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PETRONIO

SATYRICON - QUESTIONE PETRONIANA


Il Satyricon è un romanzo mutilo, ossia di cui possediamo solo dei frammenti. Questi frammenti ebbero
grande fortuna nella storia del romanzo europeo, addirittura Joyce ne riconosce il valore. Ma se da un lato
osserviamo questa fortuna letteraria, dall’altro lato possiamo osservare che questo romanzo non ebbe
fortuna nella scuola, quindi non fu consacrato dalla tradizione scolastica. Per la storia dei testi antichi il fatto
di essere oggetto di studio nella scuola era una grande fortuna perchè venivano così tramandati e di essi se
ne aveva conoscenza.

1. L’autore
Non sappiamo chi sia l’autore ma, sulla base di quello che Tacito scrive nel libro XV degli Annales,
possiamo attribuire quest’opera a Petronio, console nato nel 27 e morto nel 66.

Nel passo degli Annales il personaggio di Petronio è molto suggestivo e potrebbe coincidere con l’autore di
questo tipo, però non si fa riferimento alla sua opera, quindi non si ha la certezza che sia realmente Petronio
l’autore.

2. La datazione
Non siamo in grado di datare esattamente questo romanzo, ma genericamente, per una serie di elementi
interni, possiamo dire che appartiene all’età giulio-Claudia. L’opera dovrebbe essere stata composta
entro il II secolo, più precisamente, da elementi interni, non andiamo oltre Nerone.

3. Lo stile
Possiamo vedere due livelli di lingua latina:

- da un lato abbiamo il linguaggio parlato dai liberti che è un latino che possiamo de nire subletterario,
non è tuttavia un latino tardo, quindi queste prove linguistiche ci mantengono dentro quetso lasso di
tempo. È possibile trovare delle a nità con il latino che si trova nei gra ti di Pompei.

- dall’altro lato invece si ha il latino scolastico parlato dal protagonista Encolpio.

Inoltre, il Satyricon presenta al suo interno un inserto del Bellum civile di Lucano. Lucano, secondo gli
elementi che abbiamo da Tacito, muore un anno prima di Petronio e la sua opera è incompiuta, quindi
sembrerebbe un tempo troppo breve per potere aver quel testo esercitato una suggestione sul romanzo.
Però probabilmente la prima parte dell’opera di Lucano era già conosciuta perchè magari pubblicata prima
della morte, quindi questo elemento potrebbe essere accettato.

4. Il genere letterario
L’altra grande questione riguarda il genere letterario: “satyricon” è un genitivo plurale greco neutro, quindi
l’opera si intitola “libri di cose satiriche”, quindi, nonostante la scelta del greco che ricalca i titoli del
romanzo, potrebbe trattarsi non necessariamente di un romanzo. Inoltre, per gli antichi, il romanzo non
era un genere codi cato perchè è un genere ibrido ed è destinato ad un pubblico ampio e popolare.

[la satira è caratterizzata dall'attenzione critica ai vari aspetti della società, mostrandone le contraddizioni e
promuovendo il cambiamento].

5. I frammenti
La narrazione è costituita da frammenti sian in prosa che in versi e che fanno riferimento al XIV libro, al XV
libro in cui si racconta la Cena Trimalchionis, e al XVI libro.

Se la traduzione manoscritta ci dice che sono frammenti di questi libri, possiamo allora supporre che ci
fosse un prima e forse anche un dopo (quindi che l’opera sia più lunga). Non abbiamo però elementi per
dire quanto fosse lungo il romanzo è come fosse articolato.

Era un testo che era già stato antologizzato dall’età antica.

6. La trama
Il protagonista, che è anche il narratore della vicenda, Encolpio, è l’unico personaggio che comparire in
tutti gli episodi (oltre a Gitone). Encolpio è il protagonista di una serie di peripezie il cui ritmo è molto
variabile, infatti nel corso della lettura talvolta è rapido, a volte piuttosto lento. Si tratta di peripezie tipiche
del romanzo picaresco (romanzo che nella letteratura spagnola nel 600 ha come protagonisti i picari, ossia
persone spiantate e che vivono senza espedienti e sono protagonisti di una serie di disavventure che
portano queste persone ad avere contatto con vari ambienti sociali).

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Nelle prime pagine di quest’opera, Encolpio, giovane acculturato (è uno scolasticus), incontra il maestro di
retorica Agamennone (retore da strapazzo) che in quel momento stava discutendo della decadenza
dell’oratoria, tema variamente discusso in questo periodo.

Agamennone ritiene che le frasi fatte, utilizzate nelle scuole di retorica, forniscono una preparazione vuota e
inutile per coloro che vogliono intraprendere la carriera forense, ed è per quetso motivo che i ragazzi, nelle
scuole, diventano stupidi perchè non vedono e non sentono niente di quello che hanno sotto mano, ma
soltanto tutta una serie di modi e luoghi comuni privi di signi cato. I topoi letterari e le ttizie controversie
oratorie sui quali i ragazzi si esercitano non servono poi nella vita.

Agamennone da anche un giudizio sulla decadenza delle arti: è caduta la retorica, ma in seguito anche la
poesia e la pittura.

Questo passo fa riferimento ad un dibattito molto sentito in età imperiale che è il dibattito sulla crisi
dell’eloquenza. Era intervenuto in questo dibattito Seneca il Vecchio (padre di Seneca), che aveva
individuato come motivo di decadenza l’immortalità dilagante nelle scuole e di cui lo stile anticlassico, in
voga nell’età imperiale, era espressione: lo stile complicata diventata come una spia dell’immortalità.

A questo dibattito partecipa lo stesso Petronio, attraverso questo passo e attraverso un passo successivo
in cui si dice che la scuola insegna cose inutili ma anche la famiglie hanno la loro responsabilità perchè
mandano i gli a scuola nella speranza che possano apprendere e formarsi in una professione che un
domani darà loro un prestigio dal punto di vista economico e sociale. Tutto ciò determina, però, una
generazione di spiantati, ossia di ragazzi che non sono in grado di a rontare la propria vita.

Ricordiamo anche Quintiliano che, in età dei Flavi, nella sua rappresentazione dell’oratore ideale, ci dice che
deve essere bonus, ossia buono moralmente. Quintiliano dice ciò in quel contesto della Roma imperiale in
cui molto spesso i retori, anche i più bravi, venivano asserviti a cause immorali —> per cui il problema è che
un avvocato deve saper difendere il giusto.

Altro contributo viene dato da Tacito con il Dialogus de oratoribus, un dialogo in cui vengono messe
posizioni a confronto sul tema della decadenza dell’eloquenza che, proprio a Roma, è decaduta nel
passaggio dalla repubblica al principato perchè ad alimentare l’eloquenza è il dibattito politico che in età
repubblicana era a possibile, mentre in età imperiale l’eloquenza così intesa non ha più senso.

Un altro momento di narrazione vede tre personaggi: Encolpio, l’avventuriero Ascilto e il giovane e bello
Gitone di cui sia Encolpio che Ascilto sono innamorati. Si tratta pertanto del tophos letterario del
triangolo amoroso che da anche origine a una serie di avventure perchè questi, oltre che a contendersi
l’amore di Gitone, viaggiano e ad un certo punto incontrano la matrona di Efeso, Quartilla, che li coinvolge
in un rito in onore di Priapo, dio del sesso. Questo rito si rivela però essere un pretesto per soddisfare i
desideri lussuriosi di Quartilla.

In questo quadro vediamo un’altra caratteristica del Satyricon: ci propone prima una coppia e poi un
triangolo omosessuale che si contrappone alla rappresentazione tradizionale dei rapporti dei protagonisti
del romanzo greco che, per lo più, vedeva coppie eterosessuali.

Un’altra caratteristica, sempre rispetto a quel genere di romanzo greco, è la scelta molto chiara di voler
rappresentare avventure anche da un punto di vista sessuale in opposizione all’amore dei giovani del
romanzo greco era un amore casto.

Un altro frammento riguarda il momento della Cena Trimalchionis: sfuggiti a Quartilla i tre giovani sono
ospiti del banchetto di Trimalchione, da Trimalchio: “malchio”, nel linguaggio semita, signi cava “potente”,
quindi Trimalchio è come un’iperbole = tre volte ricco, infatti Trimalchione è un liberto che è diventato
esageratamente ricco ma è anche estremamente rozzo, non è minimamente acculturato.

Questa sua ricchezza si esprime attraverso un’esibizione ostentata di essa e la massima ostentazione
della ricchezza avviene nel banchetto che egli allestisce e al quale partecipano numerosi convintati e vi si
trovano fortunosamente anche Encolpio, Ascilto e Gitone.

Importante è il fatto che questo passo ci dica che i liberti in età imperiale iniziano a diventare un ceto
sociale importante, sopratutto quello dei liberti arricchiti, nonostante la loro somma ignoranza.

Importante è anche l’attestazione linguistica della lingua parlata dai liberti in età imperiale che
costituisce un calco realistico della lingua parlata perchè questo romanzo ha proprio come tratto dominante
il realismo. Ci viene quindi attestato che nella lingua parlata era in atto quella trasformazione della lingua
latina che ha portato alla nascita delle lingue romanze.

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UNA CENA DI CATTIVO GUSTO, Satyricon

Encolpio in questo banchetto ha un ruolo passivo, semplicemente di osservatore, ma importante è il fatto


che venga descritto questo banchetto attraverso l’esagerazione: le portate sono estremamente curate,
ra nate e spettacolari, Trimalchione vuole che i propri servi cantino durante lo svolgimento delle loro
mansioni (nella case patrizie, invece, ai servi veniva imposto assoluto silenzio). È tutto iperbolico.

Alla ricchezza del personaggio, però, corrisponde una rozzezza: il personaggio non è ra nato, ma solo
ricco.

Nel nale si può notare una cupa ri essione sulla brevità della vita e sulla l’abilità della vita. Si tratta di
un motivo che abbiamo visto in Seneca che lo a ronta in termini loso ci; lo stesso tema viene trattato da
Trimalchione e dagli stessi convitati in toni apparentemente leggeri e quindi ciò costituisce una sorta di
allusività alla letteratura colta e loso ca.

IL RITRATTO DI FORTUNATA, Satyricon

Fortunata è la moglie di Trimalchione. Era una schiava che aveva vissuto nell’indigenza più atroce ed ora
è moglie di un uomo esageratamente ricco e essa stessa gode di questa fortuna e partecipa
all’amministrazione di questa enorme fortuna.

testo:

37,1. Non potui amplius quicquam gustare, sed conversus ad eum, ut quam plurima
exciperem, longe accersere fabulas coepi sciscitarique, quae esset mulier illa quae
huc atque illuc discurreret. 2. “Uxor”, inquit, “Trimalchionis, Fortunata appellatur, quae

nummos modio metitur. 3. Et modo, modo quid fuit? Ignoscet mihi genius tuus,
dal greco tà panta,
“tutte le cose”, noluisses de manu illius panem accipere. 4. Nunc, nec quid nec quare, in caelum abiit
neutro plurale, e
signi ca che
Fortunata è divenuta et Trimalchionis topanta est. 5. Ad summam, mero meridie si dixerit illi tenebras esse,
il “tuttofare” del
calco di una parola greca
marito.

—> è un grecismo, credet. 6. Ipse nescit quid habeat, adeo saplutus est; sed haec lupatria providet
oltretutto scorretto: GENITIVO DI QUALITÀ
è probabilmente la
forma popolare omnia, et ubi non putes. 7. Est sicca, sobria, bonorum consiliorum: tantum auri
scorretta di tapanta
vides. Est tamen malae linguae, pica pulvinaris. 8. Quem amat, amat; quem non
amat, non amat. Ipse Trimalchio fundos habet, quantum milvi volant, nummorum
nummos. Argentum in ostiarii illius cella plus iacet, quam quisquam in fortunis habet.
9. Familia vero - babae babae! - non mehercules puto decumam partem esse quae

dominum suum noverit. 10. Ad summam, quemvis ex istis babaecalis in rutae folium
coniciet”.

traduzione:

37,1. Io non riuscivo più a gustare nulla ma, rivolto a quello per saperne di più, iniziai a portare il discorso
per le lunghe e a cercare di sapere chi fosse quella donna che continuava ad andare avanti e indietro. 2.
«Ma è la moglie di Trimalchione» disse lui, «si chiama Fortunata e i soldi li conta a palate. 3. Eppure prima,
prima cosa era? Mi perdoni il tuo genio tutelare, non avresti voluto prendere del pane dalla sua mano. 4.
Adesso, (non chiedermi) né perchè né per come, ha toccato il cielo con il dito ed è il braccio destro di
Trimalchione. 5. Insomma, se dirà a quello in pieno giorno che ci sono le tenebre, egli le crederà. 6. Lui
stesso non sa quanto possiede, a tal punto è esageratamente ricco: ma questa prostituta provvede a tutto
a che quando non pensi. 7. Non beve, non sperpera, è di buon senso: vale tanto oro quanto pesa. È tuttavia
di mala lingua, una gazza da divano (= una pettegola da salotto”). 8. Chi ama ama; chi non ama non ama.
Lo stesso Trimalchione ha proprietà fondiarie quanto volano i nibbi e fa soldi su soldi. Nella cella del suo
portinaio si trova più argento di quanto chiunque abbia nelle proprie fortune. 9. Circa la servitù - capperi!
capperi! - credo, per Ercole, che non ci sia neanche uno su dieci che abbia visto il padrone. 10. Potrebbe
cacciare chiunque di questi babbei in una foglia di ruta (= nello spazio angusto di una foglia stretta, come a
dire “è capace di farlo piccolo piccolo”).

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commento:

Encolpio, il protagonista, si rivolge ad un liberto presente al banchetto e gli domanda chi sia questa
donna che sta correndo di qua e di la. Il liberto spiega che si tratta di Fortunata, moglie di Trimalchione e
quindi una donna molto ricca. In passato, però, Fortunata fu una schiava, infatti il liberto dice che Encolpio
non avrebbe mai accettato dalle sue mani un pezzo di pane perchè aveva le mani talmente sporche per le
mansioni che svolgeva come schiava.

Fortunata è divenuta la “tuttofare” di Trimalchione, la sua persona di ducia. Essa infatti esercita
un’in uenza fortissima sul marito. Lui stesso non sa quanto possiede talmente è ricco.

Fortunata non beve, non sperpera ed è di buon consiglio. È tuttavia una pettegola da salotto. È istintiva
sia nelle simpatie sia nelle antipatie.

Le proprietà che possiede Trimalchione si estendono per una lunghezza quanto è lungo il volo di un nibbio
(immagine iperbolica). Egli è così ricco che possiede un numero esorbitante di servi al punto che
nemmeno una decima parte di questi servi ha mai visto il padrone. Essi, inoltre, non potranno mai essere
paragonati all’importanza e al potere di Trimalchione.

Nella lingua di questi liberti, che parlano a tavola di Trimalchione, sono presenti numerosi grecismi (es
“topanta”, “saplutus”. Il greco era la lingua dei commerci quindi i liberti, impegnati in attività commerciali,
molto spesso imparavano queste parole) e numerosi modi di dire popolari:

- “quae nummos modio metitur”: “misura i soldi con il moggio” (modio ablativo strumentale), come si fa
con il grano. L’espressione, iperbolica e popolare, equivale all’italiano “ha soldi a palate”
- “Ignoscet mihi genius tuus”: lett. «Che il tuo genio tutelare mi perdoni», formula intercalare della lingua
d'uso (come dire: “con licenza parlando”), in cui ignoscet è congiuntivo esortativo. Il genius era una
divinità protettrice personale

- “nec quid nec quare”: «né perché né percome». È sottinteso un verbo di “dire” («senza che si possa dire
né perché né come»)

- “tantum auri vides”: corrisponde al nostro «vale tanto oro quanto pesa» (lett. «vedi tanto oro»)

- “babae babae!”: interiezione allitterante con funzione esclamativa («capperi! capperi!»); è un grecismo
(da babài, «capperi») presente già nei comici.

Il passo è caratterizzato anche da giustapposizioni parattattiche, non c’è subordinazione. Quindi esiste
nello scrittore l’intenzione di o rirci un calco della sintassi del parlato, oltre che un calco del lessico
utilizzato nel parlato.

Trimalchione e il banchetto vengono rappresentati attraverso gli occhi di Encolpio. Fortunata, invece, ci
viene rappresentata da un liberto presente a questa tavola. Abbiamo quindi un punto di vista altro rispetto
alla ricchezza: questo liberto sicuramente non è ricco come Trimalchione, però allo stesso tempo
appartiene a quella classe sociale di liberti che in età imperiale iniziano ad assumere anche un ruolo
importante dal punto di vista economico e sono impegnati nella burocrazia.

La rozzezza del personaggio è la stessa rozzezza del liberto che la rappresenta: nelle sue parole dal un lato
c’è l’ammirazione per una donna che dal niente è diventata importantissima economicamente, dall’altro lato
c’è anche una certa invidia per essere riuscita a fare questo percorso tutto in salita.

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CHIACCHIERE IN LIBERTÀ, Satyricon 41, 9-43, 4

testo:

41,9. Ab hoc ferculo Trimalchio ad lasanum surrexit. Nos libertatem sine tyranno nacti

coepimus invitare convivarum sermones. 10. Dama itaque primus cum pataracina poposcisset,

"Dies" inquit "nihil est. Dum versas te, nox t. Itaque nihil est melius quam de cubiculo recta in

triclinium ire. 11. Et mundum frigus habuimus. Vix me balneus calfecit. Tamen calda potio

vestiarius est. 12. Staminatas duxi, et plane matus sum. Vinus mihi in cerebrum abiit".

42,1. Excepit Seleucus fabulae partem, et "Ego" inquit "non cotidie lavor; baliscus enim fullo

est: aqua dentes habet, et cor nostrum cotodie liquescit. 2. Sed cum mulsi pultarium obduxi,

frigori laecasin dico. Nec sane lavare potui; fui enim hodie in funus. 3. Homo bellus, tam bonus

Chrysanthus animam ebulliit. Modo, modo me appellavit. 4. Videor mihi cum illo loqui. Heu,

heu, utres in ati ambulamus! Minores quam muscae sumus. Illae tamen aliquam virtutem

habent, nos non pluris sumus quam bullae. 5. Et quid si non abstinax fuisset! Quinque dies

aquam in os suum non coniecit, non micam panis. Tamen abiit ad plures. Medici illum

perdiderunt, immo magis malus fatus; medicus enim nihil aliud est quam animi consolatio. 6.

Tamen bene elatus est, vitali lecto, stragulis bonis. Planctus est optime - manu misit aliquot -,

etiam si maligne illum ploravit uxor. 7. Quid si non illam optime accepisset? Sed mulier quae

mulier milvinum genus. Neminem nihil boni facere oportet; aeque est enim ac si in puteum

conicias. Sed antiquus amor cancer est".

43,1. Molestus fuit, Philerosque proclamavit: "Vivorum meminerimus. Ille habet quod sibi

debebatur: honeste vixit, honeste obiit. Quid habet quod que ratur? Ab asse crevit et paratus

fuit quadrantem de stercore mordicus tollere. Itaque crevit, quicquid crevit, tanquam favus. 2.

Puto mehercules illum reliquisse solida centum, et omnia in nummis habuit. 3. De re tamen ego

verum dicam, qui linguam caninam comedi: durae buccae fuit, linguosus, discordia, non homo.

4. Frater eius fortis fuit, amicus amico, manu plena, uncta mensa. Et inter initia malam parram

pilavit, sed recorrexit costas illius prima vindemia; vendidit enim vinum quantum ipse voluit. Et,

quod illius mentum sustulit, hereditatem accepit, ex qua plus involavit quam illi relictum est".

traduzione:

41,9. In seguito a questa portata, Trimalchione si alza (per andare) presso il vaso da notte. Noi, conquistata
la libertà senza il tiranno, cominciamo a invitare i discorsi (o anche chiacchiere) dei convitati. 10. Dama
pertanto, per primo, avendo chiesto dei bicchieri, disse: “Il giorno è niente. Mentre ti volgi da un’altra parte,
diventa notte. Pertanto non c’è niente di meglio che dalla camera da letto andare direttamente sul triclinio
(in sala da pranzo). 11. E abbiamo avuto un freddo cane. A stento un bagno caldo mi ha riscaldato. Ma una
bevuta calda è come un vestito. 12. Ne ho bevute una la, e sono pressoché ubriaco. Il vino mi è andato al
cervello”.

42,1. Seleuco prende parte al discorso, e disse “Io non mi lavo tutti i giorni; il bagno infatti è una macchina
per il macero, l’acqua ha i denti e il nostro cuore ogni giorno si scioglie. 2. Ma quando ho bevuto una
miscela di vino con il miele mando il freddo a frasi fottere. Ma non ho potuto oggi lavarmi, infatti oggi sono
stato ad un funerale. 3. Un uomo bello, tanto buono, quel Crisanto che ha esalato l’anima. 4. Appena ora mi
aveva chiamato. Mi sembra di parlare ancora con lui. Ahimè camminiamo come otri gon . Siamo più
insigni canti delle mosche. Quelle almeno hanno un po’ di forza, noi (invece) non siamo più che bolle. 5. E
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allora se non fosse stato a dieta? Per cinque giorni non ha messo nella sua bocca dell’acqua, non una
briciola di pane. Tuttavia se n’è andato nel mondo dei più. I medici lo hanno fatto morire, anzi, meglio, la
sorte cattiva; perchè il medico non è nient’altro che una consolazione dell’animo. 6. Tuttavia gli è stato fatto
un bel funerale, un bel letto funebre con dei bei drappi. Fu compianto ottimamente - aveva liberato molti
schivi - anche se la moglie lo ha pianto malignamente (aveva poche lacrime da versare per il marito). 7. E
allora se non l’avesse accolta nei migliori dei modi? Ma una donna in quanto donna fa parte della razza
degli avvoltoi. Sarebbe giusto che nessuno facesse loro niente di bene, tanto è la stessa cosa che buttarlo
in un pozzo. Ma un amore che dura negli anni è un cancro.

43,1. Fu fastidioso e Filerote esclamò: “Ricordiamoci dei vivi. Egli ha quello che gli spettava. Ha vissuto
bene, è morto bene. Che cosa ha da lamentarsi? È cresciuto dal niente e fu pronto a raccogliere una
moneta con i denti dallo sterco. 2. Tuttavia crebbe certo che crebbe, com è un favo. Credo, per Ercole, che
egli abbia lasciato cento mila dollari, e tutti li ebbe in contanti. 3. Tuttavia io dirò, riguardo a questa cosa, la
verità, perchè ho mangiato la lingua di un cane (= dico sempre ciò che penso), fu di bocca dura, la parola
velenosa, un carattere litigioso, mica un uomo. 4. Il fratello era bravo, amico con l’amico, di mano generosa,
una mensa ricca. Egli inizi pelò una brutta gatta, ma la prima vendemmia gli raddrizzò le costole, vendette il
vino a quanto egli stesso volle (= al prezzo da lui deciso). Ma ciò che gli fece alzare il mento fu l’eredità che
ricevette, dalla quale rubò più di quanto a lui era stato lasciato.

commento:

Appro ttando della momentanea assenza di Trimalchione - che, senza troppe cerimonie, si è allontanato da
tavola per un impellente 'bisogno' - i suoi ospiti, anch'essi liberti, si abbandonano a pettegolezzi di vario
genere, in una scena di gusto quasi teatrale in cui i pensieri si succedono liberamente; resi meno lucidi
dal vino.

Al centro dei discorsi stanno ancora una volta i due temi centrali del Satyricon: il denaro, unico reale valore
nel mondo dei liberti, e il pensiero della morte, a cui si accompagna l'invito a godere le gioie materiali della
vita, in una sorta di degradato carpe diem.

Prende la parola il convitale Dama che, attraverso modi di dire (le frasi sono brevi e non collegate
sintatticamente) riprende il tema della morte, già a rontato in Seneca. Egli infatti dice che il giorno è niente
e che non appena ti giri è notte (quindi che la vita sia breve) e che è meglio andare dalla camera dal letto al
salone (quindi dormire e mangiare). Ciò costituisce una ripresa dei motivi dell’edonismo epicureo che
vengono rappresentati come abbassati di gradi, sono infatti trivializzati —> uno dei motivi polemici del
Satyricon è la trivalizzazione della cultura: il realismo diventa puro strumento di satira.

Per comprendere questa ironia è necessario possedere conoscenza della letteratura precedente.

A questo punto Rappresenta in modo piuttosto icastico la storia di un uomo che dal niente è diventato
ricco. È partito con una ricchezza minima ed era pronto a tutto. Con la sua ricchezza si è comprato il pianto
funebre.

- Il Satyricon è caratterizzato da un’escursione linguistica molto forte.

- Per rappresentare la precarietà della vita e la fragilità dell’esistenza vengono usate delle immagini
idealizzate: gli uomini vengono paragonati ad otri gon e a delle bolle.

- Si procede per frasi brevi, spesso ellittiche del verbo come è proprio del parlato, talvolta sono presenti
anche anacoluti.

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IL SERMO VULGARIS DEI LIBERTI
Nella Cena Trimalchionis, soprattutto nelle parti in cui vengono riportati in forma diretta i discorsi dei liberti,
Petronio adotta volutamente un linguaggio vicino al parlato dei ceti bassi, riproducendo il cosiddetto
sermo vulgaris, ossia appunto il latino parlato dal popolo (vulgus).

Questa lingua - cui deriveranno in seguito gli idiomi romanzi - risulta assai diversa dal latino classico dei
testi letterari, sia nella sintassi, che predilige forme paratattiche e talora scorrette, sia nella morfologia e nel
lessico, in cui abbonda no termini inconsueti tipicamente colloquiali.

• Numerosi sono anzitutto i grecismi, frequenti nel linguaggio colloquiale anche per indicare oggetti di uso
comune, come lasanum o saplutus.

Numerose sono anche le neoformazioni modellate sul greco, come topanta (forma popolare errata per il
greco tà pánta, lett. «tutte le cose», equivalente a «factotum»), o lapatria («prostituta»), o ancora baliscus
(«bagno»).

• Spesso nel sermo vulgaris si veri cano inoltre i cosiddetti metaplasmi, ossia i passaggi di un termine da
una declinazione all'altra o da un genere a un altro: per esempio: balneus (maschile) per balneum (neutro),
vinus per vinum e fatus per fatum (—> si perde il neutro)

• Un fenomeno fonetico tipico del sermo vulgaris, che ha lasciato traccia anche nelle lingue romanze, è la
caduta della vocale atona in posizione post-tonica, come è evidente nelle forme calfecit per calefecit e
calda per calida, così come frigdus per frigidus.

• In altri casi, termini tipici del latino classico sono sostituiti da altri vocaboli, più espressivi e coloriti. Per
esempio Planctus est, perfetto passivo di plango (da cui l'italiano «piango»), usato in luogo del più
classico eo. Postclassico è anche l'aggettivo linguosus («linguacciuto»), così come l'aggettivo bellus che
sostituirà in tutte le lingue neolatine il classico pulcher.

• Alcuni vocaboli restano di origine incerta. Per esempio l'aggettivo matus, che darà poi l'italiano 'matto',
deriva forse da maditus nel senso di «impregnato», «imbevuto (di vino)», ossia «ubriaco» e quindi
«abbrutito», «folle».

• L’oscillazione della forma attiva deponente: stiamo perdendo in questa fase anche l’uso del
deponente, infatti al giorno d’oggi esistono solo verbi attivi o passivi, e non deponenti.

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Nella parte nale dell’opera si de nisce una rivalità tra Encolpio e Ascilto che porta via con sé Gitone,
che diventa così oggetto della contesa.

Anche in questo caso abbiamo una scena che richiama un tophos letterario: dopo il rapimento di Gitone,
Encolpio si a igge e questa sua a izione, unita al lamento sulla riva del mare, ricorda Achille che si
lamenta con la madre Del sempre sulla riva del mare. Quindi vengono ripresi alcuni topoi dell’epica
abbassati di grado e idealizzati.

Nelle peripezie di quetso frammento abbiamo Encolpio che, rimasto solo e a ranto, entra in una pinacoteca
dove ha modo di conoscere un nuovo personaggio, Eumolpo, un letterato ma anche un avventuriero, infatti
successivamente si aggregherà al gruppo. Questo Eumolpo recita dei versi sulla presa di Troia che
ovviamente non riscuotono il successo del pubblico e questo insuccesso ci ricorda l’insuccesso del rettore
Agamennone.

L’avventura prosegue: Encolpio riesce a recuperare Gitone e a liberarsi di Ascilto, che da questo
momento scompare e viene sostituito in un nuovo triangolo amoroso da Eumolpo.

Nel frammento successivo è presente un altro topos che riguarda la rappresentazione del viaggio per mare.
Infatti Encolpio, Eumolpo e Gitone si imbarcano su una nave mercantile. Devono abbandonare in modo
precipitoso la città e durante la rotta in questo viaggio per mare il padrone della nave, Lica, si scopre che
è un nemico di Encolpio e nutre desideri di vendetta nei suoi confronti. Ma non sappiamo per quale
motivo lo conosca e per quale motivo debba vendicarsi. Encolpio cerca di camu arsi ma si capisce che è
ormai in balia dei sentimenti di vendetta di Lica. Allora Eumolpo cerca di mediare e di distrarre i compagni
di viaggio raccontando la storia della matrona di Efeso.

Segue un tempesta con naufragio, la nave va a picco ma i tre protagonisti riescono a sopravvivere
approdano fortunosamente sulla riva (topo che ci ricorda l’Odissea). Arrivano in questa città, Crotone,
dove vivono una nuova avventura.

In città ci sono vecchi ricchi senza eredi che spesso diventano preda facile dei cacciatori di testamenti,
ossia persone che si o rono di fare favori a questi vecchi per ottenere in cambio dei testamenti che li renda
eredi. Eumolpo fa la parte del ricco senza eredi ed è assecondato da Encolpio e da Gitone che fanno
nita di essere i suoi schiavi. È Interessante che Eumolpo, tra le varie cose che dice, declama dei versi
tratti dal Bellum civile di Lucano. Quetso costituisce uno degli elementi di discussione riguardo la datazione
dell’opera perchè probabilmente questo poema di Lucano circolava già prima che Lucano morisse.

Nell’ultima fase del racconto si capisce che questi tre personaggi riescono a vivere alle spalle dei cacciatori
di testamenti e nella scena nale, Eumolpo dice che è disposto ad evolvere tutti i suoi beni a coloro che
sono disposti a cibarsi delle sue carni una volta morto —> scena di cannibalismo, negazione di ogni
forma di civiltà e di etica. Questa idea della vita che porta persino al cannibalismo, infatti, fa si che gli
uomini siano addirittura disposti ad essere cannibali. È presente quindi una critica feroce ad una società
in cui il valore del denaro aveva soppiantato qualsiasi altro valore umano. Siamo difronte alla ne della
pietas, uno dei valori tradizionali di Roma del mos maiorum.

Questa scelta che suscita orrore viene poi anche giusti cata da una serie di eventi del passato nei quali si
era già veri cato il cannibalismo.

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GLI ASPETTI FORMALI DELL’OPERA
Genericamente quando parliamo del Satyricon parliamo di romanzo latino. Si tratta, però, più precisamente
di narrativa di invenzione. Nessun opera della latinità presenta una complessità letteraria analoga:

- trama complessa: ci sono tante scene che sono correlate da numerosi richiami narrativi

- forma complessa data dalla prosa con inserti poetici. La funzione di questo contrasto è l’ironia che crea
uno straniamento rispetto alla situazione rappresentata.

Abbastanza interessante è la gura del narratore: il romanzo è narrato da Encolpio in prima persona.
Questo narratore è passivo, ingenuo ed è sottoposto ai continui colpi e rivolgimenti della fortuna.

Gli antecedenti letterati:

- Un riferimento letterario è la satira menippea, quindi un misto di prosa e versi. Per cui abbiamo
un’accostamento tra toni seri e toni comici, citazioni letterarie e volgarità, un linguaggio forbito e un
linguaggio estremamente volgare. Si crea così uno scarto rispetto alla situazione.

Queste satire erano state scritte da Varrone si era ispirato alle satire di Menippo di Gadara, losofo
cinico.

- L’altro punto di riferimento per questo genere così ibrido è al narrativa di invenzione propria del
romanzo antico. Il romanzo nell’antichità esiste ma non viene chiamato così (ma “fabula”, “historia”),
conosce una grande di usione ma non c’è nessuna codi cazione di questo genere letterario a di erenza
degli altri generi. Questo perchè, trattandosi di una letteratura di consumo e non impegnata, gli antichi
non si erano preoccupati di codi carla; oppure ci si vergognava di leggere romanzi e quindi non
rientravano nella cultura dichiarata delle persone.

Per quanto riguarda la narrativa di invenzione, nel panorama latino, abbiamo solo il Satyricon e la
Metamorfosi di Apuleio che appartiene al secolo II. La stagione del romanzo greco interessa l’età
ellenistica arrivando no al secolo IV d.C.

Il Satyricon è pensato per l’intrattenimento, quindi è una letteratura consolatoria.

L’ORIGINALITÀ DEL SATYRICON NELLA NARRATIVA DI INVENZIONE


Il realismo
Il realismo nella narrativa del Satyricon è uno strumento di aggressione satirica e la scelta del realismo si
colloca in opposizione al sublime letterario. Vengono infatti ripresi numerosi motivi della letteratura colta
che vengono rappresentanti con realismo nella lingua propria degli ambienti e anche con una
caratterizzazione dell’ambiente molto realistica e questo costituisce una sorta di scarto e di antagonismo
rispetto al sublime. Quindi si ha:

- pluralismo linguistico (vedi la scelta di Trimalchione che ci rappresenta i diversi linguaggi parlati dai
liberti nel loro quotidiano),

- luoghi rappresentati con realismo (luoghi propri del mondo rimano: scuole di retorica, ambienti in cui
avvengono i riti misterici, la pinacoteca, il banchetto, la piazza del mercato, il postribolo),

- Encolpio, il protagonista di queste avventure, è uno scolasticus (il suo latino è colto) e molto spesso si
immedesima nelle grandi gure del mito (quando esprime il suo lamento sulla riva del mare ricordando
Achille che si lamenta con la madre Del sempre sulla riva del mare; oppure ancora quando cerca Gitone
in città dopo che è stato portato via da Ascilto, ricalcando la ricerca che Enea fa quando si rende conto
che Creusa non lo sta più seguendo e corre in città a cercare la sposa) ed è come se recitasse una parte
cercando di nobilitare la realtà che sta vivendo. Ma l’e etto che si crea è un e etto di scarto: è come se
quel motivo drammatico, che era proprio del genere epico, viene abbassato di grado e per certi aspetti è
come se diventasse una situazione comica.

Questo realismo corrosivo e antagonista del sublime letterario e lo scarto c he si crea nelle situazione in cui
Encolpio recita una parte che fa rifermento a topoi letterari sono tutti elementi che nel Satyricon servono a
mettere in evidenza un motivo centrale: l'inadeguatezza della letteratura per rappresentare la realtà.

Anche il genere della satira utilizza il realismo nella rappresentazione, ad esempio, dei tipi sociali. Nella
satira questo realismo è funzionale alla rappresentazione delle realtà e su quella realtà viene dato un
giudizio di tipo morale che si ispira a degli ideali e a dei valori.

Nel Satyricon, invece, vediamo il realismo ma è il realismo stesso che viene utilizzato per criticare e creare
situazioni di scarto che veicolano un giudizio inespresso. Il lettore, quindi, non è guidato in un giudizio
morale tant’è vero che la narrazione avviene in prima persona e il narratore stesso è un personaggio
immorale. Quindi potremmo dire che questo narratore immorale è come se facesse una parodia della satira.

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La parodia
Encolpio è un personaggio immorale e mitomane, ossia si immedesima negli eroi del mito:

- una prima parola è quella nei conforti dell’Odissea: il viaggio che egli compie ricorda il viaggio di odissea,

- poi ancora, sempre riprendendo l’Odissea, Encolpio risulta essere perseguitato da Priaco, come Odisseo
era perseguitato da Poseidone,

- la parodia dell’Eneide

- la parodia del Simposio platonico

- la parodia del romanzo greco: l’amore idealizzato della coppia di giovani qui diventa un amore non
idealizzato ma con sfondo erotico e sessuale.

Dall’altra parte, per Petronio, il romanzo greco rappresenta la forma più degradata della grande
letteratura del passato. Quindi ne fa la parodia rovesciando ironicamente il ruolo dell’eroe Encolpio che
diventa una sorta di antimodello dell’eroe: è debole, immorale e vittima delle illusioni alimentate dalla
cultura scolastica. Smascherando tutte le illusioni di Encolpio viene fatta una parodia dei modelli
romanzeschi e viene smascherata la trivializzazione dei paradigmi sublimi che vengono ridotti a degli
schemi melodrammatici.

[Lo stesso meccanismo lo abbiamo visto con la Didone abbandonata del Metastasio: veniva rappresentato per un
grande pubblico questo motivo della Didone abbandonata secondo il criterio dell’accessibilità, della cantabilità, e
quindi anche la tensione drammatica di questo personaggio viene abbassata di grado e quindi da dramma diventa
melodramma. Così accade anche ad Encolpio e alla situazioni che egli si trova a vivere].

IL RAPPORTO TRA NARRATORE E AUTORE


Il narratore del Satyricon è Encolpio, personaggio che viene continuamente screditato, un antieroe.
L’autore (Petronio), invece, è nascosto ed è il registra di questa demisti cazione attraverso la
narrazione. L’autore fa una satira della cultura trivializzata dai generi letterari di consumo. D’altra parte viene
criticato anche l’autoritarismo culturale che morti ca la realtà: si dice che la scuola ha morti cato, ha ridotto
i grandi testi della letteratura classica ad un vuoto schematismo. Vediamo che da un lato è come se si
dicesse che si deve ria ermare la grande letteratura e i grandi valori che stanno dietro questa letteratura e
lo si fa facevano vedere il degrado di quei valori che vengono interpretati da personaggi degradati e resi
ottusi dalla cultura declamatoria di usa nelle scuole. È un po’ come se la letteratura trivializzata e
abbassata di grado e la scuola che ha insterilito la cultura abbiano morti cato la cultura.

Il realismo con valore demisti catorio senza il giudizio del narratore sarà proprio del realismo che si
a ermerà nella letteratura dalla metà del 800 con Flaubert che dichiara il suo debito nei confronti di
Petronio.

Nella letteratura del 900, con Pirandello, vedremo che i personaggi tragici rimarranno senza autore perchè
la letteratura non è più in grado di rappresentare la drammaticità del reale.

Giambattista Conte, nel suo saggio intitolato “L’autore nascosto, un’interpretazione del Satyricon”, mette
in evidenza il fatto che il narratore nascosto è ironico nei confronti dei personaggi. La parodia che viene
rappresentata non riguarda la letteratura sublime ma i personaggi che l’hanno degradata e trivializzata e
soprattutto viene parodiata la cultura scolastica e la cultura declamatoria. I personaggi cercano di dare
signi cato alla realtà meschina e degradata nella quella essi vivono posando in modo teatrale e cercando di
dare una rappresentazione della loro storia in termini nobili e solenni, ma di fatto non fanno altro che
abbassare melodrammaticamente il livello di ciò che dicono.

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Gli ANNALES di TACITO

L’identi cazione dell’autore del Satyricon avviene di solito tradizionalmente con Petronio di cui ci parla
Tacito negli Annales, anche se in questo testo non c’è nessun riferimento all’opera di Petronio. Il ritratto
che Tacito ci da di Petronio è un ritratto paradossale, ossia in cui coesistono caratteristiche opposte e
inconciliabili tra loro. Questa caratteristica del ritratto paradossale, infatti, è anche funzionale a
rappresentare una realtà disorganica, i cui opposti e tendenze opposte sono inconciliabili.

Nel capitolo I degli Annales c’è il ritratto paradossale di Petronio, mentre nel XIX la rappresentazione della
sua morte che è anch’essa antifrastica rispetto alla morte degli uomini illustri.

IL RITRATTO
testo:

De C. Petronio pauca supra repetenda sunt. Nam illi dies per somnum, nox o ciis et

oblectamentis vitae transigebatur; utque alios industria, ita hunc ignavia ad famam protulerat,

habebaturque non ganeo et pro igator, ut plerique sua haurientium, sed erudito luxu. Ac dicta

factaque eius quanto solutiora et quandam sui neglegentiam praeferentia, tanto gratius in

speciem simplicitatis accipiebantur. Pro consule tamen Bithyniae et mox consul vigentem se

ac parem negotiis ostendit. Dein revolutus ad vitia seu vitiorum imitatione inter paucos

familiarium Neroni adsumptus est, elegantiae arbiter, dum nihil amoenum et molle ad uentiā

putat, nisi quod ei Petronius adprobavisset. Unde invidia Tigellini quasi adversus aemulum et

scientiā voluptatum potiorem. Ergo crudelitatem principis, cui ceterae libidines cedebant,

adgreditur, amicitiam Scaevini Petronio obiectans, corrupto ad indicium servo ademptāque

defensione et maiore parte familiae in vincla raptā.

traduzione:

Riguardo a Petronio bisogna ripetere poche cose dette sopra. Infatti per lui i giorni trascorrevano nel sonno,
e la notte negli impieghi e nei piaceri della vita; come l’operosità aveva portato alla fama gli altri, così
l’indolenza (aveva portato alla fama) questo (ossia Petronio), e non era considerato né un ubriacone né un
dissipatore, come la maggior parte di coloro che prosciugano i loro averi, ma di un lusso ra nato. E le sue
parole e le sue azioni quanto più libere e quanto mostranti una certa trascuratezza di sé, tanto più
favorevolmente erano accolte come espressioni di semplicità. Tuttavia come proconsole in Bitinia e in
seguito come console mostrò se stesso vigoroso e all’altezza dei compiti. Inseguito, rivoltosi di nuovo ai vizi
o ngendo di imitare i vizi, fu introdotto nella stretta cerchia di amici di Nerone come arbitro di eleganza, al
punto che Nerone non considera niente di dolce e piacevole se non ciò che Petronio aveva approvato.
Dunque da qui l’odio di Tigellino, come contro un rivale e più potente nella conoscenza dei piaceri. Quindi
Tigellino aizza (contro Petronio) la crudeltà dell’imperatore, rispetto alla quale le altre pulsioni cedevano,
accusando Petronio dell’amicizia con Scevino, dell’aver corrotto uno schiavo per ottenere degli indizi, e
dopo aver tolto (al servo) la possibilità di difesa e dopo aver gettato in catene la maggiore parte del gruppo
dei servi.

commento:

Tacito ci presenta il ritratto paradossale di Petronio, di cui ci dice di giorno dorme, mentre di notte si
dedica sia al lavoro che ai piaceri della vita. L’indolenza lo aveva portato alla fama; non era considerato un
ubriacone né un dissipatore, ma una persona amante del lusso ra nato.

Petronio è un personaggio anticonformista e questo suo modo di porsi come anticonformista viene
accolto come se fosse un anticonformismo naturale.

Quella “ignatia”, di cui si era parlato nel pirmo periodo, si contrappone a questo “vigentem se ac parem
negotiis”: Petronio è molto e ciente, forte, vigoroso.

Si parla ora del suo rapporto con Nerone: dopo l’esperienza del consolato in Bitinia, si dice che Petronio
torna ad essere incline ai vizi, ma non si sa se realmente fosse caduto nel vizio o se avesse nto di essere
un uomo vizioso solo per essere introdotto nella coors amicorum di Nerone. Tra Nerone e Petronio, secondo
quello che dice Tacito, si era stabilito questo legame: Petronio era stato introdotto in questa corte come
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arbitro di eleganza e pare addirittura che Nerone dipendesse dal giudizio estetico di Petronio (non
considerava nulla di dolce e piacevole se non quello che Petronio aveva approvato).

Da ciò deriva l’invidia di Tigellino nei conforti di Petronio che risulta essere, per lui, un rivale ma anche un
uomo più potente nella conoscenza dei piaceri. Tigellino quindi aizza la crudeltà dell’imperatore nei
confronti di Petronio, accusandolo dell’amicizia con Scevino, di aver corto uno schiavo e per aver tolto a
quest’ultimo la possibilità di difendersi e aver gettato in catene la maggior parte dei servi.

Il testo è molto ellittico e Tacito utilizza spesso la variatio.

LA MORTE
testo:

Forte illis diebus Campaniam petiverat Caesar, et Cumas usque progressus Petronius illic

attinebatur; nec tulit ultra timoris aut spei moras. Neque tamen praeceps vitam expulit, sed
INFINITI NARRATIVI
incisas venas, ut libitum, obligatas aperire rursum et adloqui amicos, non per seria aut quibus

gloriam constantiae peteret. Audiebatque referentis nihil de immortalitate animae et sapientium


ABLATIVO
placitis, sed levia carmina et facilis versus. Servorum alios largitione, quosdam verberibus

adfecit. Iniit epulas, somno indulsit, ut quamquam coacta mors fortuitae similis esset. Ne

codicillis quidem, quod plerique pereuntium, Neronem aut Tigellinum aut quem alium

potentium adulatus est, sed agitia principis sub nominibus exoletorum feminarumque et

novitatem cuiusque stupri perscripsit atque obsignata misit Neroni. Fregitque anulum ne mox

usui esset ad facienda pericula.

traduzione:

In quei giorni l’imperatore si era recato in campagna, e avanzato no a Cuma lì si trovava Petronio; non
sopportò di prolungare l'indugio del timore e della speranza. Né tuttavia allontanò da sé la vita
precipitosamente, ma si tagliò le vene e poi tornò a legarle a suo piacimento, parlando con gli amici, ma
non di argomenti seri, né cercando la fama di uomo coraggioso. E ascoltava mentre non parlavano
dell'immortalità dell'anima e delle parole dei sapienti, ma riferivano poesie leggere e versi facili. Colpì alcuni
dei servi con elargizioni, altri con le frustate. Iniziò il banchetto, si addormentò, come se la morte a cui era
costretto fosse simile ad una morte sopraggiunta per caso. Neppure nelle sue disposizioni testamentarie,
cosa che accade per la maggior parte di coloro che stanno per morire, adulò Nerone o Tigellino o chiunque
altro dei potenti, ma descrisse e mandò, dopo averle segnate (com il sigillo, quindi rmate), a Nerone le
nefandezze del principe sotto i nomi degli amanti e delle prostitute e l'eccezionalità di ciascun delitto.
Spezzò l'anello perché non fosse di utilità per creare pericoli.

commento:

L’imperatore si è recato a Cuma dove si trovava Petronio che teme molto questo incontro e non sopporta
l’idea di prolungare la sua so erenza, la sua agonia. Tuttavia Petronio non diede ne alla sua vita in
maniera precipitosa, ma incise le vene, le fece legare con delle bende e le fece aprire e chiudere
ripetutamente per dare l’idea di venir meno, ma poi riprendersi. C’è quindi un’idea perversa di suicidio, e
molto cervellotico è anche l’autocompiacimento.

Petronio, quindi, è come se volesse fare la parodia della morte del saggio che aveva come modello la
morte di Socrate e degli stoici che in genere colgono l’occasione di questo momento estremo per lasciare
una sorta di testamento spirituale. In questo caso, invece, gli argomenti trattati non sono seri, infatti, gli
amici, intorno a Petronio che sta morendo, non parlano di argomenti elevati, come l’immortalità dell’anima,
ma preferiscono poesie leggere e versi divertenti.

Si dice poi che Petronio ad alcuni servi fece un lascito, altri li colpì con la frusta. Iniziò poi il banchetto e
Petronio si addormentò come se la morte a cui era costretto fosse simile ad una morte sopraggiunta
per caso.

Nell’ultimo passo, in ne, è possibile notare quel vigore del personaggio che era stato ricordato nel ritratto
paradossale precedente: coloro che erano coretti a darsi la morte, perchè sospettati di aver partecipato alla
congiura, molto spesso nel loro testamento mettevano delle parole benevole nei confronti di Nerone e di
Tigellino per evitare che i loro parenti venissero a loro volta perseguitati, quindi per evitare che continuasse
la persecuzione anche nei confronti dei famigliari. Petronio, invece, non è un adulatore dei potenti
neanche in punto di morte, anzi descrisse attentamente tutte le infamie e le nefandezze dell’imperatore, e
dopo avere apposto ad esse il suo sigillo (così che fosse riconoscibile la denuncia) le mandò a Nerone.

sotto i nomi degli amanti e delle prostitute, e l’eccezionalità di ciascun delitto.

Lo stile di Tacito non è classico, ma ellittico; fortemente variato con costrutti brachilogici e alcuni tratti sono
anche oscuri dal punto di vista sintattico.

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