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Storia
Fu il 17 luglio 1821, leggendo il numero della Gazzetta di Milano del
16 nel giardino della sua villa di Brusuglio, che Alessandro Manzoni
seppe della morte di Napoleone Bonaparte, avvenuta il 5 maggio dello
stesso anno nel suo esilio all'isola di Sant'Elena. Manzoni aveva gi
incontrato il generalissimo all'et di quindici anni, al teatro alla Scala,
dove rimase colpito dal suo sguardo penetrante (evocato al v. 75 con
l'espressione i rai fulminei) e dal magnetismo emanato dalla sua
persona, in cui riconosceva l'artefice del trapasso da unepoca storica a
unaltra;[1] ci malgrado, egli non manifest n plauso n critica nei
confronti di questa figura di condottiero, a differenza di altri poeti suoi
contemporanei (quali Ugo Foscolo e Vincenzo Monti).[2]
Manzoni affid poi la redazione del primo getto alle pagine del ms. VS. X. 3 (custodito alla biblioteca
Braidense).[5] Malgrado vi siano sostanziali discrepanze tra la prima e l'ultima versione dell'ode, a latere della
bozza, nella parte destra della pagina, il poeta inser alcuni appunti che - seppur allo stato embrionale -
presagiscono sensibilmente la redazione definitiva. Ne effettuiamo un confronto:
Dopo aver finalmente composto l'ode, Manzoni la present alla censura austriaca, che tuttavia non ne consent
la pubblicazione: come disse Angelo De Gubernatis, infatti, l'Austria aveva tosto riconosciuto nel Cinque
Maggio del Manzoni un omaggio troppo splendido al suo temuto nemico, che pareva come evocato dal suo
sepolcro, in quelle strofe potenti. Il Manzoni, tuttavia, ebbe la prudenza di preparare non uno, bens due
esemplari: di questi, uno fu trattenuto dal censore, mentre l'altro fu fatto circolare in forma manoscritta, anche
al di fuori del Regno Lombardo-Veneto. Cos Alberto Chiari:[6]
risaputo che il censore Bellisomi in persona, con gesto di gran riguardo si rec dal Manzoni a restituirgli
una delle due copie inviate per l'approvazione, pregandolo che ritirasse la sua richiesta, ma che nel frattempo
la seconda copia rimasta in ufficio, era uscita ben presto di l, e copiata e ricopiata s'era diffusa tanto
largamente che esemplari manoscritti ne pervennero al Soletti in Oderzo, al Vieusseux in Firenze, al
Lamartine in Francia, al Goethe a Weimar per ricordare solo i casi pi illustri
Come appena accennato, infatti, Il cinque maggio ebbe vastissima eco; tra gli ammiratori principali vi fu lo
scrittore tedesco Johann Wolfgang von Goethe, che tradusse l'ode nel 1822 per poi pubblicarla nel 1823 sulla
rivista Ueber Kunst und Alterthum, IV/1, p.182-188: Der fnfte May. Ode von Alexander Manzoni.
L'edizione originale fu pubblicata nell'opuscolo: Cinque inni sacri ed un'ode di Alessandro Manzoni milanese,
Torino, presso Giacinto Marietti libraio, 1823, a p.28-32: Il cinque maggio. Ode.
Contenuti
Manzoni, con la stesura de Il cinque maggio, non intendeva n glorificare la figura di Napoleone, n muovere a
piet il lettore per il suo trapasso, bens illustrare il ruolo salvifico della Grazia divina, offrendo al contempo
uno spaccato esistenziale della vita di Napoleone.
Versi 1-30
Il cinque maggio ha inizio con un esordio severo ed ineluttabile, Ei fu,
con il quale Manzoni annuncia al lettore che Napoleone non pi vivo.
Per riferirsi al defunto imperatore il poeta ricorre a un pronome
personale di gusto solenne e letterario, Ei, che sottolinea la fama di
Napoleone, talmente conosciuto che non ha bisogno di introduzioni. La
scelta del passato remoto in fu, invece, allontana nel tempo l'epopea
napoleonica, che in questo modo viene segnalata come un evento
definitivamente concluso, sprofondato nel magma del passato, con una
chiara allusione all'inesorabilit dello scorrere del tempo, alla caducit
della vita, e alla natura effimera della gloria terrena.[8]
La strofa successiva presenta un tono perentorio ed indica il quadro geografico nel quale si sono svolte le gesta
napoleoniche. Sono citate le due campagne d'Italia (1796 e 1800); la campagna egiziana (1798-99); vengono
poi menzionati due fiumi, il Manzanarre e il Reno, in riferimento rispettivamente alla campagna di Spagna del
1806 (il Manzanarre scorre vicino Madrid) e ai diversi interventi militari in Germania, ove fluisce il Reno (si
pensi alle battaglie di Ulm e di Jena). Le vittorie di Napoleone coinvolgono un territorio che si estende
dall'Italia meridionale (la punta di Scilla in Calabria) alla Russia, dove scorre il fiume Don, anche noto come
Tanai, dal Mediterraneo all'Atlantico (dall'uno all'altro mar).[8]
Versi 31-84
Fu vera gloria? Ai posteri / Lardua sentenza: nui / Chiniam la fronte al Massimo / Fattor, che volle in lui /
Del creator suo spirito / Pi vasta orma stampar
Quella all'inizio si tratta di un'interrogativa retorica, in quanto al Manzoni cattolico non interessano le glorie
terrene di Napoleone, bens le sue vittorie spirituali, che riconosce essere l'unico mezzo per raggiungere una
gloria vera e autentica: convertendosi prima di morire, infatti, il condottiero corso ha dato un ulteriore prova
della grandezza di Dio, che si servito di lui per imprimere sulla Terra un sigillo pi forte della sua potenza
creatrice.[10]
Questa meditabonda riflessione accompagnata da un elenco dei sentimenti che hanno tempestato l'animo di
Napoleone durante la sua ascesa al potere: la gioia ansiosa e trepidante che si dispiega nell'animo alla
realizzazione di un grande progetto, l'insofferenza di un animo ribelle che, non domato, si sottopone agli altri,
ma che pensa al potere, e l'esultanza che sostenne il suo trionfo imperiale, che era quasi folle ritenere possibile.
Tutto ei prov (la strofa precedente retta da questa proposizione): la gloria della vittoria, ma anche l'umiliante
fuga dopo la sconfitta (in riferimento alla campagna di Russia del 1812 e alle successive di Lipsia e Waterloo),
l'esultanza della ritornata vittoria, e infine l'esilio a Sant'Elena.[8]
Segue, come osservato da Francesco De Sanctis, una strofa in cui l'immaginazione del poeta si riposa.
Napoleone finito e rimane ozioso, costretto a ricordare. Per suggerire l'idea di un Napoleone oppresso dal
peso straziante dei ricordi, infatti, Manzoni ricorre alla pregnante similitudine di un naufrago che, mentre tende
lo sguardo verso lontani approdi, viene travolto da quei marosi che prima egli stesso dominava.[15] Manzoni
indaga impietosamente la profonda crisi interiore di Napoleone, uomo condannato a una vita inoperosa pur
essendo ancora energico e vitale (come suggerito dai rai fulminei; si noti come anche nella poesia manzoniana
gli occhi rappresentino lo specchio dell'anima). per questo che il condottiero, investito dall'assalto dei ricordi,
ripensa alle tende degli accampamenti militari, alle trincee battute dal fuoco dell'artiglieria, al fulminar delle
spade dei suoi soldati, all'incalzare della cavalleria, agli ordini concitati e perentori e alla loro fulminea
esecuzione.[16]
Versi 85-108
Il ricordo del passato per Napoleone soffocante, avvilente, e presagisce la disperazione, come suggerito dalla
tronca e disper, che a mo' di rintocco sembra concludere inesorabilmente la parabola terrena del
generalissimo. I suoi tormenti, tuttavia, vengono allietati dalla provvidenziale mano divina che, discesa valida
dal cielo, lo eleva a un'atmosfera pi serena (pi spirabil aere) e alla contemplazione della vita
ultraterrena.[17]
Nella penultima strofa, impiegando una perifrasi desunta dalla tradizione religiosa (gi Paolo di Tarso parlava
di improperium Christi), Manzoni ricorda al lettore che giammai una pi superba altezza non si chin al
disonore del Golgota: Napoleone, in questo modo, viene interpretato come un uomo dalla personalit
grandiosa e dallo straordinario ingegno bellico che, nei suoi ultimi frangenti di vita, seppe rinnegare il proprio
orgoglio e chinarsi al legno del Golgota, abbracciando in questo modo la professione cristiana.
Il cinque maggio risponde alla forma metrica dell'ode. Il testo si compone di 108 versi raggruppati in strofe da
sei settenari. Il primo, il terzo ed il quinto settenario sono sdruccioli, ovvero pongono l'accento sulla terzultima
sillaba, e non sono rimati; il secondo e il quarto sono rimati fra loro e terminano con una parola piana, mentre il
sesto e ultimo settenario tronco e rima con l'ultimo verso della strofa successiva. Complessivamente, i
settenari sono rimati secondo lo schema ABCBDE, FGHGIE.
Il poema pu essere suddiviso in tre parti: nella prima, composta da quattro strofe (vv. 1-24), viene presentato il
tema; nella seconda di dieci strofe (vv. 25-84) si ripecorre l'epopea napoleonica, mentre le ultime quattro strofe
traggono le conclusioni e pertanto le riserve morali e religiose. La seconda parte, tra l'altro, si presta a
un'ulteriore bipartizione: nel primo momento (vv. 25-54) si raccontano i momenti salienti del Napoleone
condottiero e imperatore, mentre il secondo (55-84) dedicato all'esilio finale a Sant'Elena.[18]
Figure retoriche
Note
1. ^ Varanini, p. 142.
2. ^ Luperini et al., p. 539
3. ^ Tellini, p. 138.
4. ^ Varanini, pp. 135-36.
5. ^ Varanini, p. 136.
6. ^ Varanini, p. 139.
7. ^ La legenda della mappa riportata di seguito:
territorio francese
paesi vassalli
paesi alleati
8. ^ a b c Lisa Pericoli, Alessandro Manzoni, "Il cinque maggio": parafrasi del testo, OilProject. URL consultato l'8 agosto
2016.
9. ^ a b Varanini, p. 143.
10. ^ Varanini, p. 144.
11. ^ Varanini, p. 145.
12. ^ Luperini et al., p. 540
13. ^ Luperini et al., p. 541
14. ^ Varanini, pp. 146-47.
15. ^ Varanini, p. 147.
16. ^ Varanini, p. 148.
17. ^ Varanini, pp. 149-50.
18. ^ Luperini et al., p. 542
19. ^ Analisi del testo: "Il cinque maggio" di Alessandro Manzoni, Fare Letteratura. URL consultato il 7 luglio 2016.
Bibliografia
Romano Luperini, Pietro Cataldi, Lidia Marchiani, Franco Marchese, Il nuovo La scrittura e
l'interpretazione (edizione rossa), vol. 4, ISBN 978-88-6017-716-2.
Gino Tellini, Manzoni, Roma, Salerno Editrice, 2007, ISBN 978-88-8402-572-2.
Giorgio Varanini, Senso della storia e poesia nel Cinque Maggio, in Da Dante a Pascoli, Istituto di
cultura Giovanni Folonari.
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