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Charles Baudelaire

I Fiori del Male


di
Luca Pietromarchi

Nel 1890 Thoédore de Banville, curatore dell'edizione postuma


dei Fiori del male (1868), coniava per Baudelaire la locuzione «il
poeta dell'anima moderna», contribuendo a fare di Baudelaire il
padre della poesia moderna e i Fiori del male il libro che rompe il
canone della lirica romantica, inaugurando un percorso che porta da
un lato a Mallarmé e dall'altro a Rimbaud.
Baudelaire è anzitutto il poeta della malinconia e del rimorso,
che avanza verso l'orizzonte del nouveau senza curiosità (Au fond de
l'Inconnu pour trouver du nouveau, recita l'ultimo verso del
canzoniere), ma con il rimpianto dell'esiliato costretto a lasciare tutto
ciò che ancora ama (il sole romantico sotto il quale è nato) alla
stregua di quanto dirà Apollinaire. Baudelaire pretese che, fin dalla
loro futura pubblicazione, i suoi Limbi (poi I Fiori del male) fossero
considerati come gemmazione della poesia romantica; il loro senso
generale, secondo le intenzioni del poeta, era quello di rappresentare
e tracciare la storia delle agitazioni spirituali della gioventù moderna.
Tuttavia nel 1857 il libro fu in parte condannato per immoralità e ciò
che rammaricò fortemente Baudelaire fu proprio il malinteso, il
mancato riconoscimento dell'essenza spirituale della sua opera, non
in senso religioso ma romantico; difatti lui stesso si collocava dopo
Chateaubriand, dopo Lamartine e Hugo.
La luce del sole romantico brilla nella prima poesia del libro,

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Bénédiction, vera e propria evocazione archetipica della nascita del
Poeta quale Eletto delle Muse. Un profeta romantico che, a
differenza del profeta biblico, ricorda il passato e ne prevede il
ritorno e il quale lungo la sua via crucis sentirà la sua aureola
scivolare e cadere nel fango. Poiché all'elevazione nello spazio e nel
tempo, attraverso la luce dell'Ideale concepita come musica che sale
e che dirige l'effusione dei sensi in una prospettiva ascendente, si
contrappone il movimento contrario di una discesa fatale che fa
scivolare l'uomo sulla china della dannazione.
In Baudelaire il senso del conflitto teologico tra il bene e il male
risiede in una perenne separazione dell'essere: desiderio di
ascendere di grado, invocazione a Dio, o spiritualità; gioia di
scendere verso Satana, o bestialità. E nel cielo baudelairiano Dio ha
come unico scopo quello di rivelare l'onnipotenza di Satana. Questi è
quel «sapiente chimico» presente nel poema introduttivo del libro
(Au Lecteur) che altera il positivo in negativo mediante la corrosione
materiale e la corruzione morale.
L'ossimoro, che è la figura retorica dominante nei Fiori del male,
è figura anche diabolica. Non è soltanto l'unione di due parole di
senso contrario, ma una ferita che l'una reca all'altra per infettarne il
senso. La luce che il diavolo rende cupa, il jour noir di Spleen IV.
Sebbene nei Fiori del male siano presenti numerose invocazioni a
Dio, tale aspetto, come scriveva Claudel, non fa di Baudelaire un
poeta cristiano. Tuttavia una brace di speranza cristiana
caratterizzava i tre sonetti dedicati alla morte che costituivano la
conclusione serena ed escatologica della prima edizione dei Fiori del
male (1857) con la visione della morte considerata come passaggio
verso l'aldilà. Nella seconda edizione del libro (1861) amputata delle
sei poesie condannate per offesa alla morale e arricchita di
trentacinque nuove liriche, alla conclusione originaria furono
aggiunti tre componimenti che rimuovevano dalla morte ogni

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riferimento cristiano. Baudelaire faceva diventare la morte un
accadimento privo d'importanza, capace di intaccare poco lo scorrere
della vita. Ciò nonostante la poesia di Baudelaire è ricca di richiami
alle Scritture, di vocabolario liturgico, ossessionata dal mistero della
croce e come già sottolineato prima dalla presenza di Satana. Più di
Rimbaud, Baudelaire è «schiavo del suo battesimo» e «per la prima
volta, dai tempi di Racine riappare con Baudelaire una poesia del
peccatore e del peccato», come osserva Albert Thibaudet.
La duplice pulsione di scendere verso Satana, la caduta, e poi
risalire verso Dio, trova la sua risoluzione nel sentimento della
precarietà che costituisce la condizione dell'universo poetico di
Baudelaire, in particolare dei poemi contenuti nella sezione aggiunta
all'edizione del 1861, sezione collocata immediatamente dopo Spleen
et Idéal e intitolata Tableaux parisiens. I vecchi, le vecchiette, i
diseredati ai margini delle strade parigine sono i soggetti che
animano questi grandi quadri ai quali Baudelaire offre uno sguardo
«umilmente fraterno», secondo Proust, e accoglie a sé con
compassione. Nalla figura dello straccivendolo, sul quale si sofferma
a lungo il capolavoro di Walter Benjamin (I passages di Parigi),
Baudelaire tratteggia l'allegoria di se stesso.
Ogni verso dei Fiori del male è caratterizzato da una forza del
contrasto, da una giustapposizione di contrari che non si mescolano
tra di loro. Come scrive Ungaretti, da «una promiscuità di elementi
esasperatamente discordanti». Il lessico è variegato e attinge ai
campi semantici della liturgia, dell'anatomia, della teologia e
dell'urbanistica. La forma poetica privilegiata, che rinserra tali
elementi in maniera costrittiva, è il sonetto dotato secondo
Baudelaire di una «bellezza pitagorica» e il metro preferito è
l'alessandrino, capace di convertire quel dualismo che spezza il suo
universo spirituale in un principio ritmico di tempi deboli e tempi
forti.

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I Fiori del male presentano un preciso disegno architettonico,
articolato prima in cinque sezioni (1857), poi in sei (1861). In una
lettera a de Vigny, Baudelaire accenna a questo aspetto scrivendogli
che nel libro non è una semplice raccolta di poesie (un album) ma è
dotato di un unizio e di una fine. Il principio che struttura l'opera è
costituito dal contrasto morale tra il bene e il male, e la sua unità può
essere apprezzata nella lettura consecutiva delle sue poesie, legate tra
di loro da innumerevoli connessioni tematiche, foniche e lessicali.
Come il poema dantesco è «per legame musaico armonizzato», nel
canzoniere di Baudelaire ogni poesia è «concatenata». E il principio
della concatenazione, mutuato dalla narrativa, permette a Baudelaire
di raccogliere nella misura di una composizione finita l'infinita
nostalgia di quel che non c'è più.
La prima edizione dei Fiori del male, apparsa in libreria nel
giugno 1857, comprendeva cento poesie oltre al poema introduttivo,
organizzate secondo un principio architettonico rigoroso e segreto e
ripartito in cinque sezioni: «Spleen et Idéal», «Fleurs du mal»,
«Révolte», «Le vin», «La mort». A seguito di un processo per
oltraggio alla morale pubblica, Baudelaire fu costretto a sopprimere
dal libro sei poesie: «Les Bijoux», «Le Léthé», «À celle qui est trop
gaie», «Lesbos», «Fémmes damneés» e «Les Méthamorphoses du
vampire». Le poesie condannate vennero sostituite in vista di una
seconda edizione apparsa nel febbraio 1861 arricchita di una nuova
sezione, «Tableaux parisiens». La nuova disposizione del libro fu la
seguente:
Spleen et Idéal
Tableaux parisiens
Le vin
Fleurs du mal
Révolte
La mort

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Baudelaire curò personalmente questa seconda edizione. Un
anno dopo la sua morte apparve nel 1868 un'edizione postuma
curata dagli amici Banville e Asselineau.

COMMENTO

Au Lecteur
In questo poema introduttivo il poeta, utilizzando la prima
persona plurale come nell'ultima poesia del canzoniere, sottoscrive
un patto di lettura con chi legge: la realtà che egli mette a nudo, è
anche la verità del lettore. Entrambi sono accomunati dalla
condizione del peccato, parola che è presente nel primo verso, alla
stregua dell'episodio della caccaciata dal Paradiso che è collocata
all'inizio del libro della Genesi. Satana, detto Trimegisto, con la forza
dei suoi poteri alchemici vaporizza gradatamente la volontà
dell'essere, che risulta in tal modo indebolita dinanzi alla
fascinazione del male e del ripugnante. Nella strofa conclusiva
Satana, al quale Baudelaire assegna adesso l'appellativo di Ennui,
appare in veste orientale fumando la sua pipa (houka). Ritorna il
tema della vaporizzazione che letteralmente manda in fumo l'acqua
lustrale (benedetta), senza alcuna possibilità di salvezza da ogni
peccato.

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Bénédiction
In questa prima poesia della sezione «Spleen et Idéal»,
strutturata sulla presenza di tre voci dialoganti, si intrecciano
l'orgoglio del poeta e il pregiudizio della società. Il Poeta, che prende
la parola nella prima e nelle ultime cinque strofe, si colloca nel
novero dei poeti romantici prima, e poi tra le schiere degli angeli.
Tuttavia la sua elezione, la sua benedizione, in virtù del potere
diabolico illustrato nel poema introduttivo, si trasforma in
maledizione. La poesia vaporizza il richiamo alla preghiera, ai passi
evangelici, all'Ave Maria e ai Salmi, svuotandoli della loro
connotazione religiosa. E attribuisca alla figura dell'Eletto il ruolo
degradato del paria, alla continua ricerca della sua dignità perduta.

L'Albatros
Nell'Albatros ritroviamo il nucleo tematico del conflitto esistente
tra il poeta e la società alla metà del secolo, così com'era già stato
descritto nella poesia precedente. Perduto il privilegio di poter
guardare dall'alto l'abisso, qui la poesia di Baudelaire diventa
allegoria di una nuova vocazione terrena. Il poeta, al pari dell'albatro
con le ali spezzate, non è più «il re dell'azzurro», il «principe delle
nuvole». Fatto oggetto di violenza, di umiliazione e di derisione, egli
è un esiliato ridotto a quella morte sociale rappresentata dal senso
del ridicolo.

Élévation
La poesia è caratterizzata da uno slancio verticale e liberatorio
che si estingue solo poco prima della sua conclusione, al penultimo
verso. La proiezione verso l'ideale è motivata dal desiderio di
rompere lo sviluppo orizzontale dell'esistenza, e di ritrovare la

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primigenia complicità dell'essere con la natura. Il desiderio di
elevazione no è più una speranza, ma una forma di proiezione
malinconica. Giacché non lo spirito del poeta, ma altri, riceveranno
l'ebbrezza dell'elevazione che, nei Fiori del male, sarà solo quella
precaria e illusoria offerta dal Vin des amants.

Les Phares
Un'opera d'arte non è significativa per quel che rappresenta, ma
per ciò che evoca. Le prime otto strofe di questa poesia, che
illustrano il principio guida della critica d'arte di Baudelaire,
descrivono la tensione spirituale presente in otto universi pittorici
(escluso Puget, scultore). Dalla luce di Rubens verso «gli insondati
limbi della tristezza» di Delacroix, si assiste ad degradante confronto
della realtà. Tuttavia, il riparo che questi fari con la loro luce offrono
alla miseria della vita e alla proliferazione del male è simile all'oppio:
il quale lenisce senza poter guarire.

La Vie antérieure
Nelle prime tre strofe di questa poesia è possibile riconoscere che
richiama in ugual misura il Limbo virgiliano e l'Eden cristiano. La
vita anteriore è la vita che precede la colpa originaria, allorché
l'uomo si collocava al centro della natura. Il paradiso perduto
evocato nelle prime tre strofe è distrutto dal «doloroso segreto»
dell'ultimo verso, che assolutizza il male riconoscendolo all'origine
stessa della vita. Si tratta di quel peccato che, nel mondo di
Baudelaire, è anteriore a tutto.

Parfum exotique

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Questo componimento è un sonetto di perfetta regolarita (abba-
abba-ccd-ede), nel quale l'immagine di un'isola appare nel momento
in cui l'io chiude gli occhi e la percezione sensoriale, attraverso il
fenomeno della sinestesia, libera i suoi poteri associativi. Il principio
delle corrispondenze è luminosamente illustrato dall'ultima terzina,
nella quale sono fusi colore, musica e odore, secondo una forza
trattenuta e controllata che non degenera mai in proliferazione di
libere associazioni. Per mezzo di aggettivi che stemperano i
sostantivi, dell'utilizzo della metonimia, Parfum exotique esibisce in
ogni suo verso il controllo della violenza della natura.

Le Chat (XXXIV)
Nei Fiori del male Baudelaire tre poesie ai gatti. L'immagine del
gatto è qui identificata con la figura dell'amata, come le terzine
chiaramente esplicitano. I tre imperativi che scandiscono la prima
strofa consentono all'amante di assumere una posizione dominante
rispetto all'amata, la quale diventa oggetto arrendevole e disponibile
alle carezze di un gioco erotico solitario ed effimero. Difatti
l'evocazione della donna al verso 9, sostituendosi al suo succedaneo
domestico, fa arrestare la frase e irrompe come colei che nessuna
carezza saprebbe ammansire, né alcuna metafora addomesticare.

Réversibilité
Il titolo di questo sonetto allude alla teoria della reversibilità
illustrata da de Maistre nella terza conversazione delle Soirées de
Saint-Pétersbourg. Secondo questa teoria la grazia procurata dal
martirio dei Santi può essere riversata sui peccatori e contribuire al
loro riscatto. Essa è richiamata qui dal riferimento a Davide che in
vecchiaia chiese di giacere accanto al corpo d'una giovane per

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riceverne la salute. Baudelaire conosce soltanto il carattere
irreversibile della separazione del bene dal male, che discende dal
peccato originale. La poesia è una preghiera di intercessione rivolta a
una figura angelica, ricalcata sull'Ave Maria. Per otto volte si ripete
ostinatamente la domanda «connaisez-vous?», e ogni volta lo spazio
riservato alla risposta della divinità è lasciato in bianco. Un De
profundis in forma riduttiva si alza nell'ultima strofa, a richiesta di
un pietoso ascolto sul compianto del poeta.

Harmonie du soir
In questa celebratissima poesia, il tramonto del sole è
accompagnato, ritmato e rallentato dalla struttura del pantoum che
prevede la ripresa del secondo e quarto verso di ogni strofa al primo
e terzo della successiva, e come in questo caso, la limitazione a due
sole rime. Il ricorso a termini di pertinenza liturgica, in particolare
«ostensoir», conferisce al ritmo dei versi la cadenza di un rito
funebre. Il termine «reposoir» è figura metonimica del sepolcro in
cui Cristo viene deposto in attesa della Ressurezione, come il sole
scende nella notte. Eppure, Harmonie du soir, rovescia la
prospettiva escatologica della morte e resurrezione: il ritmo
salmodiante della poesia accompagna al Sepolcro Cristo risorto. Il
componimento si chiude con un ricordo rinchiuso in un ostensorio,
immagine simmetrica al sangue immobile di Cristo, che conclude
quel processo di vaporizzazione-dissipazione di ogni cosa che
accompagna il calar della sera.

L'Invitation au voyage
Nei cinque sostantivi che compongono il refrain di questa poesia
(ordine, bellezza, lusso, calma e voluttà), André Gide riconosceva la

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definizione dell'opera d'arte perfetta. Mentre i successivi Un voyage
à Cythère e il conclusivo Voyage saranno viaggi verso la caduta e la
morte, l'Invitation costituisce invece un felice viaggio nel tempo, un
ritorno al porto evocato nell'ultima strofa. La struttura metrica di
questa berceuse, dalla musicalità claudicante, alterna distici di
pentasillabi e un settenario, e il gioco delle rime è frenato ogni volta
con la pausa del refrain.

Chant d'automne
In Baudelaire le stagioni sembrano seguire una linea discendente.
Così come la luce precipita nel buio, l'estate e l'autunno cadono
nell'inverno. La morte dell'estate, che coincide con quella del poeta, è
scandita dai colpi funerei che battono il ritmo di una marcia funebre.
La morte assume qui un carattere ambivalente: essa è punto finale
della caduta nel tempo e caduta senza fine. Neppure la presenza
dell'amata riesce ad avere potere sulla forza di questa ossessione del
poeta, per il quale «vale soltanto il radioso sole del mare».
La Musique
Per Baudelaire la musica e l'ascolto musicale sono una metafora
di un'esperienza legata sempre a uno spazio marino. Il poeta
scrivendo a Wagner a proposito del Lohengrin dichiarerà che con la
sua musica:«sembra di salire in aria o di nuotare in mare». Nuotare
significa qui immergersi nei tumulti interiori che dilaniano l'animo
umano; tumulti che la musica di Wagner e di Beethoven riesce a
tradurre ed esplicitare in maniera profonda. La violenza
dell'esperienza musicale, che qui è un risveglio di antichi dolori, si
arresta con l'introduzione del verbo «bercer». Nell'edizione del 1857
questo sonetto, seguito da La Pipe, chiudeva la sezione «Spleen et
Idéal». Nell'edizione del 1861 Baudelaire li antepone alla serie degli
Spleen, riconoscendo nella loro valenza liberatoria un carattere

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sostanzialmente illusorio.

La Cloche fêlée
La dolcezza musicale della poesia di Baudelaire è rappresentata in
modo ammirevole e provocatorio nella prima strofa di questo
componimento. Il poeta reifica la sua anima nell'immagine di una
campana incrinata, la cui voce richiama i fedeli. Egli, in crisi perché
non riesce più a evocare e a invocare, oggettivizza l'anima, raffredda
l'aria, trasforma il canto in rantolo. Sono tutti sintomi dello spleen, e
proprio «spleen» in origine doveva intitolarsi questa poesia. Ma lo
spleen di Baudelaire non conserva nulla della noia romantica, perché
afferisce a una forza dalla potenza diabolica che corrode, dissangua e
secca quel che tocca, trasformandolo alfine in corpo morto.

Spleen (LXXVI)
In questo sonetto i mille anni di «cattivi» ricordi caricano troppo
il passato, rendendo il presente vuoto di vita, come nota il critico
Giovanni Cacciavillani. Le tre metafore rispettivamente del
cassettone, della piramide e della tomba identificano il poeta come
un contenitore di oggetti deposti e privi di funzione. Si tratta di cose
che mescolano frammenti di vita sentimentale e prosaica, come
bilanci, versi, bigliettini teneri, incartamenti processuali, romanze,
ciocche di capelli avvolte in quietanze. Lo spleen li ha svuotati del
loro significato, ha reso la materia priva di vita, il tempo immobile, la
rima invariata, e ha paralizzato il soggetto in un presente senza
divenire e privo di legame con il passato.

Spleen (LXXVII)

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Spleen è parola inglese che indica la bile, l'umor nero, la
melanconia, l'antica accedia. Tuttavia lo spleen di Baudelaire, più che
un'origine fisiologica, ha una causa morale personificata nella figura
del Diavolo come appare evidente sin dal poema d'apertura dei Fiori
del male. Questi, per mezzo delle sue doti di alchimista assoluto,
vaporizza la volontà delle sue vittime e dissolve le forme del mondo
esteriore fumando la sua pipa. In questo terzo Spleen si assiste alla
caduta del soggetto nel più completo isolamento interiore. Soltanto a
partire dal verso 5 il soggetto, che si esprime all'inizio in prima
persona, passerà alla terza persona, ottenendo almeno la sola
consolazione di poter scindere la figura del malato che soffre da
quella del poeta che parla.

Le Cygne
Questo grande canto in due sezioni, formalmente dedicato
all'esiliato Victor Hugo, intreccia temi eterogenei: la memoria
letteraria e il ricordo personale, la realtà urbana e la dimensione
mitica, e il passato vissuto in forma di ricordo doloroso. Alla luce
della memoria classica, qui evocata attraverso la figura esemplare
dell'Andromaca virgiliana del terzo canto dell'Eneide, colta nell'atto
di piangere Ettore, Baudelaire contempla il nuovo volto di Parigi,
non riconoscendola più. Dalla memoria sorge l'immagine di un cigno
evaso dalla gabbia alla disperata ricerca di uno specchio d'acqua, il
quale è la caricatura della moderna esasperazione del poeta. La
poesia è tesa a rappresentare il confronto tra un passato maestoso,
solare o familiare e un presente che appare la forma degradata e
svuotata di quel passato.

Les Aveugles

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In questa poesia Baudelaire contempla il patetico incedere dei
ciechi attraverso una notte senza fine. Il loro occhio è un fanale
spento, e alla ricerca di una luce superiore essi si ostinano a tendere
il loro sguardo verso l'alto, verso un'entità che il poeta non vede. Al
contrario, Baudelaire è costretto ad abbassare lo sguardo a terra per
affrontare la bestiale risata della città moderna.

Danse macabre
Questa poesia è l'ekphrasis di una statua di Ernest Christophe,
raffigurante uno scheletro in abito da ballo, che a sua volta si ispira
ad un disegno dell'illustratore, designer e caricaturista francese
Grandville. La cifra di questa danza macabra è l'auto-ironia, resa
esplicita nell'ultimo verso. La morte si abbiglia con eleganza,
imitando il maquillage dei dandys rappresentati qui da Antinoo, il
favorito dell'imperatore Adriano, e dal seduttore del romanzo di
Richardson Clarissa Harlowe. Soltanto i forti, come il poeta,
possono guardare la morte per coglierne la sua segreta bellezza: uno
scheletro che è come la struttura del poema umano. Il poeta
destituisce la morte di senso morale, riconoscendo in essa l'ineffabile
eleganza di un oggetto estetico.

Le Vin de l'assassin
Questa poesia dal carattere narrativo portò la prima notorietà a
Baudelaire all'interno degli ambienti della bohème parigina.
Costruita su strofe di ottonari a rime incrociate, essa trae ispirazione
per il suo argomento da un racconto di Pètrus Borel, Champavert nel
quale l'assassinio dell'amata ha come movente la gelosia provocata
dal suo tradimento. Invece, nel caso di Baudelaire il delitto è

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determinato dall'intento di liberarsi di una passione amorosa che
incatena, associando sin dal primo verso la parola «morte» alla
parola «libertà». Si tratta però di una libertà insostenibile, poiché
garantita da un rimorso che solo il vino può spegnere. Il vino
dell'assassino rende indifferente la salvezza e la condanna,
dischiudendo l'unico spazio di libertà praticabile nell'universo
baudelairiano, quello dell'oblìo. La catena apofonica che attraversa
l'ultima strofa ha la musicalità derisoria di una canzone da taverna;
essa costituisce una risposta alla blasfema assonanza contenuta
nell'ultimo verso «Diable-Table».

Un voyage à Cythère
Un voyage à Cythère apparve per la prima volta in rivista nel
1855. Precedeva L'Invitation au voyage, costituendo con questa una
sorta di dittico nel quale le felici armonie della seconda poesia
riaprivano le prospettive esotiche che la prima aveva chiuso. Citera,
l'isola di Venere, paradiso dell'amore sensuale, vi viene descritta
come un'isola «triste e nera». Mano a mano che il veliero si avvicina
alla costa, l'isola perde la sua connotazione classica. Baudelaire
desume questo aspetto da una pagina desunta dal Voyage en Orient
di Nerval. Lo sguardo si focalizza sulla figura di un patibolo, e poi di
un impiccato che alcune fiere ai suoi piedi divorano e castrano. Si
tratta di una figura dalla connotazione parzialmente cristica, poiché
la forca non è la croce e lo strazio dell'impiccato non conoscerà né
sepoltura né resurrezione. Il poeta invoca prima Venere,, poi Dio
chiedendogli di non distogliere lo sguardo sulla sua sofferenza
imposta ad espiazione di una misteriosa colpa originaria non
commessa. Stranamente profetico risulta il riferimento a Gérard de
Nerval per questa poesia, e la dedica allo stesso su un altro
manoscritto di cui si sono perse le tracce: l'amico Gérard si

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impiccava a un fanale della rue de La vielle Lanterne il 26 gennaio
1855.

Le Litanies de Satan
In fondo alla più disperata sezioni dei Fiori del male, Baudelaire
rivolge un'estrema supplica a Satana, il quale di fronte al silenzio di
Dio assume qui le proporzioni del salvatore. Satana non solo diventa
il padre adottivo che si sostituisce a Dio, ma altresì prende le
funzioni del Figlio: egli è guaritore, maestro, protettore, salvatore,
consolatore degli afflitti. La poesia, composta da una lunga serie di
distici, ruba il suo ritmo alle litanie dedicate alla Madonna.
Nell'ultima «Preghiera», Satana appare nella veste di un supplice
precipitato nel fondo dell'abisso, dove giunge soltanto la voce di un
altro condannato che chiede di non essere dimenticato nel giorno del
riscatto.

La Mort des pauvres


I versi di questa poesia recuperano la valenza consolatoria ma
non cristiana della morte; una valenza che nel poema liminare ai
Fiori del male era stata negata. La morte ripara l'ingiustizia subita
dai poveri, rimbocca il letto al povero e gli dona un sonno aperto
sull'oltremondo. Essa mantiene ciò che la scrittura ha promesso: la
fine sarà un inizio e gli ultimi saranno i primi a passare attraverso «il
porticato aperto sui Cieli (parola che Baudelaire scrive in maiuscolo
connotandola di un significato cristiano) sconosciuti».

Le Voyage
Le Voyage costituisce metaforicamente l'estuario dei Fiori del
male. Costituito da 144 alessandrini di regolarità quasi perfetta,

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questo componimento, che è il più lungo dell'intero canzoniere,
riporta in superficie tutti i nuclei tematici sfruttati dalle poesie che lo
avevano preceduto.. Il tema del viaggio, dall'Invitation au voyage al
Voyage à Cythère, costituisce il vettore tematico al quale la poesia di
Baudelaire si è affidata per esprimere le sue speranze di libertà e per
denunciarne il carattere illusorio. Nella prima e nella quarta sezione
il viaggio è concepito come movimento centrifugo; la seconda sezione
stabilisce un rapporto di equivalenza tra il lontano e il vicino,
trasferito sul piano morale nella sesta sezione. Le Voyage è un ideale
ritorno alle origini, ma vanificate, non intese come luogo di una
primigenia felicità, poiché in Baudelaire, di originale, c'è solo il
peccato.

Le Léthé
Questa poesia, la terza delle sei condannate nell'edizione del
1857, era inserita in origine tra Le Vampire e Une nuit que j'étais. Il
brutale contrasto tra l'esplicito erotismo dell'ultima strofa e il lessico
religioso della penultima ne determinò la sua condanna. Sul suo
inizio è ricalcato il primo verso de Le Chat (XXXIV), e le prime due
strofe seguono le stesse vie percorse da Parfum exotique, La
Chevelure e Le Chat (XXXIV): vale a dire risalire il tempo e
penetrarne le profondità attivando la mnemotecnica. La frase che
occupa i primi otto versi è spezzata, in corrispondenza del verso 9,
dalla doppia esclamazione che invoca il potere del sonno in luogo dei
sortilegi del ricordo. Il poeta invoca Eros per ottenere la grazia di
Morfeo, il dio del sonno che libera l'essere dalla tirannia del ricordo,
sciogliendolo nelle acque del Lete, il fiume dell'oblìo.

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