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FEDRO E LE FAVOLE

I contenuti e le caratteristiche dell'opera


Fedro riprende il genere della favola animalesca già trattato in Grecia da un altro schiavo,
Esopo; questo genere sotto la veste degli animali rappresentava i costumi e i difetti degli uomini,
ed era una tipica espressione dello spirito realistico e plebeo, contrapposto alla letteratura
aristocratica. La favola animalesca dichiara apertamente il suo intento didattico e
moralistico con una massima che introduce o conchiude il racconto. Ancor prima di Esopo,
Esiodo con la favola dello sparviero e dell'usignolo aveva voluto colpire la rapacità dei potenti, e
la favola rappresentava l'arma satirica degli umili contro la prepotenza dei forti. Fedro sviluppa
ulteriormente questo significato di protesta sociale della favola, e lo adatta alle condizioni
specifiche del suo tempo, sia pure con le indispensabili cautele, come fece Trilussa sotto il
fascismo. Fedro si vanta di essere stato il primo a introdurre nella letteratura latina il genere
letterario della favola e di aver apportato modifiche sostanziali e originali al modello esopico
sia nella forma sia nel contenuto. Così Fedro definisce la sua favola in rapporto con quella di
Esopo: «Lo schiavo, esposto alle angherie, poiché quel che voleva non osava dire, i propri
sentimenti tradusse nelle favole e la calunnia eluse con finti giochi. Io poi di quel suo sentiero
feci una larga via, e più cose misi in versi di quante egli aveva insegnate, talune trascegliendone
in mia malora». Infatti, nonostante la prudente cura di non far nomi, e di limitarsi a
rappresentare in forma generale «la vita e i costumi degli uomini» (ipsam vitam et mores
hominum ostendere), le allusioni satiriche contenute nelle favole gli attirarono un processo
da parte di Seiano, il potente ministro di Tiberio.
Lo scopo dichiarato nel prologo è duplice: il poeta intende divertire ma anche monere,cioè
ammonire, consigliare, ammaestrare, proponendosi dunque di realizzare quella mescolanza di
diletto e di utilità che Orazio nell'Ars poetica, in linea con una posizione tradizionale nell'estetica
antica, indicava come l'obiettivo cui ogni poeta dovrebbe mirare.
Questo duplice intento, di «correggere gli errori degli uomini» e di «dar piacere all'orecchio»,
viene ribadito anche in un altro prologo, quello del II libro. In esso Fedro ripete anche
l'affermazione della sua dipendenza da Esòpo, ma aggiunge un'importante precisazione,
chiedendo che gli sia concesso di inserire qualcosa di suo (aliquid interponere) oltre a ciò che
trova nel modello, «in modo che la varietà (varietas) degli argomenti rechi diletto a chi
legge» (v. 10); in cambio della benevolenza che chiede al suo pubblico, egli assicura che
continuerà ad attenersi al criterio della brevitas.
La varietas e la brevitas risultano in effetti, come ora vedremo, i capisaldi della poetica
fedriana.
La varietas muove dall'intento di superare gli schemi ripetitivi e un po' angusti della favola
animalesca, e si manifesta chiaramente nel passaggio dal I libro, quasi interamente dominato
dagli animali parlanti, ai successivi, in cui compaiono spesso altri personaggi. Protagonisti di
numerosi aneddoti sono infatti Esòpo, Socrate, divinità dell'Olimpo come Giove, Giunone e
Mercurio, personaggi mitologici; troviamo inoltre alcune storielle e raccontini non fantastici ma
realistici (come quello della vedova e del soldato, esattamente corrispondente, nella trama, alla
novella della matrona di Efeso che si legge nel Satyricon di Petronio
Poco numerosi ma molto interessanti, perché non risalgono alla tradizione esopica e
rappresentano inserzioni originali del poeta latino, sono gli aneddoti storici di ambienta
zione romana, che hanno per protagonisti Pompeo Magno (Appendix Perottina, 8) e
dueimperatori contemporanei di Fedro: Augusto (Fabulae, III, 10) e Tiberio (Fabulae, II, 5).
La varietas è dunque il criterio a cui Fedro si appella per rinnovare, almeno in parte, il
genere tradizionale, attuando per questa via l'aemulatio del modello.
L'emulazione non si esercita però soltanto nell'ampliamento dei contenuti, ma anche nel
campo delle scelte formali. Fedro infatti, pur adottando uno stile semplice e piano, adeguato
agli argomenti non elevati, non rinuncia affatto alla cura e all'elaborazione stilistica, ma si
attiene (come afferma e ribadisce più volte) al criterio della brevitas (di lontana ascendenza
alessandrina).

Essa è da intendere in riferimento non solo alla mole limitata dei libri e all'estensione modesta
dei singoli componimenti, ma anche alla concisione, ossia alla capacità di condensare in
breve i contenuti narrativi e gli insegnamenti morali, così da ottenere l'attenzione e il
consenso dei lettori grazie alla stringatezza e alla tensione stilistica.
La brevitas si manifesta specialmente nei dialoghi, essenziali e pregnanti, scritti in un linguaggio
colloquiale che talvolta assume movenze efficacemente realistiche. Essa ottiene
inoltre risultati assai felici in alcuni brevissimi componimenti che si presentano come rapide e
vivaci istantanee.
Esempio di applicazione pienamente riuscita del criterio della brevitas è questa illustrazione di
un detto proverbiale (citato anche da Orazio: la montagna che partorisce il topo), attuata in
termini che ricordano l'epigramma per la concentrazione espressiva:

Una montagna partoriva, immani gemiti emettendo,


e sulla terra enorme era l'attesa.
Ma quella un topo generò. Questo ho scritto per te, che fai
grandi minacce, ma poi alla fine non concludi nulla.
(Fabulae, IV, 23)

Della potenziale carica di critica e di protesta sociale insita nel genere che ha scelto, Fedro
mostra piena consapevolezza nel prologo del libro III.
Il riferimento implicito è naturalmente allo schiavo Esòpo, inventore del genere; subito dopo il
poeta latino afferma di aver seguito l'esempio di Esòpo, allargando il sentiero che egli aveva
tracciato fino a farne una strada; e allude poi con amarezza alla calamitas che lo ha colpito, ossia
alla persecuzione di Seiano, causata dalla permalosità e dal dispotismo dei potenti; egli precisa a
sua discolpa di non aver mai avuto l'intenzione di attaccare personalmente qualcuno (notare
singulos), ma semplicemente di «mostrare la vita e i comportamenti degli uomini» (vv. 49 s.).

In effetti non troviamo mai nelle favole conservate un atteggiamento propriamente satirico,
ossia aggressivo, aspro e pungente. L'intento moralistico e pedagogico sembra piuttosto
rivolto genericamente contro i difetti e gli errori umani (in questo senso Fedro è vicino
all'atteggiamento di Orazio nelle Satire e nelle Epistole), senza peraltro che emergano la
volontà o la speranza di contribuire, denunciando i vizi e attaccando i colpevoli, a mutare
uno stato di cose insoddisfacente e ingiusto.
La "morale" che si ricava dal complesso delle favole è infatti piuttosto amara e pessimi-
stica, ma anche rassegnata, basata sulla constatazione che la legge del più forte domina
sovrana nel mondo (non è certo un caso che la raccolta si apra con la favola del lupo e
dell'agnello). Il povero e il debole, se vogliono sopravvivere evitando guai peggiori, devono
saper stare al loro posto, accettando le regole del gioco e cercando nella prudenza e nell'astuzia i
mezzi per difendersi dall'ingiustizia e dalla prepotenza.
Di questo atteggiamento disincantato, espressione di una saggezza popolare che nasce dal buon
senso e dall'esperienza, offre un esempio significativo e veramente emblematico la favoletta di
cui è protagonista l'asino, "figura" della povera gente:
Cambiando i governanti, spesso i poveri mutano solo il nome del padrone.
In Fedro uno degli accenti più sinceri e accorati viene dalla coscienza rassegnata dell'umile che
sa di non poter parlare apertamente contro i potenti; egli dice di aver fatto tesoro del verso di
Ennio appreso fin da fanciullo: Palam muttire plebeio piaculum est («Criticare apertamente per
un uomo della plebe è causa di rovina»).
La valutazione dell'arte di Fedro è inscindibile dai temi della satira politica e sociale; le sue
favole più vitali sono quelle dove si leva l'amara protesta dell'umile costretto a subire i soprusi
dei potenti, camuffati da una maschera di legalità (come la favola del lupo e dell'agnello).

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