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Francesco Petrarca – Le altre Opere

1. I Trionfi
I “Triumphi” sono l’unica altra grande opera in volgare di Petrarca, oltre al Canzoniere.
Si tratta di un lungo poema, concepito come una serie di canti dedicati ad enti personificati e allegorizzati
che si succedono, ognuno trionfando sul precedente. In particolare abbiamo Trionfo d’Amore (Triumphus
Amoris); Trionfo della Castità/Pudicizia (Triumphus Pudicitie); Trionfo della Morte (Triumphus
Mortis); Trionfo della Fama (Triumphus Fame); Trionfo del Tempo (Triumphus Temporis); Trionfo
dell’Eternità (Triumphus Eternitatis).
È scritto in terzine dantesche: un metro inventato da Dante con la Commedia e considerato ideale per la
narrazione lunga in poesia; fu sempre poco congeniale a Petrarca, ed è probabilmente questo uno dei
motivi principali dell’incompiutezza e la non piena riuscita del testo (oltre al solito lavoro selettivo e
correttorio imposto dal poeta stesso [labor limae]).
Sì, perché i Trionfi di Petraraca ci sono giunti in modo piuttosto frammentario e, appunto, incompiuto.
L’ingente massa di materiali rimasti ci dimostra infatti che il poeta non ha affatto concluso l’opera come ha
fatto con i Rvf ; non ha scelto fra diverse versioni ciò che era opportuno far confluire nella definitiva.
Per questo, nonostante i numerosi tentativi, è stato finora impossibile dare un’edizione critica completa e
allo stesso tempo convincente dei Triumphi di Petrarca: i materiali sono tanti, ma frammentari, molti di essi
incompleti.
 Trionfo d’Amore – sono 4 capitoli, e ognuno con 3 diverse redazioni
 Trionfo della Pudicizia – 4 redazioni
 Trionfo della Morte – 2 capitoli da 2 redazioni ciascuno
 Trionfo della Fama – 3 capitoli, è incerto su quante fossero le redazioni
 Trionfo del Tempo – 2 redazioni
 Trionfo dell’Eternità – 2 redazioni
E dunque è preclusa agli studiosi e agli editori la facile soluzione offerta invece dal Canzoniere: quella che
guarda solo alla versione ultima dell’opera, non curandosi della sua preistoria. (le edizioni critiche e
commentate del Canzoniere sono fatte sulla base della versione ultima del Vat.Lat. 3195, e non su tutte le
redazioni precedenti. Con i Trionfi ciò non è possibile, perché non esiste una versione ultima).
Anche la datazione è però piuttosto incerta.
Il Trionfo dell’Eternità, l’ultimo, è conservato autografo nei fogli del codice Vaticano Latino 3196 (il
codice degli abbozzi) ed è datato 1374: fu scritto dunque negli ultimi mesi di vita del poeta. Ma se è
dunque sicuro che Petrarca lavorò sui Triumphi fino agli ultimi anni della sua vita, è difficile capire quando
l’opera sia stata iniziata.
Nello stesso codice Vaticano degli scartafacci troviamo anche una parte del Trionfo d’Amore, non
conclusa, molto lacunosa, ma con una postilla datata che risale al 1357, ma il lavoro a quella data era
certamente già iniziato da tempo.
Indizi e studi di vario genere, recentemente, hanno portato ad indicare la primavera del 1352 come data,
seppur approssimativa, dell’inizio dell’opera. Durante l’ultimo soggiorno valchiusano, quindi, e soprattutto
negli anni della svolta nella vicenda amorosa di Petrarca.
La Peste del 1348 gli ha portato via, tra tutti, l’amata Laura; e dunque è intorno agli anni ’50 che il poeta
vive un periodo di svolta nella sua vicenda. I Trionfi che via via si succedono a danno proprio di Amore,

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sarebbero quindi tesi a esaltare la svolta morale e concettuale della vita e della poesia di Petrarca, in seguito
non solo al disastro della Peste, ma anche al pellegrinaggio romano in occasione del Giubileo.
È dunque verosimile collocare la genesi dell’opera in questo periodo di svolta nella vita del poeta.
Ma non è da scartare neppure l’ipotesi che, almeno i primi capitoli del Trionfo d’Amore siano stati scritti
ben prima, addirittura negli anni ’40, in cui l’ambiziosa idea di un poemetto trionfale su Amore non
apparirebbe del tutto inopportuna; e anche lo stesso concetto di Trionfo sarebbe ben ricollegabile
all’incoronazione poetica capitolina del 1341.

1.1. La struttura del testo


L’opera si compone di sei trionfi, ispirati all’antica cerimonia romana nella quale, al ritorno nell’Urbe,
veniva celebrato il generale vittorioso che sfilava in città fino al Campidoglio, in un corteo composto da
soldati, prigionieri e bottino di guerra.
Nell’opera di Petrarca avviene qualcosa di simile: i sei Trionfi corrispondono infatti ad altrettante visioni in
cui, il protagonista, inizialmente accompagnato da una guida (di cui non si conosce l’identità; forse Cino da
Pistoia, o addirittura Dante), vede sfilare e succedersi gli enti personificati come in un corteo.
 Trionfo d’Amore, in quattro capitoli: davanti al carro di Amore sfilano tutti i suoi più celebri
prigionieri di ogni tempo. Per primi gli amanti dell’età classica (da Giulio Cesare agli dèi
dell’Olimpo); nel secondo capitolo viene data particolare importanza a Massinissa e Sofonisba,
protagonisti di un celebre episodio dell’Africa; andando avanti si succedono ancora le più famose
coppie dell’età classica e dei racconti biblici (da Ulisse e Circe, fino a Sansone e Dalila), fino ad
arrivare ai medievali Tristano e Isotta, Paolo e Francesca, Lancillotto e Ginevra.
A questo punto egli vede comparire nel corteo anche la «giovenetta» Laura, e ne trae occasione per
una lunga digressione sulla natura violenta e irrazionale dell’amore. Poi entra nel corteo
Il capitolo quarto chiude il corteo di Amore con tutti i più grandi poeti d’amore di tutti i tempi; a
partire dai greci e dai latini, fino ad arrivare ai moderni poeti italiani della scuola siciliana e a tutte le
celebri personalità provenzali.
Ormai parte del corteo, il protagonista compie insieme a tutti gli amanti il tragitto finale fino a Cipro,
isola sacra a Venere, dove conosce lo strazio che gli innamorati devono soffrire.
 Trionfo della Pudicizia, in un solo capitolo: La Castità è impersonata proprio da Laura, che mette in
campo tutte le sue virtù e dopo uno strenuo combattimento trionfa sull’Amore, che viene vinto quindi
dalla Pudicizia. Ed è appunto Laura, personificazione della Castità, a prendere la guida del corteo.
 Trionfo della Morte, in due capitoli: il primo capitolo è dedicato al tremendo disastro della Peste del
1348, in cui la Morte uccide Laura, trionfando a sua volta, e segnando il limite imposto anche ad ogni
eccellenza di tipo umano. In seguito, la seconda parte è occupata dal lungo episodio (riportato anche
nel Canzoniere) in cui Laura visita il poeta in un sogno, e dichiara di aver ricambiato il suo amore, ma
di aver tenuto accuratamente nascosto questo sentimento.
 Trionfo della Fama, in tre capitoli: ma la Fama garantisce all’uomo una parziale vittoria sulla Morte,
come mostra il lungo corteo composto dalle personalità più famose della storia. I primi due capitoli
sono dedicati ai grandi condottieri romani («gente di ferro e di valore armata»), greci, e molti molti
altri; l’ultima parte vede invece sfilare tutti i più importanti filosofi, oratori e scrittori antichi, guidati
da Platone.
 Trionfo del Tempo, in un capitolo: nonostante la vittoria sulla Morte, la Fama non può rendere eterni
gli uomini, e dunque il capitolo del Trionfo del Tempo è incentrato sul particolare episodio del Sole
che, per punire questa presunzione di eternità, accelera la sua velocità e quindi la scansione del tempo,
mostrando come la Fama sia destinata comunque alla distruzione: il Tempo trionfa sulla Fama.

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 Trionfo dell’Eternità, in un capitolo: Ultima, su tutti trionfa l’Eternità, che spazza via tutti i
processi di mutamento e corruzione, e salva per sempre ogni bellezza e fama a coloro che hanno
incarnato i valori autentici sulla terra (Laura per prima). Il poema si chiude con una prospettiva
molto cristiana, quella della resurrezione dei corpi salvati da Eternità, che si vedranno restituita la
gioventù e la bellezza.

È la visione incipitaria del poema, che da vita al succedersi dei trionfi, ad essere particolarmente
interessante. Essa è strettamente collegata alla memoria dell’innamoramento (e non a caso Amore sarà
proprio il primo a iniziare il lungo corteo trionfale), alla stagione primaverile che contribuisce a provocarlo,
e al mito di Valchiusa, luogo “eletto” in cui si rinnovano continuamente la memoria e le sofferenze della
vicenda amorosa.
In questo senso, l’inizio del poema potrebbe essere la conferma della datazione stabilita per quest’opera:
l’ultimo soggiorno valchiusano, quando Laura è ormai morta e dunque la stagione primaverile lo riconduce
nella dimora di Valchiusa, dove si rinnovano il lui i ricordi e gli strazi dell’esperienza amorosa.
Scrive Petrarca, al principio del suo poema:
«Al tempo che rinova i mie’sospiri / per la dolce memoria di quel giorno / che fu principio a sì lunghi
martiri […] / Amor, gli sdegni, il pianto e la stagione / ricondotto m’aveano al chiuso loco…»
Ma se ci facciamo ben caso, il passo incipitario dei Triumphi ha anche un’altra, peculiare importanza. La
memoria del giorno dell’innamoramento; il dolore portato dalla morte di Laura, il vaneggiare amoroso:
tutto riconduce a qualcosa che è già stato narrato nei fragmenta (che in quegli anni sono ancora in
composizione).
E dunque ciò non fa che sottolineare l’estrema contiguità tra il testo dei Trionfi e quello del Canzoniere. E
anzi, il poema è dunque dipendente dalla narrazione amorosa riportata nei Rvf, ne costituisce quasi un
complemento, un’appendice. E numerosi sono dunque i punti di contatto tra le due opere.

1.2. I Trionfi e il Canzoniere: la figura di Laura


Effettivamente, la lettura dei Trionfi rimanda continuamente al Canzoniere, non solo nel suo tratto
incipitario. In qualche modo lo presuppone. Santagata, riguardo all’argomento, ha scritto che il rapporto tra
i Triumphi e i Rvf parrebbe analogo a quello che c’è tra la Vita Nova e la Commedia di Dante. Esattamente
allo stesso modo, i Trionfi in qualche modo completano la storia, la lettura e la comprensione della raccolta
dei fragmenta. Scrive inoltre, sempre Santagata, che chiaramente i Trionfi presuppongono il libro di versi,
e che nascono come prosecuzione e ampliamento di quell’esperienza.
L’elemento unificante della coppia di opere, così come lo era stato per le due dantesche, è il ruolo della
donna-mito: co-protagonista del libro amoroso, si trasforma poi in attrice di primo piano nel poema.
A differenza del Canzoniere, non è l’autorappresentazione del poeta innamorato a costituire il filo
conduttore di tutto il racconto. Sì, il poema è inaugurato dal punto di vista del soggetto amante, e benchè
sia ovviamente lui stesso a vedere in prima persona sfilare davanti a se i cortei trionfali; è Laura ad essere
la protagonista principale. Protagonista di un percorso di scontro e vittoria sulle passioni terrene, che
culmina con la sua rappresentazione celeste nell’eternità.
E, anche se c’è da precisare che Laura è assente in numerose parti dei Trionfi, bastano alcuni elementi per
dimostrare il suo protagonismo nel racconto. La rievocazione del primo incontro e la conclusione con la
sua immagine nell’eternità sono solo alcuni esempi.
Ma è in particolare nel Trionfo della Morte che la figura di Laura emerge in primo piano con tutta la sua
potenza. Gran parte del primo capitolo è dedicato alla morte di Laura, e poi tutto il secondo capitolo
riguarda il dialogo che il fantasma di lei, in sogno, intrattiene con il poeta.

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Tutto ciò costituisce un fitto gioco di rimandi intertestuali da un’opera all’altra (ricordiamo che tale
episodio è argomento anche di una delle poesie dei Rvf); e fa si che il testo dei Trionfi costituisca quasi un
“controcanto” al Canzoniere, andandone a completare il senso.
Ciò che è dunque evidente è che Petrarca, con i Trionfi, intende appunto proseguire e ampliare il
Canzoniere, costruendo qualcosa che nel libro di rime manca, e sarebbe probabilmente un po’fuori posto in
un libro come i Rvf: la lunga sceneggiatura della morte di Laura. Nel Canzoniere, libro incentrato sulla
vicenda amorosa interiore e morale del poeta, tale descrizione sarebbe risultata fuori posto.
E anzi, potremmo dire di più: il secondo capitolo, che costituisce una lunga parentesi all’interno del corteo
trionfale, è leggibile un po’ come “la vera storia del Canzoniere”. Una storia che era stata vissuta per
frammenti, attraverso le sole emozioni e stati d’animo del poeta; adesso Petrarca la stacca da sé stesso e la
affida alle parole di Laura.
La donna gli appare in sogno e subito si fa riconoscere come colei che gli ha condizionato la vita
(«Riconosci colei che ‘n prima torse / i passi tuoi dal pubblico viaggio»). Il dialogo è formato dalle poche
domande del poeta e da, invece, lunghe e diffuse spiegazioni date ogni volta da Laura, che scrive e rivela
quasi un’altra storia rispetto a quella che abbiamo letto nel Canzoniere; storia che era stata accennata in un
solo piccolo frammento del libro di rime, e che qui ne diventa invece la controparte, la spiegazione reale: il
suo cuore [di Laura] è sempre stato legato a quello dell’amante, anche se il suo viso e i suoi atteggiamenti
lasciavano presupporre il contrario.
Dunque è straordinario il gioco di intrighi che Petrarca conduce, qui, con il suo Rvf: in numerosi punti lo
richiama esplicitamente, a conferma del punto di vista di chi patisce quell’atteggiamento contraddittorio
(nel Canzoniere il pdv è, infatti, solo quello); ma poi va oltre, superando quel punto di vista e affidando a
Laura il ruolo di raccontare la vera storia. Ed è la “sua” storia, di un personaggio che stavolta non è filtrato
attraverso i sentimenti dell’amante, svincolato dal ruolo (dato dal poeta, attraverso il suo punto di vista) di
essere causa della sofferenza; e dunque viene dato più spazio alle sue riflessioni, confidenze e rivelazioni,
che piano piano ci mostrano l’altra faccia della storia del Canzoniere.
Ecco dunque che Laura “ruba” il ruolo al poeta, rievocando essa stessa un episodio complesso e intrigante;
e oltre che protagonista, la donna diventa anche narratore.
Ma attenzione: proprio questa parte del Trionfo della Morte deve metterci in guardia dal leggere i Triumphi
solo in controluce, come se fossero solo un’appendice al Canzoniere o un ammasso di versi che hanno
fuori di sé il loro significato.
Il rapporto Triumphi – Rerum Vulgarium Fragmenta è molto più complesso di così. Certo, il poema
prescinde dal libro di rime, ma il suo obiettivo è:
1) ambiziosamente, di accompagnare ai fragmenta un altro filo conduttore interno, quale controcanto
oggettivo di una storia d’amore tutta soggettiva.
2) L’esplicitazione fantastica, mitologica, di tutti i nuclei di contenuto più profondi del Canzoniere

1.3. L’imitazione dantesca e le altre fonti


Un poema in terzine dantesche; in cui il protagonista è (almeno inizialmente) assistito da una guida; e in
cui per gran parte del testo coincide con il narratore (come detto, è il poeta che racconta la progressione
trionfale che sfila sotto i suoi occhi). Poema organizzato secondo una serie di visioni popolate da i defunti
più illustri e significativi di ogni epoca; che segue una linea di sviluppo ascensionale, che porta dalle
passioni terrene (Trionfo d’Amore) alla dimensione ultraterrena dell’eternità (Trionfo dell’Eternità).

Ebbene, tutto questo non può che ricordare il modello della Commedia di Dante, ed è impossibile negare
che un poema come i Triumphi sia stato concepito al di fuori di questo modello.

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Benché Petrarca abbia affermato di “non aver mai letto Dante”, ci è ben chiaro oggi che lo avesse letto
eccome, e ne avesse tratto anche spunto e ispirazione in varie occasioni. E infatti, le risorse narrative, i
nessi discorsivi, le astuzie tecniche del racconto, richiamano la Commedia ad ogni passo.
E non solo. Anche il rapporto Triumphi-Canzoniere come già detto ricorda quello tra la Commedia e la
Vita Nuova di Dante, e ciò non può essere un caso.

Attenzione però, ciò non significa che allora l’idea dei Trionfi sia una mera imitazione della Commedia
dantesca. Petrarca non ha perduto la sua sfida poetica, ma attraverso Dante è riuscito a creare uno spazio
letterario in cui collocare le idee che intendeva esprimere. L’idea di “Trionfo” innanzitutto, assente nel
poema dantesco, con la quale egli prende, infatti ,subito le distanze dall’ingombrante predecessore.

In questo senso allora, la Commedia va a costituire una sorta di ipermodello, in cui sono state poi collocate
le tante fonti particolari che hanno ispirato la stesura del poema. Fonti che occupano un arco temporale
vastissimo (e infatti possiamo considerare i Trionfi come un repertorio di tutte le letture e di tutta la cultura
di Petrarca), e che non possiamo certamente ridurre alla sola Commedia dantesca.
È vero anche che, di fronte alla concezione d’insieme dell’intero poema, ogni fonte particolare cede,
sembra quasi scomparire. Ma vale la pena citarle:

 Trionfo d’Amore; è facile allinearsi con una lunga serie di tradizioni precedenti da cui è stato preso
spunto. I poeti classici in primis, a partire da Ovidio.
 Trionfo della Pudicizia; sembra in parte ispirato ad un poemetto di Ausonio, Cupido cruciatus, in
cui le donne vittime di Amore catturano il dio e si vendicano, infliggendogli vari tormenti.
 Trionfo della Morte; per la maggior parte ispirato alla propria vicenda amorosa, ma in cui Petrarca
rievoca numerosi eroi e popoli ormai scomparsi. Vi è stato accostato l’enorme affresco del
Camposanto di Pisa, che riporta lo stesso nome, con tutte le sue ispirazioni.
 Trionfo della Fama; la lunga rassegna di uomini illustri è sicuramente frutto di importanti indagini
storiche ed erudite.
 Trionfo del Tempo e Trionfo dell’Eternità; sembrano invece invenzioni tutte petrarchesche, pur
sempre maturate sui modelli di Cicerone, Seneca e Sant’Agostino. Molti spezzoni degli ultimi due
Trionfi ci riportano al Canzoniere, e da lì al Secretum, alle numerose Epystole ecc. ecc.; ma non
mancano riferimenti ai suoi amati testi classici, in particolare le Confessiones di Agostino.

Un’ultima conclusione, allora, merita di essere fatta.


Il modo in cui Petrarca, nei Triumphi, riesce a passare dalle passioni terrene del Trionfo d’Amore,
alla grandiosa astrazione concettuale degli ultimi due Trionfi (Tempo ed Eternità).
Basta vedere come Petrarca ha predisposto la grande scenografia degli ultimi due Trionfi: ha voluto
liberare in loro tutta la forza e l’espressività (anche in modo fantastico) di testi familiari già riecheggiati
mille volte (o addirittura i suoi stessi testi).
In questo modo, nel poema, si sommano due linee guida fondamentali.

 Da un lato l’immagine dei cortei di Amore e Fama, che rappresentano il trionfo dell’antichità, di
tutto il vecchio sapere enciclopedico, che però in modo allegorico viene superato, immettendovi una
tensione culturale “moderna”, carica di tutta l’erudizione petrarchesca.
 Dall’altro lato, gli ultimi due Trionfi, che a tanta materia riescono a coniugare i grandi temi
agostiniani del tempo e dell’eternità, dando un risultato suggestivo soprattutto dal punto di vista
mentale. È per questo che, in particolar modo, il Trionfo dell’Eternità è considerato uno dei migliori
risultati della poesia di Petrarca.

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2. Africa e De Viris Illustribus
È cosa nota, ormai, l’amore e l’ammirazione che, in particolar modo il Petrarca della giovinezza, nutrisse
per l’antichità romana. Chiaro che per ambiente, educazione e inclinazione personale, egli sia stato sin da
subito indirizzato verso il mondo della latinità.
Petrarca è considerato infatti uno dei primi umanisti, uno dei primi uomini rinascimentali, «il primo uomo
veramente moderno», in una modernità [quella rinascimentale] che però guardava indietro, allo splendore
del passato e del mondo antico.
Nonostante sia stato appurato che Petrarca e molti suoi contemporanei fossero per molti aspetti lontani dal
modello che invece sentivano più vicino (l’antica Roma), e appartenenti alla tradizione Medievale; da
subito la civiltà romana e la sua lingua apparvero a Petrarca l’unico possibile orizzonte entro il quale era
concepibile una grande ripresa dell’attività intellettuale: solo tornando ai canoni classici, le arti potevano
tornare allo splendore che invece avevano perduto durante il “buio” Medioevo.
Un amore, quello per l’antichità e la latinità, che lo porterà nel 1341 a scegliere, senza dubbio alcuno,
l’incoronazione poetica a Roma, piuttosto che quella propostagli dall’Università di Parigi: un gesto che in
qualche modo inaugura definitivamente la politica artistico-culturale di Petrarca.
Ma altre fonti ci dicono chiaramente che, non molto tempo prima dell’incoronazione, Petrarca era già
riconosciuto dai suoi contemporanei come un’autorità assoluta nel campo dell’erudizione classica.
Dunque una fama notevole quella che, già da prima lo accompagnava.

Tutto ciò fa sì che, sotto la stella dell’antichità classica, intorno al 1338 Petrarca decida di affrontare la
composizione delle prime opere importanti: appunto il De Viris Illustribus e, quasi in contemporanea, il
poema Africa.
Due opere che hanno entrambe come scopo l’esaltazione della civiltà Romana, e che in qualche modo sono
tra loro collegate, complementari. Il progetto iniziale del De Viris, infatti, ci appare come una specie di
“sussidiario” a quello che è poi il poema, che fornisce al poeta tutte le indispensabili conoscenze storiche
su cui, come afferma egli stesso, poi verrà fondato l’atto poetico.
Quello che c’è da osservare è che Petrarca, nelle sue due opere, pone una esaltazione della Roma
repubblicana, e non di quella imperiale.
Una posizione ideologica netta, che non è ben chiaro da cosa derivi, ma che mostra l’originalità della
concezione di Petrarca: egli intendeva porre l’attenzione su quella che lui considerava la vera Roma, e la
sua vera virtus; riportando i caratteri fondanti della grandezza di Roma, svincolandola però dall’equivoco e
comune problema dell’esaltazione dell’età imperiale.
Puntare su Scipione l’Africano (Africa), eleggerlo a proprio “eroe” e rappresentante più nobile della virtù
romana militare e politica, ne è un esempio lampante.
Così come lo è anche il fatto di aver posto l’attenzione, nel De Viris Illustribus, più che altro sui più grandi
condottieri romani, e non su re e imperatori (certo, queste figure ci sono ed erano incluse nel progetto
originario perché comunque erano state personalità eminenti nella storia di Roma).
In questo modo, Petrarca tentava di liberare la Roma antica dal suo destino imperiale, trasmettendone
quelli che erano i veri valori, la vera grandezza, e trasmetterli alla cultura umanistico-rinascimentale.
Il culto della Roma antica, comunque, è qualcosa che va a contraddistinguere in maniera marcata gran parte
delle opere giovanili di Petrarca, lasciando chiari segni anche negli scritti della maturità.
Numerosi episodi della mitologia romana sono riportati, ad esempio, nel Canzoniere; ed anche le visioni
che compongono i Trionfi sono colme di riferimenti e di illustri personalità del mondo antico.

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2.1 De Viris Illustribus
Il De Viris Illustribus (vite degli uomini illustri) è come si può evincere dal titolo, un’opera in prosa latina,
contenente 36 biografie di uomini illustri appartenenti alla storia antica. L’obiettivo era certamente quello
di celebrare la grandezza della Roma antica attraverso i suoi personaggi più importanti, sulle orme dell’ Ab
Urbe condita di Tito Livio.
Quasi sicuramente, Petrarca iniziò a lavorarci nell’estate del 1337, durante il suo primo soggiorno a
Valchiusa, e probabilmente il lavoro continuò fino agli ultimi anni. La bellezza solitaria del luogo e la vita
raccolta e tranquilla, in ogni occasione hanno sempre mosso l’ispirazione poetica e letteraria di Petrarca,
che proprio durante i soggiorni valchiusani ha dato vita ad alcune delle sue pagine più belle.
Il progetto originario prevedeva una serie di biografie di antichi re, eroi e condottieri romani, a partire da
Romolo (il fondatore dell’Urbe) e fino ad includere Cesare e forse i primi imperatori.
Entro il 1343, erano probabilmente già pronte le prime 23 biografie. L’ultima scritta era quella di Catone.
I testi biografici sono di lunghezza diseguale: alcune piuttosto brevi, altre trattate in modo molto più
diffuso. Una delle più lunghe è quella di Scipione l’Africano, personaggio storico estremamente caro a
Petrarca. Dopodiché la stesura dei testi biografici viene un po’abbandonata, più che altro a causa del ben
più ambizioso progetto dell’ Africa, iniziato nel 1338 quasi in contemporanea al De Viris, e che Petrarca
considerava la sua opera di maggior prestigio, quella per la quale desiderava essere ricordato e che presentò
anche in occasione della sua incoronazione poetica.
Nel 1351, durante l’ultimo soggiorno a Valchiusa, Petrarca si dedicò nuovamente al De Viris Illustribus,n
allargandone il disegno iniziale. Dopo il 1348, la Peste e la crisi interiore e morale, per Petrarca sono gli
anni della svolta, del “ripensamento” anche sulla sua carriera poetica e intellettuale; dunque, anche sulla
stessa concezione della romanità, che si fa più matura e problematica rispetto agli anni della giovinezza.
Già nel Secretum, per bocca di Agostino, Petrarca aveva auto-condannato il suo disegno iniziale per
quest’opera, accusandosi di megalomanìa.
Il De Viris, da esclusivamente dedicato alla Roma antica, diventa un progetto più universale.
E dunque ecco che durante il soggiorno in Provenza, egli riesce a comporre ben 12 nuove vite, riguardanti
celebri personaggi, per lo più biblici, ben antecedenti a Romolo (da Adamo ad Ercole); andando a costruire
un secondo libro, in aggiunta a quello sulle grandi personalità romane.
Il De Viris Illustribus non è quindi solo la celebrazione assoluta del culto di Roma antica, ma rappresenta
benissimo anche una prima dimostrazione di come la concezione dell’antichità sia cambiata durante la vita
di Petrarca; distaccandosi dalla dimensione prettamente storica, e andando a coprire sempre di più aspetti di
tipo morale e, soprattutto, religioso cristiano. Lo si vede bene, tra l’altro, anche nel poema che Petrarca ha
sviluppato in parallelo al De Viris: l’Africa

2.2 Africa
L’ Africa è la più importante opera latina di Francesco Petrarca, che egli stesso considerava il suo
capolavoro assoluto (ben più valido del Canzoniere, secondo i suoi contemporanei), e che gli valse grande
fama in tutta Europa, sebbene ne avesse divulgata solo una piccola parte.
Si tratta di un lungo poema epico che narra uno dei momenti più epici della storia repubblicana di Roma: la
vicenda della seconda guerra punica e del generale romano Scipione l’Africano, che Petrarca
considerava una delle figure più eminenti dell’antichità romana.
È composto da nove libri; dedicato al re di Napoli, Roberto d’Angiò, al quale Petrarca sottopose alcune
parti del poema in occasione della sua incoronazione in Campidoglio.

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Fu infatti proprio con l’Africa che Petrarca ottenne la laurea poetica. La considerava la più prestigiosa delle
sue opere, e alcune fonti accertano che desiderasse essere ricordato dai posteri proprio grazie al suo poema.
E inoltre ciò rappresenta un ulteriore attaccamento al culto della Roma antica.
In realtà, l’Africa ci è giunta largamente incompleta: innanzitutto perché sono solo 9 libri, anziché i 12 o 24
che, secondo il modello virgiliano, dovevano comporre un’opera di grande prestigio (come Petrarca voleva
che la sua fosse); e in secondo luogo perché, comunque, l’opera presenta evidenti lacune e squilibri in
diversi punti (in particolare nei libri IV e IX), che avrebbero forse necessitato di una ulteriore revisione (si
crede che le due grosse lacune sopra citate segnino il limite a cui Petrarca era arrivato con la sua
sistematica opera di revisione e correzione).
Proprio perché forse lo riteneva ancora troppo imperfetto, Petrarca non volle mai rendere pubblico il suo
poema, che venne divulgato solo una trentina d’anni dopo la sua morte. Durante la sua vita, il poeta rese
pubblici solo i pochi versi sulla morte di Magone (fratello di Annibale), intrisi di una toccante profondità
sia poetica che morale. E anche solo questo regalò a Petrarca una enorme fama.
Per quanto riguarda la datazione, è certo che Petrarca iniziò la composizione tra il 1337 e il 1339, dopo la
sua visita a Roma, e durante il primo soggiorno valchiusano. La stesura del poema, come già detto,
accompagna quella del De Viris Illustribus, che ne costituisce un indispensabile sussidiario storico.
L’incoronazione poetica del 1341 ebbe un effetto propulsivo, e nei mesi successivi all’ottenimento della
laurea riprende a lavorare con entusiasmo all’Africa, al punto che per un momento potè illudersi di esserne
vicino alla conclusione (lo racconta nelle Epystole).
Pare che la bozza finale del poema sia stata completata intorno al 1343, quando con la morte di Roberto
d’Angiò, Petrarca accusa incredibilmente il colpo e lentamente abbandona la stesura dell’opera, che
da lì in poi verrà sottoposta solo al lavoro di revisione e migliorìa da parte del poeta.
Ma la crisi e gli anni inquieti successivi al 1348 ebbero effetto anche sul poema. Come successo anche con
il De Viris, la concezione della romanità si fa più matura, più critica, e quest’ondata di cambiamento
investe anche la stessa Africa; iniziata nel lontano 1337/1338 forse con tutt’altro scopo, che adesso
necessita di una maggiore sensibilità morale, stoica e soprattutto cristiana, che finiscono per modificarne
radicalmente l’aspetto.
Infatti, per quanto non sia facile ricostruire tutto il frammentato processo compositivo dell’opera, pare che
sino ad un certo punto abbia costantemente accompagnato l’evoluzione del pensiero e della sensibilità
dell’autore, prima di essere abbandonata. Ed è proprio a cavallo tra gli anni ’40 e ’50 che, probabilmente,
ha assunto l’aspetto con la quale la conosciamo.

2.2.1 La storia e la struttura del poema


Come anticipato, l’Africa è incentrato sulla vicenda della seconda guerra punica, in particolare sulla
biografia di Scipione, che sconfigge Annibale e invade l’Africa. La narrazione epica si snoda tra gli episodi
compresi tra la partenza di Scipione per l’Africa e la vittoria nella battaglia di Zama, fondamentale per le
sorti della guerra.
 I primi due libri del poema sono interamente occupati de un lungo sogno fatto da Scipione appena
giunto in Africa. Ispirato al Somnium Scipionis di Cicerone, in questo sogno, il generale appare al figlio,
predicendogli la futura grandezza di Roma.
Tuttavia il suo discorso finisce per tergiversare su toni e contenuti diversi da come era iniziato,
concentrandosi su temi come la fugacità di ogni realtà e gloria terrena, vittime del tempo e della morte.
Una parte introduttiva molto lunga questa, che proietta chiaramente su tutto il resto dell’opera l’ombra di
una sensibilità cristiana, frutto certamente degli ultimi anni ’40. È quasi certo infatti, che questi due libri
siano stati ampiamente modificati durante il periodo di crisi interiore del poeta: da un progetto introduttivo
iniziale che mirava ad esaltare sin da subito la grandezza della Roma repubblicana, Petrarca col tempo

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passa a voler introdurre tematiche a sfondo molto più morale, che finiscono per influenzare inevitabilmente
tutta l’opera. Il cambiamento quasi improvviso dall’esaltazione della civiltà romana, a tematiche molto più
profonde, ne è la dimostrazione.
Il poema, comunque, continua sulla falsa riga di quello che era il progetto iniziale. Nel libro III e nello
spezzone del IV che ci è pervenuto, vede una lunga rievocazione della passata storia romana, e una prima
esaltazione della figura di Scipione.
Questa è probabilmente la parte più antica del poema, incentrata quasi esclusivamente sul culto della
romanità, e che probabilmente non è stata toccata, nei suoi contenuti, dall’opera di rifacimento del poeta.
È solo con il quinto libro che, finalmente, si mette in moto l’azione. Qui è narrata la lunga e tragica
vicenda di Massinissa e Sofonisba, ripresa da Petrarca anche nel secondo capitolo del Trionfo d’Amore.
Il giovane re dei Numidi, alleato di Scipione, rimane folgorato dalla bellezza della moglie del suo
predecessore sconfitto, e anziché riservarla come prigioniera di guerra, la sposa. Al che, Scipione
interviene, convincendolo della pazzìa. Il libro si conclude con la tragica morte di Sofonisba.
Andando avanti, nel libro VI, hanno spazio la figura di Annibale alla sua partenza dall’Italia, e in
conclusione l’episodio della morte di Magone, fratello di Annibale.
Ferito a morte, Magone pronuncia parole amare e commoventi sulla profonda vanità delle imprese umane,
e sulla labilità di ogni desiderio di gloria.
Questo fu l’unico passo dell’Africa ad essere divulgato pubblicamente da Petrarca, e ancora oggi è uno dei
più conosciuti e celebrati. Tematiche care al poeta, quelle affrontate in questo episodio, hanno chiaramente
uno sfondo morale cristiano. Per questo, Petrarca fu in parte anche accusato per aver messo parole di
stampo religioso cristiano in bocca ad un personaggio pagano.
Il libro settimo vede finalmente affrontarsi Annibale e Scipione nella battaglia di Zama, che termina con
la sconfitta di Annibale, la sua fuga, e quindi il trionfo di Scipione e della romanità.
l’ottavo libro ha un contenuto prettamente storico, e narra vari episodi successivi alla battaglia, le
trattative per le condizioni di pace ecc. ecc.
A concludere il poema (anche se non sapremo mai se quella sia la reale conclusione), il libro IX,
estremamente lacunoso ma altrettanto significativo. Salpato per il ritorno in Italia, Scipione è protagonista
di un dialogo con Ennio, sul tema della grande poesia.
Ennio riferisce il lungo sogno in cui gli è apparso Omero, e in cui ha avuto la visione profetica di un
Petrarca che dopo secoli sarebbe tornato a cantare la gloria di Roma e di Scipione.
Nel congedo, Petrarca indirizza il poema alla tomba di re Roberto d’Angiò, ormai morto, e profetizza
l’avvento di una età nuova, illuminata dall’amore per l’arte e per la poesia (probabilmente riferendosi alla
cultura umanistico-rinascimentale)

Come si può vedere, l’Africa inizia e finisce con un sogno, ci sono molti dialoghi, rievocazioni del passato;
mentre di azione vera ce n’è pochissima. Ciò da una parte rende difficile seguire il filo narrativo, che è
piuttosto divagante; ma dall’altra induce ad una lettura profondamente antologica del poema, e non solo
alla lettura della storia in sé.

Infatti, l’intera opera si presenta come un deposito di tutti i temi più cari a Petrarca in ogni epoca del suo
pensiero (dall’esaltazione di Roma e di Scipione, alla fugacità della gloria, all’esaltazione finale della
poesia), e dunque la lettura dell’Africa ci permette di accompagnare il poeta lungo tutto il suo percorso
intellettuale e artistico, intrecciandosi ovviamente anche con l’insieme di tutte le altre opere.

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3. De Vita Solitaria e De Otio Religioso
Tra il 1343 e la crisi del 1348, per Petrarca si susseguono anni intensissimi, sia per gli avvenimenti che si
succedono dal punto di vista personale (numerosi spostamenti, anche a causa delle missioni diplomatiche
affidategli dalla famiglia Colonna), sia per l’impegno in nuove e impegnative opere (per lo più in prosa).
Nuove opere che marcano un deciso mutamento e distacco dalla dimensione rigorosamente
romana dell’Africa e del De Viris Illustribus, e si volgono a temi di portata etica e morale, sempre più
caratterizzati dall’esperienza di vita del poeta. [stessi temi che, qualche anno più tardi, inizieranno a
condizionare anche il lavoro di rifacimento dell’Africa].
Le opere che nascono in questo periodo sono chiamate anche “opere religiose”

3.1 De Vita Solitaria


Si tratta di un trattato di tipo filosofico-morale, scritto in latino sotto forma di lettera, e dedicato a Filippo
di Cabassoles, ambasciatore pontificio e amico del poeta.
Pare proprio che, per Petrarca, l’ispirazione per questo trattato sia derivata dal breve soggiorno di Filippo di
Cabassoles a Valchiusa, ospite del poeta, durante la primavera del 1346. Durante questo breve periodo, i
due discussero a lungo dei vantaggi e della serenità che la vita in solitudine può regalare agli intellettuali,
dediti allo studio e alle lettere.
Nel De Vita Solitaria è contenuto il mito di Valchiusa, il luogo di solitudine per eccellenza per Petrarca,
dove si ritirava periodicamente, e in cui aveva la maggiore ispirazione per gran parte delle sue opere.
E sono proprio queste le tematiche sviluppate nel corso del trattato: l’esaltazione della solitudine, la giusta
scelta della vita solitaria e ritirata come la più adatta per i pochi eletti che, all’alienante e impegnativa
vita cittadina, sanno anteporre lo studio e l’esercizio delle lettere. Da qui derivano altre tematiche come la
maggiore conoscenza dell’io interiore e il culto selettivo dell’amicizia (tipico di Petrarca).
Tematiche che avvicinano molto quest’opera a quello che sarà il Secretum, in cui molte di queste cose
verranno riprese; ed anche al percorso di spiritualizzazione delle passioni terrene tipica del Canzoniere.
Il trattato, comunque, venne più volte ripreso e rielaborato da Petrarca, e giunse a compimento solo intorno
al 1366, venendo pubblicato nei primi anni ’70.
L’opera è semplicemente divisa in un proemio e due libri, rispettivamente di otto e quindici capitoli.
 Proemio: per iniziare, Petrarca fornisce i tratti fondamentali del suo locus amoenus ideale, molto
simile a Valchiusa: un luogo in cui l’intellettuale dovrebbe ritirarsi, lontano dalla confusione
cittadina, per dedicarsi in pace ai propri studi.

Il proemio contiene inoltre anche la dedica a Filippo di Cabassoles.


 Libro Primo: vengono espresse le argomentazioni del poeta su questa ideale condizione di vita. La
solitudine, oltre a favorire lo studio e fornire l’ispirazione artistica, migliora l’essere umano. È la
condizione fondamentale per il raggiungimento della pace interiore, utile ad un costante auto-
perfezionamento di se stessi.

 La solitudine dunque, per Petrarca, è un modello etico più che una condizione di vita. Modello
che implica la rinuncia a qualsiasi altra attività diversa da quella più pura che è lo studio e
l’erudizione. Concezione puramente umanistica, ripresa dall’otium litteratum degli antichi.
 Libro Secondo: raccoglie una lunga serie di esempi tratti dalla vita dei grandi solitari del passato,
riprendendoli dalla storia antica, oppure dalla tradizione patristica e biblio-cristiana. Sul modello
delle biografie del De Viris, sono presenti filosofi, oratori, condottieri, santi, profeti, personaggi
biblici; tutti che durante le loro vite hanno raggiunto l’ideale di solitudine delineato da Petrarca
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3.2 De Otio Religioso
All’inizio del 1347, sempre a Valchiusa, in parte ispirato anche dall’esperienza del De Vita Solitaria,
Petrarca inizia due opere che sono in forte dialogo con quest’ultima. Una è il Secretum, che però avrà una
lavorazione piuttosto lunga (raggiungerà la versione definitiva solo nel 1353); l’altra è il De Otio
Religioso.
Iniziato proprio durante questo periodo valchiusano, ma ripreso e arricchito da aggiunte varie almeno fino
al 1357 circa; è un trattato, anche questo, in prosa latina, iniziato contemporaneamente all’opera di stesura
del De Vita Solitaria. È infatti molto simile al precedente trattato, riprende alcune tematiche fondamentali,
ma le articola in un senso particolare.
Il progetto nasce infatti dopo la visita al fratello Gherardo, che intanto aveva deciso di intraprendere la vita
monastica, alla certosa di Montrieux (Petrarca la visitò due volte: nel 1347 e poi ancora nel 1353).
l’intera opera si presenta come una lode della vita monastica, basata su una grande mole di citazioni dalla
Bibbia e dai padri della Chiesa.
L’esordio del trattato è infatti costituito da un versetto biblico: “Vacate et videte quoniam ego sum Deus”
(Salmi 45,11)  “Fermatevi e sappiate/vedete che io sono Dio”
E successivamente ne articola le implicazioni fondamentali, secondo l’ideale che Petrarca voleva
trasmettere in questa sua opera.
In particolar modo, intende illustrare e celebrare la natura contemplativa dell’otium religiosum, ben lontano
dall’inattività, dal riposo e dalla semplice propensione allo studio, tipiche dell’otium literarum di cui aveva
invece parlato nel De Vita Solitaria.
Molto simile, quindi, ma allo stesso tempo molto diverso: il De Otio esalta sì la solitudine, ma in
particolare quella legata alle regole degli ordini religiosi e della loro vita contemplativa, definita da
Petrarca come la migliore condizione di vita possibile.
Ancora una volta, dunque, il poeta parla del tempo che passa inesorabile, della morte che si avvicina, e
soprattutto della sua volontà di pace e libertà dai beni terreni, che una volontà troppo debole gli impedisce
però di realizzare.
Sebbene non abbia il fascino letterario di tante bellissime pagine del De Vita Solitaria, infatti, quest’opera è
importante perché fissa una delle tematiche principali della riflessione di Petrarca, che più volte e in vari
modi, durante la sua vita, torna a confrontarsi con una scelta che non fu mai sua (a causa proprio della sua
volontà troppo debole), ma che attraverso la figura del fratello, continuava a inquietarlo.

Proprio per questo, il De Otio Religioso risulta essere “meno riuscito” del trattato gemello, e per lo stesso
motivo Petrarca probabilmente non rese mai del tutto pubblica quest’opera: verosimilmente, la considerava
troppo imperfetta, per via della non piena riconducibilità della vita monastica a quella che era invece la sua
esperienza di vita, e dunque la non perfetta collimazione tra la vita religiosa e l’ideale propugnato nel
trattato.
L’opera è introdotta da una lettera indirizzata ai monaci di Montrieux, presso i quali Petrarca era stato in
occasione delle sue visite al fratello. Lettera che oltre a fungere da introduzione, vuole dedicare l’intera
opera all’ordine monastico di Montrieux.
Il trattato vero e proprio, poi, si articola in due libri.
Nel primo libro vengono presentati i tre pericoli principali che si oppongono all’otium religiosum: le
insidie del mondo, i piaceri carnali, gli inganni del demonio.
Nel secondo libro, invece, vengono articolati uno per uno i tre concetti sopra espressi. Vengono presi in
esame i “legami mondani” (ricchezza, fama ecc.); poi si passa invece ai piaceri carnali, ancor più difficili
da superare; e infine va a concludere con un ragionamento sulle Sacre Scritture.
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4. Bucolicum Carmen
Negli intensissimi anni che seguono l’incoronazione poetica, e almeno fino al 1350, accanto alle opere in
prosa Petrarca via via compone anche le poesie latine.
Ottenere la laurea poetica proprio a Roma, fu probabilmente una delle cose che più lo spinse a cimentarsi
sempre di più nel campo della letteratura in latino, sulle orme dell’antichità romana, alla quale si era ancor
più avvicinato proprio grazie all’incoronazione capitolina.
Molti dei componimenti poetici di questi anni rimarranno allo stato di frammenti sparsi, ma la maggior
parte confluiranno a formare intere opere vere e proprie.
In questo periodo, in poesia latina Petrarca compone soprattutto le dodici egloghe del Bucolicum Carmen.
Opera scritta interamente nel triennio 1346-1348; di evidente ispirazione virgiliana, modellata sulle
Bucoliche di Virgilio.
È quasi certo che, tutta l’opera, occupò quasi un ventennio della vita del poeta. Al periodo tra il 1346 e il
1348 risale la stesura quasi completa, ma Petrarca andò avanti con aggiunte marginali (o anche di interi
versi) e con l’opera di revisione almeno fino al 1366.
Proprio come l’opera del famoso poeta latino, anche quella di Petrarca è composta appunto da dodici
egloghe [tipo di componimento molto usato in antichità], e tratta argomenti di chiara ispirazione pastorale.
La particolarità del Bucolicum Carmen è che Petrarca utilizza l’argomento pastorale solo come
travestimento analogico, per parlare invece di tutt’altro, e affrontare, in realtà, una serie di temi centrali
riguardanti la sua propria vicenda personale e artistica; eventi politici e sociali che hanno caratterizzato la
metà del Trecento.
Tuttavia, il travestimento pastorale ha fatto sì che il testo risultasse sin da subito piuttosto oscuro, e
probabilmente ciò ha da sempre velato la reale importanza di questa opera.

Lo stesso Petrarca non fu mai del tutto convinto di poter pubblicare l’opera, ritenendola imperfetta.
Al 1361 risale la prima pubblicazione. Il testo ebbe grande diffusione, ma proprio per la sua non semplice
comprensibilità e la poca chiarezza superficiale, vi furono anche notevoli critiche da parte dei
contemporanei. Critiche che spinsero Petrarca a mettere mano ancora al testo, che dunque raggiungerà la
sua forma definitiva solo nel 1366 (in una lettera a Boccaccio, viene annunciata la fine della revisione).

1. Parthenias: dialogo tra Silvio e Monico, che impersonano Petrarca e il fratello Gherardo; rappresenta
il dissidio tra vita attiva e vita contemplativa (riprendendo quindi in parte i temi del
De Otio Religioso). Dissidio che investe anche l’argomento letterario: infatti questa è anche
l’occasione per mettere a confronto la poesia di ispirazione classica con quella, invece, d’ispirazione
religioso-cristiana.

 Petrarca inviò questa egloga al fratello, accompagnandola ad una lettera (Fam. X 4), in cui prima
inscena una ben articolata difesa della poesia, basandosi sull’idea che il linguaggio poetico è stato
sin dalle origini quello privilegiato dal sentimento religioso; e successivamente riassume e spiega il
contenuto allegorico dell’egloga, altrimenti inaccessibile ad un lettore qualunque.
2. Argus: Ancora nei panni di Silvio, Petrarca dà luogo a un dialogo con due suoi amici, che intende
esaltare la figura dell’amato re Roberto d’Angiò, morto ormai da tempo. Insieme a questa
celebrazione, per controparte, vengono fortemente denunciate le misere condizioni in cui è caduto il
Regno di Napoli da dopo la morte di Roberto d’Angiò.
3. Amor pastorius: suggestiva celebrazione dell’amore di Petrarca per Laura/Dafne. I partecipanti al
dialogo sono appunto Dafne e Stupeo (nome che deriva da un’allusione alla stupa stoppa
infiammabile; e allo stupor  la rivelazione dell’amore).
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L’egloga presenta, nella sua struttura, una partitura abbastanza complessa: l’inseguimento della ninfa;
incontro con Calliope e le muse; esaltazione del Campidoglio, luogo dei trionfi romani.
4. Dedalus: è la prima delle dodici egloghe a contenere un’invettiva antifrancese. In questo particolare
caso, viene fortemente attaccata la pretesa francese a raccogliere l’eredità della poesia classica. Cosa
che per Petrarca doveva essere un indiscutibile privilegio dell’Italia.
5. Pietas pastoralis: scritta probabilmente nel periodo del sostegno a Cola di Rienzo; è un’egloga tutta
politica, e anche gli interlocutori sono personaggi provenienti da alcune famiglie dell’aristocrazia
romana. In maniera assai lucida e diretta viene denunciata l’incapacità da parte dell’aristocrazia
romana di garantire il buon governo di Roma, cosa che invece sta ben riuscendo a Cola di Rienzo.
6. Pastorum pathos: attacco alla Curia avignonese, messo in scena da due personaggi che rappresentano
l’apostolo Pietro e, dall’altra parte, il corrotto pontefice Clemente VI. Il dialogo è articolato quasi nella
forma di commedia, per sottolineare ancora di più la corruzione e la malora raggiunti dalla curia
papale.
7. Grex infectus et suffectus: inizialmente era la prosecuzione della precedente, con la quale faceva
corpo unico avendo praticamente lo stesso argomento; ma poi il poeta decise di staccarla e formare un
egloga a sé stante. È una lunga e feroce rassegna di tutti i più corrotti cardinali della Chiesa
avignonese, vecchi e nuovi, descritti con l’appellativo di caproni
8. Divortium: in un dialogo tra Ganimede e Amiclate (il cardinale Giovanni Colonna e Petrarca stesso),
rappresenta il definitivo congedo dal servizio presso la famiglia Colonna, spiegandone le ragioni; e
insieme dichiara finalmente l’addio alla Provenza e il suo ritorno in Italia.
È un’egloga frutto, chiaramente, delle tensioni politiche che si erano venute a creare intorno
all’iniziativa di Cola di Rienzo (la rottura tra Petrarca e la famiglia Colonna avverrà, tra le altre cose,
proprio per il sostegno del poeta a Cola). Tuttavia, le ragioni politiche qui sono lasciate in penombra,
ed ha più risalto invece la volontà di libertà personale. Petrarca volle realizzare individualmente ciò
che non poteva realizzare in campo politico.
9. Querolus: è la triste celebrazione dell’arrivo della Peste del 1348. Mette in contrasto i due modelli di
Filogeo (filo=amore; geo=terra  amante delle cose terrene) e Teofilo (teos=dio; filo=amore devoto
a Dio). Il primo che, di fronte alla Peste che è l’incarnazione del Male, si chiude in una disperata
dimensione di lamento; il secondo invece si rifà a beni e valori che superano quelli terreni, e grazie
all’amore verso Dio, e riesce a costruirsi la serenità interiore.
10. Laurea occidens: egloga più lunga di tutte. Racconta infatti della dedizione del poeta verso un lauro
bellissimo, adesso stroncato dalla tempesta. Ciò non rappresenta l’occasione per il compianto di Laura
morta, come si può pensare; ma per una rievocazione allegorica del proprio percorso poetico e
letterario, anch’esso messo in crisi dagli avvenimenti che si sono susseguiti in quegli anni.
11. Galathea: dialogo a tre voci sulla morte di una certa Galatea (figura che, senza dubbio, impersonifica
Laura), in cui vengono fuori diversi motivi e tematiche che ritorneranno nelle prima rime in morte del
Canzoniere. La morte di Galatea/Laura è affrontata da tre diversi punti di vista, che sono quelli dei tre
interlocutori: Niobè, voce della lode per tanta perfezione e del dolore inconsolabile; Fosca, voce della
cruda realtà, che invita a dimenticare ciò che ormai è perduto; e Fulgida, che invece invita a
trascendere il dolore, dal momento che Galatea, ormai libera da vincoli terreni, gode in cielo della
beatitudine celeste.
12. Conflictatio: ultima egloga, nuovamente a sfondo politico e antifrancese (e anti-avignonese). Dedicata
alla guerra tra Francia e Inghilterra, e in particolare a due delle battaglie più significative.

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5. Secretum
Una delle opere più importanti del Petrarca filosofo morale, ma non solo. Il Secretum si pone infatti in fitto
dialogo con gran parte delle opere della produzione petrarchesca, a cominciare dall’Africa (per il tipo di
ideologia morale), fino ad arrivare al Canzoniere.
Si tratta di un’opera scritta in prosa latina, iniziata verosimilmente nel 1347, per poi essere ripresa e rivista
nel 1349 e poi ancora, per una stesura definitiva, nel 1535.
Secretum Meum (il mio segreto), oppure De Secreto conflictu curarum mearum (segreto conflitto dei
miei pensieri); il titolo originale annunciato da Petrarca. Alla fine del proemio introduttivo all’opera,
infatti, il poeta scrive:
«Tu dunque, libretto, evita d’incontrarti con altri e statti contento di restare con me, memore del tuo nome.
Sei infatti il mio segreto, e proprio così sarai chiamato. E quando io sarò impegnato in cose maggiori,
così come in segreto hai registrato cosa è stato detto, in segreto me lo ricorderai»

E pare che veramente Petrarca non l’abbia fatto leggere ad alcuno durante la sua vita. Fu solo dopo la sua
morte che un religioso, fra’ Tedaldo della Casa, potè trascriverlo diligentemente, e anche con estrema
facilità proprio grazie al codice autografo del poeta, che poi è andato perduto.

Tuttavia, pur venendo presentato come una sorta di diario privato del poeta, il Secretum non risulta affatto
essere un’opera frammentaria come ci si aspetterebbe; ma presenta una struttura organica, ben definita ed
estremamente organizzata e posta in comunicazione con le altre opere.
Per questo, si crede che Petrarca stesso abbia tentato nuovamente di portarci fuori strada, usando
l’espediente letterario del “diario personale”, e non facendolo leggere a nessuno per avvalorare tutto ciò
ancora di più. In realtà, probabilmente egli aveva già pianificato tutto, e stava già pensando anche ad una
futura pubblicazione (la ristesura in diversi periodi dell’opera potrebbe esserne la prova, dato che un diario
intimo e personale non avrebbe avuto bisogno di essere rivisto più e più volte).

5.1 La struttura del testo e dell’opera


Modellato prevalentemente sul De consolatione Philosopie di Boezio, e soprattutto sulle Confessiones di
Sant’Agostino (che costituiscono un continuo e importante riferimento nel corso di tutta l’opera), il
Secretum si presenta come una lunga confessione da parte di Petrarca.

La fictio narrativa è collocata temporalmente tra il 1342 e il 1343, ma si tratta ancora una volta di un caso
di retrodatazione, perchè sappiamo bene che l’opera è stata cominciata non prima del 1347.

L’opera è presentata sotto forma di dialogo, ma assume, come già detto, i tratti caratteristici di un “diario
segreto”, dove l’autore può esprimere apertamente il proprio tormento interiore e la sua inquietudine, senza
bisogno di autodifese e senza dover cercare giustificazioni.

I protagonisti del dialogo che inscena la confessione sono Augustinus e Franciscus (Sant’Agostino e l’io-
lirico Petrarca), a cui assiste muta la Verità, per assicurare estrema credibilità e sincerità alla confessione.
E alla luce di quanto detto prima, Petrarca non avrebbe potuto scegliere interlocutore migliore di
Sant’Agostino, che nelle sue Confessiones aveva narrato il potente cammino verso la conversione, frutto
del distacco totale dalle passioni terrene: era proprio questo il motivo principale del tormento interiore di
Petrarca, e quindi chi meglio di Agostino avrebbe potuto capire (nella finzione letteraria, s’intende) la
volontà, da parte di Petrarca, di compiere lo stesso cammino, e il tormento interiore arrecatogli dalla
propria incapacità di distaccarsi dalle passioni terrene?

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Ma Augustinus non è un interlocutore comprensivo e accomodante per il poeta, ma tenta continuamente di
incalzarlo, quasi di “metterlo in difficoltà”, al fine di fargli riconoscere e prendere atto dei suoi errori e
delle sue contraddizioni interiori.
Ed è qui che entra in gioco il terzo personaggio, la Verità. Di fronte agli “attacchi” di Agostino, Franciscus
non può mentire, proprio perché si trova di fronte alla muta personificazione della Verità. E dunque ecco
che il dialogo assume i tratti di una confessione vera e propria, fatta più che altro dal poeta con sé stesso.

L’opera è composta di tre libri, e la struttura del dialogo è semplice e articolata al tempo stesso.
Primo Libro: vengono poste le fondamenta dell’intera discussione, con Franciscus che lamenta
l’infelicità, l’insoddisfazione e la disperazione che gli “avvelenano” la vita; e Augustinus che gli dimostra
che la radice di tanta sofferenza e smarrimento interiore è il difetto della volontà di ricercare il vero bene.
Volontà offuscata dalle cose e i desideri terreni, che quindi impediscono al poeta di dirigersi con coerenza
verso il Bene supremo.
 In poche parole, il libro tratta del “male” in generale, e seguendo la concezione agostiniana,
conclude che esso non esiste veramente, ma è solo causato dall’insufficienza di “volontà del bene”.
Secondo Libro: Si fa un passo avanti, andando ad analizzare i sette peccati capitali. Augustinus, quasi
nelle vesti di un “medico spirituale”, sottopone ad un minuzioso esame il poeta, al fine di mettere allo
scoperto le parti più fragili e sensibili della sua anima, e costringerlo a riconoscere e condannare i suoi
peccati: la superbia, l’ambizione, il desiderio dei beni terreni, la gola, l’ira, la lussuria. Quello di cui però
Franciscus è trovato maggiormente colpevole è l’accidia. Questa è trattata in modo diverso dagli altri
peccati elencati prima, e infatti è presente un esame più minuzioso proprio sull’accidia, riconosciuto come
il male che più di tutti tormenta il poeta.
 Si parla infatti delle forme di accidia e malinconia che vediamo spesso caratterizzare anche il
Francesco protagonista del Canzoniere
Petrarca, comunque, piuttosto riluttante tende a negare e difendersi in ogni caso dagli “attacchi” di
Agostino.
Terzo Libro: Facendo un ulteriore passo avanti, il dialogo si sposta sull’esame delle due maggiori passioni
terrene di Franciscus: Agostino muove all’attacco delle due maggiori “catene di diamante” che
impediscono al poeta la salvezza eterna. L’amore per Laura, e l’amore per la gloria.
A: “Tu sei ancora incatenato da due catene di diamante, che non ti lasciano meditare né sulla morte né sulla vita. […]
non mi sento sicuro e non lo sarò prima di averti visto libero, quando le avrai spezzate e fatte cadere.”
F: “Ahimè […] ancora due catene mi legano l’anima e non le conosco?”
A: “Le conosci benissimo, ma sedotto dalla loro bellezza le giudichi non catene ma tesori […] godi proprio delle
catene che ti traggono a morte e, per colmo di sventura, te ne vanti”
F: “Quali sono queste catene di cui parli?”
A: “Esse sono Amore e Gloria”
Amore e Gloria sono dunque le due “catene” che impediscono all’anima del poeta di liberarsi ed essere
salvata, che la tengono ancorata ai valori terreni. E qui vengono definite “catene di diamante” proprio
perché esse sono due delle più grandi passioni di Petrarca, e per questo egli le considera come tesori e non
come una condanna. È questa la maggiore accusa che Augustinus muove a Franciscus nel corso del terzo
libro.
 L’Amore per Laura, che sotto la maschera di un amore puro, nasconde la distruttività di una
sfrenata passione carnale
 L’amore per la Gloria, manifestato concretamente nelle ambizioni dell’Africa e del De Viris, e che
il poeta è caldamente invitato ad abbandonare

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5.2 Il carattere morale del Secretum
I tre libri del Secretum, dunque, costituiscono un lungo viaggio nella propria interiorità da parte del poeta,
una lunga confessione di tutte quelle sue debolezze e fragilità che egli riconosce, ma dalle quali non riesce
a liberarsi. Augustinus non è altro che la voce della coscienza stessa del poeta, il suo alter-ego razionale,
che riconosce le proprie colpe e , attraverso le parole del suo “maestro” si auto-accusa di determinate cose
(sempre secondo il punto di vista della ferrea dottrina agostiniana).
La Verità invece sta lì, muta, e garantisce massima sincerità e credibilità alle parole di Franciscus.
È in particolare il terzo libro ad essere intriso di una moralità fortissima, e che si intreccia ripetutamente
con lo specifico amoroso dei Rvf e tutte le sue tematiche di fondo.
È infatti nel terzo libro che Augustinus, quasi senza pietà, smaschera in modo inflessibile tutti gli scudi
dietro cui Franciscus si ripara, cercando di giustificare le proprie debolezze. Ne viene fuori un esame
profondissimo di tutti i particolari delle passioni di Petrarca, specialmente quella amorosa.
Esempio: Non è vero che Franciscus ha amato Laura per le sue virtù, di un amore puro che aveva come
obiettivo solo la sua anima. Agostino infatti incalza con questa domanda: “Se fosse stata meno bella, se
quella stessa anima abitasse in un corpo brutto e contorto, gli sarebbe ugualmente piaciuta?”
Da questa singola frase, viene a galla il carattere puramente carnale della passione amorosa di Petrarca.
Egli è innamorato di Laura soprattutto perché lei è bella; l’amore che lui sta da tempo mascherando come il
più puro, è in realtà in primis una travolgente passione carnale. E ne deriva il riconoscimento del fatto che
non è vero che attraverso l’amore (di qualsiasi tipo) per la creatura, si ama di più il Creatore. Anzi è
il contrario: l’uomo è sviato dalle bellezze del mondo, e in tal modo non fa che sottrarre a Dio
quell’amore e quella devozione che gli sono dovute.
A questo punto, Franciscus si difende sostenendo che solo grazie a Laura e al suo amore per lei ha saputo
fare quanto di bello ha realizzato nella sua vita. Ma ancora una volta viene incalzato: è stato proprio
l’amore per Laura a sviarlo dalla strada della salute morale e della Salvezza, impedendogli di realizzare ciò
che il Cielo aveva voluto per lui, e facendolo cadere dunque in quel tormento dell’anima che lo colpisce
continuamente.
Ma oltre ad accusarlo, Augustinus nelle vesti di guida morale, propone al poeta i rimedi a questo enorme
male che gli incatena l’anima. Così, esorta Franciscus ad allontanarsi dai luoghi che sono stati teatro della
passione amorosa e a cancellarne la memoria dentro di sé; e allo stesso tempo lo invita a riflettere sulla
caducità delle cose terrene, sul fatto che il tempo porterà anche il bel corpo di Laura alla perdita della
bellezza; e soprattutto lo fa riflettere sulla propria età, facendogli riconoscere la vergogna e l’inopportunità
di nutrire simili passioni terrene in età adulta e matura.
A: “A te piace il tuo male, povero disgraziato! Ma quando il giorno supremo avrà chiuso quegli occhi che tanto ti piacciono
anche se ti hanno trascinato in rovina, quando avrai visto il suo aspetto cambiato dalla morte, allora ti vergognerai di aver legato
l’anima immortale a un povero corpo corruttibile, e arrossirai (di vergogna) ricordando quello che ora vai esaltando con
ostinzione”

Sono elementi simili a questi che, disseminati per tutta l’opera ma presenti in grandissima parte nel Terzo
Libro, mostrano su carta tutto il dibattito interiore che pervade l’animo di Petrarca; mostrano chiaramente
tutta l’interiorità di un uomo che, estremamente legato alle passioni terrene, vorrebbe liberarsene ma ne è
incapace, sa quali possano essere i rimedi a questo suo male, ma è del tutto incapace di attuarli.
Proprio la confessione aperta, dunque, dell’uomo Petrarca che mette a nudo tutte le sue fragilità: come
appunto in un diario segreto.

E allora mette tali parole in bocca ad Agostino, sua guida spirituale, mentre mostra il proprio alter-ego
lirico (Franciscus) in tutta la debolezza e la fragilità d’animo di cui egli stesso si sente e sa di essere
“colpevole”.

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5.3 La fine del Secretum e il sistema delle opere petrarchesche
Molti degli elementi di discussione tirati fuori nei tre libri del Secretum, risultano essere gli stessi dibattuti
anche nella canzone 360 dei Rvf. Anche in quel caso, l’intero testo è sottoposto alla presenza di un terzo
personaggio (Ragione), ma i ruoli sono invertiti: abbiamo un io-lirico che assume gli argomenti
dell’Augustinus del Secretum, passando al vaglio un Amore nelle veci di Franciscus.
Le stesse contraddizioni e il dibattito interiore che nel Secretum si articolano nelle due voci contrapposte,
poi, sono gli stessi che sono presenti nel testo di svolta morale all’interno del Canzoniere: la canzone 264,
la prima della seconda parte, segno del momento di svolta.
Numerosi sono dunque i correlativi tra il Secretum e alcune parti del Canzoniere, che mettono dunque in
una qualche relazione le due opere più importanti di tutta la produzione petrarchesca. Ma c’è un elemento
fondamentale che necessita di essere analizzato in questo senso, ed è proprio il finale con cui Petrarca
decide di chiudere il suo diario (il Secretum)

Nella conclusione del Secretum, Petrarca si dichiara in un certo senso “convinto” dalle parole del Santo, e
disposto a farne tesoro e a imparare dai propri errori; anche se al momento si sottrae da scelte di vita
radicali, dato che è ancora troppo legato ai contenuti materiali della propria vita:
F: «Sarò presente a me stesso quanto più potrò, e raccoglierò gli sparsi frammenti della mia anima e
dimorerò in me, con attenzione. Ma ora, mentre parliamo, mi aspettano molte e importanti faccende,
benchè ancora mortali»
Questa conclusione, che ad alcuni è apparsa un po’ deludente e quasi “tirata via”, è in realtà la più
intelligente possibile e la più appropriata alla natura del dialogo articolato nel corso dell’opera.
Ciò che viene espresso nel Secretum, infatti, non è tanto il desiderio di conversione vera e propria, ma
l’esigenza di ridefinire i parametri morali della propria vita, per arrivare a una svolta intesa più che altro
come momento di crescita personale e interiore.
Dopo un periodo di crisi nera, segnato dalle delusioni politiche, la Peste, e la perdita di tanti amici cari, è
ovvio e giusto che Petrarca, seppur con un altro stato d’animo, torni alle sue opere per terminarle e alla sua
vita con tutti i problemi che questa gli riserva: dopo aver passato sotto la lente, per tre giorni, tutte le sue
debolezze e sofferenze, non resta che tornare alla propria vita, seppur con la maggior autocoscienza che
tale esame ha prodotto. Ma i mali restano e tanti magna mortalia negotia lo aspettano. Cambia solo
l’atteggiamento di Petrarca verso di essi.
Nessun altro finale avrebbe potuto sopperire a questa unica verità. Per questo si è detto che il finale del
Secretum è il più appropriato che si potesse pensare.

Dunque, tornando alla sua vita con questo atteggiamento diverso ed una nuova autocoscienza, Petrarca
dichiara di voler “raccogliere gli sparsi frammenti della sua anima”: pone così inevitabilmente la fine del
Secretum in evidente continuità con l’inizio del Canzoniere ( RVF 1: Voi ch’ascoltate in rime sparse il
suono) (dopotutto, anche nella lettera d’apertura delle Familiares, considerata chiaro annuncio del
Canzoniere, Petrarca dice di voler “raccogliere gli sparsi frammenti”).
 E ciò contribuisce in modo importante alla creazione e strutturazione di quella articolata biografia
ideale che Petrarca aveva pensato per sé.

E c’è ben di più, perché, come si sarà capito, il Secretum viene ad essere tassello fondamentale in questo
puzzle, senza il quale tutto il sistema delle opere e tutta la biografia ideale di Petrarca perderebbe quasi di
senso.

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La lettera familiare a Giacomo Colonna, datata 1336, parla del ruolo di Sant’Agostino come antagonista di
Laura nell’interiorità del poeta. È indubbiamente un chiaro annuncio di quello che sarà poi il Secretum; ma
è un’altra la cosa interessante: la data.
Anche se sappiamo della natura del tutto falsa dell’epistola, il 1336, cronologicamente anticipa il libro
(datato invece 1342-1343). È quindi precedente al Secretum nella strategia letterario-cronologica adottata
da Petrarca, e va a compiere due azioni fondamentali.
 Da un lato, un primo riconoscimento della sua propria coscienza razionale (impersonata sin da
subito in Agostino), che inizia a capire gli errori ma non riesce a distaccarsene.
 Dall’altro lato, colloca il dialogo del Secretum intorno ai 40 anni del poeta, ovvero l’età
emblematica in cui, secondo tradizione, vengono effettuate le scelte di vita più drastiche che
mettono finalmente sulla via della conversione.

Da qui dunque si passa al diario, ai tre giorni passati con Agostino, in cui Franciscus si risolve davvero a
cambiar vita e a raccogliere gli sparsi frammenti dell’anima.

Promessa che attuerà, appunto, con la stesura dei fragmenta.


Qui, riprende la fine del Secretum e nel sonetto 1, quello d’apertura, esprime tutta la vergogna di esser
divenuto, a causa della propria passione, fabula volgi (zimbello), mostrando di aver preso atto seriamente
dei frutti di quel dialogo con Agostino; e inizia così la raccolta di quei frammenti sparsi-rime sparse che si
era ripromesso nella fine del Secretum

Da qui si passa ai grandi temi dibattuti prima nella canzone 264 e poi nella canzone 360, in cui mostra
appunto di aver preso atto di tutto ciò che gli ha detto Agostino; fino ad arrivare alla splendida Canzone
alla Vergine (RVF 366), momento di massima crescita, di massima conversione che Petrarca attua in tutto
il suo sistema di opere.

Come si sarà ben capito, dunque, tutto il Secretum trama i ragionamenti sottesi alla raccolta di rime,
creando la base e i presupposti per il suo svolgimento e anche per il suo senso profondo.
Lo dimostrano tutti i numerosi segnali che in Voi ch’ascoltate riconducono al finale del Secretum; così
come il sistema di finte datazioni che, dalle epistole, passa attraverso il diario e arriva fino alla Canzone
alla Vergine.
Tutto concorre a farci pensare che il Petrarca personaggio, che si accinge a raccogliere le rime sparse a
partire dal sonetto proemiale, sia lo stesso uomo che ha discusso di sé con Augustinus, ha recepito la
lezione e adesso sta cercando di metterla a frutto.

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