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IL GENERE DELL’EPILLIO

Il riferimento bibliografico fondamentale e abbastanza recente è La poesia epica


latina. Dalle origini all’età dei Flavi di A. Perutelli —> arriva a Stazio.
All’interno di questa monografia figura anche un capitolo dedicato all’epillio.

La poesia epica, l’επος, è un genere letterario codificato dagli antichi? Sì —> degli
antichi ne parlano come un genere, come la Poetica di Aristotele.
Dell’Epillio invece non esiste nessuno degli antichi che ne parla o lo teorizza o le
definisce, esattamente come non c’è nessuno che teorizzi o definisca il genere del
romanzo —> i testi sono raggruppati da noi in un genere, sono definiti da noi.
L’epillio, come il romanzo, esiste ma nessuno lo definisce e descrive nelle sue
caratteristiche —> è un paradosso—> ciò però non ci induce a dire che non è
esistito.

L’epillio ha una forma poetica ben definita, nasce in un ambiente culturale ben
definito e ha dei canoni specifiche lo rendono ben riconoscibile —> gli antichi stessi
probabilmente lo concepivano come una tradizione di genere.

Il nome epillio è un diminutivo che viene da επος, con il suffisso -ιλλιον (diminutivo)
—> επος in miniatura.
L’epillio nasce nell’ambiente culturale della poesia alessandrina, perché l’ispirazione
che fa nascere un epos in miniatura è evidentemente un’ispirazione (μεγα βιβλιον
μεγα κακον di Callimaco) di una poesia alessandrina che apprezza una poesia breve,
elaborata, raffinata, erudita, riflessa.

In generale, le dimensione dell’epillio (almeno per quelli conservati) si aggira intorno


a qualche centinaio di versi, al massimo 500 o 600 —> l’impatto visivo è evidente.
Si tratta di componimenti che, per poter raccontare un episodio mitico in una
quantità di versi non eccessiva, tendono alla presentazione selettiva in un episodio
mitico —> spesso si scorcia l’episodio, lo si guarda da un punto di vista secondario
(si dà per scontato che il lettore già lo conosca).

Altra caratteristica è che nell’epillio sono di solito messi in scena elementi che nella
tradizione epica sono tendenzialmente poco presenti, come aspetti della vita
quotidiana, personaggi divini rappresentati in dimensioni umane e non eroiche,
carattere di introspezione e di pathos —> si dà spesso la parola ai personaggi, che
raccontano fatti ed emozioni in maniera anche ampia.
La dimensione breve è collegata ad una selettività —> si selezionano elementi poco
noti di un mito.
Carattere di erudizione —> si ha molto il gusto dell’insolito, nel raccontare l’aspetto
di una storia che non è mai stato raccontato e sovraccaricare la poesia di elementi
eruditi ( si sceglie sempre l’opzione più raffinata).
Poesia complicata che sa di esserlo e si compiace di esserlo, si rivolge ad un pubblico
dotto, erudito, colto, non illetterato.

Nella tradizione greca, abbiamo degli esempi:


- Ecale di Callimaco, non conservato integralmente —> l’eroina è un
personaggio assolutamente secondario che appartiene alla saga di Teseo. Il
mito racconta che t.,mentre si avviava verso la piana di Maratona per
uccidere il toro, si ferma da questa vedova vecchietta dell’Attica. Teseo uccide
il toro e al suo ritorno passa di nuovo dalla casa della donna e scopre che la
donna è morta—> in cambio di questa ospitalità fonda, nel luogo dove ecale
l’aveva ospitato, il santuario di Zeus Ecaleus.
Questo epillio ci dice:
1- Mito famoso raccontato sullo sfondo, si mette in primo piano un episodio
non conosciuto.
2- Dimensione eziologica —> l’epillio vuole spiegare la causa e l’origine del
tempio.
- Europa del siracusano Mosco, epillio di circa 200 versi conservato
integralmente. Dal punto di vista della struttura, l’epillio di Mosco è più
interessante di quello di Callimaco, raccontava di Europa, una dei tanti esseri
mortali e immortali che Zeus seduce nelle sue avventure extra-coniugali.
In particolare, l’epillio è dedicato al racconto del ratto di Europa da parte di
Zeus, trasformatosi in un toro.
L’Europa di Mosco racconta anche della storia di un’altra donna amata da
Zeus, Io, la figlia di Inaco.
Da una storia si passa all’altra tramite l’ekfrasis, ossia la descrizione di un
oggetto —> quando si racconta del ratto di Europa, si descrivano le scene
rappresentate su un cestello/coppa che Europa aveva fra le mani, che
rappresentano la seduzione di Io.
Zeus trasforma Io in una vacca, la rapisce, la porta in Egitto e la ritrasforma in
forma umana.
La struttura di questo epillio è a cornice, o a incastro, dove la storia a cornice
incastona al proprio interno la storia centrale di Io, oggetto dell’ekfrasis.
Di fatto, il passaggio dall’una all’altra storia è repentino, non ci sono suture.
Carattere di gioco letterario —> storie che si rispecchiano, per altri invece
l’una inverte l’altra —> gioco di inversione (Zeus in uno si trasforma lui in
toro, nell’altra trasforma Io in vacca) e di rispecchiamento —> le scelte sono
sempre consapevoli e volute, anche quando il poeta optasse per un registro
non alto. I poeti hanno la consapevolezza del pubblico raffinato che leggerà la
loro poesia.

NEL MONDO ROMANO

Alcuni dei poeti che si cimentano nella composizione di epilli appartengono come
Catullo e Cinna ai neoterici (o poetae novi —> termine usato anche da Cicerone, non
esprime un apprezzamento nei loro confronti, perché la poesia era fine a se stessa.
L’aggettivo novus ha connotazioni negative, ‘strano, inusuale’ —> poesia
disimpegnata, cantori dell’otium).
La tradizione latina comprende quindi:
- Carmen 64 di Catullo —> consta di 408 esametri. Racconto cornice: 193;
ekfrasis: 215 —> la storia di Arianna sovrasta la cornice (all’interno
dell’ekfrasis una settantina di versi è il lamento di Arianna abbandonata) —>in
Catullo si ha una netta preponderanza dell’episodio centrale sull’episodio
cornice.
Primi due esametri del carmen: introducono l’episodio della cornice —>
incontro fra Peleo e Teti durante il viaggio di ritorno degli argonauti dalla
Colchide, e poi le loro nozze e la coperta nuziale su cui è intessuta la storia di
Arianna.
 ‘Si racconta che un tempo i pini nati sulla cima del Pelio avessero navigato
attraverso le limpide onde di Nettuno’
Termini quondam e dicuntur —> segnalano una vicinanza ed una
consonanza di questo carmen con quelli alessandrini —> il dicuntur mostra
una consonanza fra il carmen 64 ed i dettami della poetica alessandrina.
Dicuntur ci chiarisce e semplifica in modo chiaro cosa si intenda per poesia
riflessa —> Catullo dice di raccontare una storia a sua volta raccontata da
altri —> ci fa capire che non sta inventando, ma si sta rifacendo ad una
tradizione preesistente —> non sappiamo a che modello si rifaccia, ma fa
parte della tradizione erudita il collocarsi all’interno di un mito già
raccontato.
Quondam è una marca molto forte che segna la distanza temporale fra il
presente di Catullo e gli avvenimenti che vengono raccontati nell’Epillio —
> quondam marca che la storia che viene raccontata non è borghese o
quotidiana, ma una che si è svolta in una dimensione ideale e in un
passato felice, nostalgicamente evocato —> dimensione sentita dal poeta
come tragicamente lontana dal suo presente, visto con pessimismo.
Il carattere pessimistico di Catullo si legge anche dagli ultimi versi, in cui
dice che gli dei disdegnano gli uomini.
Quondam ci introduce ad una vicenda di un passato distante, evocato con
nostalgia, con il quale il poeta ha un rapporto intenso ed affettivo —> la
partecipazione rende molto diverso il carmen 64 e gli epilli latini dalla
tradizione greca, che vede i propri epilli come giochi eruditi.
L’epillio latino, ed in questo l’influsso di Catullo è determinante, ha come
marca fondamentale una dimensione ideale collocata nel passato e la
partecipazione emotiva di chi racconta alle vicende che racconta.

STRUTTURA DEL CARMEN 64 —> si parte da un inizio in medias res, veniamo


catapultati nella storia.
Nella cornice è contenuta la morale della storia —> nell’ultima parte della cornice,
da 384 in poi, si spiega che l’età dell’oro è terminata, gli uomini hanno perso la
dimensione della felicità per causa loro, i quali hanno mescolato con furore tutte le
cose lecite e non lecite, quelle dicibili e non dicibili.
Il finale pessimistico, tutto proiettato sul presente, presenta una lettura dei tempi
che per certi versi ricorda Sallustio —> Sallustio dice che il divenire della storia
romana è un divenire degressivo, le cause sono di natura morale —> il moralismo è
una caratteristica della storiografia antica.
Sallustio dice che l’inizio è la caduta di cartagine alla fine della terza guerra punica —
> quando roma non ha più avuto un nemico contro cui resistere è iniziata la
decadenza morale.
La lettura si avvicina molto ad una lettura pessimistica e le cause della crisi sono
individuate con categorie di tipo morale —> Lettura anche di Catullo.
La sezione della ekfrasis è molto complicata, perché in realtà è una sezione tutt’altro
che statica, in cui Catullo da un lato insiste tantissimo sui verbi che indicano l’azione
del vedere (componente visuale presentissima); ma dall’altra è una sezione
tutt’altro che statica: il poeta apostrofa perfide Teseo che abbandona Arianna, si
racconta l’antefatto di tutta la vicenda (antefatto dell’abbandono sulla spiaggia di
Nasso e prima l’uccisione del toro) e diversi elementi sono prolettici —> si
proiettano sul futuro, Teseo che arriverà, che dimenticherà di cambiare il colore
delle vele della nave, apparire del corteo di Bacco e le nozze con Arianna.
Continuo incrociarsi di piani temporali e grandissima varietà dal punto di vista dei
toni di questa poesia, che ondeggia fra la dimensione elegiaca e tragica.
L’ekfrasis è una realtà complessa in cui Catullo in qualche modo si compiace di
collocare su una coperta piani temporali diversi, storie diversi, momenti diverse,
voci diversi, personaggi diversi e stili diversi —> è come se forzasse i confini
dell’ekfrasis, ‘descrizione’ —> la descrizione per eccellenza è qualcosa di statico, in
una fotografia non ci può essere movimento, mentre l’ekfrasis catulliana viola
continuamente i confini di essa.
Rispecchiamento fra le due vicende raccontate: fra Peleo e Teti l’amore è fra una
divinità marina ed un uomo, mentre fra Bacco e Arianna fra una donna e un dio.
C’è un rispecchiamento anche fra la vicenda dell’infelicità dell’amore di Arianna per
Teseo e la vicenda catulliana —> le parole catulliane sono collocate qui sulla bocca
di Arianna. I versi da 132 a 201, il lamento di Arianna, sono parole tipicamente
catulliane —> la partecipazione nella vicenda di questo personaggio ha preso la
mano al poeta.

Ha pubblicato un’edizione del carmne 64 —> vedi sui materiali di Ariel.

In realtà il genere dell’epillio verrà coltivato anche da Virgilio nelle Georgiche.


La traduzione epica latina si distanzia da molti dei precedenti greci per la
partecipazione emotiva del poeta alle vicende dei personaggi di cui racconta —>
succede nell’Eneide.
L’eneide è il poema dei vinti —> spazio a coloro i quali al grande piano
provvidenziale risultano essere gli sconfitti —> figura di Didone, che è guardata con
simpatia dal poeta. —> osservazione di Ventelli nel Saggio sulla poesia epica dalle
origini all’età dei flavi —> questa vena patetica probabilmente penetra nella
tradizione latina grazie all’epillio, secondo l’autore del saggio.

Anche altri neoterici avevano scritto epilli:


- Citato da Catullo nel carmen 95, la Smyrna di Cinna: ci fa capire come
l’aspetto di partecipazione emotiva del poeta alle vicende dei personaggi
permeava anche la sua opera.
Sentiamo il poeta che si rivolge direttamente al suo personaggio, dicendo che
era visto piangere sia dall’Aurora sia dal Vespero —> pianse dall’aurora al
tramonto —> frammento 6 Blansdorf.

Molti dei testi antichi sono perduti, ma possediamo attestazioni frammentarie


= o perché si è deteriorato il supporto letterario (papiro), o perché ricaviamo
citazioni dagli autori della tradizione grammaticale o commentatori di poesia
—> la fonte del frammento appena citato è Servio, un grammatico
commentatore di Virgilio —> commentando una parte del primo libro delle
Georgiche parla del Lucifer, astro del mattino di cui parla anche Cinna nella
Smirna.
 Vedi cfr. Serv. Georg. I,288
I testi dei grammatici latini rappresentano miniere di citazioni che hanno
salvato dall’oblio moltissime opere.

Nella letteratura latina, gran parte della tradizione letteraria arcaica e neoterica è
perita perché la selezione avviene nelle scuole antiche, quando dal punto di vista
sia linguistico ( —> standardizzazione della lingua) sia si insinua nella prassi
scolastica la convenzione che alcuni modelli siano classici, insuperabili —> quando
l’interesse della scuola diventa indirizzato più su alcuni testi si ha la prima selezione
per cui tutta la letteratura latina arcaica viene in gran parte persa.
Una seconda cesura della trasmissione dei testi è tra la fine del quarto e l’inizio del
quinto, quando il supporto materiale passa dal rotolo (volumen) al codex (libro) —
> qualcosa lì si perde, ciò che non viene copiato.
C’è anche chi sostiene che il passaggio dall’una all’altra forma sia stato favorito dalla
cultura cristiana (collegato alla trasmissione tramite libro), ma non sono da
incolpare i monaci.

Miniera di citazioni per la letteratura arcaica è un autore erudito che vive in


un’epoca che si ha un gusto per l’arcaismo, Gellio —> le sue Noctes Atticae sono
miniera preziosissima per la letteratura arcaica, pur non appartenendo alla
tradizione grammaticale.
Nel secondo d.C., uno dei protagonisti di questa corrente culturale è anche Apuleio,
si afferma un gusto che esalta l’arcaismo (Frontone, Gellio e Apuleio) —> corrente
culturale che si differenzia dalle tendenze classicistiche, ma andando nella direzione
di un recupero dotto dell’arcaico, come qualcosa di non canonico, che si differenzia
da ciò che è classico —> gusto anti-ciceroniano.
Sono mossi da un tentativo erudito che va messo in nesso anche con il fenomeno
greco-latino della seconda sofistica —> Florida di Apuleio (pezzi di virtuosismo).
La seconda sofistica rimanda all’atticismo in Grecia.

Altro fondamentale esempio di Epillio latino è la storia di Orfeo ed Euridice


incastonata all’interno della vicenda di Aristeo, incastonata all’interno del quarto
libro delle Georgiche di Virgilio. (Lo leggo)
L’epillio di Orfeo è incastonato all’interno della trattazione più ampia del quarto v
libro, sull’allevamento delle api.
> Virgilio, Georg. IV, 315-558
Servio dice che inserisce questo epillio in seconda battuta —> notizia discussa, si
dice che l’excursus del quarto libro alla fine contenesse l’elogio del Cornelio Gallo,
che cadde in disgrazia sotto Augusto, muore suicida —> Virgilio toglie il suo elogio e
ci mette l’Orfei fabula.
L’epillio —> introduzione di due versi, 315-316, in cui il poeta si domanda quale sia
l’origine della tradizione della bugonia, la pratica di far nascere le api dalle carnasse
di un bue morto.
 Narrazione che fa da cornice per un totale di 260 versi, contiene il lamento
del pastore Aristeo, al quale sono morte tutte le api senza sapere il perché.
La sua visita alla madre Cirene (ninfa dei fiumi) viene descritta, nella quale
Aristeo domanda alla madre la ragione della sventura, che lo rimanda
all’indovino Proteo, un vates (profeta) che, per evitare di dare i propri
vaticini, assumeva una serie di metamorfosi.
Aristeo si reca da Proteo, riesce a costringerlo a parlare. Proteo apre bocca
per rispondere e parla nei versi che vanno dal 453 al 529 —> è successo
perché Aristeo, mentre inseguiva Euridice ne ha involontariamente
causato la morte (è incappata in una serpe che l’ha morsa).
Si racconta quindi della vicenda di Orfeo ed Euridice e la discesa negli
inferi.
Il racconto si conclude con il racconto della disperazione di Orfeo e della
sua morte, causata dalle Baccanti traciche di cui aveva disdegnato l’amore.
Vicenda assolutamente raccontata in modo selettivo —> molto
partecipata pateticamente, ma raccontata con una brevità e sintesi
lontane dal racconto di Ovidio nelle Metamorfosi.
Cirene a quel punto torna in scena e spiega ad Aristeo qual è il modo
attraverso il quale potrà riavere indietro le sue api —> la bugonia.

Il carattere patetico passa dell’epillio all’epos —> il ponte è la figura di Virgilio.

 CARMEN 64 di Catullo
Nella tradizione umanistica è intitolato Epithalanium Thetidis et Pelei —> titolo non
originale, attribuito all’interno della tradizione umanistica e che prende ispirazione
dal fatto che il racconto cornice è quello delle Nozze fra Peleo e Teti.
Le nozze di cui si parla all’interno del Carmen sono due —> Peleo e Teti, Bacco e
Arianna.
Inizia in medias res —> il poeta ci lancia all’interno della vicenda che sta avvenendo
e continua a passare da un piano temporale all’altro (sia nella cornice sia nei
racconti) in un modo repentino e senza creare suture fra i diversi passaggi temporali
del racconto.
L’approccio è selettivo —> viene narrato l’incontro fra i due e poi le nozze, in mezzo
niente —> si passa da un episodio all’altro con una netta soluzione di continuità —>
altro aspetto della compiaciuta erudizione, il lettore è raffinato, ha strumenti per
interpretare anche quello che il poeta non esplicita.

Questione dei modelli


In tutto il racconto ci sono verba dicendi ripetuti —> la tradizione è raccontata da
altri prima di lui —> Catullo forse stava imitando un qualche modello preesistente
greco-alessandrino (presumibilmente).
Catullo aveva un modello? Tre risposte fondamentali:
1. Aveva alle spalle, stava traducendo come traduzione artistica un unico
poemetto nel quale i due miti erano già accostati;
2. Modello in due carmi alessandrini per le due vicende (uno su Teti e uno su
Arianna);
3. (Ipotesi più plausibile) Catullo ha attinto a vari modelli, pertinenti anche a
generi letterari diversi —> l’opera è fortemente originale, dipendente
sicuramente dalla tradizione, ma tradizione molteplice e l’impronta è
personale.
 La lettura del carme in effetti rende evidente un’impronta fortemente
unitaria, che non ha a che fare con un’unità della storia raccontata (né di
tempo e spazio né di vicenda). È un carmen complesso nella struttura,
Catullo non è interessato a chiarirci i passaggi.
L’unità è data dall’impronta personale del poeta —> moltissimi tratti
(come il lamento di Arianna) nei quali l’io lirico Catulliano ha una voce e si
conferisce al carme un’unità di impronta personale e lirica.
La questione non è risolta, lo sarà solo nel momento in cui si trovassero i carmi che
hanno funto da modello.
 La forte impronta di originalità del carme non è in contraddizione con
l’esistenza di modelli.
Quando parliamo di un prodotto letterario originale, se intendiamo la
letteratura antica, non sentiva l’esigenza di originalità in senso romantico
(produzione come espressione dell’io, stacco rispetto al passato) —> la
letteratura si legittima nella misura in cui addita un proprio padre e si
collega alla tradizione precedente.
L’impronta originale quindi non va sovrapposta in modo meccanico all’io
del poeta catullo, non c’è troppo biografismo.

Lettura del carmen.

L’incontro fra Peleo e Teti avviene nel momento in cui, terminata la missione degli
Argonauti (Giasone in Colchide per il vello di Eeta), Giasone stava tornando in Grecia
con la nave Argo —> il legame con la saga degli argonauti porta alla memoria del
lettore colto tutta la vicenda, nella quale emerge l’eroina femminile Medea,
personaggio che a tratti emerge nella figura dell’Arianna abbandonata.

PRIMI 10 VERSI: ELEMENTI DELLA LINGUA POETICA TIPICAMENTE CATULLIANA


Nel testo sono evidenti delle strutture allitteranti, dei giochi di suono —> gli aspetti
fonici sono un aspetto tipico della lingua poetica latina.
Nelle manifestazioni della lingua letteraria, a metà fra la prosa e la poesia nei
carmina, sono manifestazioni nelle quali l’elemento fonico ha un’importanza
enorme —> l’importanza passa alla tradizione poetica arcaica e resta come tipica
della tradizione poetica latina, solo che i poeti dopo Ennio usano questo elemento
con maggiore parsimonia e misura —> in Lucrezio (arcaizzante) sono presenti, in
Catullo e Virgilio sono meno esageratamente presenti.

Altra caratteristica della lingua poetica sono tutte le figure che si possono intendere
come figure di Traiectio, passaggio/trasferimento —> fenomeno dell’anastrofe
(inversione di due elementi) e i fenomeni di iperbato —> iunctura fra Peliaco e
vertice o Prognatae e Pinus
Tipico della lingua poetica è il fatto di utilizzare una posizione delle parole
particolarmente artificiosa e messe a servizio dell’evidenza —> inizio verso, fine
verso e cesura sono posizioni significative.

Altro elemento interessante della lingua poetica è che le unità di verso tendono,
nell’esametro catulliano, a travalicare il verso (Virgilio è più misurato) —>
enjambement/inarcatura —> dicuntur al verso due.

Tutti gli elementi appena enunciati sono presenti nella lingua latina, Catullo ha
elementi in più:
- Prognatae —> (g)natae = natae; natus/gnatus è indicato con il significato di
‘figlio di’ nella letteratura latina. Gnatus è un arcaismo —> recuperare un
elemento arcaizzante punta nella direzione di uno stile elevato. In questa
direzione vanno tutti gli arcaismi del carmen 64.
- Uso di Neptunus al posto di mare è una metonimia
- Nasse è una forma sincopata dell’infinito perfetto.
- Il terzo verso è un esametro spondaico, ossia un esametro che contiene in
quinta sede uno spondeo, un piede da due lunghe —> la clausola è pesante,
l’aggettivo finale è tetrasillabico —> la clausola tetrasillabica è piuttosto rara
nella letteratura latina, presente invece nel carmen 64.
Negli esametri dattilici il finale è veloce.
- Al terzo verso preferisce la perifrasi alla designazione diretta per indicare la
Colchide —> elemento tipico della poesia alessandrina.
L’utilizzo della perifrasi di tipo geografico è un elemento di erudizione,
presuppone un pubblico colto. Nell’Iliade si utilizzavano gli epiteti, ma erano
più semplici da comprendere.
- Argivus normalmente vuol dire ‘di Argo’, la nave è costruita nella Tessaglia —>
Argivus può voler dire greco per sineddoche, ma il termine richiama il nome
della nave, la nave Argos, la nave ‘veloce’, la prima nave a solcare i navi.
- Gli esametri 5 e 6 sono velocissimi, prevare il ritmo dattilico, ci danno l’idea
della navigazione veloce della nave veloce.
Cita puppi = nave veloce, altro elemento erudito con cui si riferisce al nome
della nave
Vada = indica originariamente il ‘guado’, qui si riferisce al mare.
Undas Neptuni, vada salsa, caerula aequora —> tre espressioni per designare
il mare. A volte il mare è indicato come Sal —> caratteristica tipica della lingua
poetica latina e catulliana —> gusto per la variatio sinonimica. La variatio può
essere dovuta anche a necessità metriche, ma il vincolo del metro è un
elemento poco determinante per autori come Catullo e Virgilio che si servono
di diversi registri linguistici; il vincolo metrico è determinante per i poetastri.
Anche la nave viene rappresentata con diverse forme: puppi (sineddoche),
currus —> la nave argo non viene designata sempre in modo diverso.

VERSI 8-11
Atena aveva come epiteto tradizionale poliouchos, ‘colei che protegge la città’.
Volito, are —> verbo frequentativo, sono verbi più consistenti ed espressivi rispetto
al verbo base. Forme verbali predilette dalla lingua comune e inserite nella lingua
poetica perché più espressive e corpose rispetto al verbo semplice.
Levi con la E breve è l’antenato del nostro ‘lieve’; Levis con la E lunga vuol dire
‘levigato, liscio’.
Flamine —> verbo flo,flare + suffisso strumentale -men.
Il verso 11 ha dato agli interpreti del filo da torcere, la tradizione manoscritta è assai
confusa —> il senso è che la nave argo fu la prima a solcare i mari
 Imbuo, ere = lett. ‘impregnare’, ‘insegnare a qualcuno qualcosa’ [litteris
imbutus/doctus]
 Illa prima lascia una certa ambiguità, potrebbe riferirsi sia alla nave sia ad
Atena —> ambiguità risolta da coloro che preferiscono la variante prora a
prima —> illa prora è sicuramente la nave, non la dea.
 I commentatori moderni dicono anche che può essere il mare ad
impregnare il legno della nave
 Amphitriten è erudito, la ninfa non è molto conosciuta.
 Rudis = ‘rozzo’ —> [e-rudire (‘tirare fuori dal grezzo’); rudimentum]

VERSI 12-18
Descrive le ninfe del mare che emergono per ammirare il prodigio della prima nave,
gli uomini le vedono —> Peleo si innamora di Teti.
Scindo,ere —> ‘tagliare’
Incanuit —> [in-canus (‘bianco splendente’); in-cane-sco = ‘diventare bianco’]
[caneo,ere —> ‘essere bianco’]
Emersere —> terza persona del perfetto per emerserunt
Vultus —> potrebbe essere considerato come un accusativo di relazione, ‘in quanto
ai volti’
Mortales —> sta per ‘uomini’, modo di designare gli esseri umani tipico della
tradizione poetica, tipico della prosa quando questa imita la tradizione poetica e
vuole elevare il proprio registro lessicale.

Nella poesia di solito si aggiungono degli epiteti ai sostantivi, molta della


aggettivazione in forma di epiteto è ridondante e non sempre precisa dal punto di
vista referenziale, è più un aspetto dell’eleganza della lingua poetica —> vv. 7,
abiegnis palmis.

I versi che seguono ci raccontano l’innamoramento fulmineo di Peleo per Teti.


Vv. 19- 21
Versi che hanno un enorme rilievo —> triplice anafora a inizio verso ‘tum’;
all’avverbio tum segue il nome di Teti in poliptoto.
Fertur vv. 19 —> prima ipotesi di significato è che si tratti di un verbo della
narrazione; altra possibilità è che debba essere inteso in senso non metaforico, ma
come un verbo di cui il momento ultimo è amore —> ‘Peleo in quel momento viene
travolto dall’amore essendone stato incendiato’ —> le due possibilità forse non si
elidono, si sovrappongono: dalla tradizione alessandrina ci aspettiamo ‘fertur’ per la
ripresa della tradizione, ma non c’è nulla di più alessandrino dei due significati che
coesistono.
Hymenaeos vv. 20 —> espressione metonimica, la via indiretta è prediletta nella
poesia alessandrina.
Despexit vv. 20 —> da despicio = composto del verbo semplice specio, verbo che in
realtà come verbo semplice non è attestato, lo è nei suoi composti e nelle forme
prefissate. Despicere vuol dire ‘disprezzare’ perché vuol dire ‘guardare dall’alto
verso il basso’.
Vv. 21 —> pater indica forse il padre di Teti, e quindi la divinità marina Nereo;
un’altra ipotesi è che questo pater sia Giove, il quale s’era invaghito anche di Teti,
ma l’aveva lasciata perdere perché su di essa gravava una profezia per cui il figlio
nato da Teti (Achille) sarebbe stato più grande del padre.

Versi 22- 30
Vediamo come appare un tema dominante nell’ultimissima parte del carme, il tema
del rimpianto e della nostalgia per questa epoca felice, in cui gli dei e gli uomini
camminavano l’uno affianco all’altro.
La vicenda è ambientata in un passato ideale e rimpianto miseramente.
Gli dei vengono apostrofati come buona progenie di nobili madri.
Vv. 22 —> saecula sono le generazioni —> si parla di un tempo di generazioni
fortunate e desiderabili —> enallage, l’aggettivo dovrebbe riferirsi alle generazioni,
mentre qui si riferisce a tempore. Lo scambio in poesia è molto frequente
Il verso 23b è un verso che non c’era nella tradizione manoscritta, ma era un
emistichio citato negli Scolii Veronensi a Virgilio, è stato inserito nel testo e poi
completato.
Vv. 25 —> il carmen è ciò che si canta, non necessariamente la poesia ma anche il
canto; ha altro il significato di ‘incantesimo’, termine molto più ricco e pregnante
rispetto all’italiano.
Vv. 26 —> felix in latino ha una connotazione quasi sacrale, felice perché gode del
favore degli dei
Vv. 26 —> aucte è il participio perfetto del verbo augeo, ‘far crescere, aumentare’
(pensa ad Augusto), far crescere secondo prerogative divine
Spessissimo i termini greci sono a volte naturalizzati e quindi flessi alla latina, come
succede per Teti; altre volte invece (Nereine vv. 29) i termini sono flessi alla greca —
> registro elevato e nobile.
Vv. 29 —> tene = te + ne, ‘non è forse vero che..’
Vv. 30 —> Tethys e Oceano sono i genitori di Doride, la madre di Teti. Doride sposa
Nereo. —> il fraintendimento con thedys potrebbe essere voluto.
La proposizione relativa al vv. 30 è un po’ come se avesse la funzione di un epiteto
—> la poesia alessandrina si compiace molto di aggiungere alla persona o al luogo
un epiteto che li designi —> in questo caso la relativa potrebbe fare le veci di un
epiteto alessandrino. Questa relativa potrebbe essere il surrogato di un epiteto
greco. —> nella poesia alessandrina, all’Oceano è riferito l’epiteto ‘perirrytos’, ossia
‘che scorre tutt’intorno’ —> al verso 31 la perifrasi potrebbe corrispondere a questo
epiteto alessandrino.

La questione del verso controverso 23 A e 23 B —> l’assetto attuale di questi versi è


dovuto all’intervento degli studiosi moderni, i quali hanno rilevato che questi versi
erano parzialmente citati da uno scolio degli Scolia Veronensia a Virgilio, in cui si
citava ‘progenies, salvete iter’ (prima parte del verso 23 B.
Questa sequenza ha un carattere innico (Inni rivolti alle divinità), caratterizzato dalla
ripetizione di salvete —> l’apostrofe è indubitabilmente rivolta agli heroes, ossia gli
essere fortunati che ebbero la fortuna di vivere in un momento in cui la stirpe
umana ancora si mescolava con la stirpe divina (essa non si vergognava ad essere
contigua alla stirpe umana).
La situazione del testo com’è attestata dai manoscritti di Catullo non comprende il
verso 23 B—> di questo fatto è sintomo la numerazione dei versi.
La fonte per l’addizione del verso 23 B per la sua prima parte è uno scolio a Virgilio.
Verso 80 del quinto libro di Virgilio:
Parole che Enea rivolge al padre nel V dell’Eneide, inaugurando le libagioni in
memoria della morte del padre anchise per iniziare poi i giochi.
Salve, sancte parens, iterum salvete è rivolto ai Dei Mani, quindi ha un carattere
innico.
Si tratta di una sequenza innica rivolta ai Manes di Anchise, quindi all’anima del
defunto —> sequenza inserita in un contesto di tipo religioso.
Quel salve iterum salvete è un elemento tipico della poesia religiosa e si trova anche
in Greco —> nei versi 91-94 del primo inno di Callimaco, l’inno a Zeus, troviamo
‘kaire, … kaire … kaire’

Testo dello scoliaste:


Nella tradizione scolastica abbiamo visto che Virgilio s’impone fin dalla sua stessa
epoca come un libro di testo, come un modello indiscusso —> ragione per cui tutta
la tradizione precedente della poesia epica arcaica viene cancellata.
A scuola, gli autori venivano letti, studiati e commentanti anche perché Virgilio e
Cicerone erano gli strumenti su cui si imparava la lingua, non la si affinava. Si
imparava il latino a tanti livelli diversi:
- Livello infimo
- Grammaticus, correttezza della lingua e aspetti più raffinati;
- Retorico, anche nella produzione attiva nei testi Virgilio e Cicerone erano
modelli.
All’interno della scuola antica il maestro parlava utilizzando il testo virgiliano e lo
glossava/commentava e nelle lezioni, verosimilmente, tutto questo materiale di
osservazioni al testo viene conservato all’interno della tradizione degli
esegeti/commentatori a Virgilio, che partono dall’epoca di Valerio Probo.
Produzione scolastica che viene fissata nella tradizione antica e che ci fu.
Tradizione di riflessione sul testo, ma si sottolineavano anche le riprese da autori
precedenti —> ricaviamo dalla tradizione gramamticale dell’esegesi a Virgilio
ricaviamo dove Virgilio imita Ennio ed in questo caso un esegeta sottolinea una
ripresa dal carmen 64.
Lo scoliasta veronese —> si parla di Scholia Veronensia a Virgilio perché è una
raccolta abbastanza breve e sintetica (non sono molti materiali); sono breve
annotazioni frammentari che si conservano su uno scritto veronese della biblioteca
capitolare, il manoscritto 40 —> manoscritto palinsesto (scritto su cui si è scritto una
seconda volta, la scriptio inferior viene cancellata e si scrive una scriptio superior —>
classico caso è che nell’Alto Medioevo vengano utilizzati testi antichi per scriverci
sopra testi biblici)
Nel caso del manoscritto 40, la scriptio inferior doveva risalire al quinto secolo,
mentre la scriptio superior risale al VII/VIII sec., si tratta Di uno scritto di Gregorio
Magno, il Papa (Moralia).
Il primo editore di questa scriptio su il cardinale Angelo Mai, che a Milano studiò
molto i palinsesti dell’Ambrosiana.
Angelo Mai fece la prima edizione a questi scoli —> scoprì il palinsesto, ma agì con
un agente chimico (la galla) che danneggiò inevitabilmente i manoscritti.
Questi scolia veronensia non si sa chi li abbia compilati —> sappiamo che all’interno
vi si raccolgono alcune osservazioni della tradizione grammaticale precedente
(partita con Valerio Probo fino al IV sec. Con Elio Donato). Gli Scolia Veronensia di
per sé sono anonimi, raccolta anonima messa insieme forse da mani diverse e che
cita diversi fra gli esegeti scolastici virgiliani, ma non cita Donato —> il fatto che non
lo citi può voler dire che il manoscritto è del V secolo, ma che i materiali raccolti
nello scolia veronensia sono anteriori a Donato, ossia alla seconda metà del IV sec.
(Donato fu attivo nella seconda metà del IV sec.)

Lo scoliasta veronese al v. 80 del quinto libro di Virgilio ci dice:

[um] è integrato anche dagli editori dello scoliasta —> gli asterischi indicano una
lacuna, si citava anche la seconda parte del verso, irrimediabilmente perduto.

In Catullo, la parte ‘genus o bona matrum’ è Catullo, mentre ‘progenies salvere iter’
è dello scoliasta.
La um di ‘iterum’ è chiara nella sua origine —> pensiamo al contesto virgiliano e
all’inno a Zeus di Callimaco, si capisce benissimo che ‘iterum’ è una congettura più
che plausibile. ‘Salvete bonarum’ è una delle possibili integrazioni degli studiosi
moderni, questa integrazione è basata sulla fonte antica degli scolia veronensia
Se il verso 23 B finisce come il verso 23 A è facile che il copista passi dal verso 23 A al
24 —> l’origine paleografica della corruptela è dovuta all’omoteleuto, ossia al finire
ugualmente dei versi 23 A e 23 B.

Vv. 32
Inizia la descrizione del giorno delle nozze in Tessaglia, per cui tutti abbandoneranno
i lavori per parteciparvi, e si interrompe la sequenza innica.
Si passa ad una serie di versi che descrivono come la Tessaglia viene abbandonata da
tutti, perché tutti si recano a partecipare alle nozze che si svolgono a Farsalo.
Vv. 32 —> si ha anche quis che sta per quibus, nesso riferito a Peleo e Teti senza che
questi vengano citati nella preposizione precedente.
Il quae è un aggettivo relativo concordato con luces e optates.
Quis è una congettura, non c’entra con la tradizione manoscritta.
Vv. 33 —> frequentare = affollarsi; advenere = forma della terza persona plurale in
poesia, sta per advenerunt.
Vv. 34 —> coetu viene da coeo,ire
I versi 36-38 sono un concentrato di geografia erudita:
I manoscritti al vv. 36 riportano Scyros, isola nota perché vi accadono le vicessitudini
di un eroe del mito antico, ossia Achille. Il problema è che il fatto di citare qui, in un
momento in cui si sta parlando della Tessaglia che si vuota, non si sa se abbia senso
citare un’isola che è al largo dell’Eubea —> domanda che si sono fatti i
commentatori moderni —> ragione per cui il Meineke propone la congettura Cieros,
una città della Tessaglia, a nord ovest di Farsalo.
Ha senso citare Scyros perché in realtà (ragione per cui alcuni conservano Scyros) la
citazione di Scyros potrebbe non voler ricostruire una geografia esatta della
provenienza degli invitati, ma potrebbe avere un valore prolettico/anticipatorio
della storia di Achille, prodotto del matrimonio fra Peleo e Teti —> l’uso di elementi
prolettici è frequente all’interno del carmen 64.
GUARDO LA CARTINA DELLA TESSAGLIA.
Nel testo si parla di una Tempe nella Ftiotide, cosa che in realtà non è —> a questo
in realtà si dà una possibilità di risposta abbastanza semplice se ricordiamo che i tre
versi sono uno sfoggio di erudizione alessandrina.
Nell’Inno IV di Callimaco, l’inno a Delo, si legge l’invocazione Πηνειε Φθιοτα, ossia O
Ftiota Peneo —> il Peneo è il fiume della valle di Tempe. In Catullo l’intento non è
quello di costruire una geografia della Tessaglia, ma di fare sfoggio di una geografia
letteraria —> non interessa l’esattezza dell’erudizione geografica.
Questo rende plausibile anche la conservazione di Scyros —> il poeta vuole
ricostruire una geografia letteraria, uno sfoggio di erudizione in cui si riprendono i
modelli.

Verso 38 e ss.
I versi successivi al 37 rappresentano la Tessaglia che si svuota per giungere alle
notte di Peleo e Teti.
Adesso si vuotano i campi —> nessuno li lavora più.
I versi dal 43 ci portano invece nella reggia.
La descrizione dal verso 38 al verso 42 ricorda in un certo senso quelle dell’età
dell’oro —> la descrizione dei campi abbandonati e di un’umanità che corre alle
nozze felice non dovendo più lavorare è una descrizione che dovrebbe evocare
l’epoca felice in cui gli uomini non hanno più bisogno di lavorare.
Humilis vv. 39 —> derivazione da humus, la terra; la vitis (vinea per metonimia)
cresceva a terra. Humilis indica una vite non maritata ad un albero (le viti o
cresceveano a terra o si utilizzava un albero come sostegno). Humilis è un termine
tecnico, lo si usa come aggettivo tecnico
Convellere vv. 40 —> vello,ere vuol dire ‘stravolgere’.
Attenuat vv. 41 —> vuol dire rendere sottile, si recupera il significato originario del
verbo.
Squalida vv. 42 —> che rende brutti. Fa parte di una serie di aggettivi costruiti con il
suffisso -idus, aggettivi verbativi (di origine verbale). In questo caso deriva dal verbo
squaleo,ere (essere brutto, squallido). Es. da tepeo > tepidus (tiepido, caldo)

Nei versi successivi entriamo nella reggia in cui si celebrano le nozze e ci avviciniamo
alla descrizione del letto nuziale su cui c’è la coperta da cui inizierà la narrazione
delle nozze di Bacco e Arianna (la narrazione inizia al verso 50).

Ipsius vv. 43 —> la seconda I dovrebbe essere lunga, ma si abbrevia in poesia.


Opulenta… regia (vv. 43-44) —> nominativo singolare. Lett. A casa di lui, in tutti i
recessi della reggia opulenta, splende
Quacumque vv. 43–> avverbio di moto per luogo della serie pronominale
dell’indefinito. Lett. Per dovunque.
Ci sono tanti colori che appaiono a sottolineare la visione di questa vista.
Vv. 47 —> si inizia a parlare del pulvinar, del letto nuziale (pulvinar geniale)
Politum vv. 48 —> vuol dire generalmente lisciare, frutto di una lavorazione.
Vv. 47 geniale —> aggettivo imparentato con al radice della nascita (gen-), il genius
in latino è una divinità minore (una sorta di angelo custode) che presiede alla nascita
e tutela —> è colui a cui si facevano i sacrifici nel giorno del compleanno.
Pulvinar vv. 47 —> non è la designazione del letto nuziale (lectus genialis). I
Pulvinaria sono delle specie di letti e giacigli su cui venivano accomodate le
effigi/statue degli dei nella cerimonia del lectisternium, parola che ha dentro di sé la
radice di lectus e il verbo sterno,ere —> il lectisternium era una cerimonia nella
quale le statue degli dei erano messe su dei pulvinaria e a loro veniva servito il
banchetto. Il pulvinar è quindi un giaciglio sacro —> designazione che non si presta
ad un letto nuziale qualcunque, ma si presta al letto nuziale predisposto per una
dea, Teti.
A questo punto inizia dal verso 50 la decrizione della coperta (ekfrasis), spunto per
l’introduzione della vicenda dell’abbandono di Arianna a Dia (Nasso) da parte di
Zeus.
Vi è una quantità cospicua di verbi che si riferiscono all’atto del vedere, con i quali
Catullo sembra voler ribadire la natura fondamentalmente visiva dell’ekfrasis.
Catullo da un lato la ribadisce (insistendo sulla natura di ekfrasis), dall’altro sembra
compiacersi di forzare i limiti dell’ekfrasis, perché quello che noi vediamo nella
copertà non è una scena fissa e immobile, vediamo mosse, grida, lamenti,
sentimenti, un passato, il futuro e storie.
L’ekfrasis invece vuole forzare i limiti fisiologici del topos (la coperta di per sé è
ovviamente statica) e i tempi della narrazione (flashback, la storia di come andrà a
finire)
Con i due versi 50-51 Catullo per la prima volta ci introduce a quello che segue.
Priscis vv. 50 —> ci ributta in una lontanza temporale e morale nella quale si
svolgono tutte queste vicende (ce lo indicano anche avverbi come quondam, olim)
Virtutes vv. 51 —> termine che in latino, imparentato con vir (uomo in senso che si
avvicina molto all’eroe), non ha il significato insipidamente morale che ha in italiano
(virtù come pregi morali). Le virtutes in latino sono le manifestazioni concrete
dell’eroismo, ha a che fare con l’efficacia concreta dell’essere vir. Pensiamo alle virtù
delle piante medicinali —> quello è il concetto latino di virtù.
I due versi cerniera ci riportano nel mondo popolato di eroi e di uomini che vivano in
prossimità degli dei.

Vv. 52 e ss.
Con il Namque al vv. 52 Catullo ci introduce in una narrazione che fin da subito
smentisce il proprio carattere di ekfrasis.
I versi riferiti alla fuga di Teseo sono tutti dattilici, veloci.
Il nome di Arianna compare solo dopo qualche verso.
Arianna viene issata nel momento in cui vede Teseo fuggire. Prospecto è un verbo
frequentativo (tipo di verbo utilizzato nel sermo cotidianus per intensificare), vuole
dirci il carattere insistente dello sguardo di Arianna.
L’identità fra Dia e Nasso deriva da Callimaco (geografia letteraria).
Fluentisono vv. 52 —> hapax, formazione unica per quello che sappiamo, si tratta di
un composto nominale che è costituito da due elementi: il secondo verbo del
composto è un elemento originariamente verbale (sonus), il fluent della prima parte
—> fluo,ere vuol dire scorrere; fluentum/a sono le correnti. Fluentisonus è una
coniazione catulliana forse ispirata da qualche modello greco. In ogni caso si tratta di
un elemento pertinente per sua natura ad un registro stilistico molto elevato. Il
latino non tende alla formazione di composti nominali —> composti nominali come
questo non sono una creazione naturale del latino: sono elementi che il latino crea
per essere all’altezza del greco letterario.
Registro linguistico molto vario nel testo.
Vv. 53 —> se letto in restituta l’effetto fonico sarebbe evidentissimo.
Immemor vv. 58 —> i molteplici valori che l’aggettivo potrebbe avere: smemorato
(aggettivo tipico della poesia amorosa: l’amante traditore è perfidus e immemor) —
> qui potrebbe qualificare Teseo in quanto amante traditore.
In realtà è un aggettivo che potrebbe avere anche una funzione prolettica, ossia
anticipatrice della vicenda futura di Teseo, nella quale la smemoratezza di Teseo
farà dimenticare a Teseo di cambiare le tele nere con quelle bianche )il padre si
suiciderà) —> noi lettori colti, pubblico di catullo possiamo leggere un’anticipazione
della futura vicenda di Teseo —> altri elementi del carme 64 si prestano alla
medesima lettura (alludono a storie non raccontate nel carme, ma si riferiscono al
proseguo)

VV. 59 —> molto catulliano non solo per la forma, ma anche per il contenuto: teseo
che parte immemor (aggettivo magari anche prolettico narrativamente); in questo
verso riecheggiano tematiche tipiche della poesia Catulliana.
Di fatto, a proposito della questione con il modello (singolo o duplice), abbiamo
sottolineato un dato: comunque l’impressione che il carme fa, di là dai piani
temporali, è quello di avere un’impronta fortemente catulliana.
Uno degli aspetti in cui questa impronta appare è quella di vivere o rivivere
letterariamente l’esperienza amorosa.
Questo dà a tutto il carme un’impressione unitaria in chi legge.
Aggettivo irritus —> letteralmente, come origine, fa parte di una famiglia di parole
molto rilevanti. In in questo caso prefisso negativo, ritus è un elemento che a prima
vista ci dice poco, ma potrebbe aver subito indebolimento —> quella I breve
potrebbe derivare da un’altra vocale —> ratus è il participio perfetto del verbo reor,
che vuol dire ‘pensare, considerare’, ma ha anche un significato passivo, ossia
‘ratificato’, ‘giustificato’.
Inritus —> non valido, non ratificato, vano.
Il nomen actionis di reo è ractio,onis.
Inrita in questo caso può essere collocato sia come attributo di promissa, ma può
anche essere inteso in senso predicativo, cioè ‘lasciando le promesse alla tempesta
cosicchè diventassero vane’ —> la due funzioni sono plausibili, attenzione a costrutti
di questo tipi, in cui un aggettivo può essere attributo o con valore predicativo.

I versi che seguono, di fatto spostano il nostro sguardo (ekfrasis) su Arianna che
guarda: 60 e ss.
60 —> ocellis, diminutivo pertinente al registro affettivo e familiare, molto dominato
dalla nota affettiva.
61 —> Arianna è o di roccia o come la marmorea effigie di una baccante (attributo
saxea o attributivo o predicativo).
Due aspetti interessanti:
- Saxea effigies bacchantis è un’espressione ossimorica, la figura di una
baccante è opposta ad un’effigie marmorea —> riflette in piccolo il carattere
paradossale dell’ekfrasis stessa.
- Nell’elemento bacchantis possiamo leggere anche un dettaglio prolettico:
perché è Bacco che entrerà in gioco sposando Arianna abbandonata —> gioco
per cui spessissimo questi dettagli sembrano guardare al futuro.
63-64-65 —> versi dedicati a che fine abbia fatto l’abbigliamento della donna e sono
introdotti tutti e tre dall’anafora non.
Vv. 64 —> alcune versioni hanno velatum (versione della tradizione manoscritta che
ha dato luogo a diversi tentativi di correzione per una ragione inerente al senso) al
posto di nudatum.
Vv. 65 —> strophio è un prestito dal greco, dal verbo strefo, verbo del girare, del far
girare e dell’avvolgere. Questo termine in realtà ha più l’aspetto di un grecismo della
vita quotidiana, non è un elemento epico.
Vv. 67 —>adludebant normalmente non è costruito transitivamente, può essere un
elemento della lingua poetica —> tante di queste variazioni minime rispetto allo
standard si giustificano come libertà che il poeta si prende e che sono pertinenti alla
lingua poetica (come i plurali per i singolari), elementi che danno al tessuto
linguistico e stilistico un aspetto straniante.
Vv. 69-70 —> Totus in latino vuol dire ‘tutto intero’, è un aggettivo pregnante
Vv. 70 —> pendeo,ere ha un significato forte, ‘stare appeso a’, diverso da pendo,ere
= ‘pesare’. Pendeo = verbo di stato, intransitivo, qualcosa che pesa perché sta
appeso; pendo = verbo transitivo; hanno la stessa radice.
Intensivo di pendo è penso, da cui derivano l’italiano ‘pesare’ e ‘pensare’.

Nella direzione dell’alessandrinismo poetico:


- Ericina, luogo dove veniva venerata Venere (vv. 72)
- Gortynia templa, i templi cretesi —> designare il luogo dove Teseo approda
con questo epiteto geografico è un ulteriore elemento di Alessandrinismo (vv.
75)
vv. 73 —> illa tempestate…quo tempore, (tempesta e tempus hanno la stessa
radice), questo tipo di espressione, evidentemente ridondante, era tipica della
poesia arcaica (espressioni simili si trovano in Ennio) —> carme ricondotto anche
alla tradizione epica e alla lingua poetica enniana.
Vv. 75 —> problema dal punto di vista del senso: non è semplice spiegare perché il
re cretese Minosse venga definito Ingiusto (se c’è un personaggio che è considerato
giusto è Minosse, è uno dei giudici dell’Aldilà) —> qui forse non è un epiteto
generale, ma una caratteristica di Minosse all’interno di questa vicenda.
Il figlio di Minosse, Androgeo, era stato ucciso e di questa cosa veniva fatto pagare il
fio agli ateniesi —> a esigere il fio era stato Minosse —> probabilmente non si tratta
di un epiteto valido in assoluto, ma di un aggettivo che si riferisce al ruolo che ha
all’interno di questa vicenda.

Vv. 76-77 —> si sposta di nuovo il salto temporale: facciamo di nuovo un salto
all’indietro nell’antefatto —> si sposta ulteriormente la prospettiva temporale e c’è
un flashback che ci racconta la ragione dell’approdo di Teseo alla costa ateniese.

Vv. 83 —> porto,are in latino ha lo stesso significato di fero, che però viene
abbandonato nella lingua. Porto, rispetto a fero, non è anomalo ed è anche un verbo
che fin dalle origini viene utilizzato come un significato più materiale, ‘trasportare’,
pertinente al sermo cotidianus.
Funera…nec funera —> espressione evidentemente ossimorica e molto difficilmente
traducibile. È riferito ai giovani mandati in pasto al Minotauro: forse vengono definiti
morti non ancora morti (perché erano vivi mentre venivano trasportati), oppure
funera ha valore prolettico (morti e non destinati a morire —> il minotauro sarebbe
stato vinto da Teseo). —> espressione compiaciuta del proprio carattere ossimorico.

Vv. 84 —> niteor ( diverso da niteo,ere), vuol dire ‘sforzarsi’ letteralmente, ma anche
‘poggiare su qualche cosa’.

I versi da 86 in poi descrivono l’innamoramento a prima vista di Arianna per il flavo


(biondo) eroe giunto sull’isola.
Il biondo eroe è arrivato a Creta per uccidere il Minotauro, fratellastro di Arianna
medesima, è figlio di Pasifae che si era unita al Toro di Creta.
Questo rapporto di familiarità fra Arianna ed in Minotauro va tenuto sempre
presente —> fa somigliare questa nuova eroina ad un’altra eroina che aiutò un eroe
giunto dall’esterno a causare la morte del proprio fratello.
Tutta la frase che va dal verso 86 al 93 è molto complessa, in cui la principale è
molto ritardata (al verso 91).
Prima ci sono una serie di elementi con effetto ritardante (relativa che descrive il
crescere della ragazza, la similitudine) che danno la lentezza del tempo che sta
dentro in quell’alebat (vv. 88).
Lectulus, labello, munucula sono alterati —> tutto ciò che si riferisce ad Arianna,
personaggio nella cui passione Catullo di immedesima, è affettivamente connotato.
Connotazione affettiva per la quale si caratterizzano anche nella lingua comune.
I versi 89-90 vanno nel verso della tradizione erudita —> flumen è uno dei tanti
termini che il latino utilizza per indicare i fiumi —> la variatio sinonimica è tipica
della dizione poetica.
Vv. 89 —> progignunt in realtà è un hapax, termine che di per sé si spiega
benissimo, ha posto qualche difficoltà nel senso che forse sono le rive dei fiumi a
generare i mirti —> il Baehrens ha proposto praecingunt.
Progigno si può conservare —> si pensi al vv. 1, in cui c’è prognascor —> questo
verbo probabilmente va lasciato così com’è.
Vv. 90 —>verna aggettivo da ver,veris e vuol dire ‘primaverile’
Ritorna più volte la metonimia di lumen per ‘occhi’.
Vv. 93 funditus è un avverbio —> ‘dal fondo’.
Vv. 93 —> Exarsit deriva da exardesco, che indica l’istantaneità del prendere fuoco,
—sco è il suffisso che indica il cambiamento di stato.
Vv. 94 —> Exagitans è un composto di ago con l’intensivo —> deriva da agito,
exagitans è davvero un frequentativo intensivo, Cupido exagita i furores —>
l’intensivo è pregnante, di per sé potremmo quasi non notarlo, ma notarlo non
modifica la traduzione, ma modifica e approfondisce la nostra comprensione.
Vv. 95-96 —> due perifrasi per indicare le due divinità: Cupido e Venere, secondo il
gusto alessandrino, sono espresse tramite due perifrasi che occupano due versi. La
seconda perifrasi richiede una certa erudizione geografica per poterla decifrare.
Qualibus fluctibus vv. 97-98 —> metafora del turbamento che si esprime
nell’agitazione dei flutti.
Vv. 97 —> insensam mente, può essere tradotto sia come ‘dopo averla accesa nella
mente’ o può avere anche un valore predicativo, ossia ‘la agitaste fino ad incendiarla
nell’animo’.
Vv. 100 —> fulgore è il secondo termine di paragone, ablativo originariamente di
allontanamento (l’ablativo ha tre casi in sé: stato in luogo per il locativo, caso della
privazione per l’ablativo propriamente detto, caso dell’allontanamento)
Vv. 100 —> expalluit è esattamente come exarsuit, deriva da expallesco, che vuol
dire ‘impallidisco’ —> istantaneità dell’impallidire. Il verbo ci lascia un po’ perplessi il
fatto che fulgor auri sia un nesso ossimorico rispetto ad expallescere, è un
accostamento che noi non ci spieghiamo così facilmente.
Palleo di solito indica il giallognolo della malattia, ha una connotazione negativa, per
questo ‘impallidì più del fulgore dell’oro’ è difficile —> va nella direzione del
languenti.
Fulgor, pallor, così come tutti gli elementi lessicali che hanno a che fare con l’ambito
dei colori e dello splendore o opacità sono degli elementi che, nell’ambito del latino,
sono difficili da tradurre, e il nostro sistema italiano intende anche a dare molto
peso alla tinta, all’elemento denotativo. Per i termini di colore nell’antichità
abbiamo l’impressione che avesse più importanza la luminosità del colore piuttosto
che la tinta —> non esiste un aggettivo ‘blu’, esiste ‘caereleus’, ossia ‘colore del
cielo’, ma anche per il mare si dice ‘purpureus’.
Quando traduciamo termini di colore dal greco o dal latino teniamo presente che i
termini delle lingue antiche sono più connotativi che denotativi.
Expalluit fulgore auri non è intraducibile, la traduzione torna, ma è difficile coglierne
il vero senso e ci sfugge la connotazione vera, perché abbiamo una diversa
percezione dei colori.
Vv. 104 c’è il particolare succendit, che alcuni hanno corretto in succepit in maniera
forse indebita —> succendere è utilizzato in contesti amorosi, qui è strano che regga
vota. Succepit vota = assumere su di sé i voti; ma in realtà è più affascinante, anche
se meno spiegabile, lasciare succendit vota, ‘accende voti’, perché l’espressione è
straniante e qui lasceremmo intatto un verbo che è un verbo che vuol dire
‘accendere’ spesso in contesto amoroso —> potrebbe essere un’espressione
metaforica.
Una delle caratteristiche fondamenteli della lingua poetica è lo straniamento (ossia
essere distante dalla lingua comune) e la sua ambiguità, ossia il dire tante cose
dicendone una —> quando la interpretiamo in italiano prende tante connotazioni.

Da vv. 105 in poi è contenuta la descrizione del duello fra Teseo ed il Minotauro,
scontro che viene in parte descritto con una lunga similitudine —> elemento tipico
della dizione poetica elevata.
Vv. 105 —> Tauro forse è un gioco di parole che indica il toro o è un riferimento
geografico.
Vv. 106 —> coniger = conifer, coniger è un composto che ha lo stesso significato di
‘conifer’, composto da sostantivo + verbo (gero,ere) —> i composti sono elementi di
stile elevato.
Vv. 113 —> -bundus è un suffisso aggettivale che è a metà fra aggettivo e verbo,
indica le ‘vestigie che erravano’, ‘errare’ indica il vagare e lo sbagliare.
Vv. 115 —> error inobservabilis tecti è il percorso che non si può rifare dell’edificio.
La labirinticitàdel labirinto è sottolineato dal verso 114 —> labyrintheus è un nome
polisillabico molto evidente —> è sottolineata l’inestricabilità del labirinto.
Si prediligono parole polisillabiche che danno l’impressione quasi icastica
dell’inestricabilità del percorso, che sarebbe stato inestricabile senza il filo fornito a
Teseo da Arianna.
Le parole molto lunghe rallentano i versi —> danno l’idea della lentezza del ritorno.

Abbiamo visto le raffigurazioni di Arianna che si sveglia e vede Teseo che parla.
Nelle figure c’è Cupido, nella figura a sinistra c’è anche una figura che poggia la
mano sulla spalla di Arianna, forse Nemesi, ma è una figura di interpretazione
controversa.
Questa immagine sembrerebbe un’iconografia che potrebbe aver dato luogo e
rassomigliare a una delle due scene fondamentali rappresentate sulla coperta, ossia
quella del risveglio di Arianna: ci aiutano a capire cosa poteva essere ricamato su
quella coperta.
Esistono altre due tipologia dell’iconografia di Arianna abbandonata: la seconda è
Arianna che dorme mentre Teseo sta per salpare; nella terza iconografia Arianna
dorme mentre arriva Bacco —> salta il momento in cui Catullo focalizza la sua
attenzione.

Vv. 116-123
Catullo torna con una lunga formula alla fine originaria del racconto, ossia ad
Arianna abbandonata, la linea principale nell’ekfrasis.
Vv. 118 —> frase che grammaticalmente torna,ma semanticamente è difficile
perché si mescolano tanti piani temporali: non sappiamo perché la madre è definita
ora perduta e perché la figlia è misera.
Tutte le proposizioni introdotte da ut sono di tipo interrogativo, ut non è usato così
spesso nelle interrogative (originariamente ha anche questo valore), ma
l’interrogativa retta da ut è piuttosto rara, di solito si preferiscono avverbi
interrogativi con quomodo.
Vv. 116 —> quid commemorem plura formula classica che serve per tornare alla
narrazione principale dopo una digressione —> qui digressus a primo carmine
farebbe pensare a primo carmine come racconto di Peleo a Teti, ma qui si torna alla
situazione di Arianna abbandonata, ossia all’ekfrasis —> torniamo al primum
carmen del carmen alterum.
Si insiste in questi versi sull’abbandono dei familiari (padre, sorella, madre)—> non
viene citato il fratello, il Minotauro che teseo aveva ucciso —> tutta questa
sottolineatura dei rapporti familiari che Arianna ha abbandonato preferendo ad essi
l’amor dulcis di Teseo la fanno molto somigliare a Medea, personaggio che è
collegato alla saga degli Argonauti dalla quale l’inizo del carmen 64 prende spunto.
Medea abbandona anch’essa i propri familiari, causa la morte del proprio fratello
per seguire lo straniero e molti degli elementi che affioreranno nel prosequio del
carmen e che saranno messi in bocca ad Arianna (lamento e maledizione a Teseo)
hanno la propria origine nella Medea di Ennio, imitata anche nell’esordio del carmen
64, quando si parla della costruzione della nave Argo.
La sottolineatura di questi elementi aggravano il peso della scelta di Arianna —> poi
Arianna, dopo essere stata abbandonata, ha molti motivi per diventare un’eroina
tragica —> si aggrava molto la gravità del tradimento di Teseo, perché lei ha
veramente rinunciato a tutto (omnibus his, vv. 120).
Vv. 122-123 —> lumina per gli occhi, pectus è la sede del sentimento, ma ci sono
altri due elementi che sono notevoli: Teseo immemor come gli amanti che
tradiscono e perché non cambierà le vele nere e causa la morte del proprio padre
(elemento descrittivo e prolettico). Coniunx è significativo perché non erano ancora
sposati —> elemento che aggrava la posizione dell’amante traditore, fa intravedere
che dietro questo amore non c’era una passione passeggera, ma c’era il desiderio di
arrivare al matrimonio.

Si torna quindi alla descrizione di Arianna sul lido dal vv. 124.
Siamo tornati al momento dell’abbandono, tutto quello che viene detto in questi
versi smentisce la natura di ekfrasis di questi versi —> Arianna non può muoversi,
non può singhiozzare e non può emettere parole di lamento.
L’ekfrasis è forzata, travalica i limiti stessi dell’ekfrasis —> è come se la saxea effigis
bacchantis prendesse vita sotto i nostri occhi —> i confini che sono inerenti
all’ekfrasis vengono travalicati.
Perhibent —> non sappiamo se Catullo stia facendo riferimento alle sue fonti o se
stia consapevolmente alludendo alla dimensione del racconto (abbandonando la
dimensione della descrizione).
Clarisonas vv. 125 —> composto clarus + sonus (membro verbale), ‘voci che
suonavano forti’ —> elementi pertinenti alla lingua poetica e al registro elevato della
lingua poetica.
Vv. 127 —> aestus è il ribollire, il calore —> il mare non viene presentato come
aequor (placato), è un mare tormentato quasi come le cure e gli affanni di Arianna.
Vastus in latino non vuol dire grande, ma ha dato luogo a devastazione, ha una
connotazione di ‘enorme e spaventoso’. La natura sembra quasi accordarsi a questa
situazione di sofferenza.
Tremulus e frigidulos sono aggettivi alterati, di connotazione affettiva.
Nudatae surae potrebbe essere anche un dativo —> sollevando la copertura al
polpaccio che viene denudato. Va bene anche in genitivo.
Vv. 132 —> inizia il lamento di Arianna, un lamento che per certi versi ricorda parole
messe in bocca a Medea abbandonata da Giasone all’interno della Medea di Ennio
(oggi perduta).
Tutta la prima parte contiene la prima parte del lamento con insulti a Teseo, poi ci
sono versi dedicati ad un tema tipicamente Catulliano —> quando Catullo lamenta
l’abbandono da parte di Lesbia, qui invece colui che abbandonò è Lesbia, il tema fa
affiorare la personalità poetica di Catullo all’interno di questo lamento, che è fra le
lezioni più evidentemente Catulliane del carme 64.
Sicine…sicine —> l’anafora è una figura spesso analizzata. Quel sicine è sic + -ne
enclitica dell’interrogativa. La I in mezzo è un elemento aggiunto, elemento di
aggiustamento fonico, per non avere sicne —> anche quando abbiamo elementi che
terminano in in C (si fa anche per huc-i-ne).
Vv. 132 —> l’inizio e la fine del verso sono di grandissimo rilievo.
Vv. 134 —> neglecto numine divum (divum genitivo arcaizzante).
Numen (verbo nuo, verbo non attestato, mentre conosciamo i suoi prefissati abnuo,
‘dire di sì’, e adnuo, ‘dire di no’ —> il numen è quindi la volontà della divinità.
Numen quindi originariamente è la volontà della divinità che si esprime nel cenno,
nel nudus.
Perfide…perfide —> anadiplosi, ripetizioni
Vv. 135 —> devoveo da voveo, connotazione sacrale che vuol dire ‘fare voto di
qualche cosa’. Devovere = atto del votare agli dei Inferi, è un atto sacrale in negativo,
è una maledizione. In latino esiste il termine devotio, un gesto con il quale un
comandante militare votava se stesso alla morte per guadagnare la vittoria
dell’esercito. Portare a casa periuria devota aggrava di molto il termine periuria.
Alcuni membri della famiglia dei Deci sono famosi per episodi di questo tipo, per
essersi votati alla morte per far ottenere al proprio esercito la vittoria.
Vv. 138 —> miserescere, il suffisso -sco sottolinea il significato di ‘impietosirsi’
Vv. 140 —> problema testuale: miserae dovrebbe essere in accusativo —> iubeo
regga accusativo e infinito, non con una completiva volitiva. La tradizione
manoscritta porta misere, l’avverbio miseramente, che però non è semplicissimo da
spiegare, crea un problema dal punto di vista del significato.
C’è anche chi conferma miserae pensando ad una forzatura del costrutto classico di
Iubeo, una forzatura spiegabile perché a sperare è Arianna, che ha appena parlato di
sé come mihi, quindi forse miserae è attratto da questo mihi. Meglio pensare al
dativo che non standardizzare all’accusativo —> meglio ingegnarsi per conservare
una variante che corregge la tradizione manoscritta ma non troppo (nella traduzione
manoscritta ae spesso diventa e).
Vv. 141 —> cose che Teseo aveva fatto balenare nella giovane.

Sezione dedicata all’inaffidabilità dell’uomo.


Vv. 145 —> apisci verbo incoativo da apiscor, ‘afferrare con le mani’. Ap- è
l’elemento che si trova anche nell’aggettivo aptus. Apiscor è un verbo semplice che
troviamo nella forma prefissata nella forma adipiscor, ‘ottenere’.
Vv. 146 —> Gli infiniti sono di fatto gli oggetti diretti di metuunt e di parcunt.
Metuo + infinito = avere paura di fare qualcosa.
Uso esteso dell’infinito è tipico della lingua poetica, si spiega con l’influsso
dell’infinito greco.
Vv. 148 —> fin’ora abbiamo visto una serie di presenti, perché Arianna sta
descrivendo il comportamento degli uomini in campo amoroso. Metuere è un
perfetto, un presente non sarebbe stato compatibile con la metrica, ma qui bisogna
pensare ad un perfetto gnomico, ossia ad un perfetto che si trova nelle espressioni
sentenziose, ha valore di verità universale.
Vv. 150 —> germanum diventa il fratello di sangue anche se era un Minotauro.
Vv. 149 —> versantem in turbine leti, versor è il frequentativo, aggrava la situazione
che l’avrebbe portato alla morte sicura.

Torniamo all’iconografia con i versi 152 e 153 —> l’iconografia catulliana privilegia
un momento tragico, un istante tragico, nel quale, dietro alle parole di Arianna,
emergono le parole di Medea.

La Medea di Ennio è perduta —> una delle fonti principali dalla quale attingiamo i
frammenti sono le opere filosofiche di Cicerone, che pullulano di citazioni del teatro
arcaico, in particolare quello tragico —> è da lì che a noi provengono frammenti
della Medea di Ennio che sono confrontabili molto da vicino sia in alcune sezioni del
lamento di Arianna sia nella sezione iniziale.
Per questo sappiamo che la Medea di Ennio fu uno dei modelli dell’Arianna del
Carmen 64.
Quando diciamo che Ennio fu modello di Virgilio, questo lo ricaviamo dai
commentatori Virgiliani antichi, che fanno i paragoni fra i versi Enniani (altrimenti
per noi perduti) e virgiliani.
Per Catullo non abbiamo commentatori che facciano questi paragoni, ma i raffronti
qui sono precisissimi.

Leggiamo due passi del Carme:


Primo passo: versi da 265 a 268 —> quelli che segnano il finale dell’ekfrasis.versi
non particolarmente significativi in sé, ma lo sono per la lettura complessiva del
carmen.
Segnano il passaggio dalla scena della coperta al ritorno della situazione cornice, le
nozze di Peleo e Teti.
I versi 267-268 presentano gli spettatori della coperta interni alla nostra storia.
I versi che seguono descrivono gli dei che partecipano in certo numero alle Nozze.
Questi versi chiudono l’ekfrasis, fanno ritornare la ekfrasis alla dimensione di
descrizione della veste e ci fanno vedere gli spettatori di questa ekfrasis, ossia la
gioventù della Tessaglia.
Tralasciamo i versi cantati dalle Parche, a cui viene affidato il vero e proprio canto
Nuziale, che si chiude al verso 381.
Far cantare il canto nuziale alle parche è strano: sono le tre dee del destino che
filano e tagliano il destino umano, l’idea delle parche è sempre legata all’idea della
morte
Versi 382-386 —> le Parche poterono cantare perché tutte le divinità si sentivano in
diritto di partecipare alla vita degli uomini.
Nei versi che seguono viene spiegato che Giove assisteva ai riti del tempio, che
Bacco partecipava ai riti delle baccanti, che Apollo si faceva presente a Delfi, che
Marte, Atena, Nemisi erano presenti sui campi di battaglia —> le divinità erano
praesentes, termine dalla doppia valenza: riferito alla divinità vuol dire sia presente
in senso tecnico, sia di una partecipazione benevola.
Vv. 397-408 —> vv. 408 lumine claro = lumine vuol quasi sempre dire ‘occhio’, qui
suona strano che, anche se può essere inteso come occhio umano, ma con clarus, la
cui connotazione positiva è indubbia, sembra un po’ forzato.
Ne abbiamo trovati tanti di particolari che ci lasciavano perplessi —> una soluzione
che si è data è stata quella di intenderlo come ‘luce del sole’ che illumina la vita degli
uomini.
Altro punto problematico nella traduzione è il vv. 402 —> qui Catullo sta
accumulando tutte le possibilità di cui l’umanità è capace, qui sembra che al verso
402 si sia lasciato prendere la mano: c’è un climax crescente di orrore.
Evidentemente il figlio sembra essere tolto di mezzo perché il padre possa godersi
una donna che altrimenti gli preferirebbe l’uso medesimo —> l’incoerenza sta nel
termine noverca, nel momento in cui il figlio muore non è più una matrigna. Non si
capisce a quale delitto corrisponde.
Sono stati proposti diversi ritocchi, fra i quali il Baehrens ha proposto di trasformare
novercae in novellae, ossia di una ‘vergine novella’ —> il padre uccide il figlio per
godere del fiore di una vergine fresca, che avrebbe preferito il figlio se fosse
sopravvissuta.
Forse Catullo si è davvero fatto prendere la mano nell’accumulare delitto a delitto e
accettarlo nella sua ambiguità e nell’esasperazione dello scrivente che il verso
esprime.

LEGGO TUTTO IL CARME IN ITALIANO PRIMA DI QUESTE ULTIME CONSIDERAZIONI

Esposizione dei contenuti del saggio di Marco Fernandelli, capitolo che dedica al
carmen 64 nel suo libro Chartae laboriosae, capitolo molto interessante.
Fernandelli parte da una prospettiva di lettura che è una prospettiva della critica
letteraria moderna e contemporanea, centrata sulla risposta del lettore, reader
response criticism.
Si affronta senza timore di scandalizzare la critica letteraria che sostiene che non si
può entrare nell’intenzionalità dell’autore e senza timore di andare contro i Dogmi
che hanno dominato la teoria letteraria dell’ultimo secolo.
Si immedesima in un Catullo che, all’interno del Carme 64, invita consapevolmente il
lettore ad affrontare un viaggio, paragonabile ad una navigazione, che lo porta
progressivamente al significato del carme.
Sostiene che Catullo stesso, nel produrre il carme, assume consapevolmente la
prospettiva di colui che vuole guidare il lettore nella navigazione verso il significato
del carme.
Abbiamo visto che il carme è caratterizzato da scarti, incoerenze, cambiamenti di
prospettive, di piani temporali. È un testo che chiede al lettore di addentrarsi in un
itinerario che è come una navigazione scoscesa.
Catullo costruisce questo lungo carme come una sorta di rotta, dove il lettore
moderno e a lui contemporaneo è tenuto in sospeso e continuamente portato a
domandarsi il significato dei particolari che incontra e poi la totalità del testo.

Fernandelli ritiene di poter fare ciò perché noi di Catullo e di neoterici noi sappiamo
che questi erano poeti dotti e nello stesso tempo abituati ad essere lettori delle loro
composizioni, erano abituati alla pratica della proekdosis, ossia l’edizione
preliminare. Le loro poesie, prima diessere pubblicate, venivano fatte leggere o
recitate di fronte agli amici e quindi sistemate alla luce del parere degli amici poeti
in quanto lettori.
Tutto questo lavorio che la poesia dei neoterici lascia presupporre è evidente che è
un lavorio che presuppone che i suoi protagonisti (i poeti amici di Catullo) siano
poeti e lettori nello stesso tempo.
Pensare ad un Catullo che consapevolmente costruisce un certo etinerario per il suo
lettore non è del tutto fuoriluogo.

Ci soffermiamo su tre punti del carme:

Il PROLOGO è fuorviante, perché dalla lettura dei primi versi ci torviamo immersi
nella saga degli Argonauti,e noi sappiamo che il prologo vuole aiutare il lettore a
mettere a fuoco il tema —> il prologo qui sembra parlare della saga degli argonauti
e del loro ritorno, uno si fa l’idea che il viaggio degli argonauti sia il tema, ma dai
versi 8-21 si parla di Peleo e Teti.
Ma nei versi dal 22-30, quelli che rievocano i passati tempi eroici, in cui gli dei si
manifestavano, la prospettiva viene ancora mutata —> si capisce che il tema è tutto
già contenuto all’interno dei primi versi in tutti quegli avverbi di tempo (quondam)
che proiettano il racconto in un passato lontano e nostalgicamente rievocato.
Il prologo è quindi un inizio fuorviante, già dà nel suo spezzettamento l’impresione
di una continua necessità del lettore di cambiare la prospettiva.

L’EKFRASIS da 50 a 266 —> è necessario sottolineare che si apre con i versi 50-51
con la vestis e si chiudono con i versi 265-268 che tornano alla vestis, questi sono i
versi che incorniciano l’ekfrasis.
In effetti l’ekfrasis è una sezione nella quale, da un lato, c’è sicuramente un
elemento visivo (pensa alle iconografie pompeiane) che rende plausibile che Catullo
avesse sotto gli occhi qualche oggetto artistico che rappresentava le due scene; però
quasi fin da subito accade percepibilmente quando troviamo il verbo perhibent alla
fine del flashback (vv.124) che il lettore non è portato a guardare la descrizione di un
oggetto artistico, ma diventa l’ascoltatore di un racconto —> si passa dalla
descrizione al racconto.
Ai versi dal 125 in poi si passa da una descrizione di ciò che si può vedere al racconto
di ciò che non si può rappresentare nella fissità di una coperta —> in questo l’akme
sarebbero i versi fra 63 e 70, quelli in cui si dice che Arianna in piedi rimane senza
niente a dosso; Catullo ai versi 69-70, rivolgendosi a Teseo, dice che ‘da te teseo
Arianna pendeva con tutto il petto, con tutto l’animo, con tutta la mente’ —>
Arianna è un personaggio ridotto a tutta interiorità, la nudità esteriore è l’emblema
di Arianna ridotta a pura anima, interiorità, abbandonata sia da Teseo sia alla
immedesimazione del lettore e all’interpretazione del lettore.
La prima parte dell’ekfrasis non c’entra nulla con tutto il racconto cornice —> si
pone come una parentesi tragica e priva di soluzione, aperta nella sua tragicità.
È solo nella seconda metà della coperta che arriva Bacco e sposa Arianna —> si
ripristina, dopo una lunga parentesi, la simmetria con la cornice perché c’è la
descrizione delle felici nozze con Bacco, parallele alle felici nozze di Peleo e Teti.

La Tessala Pubes rappresenta una sorta di pubblico interno della ekfrasis, che ci
esemplifica come questa ad un lettore ingenuo possa non destare nessuna domanda
e lasciarlo totalmente sazio di una fruizione superficiale —> Catullo, che è narratore
e lettore acuto, richiede al suo lettore di entrare dentro nell’ekfrasis e coglierla nel
suo significato più profondo: le due scene raccontate nella coperta (abbandono e
nozze) non costituiscono semplicemente una fabula lineare, ma il focus della
coperta in realtà è asimmetricamente l’episodio di Arianna, che è una tragedia in sé,
in senso proprio e vissuta dal proprio protagonista.
D’altra parte l’episodio di Bacco rappresenta la soluzione della tragedia secondo i
criteri che potevano essere in vigore nell’età degli Eroi —> Arianna è un’eroina che,
grazie all’attenzione di Giove, riceve la giusta ricompensa con le nozze di Bacco.
L’ekfrasis quindi sollecita con le sue simmetrie e incongruenze a farsi delle domande
sul senso totale dell’ekfrasis e del carme, e il lettore accorto e sapiente ad un certo
punto comprende che ha assistito ad una tragedia e alla sua soluzione secondo una
giustizia che solo nei tempi degli eroi poteva vivere.

Terza sezione è IL FINALE DEL CARME, dopo la ekfrasis si torna alla scena delle
nozze, scena che contiene diverse incoerenze: manca Apollo, le Parche cantano
l’epitalamio. Però è anche vero che nei versi finali, dal 384 in poi, emerge il senso —
> la descrizione di quella che Fernandelli chiama l’età teossenica (Theos + Xenia), in
cui era possibile l’ospitalità degli uomini, finalmente ci svela il senso, perché il senso
del Carme è nel contrasto che sussiste fra l’età dell’oro e il degrado del presente.
Il lettore accorto si rende conto che tutta la sezione finale sembra finalmente
illustrare qual è il movente totale del carme, che diventa chiara agli occhi del lettore
solo negli ultimi versi, in cui si capisce che il movente del poeta è rappresentato dal
degrado capillare e totale del presente.
Si capisce che tutto il racconto precedente è la ricerca dell’antitesi (cit. Fernandelli),
ossia un tempo che sia l’opposto del presente, un tempo in cui succedevano delle
cose e in cui il criterio era la giustizia.
Tutta la parte preliminare sono due racconti che rappresentano una sorta di
evasione narrativa dal presente per gettarsi in un passato che era felice, ideale e
nostalgicamente evocato.
A questo punto ci rendiamo conto che il vero tema del carme è il narratore, la
coerenza del carme non sta in ciò che viene narrato, ma nel suo narratore e nel
legame che sussiste fra il presente del narratore e il passato in cui esso evade.
Questo spiegherebbe anche il perché della scelta di un genere minore come l’epillio
—> l’epos canta una lettura della realtà armonica, ma la realtà con la quale ha a che
fare Catullo non si può spiegare con un genere grande come l’epos, si accontenta
della misura minima dell’epillio, che in un tono minore riflette sulla caoticità del
presente.

Al centro di questo poema ci sta un narratore che è anche un lettore consapevole, è


un poeta narratore che è anche un lettore attento, che si compiace di guidare il
lettore propriamente detto in questa navigazione dell’interpretazione del carme —>
alla seconda lettura uno legge alla luce della sintesi conclusiva.
Fernandelli sostiene che il momento fondamentale di questo carme sia
un’appassionata volontà di senso, che riguarda Catullo uomo —> ciò si ricollega
all’insensatezza del presente.
Lettura che sottolinea l’unitarietà del carme —> ricordiamo che all’interno del carme
ci sono tantissimi squilibri, ellissi, elementi ambigui, non spiegati, che vanno contro
la lettura armonica e unitaria del carme medesimo —> bisognerà correggere la
chiave di lettura e dire che è vero che la narrazione vuole spiegare l’assetto del
presente, ma non si deve cedere alla tentazione di cancellare tutti quegli elementi
anche che stimolano il lettore a procedere, attraverso i quali Catullo da un lato
segnala la sua volontà di senso ma anche l’insufficienza del senso costruito
attraverso la narrazione.

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