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POÉSIES

ARTHUR RIMBAUD

“Il genio è il recupero della fanciullezza a volontà”


BAUDELAIRE Nasce a Parigi, il padre già vecchio muore e lui vive con la madre che si risposa.

A 21 anni entra in possesso dell'eredità del padre e inizia così la sua vita da DANDY, per poi sperperare tutte le sue
ricchezze cadere in rovina ma rifiutando sempre il lavoro. Quello che sin da piccolo turba Baudelaire è l'autorità del
suo padrino, il quale è un militare. Inizia così nei suoi confronti un atteggiamento di RIBELLISMO. L'occasione per
urlare a tutta la Francia l'odio per quest'uomo fu trovata dal poeta nel 48 quando salì sulle barricate. In un primo
momento rimane particolarmente affascinato da POE, perché vede nella sua biografia l'emblema dell'atteggiamento
antiborghese.

In lui scopre anche quel lato della psicologia che è la FOLLIA. In Baudelaire ritroviamo il TEMA DELL ‘ANGELO
CADUTO: il poeta è un angelo, nel senso che non è una figura umana, non pensa al denaro ma esalta l’eccesso.
Prima gli angelipoeti avevano un´aureola, cioè una funzione, come per esempio Foscolo che era vate; ora i poeti
sono costretti a cercare la loro aureola nel fango dove l´hanno perduta.

-Altra grande suggestione di Baudelaire è WAGNER, il musicista il quale scrive che: "sarebbe veramente strano che
il suono non potesse sopperire il dolore e che i colori non potessero dare l´idea di una melodia e che suono e colore
siano inefficaci a significare delle idee, le cose si sono sempre espresse mediante un´analogia reciproca dal giorno
in cui Dio ha creato il mondo come una complessa e INDIVISIBILE TOTALITÁ". Proprio da qui nasce l
´esaltazione della SINESTESIA, l´arte che si esprime attraverso l´indifferenza tra le varie sfere sensoriali.

-In Baudelaire troviamo l´oscillazione dell´uomo tra SPLEEN e IDEAL. L´ideal e´quello a cui l´uomo tende
ma dal quale è continuamente ricacciato sulla Terra, qui(sulla Terra) si trova lo spleen, cioè la noia, il tedio, la
patologia dell´anima. Nel Medioevo si pensava che ci fossero degli umori che girassero per il corpo, per esempio la
MELANCONIA, la quale tradizionalmente risiedeva appunto nella milza che è la traduzione di Spleen. Per cercare di
arrivare all´ideal il poeta si da all´alcool e alla droga: PARADISI ARTIFICIALI. Inoltre mentre la cittá viene vista dai
naturalisti come il fulcro del cambiamento ora Baudelaire la vede come l´incarnazione dello spirito
utilitaristico della borghesia. Nonostante tutto questo Baudelaire scrive versi che sono formalmente tradizionali,
non c´è nulla di innovativo.
-L´ALBATROSS —> Dei marinai per divertirsi decidono di catturare un albatross. Dopo averlo portato sulla nave
iniziano a deriderlo e sbeffeggiarlo. Questo animale, che è il re del cielo, una volta catturato pare maldestro perché
non è nel suo ambiente naturale. Allo stesso modo il poeta, esiliato in Terra(è un angelo caduto), viene deriso per il
suo essere diverso e superiore rispetto agli altri umani: è un incompreso.

-CORRISPONDANCE —> La NATURA ha una valenza sacra, come per Cicerone, in quanto manifestazione di DIO;
il poeta come un sacerdote riesce a comprenderla fino in fondo. Inoltre la natura è una FORESTA DI SIMBOLI, i
quali sta all´uomo decifrare. L´individuo per fare questo deve tornare all´unitá del tutto (parole di Wagner) grazie
alla SINESTESIA. Baudelaire fa un richiamo ai profumi: prima quelli che riconducono all´innocenza e poi quelli
orientali i quali riconducono alla sensualità e al peccato; nel momento in cui vengono percepiti si riesce a tendere all
´ideal. L´anima raggiunge l´infinito tramite l´espansione dei sensi(Rimbaud).

-SPLEEN —> Il malessere del poeta sta nella normalità. Probabilmente si tratta di una giornata di pioggia(coperchio) e
da qui nasce una sensazione di pesantezza fisica. È la pioggia stessa che costituisce il carcere da cui la speranza non
riesce ad evadere(similitudine con il pipistrello). I ragni probabilmente corrispondono alle sue turbe di
alcolizzato(microzoofobia). Le campane sarebbero un suono di festa ma diventano un urlo terrificante. A questo
mondo visionario di Baudelaire si contrappongono delle immagini estremamente terrene(coperchio, cranio...) e lo
spleen si esprime attraverso simboli ed immagini(coperchio, pipistrello,ali,pioggia,ragni,campane,funerale..). A

questa novità delle tematiche non si associa peró una innovazione stilistica, sono espresse in una forma poetica
tradizionale e perfetta.

-INVITO AL VIAGGIO —> Il viaggio di cui Baudelaire parla è in primo luogo indirizzato alla sua donna e rimanda ad
una DIMENSIONE ALTRA, la quale assume connotazioni esotiche; l´esotismo e´una componente giá fortissima nel
romanticismo. Troviamo una sorta di LEIT MOTIV(ritorno), un distico che torna. Le caratteristiche principali
espresse nella poesia sono il LUSSO, lui è un dandy, la VOLUTTÁ, la voluttà di Lucrezio che traduce il greco
"edoné" piacere sessuale. Il termine "sorella" è un richiamo ai testi orientali in cui le amanti venivano chiamate
sorelle. Ritroviamo anche il tema di EROS-THANATOS tipico di tutto il decadentismo e di Freud. La bellezza è
tale in quanto rara, per esempio i fiori e il mobilio antico. Una particolare importanza è data al
CROMATISMO, i colori diventano infatti referenti.

RIMBAUD : É considerato il poeta maledetto per eccellenza insieme al compagno Verlaine. Egli ha vissuto una vita
travagliata e ricca di forti esperienze, caratterizzata dal suo spirito di ribellione. Un esempio di ció lo troviamo
in ,,una stagione all´inferno" in cui parla del suo tumultuoso rapporto con Verlaine, il quale arriverá addirittura a
ferirlo sparandogli. Dopo un periodo passato in Francia, Rimbaud decide di trasfersi in Africa dove diventerá
mercante d´armi e forse anche di schiavi. Muore a seguito di un tumore osseo al ginocchio, dopo aver contratto la
sifilide e dopo aver abusato di droghe e alcool. La sua produzione letteraria si sviluppa solo tra i suoi 16 e 19 anni.

-LETTERA DEL VEGGENTE —> Scritta nel 1871. Rimbaud afferma che per essere poeta si deve essere prima di
tutto VEGGENTE, non passare mai per la razionalitá. I sensi non devono piú avere delle regole e degli schemi a cui
attenersi. Inoltre aggiunge che la sapienza é nell´inferno, nel criminale e nel maledetto. Il poeta in primo luogo deve
imparar a conoscere se stesso anche al costo di morire, ci saranno comunque altri che riprenderanno il suo il suo
cammino verso la conoscenza da dove lui lo ha lasciato.

-Rimbaud paga il suo conto nei confronti del romanticismo dicendo che i romantici erano dei veggenti ed
esalta Baudelaire, il quale però ha espresso il suo INCONSCIO in forma antica, non sapendo tradurre le sue
visioni in una lingua nuova. Il poeta viene paragonato a PROMETEO, il ladro del fuoco: TITANISMO. Riferimento
alle parole di Lucrezio in ,,Inno a Epicuro".

-IL BATTELLO EBBRO NOVITA`NEL LINGUAGGIO —> la grammatica viene meno cosí come la logica e la
sintassi.A parlare é il BATTELLO in prima persona, il quale é una metafora dell´uomo che si libera dalle briglie della
vita borghese. La scena forse si sta svolgendo in America e gli indiani potrebbero rappresentare cosí la ribellione
contro inglesi. Il battelo trasporta merci della SOCIETA´BORGHESE. Il mare e´pieno di cadaveri, se il mare
rappresenta la libertá significa che questa produce molte vittime. Ormai la guida del faro, che metaforicamente e´la
RAGIONE, non serve piu´. L´acqua pulisce la nave dal sangue e dalla sporcizia e oltre a fare questo porta via anche il
timone in modo che il battello possa essere ancora piú libero. É molto importante la ricerca del cromatismo. Troviamo
un lungo VIAGGIO del poeta e del battello: da questo ne derivano la libertá del simbolismo, il mare come poema e
quella reltá altra tanto cara al poeta che ancora non ha visto. Ritroviamo il profumo corrotto e oscuro come in
Baudelaire. Il battello conosce tutto ció che non e´normalitá sia nel bene che nel male dal momento che ora e´
lontano dalla realta´ borghese. Finalmente scopriamo verso la fine che il battello é ubriaco d´ACQUA, e se questa
viene considerata un elemento che richiama il sesso, é ubriaco di pulsione sessuale. Una volta che il battello ha
intreapreso questo viaggio alla ricerca di una dimensione altra non é impossibile tornare alle abitudini borghesi.

-VOCALI —> É un inno alla SINESTESIA, corrispondenze tra un suono e un colore generati in larga misura da
ricordi pregressi probabilmente infantili. Queste corrispondenze sono peró distanti dall´immaginazione comune.

-VERLAINE ARTE POETICA É un MANIFESTO DI POETICA, scritto da Verlaine mentre si trovaa in carcere
dopo l´aggressione a Rimbaud. Il verso imparisillabo , qui utilizzato, ha accenti metrici non regolari, non fissi. Il
poeta afferma che bisogna sempre scegliere la POLIEMIA e l´AMBIGUITA´. Ritorna il TEMA del VAGO tanto
caro ai romantici e in particolare a Leopardi(poetica dell´indefinito e del vago). Secondo i decadenti la poesia non
puó esprimere l´ironia, il sarcasmo, l´impegno. La regola deve essere uccisa e la poesia deve rispondere solo al
bisogno intimo del poeta. Le rime sono accettate ma non devono essere stucchevoli perché la poesia e´MUSICA non
meccanicitá: bisogna ,,STRANGOLARE L´ELOQUENZA". Inoltre viene distinta la poesia dalla letteratura: la

poesia é qualcosa di impalbabile di indefinita; da quest avrann seguito le parole di Benedetto Croce che parlerá di
poesia e non poesia, e il concetto di ,,art pour l´art". LANGUORE In questi versi Verlaine esprime la situazione di
stamchezza, di crisi di fiducia che contrassegna la fine dell´800 e che é alla base della ensibilitá decadente: é una
DICHIARAZIONE DI AUTOANALISI. Il poeta parla di decadenza dell´impero romano: decadenza di valori, di
energie e di umanitá non esiste nemmeno piú la poesia. Anche se laggiú c´é la vita e si potreebbe comabttere contro
gli invasori manca la volontá e da qui il TEMA della MALATTIA DELLA VOLONTÁ. Rimane solo una condizione di
nevrosi, solo tedio e noia, solo spleen.

1
Vita di Rimbaud (1854-1891)

Arthur Rimbaud, 1870 — Fonte: Getty-Images

Rimbaud nasce in una piccola città in Lorena vicina a Metz, Charleville. Suo padre era un ufficiale dell’esercito e sua
madre apparteneva a una famiglia di proprietari terrieri. Il piccolo Arthur ha sei anni quando i suoi si separano.
Cresce con la madre molto severa e manifesta presto un sentimento di rivolta e un desiderio di fuga.   
Al Collegio di Charleville è un allievo brillante dimostrando immediatamente uno spiccato senso poetico che
viene incoraggiato con entusiasmo dall’insegnante di retorica, George Izambart.   
Ma in casa si sente oppresso: la guerra mette fine ai suoi studi e Rimbaud inizierà a manifestare il suo
anticonformismo e la ribellione contro l’ordine stabilito che lo porterà a scappare di casa nel 1870 per dirigersi a
Parigi. Arrestato dalla polizia viene liberato grazie all’intervento del suo professore di retorica, George Izambart. 
Nel 1871 Rimbaud si reca di nuovo a Parigi in piena insurrezione della Comune. La sua poesia diventa sempre di
più straziante, ancora più personale, più originale. Nel suo lungo poema, Le Bateau ivre (“Il battello ebbro”, 1871),
Rimbaud descrive simbolicamente il viaggio alla scoperta di un mondo nuovo e sconosciuto, come Baudelaire
sognando di tuffarsi “nel fondo dello sconosciuto per trovare del nuovo”. Scrive la Lettera del veggente, una specie di
testamento poetico che sconvolge la poesia come era stata concepita fino a quel momento.   

1.1
Rimbaud e l’incontro con Verlaine
Affascinato dalle sue poesie, Rimbaud aveva scritto a Verlaine chiedendo di incontrarlo. Tra i due inizia una
relazione e con questa anche un periodo di dissolutezza tra alcol e droga. L’avventura tra i due poeti finirà male:
tempo dopo Verlaine, ubriaco, sparerà all’amico ferendolo.

Conclusa la relazione con Verlaine Rimbaud torna da sua madre e scrive un’autobiografia in prosa poetica in cui
racconta il suo fallimento, Una stagione all’inferno (1873). Sono gli anni maledetti passati con Verlaine e
l’impossibilità dell’arte. Nel “disordine del suo spirito” Rimbaud ha l’intenzione di intraprendere un cambiamento.
Una stagione all’inferno finisce con un “Addio” a quello che è stato, addio alla dissolutezza ma anche alla
sperimentazione poetica, per ritrovare la semplicità. Ma presto Rimbaud riprende la strada della scrittura.
Di nuovo a Londra nel 1874, accompagnato da un altro poeta - Germain Nouveau - lavora ad un’opera in prosa
poetica intitolata le Illuminazioni che sarà pubblicata nel 1886. Questa raccolta è l’ultima di una breve carriera
perché a 20 anni smetterà definitivamente di scrivere. La sua poesia lo consacra come un poeta rivoluzionario,
uno dei più forti e commuoventi della letteratura francese. 

1.2
I viaggi di Rimbaud
ri della poesia, Rimbaud conosce tutte le difficoltà dell’esistenza. Da allora, riprende il suo vagabondare
viaggiando attraverso l’Europa, poi l’Africa mantenendosi con diversi mestieri: professore di francese, interprete,
venditore, trafficante d’armi.  
Colpito da un tumore al ginocchio torna in Francia per farsi curare ma muore a Marsiglia nel settembre del 1891 per
le conseguenze dell’amputazione.  

2
Opere di Rimbaud
2.1
Rimbaud ed il bisogno di rivolta

Per capire la personalità complessa di Rimbaud, bisogna innanzitutto mettere a fuoco il suo bisogno di rivolta, di
opposizione assoluta e violenta contro la società e la cultura del suo tempo. La sua carriera folgorante avvenuta nello
spazio di sei anni, tra 14 e 20 anni rivoluziona l’idea della lingua e della poesia perché scommette tutto sui poteri
della visione e del verbo.
In questa ottica il silenzio che ha seguito le Illuminazioni, e che ha fatto scorrere fiumi di inchiostro si spiega
perfettamente: Rimbaud ha preso coscienza del fatto che nessuno, neanche un poeta, può cambiare il mondo;
bisogna rassegnarsi ed accettarlo com’è.  

Nel 1895, dopo la morte di Rimbaud, Verlaine firma la prefazione di una raccolta, Poesie complete di Arthur
Rimbaud, che ha organizzato cronologicamente e che mostra il percorso infortunato e labirintico dell’anima
tormentata del suo amico. Le prime 44 poesie sono state scritte tra il 1869 ed il 1871.
Esse riprendono le forme romantiche o parnassiane per raccontare la ripugnanza di un adolescente verso la società
gretta nella quale vive. Rimbaud prende in giro Napoleone III, denuncia la guerra, celebra la Comune, critica la
religione o sceglie temi più personali come la libertà, la scoperta della sensualità, il viaggio, l’evasione.   

2.2
Rimbaud e Una stagione all’Inferno

Due anni appena dopo la lettera “del veggente”, Rimbaud fa il bilancio del suo delirio poetico ed esistenziale in Una
stagione all’inferno. Composto nel 1873 è l’unico libro del quale ha personalmente seguito la pubblicazione.
Testimonianza della sua relazione difficile con Verlaine, quest’opera è un racconto in prosa - trasfigurato dallo
sguardo del poeta - di un viaggio dei sensi e dello spirito verso l’ignoto. 
Al termine di questo percorso in nove sequenze, l’ultimo poema “Addio” è la costatazione della sconfitta: come la
fine de La barca ubriaca ha annunciato, la poetica della veggenza non conduce a niente e bisogna accettare la propria
condizione e le proprie radici. 

2.3
Le Illuminazioni di Rimbaud

Il titolo di questa raccolta enigmatica potrebbe derivare dall’inglese e significare quindi sia “miniature”, le incisioni
a colori, sia “ispirazioni” provenienti dalla memoria e dai sensi. 
Il libro è composto da 42 poemi in prosa e due in versi liberi scritti tra gli anni 1873 e 1874 e pubblicati nel 1886
grazie a Verlaine. L’insieme è ermetico ed eterogeneo sia nella forma sia nel contenuto: descrizioni di paesaggi
londinesi per la maggior parte (ponti e città) si affiancano ad evocazioni fantastiche. 
La creazione linguistica è il cuore dell’esperienza poetica di Rimbaud. Nella linea del mito romantico e sul cammino
tracciato da Baudelaire, Rimbaud vuole creare un linguaggio nuovo capace di esprimere sia i misteri del mondo
visibile sia quelli del sogno e delle sensazioni impalpabili: “questa lingua sarà l’anima per l’anima”.
Sconvolgendo la tradizione, “accessibile a tutti i sensi” il suo verbo poetico abbandona la logica mantenendo una
forma piuttosto classica e si mette al servizio dell’immaginario. Risulta un testo a volte incoerente, frammentato ma
tuttavia avvincente. Per Verlaine, è la musica dei versi che affascina prima di tutto.   

3
Temi e stile di Rimbaud

Nel maggio 1871 durante la Comune di Parigi lo scontro in strada è violento. La scuola ha riaperto le sue porte a
Charleville ma “il bambino della collera” (Verlaine, Saggezza, IV) rifiuta di entrare in classe: “faccio sciopero” dice in
una lettera al professore Izambart e per motivare la sua scelta parla della poesia e della sua volontà di comporre versi
autentici che vadano al di là della semplice soggettività: è infatti questo il senso della sua famosa frase “Io è un altro”. 

Rimbaud torna su questo argomento due giorni dopo, scrivendo una lettera il 15 maggio 1871 che costituisce un
vero manifesto: al termine di una rivoluzione esistenziale, il poeta deve abbandonare la “insipida poesia soggettiva” e
trovare una lingua capace di esprimere un tale sconvolgimento. 
Pochi mesi dopo questa lettera, il “Ladro di fuoco” scrive il suo poema più famoso: La barca ubriaca. In 25 quartine
racconta in prima persona il suo viaggio verso l’ignoto: è una “vera eruzione di colori e immagini folgoranti” (M.A
Ruff, Rimbaud. Poesie, 1978).

Rimbaud e il mito del vagabondo dai costumi sregolati si diffondono in Europa dopo il 1884, quando viene
pubblicato il saggio di Verlaine I Poeti maledetti che contiene sia La barca ubriaca sia Vocali. In Italia Dino Campana
(1885-1932) con la raccolta Canti orfici (1914) è stato spesso paragonato al poeta francese. “L’uomo dalle suole di
vento” ha anche ispirato gli espressionisti, i dadaisti, i surrealisti, i futuristi russi, Henry Miller e la Beat generation
degli anni 50 negli Stati Uniti.   

SIMBOLISMO FRANCESE

Verlaine, Rimbaud e Bonnier — Fonte: Ansa

Il Simbolismo (scarica qui la Mappa concettuale) è un movimento letterario e artistico nato in Francia per iniziativa di
Jean Moréas, che ne pubblicò il manifesto su "Le Figaro" del 18 settembre del 1886. Si pone in opposizione al
Naturalismo e al Realismo.
Secondo la prospettiva simbolista la realtà è mistero e la natura si presenta come una foresta di simboli. Al poeta spetta
il compito di interpretare e svelare questi simboli attraverso un atto di intuizione–espressione.
Per questa ragione il poeta simbolista rifiuta la tradizionale logicità e referenzialità del linguaggio e ricorre a figure
retoriche quali l’allegoria, l’analogia, la metafora ricercata, la sinestesia.

La poesia deve dunque comunicare in forme non razionali, che trovano il loro grande modello nel linguaggio della
musica.  Il poeta rinuncia alla funzione morale e sociale dell'arte.
La raccolta di saggi e articoli di Paul Verlaine, dal titolo I poeti maledetti (1884), è una presentazione di
giovani poeti uniti nel riconoscere in Baudelaire il loro indiscusso maestro; tra essi Rimbaud, Mallarmé e lo
stesso Verlaine.

-POETI SIMBOLISTI Vediamo quali sono i poeti simbolisti:

Arthur Rimbaud (1854-1891)


• Ha avuto una vita breve, ma densa di avvenimenti e di esperienze poetiche.
• Attraverso la sua opera racconta il suo gusto per le fantasticherie e l’intensità dei primi desideri amorosi.
• Denuncia le ingiustizie, manifesta l’orrore della guerra e il rifiuto della società borghese.
• Nel 1871 conosce Paul Verlaine e tra i due inizia una relazione tormentata.
• Sono del 1871 il poemetto Il battello ebbro e le due Lettere del veggente, testi in prosa in cui esprime la sua
concezione della poesia.
• Nel 1873 pubblica Una stagione all’inferno, un’autobiografia poetica, e inizia a lavorare alle Illuminazioni
(1873-1875), una raccolta di poemetti in prosa.

Paul Verlaine (1844 – 1896)
• La vita movimentata di Verlaine, la violenza distruttrice della sua esistenza contrastano con la dolcezza della
sua poesia.
• La musicalità del verso è l’unica preoccupazione del poeta.
• Nemico della regolarità, inventa l’uso del verso dispari, moltiplica tagli ed enjambement inaspettati, che
danno un ritmo nuovo alle sue poesie, in accordo con la semplicità ricercata del linguaggio.
• Verlaine è il poeta dell’impressionismo: le parole più che dire suggeriscono, giocando sulla ricchezza
delle connotazioni e permettendo paradossalmente di raggiungere l’inesprimibile.
• La nostalgia e il rimpianto, il richiamo lancinante del ricordo, il dolore del tempo che passa, si trasformano in
una tristezza dolorosa cullata dalla malinconia dei paesaggi dell’autunno.

Stéphane Mallarmé (1842 - 1898)
• Mallarmé ha condotto una vita ordinaria di uomo sposato e di insegnante d’inglese.
• Nel 1866, pubblica le sue prime poesie su alcune riviste letterarie d’avanguardia.
• Dal 1871, trasferitosi a Parigi, istituisce nella sua casa i cosiddetti 'martedì letterari' ai quali intervengono
artisti e scrittori, fra i quali André Gide, Paul Valéry e Oscar Wilde.
• Nel 1876 pubblica il poemetto 'Il meriggio di un fauno', opera che desta l’attenzione della critica per la
musicalità dei versi, per la ricerca costante del mistero delle cose e per il linguaggio simbolico ed evocativo.
• Esce nel 1887 la sua prima raccolta di versi, Poesie.
• A partire dal 1896, si dedica alla stesura di una biografia di Rimbaud e di un poema dalla strana e originale
impostazione grafica, intitolato Un colpo di dadi non abolirà mai il caso (1897), esempio di poesia visiva che
influenzerà la poesia futurista ed ermetica.
• Concepisce la poesia come una sorta di rivelazione o di sortilegio che non può che sollecitare la fuga dal
reale.

SIMBOLISMO E DECADENTISMO DI BAUDELAIRE Baudelaire, Simbolismo e Decadentismo.




















Baudelaire come precursore. Nel contesto di crisi di fine ‘800 la letteratura si caratterizza , non solo in Italia, per un
generalizzato atteggiamento di fuga dalla storia, che trova una più evidente manifestazione nella polemica contro il
Positivismo e l’arte veristica saldamente ancorata al reale.
Ora entrano radicalmente in crisi i  valori e le fiducie borghesi; le forme d’arte nate dal Positivismo appaiono troppo
anguste, perché troppo condizionate dal canone della verosimiglianza; troppo poveri e circostanziati si rivelano i
confini del “rappresentabile”.
Sorge una tendenza nuova che vuole andare oltre il reale e il verosimile, oltre il fenomeno,  toccare il fondo autentico
della realtà, dare voce all’inesprimibile.

Simbolismo e Decadentismo: riassunto


DECADENTISMO BAUDELAIRE RIASSUNTO Precursore e maestro di questa generazione poetica, era stato
Charles Baudelaire, l’autore de “I fiori del male”, pubblicati nel 1857 e in una seconda edizione ampliata nel 1866.

Di estremo interesse anche le prose letterarie raccolte nel volume “Lo spleen di Parigi”.
Baudelaire attraversa tutti i nodi ed i temi di quella che sarà la  nuova letteratura:
- La diversità e la solitudine del poeta (L’Albatros)
- La percezione del mondo come mistero ed enigma (Corrispondenze)
- Il poeta come veggente e decodificatore di un “oltre” razionalmente insondabile.
- Il rifiuto di riconoscere confini o limiti dell’esperienza (il cielo ed il fango)
- Il rifiuto come uomo ed artista di ogni integrazione. Il peso di vivere. L’eterna oscillazione tra spleen e ideal.
(Spleen)
- La percezione della folle artificialità della vita cittadina
- Il rifiuto come artista di ogni ruolo socialmente riconosciuto e la perdita dell’aureola. (Perdita d’aureola)
- Il rifiuto di ogni massificazione.
- Il poeta come flaneur e come dandy.

BAUDELAIRE SIMBOLISMO Baudelaire incarna l’ambivalenza affettiva: l’eterna altalena tra spleen, noia
esistenziale e disprezzo di sé, e ideal, aspirazione ideale. Egli si sente un angelo caduto e la sua coscienza di diversità
ed estraneità approda alla noia, appunto, o alla rivolta. Un mondo interiore tanto complesso ha bisogno di sfumature,
allusioni, di una poesia che ripudia l’oggettivo e affonda le sue radici  in una dimensione ineffabile e in una sorta di
misticismo dei sensi. Questa poesia, però, è caratterizzata  da un’estrema consapevolezza e rigore espressivo.
Raccolgono questa eredità i poeti del movimento simbolista. BAUDELAIRE CORRENTE LETTERARIA Il
movimento simbolista. Ne sono protagonisti Mallarmè, Rimbaud e Verlaine,
Nel 1884 viene pubblicata l’antologia intitolata “Les poetes maudit”, curata da Verlaine e due anni dopo la rivista
“Figaro” pubblica il manifesto del simbolismo di Moreas. Nasce così una poetica che ha una influenza determinante
su tutta la poesia del ‘900. Essa è basata su alcuni punti fondamentali:
- la rinuncia alla ragione e lo sregolamento di tutti i sensi;
- 1 poeta come veggente;  
- la poesia come assoluto;
- l'idea di una partecipazione mistica al tutto;
- la parola come magia, allusione, evocazione;
- la tendenza all'oscurità, i1 rifiuto della referenzialità, 1'importanza della analogia e della sinestesia; la concezione
della poesia come musica, arte fonosimbolica;
- 1 verso libero.

IPOETI MALEDETTI

In breve, se vi dilettate nel comporre versi e aspirate ad entrare nelle fila dei “poeti maledetti”, ecco la
ricetta:
1. a una base di gravi frustrazioni affettive aggiungete difficoltà materiali a volontà.
2. Appena l’insieme risulta omogeneo versate dosi generose di vita sessuale promiscua, denutrizione,
alcolismo, stupefacenti, tabagismo.
3. Lasciate cuocere a fuoco lento fino alla comparsa di malattie veneree, sofferenza fisica e disturbi mentali.

4. E adesso l’ingrediente segreto: la maledizione del poeta il quale – per chi non lo sapesse – è maledetto tre
volte:
▪ dalla società, poiché il poeta è prima di tutto un emarginato a causa della sua vita dissipata, dell’indigenza,
della follia e – non ultimo – del suo aspetto “poco attraente”;
▪ da Dio, in quanto il poeta è attratto disperatamente dal male, lo indaga, lo sperimenta e questo genera in lui
un terribile senso di colpa;
▪ infine – come se non fosse già abbastanza – da loro stessi! E già, perché il poeta è il proprio peggior nemico,
si detesta visceralmente e pensa ogni giorno che essere se stesso sia la peggior cosa che potesse capitargli.
Deprimersi e servire ben caldo!
Segue un estratto del “menu maledetto” che include ben più dei nomi già citati, per di più non solo
francesi. Scegliete il vostro preferito.

-L’espressione poeta maledetto (in francese poète maudit) qualifica in generale un poeta (ma anche un musicista, o
artista in genere) di talento che, incompreso, rigetta i valori della società, conduce uno stile di vita provocatorio,
pericoloso, asociale o autodistruttivo (in particolare consumando alcol e droghe), …

Il mito del poeta maledetto si ramifica, quindi, nel complesso quadro letterario che è l’Ottocento in Francia. Come
ben sappiamo, la corrente maggiore fu il Romanticismo, che si articolò in vari periodi (primo e secondo
Romanticismo, per semplificare) e che a mano a mano si avviò verso una “distruzione” della poesia come la si era
conosciuta fino a quel tempo, a partire dal verso. Se – fino a Baudelaire compreso – il verso più prolifico in Francia era
stato l’alessandrino (che Victor Hugo e Baudelaire portarono alle estreme conseguenze di bellezza e possibilità), con i
poeti maledetti ci avviamo verso la distruzione del verso, alla non-coordinazione tra le varie parti del discorso.
Per quanto riguarda le tematiche, come abbiamo avuto già modo di accennare, i poeti maledetti sceglievano
tematiche che li “allontanavano” dalla borghesia e dalla descrizione della realtà (compito che lasciavano
all’allora imperante corrente del Realismo e del Positivismo), avvicinandosi a temi “di nicchia” e non socialmente
accettabili spesso.
Tutti i poeti maledetti inseriti nell’opera verlainiana rappresentarono delle eccellenze della loro epoca; menzione
d’onore per l’unica donna, Marceline Desborde-Valmore: dalla vita pittoresca, attrice di teatro, i suoi versi richiamano
ancora la compostezza del primo romanticismo, lasciando intravedere qualcosa in più, di inespresso.
Arthur Rimbaud, il geniale poeta bambino, fu senza dubbio il più conosciuto tra i poeti maledetti. La sua vita sregolata
– dopo un’infanzia segnata dai successi scolastici, infatti di lui dicevano i docenti: diventerà il genio del male oppure il
genio del bene – fu capovolta totalmente dalla relazione amorosa che ebbe con il poeta Paul Verlaine. Une saison en
enfer, la sua personale “discesa all’inferno” post-relazione, è una delle opere più influenti della poesia moderna. Nella
sua “Lettera al veggente”, scritta al suo amico Paul Demeny, Baudelaire definisce ciò che deve essere il poeta
maledetto, oppure più in generale il poeta: Je est un autre, Io è un altro. Il poeta – per essere tale e cogliere
pienamente i simboli e le sinestesie –  si deve spersonalizzare; per fare ciò deve lasciarsi andare ad un profondo e
totale sregolamento di tutti i sensi.
Per quanto riguarda la rivoluzione del linguaggio poetico in fatto di versi e musicalità, il posto d’onore è da attribuire
sicuramente a Stéphane Mallarmé. Attraverso un lungo lavoro, dove egli “ripudia” la tensione tradizionalistica del
verso classico finora imperante, Mallarmé attribuisce un nuovo significato alla poesia ed un nuovo ruolo. La poesia
simbolista di Mallarmé non è altro che una “vera menzogna”, autoriflessiva, autoreferenziale. A ciò, si può
arrivare soltanto facendo tabula rasa – concetto del filosofo René Descartes – di tutto ciò che vi era stato prima.
Soltanto così si poteva “morire” alla poesia vecchia (come si può ben notare nel poema Quand l’ombre menaça de la
fatale loi) ed iniziare un nuovo percorso, non senza dolore, non senza spine.

PRÉFACE:

À mon avis tout à fait intime, j’eusse préféré, en dépit de tant d’intérêt s’attachant intrinsèquement presque
aussi bien que chronologiquement à beaucoup de pièces du présent recueil que celui-ci fût allégé pour surtout des
causes littéraires trop de jeunesse décidément, d’inexpériences mal savoureuses, point d’assez heureuses naïvetés.
J’eusse, si le maître, donné juste un dessus de panier, quitte à regretter que le reste dût disparaître, ou alors ajouté ce
reste à la fin du livre, après la table des matières et sans table des matières quant à ce qui l’eût concerné, sous la
rubrique « pièces attribuées à l’auteur », encore excluant de cette peut-être trop indulgente déjà hospitalité les tout à
fait apocryphes sonnets publiés sous le nom glorieux et désormais sacré par de spirituels parodistes.

Quoi qu’il en soit, voici, seulement expurgée des apocryphes en question et classée aussi soigneusement que
possible par ordre de dates, mais, hélas ! privée de trop de choses qui furent aux déplorables fins de puériles et
criminelles rancunes sans même d’excuses suffisamment bêtes, confisquées, confisquées ? volées ! pour tout et mieux
dire, dans les tiroirs fermés d’un absent. Voici le livre des poésies complètes d’Arthur Rimbaud avec ses additions
inutiles à mon avis et ses déplorables mutilations irréparables à jamais, il faut le craindre.
Justice est donc faite, et bonne et complète car en outre du présent fragment de l’œuvre, il y a eu des
reproductions par la Presse et la Librairie des choses en prose si inappréciables, peut-être même si supérieures aux
vers, dont quelques-uns pourtant incomparables, que je sache !
Ici, avant de procéder plus avant dans ce très sérieux et très sincère et pénible et douloureux travail, il me sied
et me plaît de remercier mes amis Dujardin et Kahn, Fénéon, et ce trop méconnu, trop modeste Anatole Baju, de leur
intervention en un cas si beau, mais à l’époque périculent, je vous l’assure, car je ne le sais que trop.
Kahn et Dujardin disposaient néanmoins de revues jeunes et d’aspect presque imposant, un peu d’outre-Rhin
et parfois, pour ainsi dire pédantesques ; depuis il y a eu encore du plomb dans l’aile de ces périodiques changés de
direction ― et Baju, naïf eut aussi son influence, vraiment.
Tous trois firent leur devoir en faveur de mes efforts pour Rimbaud, Baju avec le tort peut-être inconscient de
publier à l’appui de la bonne thèse des gloses farceuses de gens de talent et surtout d’esprit qui auraient mieux fait
certainement de travailler pour leur compte, qui en valait, je le leur dis en toute sincérité,
La peine assurément !
Mais un devoir sacré m’incombe, en dehors de toute diversion même quasiment nécessaire, vite. C’est de
rectifier des faits d’abord ― et ensuite d’élucider un peu la disposition, à mon sens, mal littéraire, mais conçue dans
un but tellement respectable ! du présent volume des Poésies complètes d’Arthur Rimbaud.
On a tout dit en une préface abominable que la Justice a châtiée, d’ailleurs par la saisie, de par la requête d’un
galant homme de qui la signature avait été escroquée, M. Rodolphe Darzens, on a donc dit tout le mauvais sur
Rimbaud, homme et poète.
Ce mauvais-là, il faut malheureusement, mais carrément, l’amalgamer avec celui qu’a écrit, pensé sans nul
doute, un homme de talent dans un journal d’irréprochable tenue. Je veux parler de M. Charles Maurras et en appeler
de lui à lui mieux informé.
Je lis, par exemple, ceci de lui, M. Charles Maurras.
Au dîner du Bon Bock, or il n’y avait pas alors, de dîner du Bon Bock où nous allassions, Valade, Mérat,
Silvestre, quelques autres Parnassiens ou moi, ou par conséquent Rimbaud avec nous, mais bien un dîner mensuel des
Vilains Bonshommes, fondé bien avant la guerre et qu’avaient honoré quelquefois Théodore de Banville et, de la part
de Sainte-Beuve, son secrétaire, M. Jules Troubat. Au moment dont il est question, fin 1871, nos « assises » se tenaient
au premier étage d’un marchand de vins établi au coin de la rue Bonaparte et de la place Saint-Sulpice, vis-à-vis d’un
libraire d’occasion (rue Bonaparte) et (rue du Vieux-Colombier) d’un marchand d’objets religieux.
Au dîner du Bon Bock, dit donc M. Maurras, ses reparties (à Rimbaud) causaient de grands scandales. Ernest
d’Hervilly le rappelait en vain à la raison. Carjat le mit à la porte. Rimbaud attendit patiemment à la porte et Carjat
reçut à la sortie un « bon » (je retiens « bon ») coup de canne à épée dans le ventre.
Je n’ai pas à invoquer le témoignage de d’Hervilly qui est un cher poète et un cher ami, parce qu’il n’a jamais
été plus l’auteur d’une intervention absurdément inutile que l’objet d’une insulte ignoble publiée sans la plus simple
pudeur, non plus que sans la moindre conscience du faux ou du vrai dans la préface de l’édition de M. Genonceaux ;
cet exotique à Paris d’ailleurs failli depuis ou quelque chose comme cela ; ni celui de M. Carjat lui-même, ni des
encore assez nombreux survivants d’une scène assurément peu glorieuse pour Rimbaud, mais démesurément grossie
et dénaturée jusqu’à la plus complète calomnie.
Voici donc un récit succinct mais vrai, jusque dans le moindre détail, du « drame » en question : ce soir-là aux
Vilains Bonshommes on avait lu beaucoup de vers après le dessert et le café. Beaucoup de vers, même à la fin d’un
dîner (plutôt modeste), ce n’est pas toujours des moins fatigants, particulièrement quand ils sont un peu bien
déclamatoires comme ceux dont vraiment il s’agissait (et non du bon poète Jean Alcard). Ces vers étaient d’un
monsieur qui faisait beaucoup de sonnets à l’époque et de qui le nom m’échappe.
Et sur le début suivant après passablement d’autres choses d’autres gens :
On dirait des soldats d’Agrippa d’Aubigné
Alignés au cordeau par Philibert Delorme.
Rimbaud eut le tort incontestable de protester d’abord entre haut et bas contre la prolongation d’à la fin
abusives récitations. Sur quoi M. Etienne Carjat le photographe, poète de qui le récitateur était l’ami littéraire et
artistique, s’interposa trop vite et trop vivement à mon gré, traitent l’interrupteur de gamin. Rimbaud qui ne savait

supporter la boisson, et que l’on avait contracté dans ces « agapes » pourtant modérées, la mauvaise habitude de gâter
au point de vue du vin et des liqueurs, ― Rimbaud qui se trouvait gris, prit mal la chose, se saisit d’une canne à épée à
moi qui était derrière nous voisins immédiats et, par-dessus la table large de près de deux mètres, dirigea vers M.
Carjat qui se trouvait en face ou tout comme la lame dégainée qui ne fit pas heureusement de très grands ravages,
puisque le sympathique ex-directeur du Boulevard ne reçut, si j’en crois ma mémoire qui est excellent dans ce cas,
qu’une éraflure très légère.
Néanmoins l’alarme fut grande et la tentative très regrettable ; vite et plus vite encore réprimée. J’arrachai la
lame au furieux, la brisai sur mon genou et confiai, devant rentrer de très bonne heure chez moi où ma femme était
dans un état de grossesse avancé pour ne pas excuser de trop longues et fréquentes miennes absences de la maison, le
garçon à moitié dégrisé maintenant au peintre bien connu, Michel de l’Hay alors déjà un solide gaillard en outre d’un
tout jeune homme des plus remarquablement beaux qu’il soit donné de voir, qui eut tôt fait de reconduire à son
domicile de la rue Campagne-Première, en le chapitrant d’importance, le « gamin » de qui l’accès de colère ne tarda
pas à se dissiper tout à fait avec les fumées du vin et de l’alcool dans le sommeil réparateur de la seizième année.
Avant de « lâcher » tout à fait M. Charles Maurras, je lui demanderai de m’autoriser à m’expliquer une dernière
fois sur un malheureux membre de phrase de lui me concernant.
À propos de la question d’ailleurs subsidiaire de savoir si M. Rimbaud était beau ou laid, M. Maurras qui ne l’a
jamais vu et qui le trouve laid, d’après des témoins « plus rassis » que votre serviteur, me blâmerait presque, ma parole
d’honneur ! d’avoir dit qu’il avait (Rimbaud) un visage parfaitement ovale d’ange en exil, une forte bouche rouge au
pli amer (et in cauda venenum !) en Latin et Romain et Grec et Italien ! Que vous êtes, M. Mourras, ô gros voluptueux
(à la Wilde !) des « jambes sans rivales ».
Ça c’est bête, je veux le croire, sans plus autrement, quoi ? Voici toujours ma phrase sur les jambes en
question, extraite des Hommes d’aujourd’hui. Au surplus, lisez toute la petite biographie. Elle répond à tout
d’avance, et coûte deux sous.
« … Des projets pour la Russie, une anicroche à Vienne (Autriche), quelques mois en France, d’Arras et Douai
à Marseille, et le Sénégal, vers lequel bercé par un naufrage, puis la Hollande, 1879-80, vu décharger des voitures de
moisson dans une ferme à sa mère, entre Attigny et Vouziers, et arpenter ces routes maigres de ses « jambes sans
rivales ».
Voyons, M. Maurras, est-ce bien de bonne foi votre confusion entre infatigabilité… et autre chose.
— Ouf ! j’en ai fini avec les petites (et grosses) infamies qui de régions prétendues uniquement littéraires,
s’insinueraient dans la vie privée pour s’y installer et veuillez, lecteur, me permettre de m’étendre un peu, maintenant
qu’on a brûlé quelque sucre, sur le pur plaisir intellectuel de vous parler du présent ouvrage qu’on peut ne pas aimer,
ni même admirer, mais qui a droit à tout respect en tout consciencieux examen ?
On a laissé les pièces objectionnables au point de vue bourgeois, car le point de vue chrétien et surtout
catholique dont je m’honore d’être un des plus indignes peut être mais à coup sûr le plus sincère tenant, me semble
supérieur ― j’entends, notamment les Premières Communions, les Pauvres à l’église (pour mon compte, j’eusse
négligé cette pièce brutale avec pourtant ceci qui en fait partie :
… Les malades du foie
Font baiser leur longs doits jaunes
Aux bénitiers.
Quant aux Premières Communions dont j’ai sévèrement parlé dans mes Poètes maudits à cause de certains vers
plutôt irrévérencieux que blasphémateurs (ou réciproquement), c’est si beau !… n’est-ce pas ? à travers tant de drôles
de choses… n’est-ce pas ?
Pour le reste de ce que j’aime parfaitement, le Bateau ivre, les Effarés, les Chercheuses de poux et bien après les
Assis aussi, parbleu ! c’est un peu fumiste, mais si beau de détails ; Sonnet des Voyelles qui a fait faire à M. René Ghill
de si mirobolentes théories et l’ardent Faune. C’est parfait de fauves, ― en liberté ! et encore une fois, je vous le
présente, ce « numéro », comme autrefois dans Lutèce, de tout mon cœur, de toute mon âme et de toutes mes forces.
On a cru devoir (évidemment dans un but de réhabilitation qui n’a rien à voir ni avec la vie ni avec l’œuvre)
ouvrir le volume par une pièce intitulée Etrennes des Orphelins, laquelle assez longue pièce, dans le goût un peu
Guiraud avec déjà des beautés tout autres. Ceci qui vaut du Desbordes-Valmore :
Les tout petits enfants ont le cœur si sensible !
Cela :
La bise sous le seuil a fini par se taire…

qui est d’un net et d’un vrai, quant à ce qui concerne un beau jour de premier janvier: Surtout une facture
solide même un peu trop qui dit l’extrême jeunesse de l’auteur quand il s’en servit d’après la formule parnassienne
exagérée.
On a cru aussi devoir intercaler de gré ou de force un trop long poème : Le Forgeron, daté des Tuileries vers le
10 août 1892, où vraiment c’est trop démoc-soc, par trop démodé, même en 1870, mais l’auteur, direz-vous, était si, si
jeune ! Mais, répondrais-je, était-ce une raison pour publier cette chose faite à coups de « mauvaises lectures » dans
des manuels surannés ou de trop moisis historiens ? Je ne m’empresse pas moins d’ajouter qu’il y a là encore de très
beaux vers. Parbleu ! avec cet être-là !
Cette caricature de Louis XIV, d’abord :
Et prenant ce gros-là dans son regard farouche,
Cette autre encore :
Or le bon roi, debout sur son ventre était pâle.
Ce cri bien dans le ton juste, trop rare ici.
On ne veut pas de nous dans les boulangeries
Mais j’avoue préférer telles pièces purement jolies, mais alors très jolies, d’une joliesse sauvageonne ou
sauvage tout à fait alors presque aux belles que le Bateau ivre ou que les Premières Communions.
Il y a dans ce ton Ce qui retient Nina, vingt-neuf strophes, plus de cent vers sur un rythme sautilleur avec des
gentillesses à tout bout de champ :
Dix-sept ans tu seras heureuse !
O les grands prés
La grande campagne amoureuse !
— Dis, viens plus près !…
..............
Puis comme une petite morte
Le cœur pâmé.
Tu me disais que je te porte
L’œil mi-fermé…
Et après la promenade au bois… et la résurrection de la petite morte, l’entrée dans le village où ça sentirait le
laitage, une étable pleine d’un rythme lent d’haleine et de grands dos ; un intérieur à la Téniers.
Les lunettes de ma grand’mère
Et son nez long
Dans son missel… Aussi la Comédie en trois baisers :
..........
Elle était fort déshabillée
Et de grands arbres indiscrets.
Aux vitres penchaient leur feuillée
Malinement, tout près, tout près.
Sensation, où le poète adolescent va loin, bien loin, comme un bohémien.
Par la nature, heureux comme avec une femme.
Roman :
On n’est pas sérieux quand on a dix-sept ans.
Ce qu’il y a d’amusant, c’est que Rimbaud, quand il écrivait ce vers, n’avait pas encore seize ans. Évidemment il
se « vieillissait » pour mieux plaire à quelque belle… de très probablement son imagination.
Ma Bohème, la plus gentille sans doute de ces gentilles choses.
Comme des lyres je tirai les élastiques
De mes souliers blessés près de mon cœur.
Mes Petites amoureuses, les Poètes de sept ans, frères franchement douloureux des Chercheuses de poux :
Et la mère fermant le livre du devoir
S’en allait satisfaite et très fière sans voir
Dans les yeux bleus et sous le front plein d’éminence
L’âme de son enfant livrée aux répugnances.
..................



Quant aux quelques morceaux en prose qui terminent le volume, je les eusse retenus pour les publier dans une
nouvelle édition des œuvres en prose. Ils sont d’ailleurs très beaux mais tout à fait dans la note des Illuminations et de
la Saison en Enfer. Je l’ai dit tout à l’heure et je sais que je ne suis pas le seul à le penser : Le Rimbaud en prose est
peut-être supérieur à celui en vers…
J’ai terminé, je crois avoir terminé ma tâche de préfacier. De la vie de l’homme j’ai parlé suffisamment. De son
œuvre je reparlerai peut-être encore.
Mon dernier mot ne peut-être ici que ceci : Rimbaud fut un poète mort jeune mais vierge de toute platitude ou
décadence ― homme il fut un homme mort jeune aussi mais dans son vœux bien formulé d’indépendance et de haut
dédain de n’importe quelle adhésion à ce qu’il ne lui plaisait pas de faire ni d’être.
Paul Verlaine.

POESIE:

1-SENSATION

Par les soirs bleus d’été, j’irai dans les sentiers,


Picoté par les blés, fouler l’herbe menue :
Rêveur, j’en sentirai la fraîcheur à mes pieds.
Je laisserai le vent baigner ma tête nue.

Je ne parlerai pas, je ne penserai rien :


Mais l’amour infini me montera dans l’âme,
Et j’irai loin, bien loin, comme un bohémien,
Par la Nature, — heureux comme avec une femme.

SENSAZIONE

Le sere azzurre d’estate, andrò per i sentieri,


Punzecchiato dal grano, a calpestare erba fina:
Trasognato, ne sentirò la freschezza ai piedi.
Lascerò che il vento mi bagni il capo nudo.

Non parlerò, non penserò a niente:


Ma l’amore infinito mi salirà nell’anima,
E andrò lontano, molto lontano, come uno zingaro,
Nella Natura, – felice come con una donna.

Introduction

    La lettre que Rimbaud adresse à Banville, le 24 mai 1870, nous apprend que Sensation, ce court poème, date du 20
avril 1870. Ces deux quatrains se rattachent à la veine thématique des poèmes du voyage et de la bohème, à ceci près
que l’ailleurs recherché ici est moins spatial que passionnel.

Annonce des axes + / -

 I. Le sens de la composition


    1. Corps et âme
    2. L’effet de la dernière phrase
 II. Un espace sensuel et féminin
    1. Un paysage mobile
    2. Un paysage sensuel
    3. La communion des éléments



Commentaire littéraire + / -

I. Le sens de la composition

1. Corps et âme

Composé d’une seule phrase, le premier quatrain se caractérise par de nombreuses références au corps (des "pieds"
à la "tête") et aux sensations tandis que le second multiplie des termes ressortissant à des actions ou des sentiments
abstraits (parler, penser, "amour infini", "âme", "Nature" avec majuscule). Cette distinction dualiste est cependant
atténuée par l’économie des liaisons logiques qui assurent une grande fluidité au poème (renforcée par la musicalité
de nombreuses assonances à l’intérieur des vers). Seule, au vers 6, la conjonction de coordination "mais" introduit
une nuance d’opposition (encore qu’elle soit discrète, suggérant davantage que " l’amour infini " n’a rien à voir avec
une activité intellectuelle : "je ne penserai rien").

2. L’effet de la dernière phrase

Les huit dernières syllabes du dernier vers, typographiquement mises en valeur par une virgule et un tiret d’incidente,
achèvent le second quatrain sur une note éminemment sensuelle (l’évocation d’une femme) qui contraste avec les
sentiments abstraits décrits précédemment. Cette comparaison finale introduit la présence d’une altérité féminine
qui, à tous les sens du terme, forme un couple avec la comparaison précédente du vers 7 ("comme un bohémien").
Cette introduction des rapports humains au sein de ce qui se présentait jusqu’alors comme une jouissance hédoniste
centrée sur le seul locuteur induit une lecture rétrospective  : le bonheur de la promenade est d’ordre, sinon
passionnel, du mois sensuel.

II. Un espace sensuel et féminin

1. Un paysage mobile

La structuration de l’espace du poème suggère que l’espace se révèle animé : des "soirs bleus", le regard descend
dans "les sentiers" jusqu’au sol ("les blés") et ses détails infimes ("l’herbe menue"). Puis des "pieds", on passe à la
tête, mouvement qui se prolonge avec l’évocation de "l’amour infini qui (lui) montera dans l’âme". Enfin, ce
mouvement vertical s’achève sur l’évocation d’une perspective horizontale en point de fuite ("j’irai loin, bien loin").
Loin d’être une toile de fond passive, simple décor de sentiments du locuteur, la Nature (que la majuscule contribue
de surcroît à humaniser) tient une place prépondérante dans le bonheur du locuteur : véritable présence à ses côtés,
elle le sollicite activement.

2. Un paysage sensuel

Deux sens sont plus particulièrement sollicités : la vue ("les soirs bleus d’été") et le toucher ("picoté par les blés,
fouler l’herbe menue", "j’en sentirai la fraîcheur à mes pieds", "je laisserai le vent baigner ma tête nue"). Cela
renvoie aux deux parties du corps évoquées : les pieds, symbole du contact physique et immanent avec le monde, et la
tête, symbole du lieu des sentiments.

3. La communion des éléments

L’air et l’eau se conjuguent : le locuteur laisse "baigner" sa tête dans le souffle du vent. Le jour et la nuit produisent
un effet d’union chromatique à travers l’évocation des "soirs bleus d’été". Cette thématique de l’union et de
l’harmonie prépare la comparaison finale en rendant sensible le singulier du titre : il ne s’agit ni d’une ni de plusieurs
sensations, mais d’un état de complétude à la fois sensuel et sentimental.

Conclusion

    Avec un lyrisme contenu et une très efficace économie de moyens stylistiques, Rimbaud parvient à proposer une
vision originale d’un thème qui lui est cher : le transport conjoint ici la dynamique spatiale de la bohème et la nature
fusionnelle des sensations. Renonçant aux clichés d’une tradition qu’il connaît fort bien (et qu’il n’hésite pas à
l’occasion, comme dans " Credo in Unam ", à utiliser), Rimbaud conjugue dans Sensation simplicité (du lexique, des
images) et complexité (le dernier vers induit une subtile lecture rétrospective) : ce poème n’évoque-t-il pas, en effet,
les futures chansons elliptiques composant les " Derniers vers " ?

2-LE MAL

Tandis que les crachats rouges de la mitraille


Sifflent tout le jour par l'infini du ciel bleu ;
Qu'écarlates ou verts, près du Roi qui les raille,
Croulent les bataillons en masse dans le feu ;

Tandis qu'une folie épouvantable broie


Et fait de cent milliers d'hommes un tas fumant ;
- Pauvres morts ! dans l'été, dans l'herbe, dans ta joie,
Nature ! ô toi qui fis ces hommes saintement !… –

Il est un Dieu qui rit aux nappes damassées


Des autels, à l'encens, aux grands calices d'or ;
Qui dans le bercement des hosannah s'endort,

Et se réveille, quand des mères, ramassées


Dans l'angoisse, et pleurant sous leur vieux bonnet noir,
Lui donnent un gros sou lié dans leur mouchoir !

IL MALE

Mentre gli sputi rossi della mitraglia


Fischiano tutto il giorno nell'infinito azzurro del cielo;
E scarlatti o verdi, accanto al re che li deride
I battaglioni crollano in massa nel fuoco;

Mentre un'orrenda follia massacra


Centomila uomini in un mucchio fumante;
- Poveri morti! Nell'estate, nell'erba, nella tua gioia,
Natura! tu che santamente creasti questi uomini!…

C'è un Dio, che ride sulle tovaglie damascate


Degli altari, fra l'incenso, fra i grandi calici d'oro;
Che cullato dagli osanna si addormenta,

E si risveglia quando madri, raccolte


Nell'angoscia, piangendo sotto la vecchia cuffia nera
Gli offrono qualche moneta nel loro fazzoletto.

Introduction






Extrait du recueil Poésies en 1870. Le Mal est un sonnet classique composé de deux parties : deux quatrains et deux
tercets.
- Alexandrin
- Rime ABAB dans les quatrains, rime CDD dans les tercets.

Arthur Rimbaud est un poète révolté. C'est aussi un fugueur. Il a été élevé dans la religion catholique avec sa mère.
Etant forcé à aller à la messe le dimanche, il pose un regard critique sur la Bourgeoisie.
La guerre éclate en 1870 et il dit que c'est le mal. Il accuse les hommes politiques d'être responsables de la mort des
hommes et complices de la religion.

Annonce des axes

Notre commentaire littéraire du poème se déroulera en 3 axes :


- Peinture de la guerre et de la dénonciation de la guerre
- La satire de dieu et de la religion
- La nature

Commentaire littéraire

I) Peinture et dénonciation de la guerre

1. Le carnage

Ce poème peint l'horreur et la boucherie de la guerre. Il la dénonce sur un ton virulent. Cf. Candide Chapitre 3
"boucherie héroïque" très forte antithèse. Juxtaposition de deux termes antithétique -> dévalorisation de la valeur de
l'héroïsme ; Voltaire dénonce la complicité de l'Eglise et du Roi.

Rimbaud la décrit ici dans le 2ème quatrain v.1 à 6.

Dès le v.1, la métaphore "les crachats rouges" donne le ton du poème.

Pour insister sur un mot en poésie, on le place soit au début, soit à l'hémistiche ou soit à la fin du vers.

Importance de la place de "crachat". Un mot aux sonorités dures, terme très vulgaire et trivial, qui évoque le
désagréable, le dérangement et le réalisme.

"Crachat rouge" évoque le sang, opposition entre le ciel bleu…, l'or, le vert.

Le canon crache du feu en 1870. Le mal a la couleur du feu, du sang, et de la haine. Nous avons un enjambement entre
le vers 1 et 2 qui met en valeur le sifflement. Pour évoquer la vision et l'ouïe avec des sensations visuelles et auditives.
Trajectoire du crachat du canon.

Le rouge du vers 1 est repris par écarlate au vers 3, plus pathétique.

Sonorités dures :
Allitération
- en "r", "crachat, raille, croulent"
- en "f", "infinie, fumant"
- "sse", "masse…"

Sensation visuelle "rouge" et auditive agressive.

2. Déshumanisation des hommes

Vue du ciel proposé par Rimbaud dans les 6 premiers vers est un champ de bataille.

Les couleurs -> en écarlate les troupes françaises et en vert les troupes prussiennes. Une fois recouverts d'un
uniforme, ils deviennent des pions et perdent toute individualité car c'est une masse. V.6 "fait des hommes un tas
fumant". Transformation terrible des hommes en un tas fumant. En fait, des hommes transformés dans un tas calciné
-> cendre -> mort.

Le verbe "faire" est utilisé à contre-emploi, il crée le mal mais ne le fabrique pas.

3. La souffrance des mères

La mère donne vie et ne veut pas que ses enfants se fassent tuer à la guerre.

"Les mères sont ramassées dans l'angoisse" v.12.

Le rejet qui met en valeur cette expression "ramassées" -> recroquevillement tremblante et "Dieu" reste "zen".
Dieu est complice et indifférent à la guerre.

Les mères pleurent l.13 "…pleurant…". Elles sont pauvres et en deuil car elles portent du noir : "…vieux bonnet
noir…". Elles demandent la protection de Dieu en leur donnant un sous l.14 "…un gros sou…".

Une guerre sale et méprisante qui déshumanise les hommes et qui tue la vie et fait pleurer les mères face à cette vision
dantesque de Dieu.

La présence de Dieu peut surprendre et ne pas surprendre car Rimbaud a été pratiquant.

Ici, il attaque directement Dieu, et avec le titre, Dieu fait le mal : le diable.

Dieu est indifférent face à ce massacre.

II) La satire de Dieu et de la religion

Le verbe "rire" de Dieu se rapproche du verbe "railler" du Roi.

Dans le poème Le Mal, il ne cite qu'une seule phrase qui montre bien la simultanéité du carnage et de Dieu qui rit.

Dans ce texte, il y a une forte antithèse :

Au rouge du sang, Rimbaud oppose l'or des églises v.10 : luxe de l'église : "Nappe canassée", "grande", "calice
d'or" qui s'oppose à la pauvreté du peuple "vieux bonnets…".

Intonation de la guerre -> son meurtrier, dure antithèse avec "siffle, écarlate…".

L'intonation de l'église -> son doux, agréable et mélodieux.

Niveau olfactif : opposition entre l'odeur :


de l'église -> "encens"

de la guerre -> "un tas fumant"

L'église catholique est un lieu luxueux enrichi par la pauvreté du peuple, fermé à l'espoir.

Façon très irrespectueuse -> anticlérical. Quant aux mères, elles ont la foi. Leur ultime repas est Dieu. Elles sont
prêtes à donner tous ce qu'elles ont pour sauver l'âme de leur fils. Les mères "donnent" (insistance en tête de vers, et
un point d'exclamation) un gros sous (toute leur richesse) en même temps.

Rimbaud est révolté par l'indifférence de Dieu face à la générosité des mères par le point d'exclamation.

"Un gros sous dans un mouchoir" tout au singulier ce qui met en valeur la pauvreté de ces mères. L'église complice
de la guerre, pleine de richesse, et aussi le mépris des femmes.

III) La sérénité de la nature face au carnage

La nature est évoquée essentiellement au vers 7 et 8 : le 2ème quatrain.

Rimbaud rend hommage à la nature. Nous sommes en été (belle saison), couleur verte, bleue (ciel). C'est une nature
belle et généreuse.

"Ô toi qui fis…" v. 8 -> la guerre

La Nature crée la vie. Début de cette phrase en majuscule.

"Faire saintement" v.8 est un hommage de la Nature qui est sincère, pure, désintéressée. Pour Rimbaud, la nature est
Dieu = divinité, valeur morale (Cf. Le dormeur du Val).

Cette évocation de la nature est placée au milieu du sonnet, entre 2 aberrations humaines :
- aberration de la guerre, culte de la force,
- aberration de l'église, culte du veau d'or.

Le havre de paix, la seule chose pure par le ton de la prière "Ô toi qui…" est la Nature. Position centrale.

Conclusion

    Ainsi dans Le Mal, Arthur Rimbaud dénonce de manière très virulente le mal de la guerre et de la religion. C'est un
sonnet très révélateur de cette période de sa vie marquée par la révolte et le refus du conformisme provincial et
familial.
    C'est donc un texte non seulement de la guerre mais aussi de la société de son temps. En revanche, ce poème se
montre très classique et très traditionnel en respectant les règles du sonnet et en développant le thème traditionnel de
la Nature.

https://commentairecompose.fr/le-mal-rimbaud/

3-MA BOHÈME (FANTASIE)

Je m'en allais, les poings dans mes poches crevées ;


Mon paletot aussi devenait idéal ;
J'allais sous le ciel, Muse, et j'étais ton féal ;
Oh ! là là ! que d'amours splendides j'ai rêvées !

Mon unique culotte avait un large trou.


Petit-Poucet rêveur, j'égrenais dans ma course
Des rimes. Mon auberge était à la Grande-Ourse.
Mes étoiles au ciel avaient un doux frou-frou

Et je les écoutais, assis au bord des routes,


Ces bons soirs de septembre où je sentais des gouttes
De rosée à mon front, comme un vin de vigueur ;

Où, rimant au milieu des ombres fantastiques,


Comme des lyres, je tirais les élastiques
De mes souliers blessés, un pied près de mon cœur !

LA MIA BOHÈME (FANTASIA)

Me ne andavo, i pugni nelle tasche sfondate;


E anche il mio cappotto diventava ideale;
Andavo sotto il cielo, Musa! ed ero il tuo fedele;
Oh! quanti amori splendidi ho sognato!
 
I miei unici pantaloni avevano un largo squarcio.
Pollicino sognante, nella mia corsa sgranavo
Rime. La mia locanda era sull'Orsa Maggiore.
- Nel cielo le mie stelle facevano un dolce fru-fru
 
Le ascoltavo, seduto sul ciglio delle strade
In quelle belle sere di settembre in cui sentivo gocce
Di rugiada sulla fronte, come un vino di vigore;
 
Oppure, rimando in mezzo a fantastiche ombre,
Come lire tiravo gli elastici
Delle mie scarpe ferite, un piede vicino al cuore!

Introduction

     Ecrit par Arthur Rimbaud à l'âge de 16 ans, Ma Bohème évoque une ou plusieurs de ses fugues. Il veut fuir un
milieu étouffant et le conformisme. Il s'agit d'un sonnet léger de forme traditionnelle, plein de fantaisies, de jeunesse
qui illustrent bien les errances adolescentes de Rimbaud.
     Ma Bohème est extrait du recueil Poésies.

Annonce des axes

I. Images du voyage
1. Le titre
2. L'expression du déplacement
3. Vagabondage heureux et insouciant

II. Le voyage, inséparable de la poésie


1. Le voyageur est un poète
2. La poésie, passe-temps du voyageur
3. L'expression poétique du voyage

III. Raisons du rapprochement voyage-poésie


1. La poésie et le voyage permettent d'accéder à des mondes nouveaux
2. Poésie et voyage = liberté et création

Commentaire littéraire

I. Images du voyage

1. Le titre

Le titre évoque un voyage sans itinéraire précis donc une errance selon le hasard et la fantaisie.

2. L'expression du déplacement

Elle se fait par les verbes  : au vers 1 "Je m'en allais" > sans précision du lieu. Le temps est l'imparfait à valeur
durative. Des lieux sont cependant indiqués "sous le ciel", "mon auberge", "au bord des routes" > images
traditionnelles du voyage même si ces indications sont vagues. Mise en valeur de "sous le ciel" avec la césure.

3. Vagabondage heureux et insouciant

Vagabondage heureux et insouciant qui domine le poème avec une idée de joie puisque ce voyage n'a aucun but,
aucune contrainte donc insouciance du voyageur. On a l'impression qu'il se fond dans la nature.

II. Le voyage, inséparable de la poésie

1. Le voyageur est un poète

Dès le titre, nous observons "Ma Bohème" > Il est question de sa vie et individualise ce voyage. Le mot "bohème"
établit un lien avec les milieux littéraires. Champ lexical de la poésie "Petit Poucet rêveur", "Muse".

2. La poésie, passe-temps du voyageur

Champ lexical "rime" mis en valeur par l'enjambement, "rimant" participe présent donc l'action est en train de se
faire. La poésie est l'activité essentielle du jeune voyageur.
Association "lyres" - "élastiques" qui représentent des cordes. "lyres", instrument qui symbolise le poète. Le
voyageur est soumis à une divinité inspiratrice "j'étais ton féal". Ces images de la poésie révèlent la jeunesse du
poète.

3. L'expression poétique du voyage

Rimbaud nous montre que tout est soumis à une métamorphose; d'ailleurs il est d'abord "féal" puis "Petit Poucet".
Autodérision, autoportrait par les vêtements troués > il montre qu'il est au dessus de tout ce qui est matériel et
emploie un vocabulaire trivial.
Métamorphose des lieux concrets en lieux magiques. Importance du thème stellaire "Mes étoiles". Rimbaud
métaphorise les étoiles comme autant de présence féminine "frou-frou".

III. Raisons du rapprochement voyage-poésie

1. La poésie et le voyage permettent d'accéder à des mondes nouveaux

L'ailleurs "ombres fantastiques". Cela suggère aussi de nombreuses sensations "je les écoutais", "je sentais".

2. Poésie et voyage = liberté et création

"je m'en allais" > liberté mais aussi caractère illimité et infini de ce voyage. Refus des contraintes poétiques même s'il
s'agit d'un sonnet mais beaucoup de liberté par prosodie classique > ton de fantaisie. Mélange de registres lexicaux :
"culotte" opposé à "idéal".
Beaucoup de ruptures dans les alexandrins + enjambements, rejets. "Oh ! là là !" > amusement de Rimbaud.

Conclusion

Le poème Ma Bohème révèle les orientations futures de Rimbaud.


Ce voyage initiatique est en dehors des règles de la poésie traditionnelle et préfigure l'expérience du Bateau Ivre.

4-VOYELLES

A noir, E blanc, I rouge, U vert, O bleu : voyelles,


Je dirai quelque jour vos naissances latentes :
A, noir corset velu des mouches éclatantes
Qui bombinent autour des puanteurs cruelles,

Golfes d'ombre ; E, candeur des vapeurs et des tentes,


Lances des glaciers fiers, rois blancs, frissons d'ombelles ;
I, pourpres, sang craché, rire des lèvres belles
Dans la colère ou les ivresses pénitentes ;

U, cycles, vibrements divins des mers virides,


Paix des pâtis semés d'animaux, paix des rides
Que l'alchimie imprime aux grands fronts studieux ;

O, suprême Clairon plein des strideurs étranges,


Silences traversés des Mondes et des Anges :
O l'Oméga, rayon violet de Ses Yeux ! -

VOCALI

A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali,


Io dirò un giorno le vostre nascite dormienti:
A, nero corsetto villoso di mosche splendenti
Che ronzano intorno a crudeli fetori,

Golfi d’ombra; E, candori di vapori e tende,


Lance di fieri ghiacciai, bianchi re, brividi d’umbrelle;
I, porpora, sangue sputato, risata di belle labbra
Nella collera o nelle ubriachezze penitenti;

U, cicli, vibrazioni divine dei verdi mari,


Pace di pascoli seminati d’animali, pace di rughe

Che l’alchimia imprime nelle ampie fronti studiose;

O, suprema Tromba piena di strani stridori,


Silenzi attraversati da Angeli e Mondi:
– O l’Omega, raggio viola dei suoi Occhi!

Introduction

    Voyelles, un des plus célèbres poèmes d'Arthur Rimbaud, est extrait du recueil Poésies. Le poème Voyelles est
paru en 1883, mais a été écrit en 1872.
    Ce sonnet en alexandrins a fait l'objet de multiples et diverses interprétations, car c'est le plus énigmatique poème
de Rimbaud

Annonce des axes

I. Des associations avec les voyelles


1. Associations voyelle / couleur
2. Associations voyelle / sensations
3. Associations voyelle / forme

II. Le poète, créateur voyant


1. Les naissances latentes
2. L'alpha et l'oméga
3. Le poète voyant

III. Hypothèse sur la signification du poème voyelles


1. Les étapes correspondant aux voyelles
2. Le portrait d'une femme

Commentaire littéraire

I. Des associations avec les voyelles

Chaque voyelle fait émerger des couleurs, des sensations, des images.

1. Associations voyelle / couleur

Au vers 1 du poème, Rimbaud fait correspondre une couleur à chaque voyelle. Ces couleurs n'ont a priori aucun lien
avec la voyelle associée.

Ces couleurs se retrouvent dans la suite du poème, de façon plus ou moins concrète :
- A noir : " noir corset", "mouches". A noter, le rejet de "Golfes d'ombre" au vers 5, qui semble vouloir empiéter sur
le blanc.
- E blanc : le blanc est la couleur de l'innocence -> "candeur". "vapeurs" qui renvoie également plutôt l'image du
blanc. "Ombelle" (définition : inflorescence avec des fleurs de la forme d'un parasol) -> les fleurs en ombelle sont
souvent blanches.
- I rouge : "pourpres", "sang", "lèvres", "colère".
- U vert : "virides" = vert bleuté et transparent. Allitération en [v] (vers 9) qui fait écho à la couleur verte.
- O bleu : "suprême Clairon", "Anges"-> renvoie au divin qui est associé à la couleur bleue. "violet".

2. Associations voyelle / sensations

Rimbaud fait correspondre des sensations aux voyelles :


- toucher "velu",
- odeur "puanteurs",
- sensations corporelles : "frisson",
- vue : champ lexical de la lumière "éclatantes", "rayon",
- ouïe  : néologisme "bombinent" d'après le verbe latin "bombino", bourdonner. "Clairon",
"strideurs" (néologisme).
Le poème recèle également de nombreuses allitérations et assonances (exemple : assonance en [i] au vers 9).

3. Associations voyelle / forme

A : rappelle la forme de la mouche


O : rappelle l'ouverture du pavillon du clairon, ou une bouche ouverte qui crierait comme un clairon.

-> Voir aussi : le poème Correspondances, de Baudelaire

II. Le poète, créateur voyant

1. Les naissances latentes

Au vers 2, Rimbaud se propose de dire "quelque jour vos naissances latentes", en s'adressant aux voyelles
(interpellation "voyelles", "je", "vos") -> personnification des voyelles.
Ce vers a fait l'objet de nombreuses interprétation, on peut imaginer que Rimbaud parle ici de ses futurs créations
poétiques.
Le futur "Je dirai" indique que Rimbaud sera le futur créateur.

2. L'alpha et l'oméga

Inversion entre le O et le U dans l'ordre des voyelles (A, E, I, U, O dans le poème au lieu de A, E, I, O, U) afin de
placer la lettre O en dernier. Rimbaud rappelle la correspondance entre la voyelle O et "l'Oméga", la dernière lettre
de l'alphabet grec. L'article défini devant "Oméga" et sa majuscule mettent en valeur ce mot.
Le poème commence donc par la lettre A (= alpha), et se termine sur oméga : le poème est un tout qui se suffit à lui-
même.

La voyelle O est isolé du reste du poème par le tiret au début du dernier vers.

Questa poesia è quindi tutta una grande sinestesia, che mescola e confonde sfere sensoriali diverse. L’anarchia e
l’arbitrarietà delle immagini che si costruiscono nella mente del poeta è resa dal ritmo incalzante dei versi, con parole
collegate tra loro per lo più per asindeto.

L’ordine delle vocali non è del tutto quello consueto: la O viene messa per ultima perché identificata con l’omega,
ultima lettera dell’alfabeto greco.
Vocali nacque in un periodo nel quale il poeta, come scriverà pochi mesi dopo nella prosa alchimia del verbo, credeva
a tutti gli incantesimi: come in un incantesimo egli accosta qui ogni vocale a un colore, secondo una ricerca sulle
sensazioni che ha lunghissima tradizione nella cultura occidentale.
Il sonetto è organizzato secondo un processo di associazioni che, partendo dall'immagine visiva (la forma delle
vocali), creano un susseguirsi di analogie cromatiche. Il testo va però letto in chiave non realistica, ma fantastica:

Rimbaud, partendo  dalle vocali dell'alfabeto e dai colori che esse suggeriscono, si abbandona liberamente alle
associazioni immaginative che tale spunto gli ispira.
I critici hanno fornito varie interpretazioni di questa lirica. Seguendo la simbologia tradizionale dei colori (che il poeta
sembra seguire nelle immagini associate a ciascuna vocale) si può giungere a queste conclusioni:
• la <<A>> sarebbe simbolo della morte e del suo mistero (vv. 3-4: mosche... che ronzano sui cadaveri);
• la <<E>> simbolo dei sogni innocenti e della purezza (ai vv. 5-6 sono presenti vocaboli appartenenti all'area
del significato della purezza: candori, vapori, ghiacciai);
• la <<I>>, rossa (porpore) come il sangue e le labbra, alluderebbe alla violenza delle passioni che provocano
l'ebrezza dei sensi (v. 8: collera, ebbrezze);
• la <<U>> appare collegata a immagini di quiete e tranquillità (viridi mari, pace di bestie alla pastura);
attraverso un processo analogico (per cui i solchi tracciati dall'aratro nei pascoli sono associati alle rughe) la
tranquillità viene attribuita anche allo studioso (pace di rughe / sull'ampia fronte studiosa);
• la <<O>>, con il suo colore blu e la sua forma circolare, è il simbolo della perfezione, dell'infinito, del cielo e
dell'universo spirituale. Le immagini si riferiscono infatti ai silenzi attraversati dagli Angeli, i quali suonano
la Tromba in galassia lontane. La circolarità ci fa inoltre pensare ad avvenimenti perfettamente conclusi: ciò,
assieme al colore violetto attributo alla lettera O, allude forse alla fine, alla morte.
L'alterazione dell'ordine con cui Rimbaud ha collocato le sue vocali (vista la presenta della <<O>> alla fine) si spiega
nell'ultimo verso. Qui la O viene identificata con la vocale Omega, ultima lettera dell'alfabeto greco: nei Vangeli, essa
è attribuita a Cristo, definito principio e fine di tutte le cose.
Il poeta dispone parole e concetti secondo una tecnica accumulatoria, dove le immagini acquistano valore e senso per
l'impressione che creano. Il sonetto si fonda infatti sull'intreccio delle parole e delle immagini e sull'intensa
musicalità dei versi, come rivela soprattutto il testo originale francese.

3. Le poète voyant

Le poème termine sur la couleur violète, qui est le mélange du rouge (voyelle I) et du bleu (voyelle O) : synthèse, et
vision du poète au-delà des apparences puisqu'il voit une nouvelle couleur par rapport à celles énoncées dans le
premier vers. Le violet qui termine le poème est également la dernière couleur du spectre lumineux.

"Ses Yeux" : mise en valeur par les 2 majuscules. Il n'est pas explicité clairement à qui appartiennent ces yeux dans le
poème : à Dieu ? à une femme ? au poète ?

Pour le poète voyant, les yeux symbolisent l'acuité visuelle dont le poète fait preuve dans son étude des voyelles.

-> Voir aussi : La lettre du voyant, de Rimbaud

III. Hypothèses sur la signification du poème voyelles

1. Les étapes correspondant aux voyelles

Une interprétation du poème serait que les voyelles symbolisent des étapes de la vie

A  : décomposition, mort. Le noir symbolise le néant d'où va émerger la lumière, le blanc qui contient toutes les
couleurs.
E : naissance, enfance ("candeur" qui fait penser à l'innocence des enfants).
I : âge adulte "colère", ivresse". Allitération en [r] aux vers 7 et 8 qui suggère la violence et la dureté.
U : sagesse "paix", vieillesse "rides"
O : atteinte d'un idéal ("suprême", "Anges", "oméga").

La première voyelle "A" peut faire penser à une exclamation de dégoût, alors que la dernière voyelle "O" peut faire
penser à une exclamation d'extase.
-> évolution positive du poème.

De même on voit cette évolution dans le vocabulaire utilisé  : péjoratif pour A ("velu", "mouches", "puanteurs
cruelles") et élogieux pour O ("suprême", "anges").

2. Le portrait d'une femme

Une autre interprétation du poème serait que les voyelles dressent le portrait d'une femme :
A : "corset velu". La forme de la lettre A peut rappeler le pubis d'une femme.
E : blancheur du teint.
I : lèvres rouges.
U : front.
O : yeux bleus-violets. La forme de la lettre oméga en minuscule rappelle également la poitrine d'une femme.

Conclusion

Le poème Voyelles de Rimbaud est un poème moderne dans lequel l'auteur considère les voyelles et les mots comme
de simples objets, mais desquels peuvent sortir de nombreuses idées pourtant sans lien évident avec la voyelle a
évoqué ces idées.

Pour aller plus loin : intéressante théorie sur le poème : http://www.mag4.net/Rimbaud/poesies/Voyelles.html

5-MATIN

N’eus-je pas une fois une jeunesse aimable, héroïque, fabuleuse, à écrire sur des feuilles d’or, – trop de
chance ! Par quel crime, par quelle erreur, ai-je mérité ma faiblesse actuelle ? Vous qui prétendez que
des bêtes poussent des sanglots de chagrin, que des malades désespèrent, que des morts rêvent mal,
tâchez de raconter ma chute et mon sommeil. Moi, je ne puis pas plus m’expliquer que le mendiant avec
ses continuels Pater et Ave Maria. Je ne sais plus parler!
 
Pourtant, aujourd’hui, je crois avoir fini la relation de mon enfer. C’était bien l’enfer ; l’ancien, celui dont
le fils de l’homme ouvrit les portes.
 
Du même désert, à la même nuit, toujours mes yeux las se réveillent à l’étoile d’argent, toujours, sans que
s’émeuvent les Rois de la vie, les trois mages, le coeur, l’âme, l’esprit. Quand irons-nous, par-delà les
grèves et les monts, saluer la naissance du travail nouveau, la sagesse nouvelle, la fuite des tyrans et des
démons, la fin de la superstition, adorer – les premiers ! – Noël sur la terre !
 
Le chant des cieux, la marche des peuples ! Esclaves, ne maudissons pas la vie.
 
 
 
MATTINA
 
Una volta non ebbi forse una giovinezza amabile, eroica, favolosa, da iscrivere su fogli d’oro, – troppa
fortuna! Per quale delitto, per quale errore, ho meritato la mia debolezza d’oggi? Voi, che pretendete
che le bestie abbiano singhiozzi di dolore, che i malati disperino, che i morti sognino male, cercate di
raccontare la mia caduta e il mio sonno. Quanto a me, non posso spiegarmi meglio del mendicante con i
suoi eterni Pater e Ave Maria. Io non so più parlare!

 
Oggi, però, credo d’aver finita la relazione del mio inferno. L’inferno, proprio; l’antico, quello di cui il
figlio dell’uomo aprì le porte.
 
Dallo stesso deserto, nella stessa notte, sempre i miei occhi spossati si svegliano alla stella d’argento,
sempre, senza che si commuovano i Re della vita, i tre magi, cuore, anima, spirito(mente). Quando mai
andremo, di là dalle spiagge e dai monti, a salutare la nascita nel nuovo lavoro, la saggezza nuova, la fuga
dei tiranni e dei demoni, la fine della superstizione, ad adorare – per primi! – Natale sulla terra!
 
Il canto dei cieli, il cammino dei popoli! Schiavi, non malediciamo la vita.

Dalla prefazione: A Bruxelles, Verlaine non voleva che Rimbaud partisse, e le suppliche, le minacce si
concretizzarono in un colpo di rivoltella che per fortuna ferм soltanto lievemente l’amico al polso. Dichiarazioni,
interrogatori, deposizioni al commissario di polizia e al giudice istruttore. Condanna di Verlaine. Il dramma si
consumava. Nel periodo che seguм, Rimbaud si ritirт a Roche, nella sua campagna vicino a Charleville, e terminт
nell’agosto 1973 la composizione di Una Stagione all’inferno iniziata nell’aprile dello stesso anno. Prima voleva
chiamare l’opera «Libro pagano» o «Libro negro», infine optт sempre per un titolo aderente al contenuto. Non
avendo pagato l’editore, entrarono in circolazione solo pochi esemplari. Nacque il mito. Ritenendola l’ultima opera
del poeta (seguono invece le Illuminazioni e gli «scritti africani»), piacque immaginare che Rimbaud avesse distrutto,
bruciato le copie della Saison («autodafй»). La «storia» potй allora nutrirsi del mito del silenzio, dell’abbandono della
poesia, cosм cari al nostro secolo. Furono poi trovate per caso le copie negli scantinati dell’editore e, distrutte quelle
deteriorate, furono messe in vendita le altre. La tesi cambiт di poco, fu adattata e da quei tempi la «certezza» non fu
mai ristabilita come Rimbaud stesso aveva permesso, moltiplicando le letture della sua opera. E i miti continuarono.

-Introduction
Avant-dernière section d’"Une saison en enfer", "Matin" permet, mieux que tout autre fragment, de percevoir les
enjeux (POSTA IN GIOCO) de l’écriture rimbaldienne. Si, en première lecture, le poème en prose parait
déroutant(confuso), voire hermétique, la rigueur de sa progression laisse entrevoir un texte logique et, a tous
égards, parfaitement emblématique de l’ensemble du recueil qu’il pourrait à lui seul résumer. "Matin" tient donc à la
fois du bilan, du constat que toute révolte, aussi légitime soit-elle pour affirmer son identité, doit s'assigner un but et
une aspiration à un monde meilleur. C'est à cette interrogation sur l'avenir que répond le texte. Le présent qu'il veut
changer, celui de l'échec, de l'enfer sur Terre fait apparaitre ce texte comme noir et bien désabusé alors que le titre
"matin" pouvait nous laisser entendre une aube nouvelle, une renaissance.

La recherche des temps perdus


Le jeu des temps est ici très révélateur. Par rapport au présent de l’écriture, on évoque au début le passé lointain de la
"jeunesse" et de la "chance ". L’expression "une fois", rend compte du statut particulier de ce moment originel,
une période unique impossible à revivre. C'est l’âge d’or ou "l'homme suçait, heureux sa mamelle chérie", magnifié
par des adjectifs "fabuleuse" ou "héroïque" rappelant les contes de fées. La deuxième phrase en opposition avec le
passé lointain volontairement mythifié fait apparaître un présent dévalorisé par la "faiblesse". Le contraste est
d’autant plus grand que le poète en cherche les raisons. Comme Adam chassé du paradis ("ma chute et mon
sommeil"), il ne peut expliquer pourquoi le bonheur lui a échappé, qui le punit ? Et de quel droit, lui qui n'a pas
commis le péché originel et ne mérite pas la déchéance. Il n'a pas de réponses à ces questions et demande qu'on
l'aide à comprendre.

La recherche des causes


Pour trouver ses réponses il se tourne vers les conteurs, les voyants de toute sorte. De fait, après une transition
assurée par le glissement du passé composé (ai-je mérité) vers l’adjectif "actuelle", le texte est très largement dominé
par le présent. On constate que plusieurs verbes témoignent d'un profond doute chez le narrateur, d’une absence de
certitude ("tâchez ", "je crois") avec une abondance de tournures négatives ("je ne puis pas plus", "Je ne sais plus",
"sans que s’émeuvent"). Les actions mentionnées sont souvent dépréciées ( "Vous qui prétendez", "que des morts
rêvent mal"), quand elles n’évoquent pas directement le malheur ("des bêtes poussent des sanglots", "des malades
désespèrent"). Cette atmosphère de découragement caractérise donc un "aujourd’hui" décevant, marqué à la fois par





l’impossibilité de le communiquer et par le retour à l’identique, avec répétition de termes ("enfer","même",


"toujours") évoquant le ressassement. Les deux occurrences de "même" et celles de "toujours". Le "toujours" qui
en début de troisième paragraphe, renvoie ainsi à "continuels", parait emprisonner le narrateur dans une lassitude
exprimée par la métaphore du regard (" mes yeux las"). S’il y a bien réveil — donc évolution par rapport "sommeil",
sa réitération permet de douter de sa réalité. En ce sens, le proche passé guette toujours, et il serait possible
d’interpréter la fin du deuxième paragraphe (avec le retour de verbes au passé) comme une difficulté supplémentaire à
se dégager de l’enfer, ce que confirmerait le recours à la formule dubitative "je crois avoir fini". La référence au
Christ ("le fils de l’homme") est d’ailleurs ambiguë : l'ouverture des "portes" de l’enfer peut aussi bien faire allusion
à sa résurrection d’entre les morts qu’au risque de damnation que le baptême fait peser sur les hommes. Quoi qu’il
en soit, l'"aujourd’hui" est marqué par l'échec. Dans la longue phrase qui débute le troisième paragraphe, le désir
de mythification du moment présent, sur le modèle de l’évocation initiale de la "jeunesse aimable", vient lui aussi
révéler la frustration : le recours à une image "fabuleuse", celle des "trois mages", ne débouche cette fois que sur
un constat aride, puisque les aspirations au mouvement (ou à l’émotion, selon les deux sens de "s’émeuvent) et à la
spiritualité ne peuvent être satisfaites. Le passage des "feuilles d’or" à "l’étoile d’argent" pourrait ainsi,
paradoxalement, représenter une image supplémentaire de dégradation.

Conclusion
Si le narrateur s'interroge sur la faute qui aurait pu provoquer sa chute d'un paradis qu'il a dû connaître, il en
recherche un témoin car lui ne peut rien dire, rien expliquer. Il n'attend pas de réponses, il poursuit sa recherche
d'un monde nouveau qui ne manquera pas de venir et qu'il espère. Il se résout, comme les esclaves à avancer comme
les autres, sans haine avec cette espérance qui est en lui.

Vocabulaire

Matin
Du fond de cet enfer, une lumière a lui. Le poète entrevoit le temps où l'on chantera "Noël sur la terre". Mais il
apparait encore bien lointain, une longue marche est promise aux esclaves.
Le glissement chronologique du passé vers l'avenir se fait à travers la conjugaison des verbes
N'eus-je : passé simple
ai-je mérité : passé composé
Je crois : présent
C'était l'enfer : imparfait
Quand irons-nous : futur.
L'évolution de l'individualité vers l'universalité se fait par un changement dans l'énonciation.
Utilisation initiale du "je", "moi", "ma" puis à la fin utilisation du nous.
L'amplification se fait par l'utilisation des pluriels (tyrans, démons, bêtes, grèves, monts) qui donne au texte
une fonction messianique et au poète le rôle du porte parole libérateur de l'humanité.

Comparaison avec Adam chassé du paradis terrestre : "Ma chute et mon sommeil".

















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