Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
CAPITOLO XXVI
Dell’educazione dei fanciulli
A Madama Diane de Foix, Contessa de Gurson1
[A] Non ho mai visto un padre che, per quanto tignoso o gobbo fosse suo
figlio, non lo riconoscesse per suo. Non già che non si accorga del difet-
to, a meno che l’affetto non l’abbia completamente accecato; ma tant’è,
è suo. Così io vedo meglio di chiunque altro che queste non son che le
fantasticherie d’un uomo che delle scienze ha assaggiato solo la crosta
esteriore, nella sua fanciullezza, e ne ha ritenuto solo un’immagine gene-
rica e informe: un po’ di ogni cosa e niente del tutto, alla francese. Perché,
insomma, io so che c’è una medicina, una giurisprudenza, quattro parti
della matematica, e all’ingrosso di che cosa trattano. [C] E forse conosco
anche la pretesa delle scienze in generale di esser d’utilità alla nostra vita.
[A] Ma andare più a fondo, essermi logorato sui libri studiando Aristotele,
sovrano della scienza moderna, o essermi intestato su qualche scienza,
questo non l’ho mai fatto; [C] e non c’è arte di cui saprei tratteggiare
nemmeno i primi lineamenti. E non c’è ragazzo delle classi medie che
non possa dirsi più sapiente di me, che non so neppure quanto basta a
interrogarlo sulla sua prima lezione, almeno secondo la lettera. E se mi ci
obbligano, sono costretto, assai goffamente, a tirarne fuori qualche argo-
mento di discorso più generale, in base al quale esamino il suo ingegno
naturale. Lezione che è loro tanto sconosciuta quanto la loro a me. Non
mi sono familiarizzato con nessun libro solido, eccetto Plutarco e Seneca,
ai quali attingo come le Danaidi, empiendo e versando senza posa. Ne
metto qualcosa in questi fogli; in me, men che nulla. [A] La storia è più
di mio genio, o la poesia, che amo di un particolare amore. Infatti, come
diceva Cleante,2 allo stesso modo che la voce, compressa nella stretta can-
na di una tromba, esce più acuta e più forte, così mi sembra che la frase,
costretta nei metri armoniosi della poesia, prenda uno slancio e una forza
maggiori e mi colpisca con più fiera scossa. Quanto alle facoltà naturali
che sono in me, e che qui son messe alla prova, le sento piegare sotto il
peso. I miei pensieri e il mio giudizio procedono a tastoni, tentennando,
vacillando e inciampando. E quando sono andato più avanti che ho potu-
to, non mi son sentito per nulla soddisfatto. Vedo ancora altre terre più in
là, ma in una visione confusa e in una nebbia che non riesco a dissipare. E
261
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
263
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
265
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
dal vostro grembo (siete troppo generosa per cominciare altrimenti che
con un maschio).7 Di fatto, io, che ho avuto tanta parte alla conclusione
del vostro matrimonio,8 ho qualche diritto e qualche interesse alla gran-
dezza e prosperità di tutto quello che ne verrà; oltre che l’antica potestà
che avete sui miei servigi9 mi obbliga di per sé a desiderare onore, bene
e fortuna a tutto quello che vi riguarda. Ma, in verità, sono edotto solo
di questo: che la maggiore e più grave difficoltà della scienza umana par
che s’incontri proprio là dove si tratta dell’educazione e dell’istruzio-
ne dei fanciulli. [C] Come nell’agricoltura le operazioni che precedono
il piantare sono determinate e facili, e così il piantare medesimo. Ma
quando ciò che è stato piantato comincia a vivere, per farlo crescere si ha
una gran varietà di modi e molte difficoltà: così per gli uomini, ci vuol
poca abilità a piantarli, ma dopo che sono nati ci si addossa un compito
diverso, pieno di affanni e di ansie, per educarli e allevarli. [A] I segni
delle loro inclinazioni son così tenui in questa prima età, e così oscuri,
le promesse così incerte e fallaci, che è difficile stabilire su queste un
giudizio sicuro. [B] Guardate Cimone, guardate Temistocle e mille al-
tri, come hanno smentito se stessi. I piccoli degli orsi, dei cani, rivelano
chiaramente la loro inclinazione naturale; ma gli uomini, immergendosi
immediatamente fra usanze, opinioni, leggi, mutano o si mascherano fa-
cilmente. [A] Eppure è difficile forzare le propensioni naturali. Da que-
sto deriva che non avendo ben scelto la loro strada, spesso ci si affatica
per nulla e si impiega molto tempo a indirizzare i fanciulli a cose nelle
quali non possono riuscire. Tuttavia, in tale difficoltà, la mia opinione è
che si debba avviarli sempre alle cose migliori e più giovevoli, e che si
debbano trascurare quei leggeri indizi e quei pronostici che si traggono
dagli atteggiamenti della loro infanzia. [C] Anche Platone, nella Repub-
blica, mi pare che dia loro molta importanza.10
[A] Madama, la scienza è un grande ornamento e uno strumento di stra-
ordinaria utilità, specialmente per le persone allevate in un rango sociale
pari al vostro. In verità, essa non trova mai il suo vero impiego in mani
vili e volgari. È ben più fiera di fornire i propri mezzi per condurre una
guerra, comandare un popolo, conquistare l’amicizia d’un principe o
d’una nazione straniera, che per metter su un’argomentazione dialettica,
perorare una petizione o ordinare una quantità di pillole. Quindi, Ma-
dama, siccome credo che non dimenticherete questa parte nell’educazio-
ne dei vostri, voi che ne avete assaporato la dolcezza, e che appartenete a
267
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
una stirpe di letterati – infatti abbiamo ancora gli scritti di quegli antichi
conti de Foix dai quali il signor conte, vostro marito, e voi stessa siete
discesi; e Francesco, signore de Candale, vostro zio, ne produce ogni
giorno altri che prolungheranno per parecchi secoli la fama di tale qua-
lità della vostra famiglia11 –, voglio dirvi a questo proposito una sola idea
che ho contraria alle opinioni correnti: è quanto posso offrire in vostro
servizio su questo argomento. Il compito del precettore che gli darete,
dalla scelta del quale dipende tutto il risultato della sua educazione, ha
parecchi altri aspetti importanti, ma non me ne occuperò, perché non
saprei apportarvi nulla di valido; e su questo punto, sul quale mi per-
metto di dirgli il mio parere, mi darà ascolto in ciò che gli sembrerà
ragionevole. Per un figlio di buona famiglia che si volga alle lettere, non
per guadagno (perché uno scopo tanto abietto è indegno della grazia e
del favore delle Muse, e poi riguarda altri e dipende da altri), e non tanto
per i vantaggi esteriori quanto per i suoi personali, e per arricchirsene e
ornarsene nell’intimo, se si desidera farne un uomo avveduto piuttosto
che un dotto, vorrei anche che si avesse cura di scegliergli un precetto-
re che avesse piuttosto la testa ben fatta che ben piena, e che si richie-
dessero in lui ambedue le cose, ma più i costumi e l’intelligenza che la
scienza. E che nel suo ufficio egli si conducesse in una maniera nuova.
Non si smette di blaterarci negli orecchi, come si versa in un imbuto, e il
nostro compito è soltanto ridire quello che ci è stato detto. Vorrei che egli
correggesse questo punto; e che fin dal principio, secondo le possibilità
dell’animo che gli è affidato, cominciasse a metterlo alla prova, facendogli
gustare le cose, sceglierle e discernerle da solo. A volte aprendogli la stra-
da, a volte lasciandogliela aprire. Non desidero che inventi e parli lui solo,
desidero che ascolti il suo discepolo parlare a sua volta. [C] Socrate e in
seguito Arcesilao facevano prima parlare i loro discepoli, e poi parlavano
loro.12 Obest plerumque iis qui discere volunt auctoritas eorum qui docent.I 13
È bene che egli se lo faccia trottar davanti per giudicare la sua andatura, e
giudicare fino a che punto debba abbassarsi per adattarsi alle sue forze. Se
manca questa proporzione, guastiamo tutto; e saperla trovare, e regolarsi
di conseguenza con giusta misura, è uno dei più ardui compiti che io cono-
sca; ed è prerogativa di un’anima nobile e assai forte saper secondare la sua
andatura di fanciullo e guidarla. Io cammino più sicuro e più saldo in sali-
I
L’autorità di coloro che insegnano nuoce spesso a coloro che vogliono imparare
269
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
I
Non si governano mai da soli
271
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
sumus sub rege; sibi quisque se vindicet.I 17 Che, almeno, egli sappia che
sa. [A] Bisogna che assorba i loro umori, non che impari i loro precetti.
E che dimentichi pure arditamente, se vuole, da dove li ha presi, ma che
sappia appropriarseli. La verità e la ragione sono comuni a ognuno, e non
sono di chi le ha dette prima più di chi le ha dette poi. [C] Non è secondo
Platone più che secondo me, dal momento che lui ed io l’intendiamo e la
vediamo allo stesso modo. [A] Le api predano i fiori qua e là, ma poi ne
fanno il miele, che è tutto loro, non è più timo né maggiorana: così quello
che ha preso da altri, egli lo trasformerà e lo fonderà per farne un’opera
tutta sua, ossia il suo giudizio. La sua istruzione, il suo lavoro e il suo
studio non mirano che a formarlo. [C] Tenga nascosto tutto ciò che gli si
è insegnato e manifesti solo ciò che ne ha fatto. Quelli che depredano,
quelli che prendono, mettono in mostra le loro opere, i loro profitti, non
quello che traggono da altri. Voi non vedete gli onorari di un giudice,
vedete le parentele che ha stretto e gli onori che ha procurato ai suoi figli.
Nessuno mette in pubblico i propri proventi; ognuno vi mette il proprio
avanzamento. Il guadagno del nostro studio è esserne divenuto migliore
e più saggio. [A] Diceva Epicarmo,18 è l’intelletto che vede e ode, è l’in-
telletto che approfitta di tutto, che organizza tutto, che agisce, domina
e regna: tutte le altre cose sono cieche, sorde e senz’anima. Certo noi lo
rendiamo servile e codardo, se non gli lasciamo la libertà di fare alcun-
ché da solo. Chi ha mai domandato al proprio discepolo che cosa gliene
sembri della retorica e della grammatica, di questa o quella sentenza di
Cicerone? Ce le appiccicano alla memoria tutte adorne di piume, come
oracoli dove le lettere e le sillabe sono la sostanza della cosa. [C] Sapere
a memoria non è sapere: è conservare ciò che si è dato in custodia alla
propria memoria. Di quello che si sa direttamente se ne dispone, senza
guardare al modello, senza volger gli occhi al libro. Fastidiosa scienza,
una scienza puramente libresca. Mi auguro che serva di ornamento, non
di fondamento. Secondo il parere di Platone,19 il quale dice che la co-
stanza, la fede, la sincerità sono la vera filosofia, e le altre scienze, che
mirano ad altro, sono soltanto belletto. [A] Vorrei proprio che il Palvallo
o Pompeo,20 questi bei danzatori dei miei tempi, insegnassero le caprio-
le soltanto facendocele vedere, senza che ci muoviamo dai nostri posti,
come costoro vogliono istruire il nostro intelletto senza scuoterlo, [C] o
I
Non siamo sottoposti a un re; ognuno disponga di se stesso
273
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
I
che viva all’aria aperta e in mezzo alle inquietudini
275
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
I
il lavoro fa il callo contro il dolore
II
Si può essere saggi senza ostentazione, senza esosità
277
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
I
Se anche Socrate e Aristippo fecero qualcosa contro l’uso e la consuetudine, non deve
credere che gli sia lecito fare altrettanto: qualità grandi e divine autorizzavano in loro
questa licenza
II
Nessuna necessità lo costringe a difendere tutto ciò che sia prescritto e comandato
279
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
I
Quale terra sia indurita dal gelo o imputridita dalla calura, quale vento sia favorevole
per far vela verso l’Italia
281
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
natomia della filosofia, nella quale si penetrano le parti più astruse della
nostra natura. [A] Vi sono in Plutarco molti ragionamenti ben approfon-
diti, degnissimi d’essere conosciuti, perché, secondo me, egli è maestro in
tale arte. Ma ve ne sono mille che ha soltanto sfiorato. Accenna appena
col dito il cammino che seguiremo, se ci piacerà; e si contenta talvolta di
far solo un’allusione nel più vivo d’un argomento. Bisogna toglierle di lì e
metterle bene in vista. [B] Come quel suo motto31 che gli abitanti dell’Asia
erano schiavi di uno solo perché non sapevano pronunciare un’unica sil-
laba, che è no, dette forse materia e occasione a La Boétie per la sua Servi-
tude volontaire. [A] Il fatto stesso che trascelga dalla vita di un uomo un’a-
zione irrilevante o una parola che sembra non avere importanza: questo è
un ragionamento. È un peccato che gli uomini d’ingegno amino tanto la
brevità; certo ne profitta la loro reputazione, ma noi ne profittiamo meno;
Plutarco preferisce che lo esaltiamo per il suo giudizio più che per il suo
sapere; preferisce lasciarci desiderio di sé che sazietà. Egli sapeva che
anche nelle cose buone si può dir troppo, e che Alessandrida rimproverò
giustamente colui che teneva agli efori discorsi buoni ma troppo lunghi:
«Straniero, tu dici ciò che occorre diversamente da come occorre».32 [C]
Quelli che hanno il corpo gracile lo ingrossano con imbottiture: quelli
che hanno esile l’argomento, lo gonfiano con parole.
[A] Dal frequentare la gente si ricava una meravigliosa chiarezza per giu-
dicare gli uomini. Siamo tutti ristretti e rattrappiti in noi stessi, e non
vediamo più in là del nostro naso. Domandarono a Socrate di dove fosse.
Non rispose «di Atene», ma «del mondo».33 Lui, che aveva l’immagi-
nazione più ampia e più vasta, abbracciava l’universo come la sua città,
estendeva le sue conoscenze, la sua compagnia e i suoi affetti a tutto il ge-
nere umano. Non come noi che guardiamo soltanto sotto di noi. Quando
gelano le vigne nel mio villaggio, il mio prete ne argomenta che è l’ira
di Dio sulla razza umana, e giudica che i cannibali hanno già la pepita.
A vedere le nostre guerre civili, chi non grida che questa macchina va
sottosopra e che il giorno del giudizio ci sta addosso: senza pensare che
si sono viste parecchie cose peggiori e che le diecimila parti del mondo
non tralasciano frattanto di darsi bel tempo. [B] Io, se penso alla licenza
e all’impunità che portano con sé, mi meraviglio vedendole tanto dolci
e benigne. [A] A colui a cui grandina sulla testa sembra che tutto l’e-
misfero sia in tempesta e in burrasca. E quel savoiardo diceva34 che se
quello sciocco del re di Francia avesse saputo tirare la fortuna dalla sua,
283
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
285
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
I
che cosa sia lecito desiderare, che utilità abbia una moneta nuova; in quale misura ci si
debba dedicare alla patria e ai propri cari; quale dio ha voluto che tu fossi e che parte ti
ha assegnato nella vita umana; che cosa siamo e per che cosa siamo stati generati alla vita
II
E in che modo evitare o sopportare le pene
III
Osa essere saggio, comincia: chi rinvia il momento di vivere rettamente fa come il
contadino che aspetta che il fiume finisca di scorrere; ma esso scorre e scorrerà per tutta
l’eternità
IV
Quale sia l’influenza dei Pesci, dei segni ardenti del Leone, e del Capricorno che si
bagna nel mare d’Esperia
287
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
[A] la scienza degli astri e il moto dell’ottava sfera, prima dei loro propri:
Τί πλειάδεσσι κἀμοί;
Τί δ᾽ἀστράσι βοωτέω;I 40
[C] Anassimene scriveva a Pitagora: 41 «Con che coraggio posso perder
tempo dietro al segreto delle stelle, quando davanti agli occhi ho sempre
presente o la morte o la schiavitù?» (i re di Persia stavano infatti pre-
parando la guerra contro il suo paese). Ognuno deve dire così: agitato
dall’ambizione, dalla cupidigia, dalla temerità, dalla superstizione, e aven-
do dentro di me altri simili nemici della vita, mi metterò a pensare al moto
del mondo? [A] Dopo che gli sia stato insegnato quello che serve a farlo
più saggio e migliore, gli si spiegherà che cosa sono la logica, la fisica, la
geometria, la retorica; e avendo il giudizio già formato, verrà ben presto
a capo della scienza che sceglierà. La sua lezione si comporrà in parte di
conversazione, in parte di letture; talora il suo precettore gli fornirà diret-
tamente passi dell’autore idoneo al fine della sua istruzione; talora gliene
presenterà il midollo e la sostanza già masticati. E se, per conto suo, non
ha abbastanza dimestichezza coi libri per trovarvi tutti quei bei ragiona-
menti che vi sono, perché raggiunga il suo scopo si potrà mettergli vicino
qualche uomo di lettere, che ad ogni occorrenza gli fornisca le munizioni
che saranno necessarie, per distribuirle e dispensarle al suo allievo.
E che questa lezione sia più facile e naturale di quella di Gaza,42 chi può
metterlo in dubbio? Vi sono in quella precetti spinosi e sgradevoli, e
parole vane e scarne che non hanno alcuna presa, nulla che vi risvegli lo
spirito. In questa invece l’anima trova di che mordere e di che pascersi.
Questo frutto è senza paragone più grande, e tuttavia maturerà prima. È
molto strano che al nostro tempo le cose siano giunte al punto che la fi-
losofia è, anche per le persone d’ingegno, un nome vano e fantastico, che
non serve a nulla e non ha alcun pregio, sia in teoria sia in pratica. Credo
che ne siano causa quei cavilli che hanno invaso i suoi accessi. Si ha gran
torto a descriverla inaccessibile ai fanciulli, e con un viso arcigno, acci-
gliato e terribile. Chi me l’ha camuffata sotto questa maschera, esangue
e ripugnante? Non c’è nulla di più gaio, di più vivace, di più giocondo e,
direi quasi, burlone. Essa non predica che festa e buon tempo. Una cera
triste e sconsolata dimostra che non è qui la sua dimora. Il grammatico
Demetrio, incontrando nel tempio di Delfi una compagnia di filosofi se-
I
Che cosa m’importa delle Pleiadi e della costellazione di Boote?
289
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
I
io lancio
II
“peggio” e “meglio” ... “pessimo” e “ottimo”
III
Si può scorgere il tormento dell’animo nascosto in un corpo malato e così la gioia: il
volto riflette ambedue questi stati
291
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
293
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
ai giochi dei saltimbanchi; se per suo gusto non trova più piacevole e più
dolce tornare impolverato e vittorioso da un combattimento, piuttosto che
dal gioco della palla o dal ballo col premio di quella gara, non trovo altro
rimedio se non che al più presto il suo precettore lo strangoli, se non ci
sono testimoni, oppure che lo si metta a fare il pasticciere in qualche buo-
na città, fosse anche figlio di un duca, secondo il precetto di Platone49 per
cui bisogna collocare i ragazzi non secondo le possibilità del loro padre,
ma secondo le possibilità della loro anima.
[A] Poiché la filosofia è quella che ci insegna a vivere, e poiché, come tut-
te le altre età, anche la fanciullezza trova in essa di che imparare, perché
non le viene insegnata?
[B] Udum et molle lutum est; nunc properandus,et acri
Fingendus sine fine rota.I 50
[A] Ci insegnano a vivere quando la vita è passata. Cento scolari hanno
preso la sifilide prima di essere arrivati alla lezione di Aristotele sulla
temperanza. [C] Cicerone diceva51 che quand’anche avesse vissuto la vita
di due uomini, non avrebbe speso tempo a studiare i poeti lirici. Ed io
trovo questi cavilli ancor più tristemente inutili. Il nostro fanciullo ha
molta più fretta: all’istruzione deve soltanto i primi quindici o sedici anni
della sua vita; il rimanente è dovuto all’azione. Che un tempo così breve si
impieghi per dare l’istruzione necessaria. [A] Questi sono abusi: togliete
tutte quelle sottigliezze spinose della dialettica, da cui la nostra vita non
può trarre profitto, prendete i ragionamenti semplici della filosofia, sap-
piateli scegliere e trattare opportunamente: sono più facili a capirsi di una
novella di Boccaccio. Un bambino ci riesce appena uscito da balia, assai
più che a imparare a leggere o a scrivere. La filosofia ha ragionamenti
adatti all’infanzia degli uomini come alla loro decrepitezza. Io sono del
parere di Plutarco,52 che Aristotele non intrattenne tanto il suo grande
discepolo con l’arte di comporre sillogismi o con i principi di geometria,
quanto insegnandogli dei buoni precetti riguardo al valore, al coraggio,
alla magnanimità e alla temperanza e all’imperturbabilità. E, con questo
bagaglio, lo mandò ancora ragazzo a soggiogare l’impero del mondo con
soltanto trentamila fanti, quattromila cavalli e quarantaduemila scudi. Le
altre arti e scienze, egli dice, Alessandro le onorava, certo, e lodava la loro
I
L’argilla è umida e molle; presto, presto, affrettiamoci e modelliamola sull’agile ruota
che gira senza fine
295
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
eccellenza e finezza; ma, per quanto piacere vi prendesse, non era facile a
lasciarsi prendere dal desiderio di esercitarle:
[B] petite hinc, iuvenesque senesque,
Finem animo certum, miserisque viatica canis.I 53
[C] È quel che dice Epicuro all’inizio della sua lettera a Meniceo: «Il più
giovane non rifugga dal filosofare, né il più vecchio se ne stanchi. Chi
fa diversamente sembra dire o che per lui non è ancora tempo di viver
felicemente, o che non è più tempo».54
[A] Per tutte queste ragioni, non voglio che si imprigioni questo ragazzo.
Non voglio che lo si abbandoni all’umor melanconico d’un maestro di
scuola dissennato. Non voglio corrompere il suo spirito mettendolo alla
tortura e al lavoro, come fanno gli altri, quattordici o quindici ore al
giorno, come un facchino. [C] Né troverei ben fatto che, se per un certo
temperamento solitario e melanconico lo si vedesse dedicarsi con appli-
cazione eccessiva allo studio dei libri, si favorisse in lui questa tendenza.
Questo li rende inetti alla vita di società e li distoglie da occupazioni
migliori: e quanti uomini ho visto, durante la mia vita, istupiditi da
una smodata avidità di scienza! Carneade55 ci perse la testa al punto
che non si curò più di farsi la barba e di tagliarsi le unghie. [A] Né
voglio guastare i suoi nobili costumi con l’inciviltà e la barbarie altrui.
La saggezza francese è stata in antico proverbiale, come una saggezza
che cominciava di buon’ora e non durava. In verità vediamo ancora che
non c’è niente di così garbato come i bambini in Francia; ma di solito
essi deludono la speranza che se ne è concepita e, fatti uomini, non si
trova in loro alcuna eccellenza. Ho udito sostenere da persone di senno
che quei collegi dove vengono mandati, e di cui c’è dovizia, li abbru-
tiscono in tal modo. Per il nostro ragazzo, una camera, un giardino, la
tavola e il letto, la solitudine, la compagnia, il mattino e la sera, tutte
le ore saranno uguali, tutti i luoghi gli serviranno di studio: infatti la
filosofia, che, in quanto formatrice degli intelletti e dei costumi, sarà la
sua principale lezione, ha questa prerogativa di immischiarsi ovunque.
Tutti riconoscono che l’oratore Isocrate,56 pregato a una festa di parlare
della sua arte, ebbe ragione a rispondere: «Ora non è tempo di parlare
di ciò che so fare; e quello di cui ora è tempo, io non lo so fare». Di fatto
I
cercate qui, giovani e vecchi, un termine sicuro per il vostro spirito e un viatico per la
misera canizie
297
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
I
È utile ai poveri, è utile ai ricchi; e, trascurata, nuocerà ai fanciulli e ai vecchi
299
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
301
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
I
C’è una gran differenza fra non volere e non saper peccare
II
Ogni tipo di vita, di fortuna e di condizione convenne ad Aristippo
III
ammirerò colui che la pazienza riveste d’un panno avvoltolato, se si adatterà a una
mutata condizione di vita e sosterrà le due parti non senza garbo
IV
Più con la loro vita che per mezzo delle lettere hanno raggiunto la più grande di tutte
le arti, l’arte di viver bene
303
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
I
Come colui che fa della sua istruzione non un motivo di ostentazione, ma una regola di
vita, che sa obbedire a se stesso e osservare i suoi propri principi
305
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
I
Se si possiede l’argomento, le parole verranno facilmente
II
quando le cose hanno afferrato lo spirito, le parole vengono in folla
III
le cose stesse trascinano le parole
307
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
I
Di palato fino, ha però composto versi rozzi
II
[Anche se togli] il ritmo e la misura e inverti l’ordine delle parole facendo delle prime
le ultime e delle ultime le prime, sempre ritroverai le membra disperse del poeta
III
Fa più chiasso di quanto vale
309
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
I
sofismi contorti e sottili
II
o che non adattano le parole all’argomento, ma vanno a cercar fuori tema cose a cui le
parole possano applicarsi
III
Ci sono di quelli che per la bellezza di una parola che loro piace si lasciano indurre a
scrivere cose che non si erano proposti di scrivere
IV
Il miglior modo di parlare è quello che colpisce
311
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
tesa male, che indica una fierezza sdegnosa di tali ornamenti esteriori e
noncurante di ricercatezze. Ma la trovo ancor più al suo posto se è applicata
alla maniera di parlare. [C] Ogni affettazione, specie se si considera la gaiez-
za e libertà francese, è sconvenevole all’uomo di corte. E in una monarchia
ogni gentiluomo dev’essere educato alle maniere proprie di un uomo di
corte. Per questa ragione facciamo bene a inclinare un po’ alla spontaneità
e alla noncuranza. [A] Non mi piacciono i tessuti in cui sono evidenti le
aggiuntature e le cuciture, così come in un bel corpo non si devono poter
contare le ossa e le vene. [C] Quæ veritati operam dat oratio, incomposita sit
et simplex.I 95 Quis accurate loquitur, nisi qui vult putide loqui?II 96 L’eloquen-
za fa ingiuria alle cose, quando ce ne storna per attrarci a sé. Come negli
abiti di gala è una debolezza volersi distinguere per qualche foggia parti-
colare e inusitata, allo stesso modo, nel linguaggio, la ricerca di frasi nuove
e di parole poco conosciute deriva da un’ambizione puerile e pedantesca.
Potessi io non servirmi che di quelle che si usano al mercato a Parigi! Il
grammatico Aristofane dimostrava di non capire nulla, quando rimprove-
rava Epicuro per la semplicità delle sue parole:97 e lo scopo della sua arte
oratoria era unicamente la perspicuità di linguaggio. L’imitazione del modo
di parlare, per la sua facilità, viene immediatamente seguita da tutto un
popolo; l’imitazione del modo di giudicare, di immaginare, non va così alla
svelta. La maggior parte dei lettori, per aver trovato un vestito simile, pensa-
no molto erroneamente di possedere un corpo simile. La forza e i nervi non
si prendono a prestito, si prendono a prestito gli ornamenti e il mantello.
La maggior parte di quelli che mi frequentano parlano come i miei Saggi,
ma non so se pensino allo stesso modo. [A] Gli Ateniesi (dice Platone)98
hanno dal canto loro la cura dell’abbondanza e dell’eleganza nel parlare, gli
Spartani, della brevità, e quelli di Creta, della fecondità delle idee più che
del linguaggio: questi sono i migliori. Zenone diceva che aveva due specie
di discepoli: gli uni, che chiamava ϕιλολόγους, curiosi di imparare le cose,
che erano i suoi favoriti; gli altri λογοϕίλους, che non si curavano che del lin-
guaggio.99 Non si vuol dire con questo che il parlar bene non sia una bella e
buona cosa; ma non tanto buona come la si crede, e mi indispettisce che la
nostra vita sia tutta dedicata a questo. Io vorrei, prima di tutto, saper bene
la mia lingua e quella dei miei vicini con i quali ho rapporti più frequenti. Il
I
Il discorso che mira alla verità deve essere semplice e senz’arte
II
Chi parla accuratamente, se non colui che vuol parlare leziosamente?
313
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
315
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
317
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
319
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVI
I
Avevo appena raggiunto il dodicesimo anno
II
Rivela il suo progetto all’attore tragico Aristone: era questi un uomo di nascita e di
condizione onorevoli; e la sua professione non gli nuoceva, poiché non ha nulla di diso-
norante presso i Greci
321
SAGGI DI MICHEL DE MONTAIGNE LIBRO I, CAPITOLO XXVII
CAPITOLO XXVII
È follia giudicare il vero e il falso in base alla nostra competenza
I
Come inevitabilmente il piatto della bilancia è inclinato dal peso che vi si mette, così
l’animo deve cedere all’evidenza
323