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Una nobile follia di Igino Ugo Tarchetti.

Scheda critica secondo le note della nuova edizione riveduta e aggiornata a cura di
Lavinia Spalanca

Igino Ugo Tarchetti pubblica il romanzo Drammi della vita militare. Vincenzo D*
(Una nobile follia) fra il 12 novembre del 1866 e il 27 marzo del 1867, in
ventisette puntate, sulla rivista «Il Sole». Il testo è ristampato in volume nel 1867,
presso la casa editrice milanese Vallardi. Nel 1869 col titolo Una nobile follia
(Drammi della vita militare), esce la seconda edizione definitiva riveduta
dall'autore, in 2 volumi, presso la casa editrice milanese Treves. A questa edizione
è premessa una Prefazione datata Milano, 24 gennaio 1869 e, in appendice al
secondo volume si può leggere un profilo biografico dell'autore scritto da Salvatore
Farina.

La prima edizione del romanzo (1867), dopo il frontespizio, reca due citazioni
che non figurano più nella seconda edizione, la prima di St. Remy e la seconda di L.
Anneo Seneca. Il primo brano, che recita :«Ma misanthropie, en m'isolant
presq'absolument du monde, m'a laissé face à face avec la pensée de ma nullité»,
risulta significativo per la comprensione della personalità di Vincenzo D., il
protagonista del romanzo. Isolandosi dal mondo, egli acquista una profonda
consapevolezza della propria insignificanza rispetto all'universo, del suo essere
un'infinitesima parte del tutto; soltanto la nobiltà del sacrificio lo riscatterà da
questa condizione. Anche il secondo brano, in cui Seneca crede:«che molti
avrebbero potuto giungere alla saviezza, se non avessero creduto di esservi giunti»,
illumina, nella sua paradossalità, la visionaria sapienza del personaggio.

Nel complesso il testo del 1869 non mostra significative varianti rispetto
all'originale dal momento che lo scopo dell'autore, come dichiara nella Prefazione, è
soprattutto quello di denunziare le condizioni di vita del soldato, «anche a prezzo di
qualche errore di forma e di sintassi». Tuttavia, egli sostiene le proprie tesi con un
particolare interesse verso opportune strategie retoriche vicine all'assunto, sostenuto
nelle Idee minime sul romanzo, che il fine delle lettere consiste nell'«educare e
istruire allettando».

La struttura portante del romanzo è costituita da tre racconti incastrati a


telescopio. La prima delle tre voci narranti, che apre il romanzo, è quella di Ugo,
una sorta di alter ego dell'autore, il quale riceve una lettera dall'amico Vincenzo D.,
da lui creduto morto, che lo invita a rincontrarsi. L'espediente della lettera consente
al Tarchetti d'introdurre subito un secondo personaggio, Vincenzo D., amico
d'infanzia di Ugo e omonimo del protagonista del racconto (quest'ultimo figlio della
ruota di Genova e battezzato Filippo Sporta, poiché il ventitré agosto, giorno del
suo battesimo, ricorre San Filippo Neri, e giacché portato alla ruota in un piccolo
cesto di giunchi, una sporta appunto). All'introduzione del racconto da parte di Ugo
subentra la seconda voce narrante del romanzo, quella del suo amico Vincenzo D.
Egli racconta le vicende che lo hanno condotto ad incontrare il suo omonimo, un
uomo con strani cedimenti mentali, ma dotata di tanta «nobiltà di mente e di cuore»,
«assennatezza di criterio», «profondità di pensieri». Tarchetti aveva sperimentato
l'uso della narrazione indiretta (due o più narrazioni incastrate) in Un suicidio
all'inglese, pubblicato sulla «Rivista minima» il 15 maggio del 1865.

Dopo una serie di reiterati appelli al narratario, il protagonista incomincia ad


esporre il racconto della propria formazione. Cresciuto in orfanotrofio, il giovane
protagonista sogna la madre quasi ogni notte, fino a quando un incubo, che lo mette
di fronte alla sua condizione d'orfano e alla morte psicologica di sua madre, segna
inesorabilmente la fine di questi sogni e produce in lui il suo primo grande trauma.
A dieci anni si innamora della quattordicenne Margherita, smunta e pallida,
incontrata durante un corteo funebre. I due decidono più tardi di vivere insieme, e la
giovinezza del protagonista è descritta lieta e appagante fino all'età dei vent'anni.
Filippo è diventato un pittore, ha ottenuto una cattedra d'insegnamento in una
scuola di campagna e si avvicina il giorno del suo matrimonio. Ma la sua gioia è
sconvolta dall'arrivo di una lettera nella quale viene comunicato al giovane di
arruolarsi entro dodici giorni. Il protagonista afferma: «Caddi fulminato». Da
questo punto del romanzo parte una lunga riflessione sul significato della vita di un
soldato e sulla parola stessa: «Fui soldato. Questa parola esprime tutto. […]
assoldato, tenuto a soldo, venduto», dichiara Filippo. Egli definisce quegli otto anni
che dovrà trascorrere nell'esercito di leva una condanna e descrive la caserma come
un luogo disumano, nel quale l'uomo-soldato perde la sua umanità apprendendo
certi comportamenti che lo portano a isolarsi e a non essere più in grado di amare.
Descrive il disagio dei primi giorni in caserma e il tentativo di fuggire con la mente,
immaginando e sognando a occhi aperti. Il dolore di alcuni camerati e la mancanza
che provano nei confronti delle loro vite quotidiane, per alcuni di essi diviene
motivo di follia o di malattia. Questa dura invettiva sulla vita di caserma descritta
da Tarchetti contrasta con la rappresentazione tutta edificante che, negli stessi anni,
Edmondo De Amicis delineava in La vita militare. Bozzetti (editi prima su L'Italia
militare del 1867, poi da Treves nel 1868)

Terminata l'aspra requisitoria nei confronti della vita militare, inizia il ῾racconto
di guerra’ di Vincenzo D., la confessione del suo «atroce assassinio» (il
protagonista uccide un cavaliere russo, Arturo K***, nativo del paese di Plot nella
Polonia) e la sua decisione di farsi disertore, spogliando, sul campo di battaglia,
un cadavere che vestiva in costume borghese e scambiandone l'abito, che conteneva
un taccuino nel quale erano riposte più di centomila lire, con la sua uniforme. Sarà a
questo punto che Filippo Sporta muterà il suo nome, assumendo «per una strana
casualità» quello che porta il suo omonimo.

L'occasione è fornita dallo scoppio, il 23 ottobre del 1853, della guerra


d'Oriente. L'ammiraglio russo Menšikov era stato inviato dallo zar Nicola I a
Costantinopoli, presso la residenza del sultano (la Porta), a reclamare la protezione
russa sui cristiani dell'impero turco. Fallita la missione, i Russi invasero i principati
danubiani di Moldavia e Valacchia, scatenando la dichiarazione di guerra turca. Il
27 marzo del 1854 l'Inghilterra e la Francia alleate avevano dichiarato guerra alla
Russia, mentre il 14 giugno dello stesso anno l'Austria aveva concluso col sultano
'Abd ül-Meğīd un trattato, che la autorizzava ad occupare i principati danubiani. I
contingenti russi, ritiratisi allora in Bessarabia, si separarono dagli anglo-francesi
sbarcati a Varna, sulle coste del Mar Nero. Pertanto il corpo di spedizione si spostò
il 14 settembre in Crimea, penisola tra il Mar Nero e il Mar d'Azov. Qui nel maggio
del 1855, sbarcò anche un corpo di spedizione piemontese al comando del generale
Alfonso Ferrero di La Marmora. Ad Inkermann, villaggio della Crimea, all'imbocco
del fiume Čërnaja, il 5 novembre del 1854 si svolse un terribile e sanguinoso
combattimento tra i Russi e gli Anglo-francesi. Nel giugno del 1855 le truppe
piemontesi furono schierate sulla Čërnaja per coprire gli anglo-francesi che
assediavano Sebastopoli. Il 16 agosto i Piemontesi fronteggiarono l'attacco russo
nella battaglia del ponte di Traktir.

Dopo il lungo racconto del protagonista, riprende la parola Ugo, narratore di


primo grado che, consegnategli dall'amico Vincenzo, presenta al lettore alcune
pagine del protagonista scritte «in gran parte negli ultimi giorni della sua vita,
allorché la sua infermità e la sua pazzia avevano raggiunto tutto il loro sviluppo
possibile». Con ironico disprezzo l'autore, attraverso i diari del ῾folle’, stigmatizza
l'assolutezza dogmatica dei teorici del tempo, soprattutto i sostenitori del
darwinismo. Alle certezze degli scienziati anatomisti Tarchetti, anatomista del cuore
umano, contrappone la fede nel dubbio e nell'immortalità dell'arte.

Dopo la lettura dei fogli di diario di Vincenzo D. e dopo un brevissimo intervento


di Ugo, riprende la parola il narratore di secondo grado che su richiesta di Ugo
porta a termine il racconto della sua storia e del sacrificio che il protagonista
compie per amore suo, togliendosi la vita e assicurando all'amico un impiego di
lavoro e i soldi necessari ad assolvere i debiti contratti con i suoi creditori. Anziché
sacrificarsi per la Patria, Vincenzo D. sceglie di farlo per l'amico, in nome
dell'amore e della carità. Questo gesto di estrema nobiltà e prodigalità gli garantirà
sopravvivenza eterna.

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