Sei sulla pagina 1di 56

Menandro

e la Commedia Nuova

Aristotele e i caratteri Seguendo l’evoluzione di alcune forme poetiche nell’Atene del IV secolo e acco-
della Commedia standoci alla prima teorizzazione dell’arte drammatica e dell’«etica dei caratteri»
compiuta da Aristotele, abbiamo individuato alcuni elementi che avrebbero inciso
nella produzione teatrale e letteraria successiva: tipizzazione dei personaggi, am-
bientazione non più legata alla polis ateniese e al contesto politico e sociale locale.

L’evoluzione tecnica Già prima, del resto, avevamo sottolineato come, dal punto di vista «tecnico«, le
dell’ultimo Aristofane opere dell’ultimo Aristofane – quello delle Ecclesiazuse, del Pluto e dei perduti
Cocalo ed Eolosicone – mostrassero caratteristiche nuove rispetto alle sue com-
medie precedenti: assenza della parabasi, impoverimento dei canti corali, che già
tendono a essere sostituiti da intermezzi improvvisati, segnalati nella tradizione
manoscritta, come nei papiri menandrei, dalla sigla ΧΟΡΟΥ), eclissi dell’ele-
mento politico a favore della fantasia utopica.

dalla Commedia antica alla Commedia Menandro e la Commedia Nuova


nuova
la cosiddetta Commedia di mezzo
U na tradizione che appare attestata per la prima volta nella prima metà del II
secolo d.C., ma che risale ad età ellenistica (probabilmente ad ambiente pe-
ripatetico) individua, fra la Commedia «Antica» di Aristofane e dei suoi contem-
poranei e quella «Nuova» (Νέα) di Menandro, Difilo, Filemone ecc., una fase
«Mediana» (Μέση).
114 MENANDRO E LA COMMEDIA NUOVA

Le cause In particolare, il breve trattato di Platonio I diversi tipi di commedie (Περὶ


del trapasso διαφορᾶς κωμῳδιῶν), di età imprecisabile ma comunque pre-bizantina, indi-
vidua la causa del passaggio dalla Commedia Antica alla Commedia di Mezzo
nella repressione politica e nella limitazione delle libertà civili intervenute verso
la fine della guerra del Peloponneso. Tali “censure” avrebbero determinato sia la
rinuncia ai contenuti politici e all’attacco ad personam a favore di soggetti come
la parodia di miti noti dall’epica o dalla tragedia, sia la scomparsa dei canti del
coro («...dal momento che i poeti non avevano a disposizione i coreghi che finan-
ziassero i coreuti»), sia infine la trasformazione delle maschere, che non sono più
caricature «somiglianti ai personaggi presi di mira» ma genericamente comiche.

Caratteristiche Senonché, non essendoci pervenuta alcuna commedia intera appartenente a que-
della «Commedia sta fase «mediana», ci riesce difficile individuare la cesura fra di essa e la com-
di Mezzo»
media «nuova». L’unico elemento caratteristico rimane forse la diffusa presenza,
nei frammenti superstiti della Commedia di Mezzo, di quella parodia mitologica
che per altro era già stata saltuariamente praticata da poeti della Commedia An-
tica come Cratino negli Odissei. Certo è che già nella produzione del periodo
380-350 a.C. si cristallizza quella casistica di tipi fissi (in primo luogo il cuoco)
che ritroviamo nella Nea e poi nella palliata romana, mentre dal punto di vista
qualitativo due opposte ma complementari caratteristiche della Mese dovette-
ro essere «l’ingegnosità nei dettagli e la povertà d’invenzione nella costruzione
complessiva» (H.-G. Nesselrath).

Alcuni autori: La tradizione antica conosceva i nomi di 57 poeti della Commedia di Mezzo, con
Antifane 607 opere.
Antifane (Ἀντιφάνης) di Smirne (o di Rodi) nacque verso il 405 e rappresentò
la sua prima commedia fra il 386 e il 383 a.C. Riportò 13 vittorie, di cui otto alle

Cratere a calice siciliano, del Gruppo di


Manfria. Circa 340-330 a.C. Da Lentini; ora a
Menandro e la Commedia Nuova

Lentini, Museo Archeologico.


La scena si svolge su un palcoscenico aperto
sulla fronte e accessibile con una scala, dinanzi
al quale sono incensieri inquadrati da nastri
stilizzati. Un goffo Eracle, riconoscibile solo
grazie alla pelle leonina gettata sulle spalle,
cerca di assalire Auge e di strapparla al santuario
di Atena Alea, di cui è divenuta sacerdotessa per
volontà paterna. Il santuario è caratterizzato
dalle quattro colonne ioniche e dalla statua della
dea posta su una colonna dinanzi all’altare cinto
da fronde d’alloro. Alla violenza usata contro
Auge assistono due altre figure: a sinistra è il
padre Aleo, mentre a destra è una vecchia donna,
probabilmente la nutrice. Ambedue i familiari non
danno segno di difendere la giovane; anzi, appaiono
piuttosto indifferenti se non loscamente consenzienti,
in sintonia con la rivisitazione parodistica dell’intera
vicenda: la quale, successivamente alla perduta Auge di
Euripide, fu trattata in due omonime commedie (quella
di Eubulo risale alla metà del IV secolo a.C.).
DALLA COMMEDIA ANTICA ALLA COMMEDIA NUOVA 115
Cratere a calice pestano, di Lenee, componendo un altis-
Astéas. Circa 350-340 a.C.
Da S. Agata dei Goti; ora a simo numero di commedie (le
Berlino, Staatliche Museen. fonti oscillano fra 260 e 365),
Il vecchio avaro Carino
(Cari`no~) difende
dunque non solo per il teatro
inutilmente la sua di Atene. Di esse ci restano
cassaforte, sulla quale si
è sdraiato nel disperato
circa 130 titoli e poco più di
tentativo di proteggerla 330 frammenti, alcuni anche
da due furfanti che lo abbastanza estesi, per un totale
minacciano da ambo i
lati. Intanto il primo, di di un migliaio di versi. I titoli
nome Gimnilo (Gumnilov~), attestano, oltre che l’interesse
lo afferra per un piede;
invece l’altro, Cosilo per la parodia mitologica (Ado-
(Kwsivlo~), lo strattona ne, Atamante, Asclepio, Medea,
per un braccio e gli strappa
il mantello. Tenendosi alla Baccanti ecc.), attenzione per
larga da ogni rischio, il tipi umani e mestieri (Eredi-
servo Carione (Karivwn)
assiste in disparte al
tiera, Giardiniere, Medico,
tentativo di rapina. Il Augure, Parassita), per i mo-
movimentato episodio
trova sicura ispirazione
ralisti (Μισοπόνηρος «Odia-
nella Commedia di Mezzo, tore dei malvagi») e varie fi-
che fu molto attenta alle
parodie incentrate sui tipi
gure di artisti: flautisti e flauti-
umani. Alla scena teatrale ste, citaristi e citarodi, attori. Trattò anche problemi estetici, almeno nel prologo
alludono il palco, che della Poesia (fr. 189 K.-A.), dove lamentava la durezza del mestiere del comico,
poggia su cinque colonne
doriche, e forse la porta costretto a inventare sempre nuove trame e situazioni, mentre al tragediografo
socchiusa che si intravede bastava rielaborare attorno a uno dei soliti personaggi un mito a tutti noto; altro-
a sinistra. In alto sono
appese due maschere, viste ve dileggiava il turgore tragico e ditirambico e caratterizzava plasticamente la
di profilo, che forniscono lingua astratta di un filosofo (probabilmente Eraclide Pontico) come una «danza
un’ulteriore e sintetica
caratterizzazione teatrale. con le mani» (fr. 111 K.-A.). Dalle citazioni in Ateneo risulta poi che anch’egli,
Il vaso reca la firma di come altri comici della Commedia di Mezzo, si dilungava nella rievocazione di
As(s)téas (∆Assteva~
e[grafe).
ricette gastronomiche.

Anassandride Anassandride (Ἀναξανδρίδης) nacque a Camiro, nell’isola di Rodi, o a Colofone,


intorno al 400 a.C., e fu autore di 65 commedie; è attestata la sua partecipazione

Menandro e la Commedia Nuova


agli agoni teatrali ateniesi dal 382 al 347 e, nel 376, la sua prima vittoria (ne ottenne
in tutto 10). Conosciamo una quarantina di titoli, di cui 14 di argomento mitico (ad
es. Elena, Eracle, Dioniso). Non mancano nei frammenti superstiti (un’ottantina)
allusioni a situazioni politiche contemporanee, nonché un’apostrofe al pubblico
in tetrametri giambici catalettici (fr. 35 K.-A.), ma le testimonianze sottolineano
il fatto che egli avrebbe anticipato la tematica prevalente nella Commedia Nuova,
portando per primo sulla scena vicende amorose e stupri di vergini.

Eubulo La parodia mitologica dominava nella produzione del contemporaneo Eubulo


(Εὔβουλος), ateniese, che compose un centinaio di commedie, di cui ci sono
giunti 58 titoli e circa 150 frammenti. Oltre alla predilezione per i soggetti mi-
tologici, spesso trattati in chiave di parodia tragica (in particolare di Euripide),
emerge l’attenzione per il mondo contemporaneo: dal tiranno Dionisio I di Sira-
cusa a etere famose.
116 MENANDRO E LA COMMEDIA NUOVA

Alessi Alessi (Ἄλεξις) di Turi, vissuto dal 372 al 270 circa (fu più che centenario), ope-
rò a lungo in Atene, dove sarebbe stato maestro di Menandro. Avrebbe lasciato
245 opere, di 136 delle quali conosciamo i titoli (solo 15 sembrano essere di
carattere mitologico). Forse fu Alessi a introdurre nella commedia attica il tipo
del parassita, derivandolo dalla farsa dorica di Epicarmo. Fra i temi da lui trattati
ricordiamo soggetti novellistici come Esopo e Archiloco e la parodia di Platone
nel Fedro. La sua fama giunse anche a Roma, dove Plauto ne riprese il Cartagi-
nese nel Poenulus.

Fortuna Aggiungimi un posto a tavola


La figura del parassita, una delle più tipiche e caratteristiche della Commedia Nuova,
è già ben presente e attestata nella commedia siciliana di Epicarmo e in quella attica antica.
Puoi leggere on line una storia fra teatro greco e latino di questa figura,
con numerosi passi introdotti e commentati da P. Rosa.

Cratere a calice pestano, di Astéas. Circa 350-340 a.C. Provenienza


sconosciuta; ora Vaticano, Musei Vaticani.
È questo un esempio di parodia mitologica propria anche della
Commedia di Mezzo, che trae spunto da una delle numerose avventure
amorose di Zeus. Ormai invaghito di Alcmena, che si mostra alla finestra
del palazzo, egli ha tentato di raggiungerla con la scala. Ma nella
manovra assai maldestra il vecchio Zeus ha infilato la testa tra due
pioli e adesso si sforza di liberarsi dalla scomoda posizione. Alla visita
clandestina che si svolge col favore della notte collabora il panciuto
Ermes, che cerca di fare luce con una lanterna accesa.

la Commedia nuova
Menandro e la Commedia Nuova

Caratteristiche
della Nea E sauritosi quasi completamente l’interesse per la parodia mitologica, la storia
del genere comico si concentra negli ultimi decenni del IV secolo, con la Com-
media Nuova, sulla rappresentazione di soggetti desunti dalla vita quotidiana
(specialmente di quella dell’Atene alle soglie dell’ellenismo) e dei tipi umani già
largamente fissati nella Commedia di Mezzo (l’etera, il mercenario, il parassita,
il giovane scapestrato, il padre avaro e irascibile, lo schiavo intrigante, il cuoco,
l’adulatore ecc.), e assume una definita struttura in cinque atti separati da inter-
mezzi di musica e danza (improvvisati o di repertorio).

Drammi a intrigo Vicende amorose immancabilmente a lieto fine, equivoci e malintesi, scambi
di persone, esposizioni di neonati, agnizioni impreviste: tali sono gli ingredienti
abituali di intrecci che trovano nei drammi ad intrigo dell’ultimo ventennio della
produzione di Euripide il loro principale punto di riferimento, come parimenti da
Euripide è desunto l’impiego del prologo espositivo, talora affidato a una divinità.
MENANDRO 117

menandro
notizie biografiche
Intellettuale
del circolo
di Demterio Falereo
M enandro (Μένανδρος), figlio di Diopite, nacque ad Atene, nel demo di Cefi-
sia, nel 342-341 a.C.
Apparteneva a una ricca famiglia borghese e, come si è
già ricordato, dovette essere avviato all’arte dramma-
tica da Alessi.
Educato, secondo la tradizione (cfr. Diogene Laerzio
V 36), alla scuola di Teofrasto, avrebbe fatto parte
del circolo letterario-artistico del peripatetico Deme-
trio Falereo, governatore della città per conto di Cas-
sandro a partire dal 317.
Busto di Menandro. Dopo la cacciata di Demetrio nel 307, Menandro si salvò
Marmo, copie romana di
epoca imperiale da un dall’essere processato solo grazie all’intercessione
originale greco di un parente di Demetrio che, anche dopo la cac-
(343-291 a.C.).
Roma, Museo
ciata di questi, aveva conservato una posizione in-
Chiaramonti. fluente.

Un Ateniese estraneo Di costumi raffinati, amante dei piaceri ed estraneo alle tensioni politiche, tra-
alla politica scorse quasi tutta la vita nella città natale: pare che rifiutasse anche l’invito di
Tolomeo I a trasferirsi ad Alessandria. Secondo una dubbia tradizione avrebbe
amato un’etera, Glicera (nelle Epistole di Alcifrone compaiono una lettera di
Glicera a Menandro e la relativa risposta, ma si tratta senz’altro di documenti
fittizi: è possibile leggerne un brano nel capitolo del romanzo, p. 000); una ver-
sione attestata in ambito latino (Marziale XIV 187) lo dice innamorato di un’altra
cortigiana, Taide. Morì intorno al 290, secondo un’incerta tradizione, nuotando
nelle acque del Pireo. Gli venne eretta dai figli di Prassitele, Cefisodoto e Timar-
co, una statua nel teatro di Dioniso.

Menandro e la Commedia Nuova


Gli insuccessi Esordì nel 321 con l’Ira (Ὀργή), che ottenne il primo premio. Le uniche altre
in vita… commedie databili con sicurezza sono il Dyskolos, di cui la didascalia nel papiro
Bodmer che ha conservato l’opera ci informa che ottenne il primo premio alle
Lenee del 316, e la Tosata (Περικειρομένη), per il riferimento a un fatto storico
del 314. Stando alla testimonianza delle fonti, non concordi, Menandro avrebbe
portato in scena tra le 105 e le 109 commedie (conosciamo circa un centinaio di
titoli, alcuni dei quali possono essere alternativi), ma la vittoria gli arrise solo
otto volte: il pubblico gli preferì non di rado Filemone.

… e i riconoscimenti Fu tuttavia ampiamente rivalutato dopo la morte: molte sue commedie vennero
post mortem replicate più volte ad Atene, Aristofane di Bisanzio lo additò come il secondo
più grande poeta dopo Omero, e Didimo di Alessandria, seguito da altri, redasse
commenti alle sue commedie.
118 MENANDRO E LA COMMEDIA NUOVA

Fonte La sua opera divenne anche la fonte principale delle rielaborazioni dei maggiori
dei comici latini comici latini: Plauto riprese gli Ἀδελφοί (la prima delle due commedie di questo
titolo composte da Menandro) nello Stichus, il Δὶς ἐξαπατῶν nelle Bacchidi, le
Συναριστῶσαι nella Cistellaria, l’Ἄπιστος (?) nell’Aulularia; Terenzio (che
conservò anche i titoli) rielaborò l’Andria (contaminata con la Περινθία dello
stesso Menandro), gli Ἀδελφοί (i secondi, contaminati con almeno una scena dei
Συναποθνήσκοντες di Difilo), l’Heautontimorúmenos e l’Eunuco (contaminato
con il Κόλαξ, anch’esso menandreo); Cecilio Stazio si rifece al Πλόκιον.

Fortuna e naufragio A parte le citazioni indirette, l’opera di Menandro andò completamente perduta
delle opere all’inizio del Medioevo, e il fatto è davvero singolare dal momento che un lar-
ghissimo numero di papiri compresi in un arco cronologico che va dal III secolo
a.C. al VII d.C. documenta al di là di ogni dubbio che Menandro doveva essere
un autore molto letto. Uno dei motivi di questo naufragio è probabilmente il fatto
che i puristi più rigorosi non consideravano la sua lingua un modello ineccepi-
bile.
Esamineremo dunque le commedie di cui possediamo i resti più consistenti.

memoria leTTeraria e FiloSoFiCa

la riscoperta dei testi


Fino alla metà del XIX secolo la nostra conoscenza di Menandro si fondava su circa 900 frammenti più o
meno brevi di tradizione indiretta (da un minimo di una parola a un massimo di 16 versi) e, per lo più,
sulle rielaborazioni latine di Plauto e Terenzio. Nel 1844, da un codice membranaceo del convento di Santa
Caterina nel Sinai (trovato da C. Tischendorf e ora a Pietroburgo) tornarono alla luce due frammenti, di una
cinquantina di versi ciascuno, rispettivamente dal Fantasma (Φάσμα) e dall’Arbitrato (Ἐπιτρέποντες).
Un papiro pubblicato a Ginevra da J. Nicole restituì nel 1898 parecchi versi del Contadino (Γεωργός), tre
frammenti da papiri di Ossirinco venuti alla luce in date diverse restituirono brani dell’Adulatore (Κόλαξ)
per circa 130 versi. Poi, nel 1907, la pubblicazione del papiro cosiddetto cairense (P. Cair. 43227), sco-
perto ad Afroditopoli nel 1905, resituì, oltre a una sessantina di versi di una commedia di cui resta ignoto
il titolo, un ampio frammento del Nume tutelare (Ἥρως) e soprattutto brani numerosi e molto ampi
Menandro e la Commedia Nuova

dell’Arbitrato (sommandoli ai frammenti scoperti dal Tischendorf e a più recenti ritrovamenti, di questa
commedia abbiamo ora circa 800 versi), della Tosata (circa 450 versi) e della Donna di Samo (Σαμία)
(circa 350 versi). Nello stesso 1907 da un papiro berlinese fu resa nota una settantina di versi del Citarista
(Κιθαριστής). Nel 1909 G. Zereteli pubblicò una ventina di versi molto lacunosi dalle Donne che bevono
la cicuta (Κονειαζόμεναι). Dai Papiri della Società Italiana sono riemersi due frammenti per un totale di
una sessantina di versi della Invasata (Θεοφορουμένη).
Ma le maggiori scoperte menandree sono più recenti. Fra il 1959 e il 1969 è venuta la pubblicazione del
codice Bodmer (P. Bodmer 4, 25 e 26), che ci ha restituito pressoché intero il Dyskolos (L’intrattabile;
sottotitolo: «Il misantropo») nonché, priva dei due primia atti, la Samia (sommando i frammenti cairensi
e altri ossirinchiti, ne abbiamo ora più di 700 versi) e, privo degli ultimi due atti, lo Scudo (Ἀσπίς) (con
frammenti di altra provenienza, più di 500 versi). Nel 1964 da un papiro della Sorbona che faceva parte del
cartonnage di una mummia sono stati pubblicati più di 400 versi del Sicionio, mentre soprattutto a partire
dal 1965 da vari nuovi frammenti papiracei (specialmente, ma non solo, da Ossirinco) ci sono stati resi
progressivamente noti circa 600 versi dell’Odiato (Μισούμενος), una quarantina di versi del Cartaginese
e più di 100 versi del Δὶς ἐξαπατῶν («Il due volte ingannatore», «Il doppio inganno») – quest’ultima
scoperta particolarmente importante perché, come vedremo nello specifico «Dossier», per la prima volta si
è data la possibilità di verificare i modi di rielaborazione di un originale menandreo ad opera di Plauto – e
altri brani del Phasma. Oltre alle commedie fin qui citate conosciamo i titoli di più di un’ottantina di altre,
per le quali abbiamo numerosi frammenti di tradizione indiretta.
MENANDRO 119

il Dyskolos
I l Dyskolos («L’intrattabile») ovvero Misantropo è opera giovanile, essendo
stata rappresentata, ottenendo il primo premio, alle Lenee del 316 a.C.
Il δύσκολος del titolo è Cnemone, un vecchio inselvatichito e collerico che, ormai
trama abbandonato anche dalla moglie e dal figliastro Gorgia, si è ritirato lontano dal con-
sorzio umano per dissodare un sassoso podere nel demo attico di Phylé, dove ora vive
con l’unica figlia e un’anziana serva. La ragazza, cresciuta lontano dalle lusinghe della
città, si è mantenuta semplice e pura ed è devota alle ninfe e al dio Pan, che ha voluto
premiarne la devozione facendo innamorare di lei il giovane e ricco Sostrato, capitato
nella zona per una battuta di caccia in compagnia dell’amico Cherea.
Sostrato ha mandato il servo Pirria per prendere informazioni sulla ragazza, ma questi,
giunto al podere del vecchio e interpellato direttamente Cnemone, è stato bersagliato
con un lancio di zolle e di pietre: il servo torna di corsa verso il padrone incalzato da
Cnemone in persona, che sfoga anche con Sostrato, prima di ritirarsi in casa, la sua
TT. 1-2 insofferenza per i contatti umani (vv. 1-178).
Subito dopo esce di casa piangente la figlia di Cnemone, annunciando che la vecchia serva
Simiche ha lasciato cadere un secchio nel pozzo, perché la fune marcia non aveva retto e
si era spezzata: per evitare l’ira dell’intrattabile genitore, la ragazza decide di provvedere
lei stessa ad attingere acqua ed esce al pozzo, offrendo a Sostrato l’occasione di incontrarla
e scambiare due parole: il giovane è ammirato dalla modestia e dalla riservatezza della
ragazza, che ne accrescono la grazia. Del loro colloquio si accorge però il servo Davo, che
avverte il padrone Gorgia, fratellastro della ragazza cui è sinceramente affezionato. Gor-
gia allora affronta Sostrato per saggiare la serietà delle sue intenzioni e, ottenutane piena
rassicurazione, decide di collaborare coi due giovani, convinto che per la sorella non po-
trebbe trovare partito migliore: consiglia quindi a Sostrato di non affrontare direttamente
Cnemone, ma di fingere di essere un contadino avvezzo alla fatica dei campi, così da gua-
dagnarsi la sua simpatia e potergli parlare quasi lo incontrasse per caso. Sostrato, che pure
è un cittadino estraneo alle fatiche dei campi, inizia a zappare un terreno vicino a quello di
Cnemone e si sfianca dalla fatica, nella speranza di incontrare il vecchio.
Sopraggiunge intanto una rumorosa brigata, inviata dalla madre di Sostrato che intende
offrire un sacrificio a Pan per stornare il cattivo presagio inviatole in sogno dal dio stesso:

Menandro e la Commedia Nuova


il cuoco Sicone e Geta, servo della famiglia di Sostrato bussano alla porta di Cnemone per
chiedere in prestito attrezzi per il sacrificio, ma vengono cacciati in malo modo. Frattanto
sopraggiunge Sostrato, stremato per l’inutile fatica, che incontra i partecipanti al sacrifi-
cio organizzato dalla madre e li invita a banchetto, insieme con Gorgia e il fedele Davo.
Compare sulla scena la vecchia Simiche in preda alla disperazione perché, nel tenta-
tivo di recuperare il secchio caduto nel pozzo, ha lasciato cadere anche una zappa, e
nel tentativo di recuperare secchio e zappa Cnemone stesso è precipitato in fondo al
pozzo. Viene allora salvato dall’energico intervento di Gorgia (distrattamente assistito
da Sostrato), ed è proprio questa esperienza che induce il vecchio, accompagnato in
scena ancora pesto e dolorante, a mutare il suo atteggiamento verso il figliastro: a lui,
adottandolo come figlio, ora egli affida i propri averi e insieme il compito di maritare
T. 3 la sorella (vv. 691-747).
Gorgia può dunque fidanzare la sorella a Sostrato, il quale a sua volta convince il padre
Callippide a fidanzare la figlia a Gorgia. Alla celebrazione delle duplici nozze è trasci-
nato, riluttante e ancora malconcio per la caduta, lo stesso Cnemone, prima canzonato
da Geta e dal cuoco con richieste di caldaia e tripode, poi costretto addirittura a danzare.
120 MENANDRO E LA COMMEDIA NUOVA

La τύχη regolatrice Quella del Dyskolos è una trama tipica della produzione menandrea, e più in
e l’ἦθος generale della commedia nuova, fondata sull’intreccio di vicende regolate dalla
dei personaggi
τύχη, in un orizzonte ristretto a pochi personaggi, fra di loro vincolati da legami
di famiglia o di amicizia. Peculiare dell’arte di Menandro già in questa com-
media giovanile è la tendenza alla caratterizzazione psicologica, che evidenzia
l’ἦθος dei personaggi e che sembra denunciare l’influsso della scuola peripate-
tica, soprattutto di Teofrasto, l’autore dei Caratteri, di cui Menandro era stato
discepolo (v. scheda «Teofrasto e Menandro», p. 000). Il personaggio più inte-
ressante è in questo caso il vecchio Cnemone, che propone il tipo del misantropo
avaro ed egoista, capace di un cambiamento (μετάνοια) che lo porta a rivedere
il proprio modo di essere, dopo lo scampato pericolo di morte (vv. 713-717; più
T. 3 ampiamente):
In una cosa forse ho sbagliato: come tutti pensavo
di bastare a me stesso e di non aver bisogno di nessuno.
Ora invece che ho visto la crudele e oscura
morte, ho capito che non pensavo giustamente.
C’è sempre bisogno, vicino a te, di una persona pronta a darti aiuto.

Nella μετάνοια di Cnemone si può forse intravvedere una critica nei confron-
ti della posizione filosofica dei Cinici, che predicavano l’«autosufficienza»
(αὐτάρκεια) di cui il protagonista mostra i limiti, abbracciando piuttosto, dopo
l’incidente, la posizione peripatetica che valorizza l’uomo come «animale socia-
le» per eccellenza.

Una drammaturgia Nonostante il brio movimentato della sceneggiatura, è comunque ravvisabile –


ancora immatura come osserva D. Del Corno – una certa immaturità drammaturgica, per «l’im-
perfetta saldatura fra la portata etica del ravve-
dimento e la casualità dell’incidente che
lo determina; tanto più che la derisione
finale a cui lo sottopongono i due servi
sembra sminuirne il significato».
Menandro e la Commedia Nuova

Il P.Oxy. II 211 contenente i versi 976–1008 della


Tosata. Londra, The Egypt Exploration Fund.
MENANDRO 121

la Tosata
A ltra commedia giovanile è la Tosata (Περικειρομένη), la cui composizione
deve essere collocata a ridosso del 314 a.C. per via di un riferimento (vv.
89-91) all’uccisione di Alessandro, figlio del generale macedone Poliperconte,
vittima di una congiura a Sicione. Ce ne restano quasi 500 versi.

Il titolo si riferisce al gesto di un soldato, Polemone, che in un impeto di gelosia ha


trama

reciso le chiome della sua concubina, Glicera, per punirla di un bacio ricevuto dal
giovane Moschione. Senonché Moschione è fratello di Glicera, ma di ciò è a cono-
scenza soltanto la donna, che dopo la nascita era stata esposta insieme con il fratello
e raccolta da una vecchia. Costei aveva tenuto presso di sé la bimba, facendo adotta-
re il bimbo da Mirrine, una ricca signora senza figli. La vecchia però, trovandosi in
gravi ristrettezze economiche, dopo aver allevato Glicera l’aveva ceduta al soldato
Polemone e in punto di morte le aveva rivelato le vere origini sue e del fratello.
Glicera e Moschione abitano per ragioni fortuite in case vicine, ma la donna non
ha rivelato al fratello la sua identità per non pregiudicargli lo status sociale di cui
gode. Il giovane si è innamorato proprio della sorella e una sera l’ha baciata: di qui
la reazione di Polemone, che ha saputo dell’episodio e si è sentito tradito. Questi
i complessi antefatti della commedia, raccontati nel prologo dalla dea Ignoranza
(Ἄγνοια). Ora Glicera è fuggita di nascosto e ha trovato rifugio in casa di Mirrine e
Moschione; Polemone, ancora innamorato di lei, la cerca per mezzo del servo Sosia,
che viene a sapere che la donna si è trasferita nella casa vicina. A questo punto il
soldato vorrebbe lanciare un vero e proprio attacco militare, ma ne viene dissuaso
da Pateco, un vecchio vicino di casa. Poi (ma qui le lacune del papiro rendono
problematica la ricostruzione dell’azione) Pateco si ricorda, grazie alla scoperta di
alcuni ninnoli infantili, di quando molti anni prima sua moglie era morta dando alla
luce due gemelli che egli, travolto da un dissesto finanziario, era stato costretto ad
esporre. Così, adesso, può riconoscere i due figli e assegnare Glicera in moglie al
soldato con una ricca dote.

Più di quella del Dyskolos la trama della Tosata esibisce le articolazioni conven-

Menandro e la Commedia Nuova


Una commedia
di genere zionali del genere – equivoci, esposizione di infanti, una storia d’amore il cui
lieto fine sopraggiunge grazie a un riconoscimento (ἀναγνώρισις) ottenuto per
mezzo di ninnoli infantili – poste non a caso sotto il segno e il potere della dea
Ignoranza. La figura tipica del soldato viene tuttavia rivitalizzata, come altrove
(in particolare nell’Odiato), grazie a un’originale commistione di impulsività e
di delicatezza, di propensione all’agire irruente e di capacità di meditare, penten-
dosene, sui propri comportamenti.

lo Scudo
A lla fase matura della produzione di Menandro appertiene lo Scudo (Ἀσπίς),
di cui ci restano circa 500 versi, in parte mutili.
122 MENANDRO E LA COMMEDIA NUOVA
Dal prologo informativo, recitato dalla dea Tyche e posposto a un’ampia scena ini-

trama
ziale, apprendiamo che il giovane Cleostrato, arruolatosi come soldato mercenario
in Asia Minore, è stato erroneamente creduto morto in battaglia da Davo, il suo fe-
dele pedagogo che lo accompagnava, tratto in inganno dal ritrovamento dello scudo
accanto a un cadavere irriconoscibile. Davo torna in patria con la notizia della morte
di Cleostrato e, ad un tempo, con un un cospicuo bottino di guerra, che spetta di
diritto alla giovane sorella di Cleostrato, ereditiera (ἐπίκληρος) delle sostanze del
fratello, il quale prima di partire per la guerra l’aveva lasciata sotto la tutela dello
zio Cherestrato, che viveva con la figlia e il figliastro Cherea.
Il bottino del morto presunto attira però la bramosia dell’altro zio, il vecchio e avido
Smicrine, che progetta di appropriarsene approfittando del fatto che la nipote non
ha capacità giuridica e secondo la legge dell’«epiclerato», essa può essere chiesta
in sposa dal parente più prossimo del defunto e, a parità di grado, dal più anziano.
Smicrine decide di avvalersi del privilegio concessogli dalla legge e di sposare la
fanciulla, nonostante l’opposizione del fratello Cherestrato, che cerca inutilmente di
farlo ragionare, ammonendolo sulla differenza di età e riordandogli che la ragazza
era già stata promessa a Demea e che i due giovani si amavano.
Di fronte alle pretese di Smicrine, Cherestrato e Cherea precipitano nello sconforto, ma
l’astuto Davo escogita una trappola: Cherestrato si fingerà morto in modo da indurre
Smicrine a sposare l’altra nipote, figlia dello stesso Cherestrato, divenuta ereditiera di
un patrimonio assai più cospicuo, lasciando l’altra ragazza libera di sposare il fidanzato
T. 4 (vv. 250-390).
Lo stratagemma di Davo è prontamente messo in atto e un finto medico certifica la
morte improvvisa di Cherestrato.
Qui il papiro presenta una grossa lacuna, poi il testo riprende per un breve tratto mal
ridotto, dove è riconoscibile il ritorno del morto presunto (aperto dal saluto alla sua
terra: v. 491 ὦ φιλτάτη γ[ῆ).
La commedia si doveva concludere con le doppie nozze di Cherea con la ragazza amata
e di Cleostrato con la figlia di Cherestrato.

La guerra Iniziato in un clima di tragedia, con il ritorno del fedele pedagogo Davo che
e la vita governate porta lo scudo del padrone creduto morto, e con il conseguente compianto dei
da Τύχη
famigliari, il dramma si svolge poi in un intreccio di equivoci, di beffe alternati
Menandro e la Commedia Nuova

a un dolente pathos che si dipanano seguendo il filo di eventi imprevisti regola-


ti dalla Τύχη (il cui intervento in scena è necessario a rassicurare gli spettatori
sul buon esito della vicenda, subito dopo lo sconvolgente resoconto di guerra
iniziale).
Vivida è la caratterizzazione dei personaggi, in particolare Smicrine, avido e
ipocrita e il fedele Davo, la cui astuzia suggerisce lo stratagemma risolutivo.
Interessante, perché emblematico di una nuova mentalità è il racconto della vi-
ta militare proposto da Davo: «è l’epopea del soldato di ventura in terre deserte
e bruciate da un sole implacabile, tra scorrerie e orge notturne e improvvise
imboscate.
La gloria di Omero e di Maratona è lontana, e la guerra non rimane altro che
un mestiere aspro e pericoloso, imposto dalla necessità del denaro e sottomes-
so all’arbitrio della fortuna: simbolo dei tempi nuovi e della precaria ricerca di
un’identità» (D. Del Corno).
MENANDRO 123

Per saperne di più


legami famigliari un po’ complicati
Come spesso succede nella Nea, le trame delle commedie pro- vecchio scapolo Smicrine, dall’altra il più giovane Cherestrato,
pongono intrecci complicati, la cui difficoltà è talora aggravata ricco e generoso, padre di una figlia (anch’essa non indicata
dai legami famigliari dei personaggi. Nello Scudo abbiamo due per nome) e di un giovane Demea, che in realtà è suo figliastro,
giovani orfani, Cleostrato e la sorella di cui non si conosce il in quanto nato da un precedente matrimonio della moglie. Le
nome, alle prese con due zii (fratelli del loro defunto padre) fanciulle contese, la sorella di Cleostrato e la figlia di Chere-
dal carattere molto diverso, di cui uno veste – per così dire – i strato, sono quindi entrambe nipoti di Smicrine.
panni del «cattivo», l’altro quelli del «buono»: da una parte il

l’Arbitrato
D ell’Arbitrato (Ἐπιτρέποντες, «Coloro che si rimettono a un arbitro»), un’al-
tra commedia della maturità, possediamo circa 800 versi: le lacune riguarda-
no specialmente il primo atto e la parte finale della commedia, di cui peraltro si
può ricostruire lo sviluppo complessivo
TT. 5-11 Nella sezione antologica puoi trovare tutto quello che resta della commedia.

In una delle due case collocate sulla scena abita Carisio con la moglie Panfile, nell’altra
trama

vive Cherestrato, amico di Carisio; la dislocazione dei rispettivi abitanti ha da poco


subito un’alterazione, perché Carisio, di ritorno da un viaggio, ha saputo dal servo One-
simo che Panfile, cinque mesi dopo il matrimonio, ha partorito e fatto esporre un bam-
bino: perciò egli ha abbandonato la moglie, rifugiandosi presso l’amico Cherestrato e
prendendo con sé l’etera Abrotono. L’antefatto era raccontato in parte nel colloquio
iniziale tra Onesimo e il cuoco Carione, in parte nella rhesis recitata da una divinità.
Quindi doveva comparire in scena Cherestrato, le cui riflessioni erano interrotte dall’ar-
rivo di Smicrine, padre della sposa, preoccupato soprattutto per le sorti della dote e
dunque intenzionato a convincere Panfile ad abbandonare Carisio.
Dopo una lacuna che arriva fino all’inizio del secondo atto, assistiamo all’alterco per

Menandro e la Commedia Nuova


strada fra il pastore Davo e il carbonaio Siro: oggetto del contendere sono una collana
e altri oggetti di un certo valore che accompagnano un neonato esposto, che Davo ha
raccolto con l’intenzione di tenere con sé e di allevare. In un secondo momento, però,
riflettendo sulla povertà della propria condizione di vita, il pastore si era pentito della
decisione e aveva accettato di lasciare il bambino a Siro, la cui moglie aveva recente-
mente perduto un figlio. Sirisco però reclama gli oggetti preziosi che appartengono al
bambino, che Davo ha trattenuto, ma che possono costituire importanti segni di rico-
noscimento (γνωρίσματα) per poter individuare i genitori. Smicrine, che si trova ad
assistere al diverbio, viene chiamato come arbitro dai due contendenti (da qui il titolo
Ἐπιτρέποντες della commedia) e sentenzia che tutti i gioielli che accompagnano il
fanciullo spettano a colui che lo ha preso con sé, cioè a Siro. Mentre Siro passa in ras-
segna i singoli oggetti, sopraggiunge Onesimo: riconosce fra di essi un anello smarrito
dal suo padrone Carisio e riesce a farselo consegnare in custodia per un giorno. Ma
Onesimo esita a mostrare l’anello al padrone, che in quei giorni è particolarmente in-
trattabile e, tuttora innamorato della moglie, è pieno di risentimento nei confronti di chi
lo ha spinto a lasciarla.
124 MENANDRO E LA COMMEDIA NUOVA
Nel frattempo l’etera Abrotono ha deciso di abbandonare Carisio che la tratta con indiffe-
renza e di restituirgli il denaro ricevuto; in strada coglie una discussione fra Siro, che pre-
tende l’immediata restituzione dell’anello e Onesimo, che ribadisce di riconoscere l’anello
smarrito dal padrone alle Tauropolie dell’anno precedente: Onesimo sospetta che nel corso
della festa il padrone, ubriaco, abbia usato violenza a una ragazza e che essa, avuto il
bambino, l’abbia abbandonato. In questo caso, il trovatello adottato da Siro sarebbe figlio
di Carisio. La ricostruzione delle vicende richiama alla mente ad Abrotono un episodio
di violenza su una fanciulla, cui lei stessa aveva assistito proprio durante le Tauropolie
dell’anno precedente. Per verificare in via preliminare la responsabilità di Carisio l’etera
decide di inscenare una «recita»: recatasi da Carisio, finge di essere la ragazza violata e
T. 8 gli mostra l’anello che dice di avergli strappato dal dito in quell’occasione (vv. 464-556).
Venuto a sapere la cosa, Smicrine cerca di persuadere la figlia a lasciare il marito, in un
dialogo cui assiste anche Carisio, non visto, ma Panfile gli oppone il proprio impegno
a condividerne l’esistenza nel bene e nel male. Smicrine si allontana e Panfile rimane
sola e in lacrime. La vicenda sembrerebbe giunta a un nodo insolubile, ma sopraggiun-
ge Abrotono, che reca il bimbo in braccio e riconosce in Panfile la fanciulla violentata
alle Tauropolie: così le svela che Carisio è il padre del neonato.
Mentre le due donne entrano in casa di Carisio, da quella di Cherestrato esce Onesimo
sconvolto: dopo aver riferito della folle reazione del padrone all’udire il colloquio tra
Smicrine e Panfile, ne annuncia l’ingresso in scena. Segue appunto un monologo di
Carisio, che si dispera per aver agito con tanta stoltezza di fronte a un infortunio invo-
T. 10 lontario della moglie (vv. 878-931).
Una volta che anche Carisio ha appreso da Abrotono che il fanciullo ritrovato è figlio
suo e di Panfile, nel finale Onesimo si prende beffe di Smicrine (mentre nella parte
perduta Abrotono, riscattata da Carisio, doveva ottenere la condizione di donna libera
e forse fidanzarsi con Cherestrato).

Un capolavoro L’intreccio è di straordinaria e ben orchestrata complessità, fondato su tecniche


di caratterizzazione drammaturgiche proprie della tragedia, in particolare di Euripide (si pensi alla strut-
psicologica
tura di peripezia dello Ione), ma anche di Sofocle (in particolare la serrata indagine
indiziale dell’Edipo Re) reimpiegate in chiave comica: nella trama si succedono
risvolti inaspettati, coincidenze e colpi di scena che sembrano dirigere l’azione al
punto insolubile del non ritorno, ma che si risolve in virtù dell’azione della Τύχη
Menandro e la Commedia Nuova

e di un recuperato sentimento di solidarietà umana che anima i protagonisti. «Ma


quello che fa di questa commedia menandrea un autentico capolavoro – osserva
R. Pretagostini – è la caratterizzazione psicologica dei personaggi: alcuni di questi
infatti, pur derivando da una tipologia tradizionale, rivelano sentimenti peculiari.
Panfila e Carisio impersonano i due aspetti del legame amoroso in una società
fondata su valori maschilisti, che emergono soprattutto dall’episodio dello stupro;
pur accomunati da una sentimento d’amore reciproco, i due giovani reagiscono in
modo pressoché opposto alle vere o presunte umiliazioni: la donna con dignitosa e
ferma abnegazione, l’uomo con ostentato ma impotente orgoglio».
La vera soluzione del dramma si ha quando, ancor prima che l’intrigo venga
chiarito, Carisio comprende la tempra morale della moglie e in questa prospetti-
va rivede il proprio modo di essere e di agire: la prova che i coniugi hanno dovuto
superare e che li porta alla felice soluzione si traduce in una riscoperta di se stessi
e del loro legame in virtù dei loro sentimenti.
MENANDRO 125
Elemento ancora più originale è l’emergere di due personaggi umili, Siro e Abro-
tono, il carbonaio e la flautista, che sono i veri portatori del valore della solidarie-
tà umana, in particolare Abrotono, cui la viva sensibilità consente di rinunciare
al progetto che vagheggiava: farsi passare per la madre del bambino e ottenere
l’affrancamento per via legale. Inizialmente mossa dall’interesse personale di
conseguire il suo scopo, vi rinuncia poi in nome di una disposizione al bene che
si traduce in «istinto gioioso di compierlo» (D. Del Corno).

Samia
I ncerta e basata su criteri stilistici interni è la datazione della Samia o Donna
di Samo (Σαμία), di cui sono sopravvissuti circa 700 versi: la scaltrita tecnica
teatrale e l’abilità con cui procedono in parallelo lo sviluppo della vicenda e l’ap-
profondimento psicologico dei caratteri inducono a collocare questa commedia
nella fase più matura della produzione menandrea.
L’azione si svolge su una strada di Atene e, come al solito, la scena rappresenta due ca-
trama

se: quella del vecchio e benestante Demea e quella del suo amico Nicerato. Nonostante
l’età avanzata, Demea tiene con sé come concubina Criside di Samo e vive con il figlio
adottivo Moschione, un giovane timido e introverso. Durante un’assenza di Demea in
compagnia di Nicerato, Moschione, in una notte di festa ha sedotto Plangone, la figlia
di Nicerato, che ha poi partorito un bimbo. Innamorato della ragazza, Moschione vor-
rebbe sposarla, ma non sa come affrontare il padre, cui è legato da rispetto e gratitudine
per tutti i benefici da lui ricevuti. Al ritorno dei due vecchi e fino a che Moschione non
abbia parlato con Demea, dietro suggerimento del servo Parmenone si decide di fingere
che il bambino partorito sia di Criside.
Demea, che ritiene il neonato frutto della propria relazione con la concubina, vorrebbe
liberarsene, nel timore che Criside avanzi diritti di moglie, ma ne viene dissuaso da
Moschione, che convince il padre a tenere Criside insieme col bambino e gli confida il
proprio amore per Plangone, incontrando in questo l’assenso di Demea, che già deciso
di dare in sposa a Moschione la figlia dell’amico Nicerato. Vengono subito affrettati i

Menandro e la Commedia Nuova


preparativi per il matrimonio, da celebrarsi quel giorno stesso.
Ma neppure ora l’indeciso Moschione rivela al padre la verità sul neonato: anzi, la
situazione precipita perché Demea, non visto, ascolta per caso la conversazione fra
due serve di casa, dalla quale crede di capire che il bimbo è nato da una relazione tra
Moschione e Criside. Indignato con l’etera, a cui addossa l’intera responsabilità del
T. 12 presunto rapporto col figlio, la caccia via di casa insieme col bambino (vv. 369-398).
Criside e il bimbo vengono ospitati nella casa di Nicerato, ma questi, scorgendo la
figlia Plangone in atto di allattare il piccolo, comprende chi sono i veri genitori e ora
è lui a cacciare di casa e addirittura ad inseguire l’etera, rea ai suoi occhi di tutta la
macchinazione; ma Criside viene ora protetta da Demea appena sopraggiunto, al quale
Moschione ha finalmente rivelato la verità.
Chiarita ogni cosa, il matrimonio fra Moschione e Plangone sarebbe ormai pronto, ma
adesso tocca al giovane sentirsi offeso per i sospetti nutriti dal padre nei suoi confronti:
finge così di voler andare ad arruolarsi come mercenario, salvo tornare prontamente
sui propri passi di fronte al caldo appello di Demea e ai bruschi rimbrotti del futuro
suocero. Segue il rito nuziale.
126 MENANDRO E LA COMMEDIA NUOVA

la matrice dualistica della Samia


La complessità della commedia va fatta risalire a una matri- avvio a due movimenti drammatici distinti, anche se connessi:
ce dualistica. Tale matrice è costitutiva dell’intera Commedia a) da un lato, la vicenda che porterà Moschione a sposarsi fi-
Nuova, ma è intensamente attiva soprattutto nella Samia, e ne nalmente con Plangone;
informa in profondità sia la struttura narrativa che le relazio- b) dall’altro, il chiarimento dell’equivoco di Demea e la sua ri-
ni tra i personaggi, nonché la ricca serie di contrapposizioni conciliazione con Criside e con Moschione.
tematiche di cui è intessuta, quali i rapporti padre/ figlio, uo- È stato notato che nella Samía l’intrecciarsi di questi due movi-
mini/ donne, maschere nuove/ maschere vecchie, cultura della menti (il raggiungimento di una difficile felicità, il primo; il re-
πόλις/ cultura metropolitana, rapporti istituzionalizzati/ rap- cupero di una felicità perduta, il secondo) costituisce la fusione
porti d’affezione. È utile richiamare alla memoria gli elementi di due modelli presenti allo stato puro in altre commedie di Me-
costitutivi della tradizione sia comica che tragica che si sono nandro: al primo modello vanno ricondotti l’Aspis e il Dyskolos;
riversati nella Commedia Nuova e sono presenti nella Samía. al secondo gli Epitrépontes e la Perikeiroméne.
a) Elementi specifici della Commedia Antica, assenti nella trage- Il primo movimento produce un effetto positivo: due giovani
dia, ma presenti in Menandro, e in particolare nella Samia: innamorati riescono a sposarsi, nonostante alcune traversie.
• i richiami diretti al pubblico (rottura della quarta parete, con- Possiamo dire che esso è il movimento portante della comme-
sistente per es. negli a parte di un personaggio che si confida dia: è con esso che il dramma si apre e si chiude; è da esso che
col pubblico, o lo chiama a testimone della sua buona fede); hanno origine gli equivoci di Demea. Si tratta dunque di un
• il γάμος e il banchetto finale (da non confondersi col movimento orientato verso un risultato positivo.
concetto più ampio di «lieto fine», che invece era pre- Il secondo, invece, ripara un danno che si è determinato nel cor-
sente anche nella tragedia) e i suoi preparativi; so dell’azione, a causa del movimento principale: l’improvvisa e
• l’ὀνομαστὶ κωμῳδεῖν, ovvero la citazione frequente di drammatica rottura che avviene tra Demea e Crisi de, tra Demea e
personaggi reali: frequentissima in Aristofane, presente Moschione viene in qualche modo ricomposta. Si tratta, in questo
nella Samía, assente in altri drammi menandrei, come caso, di un movimento ciclico: esso riporta le cose (apparente-
gli Epitrépontes o la Perikeiroméne. La sua presenza, pe- mente) allo stato di partenza. È questo il nucleo più oscuro, il
raltro da non sopravvalutare, viene considerata una spia cuore del dramma, la cui interpretazione presenta le maggiori dif-
dell’arcaicità della Samia rispetto al resto della produ- ficoltà: e questo, anche a causa dell’enigmatico fascino provocato
zione di Menandro; da ogni movimento circolare che neghi il principio dell’entropia.
• il metateatro: frequenti citazioni parodistiche del teatro Certe litografie di Escher (per es. la Cascata, o Salita e discesa)
tragico, nonché delle convenzioni teatrali; giocano sullo stesso meccanismo. Nella Samía, insomma, sono
• linguaggio epico/lirico/tragico marcatore stilistico dei contenute, l’una nell’altra, strutture diegetiche proprie della tra-
personaggi perdenti della commedia (in Aristofane, esem- dizione comica (la prima) e della tradizione tragica (la seconda).
pi negli Acarnesi, nella Pace, negli Uccelli; nella Samía, le Essa potrebbe essere definita, a buon diritto, una tragicomme-
battute di Nicerato: oltre alla sua evidente propensione dia, così come Plauto definisce l’Anfitrione nel prologo (vv. 59
all’abuso delle citazioni tragiche, egli usa anche singoli e 63). Per verificare tale commistione di schemi diegetici basti
termini che indicano un registro linguistico pretenzioso); considerare il teatro del V secolo, nelle sue trame superstiti. Della
• tipi del servo, del cuoco, del vecchio scorbutico. tradizione comica, in realtà, conosciamo compiutamente soltanto
b) Elementi della tragedia, assenti nella Commedia Antica, ma alcune delle commedie di Aristofane e le teorizzazioni dei gram-
presenti in Menandro, e in particolare nella Samía: matici antichi: quanto basta però per concludere che nella Com-
• il prologo; media Antica il modello dominante è quello sopra ricordato. In
Menandro e la Commedia Nuova

• la ρῆσις, ovvero il monologo per mezzo del quale viene Aristofane, infatti, il cosiddetto eroe comico (colui che promuove
raccontato al pubblico il fatto drammatico, avvenuto fuori il movimento drammatico principale) ottiene, ad un certo punto
scena, che costituisce il momento nodale dell’azione (il rac- della commedia, il soddisfacimento del suo desiderio. Più consi-
conto di Demea uscito dalla dispensa), o il suo scioglimento stente, invece, è il numero di tragedie a noi pervenute dal teatro
catastrofico (Nicerato che ha visto la figlia allattare); del V secolo. Lo schema diegetico che è alla base della maggior
• l’unità di azione (la Commedia Nuova, e la Samia con parte di esse prevede la rovina dell’eroe; ma ciò non accade sem-
essa, segue il canone aristotelico del «verosimile», a dif- pre. In alcuni drammi di Euripide, infatti, l’eroe tragico ottiene la
ferenza della Commedia Antica); ricostituzione di una condizione iniziale, propria dell’ antefatto,
• il materiale diegetico (l’equivoco di Demea rielabora lo oppure già presente nelle prime battute del dramma, passando
schema dell’Ippolito di Euripide e dell’Edipo re di Sofocle); attraverso una peripezia (l’Alcesti, l’Andromaca, lo Ione, l’Elena,
• la ricerca e l’occultamento della verità come motore della l’Ifigenia in Tauride). Va notato, inoltre, che in quasi tutte queste
vicenda drammatica (cfr. L’Edipo re, lo Ione, l’Elena); tragedie sono presenti anche molti altri elementi, tematici e di
• i temi euripidei della Τύχη, dell’identità (cfr. la Medea, tecnica drammaturgica, che sono assenti in Aristofane e saranno
lo Ione, l’Elena), della dialettica tra rapporti d’elezione e propri della Commedia Nuova: la peripezia, l’incidenza di forze
rapporti regolari (cfr. la Medea, le Troiane, l’Andromaca). ignote nelle vicende rappresentate (la Sorte, Τύχη, e il cosiddet-
Il confluire, in Menandro, di due tradizioni drammatiche in ori- to Αὐτόματον), il tormento per l’identità perduta o resa ambi-
gine diverse, anche se complementari, si traduce nella Samía in gua dalle circostanze, il riconoscimento fortuito.
una duplicità dello schema narrativo. [Da: M. Vilardo, Menandro. La donna di Samo. Introduzione,
I primi due atti forniscono con chiarezza le premesse che danno traduzione e note di M. V., Rizzoli, Milano 2000, 17-21]
MENANDRO 127

il mondo di menandro
Storie di ordinaria
«borghesia» N ell’opera di Menandro – che prevalga il gusto per l’intreccio paradossale o
per la descrizione del carattere – il mondo in cui ci si muove è sempre quello
dell’intimità domestica e delle relazioni sentimentali: contrastate storie d’amore di
giovani di buona famiglia; peripezie gravitanti su riconoscimenti di fanciulli; servi
che con la loro accortezza aiutano i padroni a risolvere le situazioni più intricate.

Credibilità Inoltre, anche quando il gusto per l’intreccio sembra prevalere sull’approfon-
psicologica dimento psicologico, Menandro usa una grande cura nella caratterizzazione dei
dei personaggi
personaggi. Spesso si tratta dei tipi ricorrenti nella Commedia Nuova (il vecchio
padre, il giovane di buona famiglia, l’etera generosa, il servo furbo ecc.), ma Me-
nandro si cura di renderli tutti credibili, animati ciascuno da proprie motivazioni,
anche quando gli intrecci propongano situazioni di per sé altamente improbabili.

Padri e figli, da Certo i personaggi menandrei vivono nell’angusta prospettiva del microcosmo
Aristofane chiuso delle vicende familiari e personali, e specialmente di quei contrasti genera-
a Menandro
zionali fra padri e figli che erano stati d’attualità già per Aristofane, ad esempio, nei
perduti Banchettanti e nelle Nuvole. Ma c’è grande differenza fra l’atteggiamento
di Aristofane e quello di Menandro: se in Aristofane «la pulsione edipica esplode
caricando i comportamenti dell’eroe comico di aggressività verso quelle forme di
paternità mediata che sono l’autorità politica e l’autorità degli dèi», e se la comme-
dia latina «elabora il modello dello scontro comico tra il padre detentore del potere
repressivo e il figlio che arriva a vanificare l’autorità e a godere in pieno la libido
impedita con l’alleanza di un altro subalterno, lo schiavo fedele e intelligente», Me-
nandro interpone fra queste due modalità «una pausa di cautele e di conciliazione.
[...] Nello scorcio prospettico suggerito dalla paura, la Samia ci mostra una forte
approssimazione al dramma edipico, inclusa la minaccia dell’incesto se con esso si
intende l’appropriazione del possesso sessuale pertinente alla paternità; ma è una
sorta di incubo, da cui Demea si sveglia con sollievo. Nelle altre commedie la fun-
zione più frequentemente rappresentata non è la rivalità tra padre e figlio (maschio),

Menandro e la Commedia Nuova


bensì il rapporto autoritario che la figura paterna intrattiene verso una figlia che è
amata da un giovane, e quindi riverbera su quest’ultimo un’autorità resa più minac-
ciosa dall’estraneità dal genos. Ma questo è un modello teorico, modificato nella
prassi teatrale concreta da tutta una serie di limitazioni rassicuranti» (G. Paduano).

L’eco dei contrasti La società nel suo complesso resta elemento lontano, estraneo sia alla dimensione
sociali privata della famiglia sia a quella sentimentale degli individui, le uniche che interes-
sino davvero Menandro, lontanissimo in questo da Aristofane. Eppure si sa – come
ha ricordato G. Bodei Giglioni – che, proprio nello stesso anno (322-321 a.C.) in
cui Menandro riportava la sua prima vittoria, il reggente macedone Antipatro aveva
preso un provvedimento, propagandato come ritorno alla πάτριος πολιτεία di tipo
solonico, che privava della cittadinanza circa il 60% dei cittadini (cioè tutti colo-
ro che possedevano meno di 2 000 dracme). La reazione dovette essere di rancore
più o meno profondo verso il resto della società da parte dei nuovi emarginati: il
δύσκολος inselvatichito non era un carattere inventato da Menandro. Il sostanziale
128 MENANDRO E LA COMMEDIA NUOVA
silenzio di Menandro su questa nuova questione sociale non significa che egli ri-
muovesse il problema di una tale massa di esclusi: anzi, il suo teatro ci parla spesso
dei poveri con profonda simpatia, purché si tratti dell’«umile» che non si ribella. È
vero piuttosto che per il poeta ateniese i problemi della differenza di classe e della
cittadinanza o non cittadinanza dovevano diventare secondari e che occorreva ricer-
care una politica della convivenza per cui al povero è necessaria la forza di soppor-
tare con umiltà e sperare in un rivolgimento della sorte, al ricco la disposizione a una
benevola generosità senza superbia, ad entrambi un orientamento individuale molto
elastico, pronto ad afferrare le occasioni offerte dal momento propizio.

Dal sociale E così il sostanziale pessimismo che sembra conseguire sia da questa sottaciuta
all’«umano» realtà sociale carica di tensioni sia dalla caduta dei valori tradizionali della polis
trova il suo correttivo nella fiducia posta da Menandro in una fondamentale cor-
reggibilità della natura umana: il concetto di ἦθος aristotelico come insieme di
caratteristiche comportamentali marcate da una sorta di forza d’inerzia, di ostina-
ta resistenza al mutamento, risulta estraneo a Menandro. Anzi si può dire che le
sue commedie più «a tema», quelle più affini alla Commedia Antica nell’intento
di trasmettere al pubblico un messaggio sociale e culturale, sono le commedie
dove si mette alla berlina la durezza di carattere e l’inettitudine ai rapporti so-
ciali: uno dei temi principali nello Scudo è la critica dell’avarizia, nella Tosata
la critica della gelosia, nell’Arbitrato la critica del conformismo ipocrita, nel
Dyskolos la critica della selvatichezza.

Ridere Insomma, la rigidità del carattere è in Menandro l’analogo di quelle varie forme
dei «caratteri»… di depravazione o devianza che erano state messe alla berlina da Aristofane, ed
è questa nuova forma di negatività che viene più spesso sfruttata per suscitare il
riso e per sollecitare la disapprovazione del pubblico.

…che possono è un riso che Menandro non vuol far durare troppo a lungo: anche questi esempi
essre recuperati negativi sono alla fine recuperati, perché Menandro lascia sempre ai suoi per-
alla «normalità»
sonaggi il tempo per ragionare e per tornare sui propri passi fino a ritrovare la
Menandro e la Commedia Nuova

politica della convivenza; e talora, come nel caso del Dyskolos, il disvalore con-
dannato e infine beffato (appunto la δυσκολία) conserva, come abbiamo avuto
modo di sottolineare, un margine di positività tale da rendere non a senso unico
il progetto, per quanto difficile e precario, dell’integrazione del misantropo di-
sadattato nei meccanismi e nelle buone regole del vivere sociale. Anche tutti gli
altri personaggi che incorrono in una colpa e possono servire a suscitare il riso
risultano comunque redimibili e, almeno alla fine, pentiti: sono responsabili di
azioni più o meno gravi dettate da passioni inconsulte (spesso l’amore) o dal-
la rabbia di un momento, oppure sono essi stessi vittime di errori involontari,
provocati dall’imprevedibile Tyche, l’unica divinità che Menandro, in sintonia
con la religiosità dell’epoca, sente forse sinceramente come forza davvero in-
teragente con l’agire umano. L’eticità borghese che Menandro propaganda con
tanto fervore lo induce assai spesso a frasi moraleggianti, e proprio la frequenza
di tali espressioni sentenziose gli valse nella tarda antichità l’attribuzione di una
MENANDRO 129
raccolta di più di 800 sentenze lunghe un verso (e perciò dette μονόστιχοι), di
cui oggi non si pensa più che gli appartengano se non in parte.

il rinnovamento delle forme e dello stile


La regolazione
dello schema
drammatico
S ul piano della tecnica teatrale Menandro regolarizzò la strutturazione della
commedia in cinque atti, suddivisi da intermezzi corali di repertorio senza al-
cun rapporto con l’intreccio e non composti dall’autore, che servivano esclusiva-
mente ad accompagnare le danze del coro (la cui presenza è segnalata nei papiri
con la sigla ΧΟΡΟΥ), spesso costituito da un kômos (un gruppo di giovani ebbri);
fece frequente uso di un prologo espositivo, talora ritardato dopo la prima scena,
che serviva, non di rado per bocca di una divinità, a orientare il pubblico sui fi-
li dell’azione che stava per cominciare; estese sistematicamente alla commedia
l’unità di tempo e di luogo dell’azione scenica, che era stata prassi raramente
derogata nella tragedia del V secolo ma ignota ad Aristofane.

Il relativo valore La cura stilistica non doveva essere al vertice delle ambizioni artistiche di Menan-
dello stile dro. Che sia vero o falso, riflette le scelte di priorità menandree un aneddoto rac-
contato da Plutarco (De gloria Atheniensium 347e): a un tale che gli chiedeva «Al-
lora, Menandro, le Dionisie sono vicine: non l’hai ancora scritta la commedia?»,
il poeta avrebbe risposto: «Sì, per gli dèi, il soggetto è pronto, mi resta solo da
scriverci sopra i versi» (ὠκονόμηται ἡ διάθεσις, δεῖ δ᾽ αὐτῇ στιχίδια ἐπᾷσαι).

Verosimiglianza L’unico aspetto veramente ricercato dello stile menandreo è l’attribuzione a mol-
nella costruzione ti personaggi e a talune situazioni di modalità dell’espressione in qualche misura
dei personaggi
differenziate, che mimeticamente riflettano l’umore momentaneo del personag-
gio o l’atmosfera peculiare di un certo frangente.

Mancanza di oscurità E mancano del tutto in Menandro quelle immagini oscure o ardite, comprensibili
e di oscenità solo se collegate a fatti o personaggi dell’Atene del tempo, e anche quelle battute

Menandro e la Commedia Nuova


oscene o volgari che Aristofane proponeva al pubblico dei concittadini.

Capacità di conferire D’altra parte va sottolineata l’arte di creare risonanze nel ricorrere a mo’ di pa-
realismo role-chiave, in bocca a diversi personaggi, di certi vocaboli o espressioni, la dut-
alla composizione
tilità nel rallentare (ad es. con pause di sospensione: aposiopesi) o accelerare (ad
es. con gli asindeti) il ritmo del discorso e di elevarne (con riuso di moduli tragici
o di figure della retorica) o abbassarne (ad es. con colloquialismi) il registro, la
propensione ad alludere piuttosto che ad esprimere compiutamente, a schizzare
piuttosto che a definire. Tutte queste abilità fanno di un linguaggio discreto e di
per sé quasi banale uno strumento in grado, più che di suscitare l’effetto del mo-
mento, di ricreare un’atmosfera complessa e sfumata: insomma, se non possiamo
ancora parlare di uno specchio realistico della vita (come voleva la celebre frase
attribuita ad Aristofane di Bisanzio: «O Menandro, o vita! Chi di voi ha copiato
l’uno dall’altro?»), certo ci troviamo di fronte a un autore che ne coglieva e ne
valorizzava aspetti ancora inediti e tuttavia essenziali.
130 MENANDRO E LA COMMEDIA NUOVA

menzogne simili al vero

i Caratteri di Teofrasto e la Nea dell’ἀηδής. Accanto all’αἰσχροκερδής c’è il μικρολόγος,


Teofrasto scriveva i Caratteri, pubblicati a quel che sembra nel l’ἀνελευθερος, l’ἀναίσχυντος. Questa sottigliezza dimostra
319, o qualche anno dopo, quando Menandro era suo scolaro: quanto fosse acuta l’analisi psicologica della scuola peripateti-
come ha notato Barigazzi, l’enorme differenza tra la commedia ca. Da tutto questo non si può prescindere se si vuole intendere
di mezzo e Menandro si spiega con l’influsso esercitato dal Pe- la natura della commedia nuova: non si spiegherebbe altrimen-
ripato. Il Peripato e Teofrasto mostrano come possa essere nata ti l’enorme differenza con la commedia di mezzo, per quel poco
la commedia di carattere universale, quale è quella di Menandro. che ne sappiamo.
Corrispondenze di particolari sono individuabili tra i Caratteri di
Teofrasto e le commedie, e corrispondenze vi sono anche con le Gli individui in menandro
commedie di Menandro. Non meraviglia, quindi, che i titoli di alcune commedie menan-
È stato già notato anche che alcuni titoli delle sue commedie dree corrispondano a precisi tipi teofrastei. La commedia di mez-
si riferiscono al carattere dei personaggi: Ἄγροικος, Ἄπιστος, zo non offriva dei veri caratteri, mentre al centro della nuova
Δεισιδαίμων, Δύσκολος, Καταψευδόμενος, Κόλαξ, si trova l’uomo come essere sociale, oggetto di παιδεία, per il
Χρηστή, Ψοφοδεής. Alcuni di questi titoli corrispondono a tipi quale è possibile migliorare e opporsi alla τύχη. Gli uomini di
descritti da Teofrasto, qualche altro è vicino: così l’ἄπιστος («il Menandro non sono standardizzati e ciascuno è dotato di una
diffidente») è descritto nel Carattere 18, l’ἄγροικος («il rustico») fisionomia determinata: egli plasma a modo suo il materiale of-
nel Carattere 4, il δεισιδαίμων («superstizioso») nel Carattere fertogli dalla tradizione, trasformando le figure in individui.
16, il κόλαξ («adulatore») nel Carattere 2, il καταψευδόμενος
(«contafrottole») nel Carattere 8. Anche la μικρολογία, la difetti: la μικρολογία
«grettezza d’animo» e la «spilorceria», caratteristica di Smicri- Si possono riscontrare molte affinità tra i vecchi menandrei e al-
ne degli Epitrepontes si trova in Teofrasto, Carattere 10, come cuni tipi di Teofrasto. Consideriamo, per es., la μικρολογία, cioè
l’ἀναισχυντία (la «sfacciataggine») è analizzata nel Carattere 9. la grettezza d’animo che si manifesta nell’eccessiva parsimonia.
Ad essa riconduce il vecchio Smicrine, presente in almeno tre
difetti, non colpe commedie: l’Aspis, gli Epitrepontes e il Sicyonios. Costui ricorda
Menandro lavora su un materiale fornitogli dalla tradizione: gio- una categoria di «nomi parlanti» non sconosciuta alla tradizione
vani innamorati, etere infedeli, padri in collera con i figli, soldati comica precedente, sebbene in questo caso l’esito sia diverso da
vanagloriosi; ma a queste figure egli infonde una vita tutta nuo- quello, ad esempio, di Aristofane. In Menandro il gioco pareti-
va. Titoli che facciano pensare alla rappresentazione di un tipo mologico sembra essere soltanto un residuo della tradizione, dal
morale si trovano anche prima di Menandro, ma la commedia di momento che il suo scopo è delineare la personalità di un indi-
mezzo non ha veri caratteri: è con Aristotele e Teofrasto che ciò viduo e non bersagliare esageratamente singoli difetti o manie.
si può spiegare. Non è un caso che il primo esempio di impiego Tra i possessori del nome Smicrine e il μικρολόγος teofrasteo
del termine χαρακτήρ nel significato che conserva ancora oggi esistono delle corrispondenze: ἔστι δὲ μικρολογία φειδωλία
ricorra in Menandro, fr. 66 K.-Th.: ἀνδρὸς χαρακτὴρ ἐκ λόγου τοῦ διαφόρου ὑπὲρ τὸν καιρόν «la spilorceria è un risparmio
γνωρίζεται («il carattere di un uomo si riconosce dal suo parla- di danaro oltre il giusto», afferma Teofrasto (Carattere 10, 1), e
re»), come ha mostrato Koerte, che ha studiato questo termine. questo sembra valere sia per il vecchio degli Epitrepontes che per
Teofrasto descrive nei suoi caratteri i vizi medi o difetti ed esclu- quello dell’Aspis. La battuta di Epitrepontes 128-131 «È incredibi-
de dalla commedia le colpe gravi perché non sono oggetto di le che uno si costringa a bere vino che gli costa un obolo al quar-
Menandro e la Commedia Nuova

riso, ma di punizione. tuccio» (vedi T. 5) richiama il μικρολόγος teofrasteo, del quale


si dice συσσιτῶν ἀριθμεῖν τὰς κύλικας, πόσας ἔκαστος
l’ἦθος in aristotele e in Teofrasto πέπωκε «in un pranzo in compagnia conta quanti bicchieri ha
Anche Aristotele nella Retorica, nei Magna Moralia, ma soprat- bevuto ciascuno» (Carattere 10, 3).
tutto nei libri IV e V dell’Etica Nicomachea, disegna alcuni ca-
ratteri virtuosi e i loro opposti da un punto di vista teorico, la αἰσχροκέρδεια e la ἀναισχυντία
cercando le ragioni del modo di agire dei vari tipi, posseduti da Smicrine nell’Aspis è più che μικρολόγος: egli sembra spinto da
determinati vitia anche a seconda dell’età. Teofrasto invece ci ἐπιθυμία κέρδους αἰσχροῦ «desiderio di guadagno vergogno-
presenta dei profili ben definiti. Per Aristotele punto di parten- so» e tale è, secondo Teofrasto, l’αἰσχροκέρδεια. Già Aristotele
za è la condotta degli uomini, dalla quale egli passa a delineare aveva operato una distinzione tra i φιλοχρήματοι nell’ambito
la virtù o il vizio ad essa collegati; Teofrasto, al contrario, esor- dell’ἀνελευθερία. Esiste, cioè, una categoria di persone che
disce con l’immediata definizione di un vizio: ἡ δὲ ἀδολεσχία non vogliono dare il loro né prendere l’altrui, i μικρολόγοι,
ἐστὶ μὲν διήγησις λόγων μακρῶν καὶ ἀπροβουλεύτων «il mentre gli αἰσχροκερδεῖς solitamente πάντοθεν λαμβάνου-
non-la-smetter-più è l’esporre discorsi lunghi e senza criterio», σι καὶ πᾶν «prendono di tutto e da qualunque parte» ed inol-
e procede illustrando il comportamento di una persona carat- tre ὅθεν οὐ δεῖ λαμβάνουσι καὶ ὁπόσον οὐ δεῖ «prendono
terizzata dal vizio stesso. Osservando la realtà, egli analizza le da dove non bisogna e quanto non è conveniente». Il vecchio
infinite sfumature delle sue manifestazioni esteriori, trovando- dell’Aspis ricorda inoltre l’ἀναισχυντία che è καταφρόνησις
si pertanto a descrivere molti caratteri confinanti. La rusticità si δόξης αἰσχροῦ ἕνεκα κέρδους «disprezzo dell’onore in vista
precisa nei tratti dell’ἄκαιρος, dell’ἄγροικος, dell’ἄπιστος, di un guadagno vergognoso», in quanto, pur di avere l’eredità,
MENANDRO 131
pretende di sposare sua nipote, molto più giovane di lui e questa so una serie di equivoci e reticenze, infatti, il vecchio è arrivato
azione, pur consentita dalla legge, sarebbe senza dubbio sconve- all’errata conclusione dell’esistenza di una relazione adulterina
niente per una persona di buon senso. tra Criside e suo figlio. Allontanare la donna è un’amara neces-
sità etica, in quanto ha tradito la sua fiducia, comportandosi da
un carattere complesso: Cnemone ἀδικοῦσα. Demea non agisce, del resto, per eccesso di ira nel
Quel che si è detto per Smicrine dimostra quanto più complessi senso di ὕβρις, tracotanza del tutto gratuita, ma è pienamen-
siano anche nelle caratteristiche esteriori i personaggi menan- te cosciente del motivo per cui si adira. È un uomo composto e
drei rispetto ai tipi di Teofrasto. Esempio ancora più evidente riflessivo e lo dimostra nel suo lungo monologo (vv. 206-282)
è Cnemone, il quale consente riscontri con vari caratteri. Come di fronte a un evento che lo sconvolge. Negli Epitrepontes, inve-
l’αὐθάδης, egli è scontroso con tutti, non ama scambiare una ce, Carisio non caccia da casa Panfila, ma va via lui, rifugiandosi
parola con nessuno e προσαγορευθεὶς μὴ ἀντιπροσειπεῖν nella casa dell’amico Cherestrato: Carisio non ignora la gravità
«interpellato non risponde». In questo senso lo descrive nel pro- della colpa di Panfila ma avrebbe preferito restarne all’oscuro e
logo Pan e al v. 515 egli stesso dice: οὐ βούλομαι χαίρειν παρ᾽ non esserne informato da Onesimo (col quale è infuriato), poiché
ὑμῶν οὐδενός «non voglio auguri da nessuno di voi». Rifiuta di sente profondo e schietto amore per la moglie.
partecipare alle cerimonie religiose (v. 867 ss.) e saluta Pan solo
perché costretto dalla vicinanza col suo santuario (vv. 10-12), l’ideale peripatetico della moderazione
dimostrandosi quindi tale da τοῖς θεοῖς μὴ ἐπεύχεσθαι. Sapersi dominare è importante e lo afferma anche Aristotele:
Come l’ἄπιστος «il diffidente», non vuole prestare nessun og- περὶ … πᾶσαν εὐτυχίαν καὶ ἀτυχίαν μετρίως ἔξει «(il sa-
getto; infatti tratta in malo modo Geta che gli chiede un lebete piente) si comporterà in modo moderato di fronte a qualsiasi
(vv. 470 ss.) e ribadisce, nei vv. 505 ss.: οὐκ ἔχω οὔτε χυ- fortuna e disgrazia». È sempre presente, quindi, un ideale di mo-
τρόγαυλον οὔτε πέλεκυν οὔθ᾽ ἅλας… «non ho né pentola, derazione per un miglioramento della società, in cui Menandro
né ascia, né sale…». Del resto anche il μικρολόγος di Teofra- crede. Il πονηρός dev’essere messo in condizione di non nuo-
sto ἀπαγορεῦσαι τῇ γυναικὶ μήτε ὀλάς «vieta alla moglie cere, come il vecchio Smicrine nell’Aspis. Talvolta la punizione,
di prestare anche i granelli di sale» (Carattere 10, 13). Come quasi sempre nel caso dei vecchi, consiste per Menandro nel met-
l’ἄπιστος, non si fida di nessuno e raccomanda di tenere chiusa terli in ridicolo: negli Epitrepontes ciò avviene nei confronti del
la porta di casa (v. 427); come l’ἄγροικος, tratta in malo modo padre di Panfila, non certo per la mancata fiducia in sua figlia,
chiunque gli faccia visita: τί τῆς θύρας ἅπτει, τρισάθλι᾽ εἰπέ soltanto apparente, ma per il suo modo di affrettare le conclu-
μοι,/ ἄνθρωπε; «cosa fai lì attaccato alla mia porta? Dimmelo, sioni e il suo attaccamento al denaro che lo fanno peccare di
miserabile!» (vv. 466-67). Non permette a nessuno di passare προπέτεια. Egli non ha saputo tenere il giusto mezzo, e questo
per il suo campo: quando Pirria si presenta dinanzi a lui si sente suo difetto, messo in luce dagli avvenimenti, dev’essere corretto
dire in tono minaccioso: τὴν δημοσίαν οὐκ οἶσθ᾽ ὅδόν; «la in base all’insegnamento scaturito dalla vicenda.
strada pubblica non la conosci?» (v. 115). È innegabile la presen-
za di elementi teofrastei utilizzati da Menandro nel tratteggiare il la humanitas di menandro
Misantropo, sebbene, analizzando il personaggio, si possa vede- Per quanto riguarda lo studio dell’uomo come individuo e l’inte-
re come alcuni suoi difetti siano in realtà manifestazioni secon- resse alla sua psiche, Menandro deve dunque molto alla filosofia
darie di un unico vitium e come altri abbiano una loro parziale peripatetica, ad Aristotele ed in particolare a Teofrasto e ai suoi
giustificazione. Caratteri. Abbiamo visto come, tra i vecchi, alcuni presentano
caratteristiche simili a certi personaggi di Teofrasto, mentre al-
Solidarietà umana tri ne sono alquanto differenti. In ogni caso la dipendenza del
Non dobbiamo dimenticare che il messaggio che Menandro si commediografo dal filosofo peripatetico risulta limitata ad alcu-

Menandro e la Commedia Nuova


propone di trasmettere è quello della solidarietà umana e che, ne caratteristiche esteriori. La concezione menandrea del tea-
pertanto, ai φαῦλοι egli contrappone sempre gli σπουδαῖοι, i tro parte infatti dal presupposto di una approfondita analisi del
quali devono far trionfare la virtù. Spesso ad essere moralmente personaggio e dalle radici più intime del suo comportamento,
superiori sono i giovani rispetto agli anziani: l’amore di Panfila mentre Teofrasto è spinto da una sorta di curiosità nei confronti
e Carisio negli Epitrepontes trionfa sull’opinione comune e sulle dei tratti difettosi dei tipi che descrive, non essendo interessato
convinzioni sociali, facendo ravvedere Smicrine, il quale non è al messaggio che dal loro comportamento può scaturire e non
tuttavia sprovvisto di saggezza, delle sue errate conclusioni. Tut- esprimendo su di essi un punto di vista morale. I caratteri rappre-
tavia anche tra i vecchi troviamo persone equilibrate e prudenti, sentano, infatti, i vizi medi e suscitano un genere di γελοῖον che
come Demea nella Samia, Pateco nella Perikeiromene, Cleeneto non dà né dolore né danno, risultando piuttosto innocui, non
nel Georgos, Cherestrato nell’Aspis. La virtù dev’essere un giusto privi di una certa fissità. Menandro parte quindi da Teofrasto per
mezzo tra ὑπερβολή «troppo» ed ἔλλεψις «troppo poco». poi allontanarsene, animato da un profondo senso di humanitas
e rivelando una certa profondità psicologica anche nel tratta-
la giusta ira re di una categoria di personaggi, i vecchi, spesso bersagliati
Non tutte le azioni hanno lo stesso grado di responsabilità. Il dalla tradizione comica. È necessario, pertanto, analizzarli nel
πονηρός «malvagio» è un elemento contaminatore della società contesto delle singole commedie, secondo la loro individualità,
e deve essere punito: non bisogna pertanto sopportare gli ol- il loro rapporto con gli altri, il loro ruolo nell’ambito dell’azione
traggi con animo servile ed è lecito, anzi doveroso, adirarsi in tal scenica.
caso. In questo senso va interpretata la condotta di Demea, che [Tratto da: A. Martina, Epitrepontes. Prolegomeni, vol. II 1, Ke-
nella Samia è adirato contro Criside e la caccia da casa. Attraver- pos edizioni, Roma 2000, 223-230]
132 MENANDRO E LA COMMEDIA NUOVA

altri autori della Commedia nuova


L a produzione della Commedia Nuova fu molto feconda, tanto che gli antichi
conoscevano 64 poeti, i maggiori fra i quali (Filemone, Difilo e Menandro)
composero un centinaio di opere ciascuno (ed è anche questo un fattore che spie-
ga in qualche misura la tendenza alla convenzionalità e alla ripetitività dei mo-
tivi).

Filemone
Notizie biografiche
F ilemone (Φιλήμων) nacque a Siracusa o a Soli, in Cilicia, intorno al 360 e morì
quasi centenario al Pireo, soggiornando per lo più ad Atene, di cui nel 307 ot-
tenne la cittadinanza. Forse si recò anche presso la corte tolemaica. Un aneddoto
racconta di un incidente nel viaggio di ritorno: avrebbe fatto naufragio sulle coste
di Cirene, del cui re Magas aveva messo alla berlina l’incultura, e ciò nonostante
sarebbe stato trattato in modo ospitale.

Opere frammenti Portò in scena la prima commedia intorno al 330 e conseguì la prima vittoria
giunti alle Dionisie nel 327. Avrebbe composto 97 commedie, di cui conosciamo una
sessantina di titoli e possediamo oltre 200 frammenti.

Caratteristiche Due titoli (Mirmidoni e Palamede) attestano la persistenza del gusto per la pa-
rodia mitologica, mentre i Filosofi, in cui sappiamo che si nominavano Zenone
e Cratete, lascia supporre la presenza della parodia filosofica di aristofanesca

Manoscritti di opere conservati a Milano nella Biblioteca Ambrosiana.


a lato persone dell’Heautontimorùmenos; sotto personaggi dell’Andria nel
manoscritto terenziano.
Terenzio ricavò almeno una scena dei sui Adelphoe da una commedia di Difilo.
Menandro e la Commedia Nuova
TESTATINA 133
memoria. Il complesso dei frammenti superstiti mette comunque bene in luce il
suo contributo alle costanti della Commedia Nuova: intrecci complessi, atten-
zione per la definizione del carattere dei personaggi, tendenza moralistica che si
esprime in un gran numero di frasi sentenziose.

Confronto Ai contemporanei piacque più di Menandro, e nei concorsi in cui gareggiaro-


con Menandro no entrambi risultò assai spesso vincitore. Plauto modellò il Mercator sul suo
Ἔμπορος («Il mercante») e il Trinummus sul suo Θησαυρός («Il tesoro»), pro-
babilmente anche la Mostellaria sul suo Φάσμα («Il fantasma»).

difilo
Vita
e titoli conosciuti D ifilo (Δίφιλος) nacque a Sinope, sul Mar Nero, tra il 360 e il 350 a.C. e morì
a Smirne nei primi anni del III secolo, ma fu sepolto ad Atene, dove ave-
va trascorso gran parte della vita. Autore di un centinaio di commedie, sappia-
mo che ottenne tre vittorie alle Lenee, di cui la prima verso il 318. Possediamo
Scene dall’Hecyra, da un circa 130 frammenti e conosciamo una
manoscritto conservato sessantina di titoli, che rimandano per lo
alla Biblioteca
Ambrosiana di Milano. più a temi tipici della Commedia Nuova;
alcuni altri (Danaidi, Eracle, Lemnie,
Peliadi, Teseo) sembrerebbero attesta-
re la presenza, come in Filemone, di un
filone mitologico; d’altra parte i soli ti-
toli non possono darci un’indicazione
sicura in tal senso, dal momento che al-
meno alcuni di essi potrebbero derivare
da personaggi mitici che pronunciavano
il prologo o da soprannomi attribuiti ai
personaggi (come doveva essere il caso
dell’Eracle e anche di una commedia

Menandro e la Commedia Nuova


intitolata Eroe). Nella Saffo compariva
la celebre poetessa, corteggiata in modi
grossolani da Archiloco e da Ipponatte.

Fortuna Commedie di Difilo vennero utilizzate dai poeti latini: così sappiamo che i
presso i latini Κληρούμενοι («Quelli che tirano a sorte») furono ripresi nella Casina di Plauto,
il quale si servì per la Rudens di un’altra, per noi imprecisabile, commedia di Di-
filo; e dai Συναποθνήσκοντες («Quelli che muoiono insieme») lo stesso Plauto
avrebbe derivato i perduti Commorientes, secondo la testimonianza di Terenzio
nel prologo degli Adelphoe (Terenzio stesso afferma altresì di aver utilizzato una
scena della medesima commedia, tralasciata da Plauto, per i propri Adelphoe).

Confronto Dai frammenti non è possibile farsi un’idea precisa dell’arte di Difilo e dei suoi
con Menandro rapporti con Menandro, ma sulla base di caratteristiche comuni agli adattamenti
134 MENANDRO E LA COMMEDIA NUOVA
romani gli è stato attribuito da alcuni studiosi, scettici sulla «freddezza» in lui
riscontrata dai critici antichi (cfr. Ateneo XIII, 579e-580a), un tipo di comicità
basata su effetti teatrali vivaci e spettacolari.

Mosaico pavimentale. 300 d.C. Mitilene, Casa dei Mosaici; ora Mosaico pavimentale. 300 d.C. Mitilene, Casa dei Mosaici; ora Mitilene,
Mitilene, Museo Archeologico. Museo Archeologico.
La scena è la stessa di quella di Pompei; le differenze sono date La connessione di questa scena, dotata di didascalie, con il mosaico
dallo schema invertito (la vecchia è seduta a sinistra invece che a di Pompei non è immediata, come nel caso precedente, ma sono
destra) e dall’assenza della serva. In più vi sono, però, le didascalie, comunque evidenti alcune forti analogie. È ben possibile dunque che
secondo le quali il quadretto femminile illustra la commedia di siano raffigurati momenti diversi della stessa commedia di Menandro.
Menandro intitolata Le donne a colazione. In alto vi è il titolo Primo L’invasata, in cui le danze orgiastiche giocavano un ruolo importante.
atto delle donne a colazione (Sunaristwsw`n mev(ro~) a )v e poi In alto è il titolo, Atto secondo della Invasata (Qeoforoumevnh~
sotto i nomi delle tre donne: la vecchia è Filenide (Filainiv~), m(evro~) b )v , e sotto si leggono i nomi di Lisia (Lusiva~), che è
la giovane al centro è Plangone (Plaggwvn), l’ultima a destra è il giovane con i cembali, dello schiavo Parmenone (Parmevnwn) e
un’etera di nome Pitiade (Puqiav~). dell’altro giovane Clinia (Kleiniva~), che ha tra le mani forse un
tamburello. Infine, sebbene manchi la flautista, c’è il piccolo servo che
tiene in mano uno strumento musicale non ben identificabile.
Menandro e la Commedia Nuova

apollodoro
A pollodoro (Ἀπολλόδωρος) di Caristo, in Eubea, chiamato dalle fonti an-
che «l’Ateniese» (ciò che fa appunto supporre che ricevesse la cittadinan-
za ateniese), fu poco più giovane di Menandro, del quale parrebbe aver risen-
tito l’influsso. Autore di 47 opere, riportò cinque vittorie, di cui sicuramente
due alle Lenee. Terenzio rielaborò due sue commedie: la Ἑκυρά nell’Hecyra e
l’Ἐπιδικαζόμενος («Il reclamante») nel Phormio.

Dossier Menandro e la palliata romana: due confronti


Sulla fortuna di menandro e sul modo dei latini di «copiare» o «contaminare»
le commedie menandree è utile leggere il confronto tra Il due volte ingannato di Menandro
e i vv. 494-562 delle Bacchides di Plauto, oltre ad altri passi a confronto
Menandro
e la Commedia Nuova

Dyskolos
Personaggi del dramma:
PAN divinità,
CHEREA parassita,
SOSTRATO giovane innamorato,
PIRRIA servo di Sostrato,
CNEMONE vecchio contadino,
FIGLIA DI CNEMONE
DAVO servo di Gorgia,
SICONE cuoco,
GETA servo di Callippide,
MADRE DI SOSTRATO
SIMICHE serva di Cnemone,
CALLIPIDE padre di Sostrato.

Personaggi muti:
MIRRINE madre di Gorgia,
PLANGONE probabilmente sorella di Sostrato,

Menandro e la Commedia Nuova


DONACE servo,
SIRO servo,
PARTENIDE flautista.

T. 1 L’antefatto La scena rappresenta una strada di campagna, una grotta consacrata a Pan e alle
Ninfe e due case: a sinistra quella del protagonista, il dyskolos (il «misantropo»
o «bisbetico« o «scorbutico«), a destra quella del suo figliastro Gorgia. Nel pro-
logo espositivo il dio Pan in persona – venerato in un santuario nei pressi del
quale si svolge l’azione – esce dall’antro e informa il pubblico sull’antefatto e sul
carattere dei personaggi. Nel demo attico di Phyle l’anziano contadino Cnemone,
un tipaccio scorbutico che ha in odio l’intero genere umano, vive con la figlia e
una vecchia serva, Simiche. Per il pessimo carattere l’uomo è stato abbandonato
dalla moglie, la quale dopo una vita da cani a fianco del marito, è andata a vivere
in casa col figlio di primo letto Gorgia, un giovane onesto e generoso.
136 DYSKOLOS
La figlia del protagonista, cresciuta lontano dalle tentazioni cittadine, è sem-
plice e onesta, ignara del male e dedita al culto di Pan e delle Ninfe. Il dio,
volendone ricompensare la devozione, ha fatto innamorare di lei un giovane
facoltoso e dabbene, Sostrato. Il giovanotto, che intende sposarla, ha inviato il
fido Pirria a prendere informazioni sulla ragazza. Ma il servo ha avuto la sventura
di imbattersi proprio in Cnemone che, furibondo per il solo fatto d’essere stato
avvicinato, lo ha rincorso lanciandogli proiettili improvvisati.

Scena A File, un borgo a circa 20 km a nord-est di Atene, sulle pendici del Parnete e
al confine con la Beozia, di fronte al santuario naturale consacrato a Pan e alle
Ninfe, ai lati del quale stanno la casa di Cnemone e quella di Gorgia.

vv. 1-178 ATTO PRIMO


Entra Pan
PAN Dovete figurarvi che questo luogo sia File nell’Attica; il ninfeo1 da dove sono usci-
to è l’illustre santuario dei Filasii, contadini capaci di coltivare anche le pietre.
Il podere alla destra è di Cnemone,2 un misantropo, collerico con tutti, che non
ama la gente.3 Ma che dico «la gente»? Da quando è nato non ha mai scambia-
to volentieri una parola con nessuno, non ha mai rivolto per primo la parola a
nessuno, tranne a me quando mi passava davanti, costretto dalla vicinanza. E
subito dopo se ne pentiva, lo so benissimo.4 Con questo carattere, ha sposato una
vedova, con un figlio ancora piccolo dal primo marito,5 e con lei litigava non solo

1. Il ninfeo è un sacrario delle ninfe, divinità femminili personificazioni di elementi o fenomeni naturali; in
effetti a poca distanza da File sono stati rinvenuti resti di un tale luogo di culto in una grotta, con iscrizio-
ni e dediche a Pan e alle ninfe, spesso associati nella tradizione religiosa greca. Con la caratterizzazione
dei Filasii come «coloro che sanno coltivare anche le pietre», il dio pone subito in risalto il carattere forte
dei cittadini di questo demo, associandolo all’asprezza del suolo che essi lavorano e anticipando in tal
modo la natura burbera e irascibile del vecchio Cnemone.
2. La descrizione di Pan comincia dal podere del vecchio Cnemone, su cui i commentatori si sono a lungo
soffermati nel tentativo di ricostruire la scenografia della commedia. In genere, nel teatro attico, il lato
destro della scena, secondo la visuale degli spettatori, è rivolto verso la città, il sinistro verso la campa-
Menandro e la Commedia Nuova

gna. Inoltre i personaggi in scena parlano di «destra» e «sinistra» a partire dal proprio punto di vista. Se
consideriamo inoltre che l’altra casa cui si fa riferimento nella commedia è quella di Gorgia, più vicina
alla città rispetto alla campagna isolata scelta dal vecchio Cnemone, si può pensare che casa e podere di
quest’ultimo fossero all’estrema sinistra degli spettatori e a destra di Pan che recita il prologo.
3. In tal modo è introdotto fin dall’inizio della commedia quel concetto di φιλανθρωπία caratteristico
del teatro menandreo, che rifluirà in seguito anche nella commedia latina di Terenzio. L’aggettivo
ἀπάνθρωπος «che non ama la gente» si trova già in tragedia, a partire da [Eschilo], Prometeo 20, ad
indicare un luogo selvaggio, deserto, lontano dagli uomini: è proprio questo il tratto saliente del perso-
naggio Cnemone, che rifugge la gente non solo in senso fisico, ma anche sul piano spirituale; l’aggettivo
si carica allora anche di un valore diverso, ad indicare la «disumanità», come è confermato dal nesso
δύσκολος πρὸς ἅπαντας, in cui l’aggettivo vale lett. «difficile da accontentare», «sempre scontento»,
«scontroso». Cnemone rientra in una galleria di misantropi che hanno il loro prototipo nella figura semi-
leggendaria dell’ateniese Timone e infinite (e fortunate) riprese teatrali in varie epoche e letterature (cfr.
scheda La figura del misantropo nella commedia, p. 000).
4. Cnemone si sente costretto a mantenere qualche rapporto col dio per due motivi: il vicinato e la necessità
ineludibile di passare davanti al ninfeo in cui il dio viene onorato. I commentatori richiamano per questo
passo l’ἀπροσηγορία, lett. «mancanza di relazioni» (cfr. Aristotele, Etica Nicomachea 1157b 13), che
nei Caratteri di Teofrasto è attribuita all’αὐθάδης, lo «scortese», avvezzo a non ricambiare il saluto di
chi lo incontra (15, 3): qui Cnemone si pente subito della cortesia che rivolge al dio passandogli accanto.
5. Che Cnemone sia sposato stride un po’ con la sua caratterizzazione di burbero, ma è indispensabile ai fini
dell’intreccio.
L’ANTEFATTO 137
tutto il giorno, ma la maggior parte della notte. Una vita da cani. Gli nasce una
bambina: peggio ancora. Resasi conto che quella vita era più che mai dolore,
amarezze, dispiaceri, la donna se ne è andata dal figlio di primo letto.6 Questi
possiede un piccolo podere nelle vicinanze, grazie al quale mantiene a stento sé,
la madre e un unico servo, ereditato dal padre, fedelissimo. 7 È un ragazzo che
ha più cervello della sua età; perché l’esperienza delle difficoltà fa crescere.8 Il
vecchio invece vive con la figlia e una vecchia serva, zappando, raccogliendo
legname, faticando sempre e detestando tutti quanti, a cominciare da sua moglie
e dai vicini, per finire fino ai Colargesi.9 La ragazza, grazie all’educazione ricevu-
ta, ignora totalmente il male.10 La cura che si prende delle Ninfe, mie compagne,
la venerazione e gli onori che rende ad esse, ci hanno persuaso a prenderei a
nostra volta cura di lei.11 Un giovane, figlio di un uomo ricco, che possiede qui
terreni per parecchi talenti, ma abita in città, trovandosi una volta a caccia con
un compagno è capitato per caso12 in questo luogo e io l’ho fatto innamorare di
lei. Questa è l’azione per sommi capi. I dettagli li saprete tra poco, se vorrete. Ma
lo vorrete certamente. Ecco; vedo che stanno arrivando l’amoroso e il suo amico
e stanno parlando proprio di questo.

Esce, entrano Sostrato e Cherea13

6. La figlia è una delle rare persone con cui il misantropo ha un buon rapporto. Quanto al divorzio dei
coniugi, esso è in genere indicato col verbo tecnico ἀπολείπειν, riferito alla moglie che lascia il
marito con il consenso dell’arconte: qui invece è usato il verbo ἀπέρχεσθαι, che indica una sepa-
razione consensuale, pure possibile.
7. Si noti l’insistenza sulle dimensioni ridotte della proprietà, nel quadro di un tenore di vita assai mo-
desto, che consente di sbarcare a mala pena il lunario, completato dall’unico servitore che il giovane
ha ereditato dal padre.
8. l’esperienza delle difficoltà fa crescere: espressione gnomica, secondo una caratteristica tipica della
commedia nuova e in particolare dei prologhi menandrei. Per Paduano si tratta di una «trascrizione
in esperienza e in linguaggio quotidiano del grande principio eschileo del πάθει μάθος».
9. Le indicazioni topografiche fornite da Pan sono da intendersi in senso letterale: probabilmente il
dio indica prima la casa di Gorgia (il vicino più prossimo al podere di Cnemone) e poi la direzione
di Colargo, il centro del demo in cui si svolge la commedia, distante circa dieci miglia dal ninfeo di
Pan.
10. Dopo aver presentato i caratteri del giovane (virtuoso) e del vecchio (misantropo), Pan descrive ora

Menandro e la Commedia Nuova


la figlia di quest’ultimo in un modo che è sembrato contraddittorio: da una parte, per l’educazione
ricevuta, essa è definitia simile al padre, dall’altra tale caratterizzazione è in piena disarmonia con
la natura e il comportamento del personaggio nel dramma. In realtà, come suggerisce Sandbach,
presso i Greci era considerato positivo che una giovinetta crescesse lontano dal mondo: così Isco-
maco parla con soddisfazione della moglie nell’Economico di Senofonte (VII 5): «Non aveva ancora
quindici anni quando arrivò da me e prima viveva sotto un’assidua sorveglianza perché vedesse il
meno possibile, ascoltasse il meno possibile, chiedesse il meno possibile» (tr. di F. Roscalla).
11. Spesso, nella Commedia Nuova, l’intreccio prende le mosse dall’intenzione di un dio di compensare
chi lo onora. Per un parallelo latino, cfr. Plauto, Aulularia 23ss., dove il Lare familiare loda simil-
mente la figlia del protagonista Euclione: «Costei ogni giorno mi offre immancabilmente, con le sue
suppliche, incenso, vino o altro e m’inghirlanda di fiori. Per gratitudine verso di lei, della sua pietà,
feci trovare a questo Euclione il tesoro» (tr. di C. Carena).
12. Si nota in questi versi l’intervento del Caso (κατὰ τύχην) che rappresenta uno degli ingredienti più
tipici della Commedia Nuova, riflesso di un’età che ne è largamente dominata.
13. Cherea e Sostrato entrano in scena già impegnati a discutere, secondo una diffusa convenzione
scenica. Sostrato ha evidentemente indicato al compagno di caccia il luogo del suo incontro con la
figlia di Cnemone (definita «libera» in quanto non è schiava di alcuno). È discussa la reale funzione
di Cherea nel dramma: nell’elenco dei personaggi egli è infatti indicato come ὁ παράσιτος («il
parassita»), figura tipica della Commedia Antica, la cui principale caratteristica è di mangiare alla
mensa altrui, facendosi mantenere con espedienti vari. Cherea non corrisponde in pieno a questa
tipologia, anche se «è una persona che fa dell’amicizia una professione» (Paduano).
138 DYSKOLOS
CHEREA Che dici? Hai visto qui una ragazza libera che offriva corone alle Ninfe e te ne sei
innamorato sull’istante?
SOSTRATO Sull’istante.
CHEREA Che fretta! Ma l’avevi deciso uscendo di casa, di innamorarti di qualcuno?
SOSTRATO Tu mi pigli in giro; ma io sto male, Cherea.
CHEREA Ti credo.14
SOSTRATO Per questo sono qui, e ti ho pregato di aiutarmi perché ti considero persona amica
e capace più di tutti.
CHEREA In queste cose, Sostrato, io mi comporto così: se qualche amico mi chiama in
aiuto perché è innamorato di un’etera, gliela rapisco e gliela porto; m’inebrio,
dò fuoco, non sento ragione.15 Non mi importa indagare chi sia, la deve avere e
basta. Questo perché l’indugio fa aumentare la passione, che invece, se si fa presto
a soddisfarla, finisce altrettanto presto.16 Ma se si parla di una ragazza libera, e
di matrimonio, allora sono tutto diverso. Mi informo della famiglia, dei beni, dei
caratteri, perché a seconda di come me ne occupo lascio al mio amico un ricordo
destinato a durare per tutta la vita.17
SOSTRATO Certo. (Fra sé) Questo discorso non mi piace.18
CHEREA Quindi, per prima cosa, occorre che prendiamo delle informazioni.
SOSTRATO All’alba ho spedito Pirria, il servo che era con noi a caccia ...
CHEREA Da chi?
SOSTRATO Dal padre della ragazza, o padrone di casa, quel che è.
CHEREA Ma che dici!19
SOSTRATO Sì, ho sbagliato; non è compito adatto a un servo; ma non è facile badare alle
convenienze quando si è innamorati. Tra l’altro è un po’ che ritarda e mi chiedo
perché; gli avevo detto di tornare a casa subito, appena saputo quello che voleva-
mo sapere.
[Tr. di G. Paduano]

14. È un topos della commedia (già antica, poi nuova e palliata latina) l’atteggiamento canzonatorio di
schiavi, servi e amici nei riguardi delle pene d’amore del proprio padrone; qui l’ironia è ben esempli-
Menandro e la Commedia Nuova

ficata dalla litote οὐκ ἀπιστῶ, lett. «non (è vero che) non ti credo».
15. Il rapimento di una fanciulla da parte dell’innamorato non è infrequente nella commedia, specie quan-
do si tratti di un’etera o di una schiava. Qui Cherea suggerisce un rapimento per procura, come negli
Adelphoe di Terenzio e una serie di altri comportamenti che descrivono le sue abitudini in simili situa-
zioni: «dò fuoco» (κατακάω) allude alla possibilità di bruciare una porta per forzarla. Per una scena
simile, cfr. Plauto, Curculio 76 ss. dove Fedromo riesce ad avvicinare la fanciulla amata solo dopo
avere attirato fuori di casa la sua custode, Leonessa, con una generosa offerta di vino di cui la vecchia
è grande amante.
16. A Cherea non importa sapere chi sia la fanciulla oggetto dell’amore dell’amico: egli passa subito
all’azione, che qui giustifica con una massima tipica dello stile menandreo, elegantemente costruita
sull’opposizione tra lentezza (βραδύνω) e rapidità (ταχέως/ ταχύ).
17. Cherea illustra ora il suo diverso atteggiamento nel caso in cui la fanciulla non sia un’etera, ma una
donna libera: la sua indagine prematrimoniale riguarda γένος («stirpe», «famiglia»), βίος («mezzi di
vita», «risorse») e τρόποι («modi», «comportamenti»). Resta il fatto che il servizio reso da Cherea
all’amico resterà un ricordo (μνεία) per sempre.
18. Sostrato riconosce la validità generale delle parole di Cherea ma, a parte, commenta che la riflessione
per lui non è tanto soddisfacente, in quanto, come dirà appena più sotto, ha già incaricato dell’indagine
il servo Pirria.
19. La reazione di Cherea è di stupore e sorpresa, sia per l’improprietà dell’azione (inviare un servo per un
compito così delicato presso un uomo di differente condizione sociale), sia perché ormai pregustava di
svolgere lui stesso questo incarico.
UN UOMO INTRATTABILE 139

Per saperne di più


Il prologo informativo è un carattere tipico della Commedia blico è l’innamoramento a prima vista di Sostrato nei confron-
Nuova e trae la propria origine dalla tragedia euripidea, cfr. ti della figlia di Cnemone, mentre altri studiosi sottolineano
ad esempio l’Ippolito, dove questa funzione è svolta dalla dea come il dio svolga qui sostanzialmente la funzione di Tyche,
Afrodite. Talora la commedia è introdotta da un personaggio cioè del Caso: a lui si deve infatti, oltre all’innamoramento di
della stessa oppure da una personificazione, come Ἄγνοια Sostrato, anche il sogno inviato alla madre del giovane, da cui
(Ignoranza) nella Perikeiromene. Quando è un dio a recitare trae origine l’incontro tra le famiglie dei due futuri sposi. Va
il prologo l’autore ha in genere la necessità di «comunicare infine sottolineata la natura agreste di Pan, che inserisce la
allo spettatore qualcosa che i personaggi umani non potevano vicenda in un contesto di campagna, sfondo dell’incontro tra
sapere, e la cui ignoranza stava alla base del processo dram- le diverse classi sociali cui appartengono i gruppi famigliari dei
maturgico» (G. Paduano). Secondo F.H. Sandbach nel Dyskolos due giovani e del confronto tra i due modelli esistenziali che
il fatto ignoto ai personaggi e che solo Pan può rivelare al pub- essi rappresentano.

T. 2 Un uomo La commedia si apre con la comparsa del servo trafelato – archetipo del ser-
intrattabile vus currens della palliata latina – inseguito dal folle misantropo: «Attenzione,
attenzione, toglietevi tutti di mezzo, c’è un matto che m’insegue»! (v. 81).
Pirria, in preda al terrore, racconta al padrone – che nel frattempo stava con-
fidando il proprio innamoramento all’amico Cherea – i particolari dell’incontro
col dyskolos. Questi, appena contattato da Pirria, ha dato in escandescenze
investendolo di male parole («Maledetto, vieni nel mio campo, che vuoi?») e
ha preso a inseguirlo bersagliandolo con zolle, pietre e persino pere. Mentre il
servo racconta il cattivo esito della propria missione, penando nel convincere il
padroncino di non essere responsabile dell’esplosione d’ira del vecchio, questo
entra in scena ancora fuori di sé per la violazione della propria solitudine. È il
momento di massima tensione comica: l’uomo rimpiange di non essere Perseo,
che grazie al cavallo alato Pe-
gaso poteva sollevarsi al di
immagini topiche sopra dei propri simili e, col
l’antitesi della philanthropia volto della Gorgone, mutare
in pietra gli scocciatori. La
La misantropia di Cnemone non è solo un tratto che serve a caratterizzare un perso-

Menandro e la Commedia Nuova


naggio felicemente riuscito nella psicologia e nella resa poetica. Qui la misantropia nevrosi, in cui consiste la dy-
vale soprattutto in quanto è il contrario della philanthropia, la virtù ellenistica per skolìa, lo rende insofferente
eccellenza, alla quale Menandro era stato educato filosoficamente, se è vera la tradi- di qualsiasi contatto umano,
zione che lo vuole discepolo di Teofrasto e amico del peripatetico Demetrio Falèreo.
La philanthropia – il legame che esiste tra tutti gli uomini, proprio e soltanto perché
al punto che si sente brac-
sono uomini: creature di per sé amabili, come altrove scrive Menandro stesso («Com’è cato per essere stato sempli-
amabile l’uomo, quando è uomo!») – trionfa nello happy end, quando Cnemone, cadu- cemente contattato («ora mi
to nel pozzo, è salvato dal figliastro Gorgia. La generosità del giovane, che poco prima vengono a dare la caccia sulla
era stato da lui maltrattato, induce Cnemone a riconsiderare il proprio sistema di valori
improntato all’isolamento, al feroce moralismo, alla sfiducia nel genere umano. Allora, collina»). Una persona ferma
stupito, prima riscontra il desolato fallimento della propria vita, poi nello scoprire un vicino alla sua porta si mol-
mondo d’affetti che ignorava comprende la positività dell’umana solidarietà: «Mi sono tiplica, nella mente ossessio-
sbagliato, io che, solo fra tutti, ero convinto di essere autosufficiente e di non aver
nata, fino ad apparirgli «una
bisogno di nessuno… ho capito che non ero nel giusto. Infatti bisogna sempre che ci
sia – e che sia vicino – qualcuno per aiutarti … mi ero convinto che non ci fosse nean- folla soffocante» e poche pa-
che uno, fra tutti, disposto a far del bene a un altro. Questo mi impediva di capire. Ma role rivoltegli sono un tarlo
proprio ora Gorgia me ne ha dato la prova … mi ha salvato, benché io non gli permet- che rode il cervello («parlano,
tessi nemmeno di avvicinarsi».
parlano»).
140 DYSKOLOS
Entra Pirria1

PIRRIA Attenzione, attenzione, toglietevi di mezzo tutti, c’è un matto che mi insegue.
SOSTRATO Che c’è?
PIRRIA Scappate.
SOSTRATO Ma che c’è?
PIRRIA Mi tira addosso zolle, pietre. Sono morto.
SOSTRATO Ti tirano addosso ... Ma dove vai sciagurato?
PIRRIA Non m’insegue più?
SOSTRATO Ma no.
PIRRIA Credevo.
SOSTRATO Ma che dici?
PIRRIA Andiamocene, ti supplico.
SOSTRATO Dove?
PIRRIA Via da questa porta, il più lontano possibile. È un matto, un disperato, un indemonia-
to quello che abita qui.2 Povero me! Mi sono rotto quasi tutte le dita.
SOSTRATO [ ] Avrà combinato qualche guaio.
CHEREA [ ] È chiaro.
PIRRIA Ma no, te lo giuro. Mi possa venire un accidente. Ma tu sta in guardia, Sostrato. Non
riesco a parlare: mi manca il fiato. Busso alla porta di casa dicendo: «Chiamate il
padrone», e mi vien fuori una vecchia disgraziata, la quale, stando dove vi parlo io in
questo momento, me lo mostra che stava su una collina al lavoro, a raccogliere pere,
o piuttosto legna, per farsene una gogna.3
CHEREA Sei proprio arrabbiato.
PIRRIA Che ci vuoi fare? Vado nel campo, e ancora camminando, già da lontano, volendo
mostrarmi amichevole e garbato, lo chiamo. «Vengo – dico – per un certo affare per-
sonale, che ti riguarda».4 E lui subito: «Maledetto,5 vieni nel mio campo? Che vuoi?».
Prende una zolla e me la tira in faccia.
CHEREA Al diavolo!

1. La scena, finora piuttosto statica, si anima repentinamente per l’ingresso di Pirria da sinistra, dove si
Menandro e la Commedia Nuova

trova la casa di Cnemone.


2. Attraverso i coloriti epiteti del servo Pirria, viene introdotto il carattere, del tutto fuori del comune, del
vecchio scorbutico Cnemone, caratterizzato con un crescendo di attributi caratteristico della commedia:
oltre che pericoloso per la salute altrui il vecchio pare anche «indemoniato» (κακοδαιμονέω = “sono
posseduto da un cattivo genio”) ed è pazzo: è utilizzato infatti μελαγχολάω, che è termine tecnico del
linguaggio medico che indica lett. «avere la bile nera», un eccesso della quale provocava, secondo i testi
più antichi della medicina ippocratica, tristezza, depressione, follia. Questi due ultimi verbi sono asso-
ciati già in Aristofane, Pluto 366-372; cfr. inoltre Menandro, Epitrepontes 558ss.: «Questo è diventato
matto, matto, matto davvero … gli è venuto un attacco di bile (χολὴ μέλαινα προσπέπτωκεν) o qual-
cosa del genere» (tr. di G. Paduano).
3. Il racconto di Pirria è vivacizzato dal rapido susseguirsi delle scene, evocate con puntualità e un linguag-
gio colorito: la serva Simiche è detta κακοδαίμων, il vecchio è descritto intento al lavoro sulla collina. A
fine battuta c’è un gioco di parole intraducibile, dovuto all’uso di κύφων, che è propriamente il «giogo»
dell’aratro, ma anche la «gogna»: il vecchio raccoglieva pere, ma meglio sarebbe che raccogliesse legna
per farsi una gogna.
4. La buona predisposizione iniziale di Pirria è testimoniata dagli aggettivi φιλάνθρωπος «amichevole»
(che rimanda ad una delle caratteristiche più note del pensiero menandreo) e ἐπιδέξιος «garbato» (lett.
«che sta sulla destra», quindi «abile», ma anche «garbato», «compìto»).
5. La reazione immediata e violenta di Cnemone coglie di sorpresa Pirria: l’aggettivo ἀνόσιος («maledet-
to», «empio», «sacrilego», «scellerato») è di segno opposto a φιλάνθρωπος e ἐπιδέξιος, con cui il servo
si era accostato al vecchio, per perorare la causa del padrone.
UN UOMO INTRATTABILE 141
PIRRIA E in un batter d’occhio, mentre sto dicendo «Per Posidone» lui prende un bastone
e m’investe dicendo: «Che abbiamo a che fare, io e te?» e ancora «Non conosci la
strada pubblica?», e strilla come un’aquila.
CHEREA Questo contadino è matto completo, a quel che dici.
PIRRIA Non basta; io sono scappato e lui dietro per forse quindici stadi, prima sulla collina,
poi scendendo fin qui nel bosco, tirandomi dietro zolle, pietre, e anche le pere, quan-
do non aveva più altro. Una brutta faccenda, un vecchio maledettissimo. Andateve-
ne, ve ne prego.6
SOSTRATO Sarebbe una vigliaccheria.
PIRRIA Ma non sapete che razza di malanno è quell’uomo. Vi mangia vivi.
CHEREA Può essere che fosse irritato per qualche contrattempo. Sostrato, io penso che per
ora convenga rimandare la visita. Tieni conto che in tutte le cose è meglio scegliere
il momento opportuno.7
PIRRIA È giusto.
CHEREA Un contadino povero è un essere scorbuticissimo, non lui solo, ma quasi tutti. Do-
mani all’alba andrò da lui, io solo. La casa la conosco; tu ritorna a casa e aspettami.
Vedrai che le cose andranno bene.

Esce

PIRRIA Facciamo così.


SOSTRATO Non gli è parso vero di cogliere a volo il pretesto. È chiaro che non veniva volentieri
con me e non approva affatto il matrimonio. (a Pirria) Gli dei tutti ti fulminino, di-
sgraziato!8
PIRRIA Ma che ho fatto?
SOSTRATO Hai combinato qualcosa, là al campo.
PIRRIA Non ho rubato nulla.
SOSTRATO E ti voleva picchiare per nulla?
PIRRIA Eccolo che viene. lo me ne vado. Parlaci tu.

Esce; entra Cnemone

Menandro e la Commedia Nuova


SOSTRATO Non posso; non sono capace di persuadere la gente. [...] Non ha l’aria amichevole,
per Zeus! Che cipiglio! Mi scosterò un po’ dalla sua porta; sarà meglio. Cammina
e grida da solo; non sembra tutto sano. Perché non dirlo, in nome degli dei? Mi fa
paura.9

6. Giova alla comicità della scena la descrizione del vecchio che si presume non velocissimo e tuttavia in-
segue spietato il servo, lanciando come con una fionda (usa il verbo σφενδονάω, tecnico del linguaggio
militare) proiettili non ortodossi. Il commento finale di Pirria assume colorazione tragica.
7. Si osservi come Cherea, spaventato dall’idea di incontrare il vecchio furioso, s’ingegni a sostenere la
necessità di differire l’incontro ricorrendo a una massima che suggerisce l’inazione (proprio lui, che
Sostrato stima uomo πρακτικός, v. 56) e come il servo Pirria si affretti a dichiararsi d’accordo, espri-
mendosi al plurale («avete ragione»), come se Sostrato avesse già accolto il consiglio dell’amico.
8. La battuta di Sostrato è esplicitamente rivolta al servo che viene maledetto per avere mandato a monte i
piani del padrone.
9. L’attribuzione di questa battuta è problematica: nonostante le incertezze si accetta l’ipotesi secondo cui
sia Sostrato che parla a Pirria.
142 DYSKOLOS
CNEMONE Quant’era fortunato Perseo!10 E per due ragioni: perché grazie alle ali non si trovava
tra i piedi quelli che camminavano per terra, e perché tutti gli scocciatori poteva tra-
sformarli in pietre.11 Magari potessi anch’io! Non ci sarebbero altro che statue di pie-
tra in giro. Non si può più vivere; entrano nel mio podere e parlano, parlano. Sembra
che passi il mio tempo in mezzo alla strada, quando invece non coltivo più neppure
questa parte del campo per sfuggire alla gente che passa. Niente, ora mi vengono a
dare la caccia sulla collina. Una folla soffocante. E ora chi è quest’altro che se ne sta
impalato davanti alla mia porta?
SOSTRATO Che mi voglia picchiare?
CNEMONE Non ci si può godere la solitudine da nessuna parte, neanche se ci si volesse impic-
care!12
SOSTRATO Ce l’ha con me? (a Cnemone) Sto aspettando una persona; eravamo rimasti d’accordo
di trovarci qui.
CNEMONE Lo dicevo io! L’avete preso per un portico, per un luogo di riunione.13 Se volete ve-
dervi davanti alla mia porta, fate le cose per bene: costruite dei sedili, magari anche
una sala. Povero me! Mi sembra che questa sia una sopraffazione bella e buona.
(Entra in casa)
[Tr. di G. Paduano]

10 Comincia il soliloquio di Cnemone: i commentatori osservano che egli è già da un po’ sulla scena (da
nove versi) e che il suo silenzio ha accresciuto l’attesa curiosa del pubblico nei suoi confronti, ulterior-
mente stimolata – è probabile – dall’aspetto fisico dell’attore (abito e maschera). Ora egli comincia a
parlare con un riferimento sarcastico al mito di Perseo, che certo il pubblico non si attendeva: la particel-
la con cui inizia il discorso (εἶτα) ha una sfumatura di rabbia, sarcasmo e disprezzo. Del mito dell’eroe
argivo interessano Cnemone quei particolari mirabolanti di cui egli vorrebbe disporre per non imbattersi
in alcun seccatore: i sandali alati, munito dei quali Perseo partì alla ricerca della Gorgone Medusa, e la
testa di quest’ultima (il «possesso») che, come noto, trasformava in pietre chiunque la guardasse e che
l’eroe riuscì a mozzare per eliminare Polidette.
11. Il mondo ideale di Cnemone sarebbe privo di persone e popolato da statue (con la testa di Gorgone, par
di capire: il misantropo renderebbe di pietra tutti i seccatori che lo incontrassero), l’opposto – dal suo
punto di vista – rispetto alla massa di curiosi che rendono invivibile il suo stesso campo. Si noti anche
l’impiego del verbo ἐπεμβαίνω, con cui il vecchio descrive l’assalto al suo campicello: il verbo vale
«salire», «montare», «penetrare», «calpestare» e l’invasione è per giunta accompagnata da insoppor-
tabile ciarlare: «parlano» (λαλοῦσι) si riferisce certamente alla visita di Pirria, ma il plurale enfatizza
l’incursione, come se i disturbatori fossero ben più numerosi.
Menandro e la Commedia Nuova

12. Sostrato, memore del trattamento riservato dal vecchio al servo Pirria, teme di essere il prossimo obiet-
tivo della furia di Cnemone. Questi commenta la situazione con l’ennesima iperbole, che assume una
formulazione gnomica, ricordata da Libanio (Declamationes 26, 4) probabilmente proprio in relazione
al Dyskolos menandreo.
13. Nella sua foga polemica Cnemone ritiene che gli estranei abbiano scambiato la sua terra per un portico
(στοά) o una piazza, tradizionali luoghi d’incontro pubblico: nella mente del misantropo prende forma
la paura che casa sua diventi un permanente punto di riferimento per incontri e riunioni, per lui insop-
portabile affronto.

analisi del testo


una presentazione per gradi poi è indirettamente confermato dall’arrivo di Pirria (con la
Il giovane drammaturgo ha già imparato molto bene ad av- macchietta del servo che stenta a fermarsi per la paura che un
viare i propri lavori: ha infatti cucito una felice progressione nuovo lancio di pietre e zolle lo possa raggiungere); infine vie-
di quadri scenici, grazie alla quale il carattere del misantropo ne esibito in praesentia nelle sue più clamorose fobie mentre
protagonista dapprima è presentato dal dio Pan nelle sue co- cammina e grida da solo, invidiando la sorte di Perseo sul suo
stanti, nel suo lavoro, nelle conseguenze che il suo comporta- cavallo alato e definendo «folla soffocante» i molto occasionali
mento ha causato (in particolare, la separazione della moglie); passanti ai margini del suo fondo.
IL RAVVEDIMENTO 143

una contrapposizione etica, ma anche sociologica la mediazione di eros


Non ignoto alla tradizione (la figura del solitario Timone atenie- Ecco allora che nell’universo menandreo l’eros viene da un
se, vissuto in età periclea, è già più volte richiamata in Aristo- lato a prospettarsi come strettamente connesso ai giochi
fane e diventerà protagonista di un’operetta di Luciano), anche della sorte (certo, Pan è una divinità dotata di una precisa
se assente fra i Caratteri teofrastei (condivide tuttavia qualche e tradizionale fisionomia, non riducibile a figure astratte di
tratto con l’αὐθάδης «lo scortese», cfr. 15, 1-4: «La scortesia è altri prologhi menandrei come Tyche dell’Aspis o Ignoranza
asprezza di modi nel discorrere, e lo scortese suppergiù uno che, della Tosata: nondimeno fa sì che l’irruzione dell’eros nella
a chi gli domanda: “Dov’è il tale?”, risponde: “Non mi seccare”; e psiche di Sostrato si configuri come un evento esterno e in-
non ricambia il saluto»), il tipo del δύσκολος, che Aristotele nel controllabile); dall’altro si afferma come forza mediatrice fra
IV libro dell’Etica Nicomachea (1127a10) definisce come «colui le disparità delle condizioni sociali e dei caratteri (è molto
che prova disgusto per ogni cosa», serve a Menandro anche per significativo che della ragazza si lodi una ignoranza del male
organizzare una doppia opposizione sociologica, che investe i che viene ricondotta all’educazione ricevuta dal padre: vv.
rapporti fra città e campagna e fra ricchezza e povertà. Mentre 34-36).
infatti Cnemone possiede un piccolo podere e vive zappando e Anche la cura scenografica con cui il prologo addita agli spet-
raccogliendo legname dall’alba al tramonto coadiuvato da un tatori l’ambiente agreste e il ninfeo del demo di Phylé (non a
unico servo, il giovane innamorato della figlia di Cnemone è caso ben distante da Atene, anzi al margine dell’Attica, lungo
un «cittadino» di fatto e di modi (v. 41 ἀστικὸν τῇ διατριβῇ, il confine con la Beozia) è funzionale alla creazione di uno
«abita in città»), uno per il quale lo spazio agreste è insieme scenario che per una volta permette al poeta di osservare il
proprietà fondiaria (è figlio di un «un uomo ricco che possiede mondo cittadino con un distacco non privo di tensioni. La
qui terreni per parecchi talenti») e luogo di svago e di sport (vi si linea della δυσκολία è senz’altro perdente e l’intreccio nar-
è recato per cacciare). È fin troppo ovvio che fra questi caratteri rativo premierà una figura, quella del figliastro di Cnemone
e questi ambiti sociali non si possa stabilire, almeno inizialmen- (Gorgia), pronta a socializzare con Sostrato e ad offrigli la
te, alcuna comunicazione; e tuttavia il movimento della comme- propria solidarietà nel perseguire il suo piano. Ma già di per
dia, così come l’orientamento ideologico di Menandro, spingono sé la funzione protagonistica assegnata a Cnemone, lo spes-
proprio verso il superamento di una barriera apparentemente in- sore maniacale delle sue nevrosi, pur risultando ormai privi di
valicabile. Molla di questo processo è l’innamoramento, indotto quella forza progettuale che era prerogativa dell’eroe comico
in Sostrato da Pan (egli veglia sulla ragazza per ricompensarla aristofanesco, hanno la facoltà di accentrare su di sé la per-
delle cure con cui ella onora le Ninfe), il quale promuoverà la cezione dello spettatore, rendendo il caso di Cnemone certo
messa in moto della fase culminante della vicenda ispirando alla più interessante e coinvolgente di quel progetto amoroso di
madre di Sostrato un sogno che la indurrà ad apprestare un sa- Sostrato che pur costituisce la spina dorsale della macchina
crificio presso la grotta dove alberga il dio. drammaturgica.

T. 3 Il È il punto di svolta della commedia, quello in cui Cnemone avverte la necessità


ravvedimento della solidarietà e del reciproco aiuto nei casi della vita, sviluppato in un mono-
logo che si caratterizza per la lucida serietà delle argomentazioni e per il dislivel-
lo ritmico (tetrametri trocaici catalettici, altrove invece impiegati da Menandro,

Menandro e la Commedia Nuova


nella Tosata e nella Samía, per scene vivaci e a tratti farsesche) e rimanda ai
monologhi decisionali della tradizione tragica; e forse alla prassi scenica della
tragedia euripidea rinvia l’uso dell’ekkyklema, che sembrerebbe assicurato dalla
battuta di Cnemone al v. 758 εἰσκυκλεῖτ᾽ εἴσω με (si deve comunque trattare
di una scena d’interni, non essendovi alcuna ragione per trasportare il ferito
fuori di casa).
Il misantropo inselvatichito riconosce, di fronte al generoso comportamento del
figliastro Gorgia (che lo ha testé ripescato dal pozzo), di aver commesso un solo
errore (ἥμαρτον 713), ma un errore basilare, la cui ammissione scredita quel
mito dell’autosufficienza (αὐτάρκεια) di cui Cnemone aveva fatto il cardine
del proprio stile di vita. E il vecchio accompagna le parole di ravvedimento con
i fatti: adotta immediatamente Gorgia, al quale affida (secondo la prassi attica
dell’adozione) l’amministrazione dei propri beni e il compito di trovare un marito
alla sorella.
144 DYSKOLOS

Dyskolos, vv. ATTO QUARTO


691-747
Entrano Cnemone, sua figlia e Gorgia

GORGIA Hai bisogno di qualcosa?


CNEMONE (...) Sto male.
GORGIA Coraggio!
CNEMONE Coraggio ne ho. Cnemone non vi darà più fastidi per l’avvenire.
GORGIA Vedi il guaio della solitudine? Per poco non eri morto. Alla tua età bisogna pure
che ti si tenga d’occhio.
CNEMONE Mi sento male. Chiama tua madre, Gorgia.
GORGIA Senz’altro. Come si vede, solo le disgrazie riescono ad educare la gente. [Esce]
CNEMONE Figlia mia, vuoi darmi una mano a tirarmi su?
SOSTRATO Signore...
CNEMONE Che fai qui, disgraziato?

Rientra Gorgia con sua madre

Nessuno mi farà cambiare idea, e su questo mi darete ragione anche voi. L’unico
errore è stato forse quello di credermi autosufficiente, di non avere bisogno di
nessuno. Ora che ho visto da vicino la morte, rapida, imprevedibile, ho capito
che sbagliavo. Bisogna avere sempre vicino qualcuno che ti possa dare un aiuto.
Ma, per Efesto, sono stato messo fuori strada dal vedere il modo di vivere degli
altri, i loro calcoli, l’attenzione esclusivamente rivolta al guadagno. Non avrei
mai pensato che ci fosse tra tutti una persona capace di fare il bene altrui.
Questo era l’ostacolo che avevo davanti. Solo Gorgia ora mi ha dato coi fatti la
prova di essere un uomo generoso. Io non lo lasciavo neppure avvicinare alla mia
porta; non l’ho mai aiutato, non gli ho mai dato neppure una parola di saluto,
una parola gentile... eppure mi ha salvato. Un altro avrebbe detto, e con ragione:
«Non mi vuoi nella tua casa? E io non ci vengo. Non mi hai mai fatto un piacere?
E neanche io lo faccio a te». Che c’è, ragazzo? Se muoio – e credo proprio di sì,
Menandro e la Commedia Nuova

sto male – e anche se sopravvivo, ti adotto come mio figlio.


Tutto quello che ho, fa’ conto che sia tuo. Ti affido mia figlia, trovale un marito.
Io non potrei farlo neanche se fossi sano; nessuno mi piacerebbe. Quanto a me,
se vivo, lasciatemi vivere come mi piace. E anche il resto curalo tu al posto mio;
hai senno abbastanza, grazie agli dei. Del resto, è giusto che sia tu ad occuparti
di tua sorella.
Dalle in dote metà dei miei beni; l’altra metà deve servire al mantenimento mio
e di tua madre. Figlia mia, aiutami a sdraiarmi: parlare più del necessario non
è da vero uomo. Però devi sapere ancora una cosa, poche parole a proposito del
mio carattere. Se tutti fossero come me, non ci sarebbero tribunali, né prigioni,
né guerra, e tutti si accontenterebbero di poco. Ma a voi piace più questo modo
di vivere. E allora, comportatevi come vi pare, e il vecchio bisbetico se ne va fuori
dai piedi.
[Tr. di G. Paduano]
UNA TRAPPOLA PER SMICRINE, LO ZIO «CATTIVO» 145

analisi del testo


Abbattutta la barriera della separatezza, la misantropia si de- go, proclama orgogliosamente che, se tutti si comportassero
nuncia come forma di vita impraticabile, i valori della solidarie- come lui, non ci sarebbero né tribunali né prigioni né guerre.
tà e della comprensione ne escono riconfermati. E tuttavia que- Una contrapposizione io-voi in qualche modo sconcertante, dal
sto è lo sbocco dell’intreccio, il linguaggio dei fatti (ribadito momento che il «ma a voi piace più questo modo di vivere»
in chiave farsesca nel finale, allorché Cnemone sarà trascinato non può davvero coinvolgere, neppure dal punto di vista di
riluttante al banchetto) piuttosto che la meta tematica della Cnemone, il figliastro Gorgia o la figlia. Il «voi» investe dunque
scena. Gorgia, ai vv. 699 s., ha appena osservato con ottime gli spettatori e più in generale la società, con un’improvvisa
ragioni che solo le disgrazie riescono a educare (παιδεύειν) interferenza fra voce del personaggio e voce del poeta tanto
la gente, ma ecco che il pur ravveduto Cnemone quasi subi- più significativa in quanto la rottura dell’illusione scenica vie-
to lo smentisce: nessuno gli farà cambiare idea nonostante il ne a ribadire quella forza di resistenza del ruolo protagonistico
grosso errore che ha commesso. In realtà Cnemone è tuttora di Cnemone a cui facevamo riferimento in relazione alle scene
determinato a ribadire la sua visione della realtà e a dar lui le- iniziali della commedia.
zioni agli altri: innanzi tutto, l’errore che ha testé riconosciuto Pare insomma che nella politica della convivenza perseguita
viene giustificato con la considerazione che è stato commesso dal giovane Menandro l’affermazione dei valori di solidarietà,
in seguito a una deviazione prodotta dall’osservare «il modo comprensione, urbanità debba conciliarsi con la sopravviven-
di vivere degli altri, i loro calcoli, l’attenzione esclusivamente za delle individualità, dei valori soggettivi, tanto più se col-
rivolta al denaro»; più oltre, chiede agli astanti che lo lascino legati ai motivi della povertà operosa e dell’emarginazione
vivere come gli piace; infine, nella conclusione del monolo- contadina.

Dossier La figura del misantropo nella commedia


Il carattere del vecchio scorbutico e misantropo, impersonato da Cnemone nel Dyskolos di Menandro,
ha illustri antecedenti nella commedia di età arcaica. Allo stesso modo avrà straordinaria fortuna
nel teatro latino e in tutta la drammaticità occidentale.
Puoi leggere on line un excursus di P. Rosa con una serie di brani introdotti e commentati
che hanno il misantropo come protagonista.

lo Scudo
T. 4 Una trappola Se il primo atto ha visto l’esposizione dei fatti, sia attraverso il monologo

Menandro e la Commedia Nuova


per Smicrine, d’esordio di Davo sia più oltre con quello di Tyche, e la messa in moto, ad
lo zio «cattivo»
opera di Smicrine, del progetto che avvia l’intreccio comico (sposare lui la
sorella di Cleostrato), il secondo ha il compito di parare la mossa insidiosa
dell’avido vegliardo grazie all’organizzazione di un intrigo che prende cor-
po per merito dell’inventivo Davo, che è il pedagogo di Cleostrato, cioè del
morto presunto.
La trappola scatta proprio nel momento in cui sia Cherestrato, lo zio «buono»
di Cleostrato, sia il suo figliastro Cherea, giovane innamorato della sorella di
Cleostrato, sono piombati nella più tetra depressione (ἀθυμία).
Il colpo da maestro di Davo consisterà nel fare dell’ἀθυμία di Cherestrato lo
strumento per beffare il malvagio, inscenando un finto funerale a cui i pre-
senti dovranno partecipare comportandosi come attori tragici, ossia «met-
tendo in scena» una prostrazione (cfr. v. 329 τραγωδῆσαι πάθος), tanto
finta quanto simile a quella che Cherestrato ha testé sperimentato nella re-
altà.
146 LO SCUDO

vv. 250-390 ATTO SECONDO

Entrano Smicrine, Cherestrato, Cherea

SMICRINE Ebbene, ora che mi vuoi dire, Cherestrato?


CHERESTRATO Per prima cosa, mio caro, bisogna provvedere alla sepoltura.
SMICRINE Sarà provveduto. Dopo, però, non promettere la ragazza a nessuno: è compito mio,
non tuo. Sono il più anziano. Tu, in casa, hai moglie e una figlia, io non ancora.
CHERESTRATO Smicrine, un po’ di misura!
SMICRINE Perché, ragazzo?
CHERESTRATO Alla tua età, vuoi prenderti in moglie una ragazzina?
SMICRINE Quale età?
CHERESTRATO A me, sembri vecchio sul serio.
SMICRINE Sarei il solo a sposarmi non più giovanissimo?
CHERESTRATO Ma via, comportati con umanità, Smicrine. In nome degli dèi! C’è qui Cherea, cre-
sciuto insieme alla ragazza: stava già per sposarla. Che dire? Non ti aspetta alcun
danno: puoi prendere tu tutto quel che c’è qui, esserne legittimo proprietario, te lo
regaliamo, ma la ragazza no! Lascia che si trovi un marito della sua età! Le darò in
dote io, del mio, due talenti.
SMICRINE Perdio, Cherestrato, pensi di parlare a uno stupido? Cosa dici? Io dovrei prendere
i beni e lasciare a lui la ragazza? Già, così, se nasce un piccolino, eccomi davanti ai
giudici per appropriazione indebita.
CHERESTRATO Pensi questo? Per carità!
SMICRINE «Per carità» dici tu? Mandatemi Davo, con la lista di ciò che ha portato...
CHERESTRATO (...) Che avrei dovuto fare? (...)
SMICRINE (...)

Esce

CHERESTRATO (...) [A Cherea] Pensavo che tu avresti sposato questa ragazza, e lui, Cleostrato, mia
figlia, e che vi avrei lasciato padroni di tutti i miei averi. Potessi morire subito, prima
Menandro e la Commedia Nuova

di vedere cose che mai mi sarei immaginato.


CHEREA Eh sì, è naturale, Cleostrato, lamentare e piangere per prima la tua disgrazia, ma
per seconda la mia. Nessuno di costoro è sventurato quanto me. O carissimo a
me fra gli uomini, non per mia scelta mi sono innamorato di tua sorella, e senza
compiere alcun gesto precipitoso o riprovevole o offensivo l’ho chiesta in moglie
secondo la legge allo zio a cui l’avevi lasciata e a mia madre, colei che l’ha educata.
Credevo che avrei avuto una vita felice, ma proprio quando pensavo fermamente
e mi aspettavo che avrei raggiunto questa meta... in futuro non potrò neanche ve-
derla. Quella legge che non riconosce in alcun modo i miei diritti la consegna nelle
mani di qualcun altro.

Cherestrato sviene. Dalla casa entra in scena Davo

DAVO Cherestrato, non fare così! Tirati su. Non puoi perderti d’animo, lasciarti andare,
giacere inerme. Su, Cherea, avvicinati, confortalo! Non cedere! Per noi tutto dipende
UNA TRAPPOLA PER SMICRINE, LO ZIO «CATTIVO» 147
da questo. Piuttosto, apri la porta16, fatti vedere. Cherestrato, vuoi abbandonare i
tuoi cari così ignobilmente?
CHERESTRATO Mio buon Davo, sto male. Mi sento depresso per questa storia, sì, per gli dèi, e non
sono più in me, mi sembra proprio di impazzire. È il galantuomo di mio fratello
che con la sua malvagità mi ha ormai ridotto in questo stato di prostrazione. Vuole
sposarla lui.
DAVO Sposarla? Ci riuscirà?
CHERESTRATO È deciso, quel galantuomo, anche se gli ho offerto tutto ciò che Cleostrato ha spedito
qua.
DAVO Infame!
CHERESTRATO Infame, proprio! Non resisterò, per gli dèi, se dovrò assistere a un fatto simile.
DAVO Ma come si può avere la meglio su un essere così spregevole? È dura... è dura, sì, ma
forse si può.
CHERESTRATO Si può? Ah, varrebbe davvero la pena di impegnarsi a fondo, per Atena.
DAVO Se qualcuno, per gli dèi (...)
(...) due talenti [... Se diamo] a Smicrine una speranza, (...) lo vedrai subito finire
precipitosamente fuori strada, stravolto, e potrai rigirartelo a piacere; e poiché vede e
prevede solo ciò che desidera, sarà un giudice scriteriato della verità.
CHERESTRATO Che hai in mente? Per me, sono pronto a fare ciò che vuoi.
DAVO Voi dovete mettere in scena un’altra tragedia. Quello che dicevi poco fa ora devi farlo
sembrar vero, cioè che per la disgrazia di Cleostrato e per le nozze della ragazza sei
caduto in una profonda prostrazione, e che vedi nello sconforto questo giovane che
consideri figlio tuo, e insomma che sei stato colto da uno di quei mali fulminanti...
Del resto la maggior parte delle malattie nascono da qualche dolore, e so che tu già
per natura sei incline a sconforti e depressioni. Poi faremo venire qua un medico che
sputerà sentenze e dirà che trattasi di pleurite o di frenite o di qualche altra malattia
che ammazza alla svelta.
CHERESTRATO E allora?
DAVO All’improvviso sei stecchito. Noi gridiamo «Cherestrato è morto» e ci battiamo il
petto davanti alla porta. Tu sei chiuso dentro, e in mezzo alla stanza sarà esposta la
tua salma coperta di veli.

Menandro e la Commedia Nuova


CHERESTRATO [A Cherea] Capisci quel che dice?
CHEREA No, per Dioniso, proprio no!
CHERESTRATO Nemmeno io.
DAVO Tua figlia diventa ereditiera non meno di colei che ora è oggetto della lite; solo che
tu possiedi circa sessanta talenti, e quella quattro. Il vecchio avido ha lo stesso grado
di parentela con ambedue le ragazze.
CHERESTRATO Finalmente capisco.
DAVO Se non sei di sasso! Non gli parrà vero di dare la ragazza al primo che gliela chiede,
e alla presenza di tremila testimoni, e vorrà prendersi l’altra...
CHERESTRATO Avrà di che rammaricarsi, a quanto pare.
DAVO Si metterà ad amministrare tutta la casa, andrà in giro con un bel mazzo di chiavi,
porrà sigilli alle porte, sognando ricchezze.
CHERESTRATO E che ne sarà del mio finto cadavere?
DAVO Resterà lì; e noi staremo seduti tutt’intorno, attenti che lui non si avvicini.
148 LO SCUDO
(...)
CHERESTRATO Ciò che dici, o Davo, [si addice alla mia situazione] e al mio carattere.
DAVO Come potresti trarre migliore vendetta su quell’infame?
CHERESTRATO Sì, per Zeus, avrà la meritata punizione per tutto il veleno che mi ha fatto bere. Come
dice la favola, «il lupo venne a bocca aperta e se ne andò a bocca vuota».
DAVO È tempo di agire. Tu, Cherea, conosci qualche medico straniero, un tipo arguto,
spaccone in giusto grado?
CHEREA No, proprio no.
DAVO Ma dobbiamo trovarlo.
CHEREA Perché mai? Prenderò un mio amico, affitterò per lui una parrucca, un mantello, un
bastone, e lui s’industrierà a parlare forestiero.
DAVO Sì, subito.
CHERESTRATO E io che debbo fare?
DAVO Quel che abbiamo concordato: muori in santa pace!
CHERESTRATO Non mancherò. Ma non lasciate uscire nessuno, e non divulgate il piano. Siate uo-
mini!
CHEREA Ma chi dovrà sapere?
CHERESTRATO Bisogna dirlo a mia moglie e alle ragazze, per non farle piangere, ma gli altri in casa
lasciamo che si ubriachino credendomi morto.
DAVO Dici bene. Qualcuno lo accompagni dentro. Non appena il male insorge, e se il me-
dico si dimostra convincente, l’infame troverà un bel divertimento e una bella lotta.

Escono

analisi drammaturgica
Gioco metateatrale piazza, se non c’è nessuno in casa»). Come spesso in Menan-
Mai come qui Menandro (ma si ricordi che già nell’Elena di dro, un effetto naturalistico è ottenuto col presentare la con-
Euripide la salvezza veniva raggiunta attraverso un finto rito versazione come già in fieri, riferendone quel tanto che basta
funebre) ha fatto del “metateatro” l’occasione per un arguto per toccare il nocciolo del problema (qui la ferma determina-
gioco di specchi grazie al quale una situazione patetica, senza zione di Smicrine a sposare la ben più giovane nipote). Subito
nulla perdere della propria dichiarata serietà, può esser risolta emerge un problema di attribuzione delle battute, giacché il
Menandro e la Commedia Nuova

su un registro inconfondibilmente mediano fra i poli estremi rimprovero che abbiamo assegnato con Sandbach a Cherestra-
della “vera” tragedia e della “vera” (aristofanesca) commedia: to ai vv. 256 s. («Smicrine, un po’ di misura!») è stato da alcuni
una dimensione di arte riflessa e cosciente di sé al cui inter- attribuito al giovane Cherea sulla base della replica di Smicrine
no anche la gestualità e gli spostamenti degli attori (con il (v. 257 διὰ τί, παῖ; «Perché, ragazzo?»), trascurando però il
complesso meccanismo di entrate e uscite che articolano la valore puramente interiettivo che può assumere (cfr. ad es. Dy-
divisione delle scene) e la vivace segmentazione del dialogo in skolos 500 e Samía 360) il vocativo παῖ (non necessariamente
direzioni continuamente cangianti tendono a porsi come una riferito a un ragazzo), e sciupando l’effetto che ha invece l’im-
dimostrazione pratica delle risorse del genere, trasformando il provvisa interruzione del suo silenzio da parte di Cherea al v.
doppio πάθος (quello vero e quello simulato) in un divertito 284 con l’apostrofe a Cleostrato. Assai meglio dunque lasciare
“andante” patetico. alla coppia dei fratelli tutto il dialogo fino all’uscita di Smicrine
(v. 278), e in particolare a Cherestrato, il fratello minore, il di-
dinamiche sceniche plomatico seppur improbabile tentativo di ricondurre Smicrine
Dopo l’intermezzo corale, marcato dalla sigla ΧΟΡΟΥ e prean- alla ragione.
nunciato da Davo (vv. 245 ss.), nell’area scenica rimasta vuota
sopraggiunge un terzetto formato da Smicrine, Cherestrato e Collasso emotivo
Cherea, che sappiamo provenienti dall’agorà o dai suoi dintor- È il fallimento di questa prova che promuove, una volta al-
ni, cioè dalla direzione lungo la quale si era mosso Smicrine lontanatosi Smicrine, quel pathos risolto in stratagemma a cui
(cfr. vv. 211-213: «Devo vedere qualcuno di questi; andrò in facevamo riferimento. Cherestrato chiude il suo sfogo con un
CARISIO E PANFILE: RELAZIONE «COMPLICATA» 149
disperato «Potessi morire subito, prima di vedere cose che mai di Cherea perché si avvicini e conforti il patrigno, poi si rivolge
mi sarei immaginato...», Cherea esordisce al v. 284 con un’in- nuovamente a quest’ultimo (a partire da μὴ ᾽πίτρεπε «Non
teriezione che suole denotare la transizione a un nuovo argo- cedere» del v. 301), infine cerca di avviarlo verso casa perché,
mento (εἶεν «ebbene», «eh, sì»), dando voce a un monologo aperta la porta, si faccia vedere dai familiari (τοὺς φίλους
carico di amara rassegnazione che evidentemente già stava 304, da riferire specialmente alle donne in lutto).
svolgendo silenziosamente dentro di sé. Due collassi emoti-
vi, due simultanee ἀθυμίαι: troppe per essere prese davvero l’abile regia del servus callidus
sul serio, tanto più se (ma anche su questo punto le opinioni Controparte positiva di Smicrine, in quanto a lui accomunato
divergono) Cherestrato non sviene né rientra in casa dopo il da una carica comunque costruttiva che necessariamente man-
v. 283 ma resta in scena, assiste in silenzio al monologo di ca alla coppia di depressi (oltretutto, parrebbe, un po’ tardi
Cherea e solo alla fine di esso è colto da un collasso, crolla a a comprendere: cfr. v. 346), Davo sa opporre alla competen-
terra e viene soccorso da Davo, uscito dalla casa dello stesso za legale del vecchio, esperto in lasciti e in tutela del minore
Cleostrato. Ed ecco appunto che le apostrofi e il gesticolare (cfr. vv. 269 ss.), l’arma del suo poeta, quella regia drammatica
affannato di Davo riducono a una nota velatamente umoristica, che avrà per protagonista Cherestrato, per comprimari Cherea,
senza esplicitamente ridicolizzarla, questa doppia disperazio- Davo stesso e un finto medico, e per spettatore lo sciagurato
ne: egli invita Cherestrato a tirarsi su, chiede la collaborazione Smicrine.

L’Arbitrato
P resentiamo per intero quello che rimane della commedia, nella traduzione di F.
Ferrari (da Menandro e la Commedia Nuova, a c. di F. F., Einaudi, Torino 2001).

Personaggi del dramma:


CARIONE cuoco,
ONESIMO servo di Carisio,
CHERESTRATO amico di Carisio,
SMICRINE padre di Panfile e suocero di Carisio,
ABROTONO etera,
SIRO carbonaio, servo di Cherestrato,
DAVO pastore,
PANFILE moglie di Carisio,
CARISIO giovane sposo di Panfile,

Menandro e la Commedia Nuova


SOFRONA serva di Smicrine e nutrice di Panfile (personaggio muto),
SIMIA aiutante del cuoco (personaggio muto).

Personaggi muti:
moglie di Siro, forse Sofrona e Simia.

Scena Una via di un borgo dell’Attica, forse non lungi da Halai Araphénides (sulla
costa, a est di Atene), dove si celebrava la festa delle Tauropolie. Sullo sfondo le
case di Carisio e del suo amico Cherestrato.

T. 5 Carisio e Panfile: Prima del fr. 6, da collocare alla fine del I atto, possiamo ipotizzare, soprattutto
relazione sulla base di alcune citazioni, tre scansioni principali:
«complicata»
1. un dialogo iniziale fra Onesimo, servo di Carisio, e il cuoco Carione, noleggiato
per un banchetto in casa di Cherestrato (frr. 1, 2, 3 e 5): nel corso di questo
150 L’ARBITRATO
dialogo Onesimo doveva raccontare a Carione di aver scoperto che Panfile,
moglie di Carisio, durante l’assenza del marito ha dato alla luce, solo cinque
mesi dopo le nozze, un bimbo e lo ha abbandonato nella campagna circo-
stante; al padrone appena tornato Onesimo ha subito spifferato la notizia, e
così Carisio ha abbandonato Panfile trasferendosi nella casa adiacente del suo
amico Cherestrato, dove ha reclutato anche un’etera, la giovane suonatrice
Abrotono;
2. un prologo espositivo recitato da una divinità, che non siamo in grado di iden-
tificare, la quale doveva comunicare agli spettatori due dati essenziali della
trama: che il padre del bimbo partorito da Panfile è Carisio stesso, che in stato
di ubriachezza aveva violentato Panfile in una festa notturna, e che il bimbo
esposto è stato ritrovato da uno schiavo di Cherestrato (Davo);
3. un monologo di Cherestrato (o un dialogo fra Cherestrato e un altro perso-
naggio, eventualmente Abrotono) seguito dall’arrivo di Smicrine (il padre di
Panfile che ha appena saputo dell’abbandono della figlia da parte di Carisio),
con un monologo del vecchio intercalato da commenti ‘a parte’ di Cherestrato.

intermezzo del coro

T. 6 L’arbitrato Dopo una lacuna che ci porta direttamente all’inizio del secondo atto, assistiamo
alla scena «madre» da cui prende il titolo la commedia: l’alterco per strada fra
il pastore Davo e il carbonaio Siro. Il primo, che ha consegnato a Siro il neo-
nato esposto che ha trovato, pretende di tenere per sé gli oggetti preziosi che
del bambino, che invece il carbonaio reclama, in quanto possesso del bambino
stesso. I due quindi affidano il verdetto a Smicrine, presente lì per caso, nomi-
nandolo arbitro del contenzioso.

vv. 173-418 ATTO SECONDO


Menandro e la Commedia Nuova

Onesimo entra dalla casa di Cherestrato

ONESIMO Ritenendo che tutte le umane vicende [siano] precarie [...] il padrone [...] il vecchio
[...].1

Entrano, provenienti dalla campagna, il carbonaio Siro, il pastore Davo e la moglie di Siro con in
braccio un bimbo

SIRO Te ne freghi della giustizia.


DAVO Tu mi vuoi ricattare. (Fra sé) Che iella!

1. La lacuna che si apre dopo i primi, malridotti 6 versi del II atto doveva contenere una sequenza in cui
Onesimo dapprima recitava un monologo e poi dialogava con Smicrine (che dopo la lacuna vediamo già
sulla scena, in procinto di tornare in città), forse cercando di tranquillizzarlo con qualche menzogna dopo
il colloquio avuto dal vecchio con Panfile.
L’ARBITRATO 151
SIRO Non devi avere ciò che non ti appartiene. Abbiamo bisogno di un giudice di pace.
DAVO Bene, sottoponiamoci alle decisioni di un arbitro.
SIRO Quale?
DAVO Per me uno vale l’altro. Ho quello che mi merito. Ma che bisogno avevo di coinvol-
gerti?
SIRO (indicando Smicrine) Ti sta bene lui come giudice?
DAVO Perché no?
SIRO (a Smicrine) Scusa, amico, avresti un po’ di tempo da dedicarci?
SMICRINE A voi? A che scopo?
SIRO Abbiamo un contenzioso.
SMICRINE E a me?
SIRO Siamo alla ricerca di un arbitro imparziale. Se non hai impegni, risolvi tu la nostra
lite.
SMICRINE Accidenti a voi! Con queste giubbe di pelle andate in giro a proporre controversie?
SIRO Ma tant’è... La questione non richiede tempo ed è facile da inquadrare. Sii gentile,
signore, e non umiliarci, in nome del cielo. La giustizia deve prevalere in ogni circo-
stanza e in ogni luogo e chi si trova presente a una lite dovrebbe sentirsi impegnato a
offrire il suo contributo: è un principio universale della convivenza civile.2
DAVO (fra sé) Eh sì, mi tocca fronteggiare un bravo oratore. Ma che bisogno avevo di coin-
volgerlo?
SMICRINE E dimmi, rispetterete il mio verdetto?
SIRO Scrupolosamente.
SMICRINE Bene, vi darò udienza. Cosa me lo impedisce? (A Davo) Parla prima tu che hai taciuto
finora.
DAVO Vorrei risalire un po’ indietro, al di qua della controversia con lui, affinché la que-
stione ti risulti perfettamente chiara. Devi sapere, egregio signore, che una trentina
di giorni fa ero intento a pascolare tutto solo le pecore nella boscaglia al confine con
questi campi quando in terra trovai un bimbo abbandonato con accanto una collana
e questi pochi monili.
SIRO Di questi si tratta.
DAVO (A Smicrine) Mi interrompe.

Menandro e la Commedia Nuova


SMICRINE (A Siro) Se apri ancora bocca ti mollo una bastonata.
SIRO Scusa!
SMICRINE (A Davo) Continua.
DAVO Continuo. Lo raccolsi, lo portai a casa, decisi di allevarlo. Ma la notte porta consiglio3
e cominciai a ragionare fra me e me: «Che m’importa di allevare un bimbo? Perché
andare in cerca di guai e di pensieri? E come potrei sostenere le spese?». Queste
erano le mie riflessioni. Il mattino seguente tornai col mio gregge e sul posto arrivò
anche lui – è un carbonaio – per segare dei tronchi. Già ci conoscevamo e ci capi-
tava di scambiare qualche parola. Vedendomi corrucciato, mi fece: «Perché Davo è

2. La gnome, di profilo molto alto, sembra porsi soprattutto sulla linea della rivendicazione di una solida-
rietà comunitaria (οἰκείωσις) quale era stata teorizzata da Teofrasto nel De pietate (vedi Porfirio, De
abstinentia III 25).
3. Il motto ἐν νυκτὶ βουλή è registrato da Zenobio (III 97) e appare presupposto in Erodoto VII 12, 1 νυκτὶ
δὲ βουλὴν διδούς e altrove.
152 L’ARBITRATO
tutto pensieroso?». E io: «Me lo domandi?». Sono un pettegolo e così gli racconto
la storia: che avevo trovato il bimbo, che l’avevo raccolto. Lui non mi lascia neppure
concludere e ripetendo continuamente «Dio te ne renda merito, Davo!» mi scongiu-
ra: «Cedilo a me, il piccolo. Il cielo ti benedica e ti liberi dalla schiavitù. Ho moglie e
le è morto il piccolo che aveva appena partorito». Si riferiva appunto alla donna che
tiene in braccio il bimbo in questo momento. Mi supplicavi o no, caro il mio Siro?4
SIRO Sì.
DAVO Mi tormentò per tutto il giorno finché cedetti alle sue insistenze. Glielo diedi e lui
si congedò colmandomi di benedizioni: mi stringeva le mani, me le baciava.5 Non è
vero?
SIRO È vero.
DAVO Sparì, ma ora eccolo di nuovo qui con la moglie a reclamare tutt’a un tratto gli
oggetti che allora erano deposti accanto al bimbo – ma sono robetta, cianfrusaglie,
niente di prezioso – e dice che gli faccio una prepotenza se non li consegno a lui e
pretendendo di tenermeli. Secondo me dovrebbe dirmi grazie per aver ottenuto ciò
che chiedeva ed è assurdo che mi metta sotto inchiesta se trattengo qualcosa. Anche
se questi oggetti li avesse trovati andando in giro con me e la scoperta l’avessimo fatta
insieme,6 una parte l’avrebbe presa lui, un’altra io. (A Siro) Invece li ho trovati da solo
e tu [in quel momento] non c’eri: ti pare giusto che tu abbia tutto e io niente? In
conclusione, io ti ho dato una cosa che era mia: se ci tieni, conservala; se non ci tieni
e ti sei pentito, restituiscila senza fare il prepotente o la vittima. Ma che tu ti prenda
tutto, un po’ col mio consenso e un po’ con la forza, non è ammissibile. Ho finito.
SIRO (a Smicrine) Ha finito?
SMICRINE (a Siro) Non hai le orecchie? Ha finito.
SIRO Bene! Ora tocca a me. Il bimbo lo trovò da solo, tutto ciò che ha raccontato rispon-
de a verità. È andata proprio così, caro signore, e non posso negare che ho avuto il
piccolo a furia di preghiere e di suppliche. Un pastore però, un compagno di lavoro
con cui si era confidato, mi ha riferito che trovò anche dei gioielli, ed è qui a riven-
dicarli il suo stesso proprietario. – (Alla moglie) Porgimi il bimbo, cara. (Prende il bimbo
e lo protende verso Davo) È lui, Davo, che reclama da te la collana e gli altri segni di
riconoscimento: è come se dicesse che furono sistemati lì per suo ornamento, non
Menandro e la Commedia Nuova

per dar da mangiare a te. E anch’io ti chiedo di restituirli, ora che sono diventato suo
tutore:7 – eh sì, tale mi hai reso tu stesso con l’affidarmelo. (A Smicrine) Ora, signore,
sta a te giudicare, io credo, se questi oggetti, d’oro o d’altro materiale, devono essere
custoditi per il bimbo, come un dono di sua madre, chiunque ella fosse, fino al mo-
mento in cui sarà diventato grande, o se deve tenerseli chi li trafugò solo perché trovò
per primo cose che non gli appartenevano. (A Davo) Perché mai – potresti obiettare

4. Nel testo greco è Συρίσκ(ε) che è stato spesso interpretato come il nome del personaggio (Sirisco); in
realtà si tratta di un diminutivo (cfr. Terenzio, Adelphoe 763, dove Syrus apostrofa se stesso con Syrisce),
come è attestato dal mosaico di Mitilene che raffigura questa scena, dove il personaggio è appunto indi-
cato come SUROS.
5. Baciare le mani è un gesto raramente ricordato nei testi greci (ma cfr. Odissea XXI 225, Senofonte,
Ciropedia VII 5, 32).
6. Letter. «se fosse stato un Hermes comune» (Hermes era il dio dei guadagni fortunati e il nesso κοινὸς
Ἕρμης compare anche in Teofrasto, Caratteri 30, 9).
7. In senso lato, dato che uno schiavo non poteva assumere tutela.
L’ARBITRATO 153
– non li reclamai quando presi il bimbo? Ma perché non ne avevo ancora il diritto.
Ora invece sono qui per toccare di questo argomento, ma senza rivendicare nulla per
me. Parli di scoperta in comune? Ma non si può parlare di “scoperta” quando c’è un
essere umano violato nei suoi diritti: questa non è una scoperta, è un furto. (A Smicri-
ne) Considera un altro aspetto della questione, gentile signore. Forse questo infante
è di condizione superiore alla nostra e pertanto, dopo essere stato allevato in mezzo
a lavoratori di campagna, comincerà a disprezzare il nostro stato e assecondando
l’impulso incoercibile della sua origine oserà cimentarsi in qualche nobile impresa:
cacciare leoni, andare in guerra, correre nelle gare atletiche. Sono sicuro che sei stato
a teatro e queste cose le sai. Quegli eroi famosi, Neleo e Pelia, furono trovati da un
anziano pastore che indossava come me una giubba di pelle: quando capì che erano
di condizione superiore alla sua rivelò il segreto raccontando come li aveva trovati e
raccolti e consegnò loro una borsa contenente quei segni di riconoscimento grazie ai
quali ricostruirono la loro origine e da pastori quali erano diventarono dei sovrani.8
Se quegli oggetti li avesse presi Davo, li avrebbe venduti per una dozzina di dracme
e personaggi tanto egregi e di tale lignaggio avrebbero trascorso tutta la vita nell’om-
bra. Non è bello, signore, che, mentre io allevo questo bimbo, Davo ne soffochi la
prospettiva di un avvenire migliore. C’è chi, in virtù di qualche oggetto di riconosci-
mento, evitò di sposare la sorella e c’è chi incontrò e liberò la madre e chi salvò il
fratello.9 Dal momento che la vita umana è per sua natura esposta alla precarietà,
dobbiamo tutelarla con l’arte di prevedere il futuro, intuendo con largo anticipo i
fattori che possono condizionarla. Lui dice: «Se non ti va di tenerlo, restituiscilo»,
e crede di avere addotto un valido argomento. Ma non è giusto. (A Davo) Essendo
costretto a restituire qualcosa che appartiene al bimbo cerchi di prenderti anche lui
per tornare a compiere più comodamente le tue mascalzonate, ora che la Fortuna ha
salvato un po’ delle sue cose? (A Smicrine) Ho finito. Giudica tu chi ha ragione.
SMICRINE Il verdetto è facile. Tutti gli oggetti esposti insieme col neonato gli appartengono.
Questa è la mia sentenza.
DAVO Bene. E il bimbo?
SMICRINE Diamine, non lo assegnerò sicuramente a te che gli vuoi nuocere, ma a chi lo proteg-
ge e cerca di parare le tue ribalderie.

Menandro e la Commedia Nuova


SIRO Il cielo ti benedica!
DAVO In nome di Zeus salvatore, che [sentenza] crudele! [Io] ho trovato tutto e mi si sottrae
tutto, lui non ha trovato un bel niente e si tiene ogni cosa. Insomma, devo dargli tutti
gli oggetti?
SMICRINE Devi.
DAVO Ah, una sentenza crudele, accidenti a me!
SIRO Sbrígati!
DAVO Bel trattamento, per Eracle!

8. Neleo e Pelia erano stati esposti dalla madre Tirò dopo averli generati da Posidone. Riconosciuti figli
suoi (l’agnizione avveniva tramite la tinozza in cui i neonati erano stati abbandonati alla corrente del
fiume), Neleo divenne re di Pilo, Peleo della Tessaglia. L’argomento era stato trattato da Sofocle nella
perduta Tirò.
9. Per il secondo caso si possono richiamare la già ricordata vicenda di Tirò o quella di Ipsipile, per il terzo
quella di Ifigenia e Oreste nell’Ifigenia fra i Tauri di Euripide, ma per il primo non abbiamo un preciso
punto di riferimento anche se qualche affinità si può intravedere con la trama della Perikeiromene.
154 L’ARBITRATO
SIRO Apri la borsa e fammi vedere: di sicuro gli oggetti li tieni lì. (A Smicrine che si è mosso per
andarsene) Aspetta un momento, per favore, finché me li consegna.
DAVO (fra sé) Ma perché mi sono affidato a questo tizio?
SIRO (a Davo) Consegna, avanzo di galera!
DAVO (consegnando con riluttanza gli oggetti a Siro) È una vergogna.
SMICRINE (a Siro) Hai preso tutto?
SIRO Credo di sì, a meno che, sentitosi sconfitto, non abbia ingoiato qualcosa mentre di-
cevo le mie ragioni.
DAVO (fra sé) Incredibile!
SIRO (A Smicrine) Addio e buona fortuna, nobile signore. Ogni giudice dovrebbe compor-
tarsi alla tua maniera.

Smicrine esce in direzione della città

DAVO [Una vera ingiustizia!] Non si è mai udito verdetto più crudele.
SIRO Non sei stato onesto.
DAVO Disonesto sarai tu. E ora [bada] di conservare questi oggetti per lui, [finché sarà di-
ventato grande.] Non smetterò mai di tenerti gli occhi addosso.

Esce in direzione della campagna

SIRO Va’ all’inferno! (Alla moglie) Tu, moglie, prendi queste cose e portale dentro dal nostro
giovane padrone, da Cherestrato. Per questa notte staremo qui, domani pagheremo
il tributo e torneremo al lavoro. Ma prima contami gli oggetti uno per uno. Hai una
cesta? (La moglie fa cenno di no) Mettili nel grembiule.

Entra Onesimo dalla casa di Cherestrato

ONESIMO (fra sé) Un cuoco così lento non si era mai visto. Ieri a quest’ora bevevano da un pezzo.
SIRO (Alla moglie) Questo sembra un gallo... come è rinsecchito! Prendi. Questo amuleto è
tempestato di pietre preziose. Questa è una scure.
Menandro e la Commedia Nuova

ONESIMO (avvicinandosi) E qui che c’è?


SIRO Questo è un anello dorato, con l’anima in ferro: porta inciso un toro o un capro, non
riesco a distinguere.10 Secondo l’incisione l’artista è un certo Cleostrato.11
ONESIMO Lasciami vedere.
SIRO Ecco. Ma tu chi sei?
ONESIMO Sì, è questo.
SIRO Che cosa?
ONESIMO L’anello.
SIRO Quale anello? Non capisco.
ONESIMO L’anello del mio padrone Carisio.
SIRO Vaneggi.

10. Analoga indeterminatezza in Perikeiromene 768 ss.


11. Artista non altrimenti noto.
L’ANELLO DI CARISIO 155
ONESIMO [Quello che] aveva perduto. (Lo prende)
SIRO Posa, furfante!
ONESIMO Dovrei lasciare a te il nostro anello? Tu, piuttosto, come lo hai avuto?
SIRO Per Apollo e per tutti gli dei del cielo, è inaudito! Che fatica mettere al riparo i beni di
un orfanello! Si avvicina un tizio e subito ti sgrana i suoi occhi da lupo. Posa l’anello,
ti ripeto.
ONESIMO Mi prendi in giro? È del mio padrone, per Apollo e per tutti gli dei del cielo.
SIRO (fra sé) Mi lascerei scannare prima di cedergli qualcosa. D’accordo: farò causa a
tutti, uno per uno. Sono cose che appartengono al bimbo, non a me. (Alla moglie)
Questa è una collana, prendi. Oh, la falda di una tunichetta scarlatta. Va’ dentro.
(La moglie di Siro esce con l’infante verso la casa di Cherestrato. A Onesimo) Tu cosa mi vuoi
dire?
ONESIMO Io? Che questo anello appartiene a Carisio. Mi ha detto di averlo [smarrito] una
volta che era ubriaco.
SIRO Sono servo di Cherestrato. Custodiscilo tu con molta attenzione oppure [dallo] a me
e [te] lo terrò al sicuro io.
ONESIMO Preferisco [custodirlo] io.
SIRO Per me fa lo stesso. Del resto, mi pare, ci avviamo tutti e due nella stessa direzio-
ne.12
ONESIMO Ora però stanno in compagnia e non è il momento più adatto per rivelazioni del
genere. Meglio rimandare a domani.
SIRO Aspetterò. Domani13 sono pronto ad accettare l’arbitrato di chi volete. (Onesimo esce
verso la casa di Cherestrato. Fra sé) Anche questa volta me la sono cavata discretamente.
Comunque sia, mi pare di capire che devo accantonare qualsiasi altro impegno e
addestrarmi a perorare cause: tutto al giorno d’oggi dipende da questo.

Esce verso la casa di Cherestrato

12. Si stanno dirigendo entrambi nella casa di Cherestrato.


13. È un riferimento vago al futuro (cfr. Perikeiromene 983) e non implica necessariamente che l’azione si
svolga su due giorni.

intermezzo del coro Menandro e la Commedia Nuova

T. 7 L’anello Si presenta in scena Onesimo che afferma di aver tentato più volte di avvicinarsi
di Carisio a Carisio per mostrargli l’anello, ma di non aver poi mai avuto il coraggio di
parlargli: i rapporti con il padrone si sono del resto fatti tesi, da quando lo ha
informato del parto della moglie in sua assenza. L’anello smarrito da Carisio alle
Tauropolie, che è parte del corredo del bambino raccolto da Davo e adottato da
Siro, diviene elemento centrale per lo scioglimento dell’intreccio, poiché alla
festa ha partecipato anche Abrotono, che ricorda un episodio di violenza consu-
mato in quell’occasione.
156 L’ARBITRATO

vv. 419-699 ATTO TERZO


Entra Onesimo dalla casa di Cherestrato
ONESIMO (fra sé) Cinque, sei volte ho tentato di avvicinarmi al padrone per mostrargli l’anello,
ma proprio quando sono vicino e mi accingo a parlargli mi tiro indietro. Anzi, mi
pento delle stesse rivelazioni fatte in precedenza.1 Non fa che ripetere: «Zeus ince-
nerisca il disgraziato che mi ha raccontato queste cose!» Ho paura che, quando avrà
fatto pace con la moglie, si sbarazzerà di me che gli ho rivelato il segreto e che so.
Grazie tante! [Che bisogno c’è] di creare un nuovo pasticcio in aggiunta a quelli
esistenti? Il guaio già fatto è [grosso] abbastanza.

Entra Abrotono dalla casa di Cherestrato


ABROTONO (verso l’interno della casa, ad alcuni convitati che la importunano) Lasciatemi andare, ti scongiuro,
non mi tormentate. (Fra sé) Povera me! Evidentemente ho preso in giro me stessa senza
neanche accorgermene. [Credevo che] mi desiderasse, ma quello mi odia di un odio
incredibile. Ahimé, non permette neanche che gli sieda accanto, ma mi tiene in disparte.
ONESIMO (fra sé) Dovrei restituirlo a chi me lo ha dato poco fa? Non ha senso.
ABROTONO (fra sé) Poverino! Perché butta via tanto denaro? Fosse per lui, ahimé, potrei portare il
canestro di Atena:2 è già il terzo giorno che me ne sto qui, come si suol dire, pura come
un giglio.
ONESIMO (fra sé) Come venirne fuori, in nome degli dei, come, per pietà...

Entra Siro dalla casa di Cherestrato


SIRO Ma dove si è cacciato il tizio [che] sto cercando per tutta la casa? (Accorgendosi della
presenza di Onesimo) Ehi tu, [rendimi] l’anello, caro mio, o mostralo finalmente a chi di
dovere. Risolviamo la questione! Io devo andare in un posto.
ONESIMO Il fatto, sai, è che appartiene senza il minimo dubbio al mio padrone Carisio, ma esito a
mostrarglielo: sarebbe come renderlo padre del bimbo insieme al quale l’anello fu esposto.
SIRO Come sarebbe?
ONESIMO Non capisci? Lo smarrì alle Tauropolie,3 durante una veglia femminile. È facile im-
maginare che fu commessa violenza su una ragazza e poi costei fu costretta a esporre
Menandro e la Commedia Nuova

il figlio subito dopo averlo partorito. Trovando la ragazza e mostrandole l’anello


avremmo una prova inconfutabile; ora, invece, non c’è che un sospetto inquietante.
SIRO Questo è un problema che devi risolvere da solo. Ma sbagli di grosso se confondi le acque
nella speranza che per riavere l’anello io ti dia qualche cosetta. A spartire non ci penso
proprio.
ONESIMO Nemmeno io.
SIRO Tanto meglio. Adesso devo andare in città,4 ma tornerò di corsa: vorrei capire come
va regolata la faccenda.

Esce in direzione della città

1. Era stato Onesimo a riferire a Carisio del bimbo esposto da Panfile.


2. Nella processione delle Panatenee le portatrici dei canestri sacri dovevano essere vergini.
3. Una festa notturna in onore di Artemide Tauropólos che si svolgeva a Brauron, nel demo attico di Halai
Araphénides (cfr. Euripide, Ifigenia fra i Tauri 1450 ss.).
4. Poco prima (v. 445), in maniera più vaga, Siro aveva detto «io devo andare in un posto» (ἐλθεῖν δεῖ μέ ποι).
LA «RECITA» DI ABROTONO 157
T. 8 La «recita» Come la sequenza dello Scudo che abbiamo letto in precedenza e nella quale
di Abrotono Davo architettava il suo piano per far naufragare il progetto di Smicrine, anche
questo dialogo fra Onesimo e Abrotono prevede l’elaborazione di un’iniziativa
destinata a imprimere una svolta al corso degli avvenimenti; e anche qui il mo-
do con cui una tale iniziativa dovrà essere sviluppata assume connotazioni di
«metateatro», con Abrotono che descrive se stessa in azione allorché fingerà
che la ragazza violentata da Carisio alle Tauropolie dell’anno precedente fosse
lei stessa. Abrotono saprà essere – ce lo assicura e anzi ce lo dimostra con le sue
anticipazioni – abile regista e insieme interprete della propria finzione, sfruttan-
do quella conoscenza della vita e specialmente del linguaggio dei luoghi comuni
e delle situazioni tipiche che ha assimilato nella breve stagione (non più di un
anno) che l’ha vista trasformata, da vergine che scherza spensierata e suona
la cetra nella veglia delle donne (cfr. vv. 476 ss.: «...alle Tauropolie dell’anno
scorso. Suonavo la cetra per un gruppo di ragazze, e insieme a loro scherzavo.
Neppure io, allora, conoscevo cos’è un uomo») in professionista del piacere or-
mai esperta delle «solite banalità» che inorgogliscono l’uomo banale (e, nel caso
specifico, anche stupratore).

vv. 464-556

ABROTONO (avvicinandosi) Ehi, Onesimo, il bimbo che ora quella donna allatta in casa lo ha tro-
vato questo carbonaio?
ONESIMO Così dice.
ABROTONO Com’è grazioso, poverino!
ONESIMO E sostiene che accanto c’era questo anello del mio padrone.
ABROTONO Disgraziato! Se è figlio del tuo padrone, permetterai che sia tirato su come uno schia-
vo? Ti meriti la morte.
ONESIMO La madre, ti ripeto, nessuno sa chi è.
ABROTONO L’anello, dicevi, lo smarrì alle Tauropolie?
ONESIMO Sì: era ubriaco, come mi riferì il servo che lo accompagnava.
ABROTONO Evidentemente si imbatté nelle donne che celebravano da sole la festa notturna. A un

Menandro e la Commedia Nuova


episodio del genere assistetti anch’io.
ONESIMO Davvero?
ABROTONO Sì, alle Tauropolie dell’anno scorso. Suonavo la cetra per un gruppo di ragazze e mi
divertivo [in loro compagnia]. Né allora io ... non sapevo ancora cosa fosse un uomo.
ONESIMO Ma davvero?
ABROTONO Te lo giuro su Afrodite.
ONESIMO E sai chi era la ragazza?
ABROTONO Potrei informarmi. Era amica delle donne che avevo accompagnato.5
ONESIMO Sentisti fare il nome di suo padre?
ABROTONO Non so nulla, ma se la vedessi sarei in grado di riconoscerla. Dio se era carina! E
dicevano che fosse ricca.

5. Le madri delle ragazze ricordate poco prima («suonavo la cetra per un gruppo di ragazze e mi divertivo»,
v. 477).
158 L’ARBITRATO
ONESIMO Forse è lei.
ABROTONO Non so. Era con noi, ma a un certo momento si allontanò, poi all’improvviso tornò
di corsa, sola, in lacrime, strappandosi i capelli e con la veste – molto elegante e raf-
finata: una tarantina6 – ridotta a uno straccio.
ONESIMO (mostrandole l’anello) Questo lo aveva?
ABROTONO È possibile, ma a me non lo mostrò. Non voglio dire bugie.
ONESIMO Adesso che devo fare?
ABROTONO Vedi tu. Però, se sei intelligente e vuoi seguire il mio consiglio, racconta tutto al tuo
padrone. Se il piccolo è figlio di una donna libera, perché dovrebbe restare all’oscuro
dell’accaduto?
ONESIMO Ma prima, Abrotono, cerchiamo di scoprire chi è la ragazza, e tu dammi una mano.
ABROTONO Non me la sento, prima di sapere [con certezza] chi è l’autore dello stupro.7 Temo
di offrire indizi senza ragione alle donne di cui ti [dicevo]. Potrebbe averlo smarrito
qualcun altro dei presenti dopo averlo ricevuto in garanzia da lui. Magari lo diede in
pegno per una partita a dadi oppure perse una scommessa e fu costretto a cederlo.8
Episodi simili ne accadono tanti nei conviti. Insomma, prima di conoscere il respon-
sabile non ho intenzione né di mettermi in cerca della ragazza né di pronunciare una
sola parola sull’argomento.
ONESIMO Non ti posso dare torto. Che fare, allora?
ABROTONO Guarda un po’, Onesimo, se la mia idea ti piace. Attribuirò l’accaduto a me stessa e
andrò in casa da lui con questo anello.
ONESIMO Chiarisci! Comincio a seguirti.
ABROTONO Vedendomi l’anello al dito mi domanderà dove l’ho preso. Gli risponderò: «Alle
Tauropolie, quando ero ancora una vergine», e riferirò a me stessa tutto quello che
capitò alla ragazza. Di queste cose me ne intendo.
ONESIMO Sei imbattibile!
ABROTONO Se il fatto lo riguarda personalmente, si lascerà indurre a darmene la prova e, brillo
com’è, dirà lui ogni cosa per primo, d’impulso, e io confermerò ogni sua frase stando
attenta, per evitare errori, a non parlare mai per prima.
ONESIMO Splendido, perdinci!
ABROTONO E sempre per non sbagliare snocciolerò le solite banalità: «Com’eri brutale! Com’eri
Menandro e la Commedia Nuova

audace!»
ONESIMO Bene!
ABROTONO «Con che impeto mi gettasti a terra! Che bel vestito mi sciupai, povera me!» Così gli
dirò. Ma prima voglio entrare a prendere il bimbo per consolarlo e baciarlo, e poi
chiedere alla donna che lo tiene da chi lo ha avuto.
ONESIMO Per Eracle!
ABROTONO Da ultimo gli dirò: «Ti [è] nato un figlio», e gli mostrerò il trovatello.

6. Mantello diafano di bisso per la cui fabbricazione era celebre Taranto.


7. «Naturalmente Abrotono vede l’atto dal punto di vista della donna: per lei l’autore è un ἀδικῶν, mentre
gli uomini parlano sempre di un ἀτύχημα, proprio come gli avvocati» (Wilamowitz 1925, 80). Lo stesso
Carisio troverà naturale riconoscere nella propria azione un ἀτύχημα comparabile col trauma sofferto
da Panfile.
8. Sull’uso di un anello come garanzia per una scommessa cfr. Vita Aesopi, 69 (G): «Xanto ... esclamò:
“Propongo una scommessa: se non riuscirò a bere il mare, mi priverò dei miei beni”. Tirarono fuori gli
anelli e sanzionarono la scommessa».
LA «RECITA» DI ABROTONO 159
ONESIMO Un imbroglio geniale, Abrotono!
ABROTONO Quando avremo chiarito ogni particolare e saremo sicuri che il padre è lui, cerche-
remo con calma la ragazza.
ONESIMO Però non dici che tu diventerai libera: credendoti la madre del piccolo è chiaro che ti
riscatterà immediatamente.
ABROTONO Non so, anche se vorrei.
ONESIMO Non lo sai, eh? E per me ci sarà una ricompensa?
ABROTONO Ma certo, per le due dee!9 Ti considererò il mio benefattore.
ONESIMO E se a un certo momento decidi di non cercare più la ragazza ma tiri a imbrogliarmi
e lasci perdere, come la mettiamo?
ABROTONO Povera me, perché mai dovrei? Credi che io desideri dei figli? Se solo potessi acqui-
stare la libertà! Questo è il compenso che voglio ottenere.
ONESIMO Te lo auguro.
ABROTONO Siamo d’accordo, allora?
ONESIMO D’accordissimo, ma se fai la furba ti darò battaglia: i mezzi non mi mancheranno.
Per il momento, vediamo se le cose stanno proprio così.
ABROTONO Dunque sei pronto?
ONESIMO Prontissimo.
ABROTONO Dammi l’anello, presto.
ONESIMO Eccolo.
ABROTONO Diletta Peithò,10 sii mia alleata e assistimi mandando a buon fine le mie parole.

Esce verso la casa di Cherestrato

ONESIMO Furba la donnina! Appena si è accorta che con le arti della seduzione perdeva il suo
tempo e non si sarebbe guadagnata la libertà, ha imboccato l’altra via. Io invece che
sono un moccioso, uno stupido, un inetto resterò uno schiavo per tutta la vita. Forse
da lei otterrò qualcosa, e sarebbe l’ora, se riesce nel suo intento. Ma come sono vani
i miei calcoli, povero me, se mi aspetto di ricevere da una donna un qualche segno
di gratitudine.
Spero solo di non rimetterci. Ora per la mia padrona la situazione è a rischio: se salta

Menandro e la Commedia Nuova


fuori una ragazza che sia nello stesso tempo figlia di un uomo di condizione libera
e madre di questo bimbo, lui la sposerà subito [...] lasciare [...] anche ora credo di
essere stato bravo a non affogare visto che tutto questo pasticcio non l’ho inventato
io.11 Basta col mettere il naso negli affari altrui! E se qualcuno mi becca a curiosare o
a cianciare, mi faccio tagliare questo paio di ... dentoni. Ma chi è costui che si avvici-
na? (Entra Smicrine provenendo dalla città) Ah, è Smicrine che torna dalla città, pronto a
piantare un altro casino. Forse qualcuno gli ha detto la verità. Meglio che mi faccia
da parte [...]

Esce verso la casa di Cherestrato

9 Demetra e Kore. Si tratta di un tipo di interiezione riservato a personaggi femminili.


10 Peithò/Persuasione è divinità minore al servizio di Afrodite, insieme con la quale (e con Eros) è spesso
raffigurata sui vasi attici del V/IV secolo a.C.
11 Bensì Abrotono.
160 L’ARBITRATO
[...]12

Entra il cuoco Carione con il suo assistente Simia dalla casa di Cherestrato

[...]
SMICRINE Consumano un pranzo pieno di sorprese.13
CARIONE Povero me, che rabbia! Non so perché adesso si sparpagliano fuori. Ma se un’altra
volta [avrete bisogno] di un cuoco, andate all’inferno!
[...]

Carione esce con Simia in direzione della città. Entra Cherestrato dalla sua casa

[...]
SMICRINE14 Il vostro amico non si è vergognato di [avere] un figlio da una puttana [...]
[...]
SMICRINE Lui, in nome di Dioniso! Forse mi intrometto [più] di quanto sarebbe nei miei diritti,
ma è nella logica delle cose che io prenda mia figlia e me la porti via. Sì, faro così, ho
quasi deciso. Vi chiamo a testimoni [...] o Cherestrato [...]
[...]
SMICRINE [Non] odia [affatto] la dolce vita. Ma se, dopo aver bevuto con una ragazza, alla sera
ne aveva un’altra e la mattina dopo un’altra ancora!
[...]
CHERESTRATO [...]

Si allontana, forse verso la città

SMICRINE Fa il superbo ma la pagherà cara. Si rovinerà e passerà la vita in un bordello con la


bella donna che si è preso, e credendo che noi ignoriamo [...] prenderà e porterà in
Menandro e la Commedia Nuova

casa [...]

Esce verso la casa di Carisio

12. A questo punto vi è una zona estremamente mutila o del tutto lacunosa che si estende per circa 25 versi
e che doveva essere per gran parte occupata da un monologo di Smicrine, in cui il vecchio si lamentava
dello scandalo propagatosi per tutta la città e deplorava la vita dissipata condotta ora dal genero. Poi il
cuoco Carione (la sigla nominale καρ è apposta in margine al v. 622) usciva dalla casa di Cherestrato,
accompagnato da un assistente (Simia), e si produceva in un monologo mentre Smicrine, senza notar-
ne la presenza, snocciolava una serie di «a parte».
13. Il termine usato, ποικίλον è forse ambiguo: «vario», indicando sia le portate, sia i colpi di scena.
14. Dopo la sezione assai mutila dei versi precedenti, che era occupata prima da un dialogo fra Smicrine e
il cuoco e poi, verosimilmente, da un monologo di Cherestrato (preoccupato per la sceneggiata messa
in atto da Abrotono?) e da alcune battute di Smicrine, troviamo il vecchio, in dialogo con Cherestrato,
chiamare a testimoni gli amici del genero in merito al suo censurabile comportamento nei confronti
della moglie.
PADRE E FIGLIA 161

analisi del testo


onesimo, vittima dello stereotipo prio interesse che sarà sciolta con limpida evidenza nel corso
Diversamente che per Davo nello Scudo, nel caso di Abroto- dell’opera, e specialmente nella pronta partecipazione con
no l’ingegnosità nel saper ideare e gestire uno stratagem- cui nel quarto atto, riconosciuta in Panfile la ragazza violen-
ma, l’arte di “fare la commedia” dentro la commedia, appare tata nella notte delle Tauropolie, Abrotono si congratulerà
marginale rispetto a un impegno di immedesimazione del con lei felicitandosi del futuro che attende la coppia prossima
poeta che dà alla figura di Abrotono una fisionomia di risen- a ricongiungersi (vv. 873 s.: «Sei fortunata. Un dio ha avuto
tito profilo psicologico. Questa prende risalto e diviene tanto pietà di voi»).
meglio percepibile proprio grazie alla mancata comprensione
da parte dell’interlocutore, il quale si esprime interponendo le tessere di un puzzle
fra sé e la ragazza lo stereotipo dell’etera: dopo il pesante In alternativa ai grandi modelli tragici (ma anche comici: si
commento del v. 520 (ἄριστά γ᾽ ἀνθρώπων, «sei imbatti- pensi a Lisistrata), la rappresentazione del personaggio non
bile!») Onesimo si complimenta per l’astuzia di lei tingendo poggia su blocchi monologici o su squarci dialogici sorretti da
il proprio apprezzamento di termini carichi di negatività al v. un’articolata affermazione di sé e delle proprie motivazioni.
535 (πανούργως καὶ κακοήθως, Ἁβρότονον «un imbro- Essa tende piuttosto a comporsi come dalle tessere sparpaglia-
glio geniale, Abrotono!»), ne interpreta la discrezione e la te di un puzzle in virtù di spunti e suggerimenti dissemina-
riservatezza nell’indagare chi sia la madre del bimbo ritrovato ti per gran parte della commedia, e questo già a partire da
come un trucco per raggiungere la condizione libera facendo- quell’apparizione in scena verso l’inizio del III atto, quando,
si riscattare da Carisio in quanto madre di suo figlio, torna rivolgendosi verso l’interno della casa ai partecipanti al festi-
nuovamente a sospettarla di malizia (il κακοηθεύσῃ «se fai no, Abrotono caricava il disinteresse sessuale di Carisio di una
la furba» del v. 551 riprende il κακοήθως del v. 535) e, infi- insopprimibile connotazione sentimentale (v. 433: «ma quello
ne, quando è già entrata in casa per dare inizio alla “recita”, mi odia di un odio incredibile») e si smascherava come irre-
esclama (v. 557): «Furba, la donnina!». È un’ambiguità fra parabilmente negata alla sua molto venale professione preoc-
il personaggio e lo stereotipo, fra una sincera disposizione cupandosi del denaro sprecato per lei (vv. 436 s.: «Poverino!
a favorire la felicità altrui e la spregiudicata ricerca del pro- Perché butta via tanto denaro?»).

intermezzo del coro

T. 9 Padre e figlia Venuto a conoscenza di quanto rivelato da Abrotono, Smicrine ha buoni argo-
menti per convincere la figlia ad abbandonare il marito, reo di tradimento e
inaffidabile. Ma Panfile resiste, per un senso del dovere coniugale e soprattutto
per l’amore che nutre nei confronti di Carisio, che è più forte dell’offesa subita
dalla donna.

Menandro e la Commedia Nuova


vv. 714-978 ATTO QUARTO

Entrano Panfile e Smicrine dalla casa di Carisio

[...]
PANFILE [...] Ma se pur cercando la mia salvezza non riuscirai a persuadermi, sarai giudicato
non più mio padre ma il mio padrone.
SMICRINE E c’è bisogno di parole, c’è bisogno di convincerti? Non è [una cosa evidente? I
fatti,] Panfile, acquistano voce e gridano la verità. Ma se devo esprimere anch’io la
mia opinione, sono pronto e ti metterò davanti tre argomenti.1 Non c’è più speran-

1. A quanto si ricava o si arguisce da ciò segue, si tratta dello scialo del patrimonio, delle arti da meretrice
di Abrotono e del (presunto) figlio di Abrotono e Carisio.
162 L’ARBITRATO
za né per lui né per te [...] a suo agio e piacevolmente, mentre tu [non] molto [...]
[...]
[...] lo scialo. Prova a calcolare. Tesmoforie? Il doppio.2 Scire? Il doppio. Dilapida il
suo patrimonio, capisci? E’ alla rovina, irreparabilmente. Pensa alla tua situazione!
Dice che deve andare al Pireo: ci andrà e si piazzerà lì. La cosa ti farà soffrire. Re-
sterai in attesa [...] senza toccare cibo mentre lui, naturalmente, è a bere con quella.
[...]
E questo per lei sarà motivo di incoraggiamento: assumerà un’aria corrucciata, farà
prediche continue e assumendo pose da moglie legittima alla fine sarà alla pari con te
da ogni punto di vista. Così ti farà saltare i nervi. E’ dura, Panfile, per una donna li-
bera combattere con una sgualdrina: è più furba e più esperta, non conosce scrupoli,
è più adulatrice, [ricorre] a ogni bassezza. Fa’ pure conto che queste cose te le [abbia
dette] la Pizia: si verificheranno per filo e per segno. Anteponendo questo a ogni [...]
Non concluderai nulla andando contro [la mia] volontà.
PANFILE [Padre mio,] esprimere un’opinione insincera [su] tutte le cose che tu ritieni giovino
[...]3

Fr. 8
PANFILE Gli occhi mi bruciano tutti per il pianto.4

Entra Abrotono col bimbo in braccio dalla casa di Cherestrato

ABROTONO (verso l’interno della casa)5 [...] Esco con il bimbo. È da un pezzo che piange, poverino:
non so che cosa lo infastidisce.
PANFILE (fra sé) Quale dio avrà pietà di me?
ABROTONO [Piccino] caro, [quando] vedrai la tua mamma?6 [...]
PANFILE Rientrerò.
ABROTONO (fermandola) Aspetta un momento, signora.
PANFILE Dici a me?
ABROTONO Sì. Guardami.
PANFILE Mi conosci, donna?
Menandro e la Commedia Nuova

ABROTONO (fra sé) Sì, è proprio lei la ragazza che vidi alla festa. (A Panfile) Salve, carissima!
PANFILE Chi sei?

2. Le Scire o Sciroforie (in onore di Atena Skirás, di Posidone-Eretteo e di Demetra e Kore) erano una
festa ateniese celebrata a principio dell’estate e riservata, al pari delle più celebri Tesmoforie (in onore
di Demetra thesmophóros «legislatrice»), alle sole donne. Smicrine vuol dire che Carisio in occasione di
queste feste dovrà raddoppiare le spese.
3. Il discorso di Panfile (che si doveva esprimere in termini in parte comparabili con quelli del personaggio
femminile che recita la rhesis di P. Didot I) proseguiva per più di una trentina di versi, mentre Carisio
origliava non visto presso la porta della casa dell’amico (si veda più avanti la battuta di Onesimo: «poco
fa, in casa, è rimasto a lungo a spiare sulla porta, mentre il padre di sua moglie evidentemente parlava con
lei»). Dalle parole superstiti si arguisce fra l’altro che Panfile ribadiva la sua scelta di vita in comune col
marito (si legge al v. 820 κοινωνὸς τοῦ βίου, che sarà ‘citato’ alla lettera da Carisio al v. 920), dichiarava
di voler sopportare la situazione presente (οἴσω τοῦτ[ v. 821) e si prefigurava le calunnie della rivale (ἡ]
μᾶς ἐκείνη διαβ[αλεῖ v. 834).
4. Forse il frammento faceva parte di un monologo di Panfile successivo al dialogo col padre.
5. Ma è non è escluso che Abrotono si rivolga piuttosto agli spettatori.
6. Evidente l’ironia per cui la battuta viene pronunciata alla presenza di Panfile.
CARISIO RICONOSCE I SUOI ERRORI 163
ABROTONO Porgimi la mano. Dimmi, cara, l’anno scorso [partecipasti alla festa] delle Tauropolie
[...]?
PANFILE Ma tu, donna, dove hai preso il bimbo che tieni in braccio?
ABROTONO Forse, carissima, riconosci qualcosa in ciò che ha indosso? Non aver paura di me,
signora.
PANFILE Non è figlio tuo?
ABROTONO Fingevo, non per fare un torto a sua madre ma per poterla cercare con calma. Ora
però ti ho trovata: sei tu quella che allora ...
PANFILE E il padre?
ABROTONO È Carisio.
PANFILE Sei sicura, carissima?
ABROTONO Sicurissima. (Indicando la casa di Carisio) [Ma] tu non sei la sposa che abita in quella
casa?
PANFILE Sì.
ABROTONO Sei fortunata. Un dio ha avuto pietà di voi.7 Ma ho sentito cigolare la porta: uno dei
vicini sta uscendo. Fammi entrare in casa tua. Ti spiegherò per bene anche tutto il
resto.

Escono verso la casa di Carisio.

7. Variazione del v. 855 («quale dio avrà pietà di me sventurata?») con μακαρία in luogo di τάλαιναν.

T. 10 Carisio
riconosce i suoi
errori

vv. 878-931

ΟΝΗΣΙΜΟΣ Ὑπομαίνεθ’ οὗτος, νὴ τὸν Ἀπόλλω, μαίνεται·


μεμάνητ’ ἀληθῶς· μαίνεται νὴ τοὺς θεούς.

Menandro e la Commedia Nuova


880 Τὸν δεσπότην λέγω Χαρίσιον. Χολὴ
μέλαινα προσπέπτωκεν ἢ τοιοῦτό [τι.
Τί γὰρ ἄν τις εἰκάσειεν ἄλλο γεγονέναι;
Πρὸς ταῖς θύραις γὰρ ἔνδον ἀρτί[ως πολὺν
χρόνον διακύπτων ἐνδ̣[ιέτριψ’

Dalla casa di Cherestrato entra Onesimo

ONESIMO (agli spettatori)8 Pazzo, pazzo, ah, è ammattito Carisio, il mio padrone. Deve essergli
preso un attacco di bile nera o [qualche accidente] del genere. Che altro pensare?
Poco fa, in casa, è rimasto [a lungo] a spiare sulla porta mentre il padre di sua moglie

8. Che Onesimo si rivolga agli spettatori è chiaro da ἄνδρες (tradotto con «gente»), del v. 887.
164 L’ARBITRATO
885 ὁ πατὴρ δὲ τῆς νύμφης τι περὶ [τοῦ πράγματος
ἐλάλει πρὸς ἐκείνην, ὡς ἔοιχ’, ὁ δ’ οἷα μὲν
ἤλλαττε χρώματ’, ἄνδρες, οὐδ’ εἰπεῖν καλόν.
«Ὦ γλυκυτάτη - δὲ - τῶν λόγων οἵους λέγεις»
ἀνέκραγε, τὴν κεφαλήν τ’ ἀνεπάταξε σφόδρα
890 αὑτοῦ. Πάλιν δὲ διαλιπών, «οἵαν λαβὼν
γυναῖχ’ ὁ μέλεος ἠτύχηκα». Τὸ δὲ πέρας,
ὡς πάντα διακούσας ἀπῆλθ’ εἴσω ποτέ,
βρυχηθμὸς ἔνδον, τιλμός, ἔκστασις συχνή.
«Ἐγὼ – γὰρ – ἁλιτήριος» πυκνὸν πάνυ
895 ἔλεγεν «τοιοῦτον ἔργον ἐξειργασμένος
αὐτὸς γεγονώς τε παιδίου νόθου πατὴρ
οὐκ ἔσχον οὐδ’ ἔδωκα συγγνώμης μέρος
οὐθὲν ἀτυχούσῃ ταὔτ’ ἐκείνῃ, βάρβαρος
ἀνηλεής τε». Λοιδορεῖτ’ ἐρρωμένως
900 αὑτῷ βλέπει θ’ ὕφαιμον ἠρεθισμένος.
Πέφρικ’ ἐγὼ μέν, αὖός εἰμι τῷ δέει.
οὕτως ἔχων γὰρ αὐτὸν ἂν ἴδῃ μέ που
τὸν διαβαλόντα, τυχὸν ἀποκτείνειεν ἄν.
Διόπερ ὑπεκδέδυκα δεῦρ’ ἔξω λάθραι.
905 Καὶ ποῖ τράπωμαί γ’; Εἰς τί βουλῆς; Οἴχομαι.
Ἀπόλωλα· τὴν θύραν πέπληχεν ἐξιών·
Ζεῦ σῶτερ, εἴπερ ἐστὶ δυνατόν, σῷζέ με.

ΧΑΡΙΣΙΟΣ Ἐγώ τις ἀναμάρτητος, εἰς δόξαν βλέπων

evidentemente parlava con lei della [faccenda], e mi vergogno, gente, perfino a riferi-
Menandro e la Commedia Nuova

re come trascolorava in viso. «Amore mio – esclamò – quali parole dici!» e cominciò
a percuotersi violentemente il capo. E dopo un po’: «Che tesoro di moglie avevo e
come l’ho perduta, povero me!» Da ultimo, udita tutta la conversazione, è rientrato
in casa e lì urla, capelli strappati, vaneggiamenti continui. «È tutta colpa mia – ripe-
teva –. Ho fatto quel che ho fatto, sono diventato padre di un piccolo bastardo e non
ho avuto la minima comprensione per lei che aveva sofferto la stessa disavventura.
Barbaro, spietato!» Nel suo furore lancia contro se stesso gli insulti più feroci e ha gli
occhi iniettati di sangue. Io mi sento i capelli ritti e sono secco per lo spavento. Nello
stato in cui si trova, se vede me che ho fatto la spia, potrebbe uccidermi. Ecco perché
sono sgattaiolato qua fuori. Ma per andare dove? Per decidere che cosa? Sono finito,
rovinato. Ecco, la porta cigola, sta uscendo. Zeus Salvatore, salvami tu, se puoi!

Si tira in disparte. Dalla casa di Cherestrato esce Carisio

CARISIO Io, l’uomo senza peccato, preoccupato del proprio onore, che sa valutare che
CARISIO RICONOSCE I SUOI ERRORI 165
καὶ τὸ καλὸν ὅ τι πότ’ ἐστι καὶ ταἰσχρὸν σκοπῶν,
910 ἀκέραιος, ἀνεπίπληκτος αὐτὸς τῷ βίῳ –
εὖ μοι κέχρηται καὶ προσηκόντως πάνυ
τὸ δαιμόνιον – ἐνταῦθ’ ἔδειξ’ ἄνθρωπος ὤν.
«Ὦ τρισκακόδαιμον, μεγάλα φυσᾷς καὶ λαλεῖς,
ἀκούσιον γυναικὸς ἀτύχημ’ οὐ φέρεις,
915 αὐτὸν δὲ δείξω σ’ εἰς ὅμοι’ ἐπταικότα,
καὶ χρήσετ’ αὐτή σοι τότ’ ἠπίως, σὺ δὲ
ταύτην ἀτιμάζεις· ἐπιδειχθήσει θ’ ἅμα
ἀτυχὴς γεγονὼς καὶ σκαιὸς ἀγνώμων τ’ ἀνήρ».
Ὅμοιά γ’ εἶπεν οἷς σὺ διενόου τότε
920 πρὸς τὸν πατέρα, κοινωνὸς ἥκειν τοῦ βίου
[ κ]οὐ δεῖν τἀτύχημ’ αὐτὴν φυγεῖν
τὸ συμβεβηκός. Σὺ δέ τις ὑψηλὸς σφόδρα
[ ]ν̣
[ ]βάρβαρος
925 [ ]υ̣ν ταύτῃ σοφῶς
[ ]ε̣ μέτεισι διὰ τέλους
[ ]ονων τις· ὁ δὲ πατὴρ
[ ]έ̣σ̣τ̣ατ’ αὐτῇ χρήσεται. Τί δέ μοι πατρός;
Ἐρ]ῶ δ̣ι̣α̣ρ̣ρ̣ήδην «ἐμοὶ σύ, Σμικρίνη,
930 μὴ πάρεχε πράγματ’· οὐκ ἀπολείπει μ’ ἡ γυνή.
τί σ̣υνταράττεις καὶ βιάζῃ Παμφίλην;

cosa è bene e che cosa è male, io, l’individuo integerrimo, irreprensibile in ogni
atto della sua esistenza…9 Eh sì, la divinità mi ha dato la lezione che mi merita-
vo... questa volta ha puntato il dito su di me dicendomi: «Disgraziato, tu che sei

Menandro e la Commedia Nuova


un piccolo uomo ti gonfi d’orgoglio e di parole altisonanti? Tu non sei capace di
ammettere un infortunio involontario di tua moglie, ma io ti farò vedere che sei
caduto nello stesso errore, però con la differenza che lei ha intenzione di trattarti
con affetto mentre tu la disprezzi. Così ti rivelerai un uomo non solo sfortunato
ma anche rozzo e insensibile». Ha detto a suo padre le stesse cose che una volta
pensavi tu: che è venuta [nella tua casa] per essere la compagna della tua vita e
che non deve sfuggire alla sventura che è capitata. Invece tu, il superbo [...] ti
perseguiterà senza tregua un dio. Suo padre la tratterà [con durezza]. Ma che
m’importa di suo padre? Gli [dirò] chiaro e tondo: «Non seccarmi, Smicrine:
mia moglie non mi lascia. Perché tormenti Panfile e vuoi imporre le tue scelte?
Sei ancora qui?».

9. Il v. 910 è quasi identico a Euripide, Oreste 922 in relazione a un contadino che lavora personalmente la
propria terra, ma più che a un’imitazione cosciente occorrerà forse pensare – data la diversità di situazio-
ne – a «una reminiscenza formale spontanea» (Barigazzi).
166 L’ARBITRATO
Entra Abrotono dalla casa di Carisio

ONESIMO (fra sé) Povero me, sono in crisi profonda. (Ad Abrotono) Ti supplico, [donna,] non la-
sciarmi andare alla deriva.
CARISIO (scorgendo Onesimo) Stavi origliando, furfante?
ONESIMO Neanche per sogno! Sono appena uscito.10
[...]11
CARISIO Come dici, Onesimo? Mi avete messo alla prova?
ONESIMO Ma l’idea è stata sua, per Apollo [e per tutti gli dei.]
CARISIO [...] mi prendi in giro, furfante?
ABROTONO Non ti arrabbiare, carissimo! Tua moglie, e nessun’altra, è la madre del [piccolo].
CARISIO Magari!
ABROTONO Te lo giuro su Demetra.
CARISIO Cosa dici?
ABROTONO [Cosa dico? La] verità.
CARISIO Il bimbo è di Panfile? [...]
ABROTONO Sì, e anche tuo.
CARISIO Di Panfile? Ti scongiuro, [Abrotono,] non illudermi [...]

10. Credo si tratti di una bugia e che Onesimo sia rimasto a origliare durante il soliloquio del padrone.
11. Negli assai mutili 13 versi successivi interveniva nel dialogo anche Abrotono rivelando che il bimbo che
aveva finto di aver partorito non era suo.

intermezzo del coro

analisi del testo


il primo ingresso di Carisio del v. 714, cosicché entrambi, pur dominando la vicenda, re-
L’oggettivo chiarimento dei fatti verrà fra poco, alla fine di stano assenti dalla scena per tutti i primi tre atti).
Menandro e la Commedia Nuova

questo quarto atto, quando Abrotono mostrerà anche a Cari-


sio che il bimbo esposto e ritrovato è figlio suo e di Panfile la «disgrazia involontaria»
(vv. 952 ss.). E tuttavia il vero scioglimento della vicenda, Attraverso Carisio Menandro sottolinea con insistenza, di con-
il superamento di quella crisi che era stata sanzionata dalla tro all’assenza di responsabilità di Panfile per quanto le è acca-
separazione della coppia col trasferimento di Carisio in ca- duto (una disgrazia involontaria, un ἀκούσιον ... ἀτύχημα, v.
sa di Cherestrato, avviene in questo monologo così fitto, sia 914, cfr. vv. 921 s.), la responsabilità di chi, come Carisio, non
nella parte pronunciata direttamente dallo stesso Carisio sia si preoccupa, sotto la pressione di oscure fobie, di accertare
nei «frammenti» riportati da Onesimo, di elementi paratragi- la natura e la motivazione di un atto. Saper vivere significa
ci (una «parodia» dello stile tragico naturalmente non intesa, in primo luogo sfuggire al rischio di rivelarsi «uomo sciocco
come in Aristofane, a creare un cortocircuito fra situazione ed e insensato», quale ora Carisio appare a se stesso. Un uma-
espressione, quanto invece a connotare una condizione limite nesimo non privo di grettezza, chiuso all’interno delle regole
del personaggio) e di stilemi retorici (in particolare la personi- dell’ordine costituito e delle sanzioni sociali (o, all’inverso, la
ficazione del potere divino, del δαιμόνιον che dà voce al senso non sanzione, né giuridica né morale, di azioni come l’espo-
di colpa del personaggio, vv. 912 ss.): un monologo tanto più sizione dei neonati, un atto di Panfile che di per sé non ha
perentorio nel suo effetto in quanto è questo il primo ingresso turbato nessuno), ma risoluto nel rivendicare il rispetto della
di Carisio sulla scena, anche se di lui hanno parlato diffusa- persona con un calore che, come mostra la sua enunciazione
mente quasi tutti i personaggi finora apparsi (e c’è da notare ad opera del δαιμόνιον, ha in sé qualcosa di una «religione»
che anche Panfile compare per la prima volta solo poco prima dei sentimenti.
RETICENZE 167

T. 11 Verso Il finale della commedia è trasmesso in condizioni molto precarie: la prima scena è
la soluzione incentrata sulla figura enigmatica di Cherestrato, cui qualcuno (ma potrebbe anche
trattarsi di monologo interiore) raccomanda di rimanere fedele amico di Carisio e
(forse) di rispettare Abrotono. Nella scena successiva troviamo Onesimo che si fa
beffe di Smicrine, nel momento in cui il vecchio viene a sapere di essere nonno
di un inaspettato nipotino. Nel finale poi tutto si doveva ricomporre con l’affran-
camento di Abrotono e (forse) le sue nozze con Cherestrato, che nel corso della
commedia aveva seminato indizi che dimostravano il suo interesse per la flautista.

La Samia
T. 12 Reticenze Mentre si stanno apprestando i preparativi per le nozze fra Moschione e la figlia
di Nicerato, per caso Demea capita nella stanza della dispensa e sentendo una
vecchia domestica rivolgersi al bambino come figlio di Moschione, è colto dal
sospetto che Criside lo abbia tradito con il figlio: la situazione peggiora di fronte
ai tentennamenti del servo Parmenione che, messo alle strette dalle domande
incalzanti di Demea non trova di meglio che sottrarsi con la fuga. Dopo un mo-
nologo in cui è combattuto fra l’amore per Criside e quello per il figlio, Demea
arriva alla conclusione che l’iniziativa sia partita dalla donna, che pertanto viene
cacciata. Il dialogo fra i due è tutto giocato sull’incomprensione, poiché Demea
non esplicita le ragioni che lo portano a cacciare la donna, e d’altra parte la
durezza delle sue parole è raddolcita da espressioni affettuose da cui traspare il
rimpianto per l’amore perduto.

vv. 369-398 ATTO TERZO

Entrano Demea, Criside e una vecchia col bimbo


DEMEA Non hai sentito? Vattene!

Menandro e la Commedia Nuova


CRISIDE E dove, povera me?
DEMEA In malora, e subito!
CRISIDE Me sventurata!
DEMEA Sì, sventurata. Già, le lacrime destano compassione,_ ma credo che ti farò smettere io...
CRISIDE Di fare cosa?
DEMEA Niente, niente. Hai il bimbo, hai la vecchia: vattene in malora!
CRISIDE Perché ho tenuto il bimbo?
DEMEA Per questo e ...
CRISIDE «E» che cosa?
DEMEA Per questo.
CUOCO (fra sé) Ecco qual era il guaio. Ora capisco.
DEMEA Non hai saputo vivere negli agi.
CRISIDE Io? Che vuoi dire?
DEMEA Eppure – mi segui, Criside? – venisti qui da me con uno straccetto da quattro soldi.
CRISIDE E con ciò?
168 LA SAMIA
DEMEA A quel tempo, quando te la passavi male, io ero tutto per te.
CRISIDE E adesso chi...?
DEMEA Taci! Hai tutte le tue cose, e ci aggiungo delle serve, Criside. Lascia questa casa!
CUOCO (fra sé) Ha un travaso di bile, ma devo abbordarlo. (A Demea) Bada, amico...
DEMEA Perché mi rivolgi la parola?
CUOCO Ehi, non mordere.
DEMEA Un’altra sarà ben contenta di ciò che troverà in casa mia, Criside.
CUOCO (fra sé) Certo, e farà sacrifici di ringraziamento agli dei.
CRISIDE Chi è?
DEMEA Che importa? Hai avuto un figlio, non ti manca niente.
CUOCO (fra sé) Non morde ancora. (A Demea) Però...
DEMEA Ti spacco la testa se apri ancora la bocca.
CUOCO Hai ragione. Guarda, vado subito dentro.
Esce verso la casa di Demea
DEMEA Brava! Ora in città vedrai davvero chi sei! Ben diversamente da te, Criside, per raci-
molare dieci dracme altre corrono ai banchetti e bevono vino puro fino a morire, op-
pure, se non ci mettono tutto il loro impegno, fanno la fame. Sono sicuro che dovrai
impararlo come tutte e allora capirai chi eri e quale sbaglio hai commesso. (Si avvia
per entrare in casa. Criside fa per seguirlo). Resta dove sei!
CRISIDE Povera me, che disgrazia!
Entra Nicerato dalla città con un montone malnutrito

analisi drammaturgica
Silenzi allusivi, riferimenti lasciati cadere a metà, accenni equi- casmo (v. 371: «Certo, fanno pietà queste lacrime»; vv. 390 s.:
voci: uno dei modi più intensamente e originalmente perseguiti «La nobile donna! Ora, in città, vedrai bene chi sei») copre la
da Menandro consiste nella comunicazione dell’incomunicabilità preoccupazione per la sorte che attende l’etera cacciata di casa
(di quel blocco delle relazioni umane indotto da ignoranza della (e immaginata nel quadro di quei conviti in cui le sue future
situazione reale o da cecità psicologica). Nulla di analogo, in ve- colleghe «per far dieci dracme corrono ai banchetti, bevono
rità, alla moderna poetica dell’incomunicabilità e dell’alienazione vino puro fino a morire»), e lo stesso sdegno con cui la ripudia
(variamente articolata da Ibsen a Pirandello a Sartre). Quest’ulti- si confonde contraddittoriamente alla premura di assicurarle
Menandro e la Commedia Nuova

ma sembra piuttosto radicarsi nel disagio connesso a una crisi di il massimo di conforto per i tempi duri che verranno (vv. 381
identità della persona entro un contesto familiare o sociale che s.: «Hai tutte le tue cose; in più ti dono anche delle ancelle,
non appare in grado di rispondere alle sue aspirazioni più auten- Criside»). E se il motivo dichiarato dell’allontanamento è l’aver
tiche; al contrario, il personaggio menandreo sa in genere ciò che tenuto con sé il neonato, la ragione reale (gelosia verso Mo-
vuole e ciò che i ruoli sociali, con sua piena soddisfazione, sono schione e amarezza nel credersi non più ricambiato affettiva-
in grado di offrirgli (né il suo orizzonte di attesa si allarga al di là mente da Criside) trova modo di affiorare nel ricordo di quando
dei loro confini). Eppure gli accidenti del vivere o le macchinazio- – sottolinea Demea – «ero io che rappresentavo tutto per te,
ni magari a fin di bene di uno schiavo ingegnoso (qui Parmenone, allora, quando te la passavi male» (vv. 379 s.).
il servo di Demea) possono creare situazioni al cui interno gli Per parte sua anche Criside potrebbe rivelare ciò che a sua vol-
esseri umani non solo si muovono secondo una conoscenza delle ta Demea non sa, eppure non fa nessun tentativo per salvare
cose e dei fatti diversamente graduata, ma si scambiano parole la propria situazione pur di tener fede al patto stretto con Mo-
che mascherano più di quanto esprimano o addirittura enunciano schione, fino a ridursi ben presto a un quasi completo silenzio
l’esatto contrario del sentimento che ne sta alla radice. a cui fanno da bordone gli approcci insistenti del cuoco venuto
Il voler dire di Demea si scontra qui con un non poter dire (per per il banchetto destinato ad allietare il ritorno di Demea: più
delicatezza verso il figlio) che giunge a frammentare l’espres- che un inserto farsesco, un controcanto ironico che segnala
sione in un balbettio impacciato (vv. 374 s.: «DEMEA ... lonta- come anche in mezzo agli affanni più cocenti la vita quotidiana
no da me! CRISIDE Perché non ho esposto il bambino? DEMEA continui, con i suoi forse banali ma impellenti problemi (per il
Sì, per questo e... CRISIDE E? DEMEA Per questo»), il suo sar- cuoco, una giornata di lavoro andata in fumo).

Potrebbero piacerti anche