punta delle dita. Ma mentre calava la notte, Coupeau fu preso a poco a poco dalla pi viva inquietudine. Per due volte si rizz a sedere, guardando per terra, negli angoli pi oscuri della stanza. A un tratto allung un braccio, come per schiacciare una bestia contro il muro. Che c'?, domand Gervaise spaventata. I sorci, i sorci, mormor il marito. Poi, dopo un breve silenzio, cedendo al sonno, cominci a dibattersi, lasciandosi sfuggire queste frasi spezzate: In nome di Dio! mi bucano la pelle! Oh! che bestie schifose!... E tu, non ti muovere! stringiti le sottane! sta in guardia da quel sudicione che hai alle spalle!... Fulmini del cielo! eccola a gambe all'aria! ecco che quei porci se la spassano!... Branco di carogne! branco di farabutti! branco di banditi!. E lanciava degli schiaffi nel vuoto; si tirava addosso la coperta, se la avvolgeva attorno al corpo, come per proteggersi dalla violenza degli uomini barbuti che s'immaginava di vedere. Allora, essendo accorso un guardiano, Gervaise prefer allontanarsi; la scena le aveva gelato il sangue nelle vene. Ma quando torn, quattro giorni dopo, trov il marito ristabilito del tutto. Anche gli incubi erano spariti; aveva un sonno da bambino, dormiva le sue dieci ore senza spostare nemmeno un dito. Fu quindi permesso alla moglie di riportarselo a casa. Ma mentre uscivano, l'assistente gli diede i suggerimenti del caso, e gli consigli di farne tesoro. Se ricominciava a bere, ci cadeva di nuovo; avrebbe finito per lasciarci la pelle. S, dipendeva unicamente da lui. Aveva pur visto come facile ritornar vispi e tranquilli, quando non ci si ubriaca! Ebbene! una volta a casa, doveva continuare a vivere saggiamente come aveva fatto a Sainte-Anne; doveva immaginarsi d'essere ancora tenuto sotto chiave, e che i vinaioli non esistessero pi.

Ha ragione, quel signore, disse Gervaise sull'omnibus che li riconduceva in rue de la Goutte-d'Or. Sicuro che ha ragione, rispose Coupeau. Ma dopo averci ripensato per qualche istante, aggiunse: Oh! sai, un bicchierino ogni tanto non pu certo uccidere un uomo; fa digerire. E la sera stessa si scol un bicchierino d'acquavite, appunto per la digestione. Per otto giorni riusc a comportarsi in modo abbastanza giudizioso. In fin dei conti era attaccato alla vita, e non ci teneva affatto a finire a Bictre. Ma la sua passione lo dominava; e il primo bicchierino lo port inevitabilmente al secondo, al terzo, e al quarto. In capo a due settimane era tornato alla sua razione abituale, al suo mezzo litro di torcibudella al giorno. Gervaise, affranta, avrebbe sbattuto la testa contro il muro. E pensare che, da quella stupida che era, si era di nuovo illusa di poter avere una vita onesta, quando in manicomio le era sembrato cos pieno di buone intenzioni! Un'altra ora di gioia volata in fumo; l'ultima, senza dubbio! Oh! adesso, adesso che nulla ormai poteva correggerlo, nemmeno la paura della morte che gli stava appresso, si riprometteva in cuor suo di non darsene pi pensiero; la casa poteva anche andare a rotoli, se ne sarebbe infischiata. E pensava anzi di prendersi a sua volta qualche piacere, se solo le si fosse presentata l'occasione. Allora in casa ricominci l'inferno, un'esistenza sempre pi sprofondata nel fango, senza che uno spiraglio di speranza si potesse aprire su una stagione migliore. Nan, quando il padre la schiaffeggiava, domandava imbestialita perch mai quella canaglia non fosse rimasta in manicomio. Non vedeva l'ora di guadagnare del denaro per offrirgli quanta acquavite avesse voluto, e dargli cos una mano a crepare pi in fretta. Anche Gervaise un giorno perse il lume della ragione, quando Coupeau cominci a rinfacciarle il loro matrimonio. Ah! e cos gli aveva portato in dote la risciacquatura degli altri! ah! e cos s'era fatta raccattare dal marciapiede abbindolandolo con le sue smorfie da verginella! Corpo d'un cane! Ne aveva di faccia tosta! Ogni sua parola era una menzogna! Era invece lei che non voleva saperne di lui: ecco la verit! Lui la supplicava in ginocchio, la spingeva a prendere una decisione, mentre lei avrebbe voluto che ci riflettesse sopra pi a lungo. E se avesse potuto tornare indietro, poteva esser sicuro che gli avrebbe detto di no! piuttosto si sarebbe fatta tagliare un braccio! S, era stata di un altro prima d'incontrarlo; ma una donna che si perduta, e che pure soltanto dedita al lavoro, vale sempre di pi d'uno scansafatiche, di un uomo che infanga in tutte le bettole l'onore suo e di tutta la famiglia. Fu quello il primo giorno che in casa Coupeau se le diedero di santa ragione; si picchiarono anzi cos forte che finirono per fare a pezzi un vecchio ombrello e una scopa. E Gervaise mantenne la sua parola. Si lasci sempre pi andare. S'assentava sempre pi spesso dalla bottega, passava pomeriggi interi a spettegolare, diventava di giorno in giorno sempre pi fannullona. Per esempio, quando qualcosa le cadeva di mano, poteva anche restare a terra per sempre; per nessuna ragione al mondo si sarebbe chinata a raccoglierla. I fianchi le si

impinguivano, e ci teneva a conservare tutta la sua ciccia. Se la prendeva comoda, e non dava pi un colpo di ramazza se non quando le immondizie rischiavano di farla cadere. Adesso i Lorilleux, quando passavano davanti alla sua camera, facevano mostra di tapparsi il naso; ne usciva una puzza pestilenziale, dicevano. Quanto a loro, continuavano a vivere come di soppiatto, in fondo al corridoio, tenendosi alla larga da tutte le miserie che piagnucolavano in quell'angolo del caseggiato, e barricandosi dentro casa per timor di dover prestare qualche moneta da venti soldi. Oh! che gente di cuore! che vicini misericordiosi! S, ci si poteva scommettere. Bastava bussare, e domandar loro un po' di fuoco o un pizzico di sale o una caraffa d'acqua, per esser sicuri di sentirsi sbattere all'istante la porta in faccia. E come se questo non bastasse, certe linguacce da serpenti velenosi! Proclamavano ai quattro venti che loro non si occupavano mai delle faccende degli altri, il che era vero quando si trattava di soccorrere il prossimo; ma se ne occupavano dalla mattina alla sera, quando si trattava invece di tagliare i panni addosso alla gente. Una volta messo il chiavistello alla porta, e dopo aver appeso una coperta per coprire le fessure e il buco della serratura, si abbandonavano con volutt ai loro pettegolezzi, pur senza trascurare i fili d'oro nemmeno per un istante. Era soprattutto lo sfacelo della Zoppa a farli gongolare per tutta la giornata, come dei gattini che venissero lisciati. Che capitombolo, amici miei! che tonfo colossale! La spiavano quando andava a fare la spesa, e ridevano del piccolo tozzo di pane con cui tornava tenendolo ben stretto sotto il grembiale. Facevano il conto dei giorni in cui doveva rimanere a stomaco vuoto. Sapevano quante dita di polvere c'erano in casa sua, il numero di piatti sporchi lasciati per terra, tutte le peggiori sciatterie della miseria e dell'accidia. Che dire poi dei suoi vestiti? certi stracci disgustosi che nemmeno una cenciaiola avrebbe raccattato! Cristo santo! le pioveva ormai addosso su tutta la mercanzia, a quella bella bionda, a quella bagascia che un tempo si divertiva a scuotere il sedere nella sua bella bottega tutta azzurra! Ecco a cosa portavano l'amore per il cibo, le grandi abboffate, le scorpacciate senza ritegno! E Gervaise, che sospettava in che modo la conciassero per le feste, si sfilava le scarpe e andava a incollare l'orecchio contro la porta dei Lorilleux; ma la coperta le impediva di sentire. Soltanto una volta riusc a sorprenderli mentre la chiamavano gran tettona; ed era vero che il davanti del suo corpetto era un po' troppo forte, nonostante il cattivo cibo che le svuotava la pelle. Per quanto la riguardava, se li ficcava decisamente in quel posto; se continuava a parlare con loro, era unicamente per non dar adito ai pettegolezzi, e non si aspettava da furfanti del genere se non continui soprusi. Tuttavia non aveva nemmeno la forza di ribattere e di piantarli in asso con tutto il loro mucchio di sciocchezze. E poi, accidenti! non chiedeva altro che di poter vivere a modo suo; di spassarsela un poco, di starsene tutta accoccolata, in panciolle, dandosi da fare soltanto quando si trattava di prendersi qualche piccolo svago, e non di pi. Un sabato Coupeau le aveva promesso di portarla al circo. Ecco finalmente qualcosa per cui valeva la pena di scomodarsi:

poter guardare quelle dame che galoppavano sui loro cavalli, che saltavano dentro i cerchi di carta! Coupeau aveva appena riscosso la sua quindicina, ed era disposto a spendere fino a quaranta soldi; avrebbero addirittura cenato fuori casa, tanto pi che quella sera Nan doveva lavorare fino a tardi, dal padrone, per una ordinazione urgente. Ma alle sette Coupeau non s'era ancora fatto vedere; alle otto nemmeno. Gervaise era furibonda. Quell'ubriacone stava di certo bevendosi la quindicina in qualche bettola del quartiere, con i suoi compagni. Aveva lavato una cuffia, e fin dal mattino si era data un gran da fare per rammendare i buchi d'un vecchio vestito, per essere almeno presentabile. Alla fine, verso le nove, con lo stomaco vuoto, livida di rabbia, si decise a scendere e a cercare Coupeau nei dintorni. State cercando vostro marito?, le grid la signora Boche vedendola con la faccia stravolta. da pap Colombe. Boche ha preso poco fa delle ciliegie con lui. Gervaise la ringrazi. E fil diritta sul marciapiede, accarezzando l'idea di saltare agli occhi di Coupeau. Cadeva una pioggerellina sottile sottile, che rendeva ancor meno piacevole la passeggiata. Ma quando arriv davanti all'Assommoir, la paura di essere invece lei a buscarne, se avesse fatto imbestialire il suo uomo, la calm d'un tratto e la rese pi prudente. La bottega risplendeva, con il gas acceso, gli specchi scintillanti come soli, i boccali e i vasi che illuminavano i muri con i riflessi dei loro vetri colorati. Rimase immobile per qualche istante, con il collo teso e l'occhio appiccicato alla vetrina, fra le due bottiglie della mostra, a spiare Coupeau che aveva riconosciuto in fondo alla sala. Era seduto con dei compagni a un tavolino di zinco, come immersi nella nebbia illividita del fumo delle pipe; e poich non li poteva sentir gridare, le faceva uno strano effetto guardarli mentre si sbracciavano, con la testa in avanti, gli occhi fuori dalle orbite. Mio Dio! era mai possibile che degli uomini lasciassero le loro donne e le loro case per rintanarsi in un buco dove soffocavano? La pioggia le gocciolava sul collo. Si allontan, e passeggi per qualche minuto sul boulevard esterno, riflettendo, non osando ancora entrare. Oh! Coupeau le avrebbe certo fatto una bella accoglienza, proprio lui che non sopportava che lo si venisse a disturbare! E poi, a dire il vero, non le pareva quello il posto migliore per una donna onesta. Ma a stare ferma sotto gli alberi bagnati, si sentiva tutta rabbrividire; e pensava, pur esitando ancora, che avrebbe finito per prendersi qualche brutto malanno. Per due volte torn a piazzarsi davanti alla vetrina, incollandovi di nuovo l'occhio, esasperata nel vedere al riparo quei maledetti ubriaconi che continuavano a bere e a strillare. I fasci di luce che uscivano dall'Assommoir si riflettevano nelle pozzanghere che coprivano il selciato, e su cui la pioggia rimbalzava in mille piccole bollicine. Quando la porta si apriva e si richiudeva con il sinistro cigolio delle sue lastre di rame, era costretta a scansarsi e finiva nel fango. Alla fine si diede della stupida; spinse la porta e and difilato verso il tavolino di Coupeau. In fin dei conti stava cercando suo marito; e ne aveva il diritto, perch quella sera le aveva promesso di portarla al circo. Tanto peggio! non aveva

nessuna voglia di squagliarsi sul marciapiede come un pezzo di sapone! Toh! sei tu, vecchia mia!, grid lo zincatore, strozzato da un sogghigno. Ah! questa s che buffa!... Eh! non ho ragione? non sembra anche a voi la cosa pi buffa del mondo?. Infatti tutti ridevano, Mes-Bottes, Bibi-la-Grillade, Bec-Sal, detto anche Boit-sans-Soif. S, c'era qualcosa che trovavano assolutamente divertente, ma non si capiva bene che cosa. Gervaise era ancora in piedi, un po' stordita. E poich Coupeau le sembrava di buonumore, s'azzard a dire: Lo sai, dobbiamo andare fin laggi. Bisogna affrettarci. Arriveremo comunque in tempo per vedere ancora qualcosa. Non posso alzarmi, sono inchiodato alla sedia! oh! dico sul serio, riprese Coupeau continuando a ridacchiare. Prova, cos te ne convinci! Tirami per il braccio con tutte le tue forze, coraggio, Dio santo! pi forte! oh, issa!... Lo vedi? stato quel furfante di pap Colombe ad avvitarmi qui sopra!. Gervaise si era prestata al gioco; e quando gli lasci il braccio, i compagni trovarono lo scherzo cos divertente che si buttarono gli uni addosso agli altri, strillando e strusciandosi le spalle come gli asini quando vengono strigliati. Lo zincatore aveva la bocca sgangherata da un tale sogghigno che gli si poteva vedere fino in gola. Stupida bestia!, le disse alla fine, potresti anche sederti per qualche minuto. sempre meglio stare qui che fuori a bagnarsi... Ebbene! s, non sono tornato a casa, ho avuto da fare. Puoi anche fare il muso, che tanto non ci guadagni niente... Fate un po' di posto, voi altri!. Se la signora volesse accettare le mie ginocchia, starebbe certo pi comoda, disse Mes-Bottes con galanteria. Allora Gervaise, per non farsi notare, prese una sedia e si accomod a tre passi dal tavolino. Guard quello che bevevano gli uomini, un'acquavite che luccicava come l'oro dentro i bicchieri; una piccola pozza era colata sul tavolino e Bec-Sal, detto anche Boit-sans-Soif, senza smettere di parlare, vi inzuppava il dito e tracciava a grosse lettere un nome di donna: Eulalie. Bibi-la-Grillade le sembr non poco malandato, pi magro di un chiodo. Mes-Bottes aveva il naso tutto fiorito, una vera dalia azzurra di Borgogna. E tutti e quattro facevano a gara a chi fosse pi sudicio; le loro sozze barbe erano irte e pisciose come degli spazzoloni da vaso da notte, le casacche erano ridotte a brandelli, le manacce che allungavano erano nere e con le unghie a lutto. Ma in verit si poteva ancora stare in loro compagnia, perch anche se trincavano da sei ore, si comportavano sempre in modo decoroso, non essendo ancora arrivati al punto in cui non si pi in s con la testa. Gervaise ne vide altri due, davanti al bancone, che stavano facendo i gargarismi; erano cos ubriachi che, immaginando d'innaffiarsi la gola, si rovesciavano il loro bicchierino sotto il mento e s'infradiciavano la camicia. Il grosso pap Colombe stendeva le sue lunghe braccia, le sole armi di difesa dell'esercizio, versando i giri d'acquavite tranquillamente. Si soffocava dal caldo. Il fumo delle pipe saliva nella luce abbagliante del gas, turbinando come polvere e avvolgendo gli avventori in una nebbia che si

condensava lentamente; e da quella nuvola usciva un baccano assordante e confuso: voci appannate, bicchieri che si urtavano, bestemmie, pugni che rimbombavano sui tavolini come cannonate. E Gervaise si sentiva a disagio, perch uno spettacolo del genere non certo piacevole per una donna, soprattutto se non vi abituata; soffocava, con gli occhi infiammati, la testa gi appesantita dall'odore di alcool che esalava dall'intera sala. Poi, tutt'a un tratto, ebbe la sensazione d'un malessere ancora pi inquietante proprio alle sue spalle. Si rigir e vide l'alambicco, la distillatrice che lavorava sotto la vetrata dello stretto cortile con la sua profonda vibrazione da cucina infernale. Di sera le sue storte apparivano ancor pi cupe e sinistre, illuminate com'erano soltanto nelle loro incurvature da una larga stella rossa; e l'ombra della macchina disegnava contro la parete sul fondo delle immagini obbrobriose, figure con la coda, mostri che spalancavano le mascelle come per divorare il mondo intero. Su, boccuccia di rosa, non fare il muso!, grid Coupeau. Al diavolo i guastafeste!... Cosa vuoi bere?. Proprio nulla, rispose la lavandaia. Non ho nemmeno cenato. Ebbene! una ragione di pi; un goccetto di qualcosa ti rimetterebbe in forze. Ma poich Gervaise continuava a restare imbronciata, MesBottes si mostr di nuovo galante. Forse alla signora piacerebbe qualcosa di dolce, mormor. Mi piacerebbe che il mio uomo non si ubriacasse, rispose allora Gervaise irritata. S, mi piacciono gli uomini che portano a casa la loro paga e mantengono la parola, quando hanno fatto una promessa. Ahi! allora questo che ti rode!, disse lo zincatore senza smettere di sogghignare. Vuoi la tua parte! Ma se cos, oca che non sei altro, perch ti ostini a rifiutare un bicchierino? Su, prendi qualcosa; tutto regalato!. La lavandaia lo fiss a lungo, con l'espressione cupa e una piccola ruga che le solcava la fronte come una piega nera. Poi rispose con voce strascicata: Ma s! hai ragione, una buona idea. Cos ci berremo tutti i soldi insieme!. Bibi-la-Grillade si alz per andarle a prendere un bicchiere d'anisette. Gervaise spost la sua sedia in modo d'avvicinarsi al tavolino. Mentre sorseggiava l'anisette, un ricordo la colp all'improvviso: si ramment della prugna che un giorno aveva preso insieme a Coupeau, accanto alla porta, quando lui le faceva la corte. In quel tempo mangiava il frutto ma lasciava l'acquavite. E adesso anche lei cominciava a darsi ai liquori! Oh! si conosceva bene; non aveva un solo briciolo di volont. Le sarebbe bastato un buffetto sulle spalle per andare ad affogare nell'alcool. Per esempio, quell'anisette le piaceva, nonostante fosse un po' troppo dolce, quasi nauseante. Centellinava il suo bicchierino ascoltando Bec-Sal, detto anche Boit-sans-Soif, tutto infervorato a raccontare della sua relazione con la bella Eulalie, s, proprio quella che vendeva il pesce per strada, una donna davvero in gamba, una furbastra che gli dava la caccia da

una bettola all'altra, mentre spingeva il carretto lungo i marciapiedi; i compagni avevano un bell'avvertirlo e nasconderlo: riusciva quasi sempre a pizzicarlo; e proprio il giorno prima gli aveva scaraventato una sogliola in faccia, per insegnargli a non andare in officina. Questa s che era davvero comica! E Bibi-laGrillade e Mes-Bottes, sbellicandosi dalle risa, davano delle gran manate sulle spalle di Gervaise, che ridacchiava a sua volta pur senza averne voglia, come se l'avessero solleticata. Le consigliavano d'imitare la bella Eulalie, di portare i ferri e di stirare le orecchie di Coupeau sullo zinco delle bettole. Ah! bene, grazie tante!, grid Coupeau, rivoltando il bicchiere d'anisette che la moglie aveva svuotato. Te lo sei scolato tutto! Guardate, brutti furfanti, non ne vien gi nemmeno una goccia!. La signora ne vuole un altro bicchiere?, domand BecSale, detto anche Boit-sans-Soif No, ne aveva abbastanza. E tuttavia esitava. L'anisette la nauseava. Avrebbe preso volentieri qualcosa di pi forte, per riaggiustarsi lo stomaco. E gettava degli sguardi di traverso sulla macchina che le stava alle spalle. Quella maledetta marmitta, tonda come il ventre d'una grassa calderaia, con quel suo naso che s'allungava e s'attorcigliava, le alitava come un brivido nella schiena, un brivido di desiderio e insieme di paura. S, faceva pensare alle trippe di metallo di qualche gran donnaccia, di qualche strega che lascia andare goccia a goccia tutto il fuoco delle sue viscere. Una bella sorgente di veleno, una attivit che avrebbero dovuto sotterrare in una cantina, tanto era sfacciata e vergognosa! Ma con tutto ci, avrebbe voluto ficcarci dentro il muso, annusarne l'odore, assaggiare quella porcheria, quand'anche la sua lingua scottata avesse dovuto sbucciarsi di colpo come un'arancia. Che state bevendo?, domand agli uomini come per caso, con l'occhio acceso dal bel colore dorato dei loro bicchieri. Questa, vecchia mia, rispose Coupeau, la canfora di pap Colombe... Non fare la sciocca. Te la faremo assaggiare. E quando le ebbero portato un bicchiere d'acquavite, e la sua mascella si contrasse al primo sorso, lo zincatore riprese picchiandosi sulle cosce: Eh! ti lascia senza fiato, vero?... Buttala gi tutta insieme. Ogni bicchierino di questa roba toglie uno scudo da sei franchi dalla tasca del medico. Dopo il secondo bicchiere, Gervaise non sent pi la fame che l'aveva torturata. Ormai si era riconciliata con Coupeau, non gli serbava pi rancore per la promessa non mantenuta. S, sarebbero andati al circo un'altra volta; non doveva poi essere cos divertente guardare dei saltimbanchi che giravano al galoppo sui loro cavalli. Da pap Colombe non pioveva; e se la quindicina spariva in bicchierini d'acquavite, almeno se la metteva in corpo, se la beveva limpida e scintillante come un bell'oro liquido. Ah! che voglia di mandare a quel paese il mondo intero! La vita le offriva cos pochi piaceri, che le sembrava gi una consolazione poter partecipare a met nel far fuori in quel modo il loro denaro. Ci si trovava bene; perch mai avrebbe

dovuto andarsene? La potevano anche prendere a cannonate; una volta che si era fatta la sua cuccia, non la lasciava tanto facilmente. Si crogiolava in quel bel calduccio, con il corpetto incollato alle spalle, invasa da un benessere che le intorpidiva le membra. E ridacchiava da sola, poggiata sui gomiti, con gli occhi smarriti, divertendosi a guardare due avventori, un gigante e un nano, seduti a un tavolo vicino, che si volevano assolutamente baciare, tanto erano cotti. S, all'Assommoir si divertiva; le bastava guardare la faccia da luna piena di pap Colombe, una vera vescica di grasso, gli avventori che fumavano le loro corte pipe urlando e sputando, le alte fiamme del gas che illuminavano i vetri e le bottiglie di liquore. L'odore non le dava pi fastidio; anzi, si sentiva solleticare il naso, finiva per trovarlo gradevole. Le palpebre le si chiudevano un poco, mentre respirava trattenendo il fiato, ma senza che la cosa l'opprimesse, assaporando il piacere del lento sonno che la prendeva. Poi, dopo il terzo bicchierino, si lasci cadere con la testa fra le mani; non vide pi che Coupeau e i compagni, rimase faccia a faccia con loro, vicinissima, con le guance riscaldate dal loro respiro, guardando le loro sudice barbe come se ne avesse a contare i peli. Erano ormai completamente ubriachi. Mes-Bottes sbavava, la pipa fra i denti, l'espressione grave e ottusa d'un bue addormentato. Bibi-la-Grillade raccontava una storiella: in che modo fosse capace di scolarsi un litro tutto in un fiato, dandogli un tale bacio sul collo da farne vedere il didietro. Intanto Bec-Sal, detto anche Boit-sans-Soif, era andato a prendere la ruota che stava sul bancone e puntava dei bicchierini con Coupeau. Duecento!... Oggi sei in vena; fai dei grossi numeri a ogni colpo. La lancetta della ruota strideva. L'immagine della Fortuna, una donna rossa collocata sotto una campana di vetro, girava, girava; e al centro non si vedeva che una macchia rotonda, simile a una macchia di vino. Trecentocinquanta!... Ci marci, eh! dritto che non sei altro!... Ah! basta, accidenti! non gioco pi!. Anche Gervaise si appassionava a quel gioco. Beveva a pi non posso, e chiamava Mes-Bottes mio coppiere. Alle sue spalle la distillatrice continuava a lavorare con un mormorio da ruscello sotterraneo. E le sembrava impossibile arrestarla, esaurirla; sentiva come una collera sorda, una gran voglia di scagliarsi contro la macchina, di prenderla a calci come una bestia, di spaccarle il ventre. Tutto s'annebbiava; le sembrava che la macchina si muovesse, e si sentiva afferrare dalle sue enormi zampe di rame, mentre quel ruscello le scorreva lungo il corpo. Poi la sala cominci a ballare, mentre i becchi del gas filavano come stelle. Gervaise era cotta. Una feroce discussione si era intanto accesa fra Bec-Sal, detto anche Boit-sans-Soif, e quel pitocco di pap Colombe. Mai visto un padrone cos ladro e che imbrogliasse tanto i clienti! Nemmeno fossero stati a Bondy! Ma a un tratto si sentirono delle grida, degli spintoni, un fracasso di tavolini rovesciati. Pap Colombe stava buttando fuori tutta la compagnia, senza scomporsi, lavorando

semplicemente di polso. Davanti alla porta lo ingiuriarono, gli diedero della carogna. Continuava a piovere, e soffiava un venticello ghiacciato. Gervaise perse Coupeau, lo ritrov e lo perse di nuovo. Voleva tornarsene a casa; tastava le botteghe per riconoscere la via. Quel buio improvviso la lasciava sgomenta. All'angolo di rue Poissonniers, si mise a sedere in mezzo al rigagnolo; era convinta d'essere al lavatoio. Tutta quell'acqua che scorreva le faceva girare la testa, come se fosse ammalata. Finalmente arriv a casa; passando in fretta davanti alla porta della guardiola, si accorse benissimo che i Lorilleux e i Poisson, seduti a tavola con i portinai, facevano delle smorfie di disgusto scorgendola ridotta in quello stato. Non ricord mai come fosse riuscita a salire fino al sesto piano. In alto, mentre imboccava il corridoio, la piccola Lalie, che aveva riconosciuto il suo passo, le corse incontro a braccia aperte, con un gesto pieno d'affetto, sorridendo: Signora Gervaise, grid, il babbo non tornato; venite a vedere come dormono bene i bambini... Oh! sono cos carini!. Ma di fronte al volto inebetito della lavandaia, indietreggi, cominci a tremare. Conosceva fin troppo bene quell'alito d'acquavite, quella bocca convulsa, quegli occhi spenti. Gervaise le pass accanto vacillando, senza dire una parola, mentre la piccola, in piedi sulla soglia, la seguiva con i suoi occhi neri, muti e rattristati. CAPITOLO UNDICESIMO

Nan cresceva, si faceva donna. A quindici anni era turgida come una manza, di carnagione bianchissima, e bella grassa; cos grassa d'assomigliare a una palla. S, proprio cos: quindici anni, tutti i denti, e niente corpetto. Un vero musino da sbarazzina stemperato nel latte, una pelle vellutata di pesca, un naso capriccioso, una bocca rosa rosa, degli occhi cos fiammeggianti che agli uomini veniva voglia d'accendervi la pipa. I suoi folti capelli biondi, dello stesso colore dell'avena fresca, sembravano gettarle una polvere d'oro sulle tempie, delle macchie di rosso che le incoronavano la fronte come in un'aureola di sole. Ah! proprio una bella bambolina, come dicevano i Lorilleux, una monellaccia che avrebbero dovuto ancora smoccolare, ma con delle spalle gi piene e rotonde e un afrore maturo da donna fatta. Ormai Nan non aveva pi bisogno d'imbottirsi con palle di carta la camicetta. Le erano spuntate delle vere tette, un bel paio di tette di raso bianco, freschissime. E non ne era affatto imbarazzata; al contrario, avrebbe voluto averne piene anche le braccia, sognava delle enormi poppe da balia, tanto la giovent ingorda e sconsiderata. Aveva preso la brutta abitudine di far spuntare un pezzettino di lingua dai suoi bianchi dentini di latte; il che la rendeva ancora pi appetitosa. Evidentemente, guardandosi negli specchi, quella smorfietta doveva esserle sembrata graziosa. E cos passava l'intera giornata con la lingua di fuori, a far la civetta.

Nascondi un po' quella lingua bugiarda!, le strillava la madre. E spesso era necessario che Coupeau intervenisse, battendo il pugno e gridandole in mezzo alle bestemmie: Rimettiti dentro quello straccio rosso!. Nan si dimostrava assai civetta. Non sempre si lavava i piedi, ma si comprava degli stivaletti cos stretti che soffriva il martirio nella prigione di San Crispino; e se qualcuno le domandava cosa avesse, accorgendosi che si faceva viola, rispondeva che aveva una colica, pur di non confessare la sua civetteria. Quando in casa non c'era nemmeno di che mangiare, mettersi in ghingheri era un vero problema. Ma faceva allora miracoli, prendeva dei nastri dal laboratorio, s'accomodava delle toilettes, dei vestiti sudici tutti coperti di fiocchi e di nappine. L'estate era la stagione dei suoi trionfi. Le bastava un abito di percalle da sei franchi per riempire le domeniche del quartiere della Goutte-d'Or con la sua bionda bellezza. S, la conoscevano dai boulevards esterni fino alle fortificazioni, dalla chausse Clignancourt fino alla Grande Rue de la Chapelle. La chiamavano pollastrella; e aveva davvero la carne tenera e la freschezza d'una gallinella. Ma specialmente un vestito le and alla perfezione. Era un vestito bianco a pois rosa, semplicissimo, senza nessuna guarnizione. La sottana un po' corta le lasciava liberi i piedi, le maniche abbondantemente aperte e spioventi le scoprivano le braccia fino al gomito; mentre la scollatura del corpetto, che apriva a forma di cuore con le spille in un angolo oscuro delle scale, per scansare gli scappellotti di pap Coupeau, le metteva a nudo la neve del collo e l'increspatura dorata del seno. E nient'altro; nient'altro fuorch un nastro rosa annodato attorno ai suoi biondi capelli, un nastro i cui capi le svolazzavano sulla nuca. Era fresca come un mazzolino di fiori. Usciva da lei il profumo della giovent, del nudo della fanciulla e della donna. Le domeniche erano per lei delle giornate d'appuntamento con la folla, con tutti gli uomini che passavano e la guardavano ammiccando. Le aspettava per tutta la settimana, solleticata da piccoli desideri, smaniando, presa da un bisogno d'aria aperta, di passeggiate al sole, fra la calca del quartiere vestito a festa. S'agghindava fin dal mattino, restava per ore in camicia davanti al pezzo di specchio appeso al di sopra del cassettone; e poich tutto il caseggiato poteva vederla dalla finestra, la madre s'arrabbiava, le domandava se ne aveva ancora per molto d'andarsene in giro mezza nuda. Ma Nan, senza perdere la calma, s'incollava dei tirabaci sulla fronte con l'acqua zuccherata, ricuciva i bottoni degli stivaletti, dava un punto al suo vestito, con le gambe nude, la camicia che le cascava dalle spalle, nel disordine dei suoi capelli arruffati. Ah! era proprio carina conciata in quel modo! diceva pap Coupeau ridacchiando e prendendola in giro; una vera Maddalena pentita! Avrebbe potuto fare la parte della donna selvaggia ed esibirsi in pubblico per due soldi. Le gridava: Metti dentro tutta quella ciccia, che sto mangiando!. Era incantevole, bianca e delicata sotto l'esuberanza del suo vello biondo. Si infuriava a tal punto che la pelle le si arrossava; ma non osava rispondere al padre, e

spezzava il filo con i denti, con un colpo secco e furioso che scuoteva in un lungo brivido la sua nudit di bella figliola. Poi, appena finito di pranzare, se la batteva, scendeva nel cortile. La calda pace della domenica addormentava tutto il caseggiato. Le botteghe al pianterreno erano chiuse. Gli alloggi sbadigliavano dalle loro finestre spalancate, mostravano le tavole gi apparecchiate per la sera, in attesa delle famiglie che erano andate a rifarsi l'appetito sulle fortificazioni. Una donna, al terzo piano, passava la giornata a lavare la sua camera, rifacendo il letto, spostando i mobili, canticchiando per ore la stessa canzone, con voce dolce e piagnucolosa. E nel riposo del lavoro, al centro del cortile vuoto e sonoro, Nan giocava a volano con Pauline e altre giovinette. Erano cinque o sei; dopo essere cresciute insieme, diventate le regine della casa, si spartivano adesso le occhiate dei signori. Quando un uomo attraversava il cortile, si sentivano delle risa flautate, il fruscio delle loro sottane inamidate passava come un alito di vento. Attorno a loro l'aria dei giorni di festa fiammeggiava, ardente e come gravida, rinfrollita dall'ozio e imbiancata dal polverio delle passeggiate. Ma le partite di volano non erano che il pretesto per scapparsene di casa. Di colpo anche il cortile cadeva nel pi profondo silenzio. Le ragazzine erano sgattaiolate nella via e avevano raggiunto i boulevards esterni. Allora tutte e sei, tenendosi a braccetto, occupando l'intera carreggiata, andavano a passeggio, vestite di chiaro, con i nastri annodati attorno ai capelli scoperti. Con i loro occhi vivaci, che lanciavano piccoli sguardi dall'angolo socchiuso delle palpebre, vedevano tutto; e ridevano rovesciando il collo all'indietro, mostrando la carne turgida della gola. E in quelle grandi esplosioni di allegria, quando passava un gobbo o una vecchia aspettava il suo cane all'angolo d'una via, la loro fila a volte si rompeva; alcune rimanevano indietro, mentre le altre le tiravano di forza. Dondolavano i fianchi, si raggomitolavano, si dimenavano, tanto da far radunare la gente e da far scoppiare il corpetto sotto la spinta delle loro forme nascenti. La strada era il loro regno; vi eran cresciute rialzandosi le sottane lungo le botteghe, e anche adesso se le tiravano su fino alle cosce, per riallacciarsi le giarrettiere. In mezzo alla folla lenta e illividita, fra i gracili alberi dei boulevards, scorrazzavano dalla barriera Rochechouart alla barriera Saint-Denis, urtando la gente, tagliando i gruppi a zigzag, rivoltandosi e gettando qualche parola fra i lazzi delle loro risate. E i loro vestiti svolazzanti si lasciavano dietro l'insolenza della giovent. Si mettevano in mostra all'aria aperta, sotto la cruda luce del giorno, volgari e sboccate come popolane, tenere e desiderabili come vergini che escano dal bagno con la nuca ancora imperlata di gocce. Nan stava sempre nel mezzo, con il suo vestito rosa che s'accendeva nel sole. Dava il braccio a Pauline, il cui vestito a fiori gialli su fondo bianco risplendeva a sua volta, come picchiettato di piccole fiamme. E poich tutte e due erano le pi grandi, le pi donne e le pi sfrontate, guidavano la banda, si pavoneggiavano sotto i complimenti e gli sguardi. Le altre, pi ragazzine, facevano da coda a sinistra e a destra, cercando di

gonfiarsi per esser prese sul serio. Nan e Pauline avevano dei piani assai complicati di malizia e di civetteria. Se si mettevano a correre a perdifiato, era soprattutto per mostrare le loro calze bianche e per far svolazzare i nastri annodati attorno ai capelli. Poi, quando si fermavano fingendosi affannate, con la gola arrovesciata e palpitante, bastava guardarsi in giro: c'era di sicuro nei paraggi uno dei loro conoscenti, qualche ragazzotto del quartiere; e riprendevano allora a camminare languidamente, bisbigliando e ridacchiando fra loro, sbirciando di sottecchi. Correvano incontro a questi appuntamenti dovuti al caso, in mezzo alle spinte e alla confusione della strada. Dei giovanottoni vestiti a festa, con la giacca e il cappello rotondo, le trattenevano per un istante sull'orlo del rigagnolo, scherzando, cercando d'afferrarle per i fianchi. Operai di vent'anni sbracati nelle loro casacche grigie, discorrevano con loro lentamente, appestandole con il fumo delle pipe. Ma tutto ci non portava alla minima conseguenza, perch quei giovani erano nati e cresciuti insieme a loro sulla strada. Eppure, nel mucchio, facevano le loro scelte. Pauline si fermava sempre con uno dei figli della signora Gaudron, un falegname di diciassette anni che le offriva delle mele. Nan sapeva riconoscere da un capo all'altro del viale Victor Fauconnier, il figlio della lavandaia, con il quale si sbaciucchiava in tutti gli angoli oscuri. E le cose non si spingevano mai oltre; erano abbastanza maliziose per non fare un passo falso senza accorgersene. Ma se ne dicevano di tutti i colori. Poi, quando il sole tramontava, la gran gioia di queste bricconcelle era di fermarsi davanti al saltimbanchi. Illusionisti, giganti da baraccone, venivano a stendere sulla terra del viale un tappeto consunto dall'uso. Allora gli sfaccendati si affollavano, formavano un cerchio, mentre il saltimbanco, nel mezzo, faceva guizzare dei muscoli d'acciaio nella sua calzamaglia sbiadita. Nan e Pauline restavano in piedi per ore l dove la folla era pi fitta. I loro freschi vestiti si pigiavano fra i cappotti e le casacche sudice. Le loro braccia nude, il loro collo nudo, le loro teste nude, si ammorbavano sotto quegli aliti appestati, in quel tanfo di vino e di sudore. E ridevano divertite, senza nessun disgusto, ancora pi accese, come se si trovassero nel loro concime naturale. Attorno a loro si sentivano parolacce, oscenit immonde, commenti da ubriachi. Ma era il linguaggio che conoscevano meglio; e si rigiravano con un sorriso, tranquille nella loro spudoratezza, pur conservando il pallore delicato della loro pelle di raso. La sola cosa che le contrariava era d'incontrare i padri, specialmente quando avevano bevuto. Stavano in guardia e si avvertivano. Guarda, Nan, gridava a un tratto Pauline, ecco pap Coupeau!. Ah, bene! se quello non ubriaco, io non sono pi io!, diceva Nan inviperita. Sapete che vi dico? me la batto! Non ho voglia di farmi prendere a legnate... Toh! ha dato una testata! Cristo santo! poteva anche rompersi l'osso del collo!. Altre volte, quando Coupeau le piombava addosso senza lasciarle il tempo di darsela a gambe, si accovacciava

bisbigliando: Nascondetemi un po', voi altre!... Mi sta cercando, ha promesso di prendermi a calci nel sedere se mi pesca ancora in giro per le strade. Poi, non appena l'ubriacone le aveva superate, si rialzava e tutte la seguivano crepando dal ridere. La trover? non la trover? era come giocare a nascondino! Tuttavia un giorno Boche era venuto a prendere Pauline per le orecchie, e Coupeau aveva portato via Nan a calci nel sedere. Mentre il giorno se ne andava, facevano un ultimo giretto; tornavano a casa nel livido crepuscolo, in mezzo alla folla spossata. Il pulviscolo dell'aria s'era fatto pi spesso e offuscava il cielo pesante. Rue de la Goutte-d'Or assomigliava a un piccolo angolo di provincia, con le comari sulle porte, scoppi di voce che rompevano il silenzio ovattato del quartiere vuoto di carrozze. Si fermavano per un momento nel cortile, riprendevano le racchette, cercavano di dare ad intendere che non si erano mai mosse da l. E risalivano in casa inventando qualche storia, di cui spesso nemmeno si servivano, quando i genitori erano troppo occupati a prendersi a sberle per una zuppa poco salata o non abbastanza cotta. Ormai Nan era operaia e guadagnava quaranta soldi da Titreville, la casa di rue du Caire dove aveva fatto il suo apprendistato. I Coupeau non volevano che cambiasse, per farla rimanere sotto la vigilanza della signora Lerat, che era prima operaia in quello stesso laboratorio da dieci anni. La mattina, mentre la madre guardava l'ora sull'orologio a cuc, la piccina usciva di casa sola sola, con un'aria tutta graziosa, le spalle strette nel suo vecchio vestito nero troppo piccolo e troppo corto. La signora Lerat aveva l'incarico di verificare l'ora del suo arrivo, che poi comunicava a Gervaise. Le concedevano venti minuti per andare da rue de la Goutte-d'Or a rue du Caire; e dovevano bastare, perch le giovani galoppine hanno tutte delle gambe da cervo. A volte arrivava puntuale, ma cos accaldata e ansimante, che doveva esser venuta gi di corsa dalla barriera in nemmeno dieci minuti, dopo essersi gingillata per strada. Il pi delle volte arrivava al laboratorio con sette, otto minuti di ritardo; e fino a sera si faceva vedere assai arrendevole nei confronti della zia, la supplicava con gli occhi, cercando di commuoverla, perch non parlasse. La signora Lerat, che comprendeva la giovent, mentiva ai Coupeau, ma faceva a Nan delle prediche interminabili, delle gran chiacchiere in cui tirava in ballo la sua responsabilit e alludeva ai pericoli che correva una ragazzina a forza di bighellonare per le strade di Parigi. Ah! in nome di Dio! si permettevano d'importunare perfino lei! E covava la nipote con gli occhi accesi dalle sue continue preoccupazioni oscene, si accalorava alla sola idea di dover proteggere e custodire l'innocenza di quel povero gattino. Vedi, le ripeteva, meglio che tu mi dica tutto. Sono fin troppo buona con te; non mi rimarrebbe che buttarmi nella Senna, se mai ti capitasse una sventura... Capisci? gattina mia, se qualche uomo ti rivolge la parola, devi riferirmi tutto, tutto, senza tralasciare nemmeno un dettaglio... Allora, me lo giuri? nessuno ti ha ancora parlato?.

Nan allora rideva di un riso che le stringeva in modo curiosa la bocca. No, no, gli uomini non le rivolgevano la parola. Camminava troppo in fretta. E poi, cosa le avrebbero potuto dire? Non aveva nulla di cui parlare con loro! Giustificava i ritardi con la sua aria pi ingenua: si era fermata a guardare le figure, oppure aveva accompagnato Pauline, che sapeva tante storielle. Potevano anche seguirla, se non le credevano; non lasciava mai il marciapiede di sinistra, e andava cos di buon passo che superava tutte le altre signorine come una carrozza. A dire il vero, un giorno la signora Lerat l'aveva sorpresa in rue du PetitCarreau con il naso in aria, mentre rideva con altre tre fioriste svergognate perch un uomo si faceva la barba a una finestra; ma Nan si era offesa, giurando che stava appunto andando dal fornaio all'angolo a comprarsi un pane da un soldo. Oh! io vigilo, non abbiate paura, diceva la vedova ai Coupeau. Rispondo di lei come di me stessa. Se qualche sporcaccione cercasse anche soltanto di darle un pizzicotto, ci penserei io a impedirglielo. Il laboratorio di Titreville era uno stanzone all'ammezzato; e il banco da lavoro, poggiato su cavalletti, occupava tutto il centro della sala. Lungo le quattro pareti vuote, la cui carta di un grigio impallidito lasciava vedere l'intonaco al di sotto dei suoi strappi, erano sistemate delle scansie ingombre di vecchi cartoni, di pacchi, di modelli di scarto, abbandonati sotto uno spesso strato di polvere. Il gas aveva passato sul soffitto come una mano di fuliggine. Le due finestre erano cos larghe che le operaie, senza lasciare il banco da lavoro, vedevano passare la gente sul marciapiede di fronte. La signora Lerat, per dare il buon esempio, era sempre la prima ad arrivare. Poi la porta sbatteva per un quarto d'ora, e tutte le piccole fioriste entravano alla rinfusa, sudate, spettinate. Una mattina di luglio Nan arriv per ultima; il che rientrava del resto nelle sue abitudini. Oh, insomma!, disse, non sar poi un gran male quando avr la mia carrozza!. E senza nemmeno togliersi il cappello, uno zucchetto nero che chiamava il suo berretto e che era stanca di rattoppare, si avvicin alla finestra, sporgendosi a destra e a sinistra per guardare nella strada. Cosa stai guardando?, le domand la signora Lerat con diffidenza. Ti ha accompagnato tuo padre?. No, certo, rispose Nan tranquillamente. Non sto guardando nulla. Guardo che fa proprio un bel caldo... C' da prendersi un bell'accidente a correre in questo modo. Quella mattina il caldo era infatti opprimente. Le operaie avevano abbassato le persiane, attraverso le quali spiavano il movimento della via; e si erano messe finalmente al lavoro, in fila ai due lati del banco, a capo del quale stava la sola signora Lerat. Erano in otto; ognuna aveva accanto a s il vasetto di colla, le pinzette, altri utensili e la stampiglia. Sul banco da lavoro c'erano dei pezzi di fil di ferro, rocchetti, ovatta, carta verde, carta marrone, foglie e petali tagliati nella seta, nel raso o nel velluto. Al centro, una fiorista aveva messo nel collo d'una grossa bottiglia un mazzolino da due soldi, che da un giorno le

appassiva sul corpetto. Voi non lo sapete, disse Lonie, una bella bruna, curvandosi sulla stampiglia per goffrarvi dei petali di rosa, ma quella povera Caroline davvero sfortunata con quel giovane che veniva ad aspettarla la sera. Nan, che stava tagliando delle sottili strisce di carta verde, s'indign. Perdinci! un uomo che le mette le corna tutti i giorni!. Le operaie scoppiarono a ridere, e la signora Lerat fu costretta a mostrarsi severa. Arricci il naso mormorando: Potresti anche parlare in modo pi decente, bambina mia; usi certe espressioni! Lo racconter a tuo padre; vedremo se ne sar contento. Nan gonfi le guance come per trattenere una grande risata. Ah! s, suo padre! proprio lui che ne sparava di ben pi grosse! Ma Lonie tutt'a un tratto sibil con voce bassa e affrettata: Ehi! attente! La padrona!. La signora Titreville, una stanga secca come un chiodo, stava infatti entrando proprio in quel momento. Di solito rimaneva al pianterreno, dove c'era il negozio. Le operaie la temevano, perch non scherzava mai. Fece lentamente il giro del banco da lavoro; tutte le operaie erano adesso curve, silenziose e attive. Ne tratt una da scansafatiche, e l'obblig a rifare da capo una margherita. Poi se ne and con la stessa aria rigida con cui era venuta. Hop! hop!, fece Nan in mezzo al brontolio generale. Signorine, insomma, signorine!, disse la signora Lerat facendo di tutto per assumere la sua espressione pi severa. Mi costringerete a prendere delle misure.... Ma non le davano retta, non ne avevano affatto soggezione. Era fin troppo tollerante; solleticata da quelle ragazzine che avevano negli occhi una gran voglia di scherzare, le prendeva a volte in disparte per farle chiacchierare dei loro innamorati, e faceva loro le carte, quando un angolo del banco da lavoro era libero. La sua pelle dura, la sua carcassa da gendarme trasaliva in una gioia saltellante da donnicciola, non appena s'incominciava a parlare di faccende amorose. S'offendeva soltanto per le parole troppo crude; purch non si usassero parole troppo crude, si poteva dire qualunque cosa. Ecco in che modo Nan portava a compimento in quel laboratorio una gran bella educazione! Oh! ne aveva di certo la vocazione; ma l'avere a che fare di continuo con quel branco d'operaie gi stremate dal vizio e dalla miseria, non poteva che perfezionarla. Stavano le une addosso alle altre, e marcivano insieme: proprio come nella storia della cesta di mele, quando ce ne sono di guaste. Senza dubbio si trattenevano di fronte alla gente; evitavano di mostrarsi troppo svergognate, d'usare un linguaggio troppo sconcio. Posavano insomma a signorine come si deve. Ma all'orecchio, negli angoli, le oscenit andavano al galoppo. Non potevano trovarsi anche solo in due, che subito si torcevano dalle risa dicendo porcherie. Poi la sera si accompagnavano; cominciavano allora le confidenze, certi racconti da far rizzare i capelli che facevano attardare sul

marciapiede le due ragazze, eccitate fra le spinte della folla. E anche le pi giovani, come Nan, che non si erano ancora perdute, respiravano l'aria mefitica del laboratorio, tutto l'odore delle bettole e delle notti poco cattoliche che si portavano addosso le operaie pi viziose, nelle loro crocchie in disordine e nelle loro sottane cos sgualcite da far credere che vi avessero dormito dentro. I molli languori dei giorni che seguono alle baldorie, gli occhi cerchiati, quel nero degli occhi che la signora Lerat definiva pudicamente i pugni dell'amore, i corpi sfiancati, le voci arrochite, esalavano come un profumo di corruzione attorno al tavolo da lavoro, fra lo splendore e la fragilit dei fiori artificiali. Nan annusava, si inebriava, quando sentiva accanto a s una giovane che aveva visto il lupo. A lungo aveva lavorato gomito a gomito con la grossa Lisa, un'operaia che dicevano gravida, e lanciava occhiate fiammeggianti alla sua vicina, come se si aspettasse di vederla gonfiare e scoppiare tutt'a un tratto. Quanto all'imparare qualcosa di nuovo, l'impresa era impossibile; la bricconcella sapeva gi tutto, l'aveva appreso sul selciato di rue de la Goutte-d'Or. Ma al laboratorio tutte quelle cose le vedeva fare; e poco a poco sentiva crescere in lei la voglia e il coraggio di farle a sua volta. Si soffoca, mormor avvicinandosi a una finestra, come per abbassare di pi la persiana. Ma s'affacci, guard di nuovo a sinistra e a destra. In quel medesimo istante Lonie, che stava a spiare un uomo fermo sul marciapiede di fronte, grid: Perch mai sar l quel vecchio? un quarto d'ora che ci sta a guardare!. Un porco come un altro, disse la signora Lerat. Nan, vuoi rimetterti a sedere! Ti ho gi proibito di stare alla finestra. Nan riprese i gambi di violette che stava arrotolando, e tutto il laboratorio s'occup dell'uomo. Era un signore ben vestito, in cappotto, sulla cinquantina; aveva una faccia giallastra, seria e dignitosa, e una corona di barba grigia ben tagliata. Per un'ora rimase davanti alla bottega d'un erborista, alzando gli occhi alle persiane del laboratorio. Le fioriste facevano delle risatine che erano coperte dal rumore della strada; e si curvavano sul lavoro, tutte affaccendate, pur seguitando a guardare, per non perdere di vista il signore. Toh!, fece notare Lonie, ha l'occhialetto. Oh! un uomo elegante... Di certo sta aspettando Augustine. Ma Augustine, una brutta biondina, rispose acidamente che i vecchi non le piacevano. E la signora Lerat, scrollando il capo, mormor con un sorriso appena accennato e pieno di sottintesi: Avete torto, mia cara; i vecchi sono pi dolci. In quel momento la vicina di Lonie, una personcina grassa grassa, le sussurr qualche frase all'orecchio; e Lonie s'arrovesci tutt'a un tratto sulla sedia, presa da un accesso di folle allegria, dimenandosi, gettando delle occhiate verso il signore e riprendendo a ridere ancora pi forte. Balbettava: cos, oh! cos!... Ah! Sophie, sei proprio una gran sudiciona!. Che ha detto? Che ha detto?, chiedevano tutte le operaie, bruciando di curiosit.

Lonie si asciugava le lacrime dagli occhi senza rispondere. Quando si fu un po' calmata, si rimise a goffrare e dichiar: Non lo posso ripetere. Le altre insistevano; Lonie continuava a dire di no con la testa, ripresa dai suoi singulti di risa. Allora Augustine, che era la sua vicina di sinistra, la supplic di dirglielo sottovoce. E Lonie alla fine si decise a dirglielo, con la bocca incollata all'orecchio. Augustine s'arrovesci, si dimen a sua volta sulla sedia. Poi lei stessa volle ripetere quelle parole alle altre, e la frase di Sophie pass cos d'orecchio in orecchio, fra esclamazioni e risa soffocate. Quando tutte furono informate dell'oscenit detta da Sophie, si guardarono e si misero a ridere insieme, ma un po' rosse e confuse. Soltanto la signora Lerat era rimasta all'oscuro di tutto. E ne era offesissima. Se vi sembra un modo educato di comportarvi, il vostro, signorine, vi sbagliate!, disse. Non si parla mai sottovoce, quando ci sono delle altre persone... Qualche sconcezza, scommetto! Ah! bella roba!. Tuttavia non s'arrischi a domandare che le ripetessero l'oscenit di Sophie, nonostante la sua voglia furiosa di saperla. E per qualche istante, tenendo il naso abbassato, dandosi un contegno, si divert ad ascoltare le chiacchiere delle operaie. Nessuna di loro poteva dire una parola, la parola pi innocente, per esempio a proposito del lavoro, senza che subito le altre non vi trovassero un'intenzione maliziosa: rigiravano la parola a modo loro, le davano un significato indecente, attribuivano sottintesi stravaganti alle frasi pi semplici, come queste: La mia pinzetta si rotta; oppure: Chi ha frugato nel mio vasetto?. E riferivano tutto a quel signore che si trovava ancora sul marciapiede di fronte, ad allungare il collo come una gru; tutte le allusioni finivano sempre e comunque per andare a parare su di lui. Ah! come dovevano fischiargli le orecchie! E non si vergognavano a dire le peggiori sciocchezze, tanto ci tenevano a mostrarsi maliziose. Trovavano anzi quel gioco molto divertente; eccitate, con gli occhi da pazze, ne sparavano sempre di pi grosse. Ma la signora Lerat non aveva di che inquietarsene; non dicevano nulla di troppo crudo. Lei stessa le fece sbellicare dal ridere, domandando: Signorina Lisa, il mio fuoco si spento; passatemi il vostro. Ah! il fuoco della signora Lerat si spento!, gridarono tutte le operaie. La signora Lerat cerc allora di spiegarsi: Quando avrete la mia et, signorine.... Ma non l'ascoltavano pi; parlavano di chiamare il signore per accendere di nuovo il fuoco della signora Lerat. Fra queste esplosioni d'allegria, bisognava vedere come se la godeva Nan. Nessun doppio senso le sfuggiva. Lei stessa ne diceva di tutti i colori, sottolineando ogni parola con una smorfia, pavoneggiandosi, scoppiando di gioia. Sguazzava nel vizio come un pesce nell'acqua. E avvolgeva alla perfezione i suoi gambi di violette, pur contorcendosi sulla sedia. Oh! un'abilit straordinaria! nemmeno il tempo d'arrotolarsi una sigaretta. Le bastava prendere una strisciolina di carta verde, ed

ecco! la carta s'avvolgeva come per incanto attorno all'ottone; poi una goccia di gomma in cima per incollare, ed era fatto: un filo fresco e delicato di verde, pronto a ingentilire le belle forme delle signore. L'abilit era tutta nelle dita, in quelle dita sottili da sgualdrinella, che sembravano disossate, pieghevoli e armoniose. Del mestiere non aveva saputo imparare altro. Le davano da fare tutti i gambi del laboratorio, tanto li faceva bene. Il signore del marciapiede di fronte se n'era intanto andato. E il laboratorio ritrovava la calma, lavorava in quel gran caldo. Quando fu mezzogiorno, l'ora del pranzo, tutte le operaie si rianimarono. Nan si era precipitata verso la finestra; e grid alle altre che sarebbe scesa a comprare qualcosa, se volevano. Lonie le ordin due soldi di gamberetti, Augustine un cartoccio di patate fritte, Lisa un mazzo di ravanelli, Sophie una salsiccia. Poi, mentre Nan scendeva, la signora Lerat che trovava ben strana la sua passione per la finestra, quel giorno, la raggiunse con le sue lunghe gambe e le disse: Aspettami, vengo con te; ho bisogno di comprare una cosa. Ma ecco che nel corridoio scorse il signore piantato come un cero e che faceva l'occhiolino a Nan! La piccola si fece tutta rossa. Allora la zia le prese il braccio con uno scrollone, la fece trottare sul lastricato, mentre lo sconosciuto le seguiva passo passo. Ah! quel vecchio porco s'appostava dunque per Nan. Davvero un bel modo di comportarsi, a quindici anni e mezzo! trascinarsi degli uomini dietro le gonnelle! E la signora Lerat l'interrogava energicamente. Oh! Mio Dio! Nan non ne sapeva nulla: quel signore la seguiva da cinque giorni soltanto; non poteva pi mettere fuori il naso, senza trovarselo fra i piedi. Doveva essere nel commercio, s, aveva una fabbrica di bottoni d'osso. La signora Lerat ne rimase impressionata. Si rigir, sbirci il signore con la coda dell'occhio. Si capisce subito che deve essere pieno di soldi, mormor. Senti, gattina mia, bisogner che tu mi dica tutto; adesso non hai pi da aver paura di niente. Parlando, correvano di bottega in bottega, dal pizzicagnolo, dalla fruttivendola, dal rosticciere. E le cose che dovevano comprare si ammucchiavano sulle loro mani, avvolte in carta unta. Ma non per questo facevano meno le smorfiose; si dimenavano, lanciavano alle loro spalle dei risolini e delle occhiate fulminanti. La stessa signora Lerat era tutta una moina, prendeva delle pose da verginella; e il tutto in onore del fabbricante di bottoni che continuava a seguirle. molto distinto, osserv mentre imboccavano di nuovo il corridoio. Se solo avesse delle intenzioni oneste.... Poi, mentre salivano le scale, sembr ricordarsi all'improvviso di qualcosa. A proposito, dimmi che cosa si son dette all'orecchio le tue compagne; sai, quella frase sconcia di Sophie.... E Nan non si fece pregare. Ma prese la signora Lerat al collo, l'obblig a ridiscendere due gradini: non era davvero una cosa che poteva ripetere ad alta voce, nemmeno in una scala. E le rifer la frase. Era cos cruda che la zia si limit a scrollare la testa, strabuzzando gli occhi e storcendo la bocca. Adesso che la

sapeva, le era passato ogni prurito. Le fioriste mangiavano sulle ginocchia per non sporcare il tavolo da lavoro. Si spicciavano a mandare gi i bocconi, annoiandosi a masticare, preferendo adoperare l'ora del pasto ad osservare la gente che passava o a farsi delle confidenze negli angoli. Quel giorno tentarono di scoprire dove si nascondeva il signore della mattina; ma era evidentemente scomparso. La signora Lerat e Nan si scambiavano lunghe occhiate, con le labbra cucite. Era gi l'una e dieci, e le operaie non sembravano troppo ansiose di riprendere le loro pinzette, quando Lonie con un rumore delle labbra, lo stesso prrru! di cui si servono gli imbianchini per chiamarsi, diede il segnale che la padrona si avvicinava. Subito si buttarono tutte sulla loro sedia, con il naso sul lavoro. La signora Titreville entr e fece il suo solito giro, con aria severa. A partire da quel giorno, la signora Lerat partecip con entusiasmo alla prima avventura della nipote. Non la lasciava pi, le stava appresso dalla mattina alla sera, mettendo sempre innanzi la sua responsabilit. Il che infastidiva non poco Nan; ma al tempo stesso la ragazzina si sentiva gonfiare d'orgoglio all'idea di essere custodita come un tesoro. E i discorsi che teneva con la zia camminando per strada, con il fabbricante di bottoni alle loro costole, non facevano che infiammarla ancora di pi, le mettevano in corpo la smania di fare al pi presto il gran passo. Oh! la zia comprendeva fin troppo bene le ragioni del cuore; si lasciava perfino intenerire dal fabbricante di bottoni, quel signore gi avanti con gli anni e tanto perbene, perch insomma! i sentimenti delle persone mature hanno sempre delle radici pi profonde. Ma continuava a vigilare. S, avrebbe dovuto passare sul suo cadavere, prima di arrivare alla piccola! Una sera si avvicin al signore, e di punto in bianco gli disse in faccia che quel che faceva non andava affatto bene. L'altro la salut gentilmente, senza rispondere, da vecchio libertino abituato alle sfuriate dei familiari. Quanto a lei, non poteva davvero aversene a male; quell'uomo aveva delle maniere troppo raffinate. Ed erano allora consigli pratici sull'amore, allusioni sulla scelleratezza degli uomini, storie di mille stupidine che alla fine s'erano ben pentite d'aver ceduto. Nan ne usciva tutta piena di languore, con gli occhi che luccicavano di volutt in quel suo bianco visetto. Un giorno, in rue du Fauborg-Poissonnire, il fabbricante di bottoni aveva osato ficcare il muso fra la zia e la nipote, mormorando certe cose che non avrebbe mai dovuto dire. E la signora Lerat, ormai spaventata, ripetendo che non era pi tranquilla nemmeno per s, and a spifferare tutto al fratello. Allora la faccenda prese tutta un'altra piega. In casa Coupeau si ricominci a gridare. Prima di tutto lo zincatore assest una bella scarica di botte a Nan. Che diamine gli venivano a raccontare? Quella sgualdrinella se la faceva con i vecchi! Ah, bene! che si facesse sorprendere a sbaciucchiarsi per strada; poteva esser sicura di quanto le spettava: le avrebbe rotto il collo senza pensarci un minuto! S'era mai visto! una mocciosa che faceva di tutto per disonorare la famiglia! E la scrollava, le diceva che, in nome di Dio! le conveniva rigar diritto, perch da

allora in poi non le avrebbe pi tolto gli occhi di dosso. Quando Nan tornava a casa, Coupeau la squadrava ben bene, la guardava in faccia per vedere se aveva qualche segno sull'occhio, uno di quei piccoli baci che si posano lass senza rumore. L'annusava, la rivoltava. Una sera le diede di nuovo una bella strigliata, perch le aveva trovato una macchia nera sul collo. La briccona osava dire che non era un succhiotto! proprio cos, era un livido, soltanto un livido che Lonie le aveva fatto scherzando. S! gliene avrebbe fatti lui di lividi! le avrebbe impedito di sgambettare di qua e di l, anche a costo di fracassarle le zampe! Altre volte, quando era di buonumore, si prendeva gioco di lei, la derideva. Davvero! che bel bocconcino per gli uomini; una sogliola, da tanto che era piatta, e con certe saliere alle spalle cos profonde da poterci ficcare un pugno! Nan, picchiata per le brutte cose che non aveva fatto, avvilita e umiliata dalle infami accuse del padre, mostrava la sottomissione ipocrita e furiosa delle bestie braccate. Ma lasciala in pace!, ripeteva Gervaise, pi ragionevole. Finirai per fargliene venire la voglia, a forza di parlargliene. Ah! s, gliene veniva davvero la voglia! Sentiva insomma una smania in tutto il corpo, un desiderio violento di rompere il freno e di fare il gran passo, come diceva pap Coupeau. La faceva vivere troppo in quell'idea; anche la fanciulla pi onesta avrebbe sentito i sensi ribollire. Anzi, con quel suo modo d'ingiuriarla, fin per insegnarle cose che ancora non sapeva; il che era davvero sorprendente. Allora, poco a poco, Nan cominci a prendere delle abitudini curiose. Un mattino il padre la sorprese mentre frugava in un cartoccio, per incollarsi qualcosa sul musino. Era polvere di riso, con cui s'impiastricciava con gusto pervertito il raso delicato della pelle. Gliela sfreg addosso con la carta fin quasi a spellarle la faccia, trattandola da figlia d'un mugnaio. Un'altra volta Nan port a casa dei nastri rossi per rattopparsi il berretto, quel vecchio zucchetto di cui tanto si vergognava. E il padre le domand infuriato dove mai avesse preso quei nastri. Eh? se li era forse guadagnati mettendosi con le cosce all'aria? Oppure li aveva portati via di nascosto? Troia o ladra, e forse le due cose insieme. In diverse occasioni le vide cos nelle mani dei ninnoli graziosi: un anello di corniola, un paio di maniche con una piccola trina, uno di quei cuori di metallo placcato che le giovinette s'infilano fra le poppe, come per dire: Assaggiatemi!. Pap Coupeau voleva far tutto a pezzi; ma Nan difendeva le sue cose con furore: erano sue, gliele avevano regalate delle signore, oppure aveva fatto degli scambi al laboratorio. Il cuore, per esempio, l'aveva trovato dalle parti di rue d'Aboukir. Quando il padre schiacci il cuore con un colpo di tallone, rimase immobile, pallida e contratta, mentre un'interna ribellione la spingeva a buttarsi su di lui per strappargli di dosso qualcosa. Per due anni aveva sognato d'avere quel cuore, ed ecco che adesso glielo schiacciavano! No, questa proprio non riusciva a mandarla gi! era ora di farla finita! Ma Coupeau era guidato pi dal puntiglio che dal senso dell'onore, quando pretendeva di comandare Nan a bacchetta. Spesso aveva torto, e le sue ingiustizie esasperavano la

fanciulla. Fin per assentarsi pi d'una volta dal laboratorio; e quando lo zincatore le somministr per questo la sua dose di botte, lo sbeffeggi, rispose che non voleva pi tornare da Titreville, perch la mettevano sempre accanto ad Augustine, che di certo s'era mangiata i piedi, con quei rutti puzzolenti che faceva. Allora Coupeau la condusse di persona in rue du Caire, e preg la padrona di metterla sempre vicina ad Augustine, per punizione. Tutte le mattine, per quindici giorni, si prese la pena di scendere dalla barriera Poissonnire per accompagnare Nan fino alla porta del laboratorio. E rimaneva per cinque minuti sul marciapiede, per sincerarsi che fosse davvero entrata. Ma una mattina, essendosi fermato con un compagno da un vinaiolo di rue Saint-Denis, nemmeno dieci minuti dopo vide la malandrina che correva a perdifiato verso il fondo della via, dimenandosi con tutto il sedere. Da quindici giorni lo prendeva bellamente per il naso; invece d'entrare da Titreville, saliva di altri due piani e si metteva a sedere su un gradino, aspettando che se ne fosse andato. Quando Coupeau cerc di pigliarsela con la signora Lerat, quest'ultima gli grid aspramente che non aveva proprio nulla da rimproverarsi. Aveva detto alla nipote tutto ci che doveva dire contro gli uomini, non era colpa sua se quella piccola canaglia mostrava di aver simpatia per quei porci; quanto a lei, ormai se ne lavava le mani, giurava di non volerne sapere pi niente, anche perch le erano arrivate all'orecchio certe voci, certi pettegolezzi fatti in famiglia, s, alcune persone che osavano accusarla di perdersi insieme a Nan, di provare un piacere morboso nel vederla fare sotto i suoi occhi il gran capitombolo. Coupeau venne poi a sapere dalla padrona che Nan era stata soprattutto corrotta da un'altra operaia, da quella piccola svergognata di Lonie, che da poco aveva lasciato i fiori per darsi alla vita. Senza dubbio la ragazzina, unicamente smaniosa di fare la vagabonda per tutte le strade del quartiere, avrebbe ancora potuto sposarsi con una corona di fiori d'arancio in testa. Ma perbacco! bisognava fare in fretta, ma in fretta davvero! se si voleva darla a un marito senza nulla di rotto, pulita e in buono stato, insomma intatta come tutte le signorine che si rispettano. In tutto il caseggiato di rue de la Goutte-d'Or si parlava dell'anziano signore di Nan come di un signore che tutti conoscevano. Oh! il vecchio continuava a comportarsi da uomo ben educato, quasi un po' timido, ma ostinato e paziente come il diavolo; e la seguiva con l'aria di un cagnolino fedele almeno a dieci passi di distanza. A volte entrava perfino nel cortile. La signora Gaudron lo incontr una sera sul pianerottolo del secondo piano, mentre se la batteva aggrappandosi alla ringhiera, con la testa bassa, acceso e impaurito. I Lorilleux minacciavano di sloggiare se quella piccola pezzente della nipote avesse continuato a portarsi degli uomini appiccicati al sedere. Erano cose da voltastomaco. La scala ne era piena, non si poteva pi scendere senza incontrarne su tutti i gradini, uomini che annusavano, uomini che aspettavano. C'era davvero da credere che in quell'angolo del caseggiato ci fosse qualche bestia in fregola. I Boche si impietosivano sulla sorte di quel povero signore, di quell'uomo tanto rispettabile, che si era incapricciato

d'una sgualdrinella. Che diavolo! era un commerciante, erano andati a vedere la sua fabbrica di bottoni in boulevard de la Villette; avrebbe potuto fare la fortuna d'una donna, se solo si fosse imbattuto in una fanciulla onesta. Grazie ai preziosi particolari forniti dai Boche, tutti gli abitanti del quartiere, compresi i Lorilleux, mostravano la pi grande considerazione per il vecchio, ogni volta che lo vedevano passare sulle peste di Nan, con le labbra penzoloni nella faccia livida, con la sua corona di barba grigia sempre accuratamente tagliata. Per tutto il primo mese Nan si divert non poco alle spalle del suo vecchio. Bisognava vederlo, sempre a ronzarle attorno! Un vero furbacchione che le palpava da dietro le sottane, anche in mezzo al marciapiede, fra la folla, come se nulla fosse. E le sue gambe! degli stecchi da carbonaio, dei veri zolfanelli! E sulla zucca nemmeno pi l'ombra d'un pelo, quattro capelli che gli stavano ritti sul collo, tanto da farle venir sempre la tentazione di domandargli l'indirizzo del parrucchiere che gli faceva la piega. Ah! che vecchiaccio! era davvero uno spasso! Poi, a forza di trovarselo sempre fra i piedi, cominci a sembrarle meno divertente. Aveva una paura sorda di lui, si sarebbe messa ad urlare se si fosse avvicinato. Spesso, quando si fermava davanti a un gioielliere, sentiva a un tratto che le sussurrava delle cose da dietro. Ed era vero quello che le diceva. Avrebbe voluto avere una croce con un nastrino di velluto al collo, oppure degli orecchini di corallo, ma cos piccoli da poter sembrare gocce di sangue. E pur senza desiderare dei gioielli, non voleva restare per sempre una stracciona. Era stufa di rattopparsi con gli avanzi dei laboratori di rue du Caire; soprattutto non ne poteva pi del suo berretto, di quello zucchetto su cui i fiori rubacchiati da Titreville facevano lo stesso effetto delle pillacchere che pendono come campanelli dal deretano di un povero. Allora, trotterellando nel fango, inzaccherata dalle carrozze e abbagliata dallo splendore delle vetrine, aveva delle voglie che l'afferravano allo stomaco, glielo stringevano come nei morsi della fame; delle voglie di essere ben vestita, di mangiare nei ristoranti, di andare a teatro, d'avere una camera tutta per s e con tanti bei mobili. Si fermava tutta pallida di desiderio; sentiva salire dal selciato di Parigi un calore che le arrivava fino alle cosce, una smania rabbiosa di addentare tutti i piaceri verso cui si vedeva sospinta, nella grande folla che invadeva i marciapiedi. E immancabilmente, era proprio in momenti del genere che il vecchio le mormorava all'orecchio tutte le sue profferte. Ah! come sarebbe corsa a becchettargli sulla mano, se solo non avesse avuto tanta paura di lui, un'intima ribellione che l'irrigidiva nei suoi rifiuti, offesa e disgustata dall'ignoto dell'uomo, nonostante la sua naturale malizia. Ma quando giunse l'inverno, l'esistenza divenne impossibile in casa Coupeau. Ogni sera Nan riceveva la sua razione di botte. Quando il padre era stanco di batterla, la madre la prendeva a ceffoni, cos, per insegnarle a comportarsi bene. E spesso erano baruffe generali; mentre il primo la picchiava, la seconda la difendeva, e finivano tutti e tre per accapigliarsi sul pavimento, in mezzo alle stoviglie rotte. E per di pi, mai che

riuscissero a levarsi la fame; crepavano di freddo. Se la piccola si comprava qualcosa di grazioso, un fiocco, dei gemelli, i genitori glielo confiscavano e andavano a venderlo. Non aveva di suo se non quella rendita di scappellotti, prima d'infilarsi nel brandello di lenzuolo in cui tremava sotto la gonnellina nera che si tirava addosso come una coperta. No, non poteva continuare a vivere in quell'inferno; non voleva rimetterci la pelle. Ormai da molto tempo il padre non contava pi nulla; quando un padre si ubriaca come il suo s'ubriacava, non pi un padre, una bestia immonda di cui ci si vorrebbe al pi presto sbarazzare. E adesso anche la madre si rendeva indegna della sua stima. Si era messa a bere anche lei. Entrava come per caso, cercando il suo uomo, da pap Colombe, soprattutto per farsi offrire qualche bicchierino; e vi si piazzava ormai del tutto a suo agio, senza ostentare l'aria di disgusto della prima volta, scolando i bicchieri a garganella, trascinando i gomiti per ore intere, prima d'andarsene con gli occhi fuori della testa. E quando Nan, passando davanti all'Assommoir, vedeva la madre in fondo alla sala, con il naso nell'acquavite e abbrutita in mezzo a quegli uomini che gridavano, impallidiva di rabbia, perch la giovent, che ha la testa rivolta a ben altri spassi, disapprova la passione del bere. Quelle sere le si presentava davvero un bel quadro: il padre ubriacone, la madre ubriacona, una stamberga maledetta in cui non c'era mai niente da mangiare, appestata dall'alcool. Insomma, nemmeno una santa sarebbe rimasta l dentro. Tanto peggio! se un giorno se la fosse squagliata, i genitori avrebbero potuto recitare il mea culpa e dire che loro stessi l'avevano cacciata di casa. Un sabato, tornando a casa, Nan trov il padre e la madre in condizioni vergognose. Coupeau russava sdraiato di traverso sul letto; e Gervaise, rannicchiata su una sedia, dondolava la testa con occhi confusi e irrequieti, spalancati sul vuoto. Si era dimenticata di scaldare la cena, un avanzo di stufato. Una candela, che non veniva mai smoccolata, illuminava la squallida miseria di quel tugurio. Sei tu, ranocchietto?, biascic Gervaise. Bene! ci penser tuo padre a metterti a posto!. Nan non rispondeva; guardava tutta pallida la stufa fredda, la tavola senza piatti, quella lugubre stanza in cui i due ubriaconi esalavano l'ignobile orrore del loro sfacelo. Non si lev il cappello; fece il giro della camera; poi a denti stretti riapr la porta e and via. Esci di nuovo?, le domand la madre senza poter volgere il capo. S, ho dimenticato una cosa. Risalgo subito... Buonasera. E non si fece pi vedere. Il giorno dopo i Coupeau, passata la sbornia, si bastonarono, rinfacciandosi l'un l'altro la fuga di Nan. Ah! era di certo ormai lontana, se non aveva mai smesso di correre! Come si dice ai bambini a proposito dei passeri, i genitori potevano andare a metterle un grano di sale sulla coda, e forse l'avrebbero acchiappata. Per Gervaise fu un brutto colpo, ne rimase schiacciata. Capiva benissimo, nonostante il suo abbrutimento, che il capitombolo della figlia, in quello stesso momento forse gi pronta a rovesciarsi su un letto, non faceva

che spingerla ancora pi in basso, ormai sola com'era, senza figli da cui farsi rispettare, libera d'abbandonarsi alla corrente, all'abisso che la chiamava sempre pi gi, al fondo dell'abiezione! Quella svergognata, quella figlia degenere, le levava di dosso l'ultimo brandello della sua onest, s! se lo portava via fra le sue sudice sottane. E si ubriac per tre giorni, furiosa, con i pugni stretti, la bocca gonfia di parole atroci contro quella puttana di sua figlia. Coupeau, dopo aver girato i boulevards esterni e guardato in faccia ogni vagabonda che passava, si era rimesso a fumare la pipa, tranquillo come un pasci; ma quando era a tavola, gli capitava a volte d'alzarsi tutt'a un tratto con le braccia in aria, un coltello in pugno, gridando d'essere stato disonorato. Poi si rimetteva a sedere e finiva la zuppa. Nel caseggiato, da cui ogni mese delle ragazzine pigliavano il volo come dei canarini a cui si fosse lasciata aperta la gabbia, la disgrazia dei Coupeau non stup nessuno. Ma i Lorilleux trionfavano. Ah! l'avevano pur detto che quella piccina ne avrebbe fatte vedere delle belle! Se lo meritavano: tutte le fioriste facevano una brutta fine. I Boche e i Poisson se la ridevano a loro volta, facendo gran mostra di virt. Solo Lantier difendeva sotto sotto Nan. Mio Dio! certo, affermava con la sua aria pi puritana, una signorina che correva la cavallina offendeva tutte le leggi; ma poi aggiungeva con una fiamma che gli si accendeva negli occhi che, perdio! quella birichina era troppo bella per finire nella miseria alla sua et. Volete sapere la verit?, grid un giorno la signora Lorilleux a tutta la combriccola, che stava prendendo il caff dai Boche. Ebbene! vero come vera la luce del sole che ci rischiara, stata la Zoppa a vendere la figlia... Proprio cos, l'ha venduta! Ne ho le prove!... Il vecchio che si incontrava dalla mattina alla sera sulle scale, andava a darle degli anticipi. Era una cosa che saltava agli occhi! E proprio ieri qualcuno li ha visti insieme all'Ambigu, s, la donzella e il suo bel ganzo... Parola d'onore! stanno insieme, pi chiaro di cos!. Finirono il caff continuando a discuterne. In fin dei conti la cosa era possibile, ne capitavano anche di peggiori. E in tutto il quartiere, anche le persone pi pacate finirono per ripetere che Gervaise aveva venduto la figlia. Gervaise, quanto a lei, si lasciava ormai andare e se ne infischiava della gente. Avrebbero potuto chiamarla ladra per strada, che nemmeno si sarebbe rigirata. Da un mese non lavorava pi dalla signora Fauconnier, che era stata costretta a metterla alla porta per evitare litigi nella bottega. In poche settimane era stata da otto lavandaie; faceva due o tre giorni in ogni bottega, e poi doveva far fagotto, tanto abborracciava il lavoro, trascurata, sudiciona, perdendo la testa fino a dimenticare il suo mestiere. Alla fine, sentendosi incapace, aveva rinunciato alla stiratura; e lavava a giornata al lavatoio di rue Neuve. Sguazzare, combattere con l'unto, tornare di nuovo a ci che il mestiere ha di pi facile e grossolano, ecco quanto ormai le conveniva: la faceva scendere d'un altro gradino lungo il pendio del suo sfacelo. Il lavatoio di certo non l'abbelliva. Sembrava un cane inzaccherato, quando ne usciva fradicia, con

la carne illividita. E con tutto ci continuava a ingrassare, nonostante i pasti saltati; la gamba si storceva a tal punto che non poteva pi camminare accanto a qualcuno, senza correre il rischio di gettarlo per terra, tanto zoppicava. |[continua]| |[CAPITOLO UNDICESIMO, 2]| Naturalmente, quando si decade a tal punto, tutto l'orgoglio di una donna se ne va. Gervaise aveva abbandonato le sue fierezze d'un tempo, le sue ambizioni, il suo bisogno di buoni sentimenti, di convenienze e di riguardi. Le potevano allungare calci dappertutto, davanti e di dietro; non li sentiva. Si faceva troppo fiacca e troppo molla. Lantier l'aveva definitivamente, lasciata, non la stuzzicava pi nemmeno pro forma; Gervaise sembrava quasi non essersi accorta della fine di quella lunga relazione che si era trascinata lentamente ed esaurita per reciproca stanchezza. Era per lei un lavoro ingrato di meno. Anche i rapporti fra Lantier e Virginie la lasciavano assolutamente in pace con se stessa, tanto le erano ormai indifferenti tutte quelle sciocchezze per cui un tempo aveva cos smaniato. Era pronta a reggere il moccolo se gliel'avessero domandato. La faccenda correva ormai sulla bocca di tutti: il cappellaio e la droghiera filavano d'amore e d'accordo. Avevano modo di farlo con comodo. Quel gran cornuto di Poisson aveva ogni due giorni dei turni di notte che lo facevano tremare di freddo sui marciapiedi deserti, mentre la moglie e il vicino se ne stavano con i piedi al caldo. Oh! non avevano fretta; sentivano risuonare lentamente i suoi stivali lungo le botteghe, nella via buia e vuota, senza disturbarsi per cos poco a mettere il naso fuori dalla coperta. Una guardia municipale non conosce che il suo dovere, vero? e rimanevano tranquillamente fino all'alba a fare scempio della sua propriet, mentre quell'uomo severo vegliava sulla propriet degli altri. Il quartiere della Goutte-d'Or rideva di quella bella farsa. Trovava divertenti le corna messe all'autorit. Lantier aveva del resto conquistato quell'angolo gi da molto tempo. La bottega e la bottegaia procedevano di pari passo. Aveva gi spolpato una lavandaia, adesso sgranocchiava una droghiera; e se avessero messo su bottega, una dopo l'altra, una merciaia, una cartolaia, una modista, aveva delle mascelle abbastanza robuste per divorarle tutte. No, non s' mai visto un uomo crogiolarsi come lui nello zucchero. Lantier aveva saputo scegliere quel che pi gli conveniva, quando aveva consigliato a Virginie un commercio di prelibatezze. Era troppo un buon Provenzale per non andar matto per i dolciumi: vale a dire che avrebbe potuto vivere soltanto di pasticche, praline di gomma, confetti e cioccolata. Soprattutto i confetti, che chiamava mandorle inzuccherate, gli facevano venire l'acquolina in bocca, tanto gli stuzzicavano il palato. Da un anno non viveva che di chicche. Apriva i cassetti, si serviva da s, quando Virginie lo pregava di tener d'occhio la bottega. Spesso, chiacchierando, dinnanzi a cinque o sei persone, sollevava il coperchio d'uno dei vasi che stavano sul bancone, vi affondava una mano e sgranocchiava qualcosa; il

vaso restava aperto e in poco tempo si svuotava. Non ci faceva pi caso; diceva che era una mania. Poi aveva inventato un eterno raffreddore, un'irritazione della gola, che voleva addolcire. Continuava a non lavorare, ma aveva in vista degli affari sempre pi consistenti; in quel momento stava perfezionando una magnifica invenzione, il cappello-ombrello, un cappello che si tramutava in un ombrello alle prime gocce d'un acquazzone; e prometteva a Poisson la met degli utili, gli chiedeva in prestito per gli esperimenti delle monete da venti franchi. Nell'attesa, la bottega si scioglieva sulla sua lingua come un confetto; tutti gli articoli gli finivano l, dai sigari di cioccolato alle pipette rosse di caramella. E quando, non potendone pi di tutti quei dolciumi, preso da improvvisa tenerezza, si concedeva un'ultima scorpacciata sbocconcellando negli angoli la padrona, Virginie lo trovava tutto intriso di zucchero, con le labbra simili a praline. Un uomo da divorare di baci! Insomma, era fatto di miele! I Boche dicevano che gli bastava immergere un dito nel caff per farlo diventare un vero sciroppo. Intenerito dal suo continuo dessert, Lantier si mostrava assai paterno con Gervaise. Le dava dei consigli, la rimproverava di non amare pi il lavoro. Che diamine! una donna, alla sua et, doveva pur darsi da fare! E l'accusava d'essere stata sempre troppo ingorda. Ma poich bisogna sempre tendere una mano alle persone, anche quando non se lo meritano, faceva in modo di trovarle qualche lavoretto. Aveva quindi convinto Virginie a far venire Gervaise una volta alla settimana, per lavare la bottega e le camere. L'acqua di potassa era il suo elemento, e guadagnava ogni volta trenta soldi. Gervaise si presentava ogni sabato mattina con il secchio e la spazzola, senza apparentemente soffrire per quell'umile e sporco servizio, il lavoro degli sguatteri, che la faceva tornare negli stessi alloggi in cui un tempo aveva troneggiato da bella padrona bionda. Era l'ultima umiliazione, la morte del suo orgoglio. Un sabato ebbe tuttavia di che patire. Aveva piovuto per tre giorni, i piedi degli avventori sembravano aver portato nel negozio tutto il fango del quartiere. Virginie era al banco, a far la signora, pettinata con cura, con il colletto e le maniche di pizzo. Accanto a lei, su una sedia di similpelle rossa, Lantier si stravaccava con l'espressione beata di chi si sente a casa propria, il vero padrone di tutta la baracca; e con fare distratto metteva la mano in un vaso di pasticche di menta, tanto per sgranocchiare un po' di zucchero, per abitudine. Ma insomma, signora Coupeau!, grid Virginie, che seguiva il lavoro della sguattera con le labbra strette, avete lasciato dello sporco laggi, in quell'angolo! Strofinate un po' meglio!. E Gervaise obbed. Ritorn nell'angolo, ricominci a lavare. Inginocchiata per terra, in mezzo all'acqua sudicia, si piegava in due, con le spalle in fuori e le braccia livide e intirizzite. La sua vecchia sottana fradicia le si incollava alle natiche. Assomigliava a un mucchio di roba sporca dimenticata sull'impiantito. Era scarmigliata, mostrava dai buchi della sua camiciola il gonfiore del corpo, uno straripamento di carni molli che andavano su e

gi, rotolavano e saltavano, sotto le rudi scosse del lavoro; e sudava tanto che dal suo viso bagnato colavano dei grossi goccioloni. Pi forza ci si mette, pi luccica, sentenzi Lantier con la bocca piena di pasticche. Virginie, abbandonata all'indietro con l'aria d'una principessa e gli occhi socchiusi, sorvegliava la sguattera e non le risparmiava le critiche: Un po' pi a destra! Adesso fate attenzione ai rivestimenti di legno... Sapete? non sono rimasta affatto contenta, sabato scorso. C'erano ancora delle macchie. Ed entrambi, il cappellaio e la droghiera, si stravaccavano ancora di pi, come su un trono, mentre Gervaise si trascinava ai loro piedi, nella nera fanghiglia. Virginie doveva gioirne, perch i suoi occhi da gatta si accesero per un istante di gialle scintille; e fiss Lantier con un lieve sorriso. Eccola finalmente vendicata dell'antica sculacciata del lavatoio, che le era sempre rimasta sullo stomaco! Intanto un leggero rumore di sega veniva dalla stanza in fondo, ogni volta che Gervaise smetteva di strofinare. Dalla porta spalancata si scorgeva, contro la livida luce del cortile, il profilo di Poisson, che quel giorno non era di servizio e approfittava del tempo libero per dedicarsi alla sua passione delle scatolette. Era seduto a un tavolo, e intagliava con incredibile cura degli arabeschi nel mogano di una scatola da sigari. Ascoltate, Badingue, grid Lantier, che aveva ricominciaio a chiamarlo con questo soprannome in segno d'amicizia, tenetemi da parte una delle vostre scatolette; la voglio regalare a una signorina. Virginie gli diede un pizzicotto. E il cappellaio non volle essere da meno e galantemente, senza smettere di sorridere, le risal con una mano fino al ginocchio, sotto il bancone; e ritir la mano tranquillamente, quando il marito alz la testa mostrando il pizzetto e i mustacchi rossi, ritti nella sua faccia terrea. Per l'appunto, disse la guardia municipale, stavo lavorando in onor vostro, Auguste. Un piccolo pegno d'amicizia.... Ah! caspita, se cos terr per me il vostro giocattolino!, disse Lantier ridendo. Ecco, me l'appender al collo con un nastro!. Poi tutt'a un tratto, come se questa idea gliene richiamasse un'altra: A proposito!, grid, ieri sera ho incontrato Nan. Di botto l'emozione di questa notizia fece sedere Gervaise nell'acqua sporca che riempiva la bottega. Rimase con la spazzola in mano, fradicia di sudore, ansimante. Ah!, mormor semplicemente. S, stavo scendendo per rue des Martyrs, e guardavo una mocciosetta che si dimenava al braccio d'un vecchio, proprio davanti a me, e mi dicevo: Ecco un deretano che mi sembra di conoscere... Allora ho accelerato il passo, e mi sono trovato faccia a faccia con la mia adorata Nan Via, non dovete compiangerla, felice, con un bel vestito di lana addosso, una

croce d'oro al collo e per di pi l'aria di chi se la spassa!. Ah!, ripet Gervaise con voce ancora pi sorda. Lantier aveva finito le pasticche, e prese uno zucchero d'orzo da un altro vasetto. di una malizia, quella ragazzina!, continu. Figuratevi che mi ha fatto segno di seguirla, come se nulla fosse. Poi ha ficcato il suo vecchio da qualche parte, in un caff... Oh! straordinario, il vecchio! non si regge pi in piedi... Ed venuta a raggiungermi in un portone. Un vero serpentello! carina da morire, una gran pettegolina, affettuosa come un cagnolino. S, mi ha baciato, ha voluto sapere notizie di tutti. Insomma, sono stato proprio contento d'averla incontrata!. Ah!, disse Gervaise per la terza volta. Si schiacciava a terra, aspettava. Possibile che la figlia non avesse avuto nemmeno una parola per lei? Nel silenzio si sentiva soltanto la sega di Poisson. Lantier, beato, succhiava veloce il suo zucchero d'orzo, facendo schioccare le labbra. Ebbene, quanto a me, se la vedo, passer dall'altro lato della via, prese a dire Virginie, dopo aver pizzicato con ferocia il cappellaio. S, mi verrebbe il rossore alla fronte ad essere salutata in pubblico da una di quelle sgualdrinelle... Non lo dico perch ci siete voi, signora Coupeau, ma vostra figlia marcia fino al midollo. Poisson ne raccatta tante ogni giorno che sono migliori di lei. Gervaise non diceva nulla, non si muoveva, con gli occhi fissi nel vuoto. Fin per scrollare lentamente la testa, come per rispondere alle idee che teneva dentro di s, mentre il cappellaio, con aria ingorda, mormorava: Di ragazzine marce come quella si farebbe volentieri indigestione. tenera come una gallinella.... Ma la bottegaia lo guardava con un'aria cos terribile che prefer non continuare, e la rabbon con una galanteria. Diede un'occhiata alla guardia municipale, e vedendola con il naso sulla sua scatoletta ne approfitt per ficcare lo zucchero d'orzo in bocca a Virginie. Allora questa sorrise tutta compiaciuta. Poi sfog la sua rabbia sulla sguattera: Insomma, spicciatevi! Di certo il lavoro non va avanti, se rimanete l come una statua!... Coraggio, fate in fretta, non ho voglia di sguazzare nell'acqua fino a stasera!. E aggiunse a voce pi bassa, malignamente: forse colpa mia se vostra figlia si data alla pazza gioia?. Senza dubbio Gervaise non sent. S'era rimessa a sfregare il pavimento, con la schiena rotta, prostrata per terra e trascinandosi con i movimenti rattrappiti di una rana. Stringendo con entrambe le mani il legno della spazzola, spingeva davanti a s un'onda d'acqua nera che la picchiettava di fango, con i suoi spruzzi, fino alla cima dei capelli. Non restava che sciacquare, dopo aver spinto le acque sudice verso il rigagnolo. Dopo un breve silenzio Lantier, che si annoiava, alz la voce: Sapete una cosa, Badingue?, grid. leri ho visto il vostro capintesta in rue de Rivoli. maledettamente sciupato, ne avr al massimo per sei mesi... Ah! diamine! con la vita che fa!. Parlava dell'imperatore. La guardia municipale rispose con un

tono secco, senza alzare gli occhi: Se ci foste voi al governo, non sareste cos grasso. Oh! mio buon amico, se ci fossi io al governo, rispose il cappellaio riassumendo a un tratto la sua espressione pi grave, le cose andrebbero un po' meglio, ve l'assicuro... Prendiamo per esempio la politica estera: fa venire i sudori freddi, da un po' di tempo in qua... Io, s, io, proprio io che vi parlo, se solo conoscessi un giornalista a cui affidare le mie idee.... Si animava; e poich aveva finito di sgranocchiare il suo zucchero d'orzo, aveva aperto un cassetto da cui prendeva a piene mani dei biscotti di pasta frolla, che divorava gesticolando. semplicissimo... Per prima cosa ricostituirei la Polonia e darei vita a un grande Stato scandinavo, per tenere in scacco il gigante del nord... Poi farei una repubblica con tutti i piccoli regni tedeschi... Quanto all'Inghilterra, non affatto da temere; se solo cercasse di muoversi, manderei centomila uomini in India... Per finire rispedirei, con il calcio del fucile ben incollato alla schiena, il Gran Turco alla Mecca e il Papa a Gerusalemme... Che ve ne pare? In un batter d'occhio avremmo una nuova Europa... Ecco! Badingue, guardate.... E s'interruppe per prendere cinque o sei biscotti di pasta frolla in una volta sola. Insomma, non ci vorrebbe pi tempo che per mandare gi questi biscotti.... E se li buttava nella bocca spalancata uno a uno. L'imperatore ha un altro piano, disse la guardia municipale dopo due lunghi minuti di riflessione. Ma fatela finita!, riprese con violenza il cappellaio. Lo si conosce, il suo piano! L'Europa ride di noi... Tutti i giorni i servi delle Tuileries devono tirar su il vostro padrone da sotto la tavola, in mezzo a due baldracche del gran mondo. Ma Poisson s'era alzato. Venne avanti e si mise la mano sul cuore, dicendo: Voi mi ferite, Auguste. Cercate di discutere senza tirare in ballo le persone. Virginie allora intervenne, pregandoli di lasciarla in pace. L'Europa lei se la ficcava in quel posto... Come mai due uomini che spartivano tutto il resto, potevano accapigliarsi di continuo parlando di politica? Biascicarono per un istante delle sorde parole. Poi la guardia municipale, per mostrare che non serbava rancore, and a prendere il coperchio della scatoletta che aveva appena terminato. Vi si leggeva a lettere intarsiate: Ad Auguste, in ricordo della nostra amicizia. Lantier, sentendosene assai lusingato, si arrovesci, si distese a tal punto sulla sedia da finire quasi fra le braccia di Virginie. Il marito li guardava con il suo viso color muro vecchio, in cui il torpore degli occhi non esprimeva assolutamente nulla; ma a tratti i peli rossi dei suoi mustacchi si muovevano come da soli, e in un modo cos curioso che avrebbe potuto inquietare un uomo meno arrogante e sicuro di s del cappellaio. Quell'animale di Lantier aveva quell'ardire tranquillo che seduce le donne. Dopo che Poisson si fu rigirato di spalle, gli salt il ticchio di appiccicare un gran bacio sull'occhio sinistro della signora Poisson. Di solito agiva in modo pi prudente e

accorto; ma quando aveva discusso di politica, era pronto a rischiare il tutto per tutto, rifacendosi almeno sulla moglie. Quelle carezze ingorde, carpite sfacciatamente alle spalle della guardia municipale, lo vendicavano dell'Impero che stava facendo della Francia un immenso bordello. Ma stavolta s'era dimenticato della presenza di Gervaise. Quest'ultima aveva finito di sciacquare e di asciugare la bottega; ed era adesso in piedi davanti al banco, aspettando i suoi trenta soldi. Quel gran bacio sull'occhio la lasci del tutto indifferente, come una cosa naturale e di cui non doveva immischiarsi. Virginie ne sembr invece alquanto contrariata. E butt i trenta soldi sul bancone, davanti a Gervaise. Ma la sguattera non si mosse, con l'aria d'aspettare ancora qualcosa, sfiancata dalla lavatura, fradicia e mostruosa come un cane appena salvato da una fogna. Ma allora non vi ha detto proprio nulla?, domand finalmente al cappellaio. Ma chi?, grid l'altro. Ah! s, Nan!... No, non mi ha detto nient'altro. Quella sgualdrinella ha una bocca! un vasetto di fragole!. E Gervaise se ne and con i suoi trenta soldi in mano. Le ciabatte tutte scalcagnate schizzavano acqua come pompe, delle vere scarpe armoniche che suonavano la loro aria lasciando sul marciapiede le orme bagnate delle larghe suole. Nel quartiere, tutte le ubriacone della sua specie raccontavano ormai che si era messa a bere per consolarsi del capitombolo della figlia. E Gervaise stessa, mentre si scolava il suo bicchiere di acquavite sul bancone, assumeva un'aria drammatica, se lo gettava in corpo augurandosi che la facesse schiattare. Ogni volta che tornava a casa ubriaca fradicia, balbettava che era tutta colpa del suo gran dispiacere. Ma la gente onesta alzava le spalle: era una vecchia storia, quella di mettere le sbronze di acquavite prese all'Assommoir sul conto del dolore; in ogni caso, l'avrebbero dovuto chiamare dolore in bottiglia. Era vero che, sulle prime, Gervaise non era riuscita a mandar gi l'improvvisa fuga di Nan. Quel poco d'onest che viveva ancora dentro di lei si ribellava; e poi, in genere, a una madre non piace di dover dire a se stessa che la sua figliola, proprio in quel momento, si sta forse concedendo al primo venuto. Ma era ormai troppo abbrutita, aveva ormai la testa troppo sconvolta e il cuore troppo oppresso, per poter conservare a lungo quel senso di vergogna. Non le faceva pi nessun effetto. Restava benissimo per otto giorni senza pensare a quella sgualdrina; poi tutt'a un tratto le pigliava una gran tenerezza o una gran collera, delle volte a digiuno, delle volte quando era a stomaco pieno; un bisogno impetuoso di spingere Nan in un cantuccio, dove l'avrebbe abbracciata o riempita di pugni a seconda del capriccio del momento. Finiva per non aver pi un'idea ben precisa dell'onest. Sapeva soltanto che Nan le apparteneva. Ebbene! quando una cosa ci appartiene, non la vorremmo veder svanire nel nulla. Allora, quando era presa da questi pensieri, Gervaise guardava per le strade con occhi da gendarme. Ah! se mai avesse incontrato la sua piccola svergognata, con che gioia l'avrebbe riportata a casa! Buttavano all'aria il quartiere,

quell'anno. Il boulevard Magenta e il boulevard Ornano, che stavano ancora scavando, avevano inghiottito l'antica barriera Poissonnire e tagliavano il boulevard esterno. La gente stessa del quartiere non riusciva pi a ritrovarsi. Tutto un lato di rue des Poissonniers era stato demolito. Adesso, da rue de la Goutte-d'Or, si vedeva un'immensa spianata, degli squarci di sole e d'aria aperta; e al posto delle catapecchie che paravano la vista da quel lato, sorgeva sul boulevard Ornano un vero monumento, un edificio di sei piani, scolpito come una chiesa, le cui ampie finestre, con cortine ricamate, bastavano gi da sole a farne sentire la ricchezza. Quella casa tutta bianca, posta proprio dirimpetto alla via, sembrava accenderla con un getto di luce. Ed era appunto per quella casa che Poisson e Lantier litigavano ogni giorno. Il cappellaio non la finiva mai di disapprovare le demolizioni di Parigi; accusava l'imperatore di far mettere dappertutto dei palazzi per rimandare gli operai in provincia; e la guardia municipale, impallidendo d'una collera fredda, replicava che al contrario l'imperatore pensava prima di tutto agli operai, che all'occorrenza avrebbe raso al suolo tutta Parigi, al solo scopo di farli lavorare. Anche Gervaise vedeva di malocchio quegli abbellimenti, e si sentiva defraudata di quell'angolo oscuro di sobborgo in cui si era ormai fatta la sua tana. Tanto pi che il quartiere s'abbelliva nel momento stesso in cui lei andava in rovina. Non fa piacere, quando ci si trova nel fango, avere un raggio di luce in piena faccia. Cos, nei giorni in cui andava in cerca di Nan, montava su tutte le furie all'idea di dover scavalcare materiali, affondare nei marciapiedi ancora in costruzione, andare a sbattere contro le impalcature. Il bel palazzo del boulevard Ornano la faceva uscire dai gangheri. Palazzi del genere erano per le puttane come Nan. Intanto aveva avuto pi volte notizie della piccina. Ci son sempre delle buone lingue a cui non par vero di farvi un cattivo servizio. S, le avevano raccontato che la piccola aveva mollato il vecchio, un colpo di testa da fanciulla inesperta. Era trattata benissimo da quel vecchio, viziata, adorata, perfino lasciata libera, se solo ci avesse saputo fare. Ma la giovent sciocca; e Nan se ne doveva essere andata con qualche bellimbusto. Ma su questo le notizie erano meno precise. Una cosa era comunque certa: che un pomeriggio, in place de la Bastille, aveva chiesto tre soldi al vecchio per un bisognino, e che il vecchio ancora l'aspettava. Nelle migliori compagnie questo si chiama battersela all'inglese. Altri giuravano d'averla vista subito dopo in rue de la Chapelle, a fare il diavolo a quattro al Grand Salon de la Folie. A Gervaise venne allora l'idea di frequentare tutte le balere del quartiere. Non pass pi davanti alla porta di un ballo senza entrare. Coupeau l'accompagnava. Dapprima fecero soltanto il giro delle sale, squadrando le sgualdrinelle che sgambettavano. Poi una sera, avendo qualche soldo in pi, si misero a un tavolino e presero un'insalatiera di vino alla francese, tanto per rinfrancarsi nell'attesa di veder apparire la figlia. In capo a un mese avevano dimenticato Nan; entravano nelle balere soltanto per loro spasso, si divertivano a guardare le danze. Rimanevano per ore e ore in silenzio, con i gomiti sul tavolino, inebetiti in mezzo ai sobbalzi del pavimento,

contenti di poter seguire con gli occhi offuscati le puttane da barriera che si agitavano nell'oppressione e nel rosso chiarore della sala. Una sera di novembre erano entrati a riscaldarsi al Gran Salon de la Folie. Fuori una brezzolina tagliava in due la faccia ai passanti. La sala era affollata: un formicolio indiavolato, gente a tutti i tavoli, gente nel mezzo, gente per aria, tutti pigiati come sardine; s quelli a cui piacevano le trippe alla moda di Caen potevano dirsi contenti. Dopo aver fatto due volte il giro della sala senza trovare un tavolino, decisero di rimanere in piedi finch qualcuno non se ne fosse andato. Coupeau ciondolava nella sua lercia casacca, con un vecchio berretto di panno senza visiera schiacciato in cima alla testa. Ma impediva il passaggio; e vide che un giovanottino magro si puliva la manica del cappotto dopo avergli dato una gomitata. Ehi, dico!, grid infuriato, levandosi la pipa dalla bocca annerita, non potreste almeno chiedere scusa?... E fa tanto lo schifiltoso perch ho addosso una casacca!. Il giovane si era voltato e squadrava dall'alto in basso lo zincatore, che continuava: Impara un po', pezzo di animale, che non c' vestito pi bello della casacca; s, il vestito di chi lavora!... Se vuoi, ci penso io a pulirti con un bel paio di schiaffi... S' mai visto! una femminuccia come questa che si permette d'offendere un operaio!. Gervaise cercava invano di placarlo. Coupeau si pavoneggiava negli stracci che aveva addosso, si picchiava sulla casacca gridando: Qui sotto batte il cuore d'un uomo!. Allora il giovane si perse fra la folla, mormorando: Ma guarda un po' che sudicia canaglia!. Coupeau si slanci per riacciuffarlo. Ci mancava solo che si facesse insultare da un cappotto! Non doveva nemmeno averlo pagato! Era certamente un cappotto di seconda mano, tutta una pagliacciata per sedurre qualche femmina senza sborsare il becco d'un quattrino! Se l'avesse ripescato, l'avrebbe costretto a rendere omaggio in ginocchio alla casacca che indossava. Ma la ressa era troppo fitta, non si riusciva a camminare. Gervaise e il marito girarono lentamente attorno ai ballerini; tre file di curiosi si accalcavano con i volti accesi, quando un uomo si esibiva in qualche passo di danza o una donna metteva tutto in mostra sollevando in alto la gamba. E poich erano entrambi bassi di statura, si sollevavano sulla punta dei piedi, con i capelli che si scompigliavano, per veder meglio. L'orchestra suonava una furiosa quadriglia con i suoi strumenti stonati di rame, una tempesta che faceva tremare tutta la sala, mentre i ballerini, pestando i piedi, alzavano un polverone che offuscava le fiammelle del gas. Si scoppiava di caldo. Guarda!, disse all'improvviso Gervaise. Che c'?. Guarda laggi, quello zucchetto di velluto!. Si rizzarono in punta di piedi. C'era a sinistra un vecchio cappello di velluto nero con due piume spennacchiate che dondolavano, un vero pennacchio da carro funebre. Ma non

riuscivano a vedere altro. E il cappello ballava a un ritmo indiavolato, con capriole, mulinelli, spariva in basso, tornava a galla. Lo perdevano di vista in mezzo all'ondeggiare convulso delle teste; poi lo ritrovavano che si librava in aria, al di sopra degli altri, con una sfrontatezza cos buffa che le persone attorno a loro si divertivano al solo guardare quel cappellino che ballava, senza sapere che ci fosse sotto. E allora?, domand Coupeau. Ma come! non riconosci quella crocchia?, mormor Gervaise con voce strozzata. Ci scommetterei la testa che lei!. Lo zincatore, con una spinta, si fece largo fra la folla. In nome di Dio! s, era Nan! Ma com'era conciata! Aveva addosso un vecchio vestito di seta che doveva aver spolverato i tavoli di tutte le bettole, tanto era inzaccherato; le guarnizioni sdrucite cadevano a pezzi da ogni parte. Per di pi senza neanche uno straccio sulle spalle, la carne offerta e nuda sotto il corpetto dalle asole strappate. E dire che quella stracciona aveva avuto un vecchio pieno di riguardi, che s'era ridotta in quello stato per correr dietro a qualche magnaccia che probabilmente la riempiva di botte! Ma con tutto ci era sempre fresca e appetitosa, arruffata come un barboncino, e con la boccuccia rosa rosa sotto quel suo cappello malandrino. Aspetta, adesso la faccio ballare io!, disse Coupeau. Nan naturalmente non s'aspettava una sorpresa del genere. Si dimenava che era uno spettacolo! E sculettava a sinistra, sculettava a destra, faceva riverenze che la piegavano in due, slanciava il piede in faccia al suo cavaliere come se fosse sul punto di rompersi! Le facevano cerchio tutt'attorno, l'applaudivano. E Nan, ormai scatenata, s'afferrava le sottane, le sollevava fino alle ginocchia, tutta scossa dall'orgasmo della danza, sferzata e rotante come una trottola; si calava sul pavimento in ampie spaccate che l'appiattivano, si risollevava in un piccolo ballo pudico, con un rullio di fianchi e di petto d'incredibile grazia. Faceva venir voglia di portarsela in un cantuccio e di divorarla di baci. Intanto Coupeau, piombato in pieno nella pastourelle, aveva scompigliato quella figura di danza e veniva preso a spintoni. Ma se vi dico che mia figlia!, grid. Lasciatemi passare!. Nan, che si era rovesciata in una capriola, spazzava l'impiantito con le piume del suo cappello, arrotondando il sedere e dandogli delle piccole scosse per rendere il quadro ancora pi grazioso. Si becc una magnifica pedata proprio nel posto giusto; si rialz e si sbianc in volto riconoscendo il padre e la madre. Che scalogna maledetta! Alla porta!, gridavano i ballerini. Coupeau, che aveva riconosciuto nel cavaliere della figlia il giovanottino magro del cappotto, se ne infischiava di tutta l'altra gente. S, siamo noi!, urlava. Eh! non te l'aspettavi... Ah! proprio in un posto del genere ti dovevamo trovare, e con uno sbarbatello che poco fa mi ha mancato di rispetto!.

Gervaise gli diede una spinta, dicendo a denti stretti: Taci!... Non c' bisogno di tante spiegazioni. E facendosi avanti, diede a Nan due sonori schiaffoni. Il primo le spost di lato il cappello con le piume, il secondo lasci il suo segno rosso sulla guancia bianca come un panno. Nan, sbigottita, li prese senza piangere, senza ribellarsi. L'orchestra continuava a suonare, la folla esasperata ripeteva con violenza: Alla porta! Alla porta!. Andiamo, fila, riprese Gervaise, cammina davanti a noi. E non cercare di scappare, altrimenti ti faccio passare la notte in prigione!. Il giovanottino era prudentemente sparito. Nan s'incammin davanti ai genitori, tutta rigida, non riuscendo ancora a capacitarsi della sua sfortuna. Se solo faceva la mossa d'indugiare, uno scappellotto da dietro la rimetteva sulla via della porta. E uscirono cos tutti e tre fra i motteggi e gli schiamazzi della sala, mentre l'orchestra concludeva la pastourelle con un tale fracasso che dai tromboni sembravano uscire cannonate. Ricominci la vita di sempre. Dopo aver dormito dodici ore di fila nel suo vecchio stanzino, Nan si mostr quanto mai arrendevole per una settimana. S'era accomodata un modesto vestitino, e portava una cuffia di cui annodava i nastri sotto la crocchia. In un impeto di sacro zelo, disse perfino che voleva lavorare in casa; lavorando in casa propria, si guadagnava mille volte di pi e soprattutto non si sentivano tutte le sconcezze del laboratorio. Trov infatti del lavoro, si sistem a un tavolino con i suoi arnesi, e i primi giorni si alz alle cinque per arrotolare i gambi di violette. Ma dopo averne consegnate alcune centinaia, cominci a non poterne pi di quel lavoro. Le venivano i crampi alle dita, non essendo pi abituata a far gambi; e si sentiva soffocare a starsene sempre rinchiusa l dentro, proprio lei che aveva scorrazzato all'aria aperta per sei mesi. Allora il vasetto della colla si secc, i petali e la carta verde presero delle macchie d'unto; e il principale venne per tre volte di persona a far delle scenate e a reclamare le sue forniture andate a male. Nan si strascicava, continuava a farsi picchiare dal padre e litigava dalla mattina alla sera con la madre, certi battibecchi in cui le due donne si sbattevano in faccia le ingiurie pi disgustose. Cos non poteva durare. E infatti il dodicesimo giorno la sgualdrinella se la fil di nuovo, portandosi via per tutto bagaglio il vestituccio che aveva addosso e la cuffia che le copriva la testa. I Lorilleux, che il ritorno e il pentimento della piccola avevano alquanto indispettito, per poco non caddero a gambe levate a forza di scompisciarsi dal ridere. Seconda rappresentazione, eclissi numero due! in carrozza le signorine per Saint-Lazare! No, era troppo divertente! Nan aveva un modo cos carino di squagliarsela! Ormai ai Coupeau, per tenerla ferma, non restava che cucirle il sedere e metterla in gabbia! Di fronte alla gente i Coupeau facevano mostra d'essersi tolti un bel peso di dosso. Erano invece furiosi. Ma la rabbia dura sempre poco. Ben presto vennero a sapere, senza battere ciglio, che Nan si era messa a far la vita nel quartiere. Gervaise, che la accusava di farlo per infangare il loro onore, si considerava

superiore ai pettegolezzi. L'avesse pure incontrata per la strada, non si sarebbe nemmeno insudiciata la mano per mollarle una sberla; s, era proprio finita! quand'anche avesse trovato la sgualdrina in fin di vita su un marciapiede, seminuda sul lastricato, sarebbe passata oltre senza dire che quella svergognata era il frutto delle sue viscere. Nan animava tutti i balli dei dintorni. La conoscevano dalla Reine Blanche al Grand Salon de la Folie. Quando entrava all'Elyse-Montmartre, la gente montava sui tavolini per poterla ammirare, nella pastourelle, mentre faceva il gambero che rincula. Al Chteau Rouge, poich l'avevano sbattuta fuori gi due volte, si limitava a gironzolare davanti alla porta, aspettando che ne uscisse qualcuno di sua conoscenza. La Boule Noire, sul boulevard, e il Grand-Turc, in rue des Poissonniers, erano dei locali pi eleganti dove andava soltanto quando aveva la biancheria pulita. Ma fra tutte le balere del quartiere, le sue preferite erano il Bal de l'Ermitage, che si trovava in un umido cortile, e il Bal Robert, vicolo du Cadran, due piccole sale maleodoranti e rischiarate da una mezza dozzina di lampade tenute basse, dove tutti erano liberi e contenti, tanto che i cavalieri e le loro dame si potevano avvinghiare negli angoli senza esser disturbati. E Nan aveva degli alti e bassi, dei veri colpi di bacchetta magica, a volte elegante come una signora, a volte inzaccherata di fango come una pezzente. Ah! una gran bella vita davvero! Pi volte sembr ai Coupeau di vedere la figlia in luoghi tutt'altro che decorosi. Allora voltavano le spalle, sgattaiolavano in fretta in un'altra direzione, per non esser costretti a riconoscerla. Non avevano pi voglia di farsi prendere in giro da tutta una sala, soltanto per riportare a casa una puttana del genere. Ma una sera, verso le dieci, mentre andavano a letto, sentirono battere alla porta. Era Nan, che veniva a chiedere tranquillamente da dormire; e in che stato, buon Dio! a capo scoperto, un vestito a brandelli, degli stivaletti sfondati, conciata insomma in un modo da farsi acciuffare e portare in carcere difilato. Dopo essersi presa la sua solita razione di botte, si gett ingordamente su un pezzo di pane raffermo, e si addorment spossata con l'ultimo boccone fra i denti. Allora quel tran tran continu. Non appena la piccola si risentiva in forze, un bel mattino se la squagliava di nuovo. Mai vista n conosciuta! l'uccellino aveva ripreso il volo! E passavano le settimane, passavano i mesi; quando gi la davano per perduta, ecco che ricompariva all'improvviso, senza mai dire da dove veniva, a volte cos sudicia da non prenderla nemmeno con le molle, e graffiata dalla testa ai piedi, altre volte ben messa, ma cos infiacchita e svuotata dalle orge che non si reggeva pi ritta. I genitori avevano finito per farci l'abitudine. Le batoste non servivano a nulla. La picchiavano; ma questo non le impediva di prendere la loro casa come una locanda, dove si dormiva a un tanto la settimana. Nan sapeva che doveva pagarsi il letto lasciandosi menare; si frugava in tasca e andava a buscarsi la sua lavata di capo, se appena le conveniva. Del resto, anche di picchiare prima o poi ci si stanca. E i Coupeau alla fine si rassegnarono ai continui vagabondaggi di Nan. Ritornava? non ritornava? purch non lasciasse la porta aperta, per loro era lo

stesso. Mio Dio! l'abitudine logora l'onest come qualunque altra cosa. C'era soltanto una cosa che mandava in bestia Gervaise. Era quando la figlia ricompariva con degli abiti con la coda e dei cappelli ricoperti di piume. No, tutto quel lusso non lo poteva proprio digerire. Che Nan si desse pure alla bella vita, se lo voleva; ma quando veniva dalla madre, che almeno si vestisse come si deve vestire un'operaia. I suoi vestiti con la coda mettevano in sobbuglio tutto il caseggiato: i Lorilleux sghignazzavano; Lantier, solleticato, girava attorno a Nan per annusarne il buon odore; i Boche avevano proibito a Pauline d'avere ancora a che fare con quella poco di buono tutta impennacchiata. E Gervaise reagiva con rabbia ai sonni pesanti in cui piombava immancabilmente Nan quando, dopo una delle sue scorribande, dormiva fino alle dodici del mattino, con il petto di fuori, la crocchia disfatta e ancora piena di forcine, e cos pallida, con il respiro cos corto, che sembrava morta. La scuoteva cinque o sei volte nel corso d'una mattinata, minacciando di buttarle un secchio d'acqua sulla pancia. Si sentiva esasperare alla vista di quella giovane bella e sfaticata, mezza nuda, inturgidita dal vizio, che smaltiva tutto l'amore di cui la sua carne pareva gonfia senza nemmeno potersi svegliare. Nan apriva un occhio, lo richiudeva, s'allungava nel letto a suo agio. Gervaise, un giorno che le rimproverava con durezza la sua vita e le domandava se aveva l'abitudine di farsela con la soldataglia, per tornarsene a casa sfiancata in quel modo, mise finalmente in atto la sua minaccia e le scroll la mano bagnata sul corpo. La piccola s'avvoltol nel lenzuolo, e grid con rabbia: Mi pare che basti, vero, mamma? Non parliamo di uomini, meglio. Tu hai fatto quel che hai voluto; adesso sta a me fare quello che voglio. Come? come?, balbett la madre. S, non te ne ho mai parlato perch la cosa non mi riguardava, ma non si pu dire che ti sia fatta troppi scrupoli; ti ho veduta mille volte andartene in giro in camicia, gi da basso, mentre il babbo russava... Adesso non ti piace pi, ma piace agli altri. Lasciami in pace; non avresti dovuto darmi il buon esempio!. Gervaise impallid di colpo; e con le mani tremanti si gir attorno senza sapere quel che faceva, mentre Nan, bocconi sul letto, stringendo il guanciale fra le braccia, ricadeva nel torpore del suo sonno di piombo. Coupeau ormai si limitava a grugnire, e non gli veniva pi in mente d'allungarle nemmeno uno schiaffo. Stava perdendo completamente il lume della ragione. Ma neanche lo si poteva trattare da padre snaturato, perch il bere gli aveva tolto ogni coscienza del bene e del male. Ormai la faccenda andava avanti da sola. Per sei mesi era di continuo ubriaco; poi ripiombava nella follia e tornava a SainteAnne, quasi in villeggiatura. I Lorilleux dicevano che il signor duca di Torci-Budella andava a visitare le sue propriet. In capo a qualche settimana usciva dal manicomio, racconciato, rinchiodato; e ricominciava subito a demolirsi fino al giorno in

cui, crollato di nuovo, aveva bisogno d'un altro restauro. In tre anni venne ricoverato sette volte a Sainte-Anne. Si raccontava nel quartiere che gli tenevano sempre prenotata una cella. Ma la cosa pi brutta di tutta questa vicenda era che quell'accanito ubriacone andava a pezzi ogni volta di pi; e cos, di ricaduta in ricaduta, si poteva gi prevedere lo schianto finale, l'ultimo cigolio di quella botte ormai fradicia i cui cerchi si sfasciavano uno a uno. E per di pi si faceva tutt'altro che bello; sembrava di guardare un fantasma! L'acquavite gli avvelenava il sangue. Il suo corpo imbevuto d'alcool si raggrinziva come i feti che si vedono nei vasi dei farmacisti. Quando si metteva davanti a una finestra, la luce gli passava attraverso il costato, tanto era magro. Con le guance incavate, e gli occhi annacquati da cui colava abbastanza cerume da rifornire un'intera cattedrale, non conservava in fiore nient'altro che il naso, bello e rubicondo come un garofano piantato al centro della sua faccia devastata. Quelli che sapevano la sua et, quarant'anni appena suonati, avevano un piccolo brivido quando lo vedevano passare, tutto curvo, vacillante, decrepito come le strade. E il tremito delle sue mani era ancora pi forte; specialmente la destra ballava a tal punto da sola che, in certi giorni, doveva stringere il bicchiere fra i pugni per accostarselo alle labbra. Oh! quel maledettissimo tremito! Ecco la sola cosa che ancora lo indispettiva, pur nel suo completo abbrutimento! Lo sentivano grugnire delle ingiurie feroci contro quelle mani dannate. Altre volte lo vedevano per ore e ore in contemplazione davanti alle sue mani che ballavano; le guardava saltellare come ranocchie, in perfetto silenzio, incapace perfino di arrabbiarsi, con l'aria di cercare il meccanismo segreto che le faceva dimenare in quel modo. E una sera Gervaise l'aveva trovato con le lacrime agli occhi, due enormi goccioloni che gli rigavano le guance paonazze da ubriacone. L'ultima estate in cui Nan trascin in casa dei genitori i resti delle sue notti, fu particolarmente disastrosa per Coupeau. La sua voce cambi del tutto, come se l'acquavite gli avesse messo in gola una musica nuova. Divent sordo da un orecchio. Poi, in pochi giorni, la vista gli si abbass. Era ormai costretto a reggersi alla ringhiera, per non ruzzolare gi dalle scale. Insomma! quando c' la salute! come dicono. Aveva degli orribili mal di testa, degli stordimenti che gli facevano vedere le stelle. Tutt'a un tratto gli venivano dei dolori atroci alle braccia e alle gambe; impallidiva, era obbligato a sedersi, rimaneva inebetito sulla sedia per ore. Dopo una di queste crisi, gli era rimasto paralizzato il braccio per un giorno intero. Pi volte fu costretto per lunghi periodi a letto; si raggomitolava, si nascondeva sotto il lenzuolo, con il respiro continuo e affannoso di una bestia in agonia. Ricominciavano allora le stravaganze di Sainte-Anne. Diffidente, irrequieto, tormentato dagli ardori della febbre, si abbandonava ai pi folli furori, si strappava la casacca di dosso, mordeva i mobili con la sua mascella convulsa; o si lasciava invece andare alle pi tenere commozioni, gemendo come una fanciulla, lamentandosi fra i singhiozzi che nessuno gli voleva bene. Una sera Gervaise e Nan, che tornavano a casa insieme,

non lo trovarono pi nel letto. Al suo posto aveva messo il traversino. E quando lo scoprirono, rintanato fra il letto e il muro, batteva i denti, raccontava che degli uomini volevano ucciderlo. Le due donne furono costrette a rimetterlo a letto e a rassicurarlo come un bambino. Coupeau non conosceva che un rimedio: tracannare il suo mezzo litro d'acquavite, una bastonata nello stomaco che lo rimetteva in piedi. Curava cos ogni mattina la sua pituita. La memoria da molto tempo se n'era andata, il suo cervello era completamente vuoto; ma appena riusciva a reggersi ritto, se la rideva della sua malattia. Non era mai stato malato. Proprio cos, era arrivato al punto in cui si crepa continuando a dire che ci si sente bene. E vaneggiava allo stesso modo anche per il resto. Quando Nan tornava a casa dopo sei settimane di scorribande, aveva l'impressione di vederla rientrare da qualche piccola commissione fatta nel quartiere. Spesso la figlia, attaccata al braccio d'un signore, lo incontrava per strada e gli rideva sul muso, senza che il padre la riconoscesse. Insomma, non contava pi nulla. Nan si sarebbe seduta su di lui, se non avesse trovato una sedia. Ai primi geli Nan se la svign ancora una volta, con il pretesto d'andare a vedere se la fruttivendola aveva delle pere cotte. Sentiva gi l'inverno; non aveva voglia di battere i denti davanti alla stufa spenta. I Coupeau si limitarono a darle della carogna: avevano aspettato invano le pere cotte. Ma erano sicuri che sarebbe tornata. L'inverno prima non era forse sparita per tre settimane, quando era scesa a comprare due soldi di tabacco? Ma i mesi passavano; la piccola non si faceva pi vedere. Stavolta doveva aver preso un volo pi lungo. Quando fu giugno, nemmeno il sole la fece tornare. Decisamente era finita; aveva di certo trovato da mangiare da qualche altra parte. I Coupeau, un giorno che non sapevano dove sbattere la testa, andarono a vendere il letto di ferro della piccola, sei franchi tondi tondi che si scolarono subito a Saint-Ouen. Era pi che altro d'impiccio, quel letto! Una mattina di luglio, mentre Gervaise passava dinnanzi alla bottega, Virginie la chiam e la preg di darle una mano a lavare le stoviglie, perch la sera prima Lantier aveva invitato due amici a gozzovigliare. E mentre Gervaise lavava le stoviglie, delle stoviglie insozzate per bene dalle scorpacciate del cappellaio, questi, che stava ancora digerendo nella bottega, tutt'a un tratto si mise a gridare: Sapete, mammina? l'altro giorno ho visto Nan!. Virginie, seduta al bancone con un'aria un po' preoccupata davanti ai vasi e ai cassetti che si svuotavano, scosse furiosamente la testa. Si tratteneva, non voleva fare una scenata; ma la cosa cominciava a sapere di sporco. Lantier incontrava Nan un po' troppo spesso! Oh! non avrebbe di certo messo la mano sul fuoco per lui; era un uomo capace di tutto, quando una gonnella gli frullava nel cervello. La signora Lerat, che era entrata proprio in quel momento, ormai amicissima di Virginie di cui accoglieva con piacere le confidenze, chiese con una delle sue smorfie piene di sottintesi: L'avete vista, in che senso?.

Oh! nel senso migliore, rispose il cappellaio assai lusingato, ridendo e arricciandosi i baffi. Era in una carrozza, e intanto io camminavo nel fango... Davvero, ve lo giuro! Non ci sarebbe motivo di mentirvi! I giovani di buona famiglia che la bazzicano sono incredibilmente fortunati!. Il suo sguardo si era infiammato. Si volse verso Gervaise, che stava asciugando un piatto in fondo alla bottega. S, era in una carrozza, e vestita con un'eleganza!... Quasi non la riconoscevo; sembrava una dama dell'alta societ, con i suoi denti smaglianti in quel musetto fresco come un fiore. stata lei a farmi un salutino con il guanto... Credo che si sia messa con un visconte. Oh! davvero lanciata! Pu farsene un baffo di tutti noi; sguazza nella felicit, quella briccona!... Che gattina meravigliosa! No, non avete idea che amore di gattina si sia fatta!. Gervaise continuava ad asciugare il suo piatto, bench fosse ormai pulito e scintillante. Virginie rifletteva, inquieta per le due cambiali che non sapeva come pagare il giorno dopo; mentre Lantier, paffuto e rubicondo, trasudando tutto lo zucchero di cui s'abboffava, riempiva la drogheria di fino, gi per tre quarti mangiata e ormai sull'orlo della rovina, con i suoi facili entusiasmi per le sgualdrinelle di lusso. S, non c'erano pi che poche mandorle da sgranocchiare, qualche zucchero d'orzo da succhiare, e anche il commercio dei Poisson era bell'e spazzato via! Ad un tratto scorse sul marciapiede di fronte la guardia municipale, che quel giorno era di servizio e che andava su e gi tutto impettito, con la spada che gli batteva contro la coscia. E la cosa lo mise ancor pi di buonumore. Costrinse Virginie a guardare il marito: Ah!, bene!, mormor, ha davvero un bel muso, stamattina, Badingue... Attenzione! stringe troppo le chiappe; si deve essere fatto incollare un occhio di vetro sul sedere, per sorvegliare meglio la gente. Quando Gervaise risal in casa, trov Coupeau seduto sulla sponda del letto, inebetito da una delle sue crisi. Fissava il pavimento con i suoi occhi smorti. Allora si lasci cadere a sua volta su una sedia, con il corpo a pezzi, le mani abbandonate sulla sottana lercia. E per un quarto d'ora rest di fronte a lui senza dir nulla. Ho avuto delle notizie, balbett alla fine. Hanno incontrato tua figlia... S, tua figlia ormai una donna elegante e non ha pi bisogno di te. davvero fortunata, quella l!... Ah! in nome di Dio! non so cosa darei per essere al suo posto!. Coupeau continuava a fissare il pavimento. Poi lev il volto devastato, e bofonchi sghignazzando come un idiota: Ascolta, carina, non sar certo io a impedirtelo... Non sei poi cos brutta, quando ti aggiusti un po'... Lo sai come si dice: non c' una pentola tanto vecchia da non poter trovare il suo coperchio... Diamine! se dovesse servire a farci stare un po' meglio!.... CAPITOLO DODICESIMO

Doveva essere il sabato dopo la scadenza della pigione, il 12 o il 13 gennaio. Gervaise non lo sapeva di preciso. Aveva la testa confusa, perch erano ormai dei secoli che non si metteva nulla di caldo nello stomaco. Ah! che settimana d'inferno! Mai vista una miseria del genere! Due pani di quattro libbre comprati il marted e fatti durare fino al gioved; poi nient'altro che una crosta secca trovata la sera prima, e nemmeno pi una briciola da trentasei ore, delle vere agonie davanti alla credenza vuota! Sapeva soltanto che c'era un tempo da cani che le pesava addosso, un cielo schifoso e lercio come il fondo d'una padella, gravido d'una neve che non si decideva a venir gi. Quando nelle budella si ha soltanto la fame e l'inverno, tanto vale stringersi la cinta, perch di certo non sono cose che fanno ingrassare. Forse la sera Coupeau avrebbe portato del denaro. Diceva di lavorare. Tutto possibile, vero? e Gervaise, bench ingannata tante volte, aveva finito per contare su quel denaro. Quanto a lei, con tutte le storie che faceva, non riusciva pi a trovare nel quartiere nemmeno qualche strofinaccio da lavare; e la vecchia signora per cui faceva le pulizie di casa, l'aveva appena messa alla porta accusandola di scolarsi tutti i suoi liquori. Insomma, nessuno voleva pi saperne di lei, s'era fatta il vuoto attorno; e accettava la cosa di buon grado, essendo giunta a quel punto d'abbrutimento in cui si preferisce crepare piuttosto che muovere un dito. Comunque, se Coupeau avesse portato la paga che aveva promesso, avrebbe finalmente potuto mangiare qualcosa di caldo. E intanto, poich mezzogiorno non era ancora suonato, restava allungata sul suo pagliericcio: si sente di meno il freddo e la fame, a starsene sdraiati. Gervaise lo chiamava pagliericcio, ma in realt era soltanto della paglia ammucchiata in un angolo. Un po' per volta la loro cuccia s'era trasferita presso tutti i mercanti del quartiere. Dapprima, spinta dalla miseria, aveva scucito il materasso, prendendovi delle manciate di lana che nascondeva sotto il grembiale e vendeva a dieci soldi la libbra in rue Belhomme. Poi, una volta svuotato il materasso, una mattina ne aveva venduto la tela per trenta soldi, per comprare il caff. I guanciali e il traversino avevano seguito ben presto la stessa sorte. Restava soltanto la lettiera di legno, ma non poteva portarsela fuori casa sotto il braccio, anche perch i Boche avrebbero messo in sobbuglio tutto il caseggiato, se avessero visto prendere il volo la garanzia del proprietario. Tuttavia una sera, aiutata da Coupeau, dopo essersi sincerata che i Boche erano tutti indaffarati a riempirsi la pancia, trasport tranquillamente il letto fuori casa, un pezzo per volta: la cassa, le spalliere, le tavole della cornice. Con i dieci franchi ricavati da quest'ultimo trasloco, si abboffarono per tre giorni. Non era pi che sufficiente un pagliericcio? Anche il corredo del letto aveva finito per raggiungere la tela del materasso. Si erano insomma mangiati tutta la loro cuccia: una bella indigestione dopo un digiuno durato ventiquattr'ore. Bastava ammucchiare la paglia con un colpo di scopa; la polvere veniva di continuo smossa e il tutto non appariva pi lercio di qualunque altra cosa.

Gervaise, completamente vestita, se ne stava accoccolata come un cane sul suo mucchio di paglia, con le zampe ripiegate sotto la sottana a brandelli, per avere pi caldo. E raggomitolata, con gli occhi spalancati, rimuginava quel giorno delle idee tutt'altro che allegre. Ah! no, maledizione! non ci si poteva tenere in vita senza mangiare! Non sentiva nemmeno pi la fame; aveva soltanto come un peso sullo stomaco e una gran sensazione di vuoto nella testa. Non era certo fra le quattro pareti di quella stamberga che avrebbe trovato di che stare allegra! Era ormai diventato un vero canile, in cui le levriere che girano per strada coperte da una mantellina non avrebbero vissuto nemmeno dipinte. Guardava con occhi smarriti le nude pareti. Da molto tempo il Monte dei pegni si era preso ogni cosa. Rimanevano soltanto il cassettone, il tavolo e una sedia; ma il marmo e i tiranti del cassettone erano andati a far compagnia alla lettiera di legno. Un incendio avrebbe fatto piazza pulita meno in fretta. Tutte le piccole cianfrusaglie si erano volatizzate come per incanto, a cominciare dall'orologio, un orologio da dodici franchi, fino alle fotografie di famiglia, le cui cornici aveva venduto a una rigattiera; una rigattiera assai compiacente, alla quale portava una casseruola, un ferro da stiro, un pettine, avendone in cambio cinque soldi, tre soldi, due soldi, a seconda dell'oggetto, almeno quanto bastava a risalire con un tozzo di pane. Ma ormai non rimaneva altro che un vecchio paio di smoccolatoi rotti, per i quali la rigattiera non era disposta a darle neanche un soldo. Oh! se avesse saputo a chi vendere le immondizie, la polvere e il sudiciume, avrebbe all'istante aperto bottega, perch la stanza era d'una sporcizia incredibile! Non vedeva altro che ragnatele negli angoli; e le ragnatele son forse buone per le ferite, ma non c' ancora nessun bottegaio che le compri. Allora, con la testa confusa, abbandonando la speranza d'un qualunque commercio, si rannicchiava ancora di pi sul pagliericcio; e preferiva guardare attraverso la finestra il cielo carico di neve, una luce triste che le agghiacciava il sangue nelle vene. Quante sciocchezze! A che pro torturarsi e lambiccarsi il cervello? Se almeno fosse riuscita a dormire! Ma il caos di quell'orribile stamberga le turbinava nella testa. Il signor Marescot, il padrone di casa, era venuto il giorno prima a dir loro che li avrebbe cacciati, se non avessero pagato entro otto giorni i due trimestri arretrati. Ma s! li cacciasse pure! non sarebbero stati peggio in mezzo a una strada! Pensate un po'! quel vecchio scimmione saliva da loro in cappotto e guanti di lana, e parlava di affitti arretrati, come se avessero avuto un gruzzoletto nascosto chiss dove! Corpo d'un cane! invece di stringersi la gola, tanto per cominciare si sarebbe infilata qualcosa fra le ganasce! Quel trippone le sembrava in verit una gran carogna; e se lo ficcava dove sapete, e anche bene in fondo! Era come con quella brutta bestia di Coupeau, che non poteva pi tornare a casa senza menarla di santa ragione; ma faceva anche lui quella fine, e se lo ficcava in quel posto a far compagnia al padrone di casa. Evidentemente quel posto s'era ormai allargato a dismisura, perch Gervaise vi faceva entrare il mondo intero, a tal punto si sarebbe volentieri sbarazzata della

gente e della vita stessa. Era ormai divenuta il bersaglio preferito di Coupeau. Lo zincatore aveva un randello che chiamava il suo ventaglio per l'asina; e bisognava vedere con che gusto ne sventolava la moglie! delle orribili sudate da cui Gervaise usciva tutta fradicia. E allora si metteva a mordere e a graffiare, non essendo a sua volta migliore del marito. La camera vuota rimbombava dei colpi che si davano, certe batoste da far passare ogni voglia di vivere! Ma Gervaise finiva per infischiarsene dei pugni come di tutto il resto. Coupeau poteva festeggiare il santo luned per settimane intere, ubriacarsi da una bettola all'altra per dei mesi, rientrare inferocito dall'alcool e aver voglia di darle una bella ripassata; ci si era ormai abituata, lo trovava semplicemente noioso. S, nel sedere quel porco del suo uomo! nel sedere i Lorilleux, i Boche, i Poisson! nel sedere il quartiere che la disprezzava! Tutta Parigi finiva per entrarvi; e Gervaise vi infilava ogni cosa con una pacca, con un gesto d'assoluta indifferenza, contenta e vendicata all'idea che tutto trovasse posto l dentro. Per sfortuna, se ci si abitua a tutto, nessuno ancora riuscito a prendere l'abitudine di non mangiare. Questa era l'unica cosa che irritava Gervaise. Se la rideva d'essere l'ultima delle ultime, in fondo al rigagnolo, e di vedere che la gente si ripuliva quando le passava accanto. Le cattive maniere non l'offendevano pi; era soltanto la fame a farle torcere le budella. Oh! erano spariti per sempre i bocconi prelibati d'un tempo! Si era ridotta a mandar gi qualunque cosa trovasse. Adesso nei giorni di festa si comprava dal macellaio a quattro soldi la libbra dei ritagli di carne, stanchi d'afflosciarsi e d'annerire in un piatto; e li metteva insieme a una sbobba di patate, che rimescolava sul fondo d'una padella. Oppure faceva in fricassea un cuore di manzo, un manicaretto di cui si leccava le dita. Altre volte, se aveva del vino, vi faceva la zuppa, un vero pastone da pappagalli. Due soldi di formaggio italiano, le rape bianche e i quarti di fagioli secchi cotti nel loro sugo, erano ormai delle leccornie che non poteva concedersi troppo spesso. Era scesa agli avanzi delle taverne pi sozze, dove le davano per un soldo un mucchio di lische di pesce mescolate ai resti d'un arrosto andato a male. E cadeva anche pi in basso; mendicava da un trattore caritatevole le croste lasciate dagli avventori per farne una panata, lasciandole ribollire il pi a lungo possibile, a fuoco lento, sul fornello d'un vicino. E in certe mattine, completamente a digiuno, era arrivata al punto di gironzolare insieme ai cani, annusando alla porta delle botteghe, prima che passassero gli spazzini; e cos le capitavano a volte i piatti dei ricchi, dei meloni infradiciati, degli sgombri ormai marciti, delle costolette in cui frugava fino all'osso per paura delle larve. S, a tanto era arrivata! Un'idea del genere ripugna di certo alle persone delicate; ma se queste persone delicate non si fossero messe nulla in corpo da tre giorni, resterebbe da vedere se alla fine non subirebbero a loro volta il richiamo furioso del ventre. Si metterebbero a quattro zampe e mangerebbero le immondizie come i cani. Ah! l'inedia della povera gente, le viscere vuote che urlano dalla fame, il bisogno delle bestie che battono i denti e s'abboffano delle peggiori lordure, in questa grande Parigi cos

dorata e cos scintillante! E dire che Gervaise ne aveva fatte, di spanciate di oca grassa! Ormai se ne poteva nettare il muso. Un giorno che Coupeau le aveva rubato due buoni di pane per rivenderli e berseli, per poco non l'aveva ucciso con un colpo di pala, affamata, fuori di s per il furto di quel tozzo di pane. Intanto, a forza di guardare il cielo livido s'era addormentata d'un breve sonno affannoso. E sognava che quel cielo gravido di neve le crollasse addosso, tanto il freddo le mordeva la carne. D'un tratto balz in piedi, svegliata di soprassalto da un gran brivido d'angoscia. Oh! mio Dio! stava forse per morire? Tremante, sconvolta, vide che era ancora giorno. La notte non sarebbe dunque mai venuta? Come sono lente le ore, quando non si ha nulla in corpo! Anche il suo stomaco si risvegliava e la tormentava. Crollata sulla sedia, a testa bassa, con le mani in mezzo alle cosce per riscaldarsi, si apprestava gi la cena, nell'attesa che Coupeau portasse i soldi: un pane, un litro, due porzioni di trippa alla lionese. Suonarono le tre all'orologio a cuc di pap Bazouge. Non erano che le tre! Allora si mise a piangere. Non avrebbe mai avuto la forza d'aspettare le sette. Ciondolava con tutto il corpo, un dondolio da bambina che culla il suo gran dolore, piegata in due, comprimendosi lo stomaco per metterlo a tacere. Ah! meglio partorire che soffrire per la fame! E non trovando nessun sollievo, presa da una sorta di smania, si alz di nuovo, and su e gi per la stanza, sperando di riaddormentare la fame come si fa con un bambino che si porta a passeggio. Per mezz'ora si aggir come in gabbia fra le quattro pareti della camera vuota. Poi s'arrest di colpo, con gli occhi fissi. Tanto peggio! che dicessero quel che volevano; avrebbe leccato loro i piedi, se gliel'avessero chiesto, ma sarebbe andata a chiedere dieci soldi in prestito ai Lorilleux. L'inverno, in quella scala del caseggiato, la scala dei pidocchiosi, era tutto un prestarsi dieci soldi, venti soldi, mille piccoli servigi che quei morti di fame si scambiavano l'un l'altro. Ma sarebbero tutti crepati piuttosto che rivolgersi ai Lorilleux, che erano famosi per essere i pi stretti di borsa. Gervaise, andando a bussare da loro, dimostrava d'avere un bel coraggio. Aveva cos paura nel corridoio, che prov l'improvviso sollievo delle persone che suonano alla porta di un dentista. Avanti!, grid la voce aspra del fabbricante di catenelle. Come si stava bene l dentro! La fucina scintillava, illuminando lo stretto laboratorio con la sua fiamma bianca, mentre la signora Lorilleux metteva a ricuocere un gomitolo di filo d'oro. Lorilleux, dinnanzi al suo banco da lavoro, tutto preso a saldare delle maglie con il cannello, soffocava dal caldo ed era in un bagno di sudore. E che buon odore! Una zuppa di cavoli bolliva a fuoco lento sulla stufa, e sprigionava delle zaffate di vapore che colpivano Gervaise allo stomaco e la facevano quasi svenire. Ah! siete voi!, grugn la signora Lorilleux, senza nemmeno invitarla a sedersi. Cosa volete?. Gervaise non rispose. I suoi rapporti con i Lorilleux non erano poi cos cattivi, quella settimana. Ma quella richiesta dei dieci soldi le rimaneva nella strozza, anche perch si era accorta della presenza di Boche, comodamente seduto accanto alla stufa e di

certo accalorato in qualche pettegolezzo. Aveva l'aria di farsi gioco di tutti, quell'animale! Rideva da sembrare un culo, con il buco della bocca tutto rotondo e le guance talmente gonfie da nascondergli il naso; un vero culo, insomma! Cosa volete?, ripet Lorilleux. Avete per caso visto Coupeau?, fin per balbettare Gervaise. Credevo che fosse qui. I due fabbricanti di catenelle e il portinaio sogghignarono. No, naturalmente non avevano visto Coupeau. Non offrivano abbastanza bicchierini per aver l'onore di vedere Coupeau tanto spesso. Gervaise fece uno sforzo e riprese balbettando: Mi aveva promesso di tornare... S, doveva portarmi del denaro... E poich ho assolutamente bisogno di qualcosa.... Ci fu un gran silenzio. La signora Lorilleux sventolava con energia il fuoco della fucina. Lorilleux aveva abbassato la testa sul pezzo di catena che si allungava fra le sue dita, mentre Boche non abbandonava il suo sorriso da luna piena, con il buco della bocca cos rotondo che veniva voglia di ficcarci un dito dentro, tanto per sentire. Se avessi soltanto dieci soldi, mormor Gervaise sottovoce. Lo stesso silenzio di prima. Non potreste prestarmi dieci soldi?... Oh! ve li restituirei stasera stessa!. La signora Lorilleux si volt verso di lei e la fiss a lungo. Ecco un'imbrogliona che sperava d'abbindolarli! Oggi voleva scucir loro dieci soldi, domani ne avrebbe domandati venti; e non c'era nessuna ragione perch poi la smettesse. No, no, niente da fare! Che ripassasse il mese del mai! Ma mia cara, le rispose, sapete bene che non abbiamo denaro! Guardate, ecco la fodera della mia tasca; potete frugarci dentro... Lo farei con tutto il cuore, naturalmente. Il cuore sempre pronto, grugn Lorilleux, ma quando non si pu, non si pu!. Gervaise, tutta umile, li approvava con un cenno della testa. Ma non se ne andava; sbirciava l'oro con la coda dell'occhio, quei fasci d'oro attaccati al muro, il filo d'oro che la moglie stava tirando alla filiera con tutta la forza delle sue piccole braccia, le maglie d'oro che si allungavano fra le dita nodose del marito. E pensava che sarebbe bastato un pezzetto di quel brutto metallo nerastro per concedersi una magnifica cena. Quel giorno il laboratorio aveva un bell'esser sudicio, con i suoi ferri vecchi, con la sua polvere di carbone, con l'untume dell'olio male asciugato; lo vedeva risplendente e ricco come la bottega d'un cambiavalute. E s'arrischi a ripetere timidamente: Ve li render, ve li render di certo... Solo dieci soldi; non un gran sacrificio, per voi. Aveva il cuore gonfio, non volendo confessare che aveva lo stomaco vuoto dal giorno prima. Poi sent che le gambe le si spezzavano. Aveva paura di mettersi a piangere; e ancora balbettava: Sareste cos buoni! Non potete sapere... Oh! sono a un punto, mio Dio! sono a un punto.... Allora i Lorilleux strinsero le labbra e si scambiarono una

breve occhiata. Ormai la Zoppa mendicava! La sua vergogna era insomma completa! Ma questo a loro non andava a genio! Se l'avessero saputo, si sarebbero barricati dentro casa, perch bisogna sempre diffidare dei mendicanti, loschi figuri che si introducono negli appartamenti con qualche pretesto e alla fine se la squagliano portando via gli oggetti di valore. Tanto pi che in casa loro c'era di che rubare; si poteva mettere le dita dappertutto e portarsi via dai trenta ai quaranta franchi, soltanto a stringere il pugno. Gi diverse volte avevano avuto dei sospetti, notando la strana espressione di Gervaise quando stava impalata davanti all'oro. Questa volta, per dirne una, non le avrebbero tolto gli occhi di dosso. E infatti, poich Gervaise s'avvicinava troppo, con i piedi sul tavolato di legno, il fabbricante di catenelle grid brutalmente, senza nemmeno pi degnarsi di rispondere alla sua richiesta: Ehi! fate attenzione! state di nuovo portandovi via dei fili d'oro con le vostre suole... Si direbbe davvero che ci abbiate messo un po' di grasso, per farli attaccare!. Gervaise indietreggi lentamente. Si era appoggiata per un istante a una scansia; e accorgendosi che la signora Lorilleux le stava esaminando le mani, le apr del tutto, le fece vedere, dicendo con la sua voce flebile, senza offendersi, da donna caduta che accetta tutto: Non ho preso nulla; potete guardare. E se ne and, perch il forte odore della zuppa di cavoli e il bel calduccio del laboratorio la facevano sentire ancora pi male. Ah! i Lorilleux non la trattennero di certo! Buon viaggio! e accidenti a loro se le aprivano un'altra volta! Ne avevano abbastanza di trovarsi sotto gli occhi la sua faccia; e in casa loro, non volevano aver niente a che fare con la miseria degli altri, specialmente quando questa miseria era meritata. E si abbandonarono allora alla soddisfazione degli egoisti, rallegrandosi della loro condizione, contenti di starsene al caldo e con la prospettiva di un'ottima zuppa. Anche Boche gongolava; e gonfiava a tal punto le guance che il suo sorriso si faceva ancora pi sconcio. E tutti si sentivano finalmente vendicati dalle antiche maniere della Zoppa, di quella bottega tutta azzurra, delle scorpacciate e del resto. Era davvero un bell'esempio! ecco a cosa portava l'amore per la crapula! Alla malora le golose, le fannullone e le svergognate! Ma guarda che tipo! venire a mendicare dieci soldi!, grugn la signora Lorilleux dietro le spalle di Gervaise. S, con il cavolo! Se le prestassi dieci soldi, andrebbe subito a spenderli in acquavite!. Gervaise trascin le sue ciabatte nel corridoio, affranta, curvando le spalle. Quando fu alla sua porta, non entr; quella stanza le faceva quasi paura. Meglio camminare: avrebbe avuto pi caldo e pi pazienza. Passando allung il collo nella cuccia di pap Bru, sotto la scala. Eccone un altro a cui non doveva mancare l'appetito, perch da tre giorni non pranzava e non cenava se non con la fantasia! Ma il vecchio non c'era, non c'era altro che quel suo buco; e Gervaise ebbe un moto istintivo d'invidia, immaginandosi che potessero averlo invitato da qualche parte. Poi, arrivata alla porta dei Bijard, sent dei

lamenti; ed entr, poich la chiave era sempre nella serratura. Che succede?, domand. La camera era pulitissima. Si vedeva bene che Lalie anche quel mattino aveva spazzato e messo in ordine tutta la casa. La miseria aveva un bel soffiare l dentro, portar via ogni straccio, distendere il suo strascico di sozzure; Lalie le correva dietro e ripuliva ogni cosa, dava alla stanza un aspetto gentile. Se non c'erano ricchezze, si sentiva comunque in casa sua il tocco della buona massaia. Quel giorno i bambini, Henriette e Jules, avevano trovato delle vecchie illustrazioni, e le stavano ritagliando tranquilli in un cantuccio. Ma Gervaise rimase molto sorpresa nel trovare Lalie a letto, nella sua stretta branda, con il lenzuolo fino al mento, pallidissima. Lalie a letto! doveva essere davvero ammalata! Che avete?, ripet Gervaise allarmata. Lalie aveva smesso di lamentarsi. Sollev lentamente le sue bianche palpebre, e cerc di sorridere con le labbra contratte da un brivido. Non ho nulla, sospir con un filo di voce, oh! davvero, non ho nulla di nulla. Poi richiuse gli occhi, e continu con uno sforzo: In questi giorni mi sentivo troppo stanca; allora faccio un po' la pigra; mi crogiolo a letto, lo vedete. Ma il suo volto di ragazzina, marezzato di lividi, aveva una tale espressione di supremo dolore che Gervaise, dimenticando la propria agonia, giunse le mani e si lasci cadere in ginocchio vicino a lei. Da un mese la vedeva appoggiarsi alle pareti per camminare, spezzata in due da una tosse che sapeva gi d'oltretomba. La piccina non riusciva nemmeno pi a tossire. Ebbe un singulto, e due fili di sangue le uscirono dagli angoli della bocca. Non colpa mia, ma mi sento cos debole, mormor come sollevata. Mi sono trascinata, ho messo un po' in ordine... abbastanza pulito, vero?... Volevo lavare i vetri, ma le gambe non mi hanno retto. Che stupida! Insomma, quando uno non ne pu pi, deve mettersi a letto. S'interruppe per dire: Guardate che i bambini non si taglino con le forbici. Ma poi si azzitt, tremante, ascoltando un passo pesante che saliva le scale. Pap Bijard spinse la porta brutalmente. Era fradicio come al solito, con gli occhi che gli fiammeggiavano nella folle rabbia dell'acquavite. Quando vide che Lalie era distesa nel letto, si picchi sulle cosce con un orribile ghigno, e afferr la grossa frusta grugnendo: Ah! in nome di Dio! questa s che bella! ce la spasseremo!... Adesso le vacche si buttano sulla paglia in pieno giorno!... T'illudi forse di prendermi in giro, maledetta fannullona?... Coraggio, hop! fuori da quella cuccia!. Faceva gi schioccare la frusta al di sopra del letto. Ma la bambina ripetava supplicando: No, pap, ti prego, non mi colpire... Poi ne avresti rimorso, te l'assicuro... Non mi colpire!. Vuoi o no saltare gi da quel letto?, strill il padre pi forte, o devo proprio farti il solletico alle costole?... Ti decidi o

no, carogna che non sei altro?. Allora Lalie disse dolcemente: Non posso, capisci?... Sto morendo. Gervaise s'era buttata su Bijard e gli aveva strappato di mano la frusta. L'altro, inebetito, restava immobile di fronte alla branda. Cosa stava dicendo, quella mocciosa? Forse che si muore cos giovani, quando non si mai stati ammalati? Tutta una scena per farsi dare degli zuccherini! Ah! si sarebbe informato; e se solo mentiva!... Vedrai, la verit, riprese la bambina. Finch ho potuto, vi ho evitato questo dolore... Sii buono adesso con me; dimmi addio, pap!. Bijard storceva il naso, temendo d'esser messo nel sacco. Ma era vero che aveva una strana faccia, una faccia tutta lunga e seria da persona adulta. Il soffio della morte, che passava per la stanza, gli faceva smaltire la sbornia. Si guard attorno con l'aria di un uomo che esca da un lungo sonno; vide la casa in ordine, i due bambini puliti, intenti a ridere e a giocare. E si lasci cadere su una sedia, balbettando: La nostra mammina, la nostra mammina.... Non trovava che queste parole; ma era una cosa assai dolce per Lalie, che non era mai stata coccolata tanto. Consol il padre. La feriva soprattutto l'idea di andarsene cos, senza aver finito di allevare i due bambini. Ne avrebbe avuto cura lui, vero? E con la sua voce da moribonda, gli diede mille consigli su come rassettarli e tenerli puliti. Bijard, abbrutito, ripreso di nuovo dai fumi dell'alcool, non faceva che scrollare la testa, la guardava morire con i suoi occhi rotondi. Ogni sorta di pensiero gli veniva alla mente, ma non trovava pi niente da dire; e aveva una pellaccia troppo dura per riuscire a piangere. Ascolta, non ho finito, riprese Lalie dopo un breve silenzio. Dobbiamo quattro franchi e sette soldi al fornaio; cerca di darglieli... La signora Gaudron ha un nostro ferro; fattelo restituire... Questa sera non ho potuto fare la zuppa; ma c' ancora del pane, e puoi mettere a scaldare le patate.... Fino al suo ultimo rantolo quel povero gattino restava la mamma di tutto il suo piccolo mondo. Chi mai avrebbe potuto prendere il suo posto? Moriva per aver avuto alla sua et il senno d'una vera madre, con il petto ancora troppo tenero e stretto per poter contenere una cos ampia maternit. E se perdeva un tale tesoro, la colpa era solo sua, di quella bestia feroce del padre. Dopo aver ucciso la madre con una pedata, era finalmente riuscito ad accoppare anche la figlia! I due buoni angeli avrebbero trovato riposo nella fossa; a lui non rimaneva altro che crepare come un cane sul ciglio d'una strada. Gervaise intanto si conteneva per non scoppiare in singhiozzi. Allungava le mani cercando di dar sollievo in qualche modo alla bambina; e poich il lembo del lenzuolo scivolava verso il basso, volle risistemarlo e riaggiustare il letto. Allora apparve il povero corpicino della moribonda. Lalie era nuda, con un brandello di camiciola alle spalle a guisa di camicia; s, nuda, e di una nudit sanguinante e dolorosa da martire. Non aveva quasi pi carne, le ossa le bucavano la pelle. Sulle costole, delle lunghe e sottili strisce violacee le scendevano fino alle cosce, i marchi delle

sferzate rimasti impressi sul vivo. Una macchia livida cerchiava il braccio sinistro, come se i denti d'una morsa avessero stritolato quell'arto cos tenero, non pi grosso di un fiammifero. La gamba destra mostrava una ferita non ancora rimarginata, qualche brutto taglio riaperto ogni mattina dal suo continuo affaccendarsi per casa. Dalla testa ai piedi, il suo corpo non era che un unico livido. Oh! quell'infanzia massacrata, quell'amore di bambina brutalmente schiacciata dalle pesanti zampe d'un uomo! l'abominio di tanta fragilit che rantola sotto una simile croce! Si venerano in chiesa delle sante fustigate la cui nudit non cos pura! Gervaise s'era di nuovo accovacciata, non pensando pi a riaggiustare il lenzuolo, a sua volta prostrata dalla vista di quel povero essere compassionevole, appiattito in fondo al letto; e le sue labbra tremanti cercavano di pregare. Signora Coupeau, mormor la piccola, vi prego.... Con le sue braccia troppo corte cercava invano di coprirsi con il lenzuolo, in un impulso di pudore, tutta vergognosa d'essere vista dal padre. Bijard, inebetito, con lo sguardo fisso su quel cadaverino che era opera sua, continuava a scrollare la testa, con un gesto lento da animale che venga molestato. E quando ebbe ricoperto Lalie, Gervaise sent che doveva andar via. La moribonda si faceva sempre pi debole, non parlava pi; le rimaneva soltanto lo sguardo, quel suo antico sguardo nero di ragazzina pensierosa e rassegnata, con cui continuava a fissare i due bambini occupati a ritagliare le loro immagini. La camera si riempiva di ombre, mentre Bijard smaltiva la sua sbornia nell'orrore di quell'agonia. No, la vita era davvero una cosa mostruosa! ah! una cosa schifosa! s, schifosa! E Gervaise usc dalla camera e discese le scale quasi senza accorgersene, con la testa confusa e cos piena di disperazione che si sarebbe buttata volentieri sotto le ruote di un omnibus, pur di farla finita. Sempre correndo e borbottando contro la maledetta sorte, si ritrov davanti alla porta del mastro zincatore presso cui Coupeau pretendeva di lavorare. Le sue gambe l'avevano guidata fin l. Il suo stomaco ricominciava la solita canzone, il lamento della fame in novanta strofe, un lamento che sapeva a memoria. In quel modo, se avesse acciuffato il marito all'uscita dal lavoro, avrebbe potuto mettere le mani sulla paga, per comprare qualche provvista. Tutt'al pi un'ora di attesa; ma avrebbe mandato gi anche questa, visto che da un giorno non faceva che rosicchiarsi le dita. In quel punto rue de la Charbonnire s'incrociava con rue de Chartres, un dannato angolo in cui il vento giocava ai quattro cantoni. Ah! corpo d'un cane! non ci si riscaldava di certo ad andare su e gi sul lastricato! Ci sarebbero volute delle pellicce! Il cielo rimaneva ancora d'un brutto colore di piombo; e la neve, ammassata pi in alto, ricopriva l'intero quartiere d'una cupola di ghiaccio. Non cadeva nulla, ma nell'aria c'era un profondo silenzio; un silenzio che preparava il totale travestimento di Parigi, un bel vestito da ballo bianco e nuovo. Gervaise alzava la testa, e pregava il buon Dio di non far cadere cos presto la sua mussola bianca. Batteva i piedi a terra, guardava per un minuto le vetrine della drogheria dirimpetto; ma tornava sui suoi passi,

dicendosi che non valeva la pena di farsi venire fame in anticipo. Quel crocicchio non offriva la minima distrazione. I rari passanti filavano via intirizziti nelle loro sciarpe di lana; passa la voglia d'andare a zonzo, quando il freddo vi fa stringere le chiappe. Vide tuttavia quattro o cinque donne che facevano la guardia come lei, immobili davanti alla porta del mastro zincatore; evidentemente delle altre sventurate, mogli che s'appostavano in attesa della paga, prima che il denaro prendesse il volo da una bettola all'altra. C'era una spilungona, una faccia da gendarme, appiccicata al muro, pronta a saltare addosso al suo uomo. Un'altra, piccola e tutta nera, con l'aria umile e delicata, andava su e gi dall'altra parte della strada. E un'altra ancora, tutta rattoppata, aveva portato con s i suoi due marmocchi, trascinandoli a destra e a sinistra, tremante, con le lacrime agli occhi. E tutte, Gervaise come le sue compagne di guardia, passavano e ripassavano, scambiandosi degli sguardi obliqui, senza parlarsi. Un bell'incontro, ah! s, non c'era che dire! Non avevano bisogno di fare amicizia, per conoscere il loro indirizzo. Alloggiavano tutte nella stessa locanda, presso Miseria e soci. E a vederle strascicare e incrociarsi silenziosamente nella rigida temperatura di gennaio, sembrava d'avere ancora pi freddo. Intanto neanche un cane era uscito dalla bottega del mastro zincatore. Finalmente comparve un operaio, poi due, poi tre; ma dovevano essere dei buoni mariti che portavano fedelmente a casa il loro salario; e infatti scrollarono il capo scorgendo quelle ombre che vagolavano davanti all'officina. La spilungona si accostava sempre di pi alla porta; e tutt'a un tratto si avvent su un omarino pallido pallido che allungava con prudenza il collo. Oh! la faccenda venne regolata in fretta! La moglie lo frug e si prese il denaro. Ripulito, neanche pi un soldo, nemmeno di che offrirsi un goccetto! E l'omarino, offeso e disperato, segu il suo gendarme piangendo a calde lacrime come un bambino. Gli operai continuavano a uscire. E poich la comare con i suoi due mocciosi s'era avvicinata, uno di loro, alto e bruno, con l'aria scaltra, avendola vista, rientr di corsa per avvisare il marito; quando quest'ultimo arriv ciondolando, aveva gi nascosto i quattrini, due belle monete da cento soldi nuove di zecca, una per scarpa. Prese uno dei bambini in braccio, e se ne and raccontando qualche frottola alla moglie che l'accusava. C'erano degli allegroni che uscivano saltando nella via, smaniosi d'andare a scialacquare la quindicina con gli amici. Ce n'erano anche di tristi, dall'aria incupita, che stringevano nel pugno contratto le tre o quattro giornate su quindici che avevano fatto, trattandosi da fannulloni e facendo giuramenti da ubriachi. Ma la cosa pi triste era il dolore della donna piccola e nera, umile e delicata: il marito, un bel giovane, le era appena scappato sotto il naso, e in modo cos brutale che per poco non l'aveva gettata per terra; e adesso se ne tornava verso casa da sola, barcollando lungo le botteghe, piangendo tutte le sue lacrime. La sfilata era finita. Gervaise, diritta in mezzo alla strada, guardava la porta. La faccenda cominciava a puzzare. Comparvero ancora due operai in ritardo; ma di Coupeau nemmeno l'ombra. Quando domand agli operai perch

Coupeau non era ancora uscito, i due, che erano della stessa risma, le risposero per burla che il compagno se l'era appena battuta con Lantimche da una porta di dietro, per portare le vacche a pascolare. Gervaise cap. Un'altra menzogna di Coupeau; tanto valeva che si rassegnasse! Allora, lentamente, strascicando le sue ciabatte sfondate, discese per rue de la Charbonnire. La sua cena le sfuggiva proprio sotto il naso; e Gervaise se la vedeva fuggire dinnanzi, nel crepuscolo giallo, con un piccolo brivido. Stavolta era davvero finita. Non un soldo, non pi una speranza; nient'altro che la notte e la fame. Ah! era una notte perfetta per crepare, quella sudicia notte che le piombava ormai addosso! Stava risalendo a stento rue des Poissonniers, quando sent la voce di Coupeau. Si, eccolo l, alla Petite Civette, a farsi offrire un giro da Mes-Bottes. Quel buffone di Mes-Bottes, verso la fine dell'estate, aveva avuto un colpo di fortuna e s'era sposato con una vera dama, una donna gi avanti con gli anni ma che conservava ancora le tracce della sua antica bellezza; oh! una signora di rue des Martyres, nulla a che spartire con le sgualdrinelle della barriera. E bisognava vedere quel felice mortale che viveva ormai come un borghese, con le mani in tasca, ben vestito, ben nutrito. Era quasi irriconoscibile, da tanto s'era ingrassato. I suoi compagni dicevano che a sua moglie non mancava mai da lavorare presso i signori di sua conoscenza. Una moglie come quella e una casa in campagna tutto ci che si pu desiderare per godersi la vita. E infatti Coupeau guardava Mes-Bottes con ammirazione. Quel dritto aveva perfino un anello d'oro al mignolo! Gervaise appoggi la mano sulla spalla di Coupeau nel momento stesso in cui il marito usciva dalla Petite Civette. Di' un po', sto aspettando... Ho fame. Non puoi comprarmi qualcosa?. Ma il marito le rispose per le rime senza troppi riguardi. Hai fame? mangiati un pugno!... E conserva l'altro per domani. Gli sembrava una bella indecenza, venire a fare delle scene del genere davanti alla gente! D'accordo, non aveva lavorato! E con ci? i fornai non continuavano forse a impastare il pane? Lo prendeva dunque per un citrullo, a venirlo a infastidire con le sue storie? Vuoi forse che rubi?, mormor Gervaise con voce sorda. Mes-Bottes si lisciava il mento con aria conciliante. No, questo non si pu fare, disse. Ma quando una donna sa darsi da fare.... E Coupeau l'interruppe per gridargli: bravo! S, una donna doveva saper darsi da fare. Ma la sua era sempre stata un catorcio, una buona a nulla. La colpa sarebbe stata tutta sua, se fossero crepati sulla nuda paglia. Poi ripiomb nella sua ammirazione per Mes-Bottes. Era davvero elegante, quel bestione! Un vero possidente, con la biancheria pulita e gli scarpini di lusso! Caspita! di certo non aveva addosso degli scarti! Eccone almeno uno la cui moglie sapeva portare avanti la baracca! I due uomini stavano scendendo verso il boulevard esterno.

Gervaise li seguiva. Per un po' rimase in silenzio; poi ricominci, camminando alle costole di Coupeau: Ho fame, sai.. Contavo su di te. Devi trovarmi qualcosa da mangiare. Coupeau non rispose; e allora ripet con un tono straziante di agonia: Davvero non puoi comprarmi qualcosa da mangiare?. Ma in nome di Dio! se non ho nulla!, strill rivoltandosi furioso. Lasciami in pace, dico sul serio; o comincio a menare!. E gi alzava il pugno. Gervaise indietreggi, e sembr prendere un'improvvisa risoluzione. Va bene, ti lascio in pace; riuscir pure a trovarmi un uomo!. Al che lo zincatore si mise a sghignazzare. Fingeva di prendere la cosa sul ridere; ma in realt la spingeva, pur senza averne l'aria. Perbacco! che magnifica idea! Di sera, sotto i lampioni, poteva ancora accalappiare qualcuno. Anzi, se fosse riuscita a pescarne uno, le consigliava di farsi portare al ristorante del Capucin, dove c'erano dei salottini in cui si mangiava magnificamente. E mentre Gervaise, livida e cupa, se ne andava sul boulevard esterno, le grid ancora: Ehi senti!, portami un po' del dessert; mi piacciono i dolci... E se il tuo signore coperto per bene, fatti dare un suo vecchio cappotto. Per me andr benone!. Gervaise, inseguita da quei frizzi infernali, camminava in fretta. Si trov sola in mezzo alla folla, e rallent il passo. Era fermamente decisa. Fra il rubare e far quella cosa, preferiva far quella cosa, perch almeno non avrebbe fatto un torto a nessuno. Non stava per disporre d'altro che di ci che era suo. Certamente non era una cosa onesta; ma l'onesto e il disonesto in quel momento s'ingarbugliavano troppo in lei, le si confondevano nella testa; quando si muore di fame, la filosofia inutile, si afferra il pane l dove lo si trova. Era risalita fino alla chausse Clignancourt. La notte non giungeva ancora. Allora, nell'attesa, and lungo i boulevards, come una signora che prenda una boccata d'aria prima di rientrare per cena. Quel quartiere i cui continui abbellimenti la costringevano a provar vergogna di s, si apriva ormai da tutte le parti all'aria libera. Il boulevard Magenta, che saliva dal cuore di Parigi, e il boulevard Ornano, che si perdeva verso la campagna, l'avevano come squarciato all'altezza dell'antica barriera; caseggiati completamente rasi al suolo, due vasti viali ancora bianchi di gesso che si stringevano ai fianchi rue du Faubourg-Poissonnire e rue des Poissonniers, le cui estremit vi si addentravano sbrecciate, mutilate, contorte come oscuri budelli. Gi da tempo la demolizione del muro del dazio aveva allargato i boulevards esterni con le carreggiate laterali e il terrapieno centrale per i pedoni, con quattro file di piccoli platani. Era un immenso crocicchio che si apriva in lontananza sull'orizzonte, attraverso strade senza fine e formicolanti d'una folla che s'annegava nel caos perduto delle costruzioni. Ma fra le alte case appena innalzate, molte casupole traballanti restavano ancora in piedi; fra le facciate scolpite si spalancavano antri neri, sbadigliavano

topaie dalle finestre a brandelli. In basso, sotto il lusso che saliva da Parigi, scoppiava tutta la miseria del sobborgo, insudiciando il cantiere di quella nuova citt che s'innalzava troppo in fretta. |[continua]| |[CAPITOLO DODICESIMO, 2]| Smarrita nella folla che occupava l'ampio marciapiede, lungo le file dei piccoli platani, Gervaise si sentiva sola e abbandonata. E quelle fughe di viali, laggi, in fondo, le facevano sentire lo stomaco ancora pi vuoto. E pensare che in quel mare di gente, fra cui ci dovevano pur essere delle persone che vivevano nell'abbondanza, non c'era un solo cristiano che indovinasse la sua condizione e le facesse scivolare in mano una moneta da dieci soldi! S, era tutto troppo grande, era tutto troppo bello; la testa le girava e le gambe le venivano meno, sotto quel lembo smisurato di cielo grigio, che sembrava stendersi solo per ricoprire l'immensit di quello spazio. Il crepuscolo aveva il giallo sudicio dei crepuscoli di Parigi, un colore che fa sentire all'istante una gran voglia di morire, a tal punto sembra orribile la vita delle strade. La luce cominciava a offuscarsi, le lontananze si confondevano in una tinta melmosa. Gervaise, gi stanca, si era trovata inghiottita dalla folla degli operai che uscivano allora dal lavoro. Le signore in cappellino e i signori eleganti, che abitavano nei palazzi appena costruiti, venivano sommersi in quell'ora del giorno dalle onde del popolo in marcia, processioni di uomini e di donne ancora illividiti dall'aria viziata delle officine. Il boulevard Magenta e rue du FaubourgPoissonnire ne vomitavano a frotte, trafelate per la salita. Nel rumore pi sordo degli omnibus e dei fiacres, fra i barrocci, le tapissires e i fardiers che ritornavano vuoti e al galoppo, un formicolio sempre crescente di casacche e di camiciotti tappezzava la carreggiata. I facchini tornavano con le loro cinghie sulle spalle. Due operai, a passo veloce, camminavano fianco a fianco a grandi falcate, parlando ad alta voce, senza guardarsi; altri, soli, in cappotto e berretto, camminavano sul bordo del marciapiede, a testa bassa; altri ancora procedevano a gruppi di cinque o sei, si seguivano senza scambiarsi neanche una parola, con le mani in tasca, gli occhi pallidi. Alcuni stringevano in bocca una pipa spenta. Dei muratori, in un fiacre che avevano noleggiato in quattro, e che faceva traballare i loro bigoncioli, passavano mostrando le loro facce ancora imbiancate alle portinaie. Dei pittori dondolavano i barattoli dei colori. Uno zincatore reggeva in mano una lunga scala, e per poco non accecava i passanti; mentre un fontaniere in ritardo, con la sua cassetta sulle spalle, suonava con una trombetta l'aria del buon re Dagoberto, un'aria di desolazione sullo sfondo di quel crepuscolo opprimente. Ah! una musica triste che sembrava accompagnare quello scalpiccio del gregge, di quelle bestie da soma che si trascinavano con le reni a pezzi. Un'altra giornata finita! Ma le giornate erano cos lunghe e ricominciavano troppo spesso! Appena il tempo di riempirsi lo stomaco e di digerire; e gi si rifaceva giorno, bisognava riattaccarsi alla catena della

propria miseria. I pi baldanzosi tuttavia fischiettavano pestando i piedi, tirando diritto, con la mente gi rivolta alla zuppa che li aspettava. Gervaise lasciava passare la folla, indifferente agli urti, spinta a destra, spinta a sinistra, sbattuta dalle ondate della massa; perch gli uomini non hanno il tempo di fare i galanti, quando sono rotti in due dalla fatica e tormentati dalla fame. Tutt'a un tratto, alzando gli occhi, la lavandaia scorse dinnanzi a s l'antica locanda Boncoeur. La casa, dopo esser stata un caff malfamato che la polizia aveva fatto chiudere, appariva adesso abbandonata, con le imposte ricoperte di manifesti, il lampione rotto; e si sbriciolava, marciva da cima a fondo sotto la pioggia, con il suo orribile intonaco rosso vino ormai tutto ammuffito. Ma tutt'attorno alla locanda, nulla sembrava mutato. Il cartolaio e il tabaccaio erano sempre l. Alle spalle della casupola, al di sopra delle basse costruzioni, si vedevano ancora delle facciate in rovina, case di cinque piani che innalzavano le loro grandi sagome delabrate. Soltanto il ballo del Grand-Balcon non esisteva pi; nella sala dalle dieci finestre fiammeggianti avevano impiantato da poco una raffineria di zucchero, che faceva sentire i suoi sibili continui. Ed era proprio l, nel suo bugigattolo nascosto in fondo alla locanda Boncoeur, che era cominciata quell'insopportabile esistenza. Gervaise non si muoveva, guardava la finestra al primo piano la cui persiana staccata penzolava nel vuoto; e si ricordava della sua giovinezza con Lantier, i loro primi litigi, il modo schifoso con cui l'aveva lasciata. Ma allora non contava, era giovane; e le parevano perfino gaie, tutte quelle cose, viste da lontano. Erano trascorsi soltanto vent'anni, mio Dio! ed ecco che era finita sul marciapiede! Allora la vista della locanda l'addolor, e risal il boulevard dal lato di Montmartre. Sui mucchi di sabbia, fra le panchine, dei ragazzini stavano ancora giocando mentre cadeva la notte. La sfilata continuava. Le operaie passavano trotterellando, affrettandosi per recuperare il tempo che avevano perso a guardare le vetrine. Una di loro, alta, ferma in mezzo alla via, abbandonava la mano in quella di un giovanotto che l'accompagnava fino a tre portoni da casa sua; altre, nel salutarsi, si davano degli appuntamenti per la notte, al Grand Salon de la Folie o alla Boule Noire. In mezzo ai gruppi che tornavano verso casa, si riconoscevano degli operai a cottimo, con i vestiti piegati sotto il braccio. Un fumista, attaccato con delle cinghie al carretto pieno di calcinacci che stava tirando, non rimase per poco schiacciato da un omnibus. L dove la folla era meno fitta, delle donne correvano a capo scoperto; erano scese di nuovo dopo aver acceso il fuoco, e adesso s'affrettavano per la cena: urtavano la gente, entravano di furia dai fornai e dai pizzicagnoli, ripartivano senza indugiare con i loro involti in mano. C'erano delle bambinette di otto anni, mandate a comprare qualcosa, che se ne andavano lungo le botteghe e si stringevano al petto dei grossi pani di quattro libbre, pi alti di loro, simili a belle bambole gialle, e che si incantavano per cinque minuti davanti alle figure, con la guancia premuta contro i grossi pani. Poi il flusso si esauriva, e i gruppi si diradavano; il lavoro era tornato

a casa, e nel fiammeggiare dei lampioni, finita la giornata, si sentiva salire come una sorda rivincita, una nuova voglia di mollezze e di piaceri. Ah! s, Gervaise aveva finito la sua giornata! Si sentiva pi stremata di tutto quel popolo di lavoratori il cui passaggio l'aveva appena scossa. Poteva sdraiarsi in mezzo alla strada e crepare, perch il lavoro non voleva pi saperne di lei; e le sembrava d'aver penato abbastanza in tutta la sua vita per dire: A chi tocca? Io ho gi avuto la mia parte!. Erano andati tutti a mangiare. Era proprio la fine; il sole aveva spento la sua candela, la notte sarebbe stata lunga. Ah! mio Dio! potersi stendere a proprio agio e non rialzarsi mai pi! pensare che si son riposti per sempre gli arnesi del lavoro e che si pu battere la fiacca per l'eternit!. Non sarebbe forse la cosa pi bella da fare, dopo essersi ammazzati di fatica per vent'anni? E Gervaise, fra i crampi che le torcevano le budella, ripensava suo malgrado ai giorni di festa, alle gran spanciate, ai divertimenti della sua vita trascorsa. Una volta, soprattutto, con un freddo da cani, un gioved di mezza quaresima, se l'era davvero spassata. Era proprio graziosa, a quei tempi, tutta bionda e fresca! Il suo lavatoio di rue Neuve l'aveva eletta regina della festa, nonostante la gamba. Erano andate allora a zonzo sui boulevards in carri ornati di fiori, in mezzo al bel mondo che la sbirciava ammiccando. Dei signorini le puntavano addosso l'occhialetto, proprio come su una vera regina. Poi la sera avevano fatto un festino con i fiocchi, s'erano scatenate fino all'alba, ballando. Regina, s, regina! con una corona e una fascia, per ventiquattr'ore, due volte il giro dell'orologio! E oppressa, straziata dalla fame, guardava per terra come per cercare il rigagnolo in cui aveva lasciato naufragare la sua maest decaduta. Alz di nuovo gli occhi. Si trovava di fronte ai mattatoi, che stavano per essere abbattuti; la facciata sventrata metteva a nudo i cortili scuri, puzzolenti, ancora zuppi di sangue. E dopo aver ridisceso il boulevard, rivide anche l'ospedale Lariboisire, il gran muro grigio al di sopra del quale si allargavano a ventaglio le sue ali cupe e forate da finestre regolari; un portone che si apriva nel muro terrorizzava l'intero quartiere, il portone dei morti, la cui solida quercia, senza una fessura, aveva la severit e il silenzio d'una pietra sepolcrale. Allora, per scappare, si spinse ancora pi lungi, scese fino al ponte della ferrovia. Gli alti parapetti di dura lamiera imbullettata le coprivano la vista; e distingueva soltanto, sull'orizzonte luminoso di Parigi, l'ampio spiazzo della stazione, una vasta tettoia annerita dalla polvere del carbone. In quel grande spazio illuminato sentiva i fischi delle locomotive, le vibrazioni cadenzate delle piattaforme girevoli, tutti i rumori di quell'immensa e nascosta attivit. Poi un treno pass uscendo da Parigi, con gli sbuffi del suo respiro affannoso e a un'andatura sempre pi sostenuta. E di quel treno non riusc a scorgere altro che un bianco pennacchio, un soffio improvviso di fumo che oltrepass il parapetto e si dissolse all'istante. Ma il ponte aveva tremato; Gervaise stessa si sentiva ancora sconvolta dalle brusche vibrazioni di quella partenza a tutto vapore. Si volt come per seguire con lo sguardo la

locomotiva ormai invisibile, e il cui fracasso stava gi morendo lontano. Da quella parte indovinava la campagna, il cielo libero sullo sfondo d'uno squarcio, le alte case a destra e a sinistra, isolate, venute su come per caso, con facciate e murature non intonacate: muri ricoperti da giganteschi cartelli pubblicitari e a loro volta insudiciati dalla fuliggine delle macchine in un'uniforme tinta giallastra. Oh! se avesse potuto partire cos, andarsene laggi, allontanandosi per sempre da quelle dimore abitate dalla sofferenza e dalla miseria! Forse avrebbe ricominciato a vivere! Poi si ritrov scioccamente a leggere i manifesti incollati sulle lamiere del parapetto. Ce n'erano di tutti i colori. Il pi piccolo, d'un bell'azzurro, prometteva una ricompensa di cinquanta franchi per un cane smarrito. Una bestia cos era stata di certo adorata! Gervaise riprese lentamente il suo cammino. I lampioni a gas cominciavano ad accendersi nella nebbia spessa e fumosa che poco a poco era scesa; quei lunghi viali avvolti nelle tenebre e diventati neri, ricomparivano scintillanti, sembravano farsi ancora pi lunghi, squarciavano la notte fino alle pi profonde oscurit dell'orizzonte. Si sentiva un gran soffio; e il quartiere sventrato faceva brillare delle strisce di fiammelle sotto il cielo immenso e senza luna. Era l'ora in cui da un capo all'altro dei boulevards i vinaioli, le balere e le taverne risplendevano allegramente in infilata, nella spensieratezza delle prime bevute e nel baccano che cominciava a farsi assordante. La paga della quindicina faceva riversare sui marciapiedi una folla di lazzaroni in cerca d'avventure e smaniosi di vagabondare da una bettola all'altra. Si respirava un'aria di gozzoviglia, una gozzoviglia gi indiavolata ma ancora contenuta; un principio d'ebbrezza, non di pi. Ci si accalcava in fondo alle osterie; dappertutto, attraverso i vetri illuminati, si vedeva gente che mangiava con la bocca piena, ridendo, senza nemmeno darsi la pena d'inghiottire. Dai vinaioli, gli ubriaconi prendevano gi posto, urlando e gesticolando. E un baccano indemoniato saliva verso il cielo, delle voci stridule, delle voci chiocce, fra il calpestio continuo che risuonava sui marciapiedi. Di' un po'! non vieni a bere?... Su, fannullone, vieni qua! ti offro un collo di bottiglia!... Oh! mio Dio! c' Pauline! E allora? non per questo leveremo le tende. Le porte sbattevano, facendo uscire aliti di vino e strepiti di cornette. Facevano la fila davanti all'Assommoir di pap Colombe, illuminato come una cattedrale per una messa solenne; e in nome di Dio! la si sarebbe detta davvero una funzione, perch quei bravi figlioli cantavano l dentro con certe facce da cantori al leggio, con le guance gonfie, la pancia tonda e sospinta in avanti. Festeggiavano la santa Paga, ecco la verit! una santa davvero amabile che deve tenere la cassa in paradiso. Ma nel vedere lo slancio con cui la festa cominciava, i piccoli proprietari, che portavano a spasso le mogli, ripetevano scuotendo la testa che quella notte a Parigi ci sarebbe stata una vera invasione di ubriaconi. E la notte era scurissima, morta e gelida, al di sopra di quella babilonia assordante, interrotta soltanto dalle strisce di fuoco dei boulevards, ai quattro punti del cielo. Piantata davanti all'Assommoir, Gervaise rifletteva. Se

avesse avuto due soldi, sarebbe entrata a farsi un bicchierino. L'acquavite le avrebbe forse stroncato la fame. Ah! se n'era fatti, oramai, di bicchierini! E non che quell'abitudine le sembrasse adesso meno buona! Guardava da lontano la distillatrice di veleno, sentendo che tutta la sua infelicit proveniva da l; e sognava di farla finita in quel modo, annegata nell'acquavite, non appena avesse potuto permetterselo. Ma un brivido le corse per i capelli; vide che la notte era oscura. Coraggio! era arrivato il momento di darsi da fare, di mostrarsi decisa e gentile, se non voleva crepare in mezzo al tripudio e all'allegria della gente. E a guardar gli altri che si abboffavano, non le si riempiva di certo lo stomaco! Rallent il passo, si guard attorno. Sotto gli alberi le ombre si facevano ancora pi fitte. Passava poca gente, delle persone frettolose che attraversavano speditamente il boulevard. E su quel largo marciapiede, scuro e deserto, dove andavano a morire gli scoppi d'allegria delle strade vicine, delle donne attendevano in piedi. Rimanevano a lungo immobili, pazienti, dritte come i piccoli platani rinsecchiti; poi si muovevano lentamente, strascicando le ciabatte sul suolo ghiacciato, facevano dieci passi e s'arrestavano di nuovo, inchiodate a terra. Ce n'era una dal tronco enorme e con delle gambe e delle braccia da insetto, che si muoveva straripando e ancheggiando in uno straccio di seta nera, con un foulard giallo che le copriva la testa; un'altra, alta, ossuta, a capo scoperto, aveva un grembiale da serva; ce n'erano altre ancora, delle vecchie imbellettate, delle giovani sudicissime, cos sudice, cos miserabili, che nemmeno un cenciaiolo le avrebbe raccattate. E Gervaise non capiva, cercava d'imparare, le imitava. L'emozione la strozzava alla gola come una ragazzina; non sapeva nemmeno se provasse vergogna, agiva come in un brutto sogno. Per un quarto d'ora rest diritta come un palo. Degli uomini passavano senza volgere il capo. Allora si mosse a sua volta, e si arrischi ad accostarsi a un uomo che fischiettava con le mani in tasca, mormorando con voce soffocata: Sentite, signore.... L'uomo la guard di sbieco, e se ne and fischiettando pi forte. Gervaise si faceva pi ardita. E dimentic se stessa nell'asprezza di quella caccia con la pancia vuota, accanendosi ad inseguire la sua cena che continuava a sfuggirle dinnanzi. Cammin a lungo su e gi, incurante dell'ora e del luogo. Attorno a lei le donne mute e scure, sotto gli alberi, passeggiavano, limitando il loro movimento a un andare e venire regolare da bestie in gabbia. Sbucavano dall'ombra con un incerto ondeggiare da fantasmi; passavano sotto i coni di luce dei lampioni a gas, dove la loro livida maschera si mostrava crudelmente, e scomparivano di nuovo, si lasciavano riafferrare dall'ombra, dimenando la ruota bianca delle loro sottane, ritrovando l'incanto e il brivido delle tenebre del marciapiede. Alcuni uomini si lasciavano fermare, chiacchieravano per divertirsi, si allontanavano ridacchiando. Altri, pi discreti, come in incognito, seguivano una delle donne per una decina di passi. E si sentivano allora dei lunghi bisbigli, delle contese a voce

soffocata, dei mercanteggiamenti rabbiosi, che finivano di colpo in un profondo silenzio. E Gervaise, per quanto si spingesse lontano, vedeva di tratto in tratto nell'oscurit della notte quelle sentinelle appostate, come se da un capo all'altro dei boulevards esterni un esercito di donne si fosse accampato. A venti passi da una di queste vedette ne scorgeva sempre un'altra. La fila si perdeva in lontananza; tutta Parigi ne sembrava piantonata. E indispettita, sdegnata, non faceva che cambiar di posto. Si allontan da rue de Clignancourt e and verso la Grande Rue de la Chapelle. Sentite, signore.... Ma gli uomini passavano oltre. Cominciava il suo giro dai mattatoi, le cui macerie puzzavano di sangue. Dava un'occhiata all'antica locanda Boncoeur, chiusa e accecata. Passava davanti all'ospedale Lariboisire, contando distrattamente lungo le facciate le finestre illuminate che mandavano un chiarore pallido e tranquillo, come dei lumicini notturni accesi accanto al letto dei moribondi. Attraversava il ponte della ferrovia, in mezzo al frastuono dei treni che rimbombavano, lacerando l'aria con il grido disperato dei loro fischi. Oh! come tutto diventava triste in quella notte! Poi tornava sui suoi passi, si riempiva di nuovo gli occhi delle stesse case che le sfilavano davanti sempre uguali, da un capo all'altro del viale; e questo per dieci, venti volte, senza tregua, senza riposare per un attimo su una panchina. No, nessuno voleva saperne di lei. Le pareva che quel rifiuto rendesse ancora pi grande la sua vergogna. Discendeva di nuovo verso l'ospedale, risaliva verso i mattatoi. Era la sua ultima passeggiata: dai cortili insanguinati in cui si scannavano le bestie, alle livide sale dove la morte irrigidiva gli uomini nelle lenzuola di tutti. La sua stessa vita sembrava essersi tutta racchiusa l dentro. Sentite, signore.... E tutt'a un tratto vide la sua ombra per terra. Quando si avvicinava a un lampione, l'ombra dapprima confusa si raccoglieva e si precisava, un'ombra enorme, tozza, grottesca, a tal punto era rotonda. Si allungava: il ventre, il petto, i fianchi, si confondevano e ondeggiavano insieme. Zoppicava tanto con la sua gamba che l'ombra faceva una capriola a ogni passo; una vera marionetta! Poi quando s'allontanava, la marionetta s'ingrandiva, diventava enorme, riempiva il boulevard con degli inchini che le facevano sbattere il grugno contro gli alberi e le case. Oh! mio Dio! com'era ridicola e spaventosa! Mai come in quell'istante s'era resa conto cos bene del suo abbrutimento! Allora non pot pi fare a meno di guardare; e passava con ansia sotto i lampioni, seguendo con gli occhi la danza indemoniata della sua ombra. Ah! c'era una gran bella puttana che le camminava al fianco! Che eleganza! Una cos doveva di certo accalappiare gli uomini all'istante. E abbassava la voce, non osava pi che balbettare alle spalle dei passanti: Sentite, signore.... Doveva essere ormai molto tardi. Nel quartiere le cose cominciavano a volgere al peggio. Le bettole erano chiuse; ma le luci sfolgoravano ancora nelle sale dei vinaioli, da cui uscivano voci impastate d'ubriachezza. La baldoria si faceva rissosa, e

cominciavano a volare dei pugni. Un povero diavolo sbrindellato strillava: Voglio farti a pezzi! contarti le ossa!. Una sgualdrinella si era accapigliata con il suo amante all'uscita da un ballo, dandogli del brutto cretino e del maiale schifoso, mentre il ganzo non faceva che ripetere: E tua sorella?, senza aggiungere altro. L'ebbrezza faceva venir fuori come un bisogno d'accopparsi, qualcosa di selvaggio che rendeva pallidi e convulsi i volti dei rari passanti. Ci fu una battaglia; e un ubriacone casc a gambe all'aria, mentre il suo compare, credendo d'avergli fatto la festa, fuggiva pestando a terra le sue grosse scarpe. Alcune bande urlavano canzonacce oscene; si facevano poi dei profondi silenzi, interrotti soltanto dai singulti e dalle sorde cadute degli ubriachi. Le baldorie della quindicina finivano sempre cos; il vino scorreva tanto copioso da sei ore che andava alla fine ad annaffiare i marciapiedi! Oh! delle vomitate con i fiocchi, delle code di volpe che si allargavano al centro del lastricato, e che i nottambuli pi delicati erano costretti a scavalcare per non sguazzarci dentro! Che quartiere pulito! Un forestiero venuto a visitarlo prima che gli spazzini lo ripulissero al mattino, se ne sarebbe fatto una gran bell'idea. Ma a quell'ora gli ubriachi eran gi tornati a casa e se ne infischiavano dell'Europa! In nome di Dio! ecco che i coltelli uscivano dalle tasche e il festino finiva nel sangue! Delle donne camminavano in fretta, degli uomini si aggiravano con occhi da lupo; la notte s'incupiva, gonfia di orrori. Gervaise camminava ancora, sgambettando, continuando a scendere e a salire con il solo pensiero di camminare senza mai fermarsi. Dei colpi di sonno la coglievano all'improvviso, e quasi si addormentava cullata dalla sua gamba; poi si riscuoteva di soprassalto, si guardava attorno, s'accorgeva di aver fatto cento passi senza conoscenza, come morta. A dormir ritta, i piedi le si allargavano nelle ciabatte sfondate. Non si sentiva pi, tanto era stanca e svuotata. L'ultima idea precisa che occup la sua mente fu che, in quel medesimo istante, quella svergognata della figlia stava forse mangiando delle ostriche. Poi tutto si annebbi; rimaneva a occhi aperti, ma avrebbe dovuto fare uno sforzo troppo grande per pensare. E la sola sensazione che persisteva in lei, nell'annebbiamento di tutto il suo essere, era quella di un freddo da cani, di un freddo pungente e mortale, come mai aveva sentito in vita sua. I morti non hanno di certo tanto freddo sotto terra. Alz faticosamente il capo, ricevendo sul viso una sferzata glaciale. Era la neve, che finalmente si decideva a cadere dal cielo brumoso, una neve fitta e sottile che un vento leggero faceva turbinare. La si aspettava da almeno tre giorni. Cadeva proprio al momento giusto! Allora, in quella prima raffica, Gervaise, risvegliata, riprese a camminare pi in fretta. Degli uomini correvano, s'affrettavano a rientrare, con le spalle gi bianche. E avendone visto uno che avanzava lentamente sotto gli alberi, si avvicin e disse ancora: Sentite, signore.... L'uomo s'era fermato. Ma sembrava che non avesse sentito. Tendeva la mano, mormorando a voce bassa: La carit, vi prego.... Si guardarono. Ah! buon Dio! erano arrivati a questo punto!

pap Bru a chiedere l'elemosina e la signora Coupeau a battere il marciapiede! Rimasero a bocca aperta l'uno in faccia all'altra. Adesso si potevano dare la mano. Il vecchio operaio aveva vagato per tutta la sera, non osando fermare la gente; e la prima persona a cui si rivolgeva era una morta di fame come lui. Signore Iddio! non era una cosa da fare piet? Aver lavorato per cinquant'anni, e mendicare! Essere stata la migliore lavandaia di rue de la Goutte-d'Or, e finire sull'orlo di un rigagnolo! Continuavano a guardarsi. Poi, senza dirsi nulla, se ne andarono ognuno per la sua strada, sotto la neve che li sferzava. Era una vera tormenta. Su quelle alture, in mezzo a quelle spianate tutte aperte, la neve sottile turbinava in piccoli vortici e sembrava soffiare contemporaneamente dai quattro punti del cielo. Non ci si vedeva a dieci passi, ogni cosa affogava in quella polvere volteggiante. Il quartiere era sommerso, il boulevard sembrava morto, come se le raffiche di neve avessero coperto sotto il silenzio del loro bianco lenzuolo i singulti degli ultimi ubriaconi. Gervaise continuava a camminare faticosamente, accecata, smarrita. Tastava gli alberi per orizzontarsi. Via via che avanzava, i lampioni a gas sbucavano dal pallore dell'aria, come fiaccole spente. Poi, all'improvviso, mentre stava attraversando un crocicchio, anche quei piccoli chiarori si dissolvevano; e si trovava al centro di un livido turbinio che l'avvolgeva, senza distinguere pi nulla che la potesse guidare. Sotto i suoi passi, anche il suolo pareva sfuggire, perso in un incerto biancore. Dei muri grigi la chiudevano da ogni lato. E quando si arrestava, esitando, volgendo la testa, indovinava al di l di quel velo di ghiaccio l'immensit dei viali, la sfilata interminabile dei lampioni, l'immenso e cupo deserto di Parigi addormentata. Si trovava dove il boulevard Magenta e il boulevard d'Ornano s'incrociano con il boulevard esterno, sognando di potersi sdraiare a terra, quando sent un rumore di passi. Si mise a correre, ma la neve le copriva gli occhi, e i passi si allontanavano senza che riuscisse a capire se andavano a destra o a sinistra. Alla fine scorse le ampie spalle di un uomo, una macchia scura e ondeggiante che sprofondava in una sorta di nebbia. Oh! questo lo voleva! non se lo sarebbe lasciata sfuggire! E corse pi in fretta, lo raggiunse, l'afferr per la casacca. Signore, signore, sentite.... L'uomo si volt. Era Goujet. Aveva adescato Gueule-d'Or! Oh! ma che cosa aveva mai fatto al buon Dio per essere tormentata fino alla fine? Era il colpo di grazia! capitare fra i piedi del fabbro, essere vista da lui mentre scendeva l'ultimo gradino, quello delle puttane da barriera, pallida e supplicante! E quel loro incontro avveniva proprio sotto un lampione a gas; Gervaise poteva vedere la sua ombra deforme che sembrava giocare sulla neve come una vera caricatura. La si sarebbe detta una donna ubriaca. Oh! mio Dio! non aver in corpo n un tozzo di pane n una goccia di vino, ed esser presa per una donna ubriaca! Ma la colpa era forse sua, perch qualche volta si ubriacava davvero! Di certo Goujet doveva credere che lei avesse bevuto e che fosse appena uscita

da qualche ignobile festino. Il fabbro intanto la guardava, mentre la neve sfogliava delle pratoline nella sua bella barba bionda. Poi, accorgendosi che Gervaise abbassava la testa e indietreggiava, la trattenne: Venite, disse. E s'incammin per primo. Gervaise lo segu. Attraversarono insieme il muto quartiere, rasentando in silenzio i muri. La povera signora Goujet era morta in ottobre per l'acuirsi di un reuma. Goujet abitava ancora nella piccola casa di rue Neuve, solo e cupo. Quel giorno s'era attardato per assistere un compagno ferito. Dopo aver aperto l'uscio e acceso una lampada, si volt verso Gervaise, che era rimasta umilmente sul pianerottolo. E disse a voce bassissima, come se sua madre l'avesse ancora potuto sentire: Entrate. La prima camera, quella della signora Goujet, era conservata devotamente nello stato in cui la donna l'aveva lasciata. Accanto alla finestra, su una sedia, il tombolo era poggiato vicino alla grande poltrona che sembrava attendere la vecchia merlettaia. Il letto era rifatto; la signora Goujet ci si sarebbe potuta sdraiare, se avesse lasciato il cimitero per venire a passare la sera con il suo bambino. La camera serbava un raccoglimento, un odore di bont e di onest. Entrate, ripet pi forte il fabbro. Gervaise entr come impaurita, con l'aria di una poco di buono che venga ammessa in un luogo rispettabile. Goujet era pallidissimo e tremante, all'idea di far entrare una donna nella casa della madre morta. Attraversarono la stanza in punta di piedi, come per evitare la vergogna d'essere intesi. Poi, quando ebbe spinto Gervaise in camera sua, richiuse la porta. L dentro si sentiva in casa propria. Era il minuscolo stanzino che Gervaise gi conosceva, una camera da collegiale, con un piccolo letto di ferro dalle bianche cortine. Ma sulle pareti, le figure ritagliate s'erano estese ancora di pi e salivano fino al soffitto. Gervaise non osava quasi inoltrarsi in quell'immagine di purezza; e si ritraeva, s'allontanava dalla lampada. Allora, senza una parola, cedendo a una sorta di smania, il fabbro volle afferrarla, stringerla fra le braccia. Ma Gervaise si sent venir meno, e mormor: Oh! mio Dio!... Oh! mio Dio!.... La stufa, coperta di polvere di coke, ardeva ancora; e un avanzo d'umido, che il fabbro aveva lasciato in caldo convinto di rientrare, fumava davanti al ceneraio. Gervaise, che quel bel calduccio aveva ritemprato, si sarebbe buttata a quattro zampe per mangiare dal tegame. Era pi forte di lei; il suo stomaco la dilaniava, e si chin con un sospiro. Ma Goujet aveva capito. Mise l'umido sulla tavola, tagli il pane, le vers da bere. Grazie! grazie!, ripeteva Gervaise. Oh! come siete buono! Grazie!. Balbettava, non riusciva pi a pronunciare le parole. Quando afferr la forchetta, tremava a tal punto che la lasci cadere di nuovo. La fame la strangolava, e la sua testa ciondolava come quella di una vecchia. Fu costretta a servirsi delle dita. Alla prima patata che si ficc in bocca, scoppi in singhiozzi. Grosse

lacrime le scorrevano lungo le guance, cadevano sul pane. Ma continuava a mangiare, divorava ingordamente il pane inzuppato dalle sue lacrime, respirando a fatica, e con il mento convulso. Goujet la obblig a bere, perch non si strozzasse; e il suo bicchiere fece un piccolo tintinnio battendo contro i denti. Volete ancora del pane?, le domand sottovoce. Gervaise piangeva; diceva di no, diceva di s, senza capire. Ah! Signore Iddio! come bello e triste mangiare, quando si muore di fame! E intanto il fabbro, ritto di fronte a lei, la contemplava. Adesso la poteva vedere meglio, sotto il vivo chiarore del paralume. Come era invecchiata e sfiorita! Il caldo le scioglieva la neve sui capelli e sui vestiti. Grondava. La sua povera testa tremolante era tutta grigia, delle ciocche grigie che il vento aveva arruffato. Con il collo affondato nelle spalle, si raggomitolava, brutta e grossa da far venire la voglia di piangere. E Goujet si ricordava dei loro amori, quando Gervaise, tutta rosea, batteva i suoi ferri mostrando un filo di pappagorgia che le metteva attorno alla gola un cos bel collarino. A quei tempi si fermava a guardarla per ore e ore, gi appagato dal solo fatto di vederla. E in seguito Gervaise era andata a trovarlo all'officina, dove insieme avevano assaporato mille indicibili gioie, mentre lui picchiava sul ferro e lei si lasciava prendere a sua volta nella danza del martello. Oh! quante volte aveva morso il guanciale, la notte, nel desiderio d'averla cos in camera sua! L'avrebbe spezzata, se l'avesse presa, tanto la desiderava! Ed ecco che ormai era sua, la poteva prendere. Gervaise aveva intanto quasi finito il suo pane, spremendo tutte le sue lacrime in fondo al tegame, quelle grosse lacrime silenziose che continuavano a cadere su tutto ci che mangiava. Gervaise si alz. Aveva finito. Rimase per un istante a testa bassa, imbarazzata, non sapendo se il fabbro aveva voglia di lei. Poi, credendo di vedere accendersi una fiamma nei suoi occhi, port la mano alla camicetta e cominci a sbottonarsi. Ma Goujet si era messo in ginocchio, le prendeva le mani, dicendo dolcemente: Vi amo, signora Gervaise. Oh! S, vi amo ancora, nonostante tutto, credetemi, ve lo giuro!. Non dite cos, signor Goujet, grid Gervaise, fuori di s vedendolo in quel modo ai suoi piedi. No, non dite cos, mi fate troppa pena!. E poich il fabbro ripeteva che non poteva aver due sentimenti in vita sua, si disper ancora di pi. No, no, non voglio pi, ho troppa vergogna... Per amor di Dio! alzatevi! Dovrei essere io a stare per terra. Goujet si rialz; era tutto fremente, e disse balbettando: Mi permettete di baciarvi?. Confusa per la sorpresa e l'emozione, Gervaise non trovava nemmeno una parola. Disse di s con la testa. Mio Dio! era sua, poteva farne quel che voleva. Ma il fabbro protendeva soltanto le labbra. Fra noi pu bastare, signora Gervaise!, mormor. Questa tutta la nostra amicizia, non vero?. La baci sulla fronte, su una ciocca dei suoi capelli grigi.

Dopo la morte della madre, non aveva pi baciato nessuno. Nella vita non gli restava che la sua buona amica Gervaise. Il dopo averla baciata con tanto rispetto, indietreggi e and a cadere di traverso sul letto, con il torace squassato dai singhiozzi. Gervaise non ebbe la forza di trattenersi pi a lungo; era troppo triste, troppo vergognoso, ritrovarsi in quelle condizioni, quando ci si amava. Gli grid: Vi amo, signor Goujet, vi amo molto anch'io... Oh! non possibile, lo capisco... Addio, addio! Ne soffriremmo troppo tutti e due. E attravers di corsa la camera della signora Goujet. Si trov per strada. Quando torn in s, aveva suonato in rue de la Goutte-d'Or, Boche le apr tirando il cordone. E caseggiato era immerso nel buio. Vi entr come nel suo stesso dolore. A quell'ora della notte, l'androne in rovina e spalancato sembrava una gola aperta. E pensare che un tempo aveva sognato d'avere un cantuccio tutto per s in quella brutta e decrepita caserma! Le sue orecchie eran dunque tappate, se non aveva sentito gi allora quella lugubre musica di disperazione che gemeva dietro le mura? Dal giorno che ci aveva messo piede, la sua vita aveva cominciato ad andare a picco. S, doveva portar male quello starsene cos gli uni addosso agli altri, nell'immenso squallore delle case operaie; vi si pigliava il colera della miseria. E quella sera sembravano tutti morti. Gervaise sentiva soltanto i Boche che russavano, a destra, mentre Lantier e Virginie, a sinistra, facevano le fusa come i gatti che hanno caldo e che non dormono, con gli occhi chiusi. Nel cortile le sembr d'essere proprio in un cimitero. La neve disegnava a terra un enorme quadrato bianchiccio; le alte facciate si innalzavano livide e grigie, senza una luce, simili a ruderi in rovina. E non un sospiro; pareva un intero villaggio sepolto e intirizzito dal freddo e dalla fame. Fu costretta a scavalcare un rigagnolo nero, una pozza fumante sputata dalla tintoria e che si apriva un letto fangoso nel candore della neve. Era un'acqua che aveva lo stesso colore dei suoi pensieri. Eran scomparsi per sempre l'azzurro delicato e il rosa tenue delle belle acque di un tempo! Poi, salendo i sei piani nell'oscurit, non pot fare a meno di ridere; ma era una brutta risata, che la faceva star male. Si era rammentata all'improvviso del suo antico ideale: lavorare serenamente, aver sempre da mangiare e un buco decente per dormire, allevare i figli, non essere battuta, morire nel proprio letto. No, era davvero comico il modo in cui il suo sogno s'avverava! Non lavorava pi, non mangiava pi, dormiva nel sudiciume, sua figlia correva la cavallina, suo marito la menava di santa ragione; non le rimaneva che il crepare sul lastrico, e avrebbe potuto farlo anche subito, se solo avesse trovato il coraggio di gettarsi dalla finestra, rientrando a casa. Nemmeno avesse domandato al cielo trentamila franchi di rendita e chiss quali riguardi! Ah! in questa vita si ha un bell'essere modesti! Aspetta e spera! Neanche la pappa e la cuccia, ecco la sorte comune! E la sua brutta risata si faceva pi forte, al ricordo della sua sciocca illusione di potersi un giorno ritirare in campagna, dopo vent'anni di panni da stirare. Eppure ci andava di certo, in campagna. Voleva il suo angolo di verde al Pre-

Lachaise. Quando imbocc il corridoio, era come pazza. La sua povera testa girava. Ci che soprattutto la faceva soffrire era l'addio che aveva dovuto dare al fabbro. Fra loro era tutto finito, non si sarebbero incontrati mai pi. Poi, arrivata in cima, mille altre idee di sventura le si affollarono nella mente, facendole scoppiare del tutto la testa. Passando, gett una sguardo in casa dei Bijard; e vide Lalie morta, con un'aria serena, quasi fosse felice di potersene stare a letto, a crogiolarsi per l'eternit. Insomma! i bambini erano pi fortunati degli adulti! E poich la porta di pap Bazouge lasciava filtrare una striscia di luce, entr senza esitare da lui, smaniosa di andarsene a sua volta e di fare quello stesso viaggio per cui la piccola era partita. Quel vecchio burlone di pap Bazouge era rientrato quella notte in uno stato di allegria straordinaria. Aveva preso una sbornia colossale, e si era buttato a dormire per terra, nonostante il freddo; il che evidentemente non gli impediva di fare qualche bel sogno, perch sembrava che russando gli ridesse con tutta la pancia. La candela, rimasta accesa, illuminava i suoi stracci, il cappello nero schiacciato in un angolo, e il mantello nero che si era tirato sulle ginocchia, come un pezzo di coperta. Gervaise, nel vederlo, s'era all'improvviso lamentata cos forte che il vecchio si svegli. In nome di Dio! chiudete quella porta! Fate entrare tutto il freddo!... Ah! siete voi!... Che c'? Che volete?. Allora Gervaise, con le braccia protese, non sapendo pi cosa stava balbettando, si mise a supplicarlo con passione. Oh! portatemi via, non ne posso pi, me ne voglio andare... Non dovete essere in collera con me. Non lo sapevo, mio Dio, non lo sapevo! Nessuno lo sa, finch non pronto... Oh! s, prima o poi non si vede l'ora d'andarsene!... Portatemi via, portatemi via! vi grider grazie!. E s'era messa in ginocchio, tutta scossa da un desiderio che la faceva impallidire. Non si era mai prostrata in quel modo ai piedi d'un uomo. Il brutto muso di pap Bazouge, con la sua bocca storta e la sua pellaccia tutta incrostata dalla polvere delle sepolture, le sembrava bello e splendente come un sole. Intanto il vecchio, sveglio solo a met, pareva temere qualche brutto scherzo. Sentite un po', mormor, non cercate di farmela!. Portatemi via, ripet Gervaise con pi ardore. Ve ne ricordate? una sera ho battuto al tramezzo; poi ho detto che non era vero, perch ero ancora troppo sciocca... Ma ecco! datemi le vostre mani. Lo vedete? non ho pi paura! Portatemi via, a dormire per sempre; vedrete se mi muovo... Oh! l'unico desiderio che mi resta! Oh! ve ne sar cos grata!. Bazouge, sempre galante, pens che non poteva rifiutarsi a una signora che sembrava a tal punto infatuata di lui. Certo, era ormai uno sfacelo; ma mostrava ancora dei bei resti, quando si teneva un po' su. Avete davvero ragione, disse con aria convinta, oggi ne ho imballate tre che mi avrebbero certo dato una bella mancia, se avessero potuto ficcarsi la mano in saccoccia... Ma il fatto ,

mammina, che non si pu aggiustare la faccenda come se niente fosse.... Portatemi via, portatemi via!, gridava sempre Gervaise. Voglio andarmene.... Diamine! c' prima una piccola cosa da fare... Sapete? zacchete!. E fece uno sforzo con la gola, come se inghiottisse la lingua. E trovando divertente lo scherzo sogghign. Gervaise s'era risollevata lentamente. Nemmeno lui poteva far qualcosa per lei! Rientr in camera sua inebetita, si lasci cadere sul suo pagliericcio, pentita d'aver mangiato. Ah! no, davvero la miseria non uccide mai abbastanza in fretta! CAPITOLO TREDICESIMO

Coupeau pass quella notte girando da una bettola all'altra. L'indomani Gervaise ricevette dieci franchi dal figlio Etienne, che faceva il macchinista in una ferrovia; il ragazzo le mandava di quando in quando delle monete da cento soldi, sapendo che in casa non si nuotava certo nell'oro. Mise sul fuoco la pentola per il lesso; ma mangi da sola, perch quella canaglia di Coupeau non torn a casa nemmeno il giorno dopo. Il luned nessuno, il marted ancora nessuno. E pass tutta una settimana. Ah! corpo d'un cane! se qualche ganza se lo fosse portato via, sarebbe stata davvero una bella fortuna! Ma la domenica le fu recapitata una lettera a stampa, che dapprima le fece paura perch aveva tutta l'aria d'una lettera del commissario di polizia. Poi si rassicur. L'informavano semplicemente che quel gran porco del suo uomo stava per tirare le cuoia a Sainte-Anne. Nel foglio le cose venivano dette in modo pi garbato, ma il succo era pur sempre quello. S, era stata davvero una ganza a portarle via Coupeau; e quella gran signora si chiamava Sofia Tiralecuoia, l'ultima vera amica degli ubriaconi. A dire il vero, Gervaise non ne rimase particolarmente sconvolta. Il marito conosceva la strada ormai alla perfezione; poteva anche tornarsene da solo dal manicomio. Lo avevano gi guarito tante volte, che gli avrebbero fatto una volta di pi il cattivo servizio di rimetterlo in piedi. Aveva saputo quella stessa mattina che Coupeau era stato veduto per otto giorni in tutti i vinaioli di Belleville, pieno come un otre, in compagnia di MesBottes! Proprio cos! ed era anzi Mes-Bottes quello che sborsava; doveva esser riuscito a mettere le mani sul gruzzoletto della consorte, dei risparmi messi da parte a forza di fare il bel giochino che sapete. Ah! quei due si bevevano dei quattrini davvero puliti, capaci di scacciare tutte le brutte malattie! Tanto peggio per il marito, se gli fossero poi venute le coliche! E Gervaise s'infuriava soprattutto all'idea che quei due egoisti non avessero pensato nemmeno per un istante alla possibilit di venirla a prendere, per offrirle un bicchierino. Roba da non crederci! Una sbronza di otto giorni, e nemmeno una gentilezza per le signore! Quando si beve da soli, si crepa da soli, ecco!

Tuttavia il luned, avendo un buon pranzetto per la sera, un avanzo di fagioli e un mezzo litro di vino, Gervaise trov la scusa che quella passeggiata le avrebbe stuzzicato l'appetito. La lettera del manicomio, in bella vista sul cassettone, la irritava. La neve si era sciolta; c'era un tempo da signorine, grigio e dolce, con una punta di frizzante nell'aria che rinvigoriva. Usc di casa verso mezzogiorno, perch aveva molto da camminare; doveva attraversare tutta Parigi, e la sua gamba restava sempre indietro. Per di pi le strade erano piene di gente; ma la gente la divertiva, e arriv di buonumore. Non appena ebbe detto il suo nome, gliene raccontarono una davvero spassosa: pareva che avessero ripescato Coupeau al Pont-Neuf, si era slanciato oltre il parapetto, credendo di vedere un uomo barbuto che gli sbarrava la via. Un bel salto, vero? Quanto a sapere perch mai Coupeau si trovasse sul Pont-Neuf, ecco una domanda a cui nemmeno lui sembrava in grado di rispondere. Un custode l'accompagn. Stava ancora salendo le scale, quando senti delle grida che le agghiacciarono il sangue. Eh? sentite che bella musica?, disse il custode. Ma chi ?, domand Gervaise. vostro marito! Strilla cos da due giorni. Vedrete come balla!. Ah! mio Dio! che spettacolo! Ne rimase sconvolta. La cella era imbottita da cima a fondo; per terra c'erano due stuoini, uno sopra il altro, e in un angolo erano stesi un materasso e un traversino; nient'altro. E dentro la cella Coupeau ballava e gridava. Una vera maschera della Courtille, con la casacca a brandelli e le braccia e le gambe che battevano l'aria; ma una maschera tutt'altro che allegra, Oh! no, una maschera indemoniata la cui danza era cos spaventosa da far rizzare i capelli sulla testa. Era travestito da moribondo. Corpo di Bacco! che assolo di cavaliere! Si slanciava contro la finestra, tornava indietro rinculando, con le braccia che battevano il tempo, agitando le mani come se avesse voluto rompersele e gettarle in faccia alla gente. Nelle balere si incontrano a volte dei burloni che si divertono a imitare balli del genere, ma li imitano male; quei salti di rigodon andrebbero visti fare dagli ubriachi, per poter davvero ammirare la grazia che assumono quando vengono eseguiti sul serio. Anche la canzone ha un suo stile: un urlo ininterrotto da carnevale, una bocca spalancata che fa uscire per ore e ore le stesse note da trombone sfiatato. Coupeau strillava come una bestia a cui si fosse schiacciata una zampa. E forza con l'orchestra! sollevate le vostre dame! Mio Dio! che gli succede?... che gli succede?, ripeteva Gervaise in preda al panico. Un interno, un ragazzone tutto biondo e rosa in camice bianco, seduto tranquillamente, stava prendendo degli appunti. Il caso era veramente interessante, e l'interno non lasciava mai l'ammalato. Potete restare per un po', se volete, disse alla lavandaia, ma non perdete la calma... Provate a parlargli, non vi riconoscer. Coupeau non sembrava infatti essersi nemmeno accorto della presenza della moglie. Gervaise, entrando, non era riuscita a

vederlo per bene, tanto il marito si dimenava. Quando lo guard in viso da vicino, le cascarono le braccia. Mio Dio! possibile che la sua faccia si fosse sconciata in quel modo, con gli occhi iniettati di sangue e le labbra piene di croste? Non l'avrebbe mai riconosciuto! Per di pi faceva troppe smorfie, senza che se ne capisse il perch, con il grugno all'improvviso contratto all'indietro, il naso arricciato, le guance tirate; un vero muso da animale. Aveva la pelle cos bollente che l'aria gli fumava d'attorno; e la sua cotenna, come verniciata, grondava d'un sudore pesante e untuoso. E la sua danza da pagliaccio impazzito lasciava capire fino a che punto il suo corpo soffrisse, con la testa pesante, le membra che gli dolevano. Gervaise si era avvicinata all'interno, che batteva un'aria con la punta delle dita sulla spalliera della sedia. Ditemi, signore, questa volta la faccenda pi seria?. L'interno scosse la testa senza rispondere. Ma cosa sta borbottando a bassa voce?... Eh? sentite anche voi? cosa sta dicendo?. Racconta le cose che vede, mormor il giovane. Ma zitta, lasciatemi ascoltare. Coupeau parlava a scatti. Dei lampi d'allegria gli illuminavano gli occhi. Guardava per terra, a destra, a sinistra; e gironzolava, come se si trovasse a passeggio per il Bois de Vincennes, parlottando fra s e s. Ah! come bello, non ci manca proprio niente!... Ci sono delle bancarelle; una vera festa. E che musica! Che baldoria! Ne fanno di tutti i colori, l dentro... Magnifico! Ecco che tutto si illumina; ci sono tanti palloncini rossi per aria, e tutti saltano, tutti corrono!... Oh! oh! vedo mille lanterne fra gli alberi!... Come si sta bene! Piscia acqua dappertutto, dalle fontane, dalle cascate, dell'acqua che canta, oh! con una voce da chierichetto... Come son belle le cascate!. E si drizzava, come per sentir meglio la deliziosa canzone dell'acqua. Aspirava a fondo l'aria, credendo di bere il fresco getto di qualche fontana. Ma poco a poco il suo volto riprese un'espressione d'angoscia. Allora si chin, strisci pi in fretta lungo le pareti della cella, bofonchiando sorde minacce: tutto un inganno!.. Lo sospettavo... Silenzio, branco di furfanti! S, vi prendete gioco di me. per tormentarmi che bevete e gridate l dentro con le vostre puttane... Ma far a pezzi sia voi che le vostre baracche!... In nome di Dio! lasciatemi in pace!. Stringeva i pugni; poi lanci un grido strozzato, e ricominci a correre appiattendosi contro le pareti. E balbettava, battendo i denti dalla paura: Volete che io m'accoppi! No, non mi ci butter!... Tutta quest'acqua significa che non ho coraggio. No, non mi ci butter!. Le cascate, che sfuggivano al suo avvicinarsi, avanzavano quando indietreggiava. E tutt'a un tratto si guard attorno con aria inebetita; bofonchi con una voce che si sentiva appena: Non possibile! hanno messo i medici contro di me!. Me ne vado, signore, arrivederci!, disse Gervaise all'interno. Sono troppo sconvolta. Torner.

Era pallidissima. E Coupeau continuava a fare il suo assolo di cavaliere dalla finestra al materasso e dal materasso alla finestra, sudando, sfiancandosi, battendo sempre lo stesso tempo. Gervaise scapp. Ma nonostante scendesse a precipizio, sent fino in fondo alle scale la ridda infernale del suo uomo. Ah! mio Dio! come si stava bene fuori, come si respirava! La sera, tutto il caseggiato di rue de la Goutte-d'Or parlava della strana malattia di pap Coupeau. I Boche, che trattavano ormai la Zoppa dall'alto in basso, le offrirono un cassis nella loro guardiola, giusto per saperne qualcosa di pi. Di l a poco arrivarono la signora Lorilleux e la signora Poisson. I commenti furono interminabili. Boche aveva conosciuto un falegname che si era messo nudo come un verme in rue Saint-Martin ed era morto ballando la polca; non beveva che assenzio. Le signore si sbellicarono dalle risa, perch l'aneddoto pareva loro assai divertente, anche se un po' triste. Poi, siccome non capivano bene, Gervaise spinse da una parte la gente, strill che le facessero largo; e al centro della portineria, mentre gli altri la guardavano, fece l'imitazione di Coupeau, urlando, saltellando, dimenandosi con orribili smorfie. S, parola d'onore! era proprio quello che faceva suo marito! Allora gli altri trasecolarono. Non era possibile! nessun uomo avrebbe potuto resistere per pi di tre ore a un esercizio del genere! E invece s! Gervaise lo giurava su quello che aveva di pi sacro: Coupeau andava avanti in quel modo dal giorno prima, come a dire da almeno trentasei ore. Potevano andare a controllare di persona, se non le credevano. Ma la signora Lorilleux disse che, grazie tante! le era bastato andare una volta a Sainte-Anne, e avrebbe proibito a Lorilleux di metterci piede. Quanto a Virginie, la cui bottega andava sempre peggio, e che aveva una faccia da funerale, si content di mormorare che non sempre la vita era allegra, ah! Dio santo, no davvero! Dopo aver finito il suo bicchiere di cassis, Gervaise augur, la buonasera alla compagnia. Quando smetteva di parlare, prendeva all'istante l'espressione idiota d'una pazza di Chaillot, con gli occhi spalancati nel vuoto. Senza dubbio vedeva ancora il suo uomo tutto preso dalla danza. L'indomani, alzandosi, giur a se stessa che non ci sarebbe pi tornata. A che serviva? Non voleva cominciare a dare i numeri a sua volta. Ma ogni dieci minuti ripiombava nelle sue fantasticherie: era partita, come si dice. Le faceva comunque effetto immaginare che, in quello stesso momento, Coupeau fosse sempre impegnato a misurare la cella a passi di minuetto. Quando suon mezzogiorno, non si pot pi trattenere; e non s'accorse nemmeno della lunghezza della strada, a tal punto il desiderio e la paura di ci che l'attendeva le tenevano occupato il cervello. Oh! non ebbe nemmeno bisogno di domandare notizie. Gi in fondo alle scale, sent la canzone di Coupeau. Era sempre la stessa aria, sempre la stessa danza. Avrebbe potuto credere di essere discesa allora allora e di star risalendo. Il custode del giorno prima, che portava delle tisane nel corridoio, strizz l'occhio passandole accanto, per dimostrarsi gentile. Allora? sempre uguale!, domand Gervaise. Oh! sempre uguale!, rispose l'altro senza fermarsi.

Poi Gervaise entr; ma si tenne nell'angolo della porta, perch c'era qualcuno insieme a Coupeau. L'interno tutto biondo e tutto rosa era in piedi, avendo ceduto la sedia a un vecchio signore decorato, calvo e con la faccia a muso di faina. Doveva essere di certo il primario, perch lanciava delle occhiate sottili e penetranti come succhielli. Tutti i mercanti di morte improvvisa hanno degli sguardi del genere. Gervaise non era del resto venuta per questo signore; e si sollevava sulla punta dei piedi, dietro alla sua zucca, divorando Coupeau con gli occhi. Quell'indemoniato ballava e strillava ancora pi furiosamente del giorno prima. Le era capitato di vedere, in altri tempi, ai balli di mezza quaresima, dei gagliardi inservienti di lavatoio che eran capaci di ballare per una notte intera; ma mai, mai e poi mai avrebbe immaginato che un uomo potesse prenderci gusto per tanto tempo; e quando diceva prenderci gusto, era soltanto un modo di dire, perch non si capisce quale piacere ci possa venire dal fare nostro malgrado dei salti di carpione, come se avessimo inghiottito una polveriera. Tutto fradicio di sudore, Coupeau fumava ancora di pi, ecco tutto! La sua bocca sembrava pi larga, a forza d'urlare. Oh! le donne gravide facevano bene a non metter piede l dentro. Aveva tanto camminato dal materasso alla finestra, che si vedeva in terra il suo solco; lo stuoino era consumato dalle sue ciabatte. No, davvero, non era un bello spettacolo; e Gervaise, tremante, si domandava perch mai fosse tornata. E pensare che la sera prima, dai Boche, l'avevano accusata di esagerare quelle scene! Al contrario, non le aveva rifatte che a met! Adesso vedeva meglio come Coupeau faceva, non l'avrebbe dimenticato mai pi, con gli occhi spalancati sul vuoto. E intanto coglieva al volo delle frasi che si scambiavano l'interno e il medico. Il primo dava dei ragguagli sulla nottata, con espressioni che Gervaise non riusciva a capire. Per tutta la notte il suo uomo non aveva fatto altro che parlare a vanvera e saltellare, ecco il senso di tutte quelle parole. Il vecchio signore calvo, del resto tutt'altro che garbato, sembr finalmente accorgersi della sua presenza; e quando l'interno gli ebbe detto che era la moglie del malato, cominci a interrogarla con l'aria diffidente d'un commissario di polizia. Il padre di quest'uomo beveva?. S, signore, un pochino, come tutti... morto scivolando da un tetto, un giorno che era ubriaco. E la madre beveva?. Diamine! signore, come tutti, un bicchierino ogni tanto... Oh! la famiglia a posto... C' soltanto un fratello, che morto giovanissimo in preda alle convulsioni. Il medico la fissava con il suo sguardo indagatore. E riprese a interrogarla in tono brutale: E voi bevete?. Gervaise balbett, si difese, si mise la mano sul cuore come per dare la sua parola d'onore. E invece bevete! State attenta, lo vedete a cosa conduce il bere... Un giorno o l'altro morirete cos anche voi. Gervaise rimase allora come incollata al muro. Il medico

aveva voltato le spalle. Si accovacci, senza curarsi se la sua redingote si impolverava strusciando sullo stuoino; studi a lungo il tremito di Coupeau, come aspettandolo al varco, seguendolo con lo sguardo. Quel giorno anche le gambe saltellavano; il tremolio era sceso dalle mani fino ai piedi. Sembrava una marionetta di cui si tirassero i fili, con le braccia e le gambe che si agitavano come in una danza, il tronco irrigidito quasi fosse di legno. Il male avanzava a piccoli passi. Era una specie di musica sotto la pelle: ricominciava ogni tre o quattro secondi, fluiva per qualche istante, poi si arrestava bruscamente e ripartiva, simile al piccolo brivido che fa scuotere i cani smarriti, quando hanno freddo, d'inverno, sotto un portone. Anche il ventre e le spalle avevano un fremito come d'acqua che bolle. Che strano modo di andarsene, a pensarci bene, in quel completo sfacelo che lo faceva contorcere come una ragazzina troppo sensibile al solletico! Coupeau si lamentava intanto con voce sorda. Sembrava che soffrisse pi del giorno prima. I suoi lamenti spezzati, interrotti, lasciavano indovinare i dolori pi atroci. Mille spilli lo pungevano. Si sentiva dappertutto sulla pelle qualcosa di opprimente, una bestia gelida e molle che gli strisciava lungo le cosce e gli conficcava le zanne nella carne. Poi altre bestie gli si attaccavano alle spalle, dilaniandogli tutto il dorso a forza di unghiate. Ho sete, oh! ho sete!, grugniva di continuo. L'interno prese un bricco di limonata poggiato su una tavoletta e glielo diede. Coupeau afferr il bricco con entrambe le mani, ne sorb avidamente una sorsata, versandosene addosso la met; ma la risput immediatamente con una smorfia di disgusto, urlando di rabbia: In nome di Dio! acquavite!. Allora l'interno, a un cenno del medico, gli diede da bere dell'acqua, senza lasciargli in mano la caraffa. Coupeau mand gi il primo sorso urlando come se avesse inghiottito del fuoco. acquavite, mio Dio! acquavite!. Dal giorno prima, tutto quello che beveva era acquavite. Il che raddoppiava la sua sete; ma non poteva pi bere, perch tutto lo bruciava. Gli avevano portato una minestrina; ma evidentemente avevano deciso di avvelenarlo, perch anche la minestrina sapeva di acquavite. Il pane era acido e guasto. Non c'era che veleno attorno a lui. La cella puzzava di zolfo. Accusava perfino la gente di sfregargli dei fiammiferi sotto il naso per appestarlo. Il medico s'era risollevato e ascoltava Coupeau, che sembrava vedere di nuovo dei fantasmi in pieno giorno. Credeva di scorgere sul muro delle ragnatele grandi come vele di bastimento! Poi quelle vele diventavano delle reti le cui maglie si restringevano e si allungavano, uno strano gingillo! Delle palle nere correvano fra le maglie, delle palle da illusionista, dapprima grosse come palle da biliardo, poi grosse come pallottole; e si gonfiavano, si rimpicciolivano, soltanto per irritarlo. Tutt'a un tratto grid: Oh! i sorci, ecco di nuovo i sorci!. Le palle si erano trasformate in sorci. Quei luridi animali si

facevano sempre pi grossi, passavano attraverso la rete, saltavano sul materasso, per poi svanire nel nulla. C'era anche una scimmia che usciva dal muro, che rientrava nel muro, facendoglisi ogni volta sempre pi vicina, tanto che era costretto a indietreggiare, per paura che gli sgranocchiasse il naso. All'improvviso la scena cambi ancora; i muri dovevano traballare, perch non faceva che ripetere, strozzato dal panico e dal furore: E va bene! fatemi pure saltare, me ne infischio!... Ahi! che stamberga!... Ahi! per terra!... S, suonate le campane, manica di corvi!... Suonate l'organo per non farmi chiamare le guardie!... E hanno messo qualcosa dietro il muro, quelle canaglie! una macchina! La sento brontolare... Ci vogliono far saltare in aria... Al fuoco! in nome di Dio! al fuoco! Si grida al fuoco! Ecco che tutto avvolto dalle fiamme! Oh! tutto s'illumina, tutto s'illumina! Il cielo tutto un incendio, fuochi rossi, fuochi verdi, fuochi gialli... Aiuto! soccorretemi! Al fuoco!. Le sue grida si smorzavano in un rantolo. Non biascicava pi che parole sconnesse, con la bava alla bocca, il mento fradicio di saliva. Il medico si stropicciava il naso con un dito, un tic che gli doveva essere abituale di fronte ai casi pi gravi. Si volt verso l'interno, e gli domand sottovoce: E la temperatura, sempre quaranta gradi, vero?. S, signore. Il medico fece una smorfia. Si trattenne per altri due minuti, guardando Coupeau. Poi scosse le spalle, e aggiunse: Lo stesso trattamento: brodo, latte, limonata, estratto molle di china in pozione... Non lasciatelo mai solo, e fatemi chiamare. Usc. Gervaise lo segu, per domandargli se non c'era pi speranza. Ma il medico camminava cos spedito nel corridoio, che non os fermarlo. Rest impalata per qualche istante, in dubbio se rientrare a vedere il suo uomo. Quelle scene le sembravano difficili da digerire. Alla fine, sentendolo ancora gridare che la limonata sapeva di acquavite, fil via senza esitare, avendone fin sopra i capelli anche di quella sola rappresentazione. Per strada, il galoppo dei cavalli e il rumore delle carrozze le fecero credere che tutta Sainte-Anne la stesse inseguendo. E quel medico che l'aveva minacciata! Le sembrava gi d'essere in fin di vita. In rue de la Goutte-d'Or, i Boche e gli altri aspettavano naturalmente il suo ritorno. Quando comparve sotto il portone, la invitarono a entrare nella portineria. E allora? possibile che pap Coupeau resistesse ancora? Mio Dio! davvero? reggeva sempre! Boche era stupefatto e ammutolito: aveva scommesso un litro di vino che pap Coupeau non arrivava fino alla sera. Come! non crepava ancora! E tutta la compagnia si stupiva, dandosi dei colpi sulle cosce. Che uomo gagliardo a resistere in quel modo! La signora Lorilleux calcol le ore: trentasei pi ventiquattro, sessanta ore! Accidenti! Gi sessanta ore che lavorava di gambe e di gola! Non s'era mai vista una faticaccia del genere. Ma Boche, che rideva a denti stretti rimpiangendo il suo litro, interrogava Gervaise con aria dubbiosa, le chiedeva se

era proprio sicura che il marito non avesse tolto il disturbo appena lei era uscita. Oh! no sgambettava con troppa energia! non ci pensava nemmeno ad andarsene! Allora Boche, con insistenza, la preg di rifare di nuovo il verso a Coupeau, cos, tanto per vedere. S, s, un'altra volta! a generale richiesta! La compagnia le diceva che sarebbe stata davvero gentile, perch c'erano due vicine che non avendo potuto vedere nulla il giorno prima, erano scese apposta per assistere alla sua rappresentazione. Il portinaio grid a tutti di accomodarsi; i presenti si spostarono dal centro della guardiola, con un fremito di curiosit, spingendosi l'un l'altro con i gomiti. Gervaise aveva intanto abbassato la testa. Aveva davvero paura di sentirsi male. Tuttavia, per non dar l'impressione che volesse farsi pregare, incominci a fare due o tre piccoli salti; ma si sentiva tutta strana, e si fece indietro: parola d'onore, non riusciva proprio a farlo! Si ud un mormorio di disappunto: che peccato! l'imitava alla perfezione! Ma insomma! se non poteva, non poteva! E mentre Virginie ritornava nella sua bottega, il resto della compagnia si dimentic di pap Coupeau, e si mise a parlare con grande partecipazione delle vicende di casa Poisson, una vera babilonia, ormai. Il giorno prima erano venuti gli ufficiali giudiziari; la guardia municipale stava per perdere il suo posto; quanto a Lantier, si era messo a corteggiare la figlia del trattore accanto, una magnifica femmina che sognava di metter su una tripperia. Diamine! era davvero da ridere! Si immaginavano gi la trippaia sistemata nella bottega: dopo le ghiottonerie, ci voleva proprio qualcosa di pi sostanzioso! Quel cornuto di Poisson faceva davvero una gran bella figura in quella vicenda. Come mai un uomo, il cui mestiere richiedeva di star sempre sul chi vive, poteva mostrarsi tanto babbeo in casa propria? Ma tutti s'azzittirono di colpo accorgendosi che Gervaise, che non guardavano pi, si era messa a fare il verso a Coupeau, sola sola in fondo alla guardiola, agitando i piedi e le mani. Brava! era quel che volevano, non chiedevano di pi. Gervaise rest inebetita, come se si destasse da un sogno. Poi se ne and in fretta. Buonanotte a tutta la compagnia! Tornava a casa sperando di dormire. L'indomani i Boche la videro uscire a mezzogiorno, come gli altri due giorni. Le augurarono buon divertimento. Quel giorno, a Sainte-Anne, il corridoio tremava per le grida e i calci di Coupeau. Gervaise s'aggrappava ancora alla ringhiera delle scale, quando lo sent urlare: Oh! quanti farabutti!... Venite un po' da questa parte, che vi possa fare a pezzi!... Ah! mi vogliono accoppare, ah! farabutti!... Io valgo pi di tutti voi messi assieme! Fuori dai piedi, Cristo santo!. Gervaise si ferm per qualche istante a riprender fiato davanti alla porta. Coupeau si stava dunque battendo contro un intero esercito! E quando finalmente entr, la scena che le apparve era nel pieno d'un magnifico crescendo. Coupeau era ormai pazzo furioso, un evaso da Charenton! Si dibatteva al centro della cella, menando le mani dappertutto, su di s, sulle pareti, per terra, rovesciandosi, battendo nel vuoto; e voleva aprire la finestra, e si nascondeva, si difendeva, chiamava,

rispondeva, facendo tutto da solo quel pandemonio, con l'aria disperata d'un uomo assalito da una turba di gente. Poi Gervaise cap che il marito si immaginava d'essere su un tetto, a mettere delle lamine di zinco. Faceva da mantice con la bocca, rigirava i ferri nel fornello, si metteva in ginocchio passando il pollice sui bordi dello stuoino, credendo di saldarli. S, il suo mestiere gli ritornava in mente proprio al momento di crepare; e se urlava cos forte, se si batteva a pugni e a calci sul tetto, era perch dei brutti ceffi gli impedivano d'eseguire in santa pace il lavoro. Su tutti i tetti vicini c'erano delle canaglie che lo offendevano. Per di pi quegli smargiassoni gli mandavano branchi di sorci fra le gambe. Ah! quelle sudice bestie! le vedeva sempre! Per quante ne uccidesse stropicciando il piede a terra con tutte le sue forze, ne passavano di continuo, bande e bande di sorci che coprivano di nero il tetto. E non mancavano nemmeno i ragni! Si stringeva con violenza i pantaloni, per schiacciare contro le cosce dei ragni enormi che gli correvano sulle gambe. Fulmini del cielo! non sarebbe mai riuscito a finire la sua giornata di lavoro; lo volevano rovinare, il principale l'avrebbe mandato a Mazas! Allora, per fare pi in fretta, si immagin d'avere una macchina a vapore nel ventre; con la bocca spalancata, mandava fuori una specie di fumo, un fumo denso che riempiva la cella e usciva dalla finestra; e piegato, senza smettere di soffiare, seguiva con lo sguardo la striscia di fumo che si dissolveva all'aria aperta, saliva verso il cielo, andava a coprire il sole. Toh!, grid, la banda della chausse Clignancourt; sono tutti travestiti da orsi in pompa magna.... Restava accovacciato davanti alla finestra, come se stesse guardando un corteo dall'alto di un tetto. Ecco la cavalcata! ci sono dei leoni e delle pantere che fanno delle smorfie... Vedo dei marmocchi vestiti da cani e da gatti... C' Clmence, ha la zazzera tutta piena di piume. Ah! perdio! fa le capriole, mostra tutto il suo ben di Dio!... Ascolta, carina, bisogna svignarcela... Eh! manica di sbirri, lasciatela stare!... Non sparate, in nome di Dio! vi dico di non sparare!.... La sua voce saliva rauca, spaventata, mentre il suo corpo s'abbassava di scatto; e continuava a ripetere che la polizia e i soldati erano appostati sulla strada, puntandogli addosso i fucili. Nel muro c'era la canna d'una pistola che lo mirava al petto. Volevano portargli via la figlia. Non sparate, in nome di Dio! non sparate!. Poi le case crollavano; Coupeau imitava lo schianto di un quartiere che sprofonda; e tutto spariva, tutto si dileguava nel nulla. Ma non aveva nemmeno il tempo di riprender fiato; altri quadri si succedevano, uno dopo l'altro, con una velocit straordinaria. Una smania forsennata di parlare gli riempiva la bocca di parole sconnesse, che gli uscivano dalla gola con un sordo gorgoglio. Alzava sempre la voce. Toh! sei tu, buongiorno!... Niente scherzi! non mi far mangiare i capelli.... E si passava la mano sul viso, sbuffava come per scostare dei peli. L'interno lo interrog: Chi vedete?. Mia moglie, perbacco!.

Guardava il muro, voltando le spalle a Gervaise. Quest'ultima, impaurita, fiss il muro a sua volta, immaginandosi per un attimo che davvero il marito la potesse vedere sulla parete. Coupeau continuava a delirare: Ma che ti credi? non mi infinocchi!... Non voglio che mi leghino... Oh! diavolo! come sei bella, sei proprio elegante! Come ti sei guadagnata un vestito del genere, vacca che non sei altro? Battendo il marciapiede, ne sono sicuro, brutta puttana! Vieni qua, che ti concio per le feste!... Ehi! nascondi il tuo ganzo dietro le gonnelle! Ma chi ? Fa' un bell'inchino, per farmi vedere... In nome di Dio! ancora lui!. E con un balzo terribile and a sbattere la testa contro l'imbottitura della parete, che attut il colpo. Si sent rimbalzare il suo corpo sullo stuoino, dove l'urto l'aveva gettato. E adesso chi vedete?, domand ancora l'interno. II cappellaio! Il cappellaio!, url Coupeau. E avendo l'interno interpellato Gervaise, quest'ultima borbott senza rispondere, perch quella scena le faceva sentire di nuovo tutte le vergogne della sua vita. Lo zincatore protendeva i pugni. A noi due, ragazzo mio! Bisogna che ti elimini una volta per tutte! Ah! vieni cos, come se niente fosse, con questa baldracca sotto il braccio, per farti gioco di me davanti alla gente. Bene! ma io ti strozzo, s, s, io! e senza nemmeno mettermi i guanti!... Non far tanto lo sbruffone! Beccati un po' questo... Vittoria! vittoria! vittoria!. Scagliava pugni nel vuoto. Allora un nuovo furore lo assal. Avendo incontrato il muro indietreggiando, pens che l'attaccassero alle spalle. Si rivolt, si accan contro la parete imbottita. Rimbalzava e saltava da un angolo all'altro, sbatteva il ventre, le natiche, le spalle; cadeva a terra, si rialzava. Le sue ossa si rammollivano, le carni avevano un rumore come di stoppa bagnata. E accompagnava questo bel gioco con atroci minacce, con grida gutturali e selvagge. Tuttavia la battaglia doveva mettersi male per lui. Il suo respiro si faceva pi corto, gli occhi gli uscivano dalle orbite; sembrava in preda a un terrore infantile. All'assassino! All'assassino!... Levatevi dai piedi tutti e due! Oh! che porci! guardate come se la spassano! Eccola a gambe all'aria, quella puttana!... Deve morire, deciso... Ah! che brigante! la massacra! Le fa a pezzi una gamba con il coltello. L'altra gamba per terra, il ventre aperto in due, pieno di sangue... Oh! mio Dio! oh! mio Dio! oh! mio Dio!. E fradicio di sudore, con i capelli ritti sulla fronte, spaventoso a vedersi, se ne and camminando a ritroso, agitando con violenza le mani e le braccia, come per allontanare da s quell'orribile spettacolo. Dopo essersi lamentato per due volte in modo straziante, cadde sul materasso, in cui i suoi piedi avevano incespicato. Signore, signore, morto!, disse Gervaise a mani giunte. L'interno s'era avvicinato, tirando Coupeau fino al centro del materasso. No, non era morto. Gli avevano levato le scarpe; i suoi piedi nudi uscivan di fuori, e ballavano soli soli, l'uno accanto all'altro, a tempo, una piccola danza veloce e regolare.

In quel momento entr il primario. Era in compagnia di due colleghi, uno magro e uno grasso, decorati come lui. Tutti e tre si piegarono senza dir nulla, esaminando il corpo di Coupeau dappertutto; poi si consultarono, parlando sottovoce e rapidamente. Lo avevano scoperto dalle cosce fino alle spalle. Gervaise, sollevandosi sulla punta dei piedi, vedeva quel torso nudo disteso e messo in mostra. Ecco! era finita! il tremito era sceso dalle braccia e salito dalle gambe; il tronco stesso ne era ormai agitato. La marionetta si dava alla pazza gioia anche con il ventre. Erano come delle risatine che scorrevano lungo le costole, tutto un sobbalzo delle trippe, che sembravano crepare dal ridere. E nessun punto del corpo era in riposo. I muscoli oscillavano e guizzavano, la pelle vibrava come quella d'un tamburo, i peli ballavano salutandosi. Insomma, era il momento dell'ultima baraonda, del gran galoppo finale, quando compaiono le prime luci del giorno e tutti i ballerini battono i tacchi tenendosi per mano. Dorme, mormor il primario. E fece notare la faccia dell'ammalato agli altri due. Coupeau, con le palpebre chiuse, aveva delle piccole scosse nervose che gli tiravano il volto. Appariva ancora pi orribile, schiacciato com'era, con la mascella sporgente, con la maschera sformata di un morto che avesse avuto degli incubi. Ma i medici, essendosi accorti dei piedi, andarono a metterci il naso sopra, con aria di profondo interesse. I piedi continuavano a ballare. Oh! il loro padrone poteva anche russare, la cosa non li riguardava; mantenevano il loro tran tran regolare, senza affrettarsi, senza rallentare. Dei veri piedi automatici, dei piedi che prendevano il piacere l dove lo trovavano. Gervaise, avendo visto i medici metter le mani sul busto del suo uomo, lo volle tastare a sua volta. Si avvicin pian pianino, gli pose una mano sulla spalla, e ve la lasci per un minuto. Mio Dio! che stava succedendo l dentro? Tutto ballava fino al pi profondo della carne; perfino le ossa sembravano saltare. Dei fremiti, delle ondulazioni, venivano da lontano, scorrevano come un fiume sotto la pelle. Quando pigiava un poco, sentiva le grida di dolore del midollo. A occhio nudo si vedevano soltanto le piccole onde che scavavano delle fossette, come alla superficie d'un mulinello; ma all'interno lo sfacelo doveva ormai essere completo. Che diabolico lavorio! un lavorio da talpe! Era l'acquavite dell'Assommoir a dar zappate a fondo. Il corpo intero ne era imbevuto. E diamine! bisognava che quel lavorio si compisse, sbriciolando Coupeau, portandolo via nel tremolio generale e continuo di tutta la carcassa. I medici se ne erano andati. In capo a un'ora Gervaise, rimasta sola con l'interno, domand di nuovo sottovoce: Signore, signore, morto?. Ma l'interno, che guardava i piedi, disse di no con la testa. I piedi nudi, fuori dal letto, danzavano sempre. Non erano affatto puliti, e avevano le unghie lunghe. Passarono altre ore. Tutt'a un tratto s'irrigidirono, rimasero immobili. Allora l'interno si volt verso Gervaise, e disse: finita!. Soltanto la morte gli aveva fermato i piedi.

Quando Gervaise torn in rue de la Goutte-d'Or, trov dai Boche delle comari che schiamazzavano ad alta voce. Pens che l'aspettassero come gli altri giorni, per aver notizie. Se ne andato, disse spingendo tranquillamente la porta, con un'espressione smorta e inebetita. Ma non le davano retta. Tutto il caseggiato era sottosopra. Oh! davvero una storia impagabile! Poisson aveva sorpreso la moglie con Lantier. Non si sapeva esattamente come fossero andate le cose, perch ognuno aveva la sua versione. Insomma, era piombato su di loro quando meno se lo aspettavano. E venivan fuori dei particolari che le signore si ripetevano stringendo le labbra. Una scena del genere, naturalmente, aveva fatto uscire Poisson fuori dai gangheri. Una vera tigre! Quell'uomo tutt'altro che ciarliero, e che sembrava camminare con un bastone nel sedere, si era messo a ruggire e a spiccar salti. Poi non si era sentito pi nulla. Lantier doveva aver spiegato tutta la faccenda al marito. Del resto, la cosa non poteva durare pi a lungo. E Boche annunziava che la figlia del trattore accanto avrebbe sicuramente rilevato la bottega, per metter su la sua famosa tripperia. Quel volpone di Lantier adorava le trippe. Gervaise, vedendo arrivare la signora Lorilleux e la signora Lerat, ripet fiaccamente: Se ne andato... Mio Dio! quattro giorni a dimenarsi e urlare.... Allora le due sorelle non poterono fare altro che tirar fuori il fazzoletto. Il fratello aveva senza dubbio avuto dei torti, ma insomma! era pur sempre un fratello. Boche alz le spalle, dicendo a voce abbastanza alta da esser sentito da tutti: Bah! un ubriacone di meno!. Da quel giorno, poich Gervaise perdeva spesso la testa, uno dei divertimenti del caseggiato era di vederla fare il verso a Coupeau. Non c'era pi bisogno di pregarla; dava lo spettacolo gratis, tremando con i piedi e con le mani, mandando fuori piccoli gridi involontari. Probabilmente aveva preso questo tic a Sainte-Anne, a forza di guardare Coupeau. Ma non era fortunata, non ne crepava come lui. Si limitava a certe smorfiacce da scimmia scappata dalla gabbia, che le facevano tirare addosso dei torsoli di cavolo dai monelli per strada. Gervaise dur cos per mesi. Rotolava sempre pi in basso; accettava gli ultimi insulti, moriva di fame ogni giorno di pi. Quando aveva due soldi, beveva e dava i numeri. Il quartiere le affidava le commissioni pi disgustose. Una sera avevano scommesso che non avrebbe mangiato una cosa da dare il voltastomaco; ma aveva mandato gi tutto, per guadagnare dieci soldi. Il signor Marescot si era deciso a scacciarla dalla camera del sesto piano. Ma poich avevano trovato morto pap Bru sotto le scale, in quel suo lurido buco, il padrone di casa si era degnato di lasciarle almeno quella tana. Gervaise viveva adesso nel bugigattolo di pap Bru. Era l dentro, coricata su della vecchia paglia, che batteva i denti, con la pancia vuota e le ossa ghiacciate. La terra non voleva ancora saperne di lei, a quanto pareva. Si rimbecilliva, non le veniva nemmeno pi in mente di buttarsi dal sesto piano sulle lastre del cortile, per farla

finita. La morte doveva prenderla un po' per volta, un pezzo dopo l'altro, trascinandola fino all'estremo limite della sua maledetta esistenza. Non si cap mai di preciso di cosa fosse morta. Parlarono d'un colpo di freddo. Ma la verit era che moriva di miseria, di sudiciume; moriva per le fatiche della sua vita rovinata. Crep di svaccamento, secondo l'espressione dei Lorilleux. E una mattina, sentendo che qualcosa puzzava nel corridoio, si ricordarono che non l'avevano vista da due giorni; la trovarono gi verde, nella sua tana. Fu naturalmente pap Bazouge a venire con la cassa dei poveri sotto il braccio, per imballarla. Anche quel giorno era ubriaco fradicio, ma sempre di buonumore e allegro come un fringuello. Quando ebbe riconosciuto la cliente con la quale doveva trattare, si abbandon alle sue riflessioni filosofiche, dandosi da fare attorno alla bara. Tutti se ne vanno... Non c' bisogno di spingere, c' posto per tutti... Ed stupido aver fretta, perch ci si arriva comunque anche andando adagio... Io non cerco di meglio che far piacere agli altri. C' qualcuno che vuole e qualcuno che non vuole. Fate un po' voi, se ci capite meglio di me... Eccone una che prima non voleva, ma alla fine ha voluto. E allora l'hanno fatta aspettare... Insomma, ce l'ha fatta! e se l' davvero meritato! Su, via, allegri!. E quando afferr Gervaise con le sue nere manacce, si sent intenerire; sollev con delicatezza la donna che aveva avuto una cos lunga cotta per lui. Poi, stendendola sul fondo della bara con una cura quasi patema, balbett fra un singulto e l'altro: Lo sai... ascoltami... sono io, Bibi-la-Gaiet, mi chiamano il consolatore delle signore... Vai, sii felice. Fa' la nanna, mia bella!.

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