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>>>>>>>La poetica dell’umorismo<<<<<<<

-> elaborata da Pirandello tra il 1904 e 1908


-> applicata nella sua produzione narrativa e teatrale fra il 1904 e il 1925

1904 -> due Premesse iniziali (= primi due capitoli) del Fu Mattia Pascal
-> crisi delle certezze (Copernico) -> relativismo
1908 -> saggio L’umorismo

1925 -> Quaderni di Serafino Gubbio operatore = ultimo romanzo


pienamente umoristico

Il relativismo conoscitivo
L’arte umoristica si contrappone all’arte tradizionale (epica e tragica),
caratterizzata dalle certezze -> nella modernità (a partire da Copernico) l’opera
d’arte fondata sul tragico e sull’eroico non è più possibile, perché le categorie
su cui essa si basava – bene vs male, vero vs falso – sono entrate in crisi -> non
esistono più parametri certi di verità -> l’umorismo non propone valori né
eroi che ne siano portatori, ma un atteggiamento critico-negativo e
personaggi problematici (<- inetti).
Ciascun individuo si crea un’immagine del mondo esterno in base al proprio
punto di vista, probabilmente non condiviso dagli altri, che hanno a loro volta il
proprio punto di vista <- ciò riguarda anche il linguaggio: le parole che uno adopera
non sempre hanno il medesimo significato per gli altri -> incomunicabilità:

Forma vs vita
L’arte umoristica evidenzia costantemente il contrasto tra forma (->
personaggio) e vita (-> persona): l’uomo ha bisogno di autoinganni, di
credere che la vita abbia un senso -> organizza l’esistenza (propria e altrui)
secondo convenzioni, “riti”, istituzioni che gli servono a rafforzare questa
illusione:
-> autoinganni (individuali e sociali) = forma dell’esistenza1
-> spinta anarchica delle pulsioni vitali = vita2
La forma blocca, cristallizza, paralizza la vita, che è una forza profonda e
oscura che fermenta sotto la forma, e che riesce a erompere solo
saltuariamente nei momenti di sosta o di malattia, di notte o negli intervalli
in cui non siamo coinvolti nel “meccanismo dell'esistenza”.

Il soggetto, costretto a vivere nella forma, non è più una persona integra (=
coerente, unitaria, solida, compatta), ma si riduce a una maschera (personaggio)
che recita la parte che la società esige da lui (impiegato, marito, padre, figlio
ecc.) e che egli stesso si impone attraverso i propri ideali morali -> nell'arte
umoristica non sono più possibili né persone né eroi, ma solo maschere (o
personaggi): tutti gli uomini sono maschere o personaggi perché tutti
recitano una parte.
Se ciascun individuo interpreta una parte indossando una maschera, i
rapporti umani non sono autentici! Tuttavia, chi tenta di vivere una vita meno
falsa viene emarginato -> solo la follia può strappare la maschera che
opprime l’uomo liberandolo dalle costrizioni che la società gli impone.

La maschera-personaggio ha 2 alternative:

-> scegliere l’adeguamento passivo alle forme -> ipocrisia, incoscienza


-> vivere consapevolmente - amaramente e autoironicamene - la
scissione tra forma e vita

Visione della vita pessimistica -> l’uomo è perennemente scisso tra le pulsioni
vitali, le esigenze della vita, e le trappole delle forme/maschere -> per ogni
maschera che ciascuno indossa ve ne sono infinite altre che la società (= gli altri) gli
attribuisce -> trappola delle convenzioni sociali (lavoro, famiglia…). Chi voglia
riappropriarsi della propria libertà e autenticità deve fare i conti col fatto che,
all’infuori dei ruoli imposti (da sé e dalla società) che recita, non può consistere, ha
bisogno di una forma.

Comico vs umoristico
La riflessione interviene continuamente a porre una distanza fra il soggetto e
i propri gesti, fra l'uomo e la vita: più che vivere, il personaggio «si guarda
vivere». La riflessione e l'estraneazione da sé e dagli altri sono il segno
distintivo dell'umorismo -> distacco riflessivo, amaro, pietoso e ironico
insieme, che lo distingue dalla comicità:

1
Ideali, leggi civili, morale comune, convenzioni, vita sociale.
2
Tendenza a vivere momento per momento al di fuori di qualunque scopo ideale e di
qualunque legge civile.
- la comicità nasce dal fatto che avverto in maniera semplice e immediata (=
senza riflessione) che una situazione o un individuo sono il “contrario” di come
dovrebbero essere -> rido
- l'umorismo nasce dalla riflessione: riflettendo sulle ragioni per cui una
persona o una situazione sono il “contrario” di come dovrebbero essere, al riso
subentra in me un sentimento amaro, di solidarietà: percepisco le radici
dolorose del comico -> provo pietà3

avvertimento
comicità = del riflessione ------------------ -> riso
contrario

avvertimento sentimento
umorismo = del riflessione -> del -> pietà
contrario contrario

=> la riflessione porta alla consapevolezza che c’è un qualcosa che va oltre,
al di là dell’apparenza: svela una realtà altrimenti inconoscibile.

I caratteri dell'arte umoristica


Teorizzati da Pirandello nell’Umorismo, sono riscontrabili nella sua
produzione narrativa e teatrale fra il 1904 e il 1925:
1. mentre l'arte tradizionale tende alla coerenza, mira a comunicare una
(presunta) verità scartando gli elementi casuali e accessori, l'arte umoristica ama la
discordanza, la disarmonia, la contraddizione, si sofferma su particolari banali,
accessori4, distrugge le gerarchie e i sistemi di valore del passato5, predilige
il difforme, il grottesco, l'incongruente, il ridicolo, il dissonante
2. nella consapevolezza che la vita «non conclude» - non ha un ordine, un
senso, un inizio o una fine -, Pirandello nelle sue opere umoristiche punta a
strutture aperte e inconcluse;
3. uso di un linguaggio medio, quotidiano6, l'unico adatto a comunicare una
concezione della vita che non rivela nulla di essenziale, ma solo le storture di
un'esistenza insensata;
4. il soggetto perde la propria “autorità” (che aveva avuto nella letteratura
precedente): l'anima non è più il luogo dell'identità, dell’autenticità, dell'integrità, ma
si caratterizza per la compresenza di spinte contrarie e contrastanti
(addirittura di diverse personalità!) -> io debole, scisso;

3
Cf. vecchia imbellettata, che fa ridere in modo comico solo se non si riflette sulle ragioni del
suo imbellettamento.
4
Cf. l’occhio strabico di Mattia Pascal, il naso storto di Vitangelo Moscarda, ecc.
5
Matrimonio, famiglia, ecc.
6
Talvolta con elementi dialettali, stranieri, o mutuati da linguaggi tecnici.
5. poiché la realtà è piena di contraddizioni e irriducibile al significato,
chi percepisce tale condizione di insignificanza è indotto a vivere in una posizione di
estraneità totale; l'unica arma a disposizione è la riflessione amara, ironica,
paradossale (-> nell'arte umoristica, del momento ragionativo, cerebrale);
6. la poetica umoristica rifiuta la concezione precedente dell’arte, sia
classica, sia romantica, sia decadente: l'arte umoristica non nasce dal rispetto di
regole stabilite precedentemente ed estranee al momento dell'elaborazione (classici),
né è espressione immediata dell'autenticità della passione o del sentimento o della
natura (romantici), né è manifestazione di un significato ultimo e misterioso delle cose
(simbolisti e decadenti).

I personaggi di Pirandello
Il personaggio tipico pirandelliano è l’opposto dell’eroe dannunziano: appartiene
generalmente al ceto borghese; cova un senso di frustrazione e di vuoto; ha
scarsa considerazione di sé; non è sicuro del suo ruolo nella società; non ha
una meta verso cui orientare la propria vita: attraversa infatti una crisi d’identità; è
prigioniero delle trappole-convenzioni sociali, che impongono maschere-ruoli
da interpretare -> spesso è tormentato da tic nervosi/difetti fisici7 = espressioni di
sofferenza interiore dovuta alla necessità di vivere in queste trappole-convenzioni
sociali:
- Mattia Pascal -> occhio strabico
- Serafino Gubbio -> mutismo
- Vitangelo Moscarda -> naso storto

I personaggi pirandelliani vivono quindi la condizione di alienati: Mattia Pascal è


vittima di un disagio interiore dovuto a una crisi di identità8; Serafino Gubbio si
ritrova in una condizione di incomunicabilità, ormai ridotto a semplice automa che
svolge il ruolo di una macchina da presa; Vitangelo Moscarda è un inetto che,
tuttavia, acquista improvvisamente consapevolezza della propria disgregazione
interiore ed è in grado di portare la propria alienazione all’estremo, al punto da
rinunciare a tutte le relazioni sociali (incluse quelle familiari) e a rinchiudersi in un
ospizio rinunciando a tutto, compresi il nome e l’identità -> diventa nessuno.

Pirandello indaga sul disagio esistenziale -> personaggi problematici, visionari


e allucinati, privi di certezze, in dissonanza con la società (inetti) e afflitti da
gravi crisi di identità -> riescono a rompere il dissidio tra vita e forma solo
con gesti in apparenza folli9; reagiscono al senso di intrappolamento e di inganno
- adeguandosi
- tentando di ricostruirsi una propria vita - fallendo
- rifiutando qualsiasi forma per ricongiungersi con la vita, con la natura
- rifugiandosi nella follia

7
Cf. Svevo, con Zeno Cosini.
8
Si guarda frequentemente allo specchio -> non “si riconosce”.
9
Cf. Il treno ha fischiato.
L’esito per tutti è lo stesso -> alienazione, incomunicabilità, solitudine:
l’individuo che si (auto)isola dalla società finisce per essere il “forestiere della vita”,
uno spettatore della vita propria e di quella degli altri, prigionieri delle
trappole e irrigiditi nelle maschere imposte nella vita sociale, la cui
inconsistenza e le cui contraddizioni guarda con atteggiamento umoristico
nella sua filosofica superiorità <- “filosofia del lontano” = distacco dalla vita in
una prospettiva estraniata che ridimensioni le vicende personali e stemperi il
dolore che esse comportano permettendo, allo stesso tempo, di osservare dal di
fuori ciò che si nasconde dietro la reale condizione esistenziale dell’uomo (cf.
vecchia imbellettata).

Il rapporto con l’espressionismo


La produzione di Pirandello può essere accostata all’Espressionismo10:
- rappresentazione deformata e grottesca della realtà
- descrizione di smorfie e volti ghignanti dei personaggi

“Vidi davanti a me, non per mia volontà, l’apatica attonita faccia di quel povero corpo
mortificato scomporsi pietosamente, arricciare il naso, arrovesciare gli occhi
all’indietro, contrarre le labbra in su e provarsi ad aggrottar le ciglia, come per
piangere”
Uno, nessuno e centomila

10
I legami più diretti tra Pirandello ed Espressionismo li troviamo, come vedremo, nel teatro.
Il pensiero di Pirandello: dall’influsso
verista alla poetica dell’umorismo al
Surrealismo
La formazione di Pirandello è influenzata dal Verismo (Capuana, Verga), influsso
evidente nei romanzi L’esclusa, Il turno e I vecchi e i giovani.
Dal Verismo Pirandello prende le mosse per poi superarne la visione del mondo:
l’indagine delle vicende dell’uomo impegnato nella lotta per la vita,
presentata secondo i canoni dell’impersonalità, si tramuta in uno scavo nella
vita psichica, per scoprirne la fragilità e l’incoerenza11.

Nel corso dei suoi studi, Pirandello viene profondamente influenzato da:

- Alfred Binet -> saggio di psicologia Le alterazioni della personalità -> “io
debole” = diviso -> personalità complessa e instabile
- Henri Bergson -> saggio Il riso. Saggio sul significato del comico -> riso come
strumento per scardinare le convenzioni sociali
imposte dalla forma
-> concezione dell’universo in continuo cambiamento
- Georg Simmel -> relativismo: non esiste una verità assoluta
-> vita come incessante fluire, trasformazione continua
che crea continuamente “forme”, che poi distrugge nel suo
perenne divenire

Negli ultimi anni Pirandello passò alla composizione di novelle surreali e testi
teatrali basati sui “miti”, in cui la dissoluzione dell’io del personaggio è risolta in un
“oltre” = dimensione “altra”, fantastica, magica e surreale -> la presenza nel teatro
dei “miti” di elementi irrazionali, magici e simbolici costituisce l’elemento decadente
della poetica pirandelliana.

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La produzione narrativa di Pirandello:


romanzi e novelle

11
Elementi che il razionalismo positivistico non era in grado di cogliere.
I romanzi
-> L’esclusa (1901)
-> Il turno (1902)
-> I vecchi e i giovani (1913)
-> Il fu Mattia Pascal (1904)
-> Suo marito (1910)
-> Quaderni di Serafino Gubbio operatore (1925)
-> Uno, nessuno e centomila (1926)

Tra Verismo e umorismo


-> i romanzi siciliani da L'esclusa a I vecchi e i
giovani

L'esclusa, Il turno e I vecchi e i giovani riflettono l'esperienza siciliana


dell'autore, nell'argomento e nell'ambientazione.
L'esclusa e Il turno sono stati scritti alla fine dell’Ottocento sotto l'influenza del
Verismo, ma corretti e rielaborati (soprattutto L’esclusa) quando già la poetica
dell'umorismo era in corso di maturazione.
I vecchi e i giovani è stato composto fra il 1906 e il 1909, quando Pirandello stava
elaborando la sua nuova poetica; tuttavia è ancora un romanzo di transizione, a
metà strada fra tradizione e umorismo.

L'ESCLUSA. Scritto nel 1893 con il titolo Marta Ajala, fu pubblicato nel 1901 (e poi,
in una nuova edizione rivista e corretta, nel 1908). La vicenda è paradossale: Marta
Ajala, cacciata dal marito, Rocco Pentagora, per un tradimento coniugale non
commesso, e per questo esclusa dalla comunità, viene ripresa e riaccolta in famiglia
da lui quando invece ha veramente consumato l'adulterio, e addirittura attende un
figlio dall'amante.
Motivi principali:
- esclusione -> condizione tipica, esistenziale e sociale, dell'intellettuale
(Marta Ajala è una maestra, che cerca un riscatto riflettendo sulla vita e
studiandola dall'esterno);
- al determinismo naturale dei veristi si sostituisce un determinismo
sociale: a provocare l'esclusione non è una condizione oggettiva (come nel
romanzo naturalista), ma l'apparenza di una condizione oggettiva: Marta
non ha tradito il marito, ma basta che tutti lo pensino perché venga emarginata
-> la verità non è più un prodotto della oggettività, ma è il risultato di
un'opinione;
- incomunicabilità fra padre e figlio12: il padre di Marta chiude la porta della
propria camera e non vuole più vederla.

12
Motivo che tornerà anche in racconti e romanzi, soprattutto in Uno, nessuno e centomila.
IL TURNO. Scritto nel 1895, fu pubblicato nel 1902. Le situazioni descritte sono
comico-grottesche: Pepè Alletto attende il proprio turno per sposare Stellina, che
prima va in moglie, per interesse, a un vecchio ricchissimo; lei spera che muoia
presto, ma ciò non accade; riesce a ottenere la separazione e sposa l’avvocato che
aveva curato le pratiche per l’annullamento del matrimonio; infine, dopo l’improvvisa
morte di quest’ultimo, sposa Pepè.
Motivi principali:
- crisi dei pilastri della concezione borghese della vita (matrimonio e
famiglia) -> critica delle convenzioni sociali, dell’ipocrisia e del
perbenismo borghesi
- ruolo del caso nelle vicende umane

I VECCHI E I GIOVANI. Scritto fra il 1906 e il 1909, fu pubblicato nel 1913.


Il romanzo è ambientato sia a Roma che in Sicilia, fra gli scandali bancari romani del
189313 e la rivolta dei Fasci siciliani del 189414. Ha per argomento il fallimento tanto
dei «vecchi», che avevano fatto il Risorgimento e costruito la "nuova Italia", quanto
dei «giovani», che stavano formando la nuova classe dirigente o che tentavano di
contrapporsi all'Italia ufficiale. I primi sono travolti dalla corruzione; i secondi
dall'«inanismo»15, dall'opportunismo cinico o dall'avventurismo politico.
Questo romanzo oscilla fra
-> romanzo storico -> esigenza di giudizio moralistico dall'alto, che presuppone il
tradizionale narratore onnisciente
-> romanzo umoristico -> scomposizione umoristica, che si immedesima nei
personaggi e ne segue i tortuosi andirivieni della coscienza, filtrando la
vicenda della rivolta dei Fasci da molteplici e discordanti punti di vista con
un'ottica ravvicinata e dal basso.

I romanzi umoristici
-> da Il fu Mattia Pascal a Quaderni di Serafino
Gubbio operatore e Uno, nessuno e centomila

IL FU MATTIA PASCAL. È il romanzo della svolta. Scritto in pochi mesi, dopo


la grave crisi familiare del 1903, che pose Pirandello in cattive condizioni
economiche e scatenò la malattia mentale della moglie, fu pubblicato prima a puntate
su una rivista, poi in un volume unico, nel 1904. Il romanzo fu poi ripubblicato altre
volte; un’edizione importante è quella del 1921, che presenta l'aggiunta di
un’Avvertenza sugli scrupoli della fantasia.

Nel Fu Mattia Pascal

Scoperta delle attività illecite del governatore della Banca romana nel decennio precedente.
13

Nello scandalo fu coinvolta tutta una serie di politici.


14
Movimento di massa di ispirazione libertaria, democratica e socialista sviluppatosi in Sicilia
dal 1891 al 1894 e diffusosi fra proletariato urbano, braccianti agricoli, minatori e operai. Fu
disperso solo dopo un duro intervento militare durante il governo Crispi.
15
Inconsistenza, vacuità.
-> già si applica la poetica dell'umorismo
-> compaiono i temi fondamentali dell'arte pirandelliana:

- il "doppio"
- il problema dell'identità
- la critica al moderno e alla civiltà delle macchine

La vicenda, i personaggi, il tempo e lo spazio, i modelli


narrativi

Il romanzo è suddivisibile in quattro parti:


1. una prima parte è costituita dai primi due capitoli = due premesse
teoriche.
Negli primi due capitoli - come negli ultimi due - il protagonista è il
«fu» Mattia Pascal <- la storia comincia infatti dalla fine: il
protagonista racconta in prima persona la propria trasformazione da
Mattia al «fu Mattia»: vive in uno stato di non-vita, in una condizione di
assenza del tempo, di immobilità, di totale estraneazione rispetto
all'esistenza, in un tempo fermo e in uno spazio morto (quello di una
biblioteca che nessuno frequenta e che egli dovrebbe curare).
I primi due capitoli formano insieme agli ultimi due una cornice narrativa:
in queste parti ci troviamo in una situazione in cui non si può sviluppare alcuna
storia -> antiromanzo
2. una seconda parte è costituita dai capitoli III-VI
Si tratta di un romanzo nel romanzo. In essi il protagonista è il giovane
Pascal. Qui il modello di romanzo è quello idillico-familiare: il luogo è
campestre, vicino al paese di Miragno, dunque lontano dalla civiltà
industriale moderna. Questa però vi penetra attraverso la figura
dell'amministratore-ladro Batta Malagna, che con la propria avidità pone in
crisi il precedente equilibrio idillico; comincia a questo punto la “parabola
discendente” del romanzo nel romanzo: per vendicarsi di lui, Pascal seduce
Romilda da cui il vecchio amministratore vorrebbe un figlio. La beffa erotica,
che il protagonista vorrebbe tendere all'amministratore, si complica per il
fatto che Mattia ingravida anche la moglie di Batta Malagna, Oliva. A questo
punto il beffatore finisce beffato: mentre Malagna riconosce come proprio il
figlio di Oliva, Pascal deve accettare come moglie Romilda, che invece
puntava a farsi sposare dal ricco amministratore. L'inferno della nuova vita
coniugale, la difficoltà economica in cui cade la nuova famiglia, le
disgrazie (muoiono la madre e le due gemelle avute da Romilda) inducono
Pascal a pensare al suicidio. Ma, improvvisamente arricchitosi alla
roulette, egli approfitta di una falsa notizia della sua morte (è stato
trovato un cadavere che gli somiglia): si fa passare per morto e decide di
cambiare identità <- capitolo VII = snodo fra la seconda e la terza
parte.
3. la terza parte o il terzo romanzo è costituita dai capitoli VIII-XVI
Si tratta di un romanzo di formazione all’inverso. Il tempo e lo spazio
cambiano ancora: siamo infatti in due grandi città (Milano e poi Roma). Di
questo terzo romanzo è protagonista la nuova incarnazione di Pascal, il
quale assume il nome di Adriano Meis. Con questa nuova identità, Pascal
cerca di costruirsi un nuovo io e di vivere in completa libertà, senza
più obblighi di sorta. Dopo un soggiorno a Milano e l'esperienza della
modernità in questa metropoli industriale, Adriano Meis si reca a Roma, nella
pensione di Anselmo Paleari, innamorandosi della figlia, Adriana, che il
cognato Papiano insidia. Ma i timori che venga scoperta la sua vera
identità e l'impossibilità di avere uno stato civile che renda possibile il
suo matrimonio con Adriana lo angosciano di continuo. Per non farsi
riconoscere, si fa operare all'occhio strabico. E tuttavia, per non essere
scoperto, deve rinunciare a denunciare un furto che, durante una seduta
spiritica, subisce a opera di Papiano: si sente, così, ridotto a un'ombra.
Accortosi di non poter sposare Adriana, per allontanarla da sé corteggia la
fidanzata di un pittore spagnolo ed è da questi sfidato a duello; privo di
identità, non trova i padrini necessari per battersi. Allora decide di fingere il
suicidio nel Tevere. La formazione di sé è fallita -> Il fu Mattia Pascal è
un romanzo di formazione alla rovescia.
4. La quarta parte è costituita dai capitoli XVII e XVIII -> ricongiungimento con
la prima parte del romanzo in una struttura ad anello: gli ultimi due capitoli
sono la narrazione della trasformazione del protagonista nel «fu»
Mattia Pascal -> ormai estraneo alla vita, a cui ha definitivamente
rinunciato, il «fu» Mattia Pascal racconta in prima persona la propria
vicenda: giudicato morto per due volte (!) dai conoscenti, fuggito da
Roma, Pascal torna a Miragno e trova Romilda sposata all'amico Pomino con
la figlia avuta da costui. Rinuncia allora a vendicarsi contro di lei e ad
avvalersi della legge (sarebbe lui il marito legittimo della donna); decide
invece di restare a Miragno, «come fuori della vita»: ormai ha rinunciato
a vivere: si limita a guardarsi vivere.

Il «fu» Mattia Pascal ha dunque rinunciato a qualunque illusione d'identità,


sia individuale che sociale: ha capito insomma che l'identità non può
esistere.

La struttura e lo stile

Rispetto ai modelli narrativi precedenti, e in particolare rispetto ai romanzi


ottocenteschi, questo romanzo presenta una notevole novità strutturale e
stilistica. Anzitutto Il fu Mattia Pascal è una narrazione retrospettiva in prima
persona, che comincia a vicenda conclusa e in cui l'inizio coincide con la fine:
-> supera la concezione del romanzo tradizionale di stampo realista e naturalista,
impersonale e oggettiva.
Narrazione e metanarrazione, racconto e riflessione sul racconto, si
mescolano, ponendo così in discussione la "naturalezza" e la "verità" della
narrazione. L'opera stessa è scritta - dice Pascal - solo «per distrazione»
dall'unica verità a cui egli è arrivato: che niente ha senso e che a questa
legge non si sottrae nemmeno la scrittura. È una mossa, questa, attraverso cui
l'autore induce il lettore a diffidare della storia che racconta così da
sollecitarne lo spirito critico e collaborativo: anche Svevo ne compie una
analoga all'inizio della Coscienza di Zeno, avvisando, attraverso la premessa
del dottor S., che quanto sta per raccontare è solo un cumulo di «verità e
bugie». Mentre il narratore ottocentesco (si pensi a Manzoni o a Verga)
intende persuadere il lettore di stare raccontando la verità, quello
primonovecentesco non crede più ad alcuna verità, neppure alla propria, e
invita il lettore alla diffidenza e alla sorveglianza critica.

Per quanto riguarda lo stile, Il fu Mattia Pascal è un romanzo-soliloquio, segnato


dal ricorso continuo alle interiezioni, alle esclamazioni, alle interrogazioni,
alle domande retoriche, a espressioni come «dico io», «pensate voi», «ecco
qua» -> monologo interiore: lo stile è quello di un "recitativo" quasi teatrale,
che anch'esso contribuisce a togliere incanto, fluidità e naturalezza alla
narrazione, estraniandola.

I temi principali e l’ideologia del Fu Mattia Pascal

I temi principali del romanzo sono i seguenti:


1. la famiglia, sentita come nido o come prigione -> è un nido la sua famiglia
originaria, sentita come idillio minacciato dall’avidità dell’amministratore; è una
prigione il rapporto coniugale con Romilda16 e quello con la suocera, la terribile vedova
Pescatore. In questo secondo caso, sembra possibile solo l'evasione;
2. la forma-trappola: alla fine della vicenda Pascal capisce che l’identità non può
essere garantita da uno «stato civile» (nel momento in cui è creduto morto, non
esiste più!), che semmai riduce l'uomo a maschera, a forma -> non gli resta
altro che porsi fuori dalla vita, in una condizione di estraneità e di distacco da
ogni meccanismo sociale.
3. il gioco d'azzardo e lo spiritismo. Pirandello rappresenta minuziosamente il
casinò di Montecarlo, nei pressi di Nizza, dove Pascal vince alla roulette divenendo
improvvisamente ricco. Il tema del gioco d'azzardo affascina Pirandello perché
è il simbolo del potere del caso nella relatività della condizione umana: esso
evidenzia i limiti della volontà e della ragione. L’interesse per lo spiritismo17
(una seduta spiritica è rappresentata nel cap. XIV) si spiega attraverso l’esigenza di
trovare risposte al vuoto della condizione esistenziale, in un sentimento di
sfiducia nelle forme tradizionali del sapere (positivismo): la crisi del razionalismo
positivista induceva infatti a occuparsi dei fenomeni non spiegabili scientificamente;
4. l'inettitudine -> come i personaggi di Svevo, anche Pascal è un inetto, un
velleitario che sogna un'evasione impossibile: dopo una breve parentesi in cui

16
Elemento autobiografico: idealizzazione della madre e prigionia del matrimonio.
17
Tema molto diffuso fra i due secoli e presente anche nella Coscienza di Zeno di Svevo.
sembra superare il suo stato di inettitudine (fuga dalla famiglia per ricostruirsi una
vita), alla fine è costretto a rinunciare ai suoi propositi.
5. il doppio, la crisi d'identità. Mattia Pascal ha un rapporto difficile non solo con la
propria anima, ma anche con il proprio corpo. Ha difficoltà a identificarsi con se
stesso. Spia di questo malessere è l'occhio strabico, che guarda sempre altrove.
La crisi d'identità dipende anche dalla sua duplicità, rappresentata dalla sua
predisposizione a sdoppiarsi e dalla sua inclinazione a porsi davanti allo
specchio.
6. la modernità, la città, il progresso, le macchine. Nel cap. IX Adriano Meis è a
Milano e, frastornato dai rumori, dai tram elettrici (introdotti da poco) e dalla vista
della folla, riflette sulle conseguenze del progresso tecnico, negando che la
felicità sia prodotta dalla scienza e che le macchine possano servire a
migliorare la condizione dell'uomo. In tale critica al progresso traspare
l'influenza di Verga e soprattutto di Leopardi. Nel capitolo successivo Meis si
sposta da Milano a Roma. La capitale viene descritta come città morta, paralizzata da
un contrasto insanabile fra il passato glorioso e il presente squallido incapace
di farlo vivere. Roma è un'acquasantiera che la modernità ha degradato
trasformandola in portacenere (così sostiene Anselmo Paleari, esponendo
ovviamente il punto di vista dell'autore). Nel romanzo appare una posizione critica
nei confronti della democrazia giolittiana, definita a un certo punto «tirannia
mascherata di libertà».

La visione del mondo di Pirandello

Maledetto sia Copernico! <- Premessa seconda (filosofica) a mo’ di scusa.


Dopo la rivoluzione copernicana, l’uomo ha perso la certezza di essere al centro
dell’universo, si rende conto della propria piccolezza -> relativismo conoscitivo –
crisi delle certezze:
- nel capitolo XII viene espressa la crisi delle certezze nella scena dello strappo
nel cielo di carta di un teatrino: l'eroe tradizionale, Oreste, esempio di
coerenza e di sicurezza, si distrae di fronte all'imprevisto, all'«oltre»
che gli si spalanca davanti, e perciò vede cadere ogni naturalezza e
spontaneità del proprio agire: cessa di vivere e comincia a guardarsi
vivere trasformandosi in una sorta di moderno Amleto e divenendo di
fatto un antieroe, un inetto incapace di azione;
- nel cap. XIII (intitolato Il lanternino) Anselmo Paleari esprime il pensiero di
Pirandello -> la «lanterninosofia»: l'idea stessa del mondo varia non solo
da individuo a individuo, ma, nella stessa persona, a seconda del
momento e dello stato d'animo. Poiché però l'uomo ha bisogno di verità
assolute, egli vuole credere che i propri valori siano certi e che la realtà
sia oggettiva: invece sia quelli che questa non sono che proiezioni
soggettive: solo per un autoinganno l'uomo può ritenere che la luce del
«lanternino» della propria coscienza18 (di qui il titolo del capitolo) sia la

18
Sentimento della vita che distingue l’uomo dagli altri esseri viventi: l’uomo ha la consapevolezza di vivere.
luce stessa delle cose: ne deriva il carattere illusorio di qualunque
certezza, anche di quelle date dalla religione e dalla scienza.
A complicare le cose, va aggiunto che gli stessi «lanternini» delle
coscienze individuali cessano di illuminare il cammino nei momenti di
trapasso e di crisi: infatti essi prendono luce dai «lanternoni» = le
grandi ideologie collettive che orientano l'umanità e che si susseguono nella
storia. Quando i «lanternoni» cessano di fare luce a causa dello
sviluppo storico, che rende improponibili i valori del passato, allora
anche i «lanternini» si spengono.

La forma-trappola

La filosofia del lontano


Mattia Pascal è uno spettatore della propria vita: rinunciando a vivere la propria
esistenza è in grado di riflettere con distacco sulla propria vicenda, in una visione
retrospettiva.

L’umorismo
Pirandello volle collegare esplicitamente il romanzo al saggio L'umorismo, che infatti
uscì nel 1908 con la dedica «Alla buon'anima di Mattia Pascal bibliotecario»; i due
capitoli iniziali di Premessa e l'intero capitolo XII, dedicato allo strappo nel cielo
di carta di un teatrino e alle sue conseguenze, sono veri e propri contributi teorici
alla poetica dell'umorismo.
Nella Premessa seconda il relativismo moderno e il conseguente umorismo
sono fatti dipendere dalla scoperta di Copernico e dalla fine
dell'antropocentrismo tolemaico: la rivelazione che l'uomo non è più al
centro del mondo ma costituisce un'entità minima e trascurabile di un
universo infinito e inconoscibile rende assurde le sue pretese di conoscenza e
di verità e "relative" tutte le sue fedi.
Nell'edizione del 1921, Pirandello aggiunge al romanzo un'Avvertenza sugli
scrupoli della fantasia, per sostenere la plausibilità della vicenda raccontata.
Discutendo pubblicamente sulla verosimiglianza della trama, Pirandello
sottolinea il carattere artificiale della costruzione romanzesca, togliendole
ogni aspetto di "naturalezza" e di "storicità". Abbiamo così una sorta di
sdoppiamento del romanzo: da un lato esso è presentato come storia
accaduta, dall'altro si discute se tale storia può essere accaduta o meno.
Ogni verità, insomma, è relativa, anche quella romanzesca.
Ovviamente nel romanzo l'umorismo non è solo teorizzato, ma anche messo in
pratica. Una tipica scena umoristica, per esempio, è quella nel cap. V, in cui, dopo la
litigata fra la vedova Pescatore e la zia Scolastica, Pascal, davanti allo specchio, vede
sul suo viso lacrime sia di dolore che di riso: l'atto della autoriflessione e dello
sdoppiamento, la mescolanza dei contrari (il riso e il pianto), il doloroso ma
autoironico compatimento nei propri confronti, il sentimento del contrario
(Pascal sa che non dovrebbe ridere né rimanere passivo e inetto, ma conosce anche
bene i motivi, del tutto seri, che lo inducono a ciò) sono tutti aspetti di un
atteggiamento umoristico nei propri confronti.
SUO MARITO. Pubblicato nel 1910, Pirandello iniziò a rielaborarlo con il titolo
Giustino Roncella nato Boggiòlo vent'anni dopo (ma la nuova redazione non fu
terminata). Il romanzo è costruito sulla contrapposizione fra la creatività artistica
di Silvia Roncella – una scrittrice — e la razionalità economica con cui il marito-
manager, Giustino Boggiòlo, considera i suoi romanzi, vedendoli esclusivamente come
prodotti destinati al mercato. L'interesse dell'opera sta nell'analisi di questo
conflitto e dunque nello studio del rapporto fra l'artista e i meccanismi
economici della modernità (<- questione poi ripresa in Quaderni di Serafino Gubbio
operatore).

QUADERNI DI SERAFINO GUBBIO OPERATORE. Uscito a puntate nel 1915 sulla


«Nuova Antologia» e in volume l'anno seguente con il titolo Si gira..., venne poi
rielaborato e pubblicato nel 1925 con il nuovo titolo. Insieme a Il fu Mattia Pascal,
è il capolavoro di Pirandello nel campo del romanzo. Presenta una struttura
quasi diaristica (<- «Quaderni»). A scrivere in prima persona è l'operatore
Serafino Gubbio, divenuto muto per lo shock di una tragica esperienza collegata al suo
lavoro di operatore cinematografico: girando la sua manovella durante la ripresa di
una vicenda di caccia, ha registrato la scena in cui Aldo Nuti, innamorato dell'attrice
Nestoroff, invece di sparare a una tigre, indirizza il colpo contro la donna finendo
straziato e ucciso dagli artigli della belva.
La vicenda è un pretesto per l’analisi di due temi fondamentali:
esistenziale -> bilancio della vita del protagonista, che si conclude con la
caduta di qualsiasi illusione, anche quella rappresentata dal timido e
inconfessato amore del protagonista per Luisetta, e con la riduzione del
protagonista a una totale impassibilità ed estraneità, resa
allegoricamente dal suo mutismo
sociale -> analisi impietosa della civiltà delle macchine: lo studio della
modernità induce a un rifiuto drastico dei miti della macchina e del
progresso, in implicita polemica con il Futurismo
Questi due temi fondamentali sono inseriti in una struttura aperta e
sperimentale (quella mobile dei «Quaderni»), ricca di anticipazioni, di ritorni
all'indietro, di racconti nel racconto: una struttura che dà congedo definitivo a un
impianto narrativo di tipo tradizionale.

Sin dall'inizio il protagonista è presentato nell'atteggiamento di chi, estraniato


dalla vita, la studia per cercarvi invano un significato. Il suo stesso lavoro di
operatore - così impersonale, così tecnico - rappresenta la dequalificazione della
professione intellettuale nell'era della massificazione e delle macchine, e
contribuisce alla condizione di estraneità di Serafino Gubbio. Non per nulla gli
unici suoi amici, come un filosofo-barbone e un violinista impazzito perché costretto
ad accompagnare con la sua musica un pianoforte meccanico, vivono nel sottosuolo,
che rappresenta appunto il mondo dell'esclusione. Anche l'ideazione e
l'organizzazione dello spazio è significativa: da un lato, sotto, la società degli
esclusi; dall'altro, sopra, l'universo fatuo e colorato della Kosmograph, l'industria
cinematografica, dominato dalle leggi delle macchine e del denaro.
Serafino Gubbio è l'intellettuale che rinuncia a svolgere un ruolo ideologico
propositivo; è il nuovo intellettuale "senza qualità": degradato alla pura
mansione tecnica, alla fine si trova ridotto a «un silenzio di cosa». Il silenzio è
l'ultimo approdo di una condizione in cui l'unica salvezza possibile sta,
paradossalmente, nella perfetta indifferenza, simile a quella che caratterizza la
modernità circostante. L'individuo non ha scampo né redenzione possibile
dall'alienazione che lo circonda: la sua condizione non è che il riflesso
dell'alienazione dominante.

UNO, NESSUNO E CENTOMILA. Iniziato nel 1909, fu pubblicato solo nel 1925-26.
Questo romanzo segna una svolta nell'arte pirandelliana: entra in crisi la
poetica dell'umorismo e comincia, dopo il 1925, l'ultima stagione dell'arte
pirandelliana (quella dei "miti" e del surrealismo).

Analogie tra Uno, nessuno e centomila e Il fu Mattia Pascal:


1. è una narrazione retrospettiva19 condotta da una prima persona che è
insieme voce narrante e protagonista della vicenda
2. il protagonista, Vitangelo Moscarda è un inetto (addirittura uno scioperato!)
3. non si riconosce nel proprio corpo (a causa di un naso non del tutto
regolare)
4. si è sposato per imposizione altrui
5. conduce una ribellione contro il padre e contro la sua figura
sostitutiva, l'amministratore

Differenze tra Uno, nessuno e centomila e Il fu Mattia Pascal:


6. mentre nel Fu Mattia Pascal il personaggio tenta la propria affermazione e
cerca la propria identità in modo passivo, casuale e quasi inconsapevole, qui
si fa protagonista attivo e cosciente della propria liberazione
7. invece di estraniarsi dalla vita e arroccarsi in un atteggiamento
critico-negativo, come fa il «fu» Mattia Pascal (e Serafino Gubbio),
Vitangelo Moscarda alla fine scopre la vita nel rifiuto della forma e
nell'adesione all'indistinto naturale
8. la contrapposizione alla civiltà delle macchine e delle città industriali è
fortissima anche in questo romanzo, come in Il fu Mattia Pascal (e in Quaderni
di Gubbio operatore), ma questa volta si fa appello a un'alternativa
positiva: quella della campagna e della natura.

Vitangelo Moscarda comincia anzitutto a ribellarsi all’opinione che gli altri


hanno di lui, all'identità che gli hanno attribuita. Per raggiungere questo
obiettivo, deve dissolvere la propria immagine pubblica di figlio scioperato di un
banchiere usuraio: lui che non si era mai occupato della banca vi penetra dentro fra lo
sgomento degli impiegati e dei soci e, nonostante l'opposizione dell'amministratore
Quantorzo (che, dopo la morte del padre, ne gestisce gli affari), s'impossessa degli
incartamenti di una casa da cui vuole sfrattare un certo Marco di Dio. Questo episodio

Quando la storia viene raccontata, i fatti sono già accaduti.


19
(Il furto) ha il valore simbolico di un'uccisione del padre. L'aggressione alla figura
paterna — topos della letteratura primonovecentesca20— viene continuata
anche successivamente attraverso la liquidazione dell'eredità: Moscarda esige infatti di
occuparsi direttamente della banca e dei beni paterni che gli spettano. In modo
sorprendente, stupendo la moglie, Quantorzo e tutti i concittadini, finisce per
regalare un appartamento a Marco di Dio. Poi propone di liquidare la banca, in modo
da togliersi di dosso l'immagine del figlio dell'usuraio, arricchito grazie alle
malefatte del padre. I soci della banca e la moglie lo giudicano pazzo e lo vogliono
interdire. Con l'aiuto di Anna Rosa, amica della moglie, Vitangelo si accorda con il
vescovo per devolvere i propri beni in opere di carità. Quando però Vitangelo cerca di
baciare Anna Rosa, questa, sconvolta dal suo modo di ragionare, gli spara con una
pistola ferendolo gravemente. Al processo, Moscarda la scagiona attribuendo al caso
l'accaduto. Moscarda si reca in tribunale con la stessa divisa dei mendicanti che vivono
nell'ospizio che egli nel frattempo ha fatto costruire con i soldi dell'eredità, devoluta
tutta in opere di bene. Dopo aver corso il rischio di diventare «uno» — di
acquisire una identità sociale o maschera convenzionale, che ne farebbe in
realtà il riflesso dei «centomila», di una massa anonima - è diventato
finalmente «nessuno»: infatti ormai ha raggiunto la «guarigione» perché
vive come un sasso, una pianta o un animale, tutto immerso nel fluire
insensato della vita, senza nome, senza identità, senza pensieri.
La conclusione del romanzo vuole essere quindi paradossalmente positiva. A una
struttura aperta e umoristica segue una conclusione "chiusa", che vuole
indicare un percorso paradossale di guarigione attraverso una fuoriuscita
dalla forma per entrare nella vita, dalla società per entrare nella natura21.
La natura diventa vita allo stato puro, e dunque simbolo di positività, si
trasforma in «mito».
Per questo, la parte finale del romanzo segna una svolta nell'arte
pirandelliana: entra in crisi la poetica dell'umorismo e comincia l'ultima
stagione della sua arte: quella dei "miti" e del surrealismo.

Le Novelle per un anno


-> dall'umorismo al Surrealismo
Pirandello scrisse novelle per tutta la vita, dal 1980 al 1936. Furono pubblicate
prima su giornali e riviste come testi autonomi, poi in raccolte22. Nel 1922 decise
però di riorganizzare tutta la sua produzione novellistica e di inserire i
racconti già pubblicati, insieme con quelli che stava elaborando e che
avrebbe composto in futuro, all'interno di un unico, nuovo progetto. Pensava

Cf. Svevo, Kafka.


20

La stessa visione della natura cambia rispetto a Il fu Mattia Pascal, dove essa veniva
21

concepita ancora leopardianamente come estranea e negativa. Viceversa, in Uno, nessuno e


centomila, l'estraneità della natura rispetto ai significati umani cessa di essere una minaccia e
diventa una promessa.
14 raccolte fino al 1922.
22
di riunire tutti i suoi racconti sotto il titolo Novelle per un anno, suddividendoli in 24
volumi contenenti 15 novelle ciascuno, per un totale di 360, all'incirca una per ogni
dell'anno. In questa prospettiva corresse e riordinò le novelle estraendole
dalle precedenti originarie raccolte e inserendole in nuove unità
organizzative. La morte impedì tuttavia a Pirandello di completare l'opera:
uscirono quindici volumi, che comprendono in totale 225 racconti.

L'opera presenta una struttura enigmatica, perché resta misterioso il criterio di


organizzazione generale delle novelle:
non sono disposte in senso cronologico
non sono raggruppate in modo tematico
L'ordine appare vuoto: le novelle costituiscono una molteplicità di frammenti la
cui legge, in assenza di un ordine interpretativo, appare quella del caos e del caso.
L'opera è perciò un'allegoria della dissipazione e della varietà della vita, del
suo carattere frantumato e insensato, in cui domina incontrastato il flusso
distruttivo del tempo -> il titolo pone in rilievo il tema del tempo,
riprendendo una antica tradizione novellistica (cf. Decameron di Boccaccio), ma
in un modo del tutto moderno: il tempo è vissuto come dissipazione e caos,
non come progresso rettilineo, ordinato -> personaggi, vicende, paesaggi
sono immersi nella caducità caotica e casuale della vita.

Le novelle pirandelliane raccontano l’assurdità, il carattere contraddittorio e


paradossale, la sostanziale mancanza di fondamenti, e dunque l'intrinseca
vuotezza, della vita: in esse sono espressi tutti gli aspetti del pensiero di
Pirandello:
1. contrasto vita/forma -> trappole sociali (famiglia, lavoro, ecc.)
2. frantumazione dell’io
3. relativismo conoscitivo

Le novelle siciliane e romane. Incentrate sulla vita dei contadini le prime,


sull’ambiente piccolo-borghese romano le seconde, raccontano storie paradossali, in
cui i protagonisti tentano di uscire dalla forma per entrare nella vita, ribellandosi
talvolta attraverso una temporanea fuga nell’irrazionale; talvolta, invece, si
rifugiano tragicamente nella follia.

Le “novelle surreali”. Si distinguono dalle altre le 19 novelle scritte per ultime, fra il
1931 e il 1936. Esse sono ormai estranee alla poetica dell'umorismo: presentano
infatti caratteri decisamente surrealistici, affini a quelli dei "miti" teatrali: presentano
momenti epifanici in cui sarebbe possibile cogliere una fusione primigenia fra uomo e
natura.

I caratteri complessivi delle Novelle per un anno:


1. tendenza al grottesco e all'isolamento espressionistico della parte
rispetto al tutto: i personaggi sono spesso deformi e grotteschi, grottesche le
situazioni in cui si muovono. Contribuisce al grottesco la tecnica della "zoomata": il
particolare, ripreso da vicino e staccato dal resto, diventa mostruoso23 ->
scisso dall’universale, il particolare produce un effetto sinistro e demoniaco.
-> il dettaglio assume un valore straniante, allucinato (tecnica tipica
dell'Espressionismo);
2. il paesaggio e la sua disarmonia rispetto all'uomo: il paesaggio è lo
scenario, distaccato e talora ironico, delle sventure umane. Fra natura e
società si è aperta una frattura incolmabile24;
3. il rapporto fra nichilismo e ricerca della verità -> nelle novelle Pirandello
porta a fondo la critica all'idea stessa di verità. L'affermazione del carattere
relativo di ogni opinione e visione del mondo sfiora in Pirandello il nichilismo.
E tuttavia di un nichilismo assoluto non si può parlare: molti racconti sembrano
nascere infatti da un bisogno di indagine e di ricerca25;
4. il linguaggio è antiletterario: volutamente basso e quotidiano, quasi
impiegatizio, coerente con il progetto di desublimare la vita;
L’interiorità dei personaggi è messa a nudo attraverso l’impiego del discorso
indiretto libero.

Buono studio,

prof.ssa Chiara Brandolin

Nel racconto La mosca, dove la presentazione da vicino delle zampine dell'insetto che
23

portano la malattia mortale del carbonchio finisce con il risultare inquietante.


In Ciaula scopre la luna il pianeta appare del tutto lontano e ignaro degli uomini.
24

Cf. Il treno ha fischiato...


25

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