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PASCOLI

Nacque nel 1855 a San Mauro di Romagna ed era quarto di 10 figli. Fin da piccolo ebbe buoni insegnanti che gli
trasmisero la passione per i classici. Purtroppo nel 1867 il padre fu assassinato tornando da un viaggio a Cesena, e
questo gli segnò la fine dell’infanzia e l’ingresso al mondo degli adulti. Nel giro di pochi anni morirono altri parenti e
per Pascoli si era rotto ciò che lui definiva “nido” familiare. Intanto le condizioni economiche stavano peggiorando però
grazie ad una borsa di studio riuscì a continuare gli studi a Bologna nella facoltà di lettere. Però durante questi anni
visse in un periodo di crisi, preoccupato per le difficoltà economiche e per la lontananza dalla famiglia. Pascoli fu
arrestato per aver partecipato a una manifestazione a favore degli anarchici, ma fu presto liberato grazie all’aiuto di
Giosuè Carducci. Pascoli finì gli studi, si laureò e iniziò ad insegnare latino e greco. In seguito comprò una casetta a
Castelvecchio dove visse con suo sorella Maria (Mariù) e cerco di ricostruire il nido famigliare. A 50 anni fu nominato
insegnante di lettere all’università di Bologna come successore di Carducci. Morì a Bologna a 57 anni di malattia.
Pascoli è un allievo di Carducci particolarmente bravo. Pascoli è un personaggio del Decadentismo (la figura
dominante è quella del poeta, è il veggente, colui che si lascia colpire dalla realtà, come un fanciullo): non pensa a voler
documentare la realtà. Pascoli rappresenta la poesia di chi si racchiude nel suo io e la poesia nasce dallo sguardo di
fanciullo che c’è dentro ognuno di noi. La sua produzione va divisa in 2 parti:

 produzione latina

 produzione italiana.

MYRICAE: Nasce dalla riflessione del poeta sulle radici biografiche della propria esistenza. Pubblicato nel 1891
quando aveva 38 anni. Il titolo viene ricavato da un verso della quarta egloga di Virgilio (“arbusta iuvant humilesque
myricae: piacciono gli arbusti e le umili tamerici) ed è carico di valori:

•valore simbolico = vuole rappresentare gli aspetti più semplici, propri dell’umile mondo bucolico

•valore affettivo = le tamerici abbondano nella natia San Mauro ed il poeta parlerà delle proprie poesie come di
tamerici (anche nella prefazione ai “canti di Castelvecchio”, opera che va letta in continuità con Myricae) e si augura
che fioriscano intorno alla tomba della madre.

La raccolta è attraversata da un vasto repertorio di immagini e situazioni che appartengono alla biografia del poeta e al
mondo della campagna. Nella rappresentazione dei quadri naturali il poeta si concentra su un particolare minimo in cui
è possibile riconoscere il tutto, il macrocosmo si riflette nel microcosmo, nell’umile oggetto della quotidianità si può
incontrare il sublime.

Fra i temi più ricorrenti:

- memoria volontaria – scorrere continuo tra passato e presente;


- nido - simbolo di una sicurezza spesso minacciata;
- la siepe – elemento che isola e protegge dal male, dal dolore e dall’intrusione di elementi ostili;
- riflessione sulla poesia - unica forma di consolazione e rifugio;
- i morti - spesso incontrati in situazioni oniriche e visionarie

La Morte per Pascoli è un’esperienza che deve spingere a riflettere sulla bellezza della vita. Se quest’ultima appare
segnata dall’esperienza della sofferenza è solo perché, a parere del poeta, l’uomo l’ha rovinata, mentre la natura,
considerata “madre dolcissima”, in polemica con Leopardi, “sa quel che fa e ci vuole bene”. I titoli che Pascoli dà alle
poesie sono prevalentemente titoli con fine informativo attraverso i quali il poeta fornisce informazioni riguardanti il
tema della poesia stessa. Si può notare anche l’uso non raro di titoli a scopo interpretativo, mediante i quali il Pascoli
agevola al lettore la comprensione di ciò che la poesia vuole comunicare.

Egli evoca immagini attraverso il linguaggio, ha usato 3 tipi di linguaggi diversi:

- linguaggio pre-grammaticale dato dalle onomatopee, di interiezioni degli animali e delle cose e non degli
uomini,
- linguaggio grammaticale, derivato dall’uso poetico comune;
- linguaggio post-grammaticale dato da termini tecnici e da lingue speciali come l’italo-americano.

I CANTI DI CASTELVECCHIO: Pubblicata nel 1903 e nella versione definitiva nel 1912, rappresenta per certi versi la
continuazione di Myricae, infatti il poeta stesso li definì “seconde myricae” o “myricae autunnali”. dedicati alla madre,
riprendono i motivi del «Poemetti» e specialmente di «Myricae»: ricordi della tragedia familiare del poeta, descrizioni
paesistiche, delicate, sottili impressioni della vita e della natura in un alone di calma luminosa e di contemplazione
profonda delle piccole cose e delle piccole sensazioni quotidiane.

I temi sono:

- campagna;
- tema dei morti e dell’impossibilità di seppellirli;
- tema del nido;
- tema dei fiori.

POEMETTI: Nel 1897 Pascoli pubblica un volume di dodici Poemetti, esce poi la seconda edizione Primi poemetti e
successivamente un’ulteriore raccolta Nuovi poemetti, dedicati alla sorella Maria. La struttura si snoda in sette cicli
collegati dal filo narrativo della storia dell’amore dei contadini Rosa e Rigo, su uno sfondo di vita campestre, dove la
vita scorre povera e faticosa ma quasi sempre serena. I Poemetti sono componimenti più ampi di Myricae, con
l’inserimento di dialoghi tra i personaggi. La vita dei contadini, divisa secondi i cicli delle stagioni e del lavoro nei
campi, è celebrata nella sua laboriosità e nella sua dignitosa sofferenza per le ingiustizie sociali. L’umanitarismo
pascoliano contrappone il mito della bontà “naturale” vita di campagna, alla realtà minacciosa della società industriale e
dell’emigrazione: se la campagna è il rifugio dalla vita in cui la vita scorre placida, al di fuori di essa c’è il mondo
violento della città e della vita moderna. Nei Poemetti ritornano tematiche inquietanti, tipiche del  Decadentismo, dai
significati simbolici ambivalenti: vita, morte, decadenza, corruzione. Pure eros affiora, nelle forme di un sanguigno
“fiore di morte” emanante un profumo che insidia l’innocenza delle educande di un convento. Lo sperimentalismo
linguistico Nel linguaggio sono presenti termini tecnici, termini dialettali della campagna o dell’italiano dialettale
americanizzato con esiti plurilinguistici. Italy è il poemetto principale, dove è presente lo sperimentalismo linguistico, e
perciò termini inglesi o inglesi italianizzati.
NIDO: Per pascoli il “nido” è il simbolo più frequente nelle sue poesia, e lo compara al nido di “casa”, luogo di
protezione, o “culla” segno della regressione all’infanzia, fino al nido “vuoto”, il cimitero, dove i morti tornano a
confortare chi è rimasto in vita. Nella poesia del 1899, “Nebbia”, la nebbia da elemento atmosferico del paesaggio
diventa simbolo di una protezione impalpabile, che mentre impedisce di vedere il mondo esterno, isola il poeta nel
proprio nido domestico. Il cimitero per pascoli è come un nido vuoto, e la morte non è attesa con angoscia, ma piuttosto
è un ricongiungimento con i propri famigliari, un approdo nel “nido” finalmente ritrovato. Nella poesia “Il gelsomino
notturno” , Pascoli fa un paragone tra il grembo materno e il gelsomino notturno, che apre i suoi petali rossi al cadere
della sera per richiuderli ai primi raggi del sole, come la giovane donna è pronta ad accogliere la maternità, sbocciando
come fragole nel crepuscolo.
POETICA DEL FANCIULLINO: La lirica di Giovanni Pascoli, fu ritenuta semplice, descrittiva. Ne “Il fanciullino”
scritto nel 1897, viene affermata la natura irrazionale e intuitiva della creazione artistica. Pascoli considera la poesia
come ricordo del momento magico, legato all’età infantile, in cui il bambino scopre nelle cose che lo circondano, anche
nelle più umili e consuete, il senso nascosto e segreto. Mentre gli uomini comuni, crescendo e diventando adulti,
perdono la capacità di guardare con stupore ciò che vedono.
SIMBOLISMO: Nella poesia francese nella seconda metà dell’Ottocento i poeti vogliono presentare la realtà
attraverso una visione soggettiva e personale, in sintonia con il loro stato d’animo, filtrando il mondo esterno attraverso
suoni, immagini e colori, ritrovando negli elementi naturali una corrispondenza con le emozioni. La rottura rispetto ai
temi e alle scelte stilistiche del Romanticismo viene compiuta da una raccolta di poesie che nasce dalla sofferenza e
dalle tenebre: I Fiori del male di Charles Baudelaire, i cui temi tipici erano lo squallore della vita contemporanea, del
brutto e del diverso. Il poeta s’immagina come un albatro che la il cielo per camminare goffo sulla terra, trovandosi in
un “mondo” di cui non comprende il senso.

D’ANNUNZIO
Gabriele D’Annunzio nasce nel 1863 a Pescara in una famiglia borghese e agiata, che lo ricoprì di attenzioni, anche per
la sua precocità intellettuale. Compie ottimi studi liceali e ancora collegiale, pubblica la prima raccoltine poetica , Primo
vere, che suscita grande interesse. Dal 1881 si trasferisce a Roma, iscrivendosi alla facoltà di lettere. Ma la vita brillante
della capitale distoglie l’ambizioso provinciale dagli studi regolari: fecondo poeta e prosatore, frequentatore dell’alta
società, D’Annunzio non prenderà mai la laurea.

Nasce l’amore intenso e tumultuoso con la grande attrice teatrale Eleonora Duse. Dal 1898 si stabilisce con la Duse in
Toscana. In questo periodo nascono alcune tra le sue opere maggiori, in prosa (il romanzo Il fuoco) e in poesia (il ciclo
delle Laudi). Chiuso l’amore con la Duse, altre burrascose relazioni si susseguono e si intrecciano senza intervallo.
Soverchiato dai debiti e assediato dai creditori, nel 1910 ripara in Francia. Nel 1915 rientra in Italia ed è tra i più fervidi
interventisti. Dopo l’entrata in guerra dell’Italia, nonostante sia più che cinquantenne, prende servizio al fronte, mosso
dall’ambizione di svolgere in ogni circostanza il ruolo del superuomo. S’impegna poi in molte azioni di guerra
rischiose: l’incursione aerea su Pola, il volo su Vienna, ma soprattutto, occupa Fiume. Conclusa l’avventura di Fiume si
sposta in una villa di Gardone Riviera. Qui resta sino alla morte. Muore il 1° marzo 1938, stroncato da un’emorragia
cerebrale.

D’Annunzio è lo scrittore italiano più sensibile alla cultura simbolista e decadente europea. Da ciò gli derivano sia
l’attenzione al simbolo nascosto sotto il reale e alle segrete “corrispondenze“ (per usare il termine baudelariano); sia il
potere attribuito all’arte e alla parola, che egli giudica un esercizio di “veggenza” quasi magicamente divinatoria.
D’Annunzio si distingue per lo stile fastoso, aulico e musicale. Egli cerca la vistosità della parola. Il laboratorio tecnico
e linguistico dannunziano è eccezionalmente ricco: lo stile è elevato e nobile, dominato anche in prosa da volontà di
ritmo e musicalità; il lessico è aulico e arcaico, raramente si abbassa al quotidiano, ed è alimentato regolarmente dalla
perlustrazione dei vocabolari. La scrittura di D’Annunzio risulta molte volte stucchevole per l’eccesso di
magniloquenza, di enfasi e autocompiacimento, è sovraccarica di temi fastidiosi (il superuomo, la retorica patriottica
ecc.), ma altre volte raggiunge risultati di penetrante intensità, musicalissimi. Tecnicamente, non va dimenticata la
sapienza metrica e ritmica, che consentì a D’Annunzio di arrivare a soluzioni brillanti, come l’invenzione della “ strofa
lunga”. Nelle opere d’esordio sono ravvisabili i modelli di Carducci, ma il Carducci delle Odi barbare, e di Verga. In
seguito sarà attentissimo alle novità europee, soprattutto di carattere simbolista-decadente.

Nel decennio 1880-90 si diffonde in Francia la conoscenza del romanzo russo ottocentesco ed anch’egli ne subirà il
fascino. L’avvicinamento ai narratori russi significa per lui l’appropriazione di nuove tematiche intime: da un lato la
bontà e la pietà sorrette da una potente spinta religiosa e cristiana (secondo il modello di Tolstoj); dall’altro l’ossessivo
conflitto psicologico, con lo scavo tra patologie e alterazioni mentali (secondo il modello di Dostoevskij). I primi anni
novanta vedono invece la scoperta di Nietzsche e di Wagner. Sul “Mattino” (quotidiano di Napoli al quale collabora)
auspica la creazione del romanzo moderno, dalla prosa allusiva, e presenta Nietzsche come l’assertore di un nuovo
modello di uomo moderno, “ libero, più forte delle cose” e, ideologicamente, “ rivoluzionario aristocratico”.

Alla radice delle scelte artistiche ed esistenziali si ritrova, comunque, il medesimo desiderio di vivere e di possedere la
realtà in tutte le sue manifestazioni sensibili, un bisogno ossessivo di godimento sensuale, di vitalità, energia e di forza,
impulsi che si sublimano nel culto estetizzante della Bellezza. D’Annunzio può essere, quindi, definito un esteta perché
concepisce la vita come culto dell’arte e del bello, la costruisce come opera d’arte raffinata e preziosa e pone, esulando
da ogni morale, la Bellezza stessa come valore assoluto della propria vita.

Influenzato da Nietzsche di cui lesse lo Zarathustra, avversò sempre la routine del mondo borghese industriale e le
istituzioni democratiche e parlamentari a cui contrappose una concezione aristocratica, con il correlato disprezzo delle
masse. Attraverso il mito del superuomo, declinò la sua concezione totalizzante dell’arte anche nella dimensione civile
e politica, elaborando l’idea di una missione di grandezza e di potenza della nazione italiana, da realizzare attraverso
una vita eroica e il perseguimento della gloria militare; a questo mito dell’eroe si collegano il giudizio negativo
sull’Italia postunitaria e la ricerca delle proprie radici storiche nella civiltà pagana greco-romana e in quella
rinascimentale.

IL PIACERE: un romanzo estetizzante e simbolista. Nel 1889 esce Il piacere, il suo primo romanzo, di gusto simbolista
– decadente. Ambientato in una Roma elegante e frivola, propone un eroe contemporaneo, un esteta aristocratico,
letterato e uomo di mondo, Andrea Sperelli. Andrea Sperelli è un dandy intellettuale e finissimo poeta immerso nella
vita mondana di Roma. Egli è diviso tra due relazioni amorose: con la bellissima, ex amante, Elena Muti, ricomparsa in
città sposata con un Lord inglese dopo averlo abbandonato d’improvviso più di un anno prima; con la pura e spirituale
Maria Ferres, moglie di un ministro del Guatemala (un tocco di esotismo!). L’attrazione verso le due donne antitetiche
(Elena rappresenta l’eros corrotto e fatale; Maria la dedizione nobile e dolce) tormenta Andrea che in un suo perverso
gioco mentale, ingannando entrambe le donne, tenta di intrecciare i due amori, per crearne un terzo, immaginario e
perfetto. La vicenda si colloca in prevalenza in una Roma aristocratica e snob. Andrea alterna cinicamente le due
relazioni finchè al culmine di un incontro erotico con Maria (perdutamente innamorata di lui, ma costretta a lasciare
Roma perché il marito è stato scoperto mentre barava al gioco) la chiama inavvertitamente con il nome di Elena,
facendole intuire la sua finzione. L’intreccio erotico è scandaloso e drammatico, lo stile è prezioso, con abbondanza di
forme arcaiche e con continui effetti lirici.

Lo stile dannunziano è caratterizzato dall’uso di vocaboli rari e preziosi, da una ricca quantità di immagini e dalla
continua ricerca del ritmo e della musicalità che puntano a colpire i sensi più che l’intelletto del lettore.

ALCYONE: raccolta di liriche pubblicata nel 1903. Qui le parole e le immagini si fanno evanescenti, sfumando in una
musica suggestiva, mentre il linguaggio è finemente alogico ed evocativo, l’emozione del poeta comunica l’ideale del
panismo ovvero il compenetrarsi con la natura e la capacità di immedesimarsi con il tutto, la dispersione dell’io nel
ritmo vitale della natura e la dissoluzione del soggetto negli infiniti aspetti delle cose, per attingere ad una dimensione
superumana, quasi divina. Il PANISMO indica la capacità del poeta di abbandonarsi ai brividi più tenui e impalpabili
della natura, di immedesimarsi con le cose stesse, con il mare, il fiume, la pioggia, sino a perdere il proprio nome e il
proprio destino tra gli uomini.

Alcyone, terzo libro delle Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi, è il diario lirico di una stagione estiva
vissuta tra le colline di Fiesole, le Apuane e le spiagge della Versilia e, nel contempo, la storia di un impossibile sogno
di totale divinizzazione dell’uomo attraverso i sensi e il mito. Nei suoi versi D’Annunzio trasfigura e traduce
musicalmente sensazioni, impressioni e immagini, scardinando lessico, sintassi e metro tradizionali per conseguire il
massimo della suggestione e dell’estasi panico-naturalistica. Sintesi di immediatezza lirica e di elaborazione tecnica,
di “natura” e di “arte”, i componimenti di Alcyone rappresentano il momento più felice della creatività dannunziana e
segnano il punto di partenza di moltissime esperienze poetiche novecentesche.

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