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Teocrito e la

tradizione bucolica

Teocrito
P er la scelta di una poesia raffinata e di breve respiro, per la varietà nelle so-
luzioni dialettali di volta in volta adottate e per l’assidua contaminazione tra
le forme tradizionali, Teocrito si allinea senz’altro sul fronte della nuova poeti-
ca callimachea. Egli, però, ha fatto molto di più, aprendo alla letteratura nuove
frontiere, sia col recupero in prospettiva inedita di filoni dimenticati della poesia
del passato (il mimo innanzi tutto), sia con la creazione di un genere, il carme
bucolico in esametri, ideato a partire non già dalla biblioteca erudita ma da filoni
folclorici che da secoli alimentavano le tenzoni di pastori e contadini in varie
regioni della Grecia.

Notizie biografiche e opere

Teocrito e la tradizione bucolica


La vita
T eocrito (Θεόκριτος) nacque intorno al 305 a.C. Dalle poche e incerte testimo-
nianze biografiche risulta che fu quasi certamente originario di Siracusa, fi-
glio, secondo la Suda [θ 166], di Prassagora e Filinna. Soggiornò anche nell’isola
di Cos, frequentando il cenacolo letterario inaugurato da Fileta, e ad Alessandria
fra il 275 e il 270 circa, dove godette della protezione di Tolomeo Filadelfo al
quale indirizzò un encomio: (Idillio XVII). Invano aveva in precedenza tentato
di trovare un protettore nel tiranno di Siracusa Ierone II destinatario delle Cariti.
Verso il 270 dovette ritornare a Cos, dove sarebbe morto intorno al 250.

Il corpus teocriteo La sua attività poetica ebbe ben presto larga fortuna e ampio seguito di falsari.
Ci è infatti pervenuto un corpus di scritti sotto il suo nome derivato da una più
ampia raccolta di poeti bucolici. Si tratta di 30 carmi trasmessi dai codici me-
dievali noti con un titolo che difficilmente risale all’autore: Εἰδύλλια «Idilli». A
questi va aggiunta una trentina di versi lacunosi di un trentunesimo (conservato
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su un papiro di Antinoe), una raccolta di 24 epigrammi, molti dei quali compre-
si nell’Antologia Palatina, e un carme figurato, la Zampogna, conservato nella
raccolta dei technopaegnia.

Carmi spuri Si è concordi sulla non autenticità di sei idilli: il XIX (Il ladro di miele), il
e fortuna XX (Il pastorello), il XXI (I pescatori), il XXIII (L’amante), il XXV (Eracle
uccisore del leone nemeo), il XXVII (Collo-
quio d’amore), e si dubita anche dell’auten-
ticità degli idilli VIII, IX e XXVI e di alcu-
ni epigrammi. La presenza dei carmi spuri,
oltre che con l’immediata fortuna, si spiega
col fatto che l’autore probabilmente non curò
personalmente un’edizione delle sue opere,
la cui pubblicazione fu redatta, quasi due se-
coli dopo la sua morte, dal grammatico Arte-
midoro di Tarso, il cui figlio Teone compose
poi un commento.

Parole chiav e
Titiro e Melibeo, dalla prima egloga delle Bucoliche.
idillio Folio 1 del Vergilius romanus (V secolo d.C.). Biblioteca
Apostolica Vaticana (Cod. Vat. lat. 3867). La tradizione virgiliana
Derivato da εἶδος («forma», «componimento») per e latina e, soprattutto dal punto di vista iconografico, quella
cristiana, come si può vedere dal mosaico del Buon Pastore
indicare un carme breve su qualsivoglia argomento, dal Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna (immagine sopra),
il termine εἰδύλλιον «idillio», che compare nei Pro- discendono dai «quadretti», dagli idilli teocritei.
legomena agli scolî teocritei (p. 5 Wendel: εἰδύλλιον
λέγεται τὸ μικρὸν ποίημα) e in un’epistola di Pli-
Teocrito e la tradizione bucolica

nio il Giovane (IV 14, 9), fu usato per dare un titolo


complessivo all’opera poetica di Teocrito. Ma per il
loro maggior numero e per la loro più spiccata origi-
nalità i componimenti del corpus teocriteo che hanno
per sfondo uno scenario pastorale finirono per carat-
terizzare la raccolta stessa. Così il termine «idillio»
passò a significare il genere poetico che canta l’amore
dei pastori e le loro occupazioni in un ambiente di
tranquillità rurale e di contenute passioni. Il genere
fu praticato anche da Mosco nel II secolo a.C. E da
Bione alla fine dello stesso (i cosiddetti «bucolici mi-
nori»), e poi da Virgilio nelle Bucoliche, che saranno a
loro volta modello per Calpurnio Siculo (I secolo d.C.)
e per Ausonio (IV secolo d.C.).
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i carmi bucolici e la poetica delle Talisie


I βουκολικὰ ἔπη
T rattiamo dunque in primo luogo dei carmi I e III-XI del corpus, che formano
un gruppo compatto di componimenti bucolici in esametri e (al pari dei mimi
urbani) in dialetto dorico: si tratta di quei carmi ricordati come βουκολικὰ ἔπη
dalla Suda e come merae rusticae da Servio, anche se propriamente il X è
di ambientazione contadina piuttosto che pastorale, mentre l’XI ha
carattere mitologico e il dialogo vi appare inserito all’interno di un
messaggio epistolare indirizzato all’amico Nicia.
Questi carmi traggono spunto dalla vita di pastori e mandriani, di cui
descrivono – in maniera parzialmente stilizzata ma comunque ben più
realistica che in Virgilio – scene di serena esistenza quotidiana, spesso
riproducendo in forma mimico-dialogica gare di canto (βουκολιασμοί).

Afrodite, Pan ed Eros, gruppo marmoreo ritrovato a Delo (100 a.C). Atene, Museo Nazionale. Il soggetto
risente dell’atmosfera ludica tipica dell’amore descritto nella letteratura e nell’arte alessandrina: Afrodite
tenta di scacciare Pan con un sandalo, mentre un Eros birichino ambiguamente allontana e nello stesso tempo
incita l’assalto ferino della divinità campestre.

Per saperne di più


la scelta del dialetto dorico
La scelta operata da Teocrito di utilizzare il dialetto dorico nei credo, i risultati della recente analisi di C.J. Ruijgh [Le dorien
carmi bucolici e nei mimi urbani non trae motivazione dalla de Théocrite, in «Mnemosyne», s. IV, 37, 1984, 56-88], per far-
tradizione letteraria, che, come osserva M. Fantuzzi, «non pre- si meglio capire dal suo pubblico Teocrito avrebbe adottato il
costituiva un orientamento dialettale (il mimo era in prosa!)». dorico cirenaico contaminato da parecchi elementi della koiné,
Perciò Teocrito usa «la lingua più ovviamente attribuibile a una lingua mista che forse riflette l’uso dei Greci d’Alessandria:
dei pastori della Sicilia, della Calabria o di Cos, oppure alle all’inizio del III secolo gli oriundi di Cirene pare fossero circa la
Siracusane dell’Id. XV. [...] Come lingua base di tale colori- metà della popolazione alessandrina, formata per l’altra metà
tura dorica Teocrito non usa tuttavia il dialetto della nativa da Macedoni che usavano la koiné» (M. Fantuzzi, Teocrito e la
Siracusa, probabilmente perché esso sarebbe risultato ostico poesia bucolica, in AA. VV., Lo spazio letterario della Grecia anti-
al pubblico alessandrino. Al contrario, se vanno accolti, come ca, I, 2, Roma, Salerno editrice 1993, 145-195 [150]).

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Nell’Idillio I (Tirsi) un anonimo capraio ottiene dal pastore Tirsi che gli racconti la triste
trama

fine del mitico Dafni, morto per amore, promettendogli in cambio una coppa istoriata (oc-
casione per una tipica ekphrasis alessandrina, cioè per la descrizione di un’opera d’arte).
Carattere monologico ha l’Idillio III, Κῶμος («Canzone d’amore», «Serenata»), con
la serenata di un pastore all’amata Amarillide nella tradizione del «canto dinanzi alla
porta chiusa» (paraklausíthyron).
Il IV, I pastori, è un dialogo vivace fra Batto e Coridone.
L’Idillio V (Il capraio e il pastore) ha un particolare significato: esso rappresenta la
più realistica testimonianza di un autentico agone bucolico basato sull’improvvisazio-
ne orale, con un giudice di gara scelto dalle due parti (qui un taglialegna di passaggio,
Morsone), un premio pattuito in anticipo e uno svolgimento condotto secondo un rigido
schema di botta e risposta (ἀμοιβαῖον) per cui ciascun contendente canta un distico,
col «rispondente» (qui Lacone) che deve replicare tematicamente e formalmente alla
battuta del «proponente» (qui Comata).
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Un agone bucolico Ecco la sezione dei vv. 104-115, con tre coppie amebee caratterizzate la prima
dall’incipit con ἔστι e dal tema del possesso e del dono, la seconda dall’apostro-
fe a un animaletto accompagnata da un’esortazione, la terza dalla dichiarazione
di odio (μισέω) verso un determinato animale nocivo:

ΚΟΜΑΤΑΣ Ἔστι δέ μοι γαυλὸς κυπαρίσσινος, ἔστι δὲ κρατήρ,


105 ἔργον Πραξιτέλευς· τᾷ παιδὶ δὲ ταῦτα φυλάσσω.
ΛΑΚΩΝ Χἀμῖν ἐστι κύων φιλοποίμνιος ὃς λύκος ἄγχει,
ὃν τῷ παιδὶ δίδωμι τὰ θηρία πάντα διώκειν.
ΚΟΜΑΤΑΣ Ἀκρίδες, αἳ τὸν φραγμὸν ὑπερπαδῆτε τὸν ἁμόν,
μή μευ λωβάσησθε τὰς ἀμπέλος· ἐντὶ γὰρ αὖαι.
110 ΛΑΚΩΝ Τοὶ τέττιγες, ὁρῆτε τὸν αἰπόλον ὡς ἐρεθίζω·
οὕτω κὔμμες θην ἐρεθίζετε τὼς καλαμευτάς.
ΚΟΜΑΤΑΣ Μισέω τὰς δασυκέρκος ἀλώπεκας, αἳ τὰ Μίκωνος
αἰεὶ φοιτῶσαι τὰ ποθέσπερα ῥαγίζοντι.
ΛΑΚΩΝ Καὶ γὰρ ἐγὼ μισέω τὼς κανθάρος, οἳ τὰ Φιλώνδα
115 σῦκα κατατρώγοντες ὑπανέμιοι φορέονται.

COMATA Ho un boccale di legno di cipresso


e un cratere lavoro di Prassitele;1
per la fanciulla li conservo entrambi.
LACONE Ho un cane che ama il gregge e sgozza i lupi;
ecco il dono da fare al mio ragazzo,
ogni tipo di bestia per cacciare.
COMATA Cavallette saltanti sulla siepe,
non mi guastate i tralci della vite
che sono maturati al punto giusto.
Teocrito e la tradizione bucolica

LACONE Guardate come stuzzico il capraio


e in questo modo pure voi, cicale,
senz’altro stuzzicate i mietitori.
COMATA Odio le volpi dalla folta coda
che da Micone vanno sempre in giro
e divorano l’uva verso sera.
LACONE Odio per parte mia gli scarafaggi
che divorano i fichi di Filonda
e intanto il vento se li porta via.
[Tr. di V. Gigante Lanzara]

1. Il celebre scultore del IV secolo. È un modo per denotare l’eccellenza degli oggetti.
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Nel VI (I cantori) il clima dell’agone è molto amichevole, tanto che l’idillio si conclu-

trama
de con un bacio affettuoso e uno scambio di doni: scelto il tema dell’amore tra Polifemo
e la ninfa Galatea, Dafni e Dameta lo sviluppano descrivendo l’uno i tentativi di sedu-
zione della ninfa e rievocando l’altro la passione e i giustificati complessi del Ciclope.
L’Idillio VII (le Talisie) è ambientato a Cos in occasione delle feste rurali omonime.
Il protagonista, Simichida si avvia con due amici verso il luogo della festa e durante
il cammino incontra il capraio Licida, con il quale avvia una gara di canto conclusa
dal dono di un bastone da parte del capraio. Ma il contesto pastorale e festivo è anche
l’occasione per un’intensa presa di posizione da parte di Teocrito in tema di poetica e
T. 1 di teoria letteraria.
L’Idillio VIII e l’Idillio IX – due gare di canto fra Dafni e Menalca – sono entrambi
intitolati I bucoliasti ed entrambi sono generalmente ritenuti spurî.
Nell’Idillio X, I mietitori (Θερισταί), all’ambientazione bucolica si sostituisce quella
georgica, ma permane la struttura amebea. Buceo e Milone si contrappongono l’uno
all’altro esprimendo il primo un lamento d’amore, elogiando l’altro la fatica del con-
T. 2 tadino.
L’Idillio XI, Il Ciclope, è dedicato al medico Nicia, malato d’amore, e si apre con
la dichiarazione che non c’è altro rimedio per l’amore che la poesia: così, a conforto
dell’amico, il poeta ricrea il canto che il deforme Polifemo rivolgeva alla marina Gala-
T. 3 tea consolando la sua passione.

MeMoria letteraria teocrito e la genesi del genere pastorale


Sin dall’antichità si è discusso all’infinito sul ruolo svolto da Te- poesia pastorale. Come già osservato, altri poeti avevano fre-
ocrito nella creazione del genere pastorale. Un certo numero di quentato i terreni delia poesia pastorale, e abbiamo testimo-
fonti antiche in nostro possesso ci trasmette riflessioni sull’ori- nianza di un gusto diffuso in quest’epoca per i soggetti buco-
gine della poesia bucolica. Ricostruendone la storia, queste te- lici (il drammaturgo Sositeo scrisse un testo teatrale su Dafni
orie ricollegano sempre il genere a pratiche cultuali connesse e Litierse, Ermesianatte citò Dafni come un amante di Menalca,
con Artemide in Laconia o in Sicilia; ma risultano in ultima ana- e Alessandro Etolo accennò, se non altro, a Dafni come a un
lisi poco convincenti, poiché nella poesia pastorale ellenistica allievo di Marsia); ad ogni modo, pur ammettendo l’esistenza di
Artemide non ha alcuna incidenza. Si tratta di un genere let- una durevole tradizione di cultura popolare oggi per noi scom-
terario, in ogni caso, svincolato da valori religiosi. Ma i rilievi parsa e che soggetti bucolici avessero ispirato una schiera di

Teocrito e la tradizione bucolica


degli scrittori antichi sono per noi preziosi, perché, tutti quanti, autori più ampia di quella a noi nota, resta pur sempre un dato
esprimono la certezza che il genere pastorale sia una creazione significativo: delle fonti antiche nessuna mai considerò “padre”
dorica, strettamente legata al canto popolare. La nascita del leg- della poesia pastorale altri che Teocrito. [...] Alcune fra le figu-
gendario mandriano Dafni è anteriore agli Idilli teocritei: Dafni re campestri degli idilli (Dafni soprattutto, ma anche Menalca)
compare già nel siciliano Stesicoro e, secondo una tradizione appartenevano alla tradizione letteraria anche prima di Teocri-
non certissima, un altro scrittore dell’isola, Epicarmo, parlò del to, e Teocrito stesso sfrutta a proprio vantaggio l’esistenza di
bovaro Diomo qualificandolo come l’inventore del canto di la- un mondo fantastico dei poderi e dei pascoli già in gran parte
voro dei mandriani; la canzone rusticana era considerata senza modellato; facendo riapparire in diversi Idilli un gruppetto di
esitazioni come fenomeno tipicamente siciliano (l’autore del La- figure caratteristiche, egli aggiunge nuova corposità, attribui-
mento funebre per Bione semplifica addirittura, chiamando il ge- sce una prospettiva profonda, tridimensionale, al suo universo
nere pastorale, senza mezzi termini “canto dorico”: [Mosco] III pastorale. Amarillide, Coridone, Dafni e Titiro diventano perso-
12). Inoltre molti degli Idilli pastorali di Teocrito ci presentano, naggi familiari, per quel loro riaffacciarsi sulla scena bucolica,
nella finzione scenica, le canzoni della gente di campagna (più e di conseguenza producono un’atmosfera semimitica. Ad ogni
scopertamente l’Id. V, ma anche Id. I, III, VI, VII, X, XI); tenen- modo, dobbiamo ai successori e agli emuli di Teocrito lo sviluppo
do nella dovuta considerazione il processo di alta elaborazione, estremo di questo artificio, con la creazione di una “compagnia”
di marca alessandrina, che caratterizza questo tipo di poesia, fissa e chiusa di figure da spostare sullo scenario bucolico, così
possiamo concludere che la posizione di Teocrito trasmettitore trasformato in un “altrove” mitico.
di canto popolare è attendibile. [A.W. Bulloch, La letteratura greca della Cambridge University
E questa è una traccia importante nell’indagine sulle radici della (1985), Milano, Mondadori 1990, II, 283 s. E 290]
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i mimi «urbani»
Definizione
C ome abbiamo visto, mimetici sono nella sostanza gli stessi idilli bucolici, sia
per la forma dialogica che per la colorita riproduzione di un definito paesag-
gio. Con «mimi», però, si indicano specificamente quegli idilli (il II, il XIV e il
XV), anch’essi in dorico e in esametri, che nella sistematica assenza di una voce
fuori campo che introduca il dialogo e nella rappresentazione di personaggi lega-
ti al mondo cittadino si richiamano, in una misura solo in minima parte accerta-
bile, alla tradizione ormai lontana nel tempo del mimo siciliano di Sofrone (vedi
vol. II, pp. 68 s.): di qui la definizione di «mimi urbani», anche se propriamente
il racconto che costituisce il nucleo del carme XIV è ambientato presso un podere
di campagna.

L’Idillio II, intitolato L’incantatrice o Le incantatrici (Φαρμακεύτρια o Φαρμακεύ-


trama

τριαι), contiene nella prima parte (vv. 1-63) la descrizione della preparazione di una
fattura, da parte di Simeta aiutata dalla sua ancella Testili, per riconquistare l’amore di
Delfi, che l’ha sedotta e abbandonata; nella seconda parte una confessione alla Luna e
T. 4 la rievocazione del nascere e dello svilupparsi di tale passione.

Nell’Idillio XIV (L’amore di Cinisca) Eschine racconta all’amico Tionico le sue pene
d’amore: Cinisca, di cui è tuttora perdutamente innamorato, ama un altro, un certo
Lupo, e lo ha lasciato dopo una sua violenta scenata di gelosia in occasione di una
cena con amici in un podere di campagna. Disperato, Eschine pensa di arruolarsi come
soldato mercenario: Tionico gli consiglia allora di mettersi al soldo del «migliore fra
tutti», Tolomeo Filadelfo, di cui tesse le lodi più sperticate (vv. 60 ss.: «... è persona
veramente eccellente/ saggio, amico delle Muse, incline all’amore, dolce oltremodo,/
conosce chi l’ama e ancor più chi non l’ama,/ è generoso con molti, non dice di no a chi
chiede,/ come conviene a un re»).

L’Idillio XV, Le Siracusane (Συρακόσιαι) ovvero Le donne alla festa di Adone


(Ἀδωνιάζουσαι), è ambientato ad Alessandria: due signore borghesi originarie di Sira-
cusa, Gorgò e Prassinoa, dopo essersi date appuntamento in casa della prima, si recano
alla reggia di Tolomeo II Filadelfo per assistere alla celebrazione della festa in onore
Teocrito e la tradizione bucolica

T. 5 di Adone.

epilli
A ltra manifestazione della produzione teocritea sono
gli epilli; l’Ila, i Dioscuri, l’Eracle bambino e, di
dubbia autenticità, le Lene o Baccanti oltre allo spurio
Eracle uccisore del leone nemeo.

Eracle bambino strangola il serpente. Roma, Musei Capitolini.


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Caratteristiche Secondo la convenzione del genere sono tutti composti, in esametri, ma con
del genere… una diversa dosatura degli elementi dialettali: Ila, Eracle bambino e Lene (Id.
XXVI), che mostrano i contenuti mitici e l’approccio narrativo di breve respiro
propri della lirica narrativa arcaica, mostrano una patina dorica assente nel coe-
rente tenore ionico-omerico dei Dioscuri e dell’Eracle uccisore del leone nemeo
(Id. XXV).

…e dell’epillio Complessivamente, «non è la scelta dell’argomento che contrassegna l’epillio


teocriteo teocriteo: i miti narrati non sono rari né sono esposti in una variante prezio-
sa. L’arte è nel taglio delle scene, nel disegno delicatissimo dei particolari,
nell’ampiezza del registro poetico i cui toni vanno dal patetico all’umoristico,
nella trasfigurazione che non esclude la chiave realistica» (V. Gigante Lan-
zara). “Epilli”, del resto, può valere come etichetta riassuntiva, ma accade
che Teocrito pratichi una sperimentale commistione di generi all’interno del-
lo stesso componimento: l’Ila inizia in forma di epistola poetica di carattere
consolatorio per poi trapassare presto, ma impercettibilmente, in narrazione,
e anche nei Dioscuri la dimensione narrativa è violata nel proemio (vv. 1-26),
che ha la forma di un inno celebrativo, e nell’inserto “drammatico” (una sti-
comitia fra Amico e Polluce) dei vv. 54-74.

L’Ila (Id. XIII) narra l’episodio, raccontato anche da Apollonio Rodio (Argo-
trama

nautiche I 1207 ss.), del rapimento da parte delle Ninfe del giovinetto amato da
Eracle.

Nei Dioscuri (Id. XXII) il proemio di tipo innodico è seguito da un dittico per cui
prima viene narrata la gara di pugilato di Polluce contro Amico, re dei Bebrici (an-
che per questo episodio è possibile un confronto con Apollonio Rodio, Argonauti-
che II 1-98), poi la vittoria di Castore su Linceo, che insieme col fratello Ida cercava
di riconquistare le Leucippidi, rapite dai Dioscuri.

L’Eracle bambino (Id. XXIV) riprende il mito narrato da Pindaro nella Nemea I:

Teocrito e la tradizione bucolica


Eracle neonato strozza i due serpenti inviatigli contro da Era per uccidere lui e il
gemello Ificle.
Agli epilli di tipo lirico-narrativo si può accostare, anche per il ricorso a un tenore
dialettale dorizzante, il componimento nuziale, l’Epitalamio di Elena (Id. XVIII).
Teocrito, riprendendo spunti da Saffo ma anche – come segnala lo scoliaste – «dal-
la prima Elena di Stesicoro», fa intonare da un coro di vergini spartane l’imeneo
davanti alla camera nuziale in cui Menelao ha testé condotto la sposa novella. «Il
carme è di una chiarità solare. La figura di Elena è idealizzata con le doti femminili
che accompagnano il dono della bellezza. Le fanciulle cantano senza invidia e senza
trasporto. L’arcaica semplicità di Sparta si riflette nelle immagini della natura e del
culto. È assente ogni sospetto di seduzione e attenuata la femminilità nei suoi aspetti
più frivoli. Questa Elena, cresciuta con le altre fanciulle spartane, correndo come
un uomo sulle rive dell’Eurota, abile tessitrice, sposa chiusa tra le pareti della casa
di Menelao, è già pronta a diventare la divinità venerata nel tempio di Sparta. L’av-
ventura iliadica è fuori campo, come se appartenesse a un’altra storia» (V. Gigante
Lanzara).
388 TEOCRITO E LA TRADIZIONE BUCOLICA

TESTI A CONFRONTO l’episodio di ila in apollonio rodio e in teocrito


Assai significative risultano le divergenze fra i due diversi modi di raccontare: in Apollonio le Ninfe si
radunano presso una fontana per celebrare una festa rituale in onore di Artemide, la scena si svolge
di notte (con la luna piena che illumina Ila «fiammeggiante di bellezza») e la caduta di Ila nell’acqua
avviene perché una delle Ninfe si innamora d’improvviso di lui (vv. 1234-1239):
e appena, disteso di lato, egli ebbe immersa/ la brocca nell’acqua, e l’acqua mormorò forte/ invadendo
il bronzo sonoro, improvvisamente/ lei gli cinse col braccio sinistro il collo, nel desiderio/ di baciare
la tenera bocca, e con la destra/ lo tirò per il gomito, e lo immerse nel mezzo del vortice [tr. di G.
Paduano].

In Teocrito, che si diffonde sulla vegetazione circostante, vv. 39-42:


... presto scorse una fonte,/ in un basso terreno; intorno cresceva molto fogliame,/ scuro chelidonio e
verde capelvenere,/ apio fiorente e gramigna serpeggiante [tr. di V. Gigante Lanzara],

le Ninfe sono colte da un impulso erotico collettivo e lo rapiscono tutte insieme, afferrandolo per la
mano. Ma, soprattutto, le Ninfe teocritee conservano tratti numinosi e terribili assenti in Apollonio, vv.
43-45:
In mezzo all’acqua le Ninfe intrecciavano un coro,/ le Ninfe insonni, le dee temibili per i campagnoli,/
Eunica, e Malide, e Nicea sguardo di primavera

così come, violando le leggi naturali, la voce di Ila implorante aiuto riesce per tre volte ad attraversare
magicamente lo spessore dell’acqua fino a raggiungere l’orecchio di Eracle, vv. 58-60:
“Ila!” tre volte gridò, con quanto fiato aveva in gola;/ tre volte il ragazzo rispose, ma tenue giunse la
voce/ dall’acqua; era vicino e pareva lontano.

Resta problematica la questione della priorità cronologica fra i due racconti: molti pensano a un’aemulatio
da parte di Teocrito condotta in stile callimacheo (e molto callimacheo [cfr. Ecale, fr. 18 Hollis] appare in
effetti la realistica descrizione di un tramonto, ai vv. 12 s., come l’ora in cui
«i pulcini guardano pigolando al loro nido,/ e la madre, intanto, scuote le ali sulla trave affumicata».

Gli encomi, la Conocchia, i carmi efebici


Teocrito e la tradizione bucolica

Nuova funzione
dell’intellettuale
e dell’arte
E spressione del nuovo rapporto fra l’intellettuale e la corte del tiranno o del
sovrano, gli encomi teocritei (in dialetto ionico-omerico con lieve patina do-
rica) riprendono da Pindaro il motivo della liberalità e della critica all’avarizia.
Ma ben diverso è l’orientamento. Nelle Cariti o Ierone (Id. XVI) Teocrito è
ancora il poeta squattrinato in cerca di un protettore, e in vista di questo obiet-
tivo sono sfruttati sia il motivo del potere dell’arte (un potere “commerciabi-
le”) di donare immortalità sia la prospettiva per cui Ierone potrebbe trovare
nel poeta un accorto consigliere politico, capace di indirizzare il suo regno a
una prosperità da conseguire in primo luogo con l’espulsione dei Cartaginesi
dall’area siracusana.

L’Encomio Nell’Encomio di Tolomeo (Id. XVII) la cortigianeria, fondendosi al nuovo culto


a Tolomeo ellenistico del sovrano, comporta una visione di Tolomeo come Zeus in terra
e un collegamento genealogico della famiglia dei Lagidi a Eracle, fino a una
chiusa in cui l’immagine del letto nuziale di Zeus e di Era allude, esaltandola, a
TEOCRITO 389
quell’unione coniugale dei fratelli Tolomeo II Filadelfo e Arsinoe II da cui sca-
turì il culto dei θεοὶ ἀδελφοί.

La Conocchia Un grazioso carme d’occasione, quasi un biglietto d’accompagnamento, è la Co-


nocchia, in dialetto eolico e in asclepiadei maggiori, composto per il dono di una
conocchia d’avorio a Teugenide, moglie del medico Nicia (il destinatario degli
Idilli XI e XIII).

Epigrammi Generalmente convenzionali appaiono gli epigrammi (per lo più funerari o de-
e Carmi pederotici dicatori).
Una nuova forma di recupero della poesia del passato è invece realizzata nei
carmi XXIX-XXX, due canti d’amore per ragazzi (παιδικά) che anche nel dia-
letto rielaborano temi e stilemi della lirica lesbia, e specialmente di Alceo, ma
per i motivi anche dell’attuale secondo libro della Silloge teognidea. Si tratta di
un’operazione elegante ma piuttosto gelida nello sfruttamento dei topoi, nono-
stante qualche tratto più incisivo come, nel secondo carme, la vergogna di un uo-
mo già in là negli anni (come l’imputato dell’orazione Contro Simone di Lisia),
che rimprovera il proprio animo per la sua insana passione e si sente rispondere
argutamente dall’animo stesso che «chiunque pensi di vincere Amore/ artefice
d’inganni, ritiene di trovare facilmente/ quante volte nove sono gli astri sopra
noi» (Id. XXX 25-27 [tr. di B.M. Palumbo Stracca]).

l’arte di teocrito
Non solo rustica
et pastoralis C ome si può constatare dalla varietà della produzione presente nel corpus,
l’arte di Teocrito non si limita certo alla poesia rustica et pastoralis, elogiata
da Quintiliano in un passo famoso della Institutio Oratoria (X 1, 55), ma è pur
vero che soprattutto alla poesia bucolica deve la sua fama il poeta siracusano,

Teocrito e la tradizione bucolica


iniziatore di un genere che tanta fortuna ha riscosso nella tradizione letteraria
europea.

Il paesaggio Elemento centrale della rappresentazione è il paesaggio, proposto attraverso i


e l’ideale tratti dell’assolata campagna siciliana, in un panorama stilizzato dominato dalla
della ἀσυχία
ἀσυχία («serenità»), lontano dal frastuono della città e dalle angosce della vita
associata: è un mondo intatto dagli echi della guerra e della violenza e in esso
anche il tormento dell’amore e l’angoscia della morte «perdono gran parte dei
loro connotati dolorosi e drammatici, per dissolversi nella malìa del canto con-
solatore, che fa da contrappunto alla sinfonia eterna dei monti, dei boschi e delle
acque» (G. Monaco).

Il caldo paesaggio La campagna è colta da Teocrito nel manifestarsi del rigoglio dei frutti e delle
rurale… messi, fissata nel pieno dell’estate assolata, in cui l’ombra degli alberi, il mor-
390 TEOCRITO E LA TRADIZIONE BUCOLICA
morio delle fronde e lo scorrere delle acque offrono un locus amoenus ideale nel
quale l’uomo trova ristoro e conforto, come nell’Idillio VII (135 ss.):
In gran numero a noi sul capo stormivano
pioppi e olmi; e da presso risuonava
la sacra acqua sgorgante dall’antro delle Ninfe.
Sui rami ombrosi le cicale bruciate dal sole
frinivano senza riposo, e l’usignolo
gorgheggiava lontano, nei fitti spini dei rovi.
Cantavano le allodole e i cardellini, gemeva la tortora,
volteggiavano intorno alle fonti le bionde api.
Dappertutto un profumo di pingue raccolto,
dappertutto un profumo di frutti.
Pere ai nostri piedi, ai nostri fianchi mele
in grande quantità rotolavano, e si piegavano
i rami carichi di susine fino a terra.

…e le passioni In questo l’ambiente trovano espressione e sfogo le tensioni d’amore, tradotte nelle
amorose «popolari» forme del canto, in una tessitura nella quale l’elemento soggettivo della pulsione
erotica viene filtrato dal rappresentazione mimetica del mondo degli umili, con
incursioni nella cultura «popolare», che emerge dall’uso di quelle cantilene e dai
riferimenti a quei canti di lavoro di cui abbiamo sporadiche attestazioni letterarie
(ne riscontriamo tracce a partire dal XVIII libro dell’Iliade; cfr. anche la «canzone
al telaio» proposta da Saffo in fr. 102 Voigt, vol. I, pp. 523-24), ma che dovettero
essere largamente diffusi anche nella Grecia antica, specialmente nel quadro di
T. 2 attività svolte in cadenza da squadre di lavoratori (vedi Idillio X I mietitori).

Eros e «realismo» La pulsione erotica è rappresentata nella varietà delle sue manifestazioni, rivi-
sitata nella sua genesi e nel suo decorso, fino al prorompere quasi patologico
della passione. Il tormento d’amore è una «malattia» che accomuna molti per-
sonaggi degli Idilli, anche diversi fra di loro, come il goffo Polifemo dell’Idillio
T. 43 XI o la passionale Simeta dell’Idillio II: innamoramento e amore sono momenti
Teocrito e la tradizione bucolica

struggenti di un processo che vive del ricordo, nella ripresa del grande modello
di Saffo, rimeditato e filtrato da una sensibilità nuova. L’indagine intimistica si
manifesta infatti attraverso riferimenti a particolari inusuali della quotidianità,
che richiamano l’orizzonte di quel «piccolo mondo» borghese entro il quale si
svolge l’esperienza umana. E su tutto si delinea il valore consolatorio e catar-
tico della poesia, che consente di riconquistare la ἁσυχία attraverso il canto,
unico rimedio alla sofferenza, come esplicitamente affermato nell’idillio XI,
indirizzato da Teocrito a Nicia, l’amico medico e poeta.

L’orizzonte Specificità caratteristica della poesia teocritea, in particolar modo di quella mi-
del «realismo» metica, è l’opzione «realistica». Si tratta di un «realismo» del tutto particolare,
teocriteo
che sta tutto nell’impegno a riplasmare, coordinare, indirizzare situazioni ed ele-
menti desunti dalla sfera della vita quotidiana attraverso un linguaggio sorveglia-
to e duttile e in un metro, come l’esametro, legato al livello alto della tradizione
epica, ma senza che questa «traduzione» della vita soffochi l’esperienza vissuta:
I BUCOLICI MINORI 391
diversamente dai suoi epigoni, Teocrito usa la «letteratura» per selezionare e
organizzare, non certo per banalizzare il magma del reale.

Il mimo di Teocrito Un termine di confronto con il realismo dei mimi teocritei è in certa misura
e la Commedia Nuova offerto dalla Commedia Nuova, da cui tuttavia la produzione del poeta siracu-
sano diverge (oltre che per il metro) specialmente per una questione di tem-
pi: se in un dramma caratteri e situazioni potevano essere accennati, spesso
obliquamente, disseminando indicazioni sociologiche o spunti psicologici in
zone diverse dell’azione, il mimo deve bruciare tutte le sue risorse lungo un
percorso molto breve e molto intenso.

i bucolici minori
I l nuovo genere bucolico elaborato da Teocrito dovette incontrare larghi con-
sensi se ben presto, come già si è detto, furono composti alcuni carmi che gli
vennero attribuiti. Proprio nell’Idillio VIII, per esempio, è stato visto un primo
campione di manierismo teocriteo, con la stilizzazione di elementi che nel mo-
dello avevano ancora una funzione legata al contesto e alla struttura del singolo
componimento. Mosco e Bione riuscirono invece ad affermarsi autonomamente
entrando, naturalmente con Teocrito, a far parte del «canone» dei bucolici greci.

Mosco
M osco (Μόσχος) nacque a Siracusa e visse nella seconda metà del II secolo
a.C. Fu grammatico oltre che poeta: la Suda [μ 1278] riferisce che fu in stretti
rapporti con Aristarco di Samotracia.

Teocrito e la tradizione bucolica


L’Eros fuggitivo Di lui ci restano, all’interno del corpus dei bucolici, l’Eros fuggitivo (Ἔρως
δραπέτης), un carme in 29 esametri in cui Afrodite bandisce un premio per chi
saprà rintracciare Eros e ne fornisce le graziose e tradizionali caratteristiche.

Europa Importante è l’epillio in 166 esametri dal titolo Europa, che narra il ratto di Euro-
pa da parte di Zeus in sembianze di toro. Il tema era già noto all’Iliade e trattato
in componimenti perduti di Simonide e forse anche di Esiodo, di Stesicoro e di
Bacchilide, oltre ad aver costituito un soggetto prediletto dalle arti figurative.
Mosco riesce a vivacizzarlo con spunti presumibilmente inediti, come il sogno
premonitore che coglie Europa all’alba (vv. 8 ss.) o l’ekphrasis del canestro
stupendamente decorato (vv. 43 ss.) per il quale Europa si distingue dalle sue
ancelle quando si reca con loro a raccogliere fiori in riva al mare (un contesto
floreale che richiama alla memoria quello del ratto di Persefone da parte di
Aidoneo nell’inno omerico a Demetra); ma, soprattutto, affiorano in Mosco
392 TEOCRITO E LA TRADIZIONE BUCOLICA
tratti di arguzia maliziosa nella descrizione di Zeus-toro, a cui vengono para-
dossalmente attribuiti, nonostante l’animalesca natura, i requisiti tradizionali
del seduttore: un profumo soave, una voce dolce come il suono dell’aulo e un
atteggiamento così amabile e attraente che anche le compagne di Europa gli si
avvicinano, lo toccano e cercano di salirgli in groppa (vv. 89-92):
Ἤλυθε δ’ ἐς λειμῶνα καὶ οὐκ ἐφόβησε φαανθείς
90 παρθενικάς, πάσῃσι δ’ ἔρως γένετ’ ἐγγὺς ἱκέσθαι
ψαῦσαί θ’ ἱμερτοῖο βοὸς τοῦ τ’ ἄμβροτος ὀδμή
τηλόθι καὶ λειμῶνος ἐκαίνυτο λαρὸν ἀυτμήν.
E giunse sul prato e, apparso, non volse in fuga
90 le vergini, ma a tutte sorse brama di avvicinarsi
e di toccare il bove seducente, la cui divina fragranza
per largo tratto vinceva anche i soavi profumi del prato.

Frammenti Tre estratti citati da Stobeo ci hanno poi trasmesso frammenti su temi vari: la
contrapposizione tra le durezze della vita dei pescatori e le attrattive di quella del
contadino, esempi mitici atti ad illustrare il principio per cui bisogna amare solo
chi ci riama, l’amore del fiume Alfeo per la ninfa Aretusa.

Carmi spuri Infine, nel corpus dei bucolici vengono a torto attribuiti a Mosco altri due carmi:
l’Epitafio di Bione, caratterizzato da un’estrema ampollosità patetica, e l’epillio
Megara, in cui la moglie (donde il titolo) e la madre di Eracle (Alcmena) misu-
rano le rispettive ansie per la prolungata assenza dell’eroe.

bione
B ione (Βίων) di Flossa, presso Smirne, visse verso la fine del II secolo a.C.
e, a stare a un’allusione nel già ricordato Epitafio di Bione, sarebbe morto
Teocrito e la tradizione bucolica

avvelenato.

Frammenti… Oltre a 16 frammenti citati da Stobeo, che talora sembrano brevi carmi compiuti,
tratti da una raccolta indicata come Βουκολικά ma di contenuto per lo più eroti-
co, ci resta di lui un componimento dal titolo Epitafio per Adone, pervenutoci in-
tero e tramandato come anonimo in una parte dei codici teocritei: l’attribuzione a
Bione di questo carme è assicurata da allusioni contenute nell’Epitafio di Bione.

…Epitafio per Adone Nei 98 esametri che compongono questo poemetto Bione propone una serie di
quadri (il sonno di Afrodite ignara della morte dell’amato, Adone morto sui mon-
ti, la disperazione e il lamento della dea, la preparazione della salma), accordati a
un diffuso tono di lamento anche attraverso il ricorrere di un refrain che subisce,
comunque, ripetute variazioni. Per il contenuto, il colorito dorico e l’accurata
tecnica del verso Bione si rifà a Teocrito, ma, fin dalle prime lasse (vv. 1-28),
mostra un più insistito coinvolgimento patetico.
I BUCOLICI MINORI 393
Il carme inizia proponendosi come un vero epitafio, con una dichiarazione di lutto
incipitaria (αἰάζω), ma subito dopo, ai vv. 3-5, il poeta si rivolge ad Afrodite con una
serie incalzante di imperativi («non dormire più ... destati ... batti il petto...») perché
sia lei ad intonare il lamento per il giovinetto amato: «un appello diretto all’azione»
che «instaura subito il movimento mimetico con cui l’Epitafio di Adone cerca di
“mettere in scena” piuttosto che di narrare la morte di Adone» (M. Fantuzzi).
Αἰάζω τὸν Ἄδωνιν, «ἀπώλετο καλὸς Ἄδωνις»·
«ὤλετο καλὸς Ἄδωνις», ἐπαιάζουσιν Ἔρωτες.
Μηκέτι πορφυρέοις ἐνὶ φάρεσι Κύπρι κάθευδε·
ἔγρεο, δειλαία, κυανόστολα καὶ πλατάγησον
5 στήθεα καὶ λέγε πᾶσιν, «ἀπώλετο καλὸς Ἄδωνις».
Αἰάζω τὸν Ἄδωνιν· ἐπαιάζουσιν Ἔρωτες.
Κεῖται καλὸς Ἄδωνις ἐν ὤρεσι μηρὸν ὀδόντι,
λευκῷ λευκὸν ὀδόντι τυπείς, καὶ Κύπριν ἀνιῇ
λεπτὸν ἀποψύχων· τὸ δέ οἱ μέλαν εἴβεται αἷμα
10 χιονέας κατὰ σαρκός, ὑπ’ ὀφρύσι δ’ ὄμματα ναρκῇ,
καὶ τὸ ῥόδον φεύγει τῶ χείλεος· ἀμφὶ δὲ τήνῳ
θνᾴσκει καὶ τὸ φίλημα, τὸ μήποτε Κύπρις ἀποίσει.
Κύπριδι μὲν τὸ φίλημα καὶ οὐ ζώοντος ἀρέσκει,
ἀλλ’ οὐκ οἶδεν Ἄδωνις ὅ νιν θνᾴσκοντα φίλησεν.
15 Αἰάζω τὸν Ἄδωνιν· ἐπαιάζουσιν Ἔρωτες.
ἄγριον ἄγριον ἕλκος ἔχει κατὰ μηρὸν Ἄδωνις,
μεῖζον δ’ ἁ Κυθέρεια φέρει ποτικάρδιον ἕλκος.
τῆνον μὲν περὶ παῖδα φίλοι κύνες ὠρύονται
καὶ Νύμφαι κλαίουσιν Ὀρειάδες· ἁ δ’ Ἀφροδίτα

Io piango il bello Adone: «È morto il bello Adone».


«È morto il bello Adone», piangon con me gli Amori.
Non dormire più, Cipride, nel tuo letto di porpora;
destati, sventurata, vestiti a lutto, e il petto

Teocrito e la tradizione bucolica


5 colpisci, e a tutti annunzia: «È morto il bello Adone».
Io piango il bello Adone; piangon con me gli Amori.
Il bello Adone giace sui monti, nella bianca
coscia dal bianco dente colpito è per sventura:
un soffio esala fievole, ed il sangue vermiglio
10 sulla carne di neve scorre, s’intorpidiscono
gli occhi e fugge la rosa dal labbro, e intorno ad esso
muore il bacio che Cipride non coglierà mai più.
Baciare piace a Cipride Adone, anche se è morto;
egli non sa che Cipride l’ha baciato morente.
15 Io piango il bello Adone; piangon con me gli Amori.
Orrenda, orrenda piaga ha nella coscia Adone;
piaga più orrenda ancora ha Cipride nel cuore.
A lungo, a lungo, gemono i suoi cani fedeli
e piangono le Ninfe Oreadi, ed Afrodite,
394 TEOCRITO E LA TRADIZIONE BUCOLICA
20 λυσαμένα πλοκαμῖδας ἀνὰ δρυμὼς ἀλάληται
πενθαλέα νήπλεκτος ἀσάνδαλος, αἱ δὲ βάτοι νιν
ἐρχομέναν κείροντι καὶ ἱερὸν αἷμα δρέπονται·
ὀξὺ δὲ κωκύοισα δι’ ἄγκεα μακρὰ φορεῖται
Ἀσσύριον βοόωσα πόσιν, καὶ παῖδα καλεῦσα.
25 Ἀμφὶ δέ νιν μέλαν εἷμα παρ’ ὀμφαλὸν ᾀωρεῖτο,
στήθεα δ’ ἐκ μηρῶν φοινίσσετο, τοὶ δ’ ὑπὸ μαζοί
χιόνεοι τὸ πάροιθεν Ἀδώνιδι πορφύροντο.
«Αἰαῖ τὰν Κυθέρειαν», ἐπαιάζουσιν Ἔρωτες.

20 con i riccioli sciolti, va per le selve errando


afflitta, scarmigliata, senza sandali; i rovi,
mentre ella va, la straziano, bevon sangue divino.
E gridando e gemendo va per le lunghe valli,
ella grida il suo nome, chiama il suo sposo siro.
25 Vicina all’ombelico fiotta la veste nera;
la mano il petto insanguina; le mammelle che prima
eran di neve, porpora diventan per Adone.
«O Citerea, ahimè!», piangon con lei gli Amori.
[Tr. di G. Perrotta]

analisi del testo


Il componimento prende corpo, sui modelli di Teocrito e degli stirsi con abiti di colore livido (κυανόστολε, v. 4) poiché Adone
inni «drammatici» di Callimaco, ma ben al di là di essi nell’effetto è stato colpito nella candida coscia dal candido dente del cin-
d’insieme, una sorta di voluttuosa «passione» che nella veemen- ghiale (con poliptoto in principio di v. 8: λευκῷ λευκόν): ora il
za barocca delle immagini e nella tensione delle sillabe intende sangue scuro (μέλαν) scorre sulla carne nivea e fugge la rosa dal
avvolgere il fruitore del testo (lettore ad alta voce o spettatore labbro; più avanti (vv. 25-27) la veste scura (μέλαν) di Afrodite
della performance solistica di un attore) entro un fascio di per- ondeggia all’altezza dell’ombelico e i seni che erano nivei diven-
cezioni sensuali tanto vuote in termini di scavo interiore o di tano purpurei.
autentica creatività iconografica quanto acusticamente e croma-
ticamente gremite di risonanze e di chiaroscuri. Se consideriamo che queste esuberanze fonico-cromatiche ac-
Risonanze: si comincia con un verbo che ha già in sé un effet- compagnano quadri e gesti plateali (l’orrenda piaga nella coscia,
Teocrito e la tradizione bucolica

to fonosimbolico (αἰάζω «dico ahi ahi»), e questo effetto si i riccioli sciolti, gemiti e grida e soprattutto il bacio della dea
espande in un’onda sonora sostenuta dalla allitterazione quadri- al morto, non dissimile da quello che Properzio immaginerà di
membre, nel medesimo verso, di /a/ iniziale (αἰάζω, Ἄδωνιν, ricevere da Cinzia [II 13, 29]: osculaque in gelidis pones supre-
ἀπώλετο, Ἄδωνις); il primo emistichio del v. 2 ripete il secondo ma labellis «e deporrai gli ultimi baci sulle mie labbra gelide»),
del v. 1 ma con la variatio ἀπώλετο/ ὤλετο, mentre gli altri possiamo vedere in questo passo di Bione (ma le cose sostanzial-
due emistichi (αἰάζω τὸν Ἄδωνιν ed ἐπαιάζουσιν Ἔρωτες) mente non cambiano nel seguito del carme) un esempio fra i più
vengono riutilizzati per formare l’ἐπίφθεγμα o refrain dei vv. 6 e vistosi di spettacolo del pathos: un esito inquietante e senz’altro
15; al v. 7 κεῖται καλὸς Ἄδωνις appare variazione dell’ὤλετο riduttivo se ripensiamo a ciò che aveva significato l’esplorazione
καλὸς Ἄδωνις del v. 2; ai vv. 12 e 13 τὸ φίλημα («il bacio») della sofferenza nella grande poesia arcaica e classica e anche in
è collocato in identica posizione metrica; a principio di v. 16 Teocrito o in Apollonio; una manifestazione di «decadentismo»
ἄγριον risulta duplicato, e c’è sottile assonanza fra ἱερὸν αἷμα ante litteram, coi suoi limiti palesi di lusus virtuosistico ma pure
al v. 22 e μέλαν εἷμα al v. 25. con la coscienza che anche nell’arte c’è sempre un nuovo «oltre»
Chiaroscuri: Cipride si deve alzare da coltri purpuree e deve ve- verso cui tendere, con tutti i rischi e i piaceri del caso.

Epitalamio di Achille A Bione fu attribuito dall’Ursinus anche il cosiddetto Epitalamio di Achille e


e Deidamia Deidamia (epillio in cui due pastori si raccontano le avventure di Achille a Sci-
ro), che forse è da considerare opera di un imitatore.
Teocrito e la
tradizione bucolica

i carmi bucolici
T. 1 Idillio VII Simichida racconta in prima persona una passeggiata fuori città con due amici
(Talisie) per raggiungere la fattoria di un certo Frasidamo, un loro conoscente presso cui
si sta preparando la celebrazione delle Talisie, una festa in onore di Demetra in
occasione della mietitura. Durante il cammino i tre viandanti incontrano il capra-
io Licida, con cui intrecciano un dialogo scherzoso che ha il suo coronamento in
una gara di canto, a conclusione della quale, Licida, conquistato dalla bravura di
Simichida, dona al rivale il proprio bastone, a sigillo dell’incoronazione poetica.
I tre amici proseguono poi il cammino, in un ambientazione che richiama i tratti
del locus amoenus.

l’incontro con licida


Ἦς χρόνος ἁνίκ’ ἐγών τε καὶ Εὔκριτος εἰς τὸν Ἅλεντα

Teocrito e la tradizione bucolica


εἵρπομες ἐκ πόλιος, σὺν καὶ τρίτος ἄμμιν Ἀμύντας.

Un giorno io ed Eucrito stavamo andando dalla città


verso Alente, e terzo con noi era Aminta.

1. io ed Eucrito: fin dalle prime battute avvertiamo la ricerca di un effetto di verità anche nell’orientamento
enunciativo dell’idillio. Se infatti lo schema corrente nei carmi bucolici prevede per l’attacco o una
drammatizzazione in medias res, con l’immediato avvio di un dialogo (I, IV, V, X), o, alternativamente,
l’inserimento iniziale di un «io» narrante che funge da voce fuori campo (VI, VIII), qui la voce narrante
appartiene al personaggio centrale del racconto.
2. verso Alente: più che negli altri idilli bucolici, Teocrito si è qui preoccupato di localizzare la scena nello
spazio e nel tempo: la festa è organizzata da personaggi in vista dell’isola di Cos, a cui rimandano anche
toponimi come (v. 2) l’Alente (fiume o distretto che fosse), la fonte Burina (v. 6), il monte Oromedonte
(v. 46), il sepolcro di Brasila (v. 11); la stessa celebrazione festiva per il vaglio dell’orzo in onore di
Demetra non solo sembra definirsi, nel richiamo all’apprestamento di un banchetto per la dea (v. 32:
«offrono un banchetto per Demetra dal bel peplo»), come una teossenia (un tipo di festa in cui uno o più
dèi sono invitati a un banchetto comune coi mortali), ma appare puntualmente riconducibile, sulla base,
in particolare, del v. 143, alla tarda estate, la stagione del raccolto.
396 I CARMI BUCOLICI
Τᾷ Δηοῖ γὰρ ἔτευχε θαλύσια καὶ Φρασίδαμος
κἀντιγένης, δύο τέκνα Λυκωπέος, εἴ τί περ ἐσθλόν
5 χαῶν τῶν ἐπάνωθεν ἀπὸ Κλυτίας τε καὶ αὐτῶ
Χάλκωνος, Βούριναν ὃς ἐκ ποδὸς ἄνυε κράναν
εὖ ἐνερεισάμενος πέτρᾳ γόνυ· ταὶ δὲ παρ’ αὐτάν
αἴγειροι πτελέαι τε ἐύσκιον ἄλσος ὕφαινον
χλωροῖσιν πετάλοισι κατηρεφέες κομόωσαι.
10 Κοὔπω τὰν μεσάταν ὁδὸν ἄνυμες, οὐδὲ τὸ σᾶμα
ἁμῖν τὸ Βρασίλα κατεφαίνετο, καί τιν’ ὁδίταν
ἐσθλὸν σὺν Μοίσαισι Κυδωνικὸν εὕρομες ἄνδρα,
οὔνομα μὲν Λυκίδαν, ἦς δ’ αἰπόλος, οὐδέ κέ τίς νιν
ἠγνοίησεν ἰδών, ἐπεὶ αἰπόλῳ ἔξοχ’ ἐῴκει.
15 Ἐκ μὲν γὰρ λασίοιο δασύτριχος εἶχε τράγοιο
κνακὸν δέρμ’ ὤμοισι νέας ταμίσοιο ποτόσδον,

Celebravano le Talisie per Deò Frasidamo


e Antigene, i due figli di Licopeo, quanto c’è di meglio
5 tra i nobili di antica razza, discendenti di Clizia
e di Calcone, quello che col piede fece zampillare la fonte Burina,
puntando con forza il ginocchio sulla roccia; e pioppi
e olmi, vicino alla fonte, intrecciavano un ombroso boschetto,
formando una volta con le loro verdi fronde.
10 Non avevamo ancora compiuto metà del cammino, né in vista eravamo giunti
del sepolcro di Brasila, quand’ecco che incontrammo,
per il favore delle Muse, un nobile viandante, un uomo di Cidonia,
di nome Licida; era un capraio, e nessuno a vederlo
si sarebbe sbagliato, perché di un capraio aveva tutto l’aspetto.
15 Sulle spalle la fulva pelle di un villoso
Teocrito e la tradizione bucolica

irsuto caprone, odorosa di caglio fresco,

3. Deò: Demetra.

analisi del testo


L’antagonista di Simichida è un vero pastore, per la precisione assai più plausibile congetturare che Teocrito non volesse
un capraio (v. 13 αἰπόλος), che appare vestito di tutto punto affatto alludere a una figura determinata (alla quale avrebbe
con abiti pastorali (vv. 15 ss.), suona la zampogna rustica (cfr. finito con l’ascrivere, sia pure allusivamente, l’invenzione
v. 28 συρικτάν), è famoso tra pastori e mietitori (vv. 28 s.) di un genere che egli doveva rivendicare come personale
e ora, nell’ambito della gara, intona un canto dominato nella scoperta); è probabile, invece, che intendesse sottolineare
sua seconda parte (vv. 72 ss.) dalle figure di due eroi bucolici, – presentando Licida come un vero pastore – di aver elabo-
Dafni e Comata. rato le proprie forme e i propri temi bucolici ricollegandosi
Piuttosto che ingegnarsi a dare un nome a Licida (si è pen- direttamente alla tradizione di agoni poetici pastorali in uso
sato via via a Callimaco, a Riano o a più oscure figure) è anche a Cos.
IDILLIO VII (TALISIE) 397
ἀμφὶ δέ οἱ στήθεσσι γέρων ἐσφίγγετο πέπλος
ζωστῆρι πλακερῷ, ῥοικὰν δ’ ἔχεν ἀγριελαίω
δεξιτερᾷ κορύναν. καί μ’ ἀτρέμας εἶπε σεσαρώς
20 ὄμματι μειδιόωντι, γέλως δέ οἱ εἴχετο χείλευς·
«Σιμιχίδα, πᾷ δὴ τὺ μεσαμέριον πόδας ἕλκεις,
ἁνίκα δὴ καὶ σαῦρος ἐν αἱμασιαῖσι καθεύδει,
οὐδ’ ἐπιτυμβίδιοι κορυδαλλίδες ἠλαίνοντι;
Ἦ μετὰ δαῖτ’ ἄκλητος ἐπείγεαι, ἤ τινος ἀστῶν
25 λανὸν ἔπι θρῴσκεις; Ὥς τοι ποσὶ νισσομένοιο
πᾶσα λίθος πταίοισα ποτ’ ἀρβυλίδεσσιν ἀείδει».
Τὸν δ’ ἐγὼ ἀμείφθην· «Λυκίδα φίλε, φαντί τυ πάντες
ἦμεν συρικτὰν μέγ’ ὑπείροχον ἔν τε νομεῦσιν
ἔν τ’ ἀματήρεσσι. Τὸ δὴ μάλα θυμὸν ἰαίνει
30 ἁμέτερον· καίτοι κατ’ ἐμὸν νόον ἰσοφαρίζειν
ἔλπομαι. Ἁ δ’ ὁδὸς ἅδε θαλυσιάς· ἦ γὰρ ἑταῖροι
ἀνέρες εὐπέπλῳ Δαμάτερι δαῖτα τελεῦντι

e intorno al petto una vecchia tunica, stretta


da una cintura intrecciata; nella mano destra aveva
un ricurvo bastone di oleastro. E appena appena aprendo la bocca mi disse,
20 con una luce negli occhi, mentre un riso gli stava sulle labbra:
«Simichida, dove dirigi i tuoi passi nel meriggio,
quando anche la lucertola dorme nei muriccioli,
e neppure le allodole crestate vanno girovagando?
Ti affretti forse a un banchetto, senza invito, o corri
25 al frantoio di qualcuno dei paesani? Mentre cammini,
ogni pietra canta urtando contro i calzari».
Io gli risposi: «Licida caro, tutti dicono

Teocrito e la tradizione bucolica


che tu sei di gran lunga il miglior suonatore di zampogna tra i pastori
e i mietitori; questo allieta molto
30 il nostro cuore; e tuttavia penso di poterti eguagliare.
Questo mio cammino è per le Talisie; uomini che sono miei amici
offrono un banchetto per Demetra dal bel peplo,

21. Simichida: già gli antichi ignoravano la ragione del soprannome Simichida attribuito all’«io» narrante,
nel quale comunque riconoscevano un riferimento di Teocrito a se stesso, al punto che l’anonimo autore
di una biografia teocritea (Scholia in Theocritum, p. 1 Wendel) riporta l’opinione secondo cui il poeta
sarebbe stato figlio di Simico (ma che suo padre si chiamasse Prassagora è attestato dalla Suda e soprat-
tutto da A.P. IX 434). Che nelle Talisie si debbano individuare riferimenti diretti al panorama culturale
del tempo è confermato da una serie di precisi riferimenti: l’Arato del canto di Simichida nominato al v.
102 trova riscontro (che si tratti o meno dell’autore dei Fenomeni) con l’Arato a cui è dedicato l’Idillio
VI; il Sicelida citato al v. 40 è plausibilmente identificabile con Asclepiade sulla base della notizia
secondo cui questi sarebbe stato così denominato anche da Callimaco (scolio al fr. 1 Pfeiffer); infine,
il Filita ricordato insieme con Sicelida/Asclepiade è senz’altro l’illustre grammatico-poeta nativo della
stessa Cos.
398 I CARMI BUCOLICI

ὄλβω ἀπαρχόμενοι· μάλα γάρ σφισι πίονι μέτρῳ


ἁ δαίμων εὔκριθον ἀνεπλήρωσεν ἀλωάν.
35 Ἀλλ’ ἄγε δή, ξυνὰ γὰρ ὁδὸς ξυνὰ δὲ καὶ ἀώς,
βουκολιασδώμεσθα· τάχ’ ὥτερος ἄλλον ὀνασεῖ.
Καὶ γὰρ ἐγὼ Μοισᾶν καπυρὸν στόμα, κἠμὲ λέγοντι
πάντες ἀοιδὸν ἄριστον· ἐγὼ δέ τις οὐ ταχυπειθής,
οὐ Δᾶν· οὐ γάρ πω κατ’ ἐμὸν νόον οὔτε τὸν ἐσθλόν
40 Σικελίδαν νίκημι τὸν ἐκ Σάμω οὔτε Φιλίταν
ἀείδων, βάτραχος δὲ ποτ’ ἀκρίδας ὥς τις ἐρίσδω».

dando le primizie del ricco raccolto, perché in abbondante misura


la dea ha colmato di orzo la loro aia.
35 Ma suvvia, comune è la strada, comune è il giorno;
cantiamo canti pastorali: così l’uno gioverà all’altro.
Sono anch’io una sonora bocca delle Muse; anche di me
dicono tutti che sono un cantore eccellente; ma io non sono facile a credere,
per null’affatto; a parer mio non vinco ancora nel canto
40 né il nobile Sicelida di Samo, né Filita,
ma con loro contendo come una rana con i grilli».

41. come una rana con i grilli: professando sotto la maschera di Simichida la modestia di chi si sente
come «una rana in gara coi grilli» a confronto con Filita e con Asclepiade (vv. 39-41), Teocrito usa
la figura di un altro poeta – o comunque di un personaggio particolarmente autorevole – nascosto
sotto il nome di Licida per prendere posizione a favore della poesia breve e accuratamente cesellata
cara a Callimaco e contro gli «architetti» di ampi e ambiziosi poemi che, cercando di imitare Omero,
sembrano galli che schiamazzano (vv. 47 s.). Si è inoltre supposto da parte del Reitzenstein che la
menzione di Licida e di altri personaggi isolani implichi che esistesse a Cos una confraternita poetica
dedita a competizioni liriche tenute, almeno in origine, nel corso di adunanze festive del genere delle
Talisie.
Teocrito e la tradizione bucolica

l’investitura poetica
Ὣς ἐφάμαν ἐπίταδες· ὁ δ’ αἰπόλος ἁδὺ γελάσσας,
«τάν τοι», ἔφα, «κορύναν δωρύττομαι, οὕνεκεν ἐσσί
πᾶν ἐπ’ ἀλαθείᾳ πεπλασμένον ἐκ Διὸς ἔρνος.
45 Ὥς μοι καὶ τέκτων μέγ’ ἀπέχθεται ὅστις ἐρευνῇ
ἶσον ὄρευς κορυφᾷ τελέσαι δόμον Ὠρομέδοντος,

Così dissi di proposito, e il capraio, ridendo dolcemente,


«Il mio bastone» disse «voglio donarti perché sei
un virgulto di Zeus tutto forgiato sulla verità.
45 A me è fortemente odioso l’architetto che si sforzi di costruire
una casa alta come la cima dell’Oromedonte,
IDILLIO VII (TALISIE) 399
καὶ Μοισᾶν ὄρνιχες ὅσοι ποτὶ Χῖον ἀοιδόν
ἀντία κοκκύζοντες ἐτώσια μοχθίζοντι.

e i pollastri delle Muse, quanti di fronte all’aedo di Chio


schiamazzando si affannano invano.

47. l’aedo di Chio: Omero.

la gara: il canto di licida


Suvvia, diamo subito inizio al canto pastorale,
50 Simichida; quanto a me, vedi, caro, se ti piace
questa canzoncina che ho composto poco fa sul monte.
Per Ageanatte felice sarà la navigazione per Mitilene,
anche quando, con i Capretti al tramonto, il Noto insegua le umide
onde, e quando Orione poggia i piedi sull’oceano,
55 se vorrà salvare Licida dal fuoco
di Afrodite: perché un caldo amore per lui mi brucia.
Le alcioni placheranno le onde del mare
e il Noto e l’Euro, che sommuove le alghe più profonde,
le alcioni che alle glauche Nereidi sopra tutti gli uccelli
60 son care, e a quanti la preda traggono dal mare.
Ad Ageanatte che desidera navigare alla volta di Mitilene
ogni cosa sia propizia e giunga in porto dopo una felice navigazione.
E io quel giorno, tenendo attorno al capo una ghirlanda
d’aneto, o di rose, o di bianche viole,

53. quando, con i Capretti al tramonto: questa e le successive indicazioni mitico-astronomiche stanno a

Teocrito e la tradizione bucolica


indicare l’autunno.
57. Le alcioni placheranno le onde del mare: allusione alla credenza secondo cui, nel periodo invernale in cui
le alcioni nidificano, il mare restava tranquillo.

analisi del testo


il canto di Simichida
Provocato a gara, Simichida intona nell’agone un canto delle Ninfe e in uno scenario pastorale) e stava per avviarsi,
d’amore e non un canto a carattere pastorale, come ci si sa- attraverso la consacrazione offertagli da Licida, sulla via di
rebbe aspettati per occasione della consacrazione a poeta una produzione specificamente bucolica. Non a caso il carme si
bucolico. chiude con un’immediata dimostrazione dell’arte appena allo-
Il motivo dipende dal fatto che le Talisie, forse a lunga distanza ra scoperta, in un concentrato di odori, suoni, immagini che,
di tempo, sembrano voler rievocare l’operazione culturale com- quasi si trattasse di un campione da esibire, offrono come un
piuta dal loro autore all’inizio della sua attività, nel momento eccesso di rusticità, un affollarsi di tinte prima che il quadro si
in cui egli aveva già saputo affermarsi come poeta d’amore fissi, da ultimo, sull’immagine della dea con le mani colme di
(che pure ha meditato e composto i propri canti per ispirazione spighe e papaveri.
400 I CARMI BUCOLICI
65 attingerò dalla coppa il vino pteleatico,
sdraiato accanto al fuoco; e qualcuno mi abbrustolirà le fave nel fuoco.
Avrò anche un giaciglio, alto fino a un cubito,
rivestito di enula, asfodelo e apio ricciuto.
E mollemente berrò, ricordandomi di Ageanatte
70 in mezzo alle coppe, e premendo il labbro fino alla feccia.
Suoneranno l’aulo per me due pastori, uno di Acarne,
l’altro di Licope; e Titiro, standomi vicino,
canterà come una volta di Xenea s’innamorò Dafni il bovaro,
e come il monte si doleva per lui, e lo piangevano le querce
75 che crescono lungo le rive dell’Imera,
allorquando si disfaceva, come neve alle pendici del grande Emo,
o dell’Athos, o del Rodope, o del Caucaso ai confini del mondo.
Canterà poi come una volta una capace cassa accolse il capraio
ancora vivo, per la malvagia empietà del padrone,
80 e come le api camuse, dal prato giungendo al cedro
fragrante, lo nutrirono con fiori delicati,
perché a lui dolce nettare la Musa versava sulla bocca.
Beatissimo Comata, tu patisti questo dolce destino:
tu fosti rinchiuso nella cassa, e tu nutrendoti
85 dei favi delle api, compisti la tua prova nel tempo della primavera.
Oh, fossi tu ancora per me nel novero dei viventi!
Io per te pascolerei sui monti le belle capre,
ascoltando la tua voce, e tu sotto le querce e sotto i pini
rimarresti sdraiato a cantare soavemente, o divino Comata».

75. lungo le rive dell’Imera: sulla costa settentrionale della Sicilia.


Teocrito e la tradizione bucolica

analisi del testo


il «dono ospitale da parte delle Muse»
L’episodio del dono del bastone viene enfatizzato dall’essere lebri Asclepiade e Fileta: ma questo sorriso copre il vanto di
ricordato sia prima che dopo la tenzone (vv. 43 s. e 128 s.) aver cercato una via originale anche al di fuori della biblioteca
e riecheggia il dono di un bastone fatto ad Esiodo dalle Muse erudita, riprendendo in forme sofisticate, coerenti coi nuovi
nel proemio della Teogonia (vv. 30 s.). Senonché il bastone principî callimachei, un filone folclorico pressoché dimenticato
di cui parlava Esiodo era tratto da un ramo d’alloro, era cioè dalla produzione letteraria e comunque mai prima organizzato
il bastone a cui i rapsodi erano soliti appoggiarsi durante la in autonoma forma poetica.
recitazione. Il bastone offerto a Simichida è sì «un dono ospi- È questa la «verità» del nuovo canto bucolico: non più la «ri-
tale da parte delle Muse» (ἐκ Μοισᾶν ξεινήϊον, v. 129), ma velazione» di alto profilo che le Muse insegnarono ad Esiodo
non è offerto direttamente dalle Muse; soprattutto, non è un (Teogonia 27 ss.) e che consisteva nel saper cantare tutto ciò
bastone da professionista del canto, bensì un vero bastone ru- che sarà e ciò che fu (Teogonia 32), ma la capacità di rappre-
stico, più precisamente una sorta di bacchetta adatta a stanare sentare in modo convincente un mondo agreste e pastorale che
le lepri (τὸ λαγωβόλον, v. 128). Una trasposizione in chiave non ha bisogno per rispecchiarsi dell’architetto megalomane
umile di un celebre precedente letterario che Teocrito realizza ma di una scala minore, di una poetica del «diminutivo»: non il
con lo stesso sorriso di modestia con cui alludeva ai più ce- μέλος ma il μελύδριον (v. 51).
IDILLIO VII (TALISIE) 401
90 A questo punto tacque; e io a mia volta
gli dicevo così: «Licida caro, molti altri canti
hanno insegnato anche a me le Ninfe, mentre pascolavo sui monti,
canti eccellenti, e la fama li ha portati fino al trono di Zeus,
ma questo fra tutti è di gran lunga il migliore e per onorarti
95 ora lo canterò; ascolta dunque, perché caro tu sei alle Muse.
Per Simichida gli Amori starnutirono: poiché il poverino
tanto è innamorato di Mirtò, quanto lo sono le capre in primavera.
Ma Arato, che a Simichida è caro oltremodo,
nutre in fondo al cuore desiderio di un ragazzo. Sa Aristi,
100 uomo valente, di gran lunga il migliore, a cui neppure Febo in persona
potrebbe impedire di cantare con la cetra presso i tripodi,
come Arato arda fin nelle ossa per l’amore di un ragazzo.
O Pan, tu che hai avuto in sorte l’amabile piana dell’Omola,
spingilo, non chiamato, nelle care braccia di quest’uomo,
105 sia egli il delicato Filino, sia pure un altro.
Se fai questo, o Pan caro, non ti flagellino più
i ragazzi d’Arcadia con le scille lungo i fianchi
e le spalle, quando ricevono poca carne.
Ma se altrimenti accenni, possa tu grattarti
110 con le unghie straziato in tutto il corpo, e dormire tra le ortiche,
e possa tu stare tra le montagne degli Edoni nel cuore dell’inverno,
lungo il fiume Ebro, vicino all’Orsa,
e in estate pascolare le tue greggi presso gli ultimi Etiopi,
sotto la rupe dei Blemii, da dove non si vede più il Nilo.
115 E voi, lasciando la dolce corrente di Ietide e di Biblide,
ed Ecunte, l’alta sede della bionda Dione,
o Amori simili a pomi rosseggianti,
colpitemi con frecce il seducente Filino,
colpitelo, perché il malvagio non ha pietà del mio amico.

Teocrito e la tradizione bucolica


120 Ecco che è già più maturo di un pomo, e le donne
“Ahimè” dicono “Filino, il tuo bel fiore svanisce”.
Non montiamo più la guardia alla sua porta, Arato,
e non consumiamoci più i piedi; e che il gallo al mattino,
facendo chicchirichì, renda un altro preda di dolorosi torpori;
125 e soltanto Molone, carissimo, sia soffocato da una tale palestra.
A noi stia a cuore la tranquillità, e una vecchia ci assista,
che sputando allontani da noi le cose non belle».
Così dissi; e quello, allora, il suo bastone, sorridendo placidamente
come prima, mi diede, dono ospitale da parte delle Muse.

103. l’amabile piana dell’Omola: nella Tessaglia settentrionale.


115. la dolce corrente di Ietide e di Biblide: fonti di Mileto.
116. Ecunte: città della Caria. - Dione: madre di Afrodite.
402 I CARMI BUCOLICI
il congedo
130 Poi, piegando verso sinistra, prese la strada
per Pixa; io ed Eucrito, assieme al bell’Amintino, ci volgemmo
alla fattoria di Frasidamo, e lieti
ci sdraiammo su alti giacigli di giunco
soave, e su pampini di vite appena colti.
135 In gran numero a noi sul capo stormivano
pioppi e olmi; e da presso risuonava
la sacra acqua sgorgante dall’antro delle Ninfe.
Sui rami ombrosi le cicale bruciate dal sole
frinivano senza riposo, e l’usignolo
140 gorgheggiava lontano, nei fitti spini dei rovi.
Cantavano le allodole e i cardellini, gemeva la tortora,
volteggiavano intorno alle fonti le bionde api.
Dappertutto un profumo di pingue raccolto, dappertutto un profumo di frutti.
Pere ai nostri piedi, ai nostri fianchi mele
145 in grande quantità rotolavano, e si piegavano
i rami carichi di susine fino a terra;
dalla testa degli orci fu tolto il suggello di quattro anni.
Ninfe Castalidi che abitate i gioghi del Parnaso,
fu una coppa come questa che il vecchio Chirone apprestò
150 per Eracle nell’antro roccioso di Folo?
E quel famoso pastore, quello dell’Anapo,

147. Ninfe Castalidi: della fonte Castalia, a Delfi.


151. l’Anapo: fiume siciliano che sfocia nel porto Grande di Siracusa.

analisi del testo


Teocrito e la tradizione bucolica

teocrito-Simichida
Che a Cos fervesse, sulla scia della produzione di Filita, un’in- mento, come osservava Gow, lascia un certo senso di enigma:
tensa attività culturale improntata a un vivace sperimentali- proprio il personaggio rifondatore del genere bucolico (Simi-
smo è, al di là della questione dell’esistenza di un vero circolo chida/Teocrito) non si presenta in principio con connotati di
comunitario, più che possibile; che dietro Simichida (anche rusticità, bensì come un borghese che si reca alla fattoria di
fonicamente comparabile con l’epiteto/maschera di Sicelida) una stimata famiglia di Cos (quella di Frasidamo e Antigene)
Teocrito alludesse a se stesso è quanto mai probabile, ed ine- per partecipare a una festa locale. Inoltre il canto che egli in-
quivocabilmente callimachee suonano la rivendicazione della tona in gara con Licida (sulla passione dell’amico Arato per
brevità elegante (la λεπτότης) e la polemica contro i piatti Filino) mostra un’ambientazione entro il contesto cittadino in
ripetitori di Omero. Tuttavia corriamo il rischio di una lettu- cui Simichida è solito vivere (egli dichiara di provenire dalla
ra banalizzante delle Talisie se pretendiamo di identificare ad città, ἐκ πόλιος, v. 2). Ma lo stesso Simichida, al momento di
ogni costo con un personaggio reale ogni figura non mitica che introdurre questo suo canto (vv. 91 ss.), dice che esso è di gran
vi risulti nominata, e se le trattiamo alla stregua di un manife- lunga il migliore fra quelli che gli insegnarono le Ninfe mentre
sto programmatico, senza tener conto dell’effetto d’insieme e, pascolava sui monti (ἀν᾽ ὤρεα βουκολέοντα, v. 92), quasi a
soprattutto, del gioco di allusioni che, da tipico alessandrino, confondere volutamente il lettore separando il Simichida per-
il poeta vi conduce. sonaggio del presente e il Simichida compositore, nel passato,
Già nella distribuzione dei ruoli dei personaggi il componi- di canzoni ispirate dalle voci arcane dello scenario pastorale.
IDILLIO X (I MIETITORI) 403
il possente Polifemo, che con le rupi tentava di colpire le navi,
fu persuaso a danzare nell’antro da un tal nettare,
quale è la bevanda che allora temperaste, o Ninfe,
155 presso l’altare di Demetra protettrice dell’aia? Sul suo mucchio
possa io piantare di nuovo la grande pala, ed ella sorrida
tenendo nelle mani spighe e papaveri.
[Tr. di B.M. Palumbo Stracca]

T. 2 Idillio X Non è solo l’ambientazione contadina, dove il lavoro ha tempi e misure più defi-
( mietitori)
(I niti e serrati (senza le soste e gli ampi ristori del mestiere di pastore), a differen-
ziare dagli altri questo idillio: essenziale è anche il fatto che il contrasto, anche
aspro, fra i due dialoganti non si inquadra in una tenzone canora ma si prospetta
come opposizione fra la piena dedizione dell’uno all’opera di mietitura e lo sten-
to dell’altro nel seguire il filare e nel tenere il passo del vicino. Inoltre il canto
sembra pensato come un duetto che si svolge all’interno di un più ampio gruppo
di lavoranti, in un contesto collettivo che legittima l’inserzione, a mo’ di coda del
carme, che rappresenta la mimesi di uno di quei canti di lavoro, attestati fin dal
libro XVIII dell’Iliade (vv. 569 ss.: in mezzo ai vendemmiatori un ragazzo intona,
accompagnandosi con la cetra, un canto detto «lino»). Per quanto assai sporadi-
che siano le attestazioni a noi pervenute di questa forme (ricordiamo la canzone
al telaio di Saffo, fr. 102 Voigt, o quella per la mietitura dell’orzo testimoniato
da Ateneo XIV 618d [849 PMG]), sembra, però, che dovessero essere largamente
diffusi anche nella Grecia antica, specialmente nel quadro di attività svolte in
cadenza da squadre di lavoratori.

MILONE Bracciante Buceo, che ti succede ora, disgraziato?


Non più come prima sai condurre diritto il tuo solco,
né tagli la messe al fianco del tuo vicino, ma resti indietro,
come la pecora rimane dietro al gregge, se un cardo spinoso le ferisce il piede.

Teocrito e la tradizione bucolica


5 Come sarai ridotto a sera, o anche nel pomeriggio,
se ora che sei all’inizio del solco, non lo divori?
BUCEO O Milone infaticabile, frammento di dura roccia,
non ti è mai capitato di desiderare qualcuno lontano?
MILONE Mai. Quale desiderio di persone lontane può avere un bracciante?
10 BUCEO Non ti è mai capitato di non chiudere occhio per amore?
MILONE E non mi capiti mai! È un guaio se il cane prova il gusto di budella!
BUCEO Ma io, Milone, son quasi dieci giorni che sono innamorato!
MILONE È chiaro che attingi da una botte. Io invece non ho neanche aceto a sufficienza.
BUCEO Per questo davanti alla mia porta dalla semina è rimasto tutto incolto.
MILONE E chi è la ragazza che ti strugge?

11. il cane prova gusto di budella: forse si allude alla credenza secondo cui la cagna che ha appena partorito
mangia la placenta e può finire per divorare anche i suoi piccoli.
404 I CARMI BUCOLICI
15 BUCEO La figlia di Polibota,
quella che l’altro giorno da Ippocione suonava l’aulo per i mietitori.
MILONE Il dio ha trovato il colpevole; hai quello che da tempo bramavi:
una cavalletta che ti si strofinerà addosso la notte.
BUCEO Tu mi prendi in giro, ma non è cieco soltanto Pluto,
20 lo è anche Eros dissennato. Non darti arie!
MILONE Io non mi do arie; tu piuttosto, abbatti la messe,
e leva un canto d’amore per la ragazza; più dolcemente così
lavorerai; eri un buon cantore un tempo.
BUCEO Muse Pieridi, cantate con me la flessuosa
25 ragazza; tutto quel che toccate, o dee, lo fate bello.
Incantevole Bombica, tutti ti chiamano Sira,
ti dicono rinsecchita, bruciata dal sole; io color di miele.
Anche la viola e il giacinto screziato sono scuri,
ma nelle ghirlande per primi sono scelti.
30 La capra cerca il citiso, il lupo la capra,
la gru l’aratro, e io sono pazzo di te.
Oh, se avessi le ricchezze che si dice avesse Creso un tempo!
Ad Afrodite entrambi saremmo dedicati in oro,
tu con l’aulo e una rosa o un pomo,
35 io con vestito e calzari nuovi ai piedi.
Incantevole Bombica, i tuoi piedi sono astragali,
la tua voce è il tricno che inebria, i tuoi modi... non sono capace di dirli.
MILONE Certo non sapevo che Buceo componesse canzoni così belle!
E come ad arte ha misurato la forma dell’armonia!
40 Ahimè, la mia barba che ho fatto crescere invano!
Suvvia, considera anche questa canzone del divino Litierse.
O Demetra dai molti frutti e dalle molte spighe, fa’ che questa messe
sia ben lavorata e feconda oltremisura.
Legatori, serrate i mannelli, che nessuno passando
45 dica: «Buoni a nulla, anche questo salario è perduto».
Teocrito e la tradizione bucolica

Verso Borea o Zefiro guardi la parte tagliata


del fascio: così s’ingrossa la spiga.
Quando trebbiate, fuggite il sonno del meriggio:
a quell’ora soprattutto dallo stelo si separa il grano.
50 Cominciate a mietere quando si sveglia l’allodola,
e finite quando va a dormire, ma smettete nell’ora più calda.
Desiderabile, ragazzi, è la vita della rana: non si cura
di chi le versi da bere; ne ha in abbondanza!
Sorvegliante spilorcio, cuoci meglio le lenticchie,
55 che non abbia a tagliarti la mano, spaccando il cumino!

31. la gru l’aratro: cercando insetti nella terra smossa dal vomere.
55. spaccando il cumino!: segno iperbolico di avarizia. I semi del cumino erano usati con funzione aroma-
tica.
IDILLIO XI (IL CICLOPE) 405
Queste cose deve cantare chi fatica al sole;
il tuo amore affamato, Buceo, raccontalo
a tua madre, quando sta sveglia nel letto al mattino.
[Tr. di B.M. Palumbo Stracca]

analisi del testo


Nel canto, Teocrito ha costruito sia il dialogo sia i due canti carbone), viene rappresentata come magra, arsa dal sole (tan-
(quello d’amore di Buceo e quello di lavoro intonato da Milone) to da guadagnarsi il soprannome di Sira) e tuttavia, per l’inna-
con grande nettezza di segno, caratterizzando l’innamorato in- morato, non meno bella che se avesse il colore del miele: un
felice come rassegnato a subire i rimbrotti e i sarcasmi dell’al- ribaltamento delle correnti gerarchie estetiche che, come nel
tro eppure consapevole delle leggi inflessibili di Eros (vv. 19 Cantico dei cantici (I 5-6: «Io sono bruna ma graziosa,/ figlie
s.: «Non è cieco soltanto Pluto,/ lo è anche Eros dissennato») di Gerusalemme,/ come le tende di Kedar,/ come le cortine di
e il duro lavoratore come chiuso nel fervore del suo impegno e Salomone./ Non badate se sono brunetta:/ mi ha abbronzata il
orgoglioso di un senso comune che si appoggia costantemente sole»), si appoggia su analogie rapidamente allineate (la viola,
su proverbi, metafore popolari, scintille di rustico humour (v. il giacinto), così come incalzante è la successione dei riferi-
18: «Una cavalletta ti si strofinerà addosso la notte») e tuttavia menti che sostanziano la dichiarazione d’amore alla fanciulla
disponibile a una calda ammirazione per la canzone d’amore assente (vv. 30 ss.).
intonata dal compagno. Né meno concentrato si profila, nel finale, il canto di Milone:
E la ragazza dei sogni di Buceo, realisticamente identificata una progressione di moniti e prescrizioni che nel susseguirsi
con «quella che l’altrieri col flauto accompagnava i mietito- delle apostrofi – a Demetra, ai mietitori, ai ragazzi che fungono
ri», non è figura idealizzata ma, con una riscoperta di valori da aiutanti e all’avaro sorvegliante – fa della canzone attribu-
anche fisici che appare caratteristica dell’epoca (si pensi alla ita al mitico Litierse un modello puntualmente riproponibile
Didima di Asclepiade [A.P. V 210], anch’ella «scura» come il nell’attualità del lavoro in corso di svolgimento.

T. 3 Idillio XI Costruito in forma di epistola indirizzata all’amico Nicia, l’idillio Il Ciclope rievo-
(Il Ciclope) ca, come l’idillio VI (I cantori), l’amore del ciclope Polifemo per la ninfa Galatea:
l’essere brutale rappresentato nel IX canto
Un voluttuoso abbraccio
di Polifemo e Galatea; non dell’Odissea qui è raffigurato come un giovane
mancano altri segni «buco- poeta-pastore dal cuore gentile, che tenta in-
lici»: un montone, una si-
ringa e un verga da pastore. vano con il suo canto di attrarre a sé la ninfa
Frammento di pittura mura- bella e ritrosa. «La sua serenata è un saggio

Teocrito e la tradizione bucolica


ria rinvenuto a Pompei Casa
dei Capitelli colorati (VII, 4, mirabile dell’arte teocritea, in equilibrio fra il
48). Napoli, Museo Archeo- distacco dell’umorismo e un’intensa parteci-
logico Nazionale.
pazione emotiva, lungo un susseguirsi di im-
magini che evocano il fulgore della natura, le
grazie della fanciulla, le dovizie del laborioso
pastore, infine il luccichio del mare che co-
stituisce una singolare variante nei paesaggi
della bucolica» (D. Del Corno). Nel momento
in cui Polifemo manifesta la propria passio-
ne per la Nereide, al contempo con il canto
si libera del “male d’amore”, a dimostrazione
ironica proposta da Teocrito all’amico Nicia,
medico e poeta (e forse anche innamorato), di
come la poesia sia il migliore farmaco contro
l’amore.
406 I CARMI BUCOLICI
Οὐδὲν ποττὸν ἔρωτα πεφύκει φάρμακον ἄλλο,
Νικία, οὔτ’ ἔγχριστον, ἐμὶν δοκεῖ, οὔτ’ ἐπίπαστον,
ἢ ταὶ Πιερίδες· κοῦφον δέ τι τοῦτο καὶ ἁδύ
γίνετ’ ἐπ’ ἀνθρώποις, εὑρεῖν δ’ οὐ ῥᾴδιόν ἐστι.
5 Γινώσκειν δ’ οἶμαί τυ καλῶς ἰατρὸν ἐόντα
καὶ ταῖς ἐννέα δὴ πεφιλημένον ἔξοχα Μοίσαις.
Οὕτω γοῦν ῥάιστα διᾶγ’ ὁ Κύκλωψ ὁ παρ’ ἁμῖν,

1 Οὐδέν … ἄλλο: «nessun altro far- lui l’Antologia Palatina conserva nove epi- ma non è facile da trovare». Si fa riferimen-
maco esiste contro l’amore». - ποττόν: grammi. - οὔτ᾽ ἔγχριστον … οὔτ᾽ ἐπί- to al φάρμακον della poesia.
forma dorica per πρὸς τόν. - πεφύκει: παστον: «né unguento (aggettivo verbale
«si trova in natura, esiste»; da φύω, è un da ἐγχρίω, ungo), né polvere (aggettivo 5-6 Γινώσκειν … Μοίσαις: «penso
perfetto con desinenza del presente, ca- verbale da ἐπισπάσσω, cospargo)». I due lo sappia bene tu che sei medico e straordi-
ratteristico del dialetto dorico siracusano aggettivi verbali hanno valore attributivo, nariamente amato dalle nove Muse». - Γι-
e frequente in Teocrito. - φάρμακον: la per precisare il generico φάρμακον. - νώσκειν: dipende da οἶμαι. - τυ: forma
cura della malattia d’amore è un tema fre- ἐμίν: forma dorica per ἐμοί. dorica del pronome di seconda persona
quente nella precettistica poetica e nella singolare, equivalente a συ e a σε: qui è
riflessione filosofica ellenistica. Secondo 3 ἢ ταὶ Πιερίδες: secondo termine di accusativo. - πεφιλημένον: da φιλέω,
una testimonianza antica, modello di Teo- paragone rispetto a οὐδὲν φάρμακον ἄλλο participio perfetto. - ἔξοχα: forma avver-
crito è un ditirambo di Filosseno di Citera, del v. 1: «nessun altro farmaco… che le biale dall’aggettivo ἔξοχος, «eccellente».
nel quale il Ciclope invita i delfini ad an- Pieridi». Al male d’amore possono offrire - Μοίσαις (= Μούσαις): dativo d’agente.
nunciare a Galatea ὅτι ταῖς Μούσαις τὸν rimedio solo le Muse, chiamate Pieridi per-
ἔρωτα ἀκεῖται «che egli cura le ferite ché nate nella Pieria, una regione della Ma- 7-9 Οὕτω γοῦν … κροτάφως τε:
d’amore con le Muse» (Scolio a Teocrito cedonia, presso l’Olimpo (secondo un’altra «Così almeno viveva (= διῆγε) nel migliore
XI 1). versione, a noi testimoniata da Pausania, dei modi il Ciclope nostro conterraneo, l’an-
Periegesi della Grecia IX 3, trarrebbero il tico Polifemo, quando era innamorato di Ga-
2 Νικία: dedicatario dell’idillio è Nicia nome da Pieros, l’eroe che avrebbe instau- latea, mentre da poco gli spuntava la barba
di Mileto, medico e poeta, amico di Teocri- rato per primo il loro culto a Tespie, in Be- intorno alla bocca e sulle tempie». - ὁ παρ᾽
to. Il suo nome compare anche nell’Idillio ozia). - κοῦφον … ἐστι: «cosa leggera è ἁμῖν (= ἡμῖν): letteralmente: «quello vicino
XIII, nel XXVII e nell’epigramma VIII. Di questa e dolce (ἁδύ = ἡδύ) per gli uomini, a noi». Una tradizione consolidata a partire

Fortuna letteraria

L’idillio di Teocrito deve avere goduto fin dall’antichità di grande rinomanza, come dimostra la ripresa
allusiva operata da Callimaco nell’epigramma 46 (Antologia Palatina XII 150), un vero e proprio «omaggio
reso al Ciclope di Teocrito» (A. Hauvette):
Teocrito e la tradizione bucolica

Che bell’incantesimo ha trovato Polifemo


per l’innamorato: sì, per la Terra, non era stupido il Ciclope.
Le Muse, o Filippo, alleviano le ferite d’amore:
la poesia è davvero per tutti i mali rimedio.
Questo solo, mi sembra, ha di buono contro le sventure
anche la fame: amputa il morbo dell’amor dei fanciulli.
Possiamo ridendo all’implacabile amore
rispondere con queste parole: «Tagliati le ali, ragazzino!
Non abbiamo paura di te, neanche un pochino: a casa
abbiamo tutti e due gli incantesimi contro l’aspra ferita».
[Tr. di G.B. D’Alessio]

Sul valore «farmacologico» del canto contro il dolore, segnatamente amoroso, si veda anche Bione, fr. 3
Gow:
«Eros inviti le Muse, le Muse portino Eros.
A me, che sempre lo desidero, le Muse concedano il canto,
il dolce canto: medicina più piacevole non c’è».
[Tr. di O. Vox]
IDILLIO XI (IL CICLOPE) 407
ὡρχαῖος Πολύφαμος, ὅκ’ ἤρατο τᾶς Γαλατείας,
ἄρτι γενειάσδων περὶ τὸ στόμα τὼς κροτάφως τε.
10 Ἤρατο δ’ οὐ μάλοις οὐδὲ ῥόδῳ οὐδὲ κικίννοις,
ἀλλ’ ὀρθαῖς μανίαις, ἁγεῖτο δὲ πάντα πάρεργα.
Πολλάκι ταὶ ὄιες ποτὶ τωὔλιον αὐταὶ ἀπῆνθον
χλωρᾶς ἐκ βοτάνας· ὃ δὲ τὰν Γαλάτειαν ἀείδων
αὐτὸς ἐπ’ ἀιόνος κατετάκετο φυκιοέσσας
15 ἐξ ἀοῦς, ἔχθιστον ἔχων ὑποκάρδιον ἕλκος,
Κύπριδος ἐκ μεγάλας τό οἱ ἥπατι πᾶξε βέλεμνον.
Ἀλλὰ τὸ φάρμακον εὗρε, καθεζόμενος δ’ ἐπὶ πέτρας
ὑψηλᾶς ἐς πόντον ὁρῶν ἄειδε τοιαῦτα·

da Euripide colloca la residenza di Polife- σμησαν διακρίνοντες τὰς κόμας «talora mente poetico, frequente nell’epos. - φυ-
mo in Sicilia, ai piedi dell’Etna; per questo si lanciavano mele l’uno all’altra e si orna- κιοέσσας: cfr. Omero, Iliade XXIII 693
viene indicato come conterraneo di Teocrito vano la testa, pettinando i capelli». - ὀρθαῖς θίν᾽ ἐν φυκιόεντι «sulla spiaggia coperta
e dell’amico Nicia. - ὡρχαῖος: crasi per ὁ μανίαις: espressione ossimorica, che ri- di alghe». - ἐξ ἀοῦς: genitivo di ἀώς, for-
ἀρχαῖος. - Πολύφαμος: il nome del Ciclo- chiama, per opposizione, ὀρθαὶ φρένες, ma dorica per ἠώς. - ὑποκάρδιον: predi-
pe (= Πολύφημος, con vocalismo dorico) «la mente sana» (Pindaro, Olimpica 7, 91; cativo di ἔχθιστον … ἕλκος. L’aggettivo
significa etimologicamente «molto famoso, Sofocle, Edipo Re 528 ἐξ ὀρθῆς φρενός). ὑποκάρδιος non è testimoniato prima di
rinomato», composto con πολυ- e il tema Viene ripresa, in altro significato, da Eliano, Teocrito. La posizione del dolore d’amore
-φα- del verbo φημί. - ὅκ(α): «quando»; La natura degli animali XI 32, 9 ἔκφρων «sotto il cuore» ricorda Archiloco, fr. 191,
dorico per ὅτε. - Γαλατείας: Galatea è γενόμενος ἔς τε ὀρθὴν μανίαν καὶ ὡς τὰ 1 West τοῖος φιλότητος ἔρως ὑπὸ καρ-
una Nereide, ninfa marina figlia di Nereo e μάλιστα ἰσχυρὰν ἐκφοιτᾷ «va fuori di δίην ἐλυσθείς «un tale desiderio di amore,
di Doride (Esiodo, Teogonia 250). - γενει- senno e piomba in uno stato di autentica e avvinghiatosi sotto il cuore». - ἥπατι: re-
άσδων: dorico per γενειάζων, verbo deno- per lo più violenta follia». - ἁγεῖτο: forma miniscenza di Odissea XXII 83 ἐν δέ οἱ
minativo di γενειάς «barba». - τὼς κρο- dorica per ἡγεῖτο (ἡγέομαι). ἥπατι πῆξε θοὸν βέλος «gli conficcò un
τάφως: forma dorica per τοὺς κροτάφους. rapido dardo nel fegato», con spostamento
12-16 Πολλάκι ταὶ ὄϊες … πᾶξε di senso al piano traslato. Non frequente,
10-11 Ἤρατο δ᾽ οὐ μάλοις … πά- βέλεμνον: «Spesso le pecore tornavano ma ben attestata, è la rappresentazione del
ντα πάρεργα: «Dimostrava il suo amore all’ovile da sole dal verde pascolo e lui (ὃ fegato come sede delle passioni: cfr. Eschi-
non con mele, né con rose, né con riccioli, δέ), cantando Galatea, da solo (αὐτός) lo, Agamennone 432 πολλὰ γοῦν θιγγά-
ma con un’autentica follia d’amore e rite- si struggeva sulla riva coperta di alghe νει πρὸς ἧπαρ «molti dolori toccano nel
neva secondario tutto il resto». Mele, rose dall’alba, con una orrenda ferita nel pro- profondo» [tr. di E. Medda]; Teocrito XIII
e riccioli di capelli alludono al rituale del fondo del cuore, ferita (τό ha valore di 71 χαλεπὸς γὰρ ἔσω θεὸς ἧπαρ ἄμυσ-
corteggiamento. Non si può escludere che, pronome relativo e riprende ἕλκος) che un σεν «un dio crudele, dentro, gli lacerava il
dietro il rifiuto di questi orpelli esteriori, sia dardo proveniente dalla grande Cipride gli fegato»; ecc. - πᾶξε: forma dorica, senza

Teocrito e la tradizione bucolica


celata «una critica negativa alla superficia- (οἱ = αὐτῷ) conficcò nel fegato». - τωὔλι- aumento, per ἔπηξε, da πήγνυμι. - βέλε-
le leggerezza di certa poesia alessandrina, ον: crasi per τὸ αὔλιον. - ἀπῆνθον: forma μνον: anche in Omero, ma solo al plurale.
qui accusata di scarsa sincerità sentimen- dorica dell’aoristo tematico di ἀπέρχομαι.
tale» (M. Cavalli). - μάλοις: le mele sono La scena ricorda l’esordio di un epigramma 17-18 Ἀλλὰ τὸ φάρμακον … τοι-
un tipico omaggio d’amore (cfr. Teocrito, attribuito a Leonida di Taranto, Antologia αῦτα: «Eppure trovò la medicina, seduto
II 120; V 88). - ῥόδῳ: singolare collettivo. Palatina VII 173, 1-2 αὐτόμαται δείλῃ su di un’alta rupe guardando verso il mare
Le rose sono tradizionalmente collegate al ποτὶ ταὐλίον αἱ βόες ἦλθον/ ἐξ ὄρεος cantava così». Una situazione analoga in
culto di Afrodite; per l’età ellenistica si ve- πολλῇ νιφόμεναι χιόνι «da sole, sul far Longo Sofista, Vicende pastorali di Dafni
da ad esempio Nosside di Locri, Antologia della sera le giovenche tornarono alla stalla e Cloe IV 3 «(Pan) se ne stava anch’egli
Palatina V 170, 3-4 «colei che non è ama- dal monte, ricoperte di neve abbondante». seduto su una roccia, suonando la zampo-
ta da Cipride, non sa quali rose siano i suoi - αὐτός: la solitudine di Polifemo è con- gna». - ἐς πόντον ὁρῶν: la scena presen-
fiori» (cfr. p. 000). - κικίννοις: uno scolio trapposta a quella delle sue greggi (si veda ta consonanze con Iliade I 348-50 αὐτὰρ
ad Aristofane, Vespe 1068 informa: «chia- αὐταί al v. 12). - κατετάκετο: forma Ἀχιλλεὺς/ δακρύσας ἐτάρων ἄφαρ ἕζε-
mavano κικίννους i capelli legati da un dorica per κατετήκετο, imperfetto medio το νόσφι λιασθείς,/ θῖν᾽ ἔφ᾽ ἁλὸς πο-
nastro e ben curati». I riccioli alludono alla di κατατήκω «mi liquefaccio», un verbo λιῆς, ὁρόων ἐπ᾽ ἀπείρονα πόντον «ma
cura della propria persona da parte dell’in- icastico, che già in Omero indica lo strug- Achille sedeva piangendo, in disparte dai
namorato, in vista dell’incontro galante. Le gimento per una persona assente: Odissea suoi compagni, sulla riva del mare infecon-
mele e la cura dei capelli si ritrovano asso- XIX 136 ἀλλ᾽ Ὀδυσῆ ποθέουσα φίλον do, guardando l’infinita distesa d’acqua».
ciati in un contesto erotico anche in Longo κατατήκομαι ἦτορ «ma nel cuore mi Si veda anche Odissea V 158 πόντον ἐπ᾽
Sofista, Vicende pastorali di Dafni e Cloe struggo, nel rimpianto di Odisseo». - ἐπ᾽ ἀτρύγετον δερκέσκετο δάκρυα λείβων
I 24, 3 Ἤδη ποτὲ καὶ μήλοις ἀλλήλους ἀϊόνος: dorico per ἠϊόνος, genitivo di «(Odisseo) versando lacrime, guardava il
ἔβαλον καὶ τὰς κεφαλὰς ἀλλήλων ἐκό- ἠϊών «litorale», termine di uso prevalente- mare infecondo».
408 I CARMI BUCOLICI
«Ὦ λευκὰ Γαλάτεια, τί τὸν φιλέοντ’ ἀποβάλλῃ,
20 λευκοτέρα πακτᾶς ποτιδεῖν, ἁπαλωτέρα ἀρνός,
μόσχω γαυροτέρα, φιαρωτέρα ὄμφακος ὠμᾶς;

19-21 Ὦ λευκά … ὄμφακος ὠμᾶς: al neosofista Luciano lo spunto per un gu- per ὠμῆς): da ὠμός, «crudo» o, detto di
«Bianca Galatea, perché respingi chi ti stoso spunto parodistico: Dialoghi marini frutti, «non maturo». L’aggettivo rafforza
ama, più candida di una caciotta a veder- 1, 2 (è la ninfa Doride che parla a Galatea) il senso del sostantivo, in quanto ὄμφαξ
si, più tenera di un agnellino, più fiera di «Del resto, (scil. Polifemo) che altro pote- indica comunemente il grappolo d’uva an-
una vitella, più liscia dell’uva acerba?». va elogiare in te, se non la bianchezza? E cora acerba: cfr. [Zonara] ὄμφαξ· ἡ ὠμὴ
- πακτᾶς: forma dorica per πηκτῆς. questo, penso, perché è abituato al formag- σταφυλή. Teocrito propone l’immagine
È secondo termine di paragone, come i gio e al latte: ritiene belle, dunque, tutto ciò dell’uva acerba in senso positivo, in contra-
successivi genitivi. L’uso sostantivato che vi assomiglia». - μόσχω: genitivo do- sto con la tradizione precedente: Alceo, fr.
dell’aggettivo πηκτός (da πήγνυμι «rap- rico, per μόσχου. - γαυροτέρα: Ovidio, 119, 15-16 Voigt τά]ρβημμι μὴ δρόπ[ω]
prendere»), per indicare «formaggio fre- Metamorfosi 798 saevior indomitis eadem σιν αὔταις/ ὄμφ]ακας ὠμοτέραις ἐοί-
sco», è una novità di Teocrito. - ποτιδεῖν Galatea iuvencis. - φιαρωτέρα: compa- σαις «temo che li colgano acerbi, quando
(dorico per προσιδεῖν): è infinito aoristo rativo di φιαρός «luminoso» ovvero, detto ancora sono aspri» [tr. di A. Porro]. La ri-
con valore consecutivo. Cfr. Ovidio, Me- di persone: «liscio, fiorente». Si tratta di un presa allusiva di Ovidio attua una norma-
tamorfosi XIII 796 mollior… lacte coacto. aggettivo di uso raro e non attestato prima lizzazione: Metamorfosi XIII 795: matura
L’insistenza sul concetto del candore offre di Callimaco. - ὄμφακος ὠμᾶς (dorico dulcior uva.

TESTI A CONFRONTO Virgilio e i latini


L’esordio del canto del Ciclope è stato imitato da Virgilio, Bucolica VII 37-38 Nerine Galatea, thymo mihi
dulcior Hyblae/ candidior cycnis, hedera formosior alba «o Galatea, figlia di Nereo, a me più dolce del timo
ibleo, più candida dei cigni, graziosa più della chiara edera». Il gioco verbale di moltiplicazione delle
comparazioni verrà poi amplificato da Ovidio, secondo un gusto suo tipico, con un effetto alla lunga
stucchevole: Metamorfosi XIII 789-807
Candidior folio nivei Galatea ligustri, O Galatea, pià candida del petalo niveo del ligustro, più ubertosa di
floridior pratis, longa procerior alno, un prato, più slanciata dell’alto ontano, più splendente del vetro, più
splendidior vitro, tenero lascivior haedo, giocherellona di un caprettino, più liscia delle conchiglie sfregate dal moto
levior adsiduo detritis aequore conchis, continuo del mare, più gradita del sole d’inverno e dell’ombra d’estate,
solibus hibernis, aestiva gratior umbra, più maestosa della farnia e più vistosa del grande platano, più lucida del
mobilior damma, platano conspectior alta, ghiaccio, più dolce dell’uva matura, più morbida delle piume del cigno
lucidior glacie, matura dulcior uva, e del latte cagliato, e, se non fuggissi, più bella di un orto irriguo; ma
mollior et cycni plumis et lacta coacto, ancora: Galatea, più cattiva di un giovenco non domato, più dura di una
Teocrito e la tradizione bucolica

et, si non fugias, riguo formosior horto; vecchia quercia, più infida dell’onda, più sgusciante dei virgulti di salice
Saevior indomitis eadem Galatea iuvencis, e della vitalba, più insensibile di questi scogli, più impetuosa del fiume,
durior annosa quercu, fallacior undis, più superba del pavone che si sente ammirato, più scottante del fuoco, più
lentior et salicis virgis et vitibus albis, ruvida di un roveto, più ringhiosa dell’orsa che allatta, più sorda dei ca-
his inmobilior scopulis, violentior amne, valloni, più crudele del serpente pestato, e, cosa che più di ogni altra vorrei
laudato pavone superbior, acrior igni, poterti togliere, più veloce, quando scappi, non soltanto del cervo incalzato
asperior tribulis, feta truculentior ursa, da squillanti latrati, ma anche del vento e della brezza svolazzante!
surdior aequoribus, calcato inmitior hydro, Eppure, se mi conoscessi un po’ meglio smetteresti di fuggirmi e pentita
et, quod praecipue vellem tibi demere possem, rimprovereresti te stessa per il tempo perduto e faresti di tutto per legarmi
non tantum cervo claris latratibus acto, a te. Io ho delle grotte – una fetta di monte – con la volta di roccia viva,
verum etiam ventis volucrique fugacior aura, dove né il sole si sente, quando fuori c’è canicola, né si sente l’inverno. Ho
(at bene si noris, pigeat fugisse, morasque frutteti dai rami stracarichi, ho uva che sembra d’oro, sui lunghi tralci, e
ipsa tuas damnes et me retinere labores) ho anche uva porporina: sia questa che quella, la serbo per te.
sunt mihi, pars montis, vivo pendentia saxo [Tr. di P. Bernardini Marzolla]
antra, quibus nec sol medio sentitur in aestu,
nec sentitur hiems; sunt poma gravantia ramos,
sunt auro similes longis in vitibus uvae,
sunt et purpureae: tibi et has servamus et illas.
IDILLIO XI (IL CICLOPE) 409
Φοιτῇς δ’ αὖθ’ οὕτως ὅκκα γλυκὺς ὕπνος ἔχῃ με,
οἴχῃ δ’ εὐθὺς ἰοῖσ’ ὅκκα γλυκὺς ὕπνος ἀνῇ με,
φεύγεις δ’ ὥσπερ ὄις πολιὸν λύκον ἀθρήσασα;
25 Ἠράσθην μὲν ἔγωγε τεοῦς, κόρα, ἁνίκα πρᾶτον
ἦνθες ἐμᾷ σὺν ματρὶ θέλοισ’ ὑακίνθινα φύλλα
ἐξ ὄρεος δρέψασθαι, ἐγὼ δ’ ὁδὸν ἁγεμόνευον.
Παύσασθαι δ’ ἐσιδών τυ καὶ ὕστερον οὐδ’ ἔτι πᾳ νῦν
ἐκ τήνω δύναμαι· τὶν δ’ οὐ μέλει, οὐ μὰ Δί’ οὐδέν.
30 Γινώσκω, χαρίεσσα κόρα, τίνος οὕνεκα φεύγεις·
οὕνεκά μοι λασία μὲν ὀφρὺς ἐπὶ παντὶ μετώπῳ
ἐξ ὠτὸς τέταται ποτὶ θώτερον ὦς μία μακρά,
εἷς δ’ ὀφθαλμὸς ὕπεστι, πλατεῖα δὲ ῥὶς ἐπὶ χείλει.

22-24 Φοιτῇς δ᾽ αὖθ᾽ οὕτως … fra Zeus ed Era). - ἁγεμόνευον: imper- l’epigrammista Dioscoride – invece – le
λύκον ἀθρήσασα;: «(Come mai) vieni fetto da ἡγεμονεύω. Cfr. Odissea VII 30 sopracciglia folte costituiscono un com-
subito, così, non appena il dolce sonno mi ἐγὼ δ᾽ ὁδὸν ἡγεμονεύσω. Si confronti il plemento alla bellezza femminile: Anto-
prende, te ne vai subito quando il sonno parallelo virgiliano: Bucolica VIII 37-38 logia Palatina V 56, 3 γλῆναι λασίαισιν
mi lascia; mi fuggi come una pecora che Saepibus in nostris parvam te roscida ma- ὑπ᾽ ὀφρύσιν ἀστράπτουσαι «pupille
ha visto un lupo grigio?». Questa e le frasi la/ (dux ego vester eram) vidi cum matre raggianti sotto folti sopraccigli». - ποτὶ
successive costituiscono un’espansione legentem «ti ho visto, quando eri bambi- θώτερον: πρὸς τὸ ἕτερον. - μία μα-
dell’interrogativa del v. 19 e implica- na, cogliere con tua madre mele rugiadose κρά: «uno solo, enorme»: i due aggettivi
no il sottinteso τί. - αὖθ(ι): equivale da sulle nostre siepi (ero io che vi guidavo)». determinano comicamente la mostruosità
αὐτίκα «subito» e si lega con ὅκκα e il del sopracciglio. Questo segno di defor-
congiuntivo, per esprimere il ripetersi di 28-29 Παύσασθαι … οὐ μὰ Δί᾽ mità viene ripreso da Filostrato il Gio-
un’azione («ogni volta che»). - γλυκὺς οὐδέν: «Da quel momento, dopo averti vi- vane, nella descrizione del dio marino
ὕπνος: nesso di sapore formulare, fre- sta, non posso più smettere (di amarti), ma Proteo: Immagini II 15, 5 ὀφρῦς λάσιαι,
quente in Omero e nell’epica tarda. - οἴχῃ a te, per Zeus, non interessa proprio nien- συνάπτουσαι πρὸς ἀλλήλας οἷον μία
… ἰοῖσ(α): il participio di εἶμι (ἰοῖσα è te». - τυ: accusativo dorico del pronome «folte sopracciglia, che si uniscono tra lo-
forma eolica per ἰοῦσα), è ridondante e di seconda persona: sta per σε. - οὐδ᾽ ἔτι ro come se fossero una sola». Altrove, pe-
può essere omesso. - ἀνῇ: cfr. Iliade II 71 πᾳ νῦν … δύναμαι: «non posso ancora» rò, i sopraccigli folti, uniti quasi a formar-
ἐμὲ δὲ γλυκὺς ὕπνος ἀνῆκεν, ecc. - πο- l’espressione è piuttosto ridondante; πᾳ è ne uno solo, sono indicativi di una bellez-
λιὸν λύκον: l’epiteto πολιός «canuto» forma dorica per πῃ, particella che raffor- za eroica: nella descrizione di un giovane
riferito al lupo è di matrice epica (attestato za la negazione. - ἐκ τήνω: forma dorica di belle promesse, così si esprime Filo-
in Omero, negli Inni omerici e, in età el- per ἐξ ἐκείνου (sott. χρόνου): «da quel strato, Vite dei Sofisti II 552: τῶν ὀφρύ-
lenistica, nelle Argonautiche di Apollonio momento». Rafforza ὕστερον, con ulte- ων λασίως ἔχειν, ἃς καὶ ξυμβάλλειν

Teocrito e la tradizione bucolica


Rodio). riore effetto di ridondanza. - τίν: dorico ἀλλήλαις οἷον μίαν «(Erode testimonia
per σοί. che) aveva sopraccigli folti che si univa-
25-27 Ἠράσθην μὲν ἔγωγε … ἁγε- no l’un l’altro come se fosse uno solo».
μόνευον: «Io mi sono innamorato di te, o 30-33 Γινώσκω … ῥὶς ἐπὶ χείλει: - εἷς δ᾽ ὀφθαλμὸς ὕπεστι: cfr. Esio-
fanciulla, la prima volta che con mia madre «Lo so, graziosa fanciulla, per quale mo- do, Teogonia 143 μοῦνος δ᾽ ὀφθαλμὸς
sei venuta, desiderando raccogliere fiori tivo mi fuggi: perché un sopracciglio villo- μέσσῳ δ᾽ ἐνέκειτο μετώπῳ (si tratta in
di giacinto dal monte, ed io vi indicavo il so, unico, grande, mi si stende su tutta la realtà di un verso probabilmente spurio).
sentiero». - τεοῦς: genitivo dorico per fronte da un orecchio all’altro, un solo oc- Nell’ironia di Luciano, questo particola-
σοῦ. - ἁνίκα πρᾶτον: dorico per ἡνίκα chio vi sta sotto, il naso poi è largo sopra re viene ribaltato in positivo, per bocca
πρῶτον. - ἐμᾷ σὺν ματρί: ἐμῇ σὺν μη- il labbro». - χαρίεσσα κόρα: «graziosa della stessa Galatea: Dialoghi marini 1, 1
τρί. Polifemo è figlio di Poseidone e della fanciulla». L’apostrofe riprende Saffo, fr. ὅ τε ὀφθαλμὸς ἐπιπρέπει τῷ μετώπῳ
ninfa Toosa. - ὑακίνθινα φύλλα: il col- 108 Voigt: ὦ κάλα, ὦ χαρίεσσα κόρα. οὐδὲν ἐνδεέστερον ὁρῶν ἢ εἰ δύ᾽ ἦσαν
legamento fra la raccolta dei fiori e l’in- - τίνος οὕνεκα φεύγεις: «per quale «l’occhio spicca in mezzo alla fronte, ed
sorgere dell’amore è un topos consolida- motivo mi fuggi». Interrogativa indiret- egli non vede affatto meno che se fosse-
to, a partire da Inno a Demetra, 6-7 «(Ade ta che dipende da γινώσκω e ripresa da ro due». - πλατεῖα δὲ ῥὶς ἐπὶ χείλει:
rapì Persefone) mentre coglieva fiori, rose οὕνεκα del verso successivo. - λασία il naso camuso, secondo la fisiognomi-
e croco e belle viole sul tenero prato e μὲν ὀφρύς: un elogio ironico della villo- ca antica, richiama l’idea della lascivia:
iris e giacinto». Cfr. anche Euripide, Ele- sità – non però circoscritta al sopracciglio cfr. [Aristotele], Fisiognomica 811b 2 οἱ
na 243-48. Il giacinto è spesso associato – si trova in Luciano, Dialoghi marini 1, δὲ σιμὴν (scil. ῥῖνα) ἔχοντες λάγνοι
all’esperienza erotica (si veda ad esempio 1 οὐδὲ τὸ λάσιον αὐτοῦ (...) ἄμορφόν «quelli che hanno il naso camuso sono
in Iliade XIV 347-349, la descrizione del ἐστιν· ἀνδρῶδες γάρ «neppure la sua lascivi».
prato fiorito nel quale avviene l’amplesso villosità è brutta: fa tanto macho». Per
410 I CARMI BUCOLICI
Ἀλλ’ οὗτος τοιοῦτος ἐὼν βοτὰ χίλια βόσκω,
35 κἠκ τούτων τὸ κράτιστον ἀμελγόμενος γάλα πίνω·
τυρὸς δ’ οὐ λείπει μ’ οὔτ’ ἐν θέρει οὔτ’ ἐν ὀπώρᾳ,
οὐ χειμῶνος ἄκρω· ταρσοὶ δ’ ὑπεραχθέες αἰεί.
Συρίσδεν δ’ ὡς οὔτις ἐπίσταμαι ὧδε Κυκλώπων,
τίν, τὸ φίλον γλυκύμαλον, ἁμᾷ κἠμαυτὸν ἀείδων
40 πολλάκι νυκτὸς ἀωρί. Τράφω δέ τοι ἕνδεκα νεβρώς,
πάσας μαννοφόρως, καὶ σκύμνως τέσσαρας ἄρκτων.
Ἀλλ’ ἀφίκευσο ποθ’ ἁμέ, καὶ ἑξεῖς οὐδὲν ἔλασσον,
τὰν γλαυκὰν δὲ θάλασσαν ἔα ποτὶ χέρσον ὀρεχθεῖν·
ἅδιον ἐν τὤντρῳ παρ’ ἐμὶν τὰν νύκτα διαξεῖς.
45 Ἐντὶ δάφναι τηνεί, ἐντὶ ῥαδιναὶ κυπάρισσοι,
ἔστι μέλας κισσός, ἔστ’ ἄμπελος ἁ γλυκύκαρπος,

34-37 Ἀλλ᾽ οὗτος … ὑπεραχθέες rio Odisseo» (O. Vox). - ἐπίσταμαι: di siracusano, per ἀφικοῦ, imperativo aoristo
αἰεί: «Ma anche essendo così, pascolo mi- questa presupposta abilità musicale si fa di ἀφικνέομαι. - ἑξεῖς οὐδὲν ἔλασσον:
gliaia di pecore e, mungendole, da queste beffe la ninfa Doride nel dialogo già ci- locuzione idiomatica, che letteralmente si-
bevo il latte migliore; il formaggio non mi tato di Luciano: Dialoghi marini 1, 4 «lo gnifica «non avrai meno» (sott. «di quanto
manca né in estate, né in autunno, né in abbiamo sentito cantare, quando giorni fa meriti»); ἑξεῖς è forma dorica del futuro
pieno inverno; i graticci sono sempre so- ti ha fatto la serenata. Afrodite cara, sem- di ἔχω. - γλαυκάν: l’aggettivo γλαυκός
vraccarichi». - ἐών: participio di εἰμί, con brava che ragliasse un asino!». - τίν: sta indica una tonalità fra il verde-azzurro e
valore concessivo. - χίλια: il numerale per σε. - γλυκύμαλον: si trova solo qui il grigio-azzurro e comprende anche la
indica genericamente una cifra iperboli- e in Saffo, nella famosa similitudine fra nozione dello splendore. - ἔα: imperativo
ca. Si veda la ripresa operata da Virgilio, una mela cotogna e una ragazza arrivata di ἐάω. - ὀρεχθεῖν: ὀρεχθέω è un verbo
Bucolica II 21 mille meae Siculis errant tardi alle nozze (fr. 105a Voigt). - ἁμᾷ: di uso esclusivamente poetico, soprattutto
in montibus agnae. - κἠκ: crasi per καὶ forma dorica per ἅμα. - κἠμαυτόν: crasi epico. Il suo significato, incerto, probabil-
ἐκ. - ἀμελγόμενος: anche in Odissea, per καὶ ἐμαυτόν. - ἀωρί: l’avverbio, da mente indica il rantolare (detto di animali
Polifemo è presentato mentre munge le sue ἄωρος «intempestivo», regge il genitivo morenti), da cui derivano il significato di
greggi: IX 237-238 «poi egli spinse nella νυκτός. - Τράφω: dorico per τρέφω. - «mugghiare» del mare e quello di «palpita-
spelonca le pingui greggi, tutti gli animali τοι: forma dorica per σοι. - ἔνδεκα: a re» del cuore. Il verso viene parafrasato da
che egli mungeva». - οὔτ᾽ ἐν θέρει οὔτ᾽ meno che non si tratti di pura coincidenza, Virgilio, Bucolica IX 43 huc ades, insani
ἐν ὀπώρᾳ: clausola omerica presente in il numero undici contiene un’allusione al- feriant sine litora fluctus. - ἅδιον: dorico
Odissea XII 76. Suggestiva la ripresa virgi- le greggi di Odisseo, elencate da Eumeo per ἥδιον, comparativo dell’avverbio. - ἐν
liana, Bucolica II 22 lacte mihi non aestate nel catalogo dei beni del suo padrone in τὤντρῳ: crasi per ἐν τῷ ἄντρῳ. - παρ᾽
novum, non frigore defit. - ἄκρω: genitivo Odissea XIV «qui, nella parte estrema, ἐμίν: dorico per παρ᾽ ἐμοί. - διαξεῖς: fu-
Teocrito e la tradizione bucolica

dorico (complemento di tempo determina- pascolano greggi copiose di capre, undi- turo dorico di διάγω.
to) per ἄκρου. - ταρσοί: cfr. Odissea IX ci in tutto, e le guardano validi uomini»
219 ταρσοὶ μὲν τυρῶν βρῖθον «i graticci [tr. di A. Privitera]. - νεβρώς: dorico per 45-48 Ἐντὶ δάφναι … ἀμβρόσιον
erano carichi di formaggi». - ὑπεραχθέ- νεβρούς. - μαννοφόρως: «che portano il προΐητι: «Lì ci sono allori, vi sono snelli
ες: forma non contratta per ὑπεραχθεῖς, collare», accusativo dorico per μαννοφό- cipressi, c’è scura edera, c’è la vite dai dolci
da ὑπεραχθής «molto pesante» (da ὑπέρ ρους, hapax teocriteo. - σκύμνως: accu- frutti, c’è fresca acqua, che mi invia l’Etna
e ἄχθος); aggettivo superlativo coniato da sativo dorico per σκύμνους. - ἄρκτων: folta di boschi dalla candida neve, bevanda
Teocrito e usato poi di rado solo nella tarda gli orsi sono comunemente associati agli divina». - ἐντί: dorico per εἰσί. - τηνεί:
epica. animali selvatici, es. Inno ad Ermes 222- dorico per ἐκεῖ. - γλυκύκαρπος: «dai
23 «queste non sono impronte di uomo né dolci frutti» è un hapax. Nella descrizio-
38-41 Σ υ ρ ί σ δ ε ν … τ έ σ σ α ρ α ς di donna, né di lupi grigi, né di orsi, né di ne della propria grotta, il ciclope inserisce
ἄρκτων: «So suonare la zampogna (συ- leoni». Allevarli è una pratica di assoluta elementi tipici dell’idealizzazione idillia-
ρίσδεν = συρίζειν) così come nessuno eccezionalità, indizio della natura ferina – ca: la presenza di una vegetazione lussu-
tra i Ciclopi, cantando te, o mia cara dolce seppure ingentilita – che Polifemo dimo- reggiante e varia, la freschezza offerta da
mela cotogna, e insieme me stesso, spesso stra anche in giovinezza. un corso di acqua gelida. Richiama la de-
a notte fonda. E per te allevo undici cer- scrizione dell’antro di Calipso in Odissea
biatte, tutte con il loro collare, e quattro 42-44 Ἀλλ᾽ ἀφίκευσο … τὰν νύ- V 63-64: «un bosco rigoglioso cresceva
cuccioli di orso». - οὔτις: nel vantare le κτα διαξεῖς: «Ma vieni qui presso di me, intorno alla grotta: l’ontano, il pioppo e
proprie capacità musicali, «Polifemo la- e non ci perderai lascia che il mare grigio il cipresso odoroso» e 68-70 «attorno alla
scia cadere inavvertitamente il fatale pro- si franga contro la riva: nella grotta da me grotta profonda, s’allungava vigorosa una
nome “nessuno” (οὔτις), lo pseudonimo passerai la notte più piacevolmente». - vite, ed era fiorita di grappoli. Quattro
dietro cui si nascondeva il fatale avversa- ἀφίκευσο: è una forma del dialetto dorico fonti sgorgavano in fila con limpida ac-
IDILLIO XI (IL CICLOPE) 411
ἔστι ψυχρὸν ὕδωρ, τό μοι ἁ πολυδένδρεος Αἴτνα
λευκᾶς ἐκ χιόνος ποτὸν ἀμβρόσιον προΐητι.
Τίς κα τῶνδε θάλασσαν ἔχειν καὶ κύμαθ’ ἕλοιτο;

qua» [tr. di A. Privitera]. - πολυδένδρε- dorica della terza persona singolare, per terra e mare, secondo quello che sembra
ος: epiteto già omerico. All’abbondante προΐησι. topos della tradizione siracusana, a giudi-
vegetazione dell’Etna fa riferimento care perlomeno da alcuni titoli a noi per-
anche Pindaro, Pitiche I, 27 Αἴτνας ἐν 49 Τίς κα τῶνδε … ἕλοιτο;: «Chi, al venuti, come ad esempio Γῆ καὶ θάλασ-
μελαμφύλλοις δέδεται κορυφαῖς «(Ti- posto di queste cose, potrebbe preferire il σα (Terra e mare) di Epicarmo e Ὡλιεὺς
fone) è avvinto tra le cime dell’Etna dalle mare e i flutti?». - τῶνδε: costituisce il se- τὸν ἀγροιώταν (Il pescatore [critica?] il
nere foglie». - λευκᾶς ἐκ χιόνος: cfr. condo termine di paragone, in dipendenza contadino) di Sofrone. Cfr. Virgilio, Bu-
ancora Pindaro, Pitiche I, 20 νιφόεσσ᾽ da αἱρέω (ἕλοιτο), che indica preferen- colica IX 39 huc ades, o Galatea, quis est
Αἴτνα, πάνετες χιόνος ὀξείας τιθήνα za. - ἕλοιτο: l’ottativo introdotto da κα nam ludus in undis? «vieni qui, o Galatea,
«nevosa Etna, nutrice incessante di gelo (dorico per ἄν) ha valore potenziale. Po- che divertimento c’è infatti a stare fra le
acuto». - προΐητι: da προΐημι, forma lifemo sottolinea la contrapposizione fra onde?»

immagini topiche
Fuggire ed inseguire per amore
Il motivo della frustrazione di fronte all’inutilità di inseguire la persona amata che fugge è un topos consolidato nella poesia
erotica, si veda ad esempio Saffo, fr. 1, 21-23 Voigt:
Καὶ γὰρ αἰ φεύγει, ταχέως διώξει, Se infatti fugge, presto inseguirà;
αἱ δὲ δῶρα μὴ δέκετ᾽, ἀλλὰ δώσει se non accoglie doni, poi li darà;
αἱ δὲ μὴ φίλει, ταχέως φιλήσει se non ama, presto amerà,
κοὐκ ἐθέλουσα anche se ora non vuole
[Tr. di A. Aloni]

Callimaco Epigramma XXXI 5-6:


Χοὐμὸς ἔρως τοιόσδε· τὰ μὲν φεύγοντα διώκειν Anche il mio amore è così: inseguire chi fugge, sa bene,
οἶδε, τὰ δ᾽ ἐν μέσσῳ κείμενα παρπέταται ma supera in volo ciò che è a portata di mano
[Tr. di G.B. D’Alessio]

Teocrito VI 17:
καὶ φεύγει φιλέοντα καὶ οὐ φιλέοντα διώκει

Teocrito e la tradizione bucolica


e fugge chi la ama e insegue chi non la ama

In ambito latino si possono citare Plauto, Mercator 669:


Reveni, ut illum persequar qui me fugit Sono tornata per stare alle calcagna di chi mi fugge
[Tr. di M. Scàndola]

Catullo VIII 10:


nec quae fugit sectare non stare ad inseguire lei che fugge

Ed infine Ovidio, Amores II 19, 37 quod sequitur, fugio; quod fugit, ipse sequor.
Non mancano riscontri anche nella letteratura italiana, come ad esempio Boccaccio, Rime II 7, 14:
e quanto più la fuggo, più la bramo

Ariosto, Orlando Furioso I 77, 5-6:


Più che sua vita l’ama egli e desira;/ L’odia e fugge ella più che gru falcone

Veronica Franco, Terze rime 20, 59-60:


Poi a chi m’odia corro dietro, e fuggo/ da chi de l’amore mio languisce e more!
412 I CARMI BUCOLICI
50 Αἰ δέ τοι αὐτὸς ἐγὼν δοκέω λασιώτερος ἦμεν,
ἐντὶ δρυὸς ξύλα μοι καὶ ὑπὸ σποδῷ ἀκάματον πῦρ·
καιόμενος δ’ ὑπὸ τεῦς καὶ τὰν ψυχὰν ἀνεχοίμαν
καὶ τὸν ἕν’ ὀφθαλμόν, τῶ μοι γλυκερώτερον οὐδέν.
Ὤμοι, ὅτ’ οὐκ ἔτεκέν μ’ ἁ μάτηρ βράγχι’ ἔχοντα,
55 ὡς κατέδυν ποτὶ τὶν καὶ τὰν χέρα τεῦς ἐφίλησα,
αἰ μὴ τὸ στόμα λῇς, ἔφερον δέ τοι ἢ κρίνα λευκά
ἢ μάκων’ ἁπαλὰν ἐρυθρὰ πλαταγώνι’ ἔχοισαν·
ἀλλὰ τὰ μὲν θέρεος, τὰ δὲ γίνεται ἐν χειμῶνι,
ὥστ’ οὔ κά τοι ταῦτα φέρειν ἅμα πάντ’ ἐδυνάθην.
60 Νῦν μάν, ὦ κόριον, νῦν αὐτίκα νεῖν γε μαθεῦμαι,
αἴ κά τις σὺν ναῒ πλέων ξένος ὧδ’ ἀφίκηται,
ὡς εἰδῶ τί ποχ’ ἁδὺ κατοικεῖν τὸν βυθὸν ὔμμιν.
Ἐξένθοις, Γαλάτεια, καὶ ἐξενθοῖσα λάθοιο,

50-53 Αἰ δέ τοι … γλυκερώτερον τῶ: sta per τοῦ, genitivo del secondo ter- - πλαταγώνι(α): il petalo del papavero
οὐδέν: «Ma se proprio io ti sembro trop- mine di paragone. (πλαταγώνιον), secondo la testimonianza
po villoso, ho legna di quercia e un fuoco degli scoli antichi, aveva un ruolo parti-
instancabile sotto la cenere: io potrei tolle- 54-59 Ὤμοι, ὅτ᾽ οῦν … πάντ᾽ ἐδυ- colare nel rituale amoroso, in quanto esso
rare di essere bruciato da te anche nell’ani- νάθην: «Ahimè, che mia madre non mi ha veniva utilizzato dagli innamorati per trarre
ma e addirittura nell’unico mio occhio, di generato con le branchie, così che mi po- gli auspici del loro amore: postone uno sul-
cui nulla mi è più caro». - Αἰ: dorico per tessi tuffare verso di te e potessi baciare la mano sinistra, lo si colpiva con la destra
εἰ. - λασιώτερος: comparativo assoluto: la tua mano, se non vuoi (che ti baci) la e quanto più intenso era il rumore prodotto,
«troppo villoso». - ἦμεν: forma dorica bocca: ti avrei portato gigli bianchi o un tanto più favorevole era l’auspicio. - κα …
dell’infinito di εἰμί. - ὑπὸ σποδῷ: al con- delicato papavero che ha i petali rossi, ma ἐδυνάθην: dorico per ἄν … ἐδυνήθην: ἄν
trario di κόνις (latino cinis), che per lo più gli uni (i papaveri) crescono in estate, gli con l’indicativo esprime l’irrealtà.
indica la cenere di morti o quella che funge altri (i gigli) in inverno, così che non avrei
da detersivo, σποδός (ovvero σποδιή) in- potuto portarteli tutti insieme». - ὡς κα- 60-62 Νῦν μάν … τὸν βυθὸν ὔμμιν:
dica per lo più la cenere accesa, sotto cui τέδυν: con i tempi storici dell’indicativo, «Ora certamente, bimba mia, subito impa-
cova il fuoco: cfr. Odissea V 488-90 ὡς ὡς indica un proposito non realizzato o rerò a nuotare, se arrivasse qui, navigando
δ᾽ ὅτε τις δαλὸν σποδιῇ ἐνέκρυψε με- irrealizzabile. «Il Ciclope grottescamente con la sua nave, uno straniero, per capire
λαίνῃ/ (...) σπέρμα πυρὸς σῴζων «come rimpiange di non essere nato pesce per po- che piacere è mai per voi abitare le profon-
quando uno nasconde un tizzone fra la ce- ter raggiungere la Nereide e offrirle gigli dità del mare». Da notare l’insistenza en-
nere nera (...) e conserva il seme del fuo- e papaveri – di cui distingue le stagioni fatica sull’avverbio νῦν, rafforzato prima
Teocrito e la tradizione bucolica

co». Talora può servire anche per cucinare, con pignoleria botanica –: stravolgimento dalla particella asseverativa μάν (μήν), poi
come dimostra un passo di Platone comico di quel topico desiderio dell’innamorato di da αὐτίκα. - νεῖν γε: la particella limita-
(Faone, fr. 189, 9-10 Kassel-Austin), do- assumere un diverso status per giungere a tiva γε segnala una sorta di compensazione
ve si abbrustoliscono i lampascioni sotto contatto con la persona amata» (O. Vox). - consolatoria: se non ha le branchie, il ciclo-
la cenere. - ἀκάματον πῦρ: l’aggettivo è ποτὶ τίν: = πρὸς σέ. - τὰν χέρα τεῦς: pe può «almeno» imparare a nuotare. - ὦ
composto da ἀ privativo e il tema del verbo = τὴν χεῖρα σοῦ. Per il topos del desi- κόριον: diminutivo di κόρα. - μαθεῦμαι:
κάμνω; la clausola è omerica: es. Odissea derio di ricongiungimento con la persona futuro dorico di μανθάνω (= μαθήσομαι).
XX 123 ἀνέκαιον ἐπ᾽ ἐσχάρῃ ἀκάματον amata anche a costo di mutare il proprio - αἴ κα … ἀφίκηται: = εἰ ἄν … ἀφί-
πῦρ «accendevano il fuoco infaticabile sul status, si vedano, ad esempio: Carmina κηται, protasi dell’eventualità. - ὧδ(ε):
focolare». Il riferimento al fuoco che cova convivalia, fr. 900, 1 Page «Ah, se diven- «qui», avverbio di luogo, sia di moto che
sotto la cenere implica ironicamente l’allu- tassi una bella lira d’avorio!» Anacreontica di quiete. L’eventualità di uno ξένος che
sione al futuro accecamento di Polifemo ad 22 West; Teocrito III 12-13 «Oh, potessi giunge per mare è un’ulteriore allusione al
opera di Odisseo: cfr. Odissea IX 375 καὶ diventare quell’ape ronzante ed entrare futuro incontro con Odisseo. - ὡς εἰδῶ:
τότ᾽ ἐγὼ τὸν μοχλὸν ὑπὸ σποδοῦ ἤλα- nella tua grotta». - αἰ μή … λῇς: protasi proposizione finale. - ποχ(α): sta per πο-
σα πολλῆς,/ ἧος θερμαίνοιτο «e allora io dell’eventualità. Il verbo λῶ, attestato solo κα (con elisione e aspirazione della guttu-
spinsi il palo sotto molta cenere, fino a che nelle forme del presente, è dorico ed equi- rale davanti a spirito aspro), forma dorica
non si arroventò». - ὑπὸ τεῦς: = ὑπὸ σοῦ. vale a θέλω. - ἔφερον: dipende ancora da per ποτε. - τὸν βυθόν: «profondità, abis-
- ἀνεχοίμαν: (= ἀνεχοίμην) forma dorica ὡς, continuando la fantasticheria. - κρίνα so», per lo più riferito al mare. Il termine
dell’ottativo aoristo di ἀνέχω, con valore λευκά: poiché crescono in inverno (v. non è attestato prima di Eschilo.
potenziale; regge il participio predicativo 58), potrebbe trattarsi non di gigli, ma di
καιόμενος. - καὶ τὰν ψυχάν … καὶ τὸν bucaneve. - μάκων(α) ἁπαλάν: sta per 63-66 Ἐξένθοις, Γαλάτεια … δρι-
ἕν᾽ ὀφθαλμόν: accusativi di relazione. - μήκων(α) ἁπαλήν, singolare collettivo. μεῖαν ἐνεῖσα: «Oh, venissi tu fuori, o Ga-
IDILLIO XI (IL CICLOPE) 413
ὥσπερ ἐγὼ νῦν ὧδε καθήμενος, οἴκαδ’ ἀπενθεῖν·
65 ποιμαίνειν δ’ ἐθέλοις σὺν ἐμὶν ἅμα καὶ γάλ’ ἀμέλγειν
καὶ τυρὸν πᾶξαι τάμισον δριμεῖαν ἐνεῖσα.
Ἁ μάτηρ ἀδικεῖ με μόνα, καὶ μέμφομαι αὐτᾷ·
οὐδὲν πήποχ’ ὅλsως ποτὶ τὶν φίλονs εἶπεν ὑπέρ μευ,
καὶ ταῦτ’ ἆμαρ ἐπ’ ἆμαρ ὁρεῦσά με λεπτύνοντα.
70 Φασῶ τὰν κεφαλὰν καὶ τὼς πόδας ἀμφοτέρως μευ
σφύσδειν, ὡς ἀνιαθῇ, ἐπεὶ κἠγὼν ἀνιῶμαι.
Ὦ Κύκλωψ Κύκλωψ, πᾷ τὰς φρένας ἐκπεπότασαι;
Αἴ κ’ ἐνθὼν ταλάρως τε πλέκοις καὶ θαλλὸν ἀμάσας
ταῖς ἄρνεσσι φέροις, τάχα κα πολὺ μᾶλλον ἔχοις νῶν.
75 Τὰν παρεοῖσαν ἄμελγε· τί τὸν φεύγοντα διώκεις;
Εὑρησεῖς Γαλάτειαν ἴσως καὶ καλλίον’ ἄλλαν.

latea, e una volta venuta fuori potessi tu di- fer πολλαὶ Κυδίππην ὀλ[ί]γην ἔτι μητέ- perfetto di ἐκποτάομαι. - αἴ κ(ε) … πλέ-
menticare come io ora (faccio), seduto qui, ρες υἱοῖς/ ἑδνῆστιν κεραῶν ᾔτεον ἀντὶ κοις: protasi della possibilità (αἰ è forma
di tornare a casa! Magari tu volessi pascola- βοῶν «ancor piccina Cidippe, molte madri dorica per εἰ). - ἐνθών: dorico per ἐλθών.
re con me e mungere il latte e far rappren- pei figli la chiedevano sposa, in cambio - ταλάρως: forma dorica per ταλάρους.
dere il formaggio, mettendovi dentro caglio di bovi cornuti» [tr. di G.B. D’Alessio]. - Il τάλαρος è un cesto intrecciato, che può
acido!». - ἐξέλθοις … καὶ ἐξελθοῦσα: ἆμαρ ἐπ᾽ ἆμαρ: cfr. Antologia Palatina adattarsi a diversi usi: per il cucito (Odis-
la ripetizione del verbo al participio espri- IX 499, 5-6 ὦ ζωῆς ἀόριστος ἐν ἀνθρώ- sea IV 125-131); per la vendemmia (Iliade
me una stretta connessione con l’azione ποισι τελευτή,/ ἦμαρ ἐπ᾽ ἦμαρ ἀεὶ πρὸς XVIII 568 πλεκτοῖς ἐν ταλάροισι φέρον
principale; si tratta di un uso non isolato in ζόφον ἐρχομένων «indefinibile fine di μελιηδέα καρπόν «portavano in canestri
Teocrito: cfr. II 113 ἕζετ᾽ ἐπὶ κλιντῆρι vita per gli uomini! Vanno verso la notte, intrecciati il dolce frutto [scil. dell’uva]»);
καὶ ἑζόμενος φάτο μῦθον «si sedette sul giorno dopo giorno» [tr. di F.M. Pontani]. - per portare fiori (Mosco II 34 ἀνθοδόκον
letto e, seduto, parlò». - λάθοιο: «possa tu ὁρεῦσα: participio con contrazione dorica τάλαρον «canestro che contiene fiori») o
dimenticare» ottativo aoristo di λανθάνω, (attico ὁρῶσα); regge il participio predica- per contenere il latte cagliato (Odissea IX
con valore desiderativo, come il prece- tivo λεπτύνοντα. 246-47 «fatto cagliare metà del candido
dente ἐξένθοις e il successivo ἐθέλοις (v. latte, dopo averlo raccolto lo depose in ca-
65); regge l’infinito ἀπενθεῖν (ἀπελθεῖν) 70-71 Φασῶ … κἠγὼν ἀνιῶμαι: «Le nestri intrecciati»). - θαλλόν: «germoglio,
del verso successivo. - πᾶξαι: dorico per dirò che la testa e entrambi i piedi mi fan- virgulto» (θάλλω); cfr. Odissea XVII 224
πῆξαι, infinito aoristo da πήγνυμι dipen- no male, perché ne provi tormento, come θαλλόν τ᾽ ἐρίφοισι φορῆναι «portare dei
dente da ἐθέλοις. - τάμισον: termine at- anch’io provo tormento». - Φασῶ: futuro germogli ai capretti». - ἀμάσας: = ἀμή-
testato la prima volta in Ippocrate; il «ca- di φημί. - τὼς πόδας ἀμφοτέρως μευ: σας, da ἀμάω. - νῶν: = νοῦν.
glio» è un acido, oggi estratto dalla mucosa dorico per τοὺς πόδας ἀμφοτέρους μου.

Teocrito e la tradizione bucolica


gastrica dei bovini lattanti, che serve a far - σφύσδειν: forma dorica per σφύζειν, 75 Τὰν παρεοῖσαν … διώκεις;:
rapprendere il latte. - ἐνεῖσα: participio «battere fortemente, palpitare», termine «Mungi la pecora che c’è: perché insegui
aoristo di ἐνίημι. di derivazione medica, normalmente usato chi fugge via?». - τὰν παρεοῖσαν: dorico
per indicare il battito del sangue nelle vene. per τὴν παροῦσαν. Sottintende qualcosa
67-69 Ἁ μάτηρ … λεπτύνοντα: «Mia - ὡς ἀνιαθῇ: «perché soffra», congiuntivo come «pecora» o «capra». Il verso ha una
madre sola mi fa torto, ed è lei che io rim- aoristo passivo di ἀνιάω; il soggetto è la struttura composita, che associa una meta-
provero: con te non ha mai messo una buo- madre di Polifemo, che il ciclope vuole in fora mutuata dalla realtà pastorale del ci-
na parola in mio favore e ciò pur vedendo qualche modo punire, simulando un male clope («mungi la pecora che c’è»), e una
che io dimagrisco giorno dopo giorno». - Ἁ fisico per arrecarle dolore. - κἠγών: crasi di origine proverbiale e popolare, che si
μάτηρ: = ἡ μήτηρ. Madre di Polifemo è per καὶ ἐγών (epico per ἐγώ). può far risalire ad Esiodo, fr. 61 Merkel-
la già citata ninfa Toosa, figlia di Forco: bach-West νήπιος, ὃς τὰ ἑτοῖμα λιπὼν
cfr. Odissea I 71-72 «Lo generò la ninfa 72-74 Ὦ Κύκλωψ … μᾶλλον ἔχοις ἀνέτοιμα διώκει «sciocco chi ciò che è a
Toosa, la figlia di Forco, che ha cura del νῶν: «O Ciclope, Ciclope, dove sei volato portata di mano lasciando, insegue ciò che
mare infecondo». - πήποχ᾽ ὅλως: «asso- con la mente? Se tu andassi ad intrecciare è lontano [tr. di G. Arrighetti]».
lutamente mai»; πήποκα è forma dorica canestri e raccogliessi germogli da portare
di πώποτε. - ποτὶ τίν: dorico per πρὸς alle agnelle, probabilmente dimostreresti 76-79 Εὑρησεῖς … φαίνομαι ἦμεν:
σέ. - ὑπέρ μευ: = ὑπέρ μου. La lamentela molto più cervello». Per l’allocuzione a se «Troverai un’altra Galatea, forse anche più
mossa da Polifemo nei confronti della ma- stesso, cfr. Virgilio, Bucoliche II 69 Ah, bella. Molte ragazze mi invitano a gioca-
dre presuppone un ruolo attivo delle madri Corydon, Corydon, quae te dementia ce- re insieme con loro la notte: ridacchiano
nelle vicende amorose dei figli, di cui non pit? «Ah, Coridone, Coridone, che follia ti tutte, quando rispondo ai loro richiami.
si hanno numerose attestazioni: si veda ad ha mai preso?». - πᾷ: = πῇ. - τὰς φρένας: Chiaramente perché nella terra anch’io
esempio Callimaco, Aitia fr. 67, 9-10 Pfeif- accusativo di relazione. - ἐκπεπότασαι: sembro essere qualcuno». - εὑρησεῖς:
414 I MIMI «URBANI»
Πολλαὶ συμπαίσδεν με κόραι τὰν νύκτα κέλονται,
κιχλίζοντι δὲ πᾶσαι, ἐπεί κ’ αὐταῖς ὑπακούσω.
Δῆλον ὅτ’ ἐν τᾷ γᾷ κἠγών τις φαίνομαι ἦμεν».

80 Οὕτω τοι Πολύφαμος ἐποίμαινεν τὸν ἔρωτα


μουσίσδων, ῥᾷον δὲ διᾶγ’ ἢ εἰ χρυσὸν ἔδωκεν.

futuro dorico di εὑρίσκω. Cfr. Virgilio, ammirata, oppure con dedizione, fors’an- amore poetando, e se la spassava meglio
Bucolica II 73 invenies alium, si hic te fa- che con soggezione» (G. Burzacchini); si che se avesse speso del denaro». - ἐποί-
stidit, Alexin. - συμπαίσδεν: infinito do- tratta qui di un ascolto che implica una ri- μαινεν: il verbo propone una metafora
rico per συμπαίζειν. - τὰν νύκτα: = τὴν sposta, come in Odissea X 82-83 ποιμένα particolarmente adatta alla condizione di
νύκτα. È accusativo di tempo continuato. ποιμὴν/ ἠπύει εἰσελάων, ὁ δέ τ᾽ ἐξελά- Polifemo. - μουσίσδων: = μουσίζων; è
Riecheggia vagamente un invito disatteso ων ὑπακούει «il pastore rientrando chiama un hapax (al medio si trova una attesta-
a un analogo «gioco», in Anacreonte, fr. il pastore e quello uscendo risponde» [tr. zione nel Ciclope di Euripide). - ῥᾷον
358, 1-4 Page «Di nuovo Eros dall’aurea di A. Privitera]. - ἐν τᾷ γᾷ: = ἐν τῇ γῇ, δὲ διᾶγ(ε): richiama, con ripresa ad
chioma, colpendomi con una palla purpu- in contrapposizione implicita con il mare. - anello, il ῥάϊστα διᾶγε del verso 7. -
rea mi invita a scherzare con la ragazza κἠγών: crasi per καὶ ἐγών. - τις: anche in ἢ εἰ χρυσὸν ἔδωκεν: la conclusione
dal sandalo variopinto». - κιχλίζοντι: = questo caso si può supporre una velata al- dell’idillio propone probabilmente una
κικλίζουσι: come suggerisce lo scolio, si lusione al futuro incontro con Odisseo, che pointe ironica, indirizzata all’amico Ni-
tratta di un riso provocatorio e di derisione, Polifemo conoscerà sotto lo pseudonimo di cia, contro la venalità dei medici: con le
che Polifemo interpreta altrimenti. - ὑπα- Οὔτις «Nessuno». - ἦμεν: = εἶναι. Muse Polifemo ha guarito il male d’amore
κούσω: il verbo ὑπακούω ha un’evidente meglio che se avesse sborsato del denaro
valenza erotica, come in Saffo, fr. 31, 3-4 80-81 Οὕτω τοι … χρυσὸν ἔδωκεν: per farsi curare.
Voigt: significa «ascoltare con attenzione «Così dunque Polifemo pascolava il suo

i mimi «urbani»
T. 4 Idillio II Il mimo rende spunto da una situazione ben nota alle trame della commedia nuo-
(L’incantatrice)
(L’incantatrice va: l’abbandono che una donna subisce da parte del suo uomo, preso da un altro
amore. È particolare il fatto che l’intera vicenda sia presentata esclusivamente
dal punto di vista femminile, secondo una prospettiva non nuova nella lettera-
tura ellenistica (si pensi ad esempio al Fragmentum Grenfellianum contentente il
Teocrito e la tradizione bucolica

cosiddetto Lamento dell’esclusa).


Il componimento presenta una netta bipartizione in due sezioni, rispettivamente
incentrate su un rito di magia e su una confessione alla luna. Ciò non toglie che
Teocrito abbia lanciato un arco fra il principio e la fine dell’intero componimento
sia col ritorno di «voglio avvincere», καταδήσομαι, al v. 159 (dopo la sua com-
parsa al v. 3 e al v. 10), sia con l’invocazione a Selene, che sarà la destinataria
del refrain della seconda parte, già al v. 10.
Entrambi i fenomeni mostrano un ritorno al presente, e a una volontà operativa,
dopo quella fuga nel passato che associa la nostalgia per la felicità perduta al
rancore verso il fedifrago amante. Di qui un ritratto a più dimensioni del per-
sonaggio di Simeta, che nel suo agire e patire, nelle sue effusioni e nelle sue
impazienze, nell’intensità della passione e nel candore con cui la esprime esalta
le potenzialità di un’arte mimetica che si affida proprio alla varietà e desultorietà
dei toni e degli effetti, analogamente a come, in chiave più specificamente lette-
raria, combina forme e modelli eterogenei.
IDILLIO II (L’INCANTATRICE) 415
Dove sono i rami d’alloro? Portali, Testili. Dove sono i filtri?
Con la benda di lana purpurea inghirlanda la coppa,
Ch’io possa avvincere il mio amato che mi dà pena.

Sono dodici giorni, ahimè, che non viene,


5 e neanche sa se siamo vive o morte,
né bussa alla mia porta, l’indegno. Di certo Amore
e Afrodite hanno portato altrove il suo volubile cuore.

Domani andrò alla palestra di Timageto,


per vederlo, e gli rinfaccerò come mi tratta.
10 Ma ora con sacrifici voglio avvincerlo. Luna,
rifulgi bellamente: a te, o dea, volgerò il mio sommesso canto,
e a Ecate sotterranea, che atterrisce anche i cani,
quando avanza fra le tombe dei morti e il nero sangue.
Salve, tremenda Ecate; fino alla fine siimi compagna
15 nel preparare questi filtri, degni dei filtri di Circe,
o di Medea o della bionda Perimeda.

Torquilla, attira tu alla mia casa quell’uomo.

Farina d’orzo anzitutto è consumata nel fuoco; su, spargila,


Testili. Sciagurata, dove te ne sei volata con la mente?
20 Dunque anche per te, maledetta, sono oggetto di spasso?

16 Perimede: figura di maga per noi oscu- della specie dei picidi (ἶυγξ, iynx torquil- magia, inchiodato su una ruota fatta girare
ra, il cui nome è ripreso da Properzio II 4, 7. la, «torcicollo»), noto per i rapidi movi- vorticosamente in entrambi i sensi. Poteva
menti di torsione del collo nella stagione denotare la stessa ruota .
17 Torquilla: si tratta di un uccellino degli accoppiamenti e pertanto utilizzato in

analisi del testo

Teocrito e la tradizione bucolica


l’influsso di Sofrone
Secondo gli scolî a Teocrito sia il personaggio di Testili (la ser- rr. 8-10 del frammento di Sofrone: πεῖ γὰρ ἁ ἄσφαλτος;/ -
va che fa da assistente al rito e si allontana al termine di esso) Οὕτα -/ Ἔχε καὶ τὸ δάδιον/ καὶ τὸν λιβανωτόν «Dov’è la
sia, più in generale, il motivo della fattura magica sarebbero pece? – Ecco! – Prendi anche la torcia e l’incenso».
desunti dai mimi di Sofrone. In effetti, anche se prescindiamo D’altra parte la nuda e secca successione di ordini che troviamo
dall’esistenza fra le opere di Sofrone di un titolo come Le donne in Sofrone lascia il posto in Teocrito a una struttura molto più
che dicono di cacciare la dea, il frammento (4 K.-A.) recuperato sofisticata. Nella sezione magica, dopo un prologo dedicato ai
da P. S. I. 1214 e presentato per la prima volta da M. Norsa e G. preparativi del rito e all’invocazione delle divinità (Selene ed
Vitelli nel 193237, pur non potendo rappresentare un modello Ecate) che lo devono favorire, compaiono nove gruppi di quat-
diretto per Teocrito (sembra infatti trattarsi di un mimo di tipo tro versi, separati ciascuno da uno di tipo intercalare. Al loro
«maschile»), mostra, nella rappresentazione dei preparativi di interno la serietà fattuale dell’azione magica appare variata da
un rito magico diretto da qualcuno che insieme con alcuni aiu- intermittenti inserzioni che tendono ora all’effusione esaspe-
tanti prepara una fattura per conto di «queste donne», sugge- ratamente patetica (vv. 33 s.: «Tace il mare, tacciono i venti,/
stive consonanze anche verbali col nostro componimento. Ad ma non tace la mia pena dentro il cuore; vv. 55 s.: «Ahimè,
esempio il movimento dell’incipit «Dove sono i rami d’alloro? Amore tormentoso, perché nero sangue dal mio corpo/ hai tut-
Portali, Testili. Dove sono i filtri?» appare ben comparabile con to bevuto?»), ora al brusco rimbrotto dell’ancella (vv. 19 s.).
416 I MIMI «URBANI»
Spargila, e insieme dì: «Io spargo le ossa di Delfi».

Torquilla, attira tu alla mia casa quell’uomo.

Delfi mi ha dato tormento: io per Delfi brucio


l’alloro. E come l’alloro crepita forte, bruciando,
25 e subitamente divampa, e non se ne vede neanche la cenere,
così anche Delfi nella fiamma le sue carni distrugga.

Torquilla, attira tu alla mia casa quell’uomo.

Ora offro la crusca. Tu, Artemide, anche l’adamante


Dell’Ade smuoveresti, e se altro c’è di più saldo.
30 Testili, le cagne latrano per la città;
la dea è nei trivii; presto, fa’ risuonare il bronzo.

Torquilla, attira tu alla mia casa quell’uomo.

Ecco, tace il mare, tacciono i venti,


ma non tace la mia pena dentro il mio cuore;
35 tutta ardo per lui, che di me misera
ha fatto una donna perduta, non più vergine, invece che sposa.

Torquilla, attira tu alla mia casa quell’uomo.

Come questa cera io struggo con il favore della dea,


così si strugga d’amore all’istante Delfi di Mindo.
40 E come gira vorticosamente questo rombo di bronzo a opera di Afrodite,
così quello si aggiri preso la mia porta.

Torquilla, attira tu alla mia casa quell’uomo.


Teocrito e la tradizione bucolica

Tre volte io libo, e tre volte, o veneranda, pronuncio queste parole:


che sia una donna a giacere al suo fianco, o sia anche un uomo,
45 egli tanto ne abbia di oblio, quanto dicono ne abbia avuto Teseo
un giorno a Dia per Arianna dai riccioli belli.

Torquilla, attira tu alla mia casa quell’uomo.

21 io spargo le ossa di Delfi: il rituale libagione con triplice scongiuro (v. 43) 39 Mindo: città della Caria.
magico di Simeta è finalizzato a «lega- – preparando un filtro d’amore a base di
re» l’amante fedifrago e a «ricondurlo» lucertola (v. 58). 40 questo rombo di bronzo: ruota magi-
da lei (v. 22 ss.): a tal fine vengono ca.
bruciati elementi che simboleggiano 28 l’adamante: di cui è fatta la porta del
l’amante: orzo, alloro, crusca, cera, e, mondo infero. 45 Dia: antico nome dell’isola di Nas-
più concretamente, un lembo del suo so. - Arianna: figlia di Minosse, fuggita da
mantello; il rituale di magia procede poi 31 fa’ risuonare il bronzo: in funzione Creta con Teseo dopo l’uccisione del Mi-
facendo ruotare il rombo e – dopo una apotropaica. notauro e da Teseo abbandonata a Nasso.
IDILLIO II (L’INCANTATRICE) 417
Ippomane è una pianta d’Arcadia: per essa tutte
le puledre sui monti infuriano, e le veloci cavalle.
50 Così possa vedere anche Delfi, ed entri egli in questa casa
simile ad un folle, fuori dalla nitida palestra.

Torquilla, attira tu alla mia casa quell’uomo.

Delfi ha perduto questa frangia del suo mantello,


ed io ora la sfilaccio e la getto nel fuoco selvaggio.
55 Ahimè, Amore tormentoso, perché nero sangue dal mio corpo
hai tutto bevuto, attaccandoti come palustre sanguisuga?

51 fuori dalla nitida palestra: per l’olio di cui si ungevano gli atleti. L’aggettivo λιπαρός è spesso riferito
all’olio.

analisi del testo


letteratura e magia
La letteratura riorganizza il rito dando risalto al personaggio Necessità e ai demoni con suppliche come questa (rr. 6-9): δι᾽
che lo esegue e riplasmando i ritmi dell’azione secondo una ὅλης νυκτὸς ὕπνου μὴ δυνηθῇ τυχεῖν, ἀλλὰ ἄξατε αὐτήν,
nuova cadenza che mira a «incatenare», oltre alle dee coope- ἕως ἔλθῃ εἰς πόδας αὐτοῦ ἐρῶσα ἔρωτα μανιώδη καὶ
ratrici, l’attenzione ammirata del lettore/uditore (è probabile στοργὴν καὶ συνουσία‹ν›. Ἔδησα γὰρ αὐτῆς τὸν ἐγκέφα-
che soprattutto componimenti come questi fossero oggetto λον καὶ τὰς χεῖρας καὶ τὰ ὑποχόνδρια καὶ τὴν φύσιν καὶ
anche di ἐπιδείξεις, esibizioni a solo di attori professionisti). τὴν καρδίαν πρὸς φιλίαν ἐμοῦ Θέωνος «Che per tutta la not-
Nel contempo essa mira a recuperare dal mondo della magia te lei non riesca a prender sonno, ma voi [demoni] trascinatela
(oggetto di crescente frequentazione da parte della piccola finché giunga ai piedi di lui [un dio precedentemente invocato]
borghesia delle nuove città ellenistiche) aspetti operativi e for- ardendo di folle passione e affetto e intimità. Io ho legato il suo
mule espressive, ricette e preoccupazioni. Sono così possibili cervello e le sue mani e i suoi organi addominali e la sua natura
confronti anche puntuali fra l’Incantatrice e quegli incantesi- e il suo cuore perché ami me, Teone»;
mi erotici di cui ci danno fedele testimonianza i papiri magici
d’età ellenistica e imperiale. E per limitarci a qualche esempio: c) l’augurio contenuto nel refrain ἶυγξ, ἕλκε τὺ τῆνον ἐμὸν
ποτὶ δῶμα τὸν ἄνδρα «Torquilla, attira tu alla mia casa
a) il rituale simpatetico per cui Simeta brucia un ramo d’allo- quell’uomo» può essere accostato a formule che contengono

Teocrito e la tradizione bucolica


ro pregando che come quello avvampa così Delfi distrugga le l’augurio che la persona amata venga alla casa dell’amante,
sue carni nella fiamma (vv. 23-26) si può confrontare con PGM cfr. PMG 4, 2756 s. ἡ δ(εῖνα) ἥκοι ἐπ᾽ ἐμαῖσι θύραις («Lei
4, 1496, dove alla mirra che brucia viene ordinato: ἔμμεινον venga alle mie porte»), Suppl. Mag. 71, fr. 2, rr. 2-3 ἐλ[θεῖν]
αὐτῆς ἐν τῇ καρδίᾳ καὶ καῦσον αὐτῆς τὰ σπλάγχνα, ... οἰκίαν λιποῦσ[αν «perché venga lasciando la sua casa»);
τὸ στῆθος, τὸ πνεῦμα, τὰ ὀστᾶ, τοὺς μυελούς, ἕως ἔλθῃ
πρὸς ἐμέ, τὸν δεῖνα [«il tale»: si tratta di un formulario che d) il desiderio, manifestato ai vv. 45-46, che l’amato «dimenti-
volta per volta andava integrato con il nome di chi lo recitava], chi» il suo nuovo oggetto di desiderio è lo stesso che ritroviamo
φιλοῦσά με, καὶ ποιήσῃ πάντα τὰ θελήματά μου: «Resta nel già citato Suppl. Mag. 45, cfr. rr. 49-52 εἰ δὲ καὶ ἕτερο[ν]
fissa nel suo cuore e bruciane le viscere, il petto, il respiro, le ἔχει ἐν κόλποις, ἐκεῖνον μὲν ὑπερθέσθω καὶ ἐπιλαθέσθω
ossa, il midollo finché lei venga innamorata da me [a questo καὶ μισήσῃ, ἐμὲ δὲ φιλήσῃ καὶ στοργήσῃ, καὶ τὰ αὐτῆς
punto si integrava τὸν δεῖνα, indicando il nome del recitante] ἐμοὶ χαρίσηται, καὶ μηδὲν παρὰ ἐμὴν γνώμην πράξῃ «... e
e assecondi ogni mio volere»; se lei ha nel petto qualcun altro, se ne sbarazzi e lo dimentichi
e lo prenda in odio e invece ami me e mi voglia bene e mi con-
b) il far liquefare l’effigie dell’amato plasmata con la cera perché ceda le sue grazie e nulla faccia contro la mia volontà»; analoga
si strugga al fuoco al pari di lui (vv. 38 s.) ci richiama in parti- la preghiera in PMG 4, 2740 ss. εἰ δέ τιν᾽ ἄλλον ἔχουσ᾽ ἐν
colare Suppl. Mag. 45, un papiro trovato con ancora incartate al κόλποις κατάκειται, κεῖνον ἀπωσάσθω, ἐμὲ δ᾽ ἐν φρεσὶν
proprio interno due bambole di cera dell’altezza di 7 cm strette ἀγκαταθέσθω «e se si trova ad avere nel petto qualcun altro,
in un abbraccio, mentre nel testo chi parla si rivolge al fato, alla lo cacci via e ponga me nel suo cuore».
418 I MIMI «URBANI»
Torquilla, attira tu alla mia casa quell’uomo.

Pesterò una salamandra e domani gli porterò un beveraggio funesto.


Ma ora, Testili, prendi queste erbe magiche e impastale
60 sopra la sua soglia, fintanto che è ancora notte,
e di’ bisbigliando: «Impasto le ossa di Delfi».

Torquilla, attira tu alla mia casa quell’uomo.

Ora che sono sola, donde piangerò il mio amore?


Da che cominciare? Chi mi portò questo malanno?
65 Andò canefora al bosco di Artemide la figlia di Eubulo,
la nostra Anaxò; in onore della dea quel giorno molte fiere
erano condotte in processione tutto intorno, e tra loro una leonessa.

Apprendi, veneranda Luna, donde venne il mio amore.

La nutrice tracia di Teumarida, buonanima,


70 che abitava porta a porta con me, mi pregò e mi supplicò
di andare a vedere la processione; e io, sventuratissima,
L’accompagnai, indossando una bella tunica di bisso,
e ravvolta nel mantello di Clearista.

Apprendi, veneranda Luna, donde venne il mio amore.

75 Ero già a metà della strada, dov’è la dimora di Licone,


quando vidi Delfi, e insieme con lui Eudamippo, che camminavano.
La barba l’avevano più bionda dell’elicriso,
e i loro petti rifulgevano molto più di te, o Luna,
perché avevano appena lasciato la bella fatica della palestra.
Teocrito e la tradizione bucolica

80 Apprendi, veneranda Luna, donde venne il mio amore.

Come lo vidi, all’istante impazzii, e di me misera il cuore


fu lacerato. La bellezza svanì, e di quella processione
non m’importò più nulla, né so come a casa
sia ritornata; ma un ardente morbo mi devastava,
85 e giacevo nel letto per dieci giorni e per dieci notti.

Apprendi, veneranda Luna, donde venne il mio amore.

E spesso il mio corpo diventava del colore del tapso,

87 del colore del tapso: dal tapso si pre- la carnagione di chi voleva fingersi malato: sione di Saffo, fr. 31, 14 Voigt: χλωροτέ-
parava una tintura gialla per i capelli o per si tratta di una variazione rispetto all’espres- ρας δὲ ποίας «più verde dell’erba».
IDILLIO II (L’INCANTATRICE) 419
e dal capo mi cadevano tutti i capelli; non mi rimanevano
ormai più che la pelle e le ossa. E da chi non andai,
90 la casa di quale vecchia trascurai, che facesse incantesimi?
Ma nulla era di sollievo, e il tempo passava veloce.

Apprendi, veneranda Luna, donde venne il mio amore.

E così alla schiava feci questo aperto discorso:


«Su, Testili, trovami un rimedio al malanno che m’opprime;
95 il Mindio tutta mi possiede, misera! Va’ dunque,
e tienilo d’occhio alla palestra di Timageto:
è quello il posto che frequenta, là gli è caro intrattenersi.

Apprendi, veneranda Luna, donde venne il mio amore.

E quando ti accorgi che è solo, fagli un cenno discreto,


100 e digli: “Simeta ti chiama”, e conducilo qui».
Così dissi, ed essa andò e condusse nella mia casa
Delfi dal corpo splendente; e io come lo sentii
che oltrepassava la soglia della porta con passo leggero,

Apprendi, veneranda Luna, donde venne il mio amore,

105 tutta gelai più della neve, e dalla fronte


il sudore mi scorreva copioso, simile a molle rugiada,
né riuscivo a proferir parola, e nemmeno quanto balbettano
i bambini nel sonno, chiamando la mamma,
ma mi irrigidii nel bel corpo come fossi una bambola.

110 Apprendi, veneranda Luna, donde venne il mio amore.

Teocrito e la tradizione bucolica


E dopo avermi guardata, il senz’amore, tenendo gli occhi piantati
per terra, si sedette sul letto, e stando così seduto disse:
«Davvero, o Simeta, di tanto mi hai preceduto, quanto io stesso
di recente ho preceduto nella corsa il bel Filino,
115 chiamandomi a questa tua casa prima che venissi io.

Apprendi, veneranda Luna, donde venne il mio amore.

Sarei venuto io, sì, per il dolce Amore, sarei venuto,


con due o tre amici, sul far della notte,
portando nel mantello pomi di Dioniso,
120 inghirlandato il capo di pioppo, pianta sacra di Eracle,

114 il bel Filino: celebre atleta di Cos, vincitore a Olimpia nel 264 e nel 260 a.C.
420 I MIMI «URBANI»
da ogni parte intrecciato con bende purpuree.

Apprendi, veneranda Luna, donde venne il mio amore.

E se mi aveste accolto, sarebbe stato piacevole, ché fine


e gentile sono stimato tra tutti i giovani;

analisi del testo


la caratterizzazione sociale dei due amanti
Nella seconda sezione del componimento, a un monologo che alla sua «bella bocca» (τὸ καλὸν στόμα, v. 126, con καλόν
concentra in un quadro densissimo il ritratto sociale e psicolo- nella stessa collocazione metrica che al v. 110 e quindi con
gico di Simeta, l’amante «esclusa» la quale, terminato il rito a un’eco a distanza), così come esuberante è l’amplesso fra i due
cui affida ogni speranza di rivincita, ripercorre la propria sto- (vv. 140 ss.).
ria d’amore ferito. Una storia, in verità, letta troppo spesso in
una chiave tardo-romantica insopportabilmente sentimentale, realismo e soggettività
mentre l’arte di Teocrito sta proprio nel coniugare finezza psi- Era inevitabile che in un’ottica che tendeva a identificare lirici-
cologica e riferimenti sociali, coinvolgimento lirico e distacco tà e spiritualità non pochi lettori moderni ponessero in ombra
da osservatore. la fisicità e la sensualità del personaggio di Simeta e del suo
Simeta vive senza familiari, ma con la schiava Testili, nella sua rapporto con l’amante o, all’inverso, ne ridimensionassero il
casa cittadina (la città è abbastanza importante da possedere pathos come congerie di luoghi comuni accumulati dal poe-
un ginnasio); ha familiarità coi vicini, in particolare con una ta con intenzione ironica. Al contrario, Teocrito dà spazio a
nutrice tracia (vv. 70 ss.), che ha insistito perché partecipasse un monologare di Simeta che nell’autodescrizione dei sinto-
a una processione, nonché con la madre di una ragazza che mi amorosi e nel finale saluto a Selene (non più sentita come
suona il flauto nei simposi (vv. 145 ss.) e che le rivela dei nuovi coadiutrice di un rito magico ma come astro che si immerge
amori di Delfi, e con una tale Clearista (v. 74), che le ha pre- nella quiete notturna) raggiunge un’intensità che reclama
stato il mantello di stoffa fine (ξυστίς), con cui ha seguito alla l’adesione emotiva del lettore; egli, d’altro lato, non intende
festa la nutrice tracia. Dunque Simeta sembra essere di mode- affatto sublimare un’esperienza dell’eros che resta saldamente
ste condizioni economiche e non ha l’appoggio di una famiglia ancorata a dati biologici e sociali di ineliminabile concretezza.
che la sostenga e la protegga, anche se dispone di una serva Anche a breve distanza possono così contemperarsi realismo e
e possiede una bella tunica di bisso (v. 73). Sicuramente non soggettività e, sul piano degli echi letterari, memorie archilo-
è un’etera né, per altro, una maga di professione, anche se ha chee (i vv. 138-140, relativi ai preliminari dell’atto amoroso,
una cesta contenente strumenti per compiere operazioni ma- richiamano i frr. 118 e 119 West di Archiloco, vedi vol. I, pp.
giche e conosce κακὰ φάρμακα «incanti malefici» (v. 161), 399-400) con l’allusione alla famosa ode di Saffo della sinto-
occasionalmente appresi da un forestiero di passaggio. matologia dell’amore (fr. 31 Voigt), che prima viene utilizzato
Teocrito e la tradizione bucolica

Un po’ più su nella scala sociale ci appare il suo amante, di- per rappresentare il momento dell’innamoramento (il v. 82
segnato come frequentatore della palestra e del ginnasio e presuppone i vv. 7 s. Dell’ode di Saffo), poi, ai vv. 106 s., vie-
come assai pratico nell’arte delle serenate e dei riti vari del ne sfruttato, con un sottile processo di risemantizzazione, per
corteggiamento (cfr. vv. 118 ss. e 153), orgoglioso della pro- esprimere attraverso il sudore ghiacciato e il blocco della voce
pria forma atletica e della propria popolarità di giovane agile e non più il «mal d’amore» ma, piuttosto, la paura dell’amore
bello (cfr. vv. 115 e 124 s.), soprattutto capace, in quel primo da parte di Simeta dopo le avance appena intraprese; e, in
incontro che è stato provocato dall’iniziativa della ragazza, di più, con una definizione dell’afasia (sentita come uno stato
prodursi in un ampio e variegato discorso (vv. 114-138), al che non conosce neppure il balbettio dei bimbi quando nel
termine del quale Simeta ταχυπειθής «pronta a credere» (v. sonno parlano alla mamma) che nel suo intimismo e nella sua
138) lo prende subito per mano e lo fa distendere sul pro- «biotica» pregnanza mostra (insieme col successivo paragone
prio letto. Un’agilità di tocco, nel frastagliare il racconto con con la bambola) tutta la distanza fra l’assoluta concisione del
indicazioni sulla collocazione dei personaggi all’interno di un modello e l’arte nuova della figurazione minuziosa e attenta.
contesto sociale fra il borghese e il piccolo borghese, che crea Analogamente, nell’Idillio XIV, Cinisca, a udire il nome del suo
alle singole figure e alle loro manifestazioni uno sfondo, una innamorato segreto, «all’improvviso scoppia in un pianto più
dimensionalità precisa: così non c’è da stupirsi se il primo in- dirotto di una bimba/ di sei anni che vuole andare in braccio
contro è all’insegna di una fisicità per cui il giovane dal corpo alla mamma» (vv. 32 s.) e più oltre (vv. 39 s.) fugge più rapida
splendente (λιπαρόχρων, v. 102) fa ghiacciare di paura «il di una rondine che, «data l’imbeccata ai rondinini sotto il tet-
bel corpo» (καλὸν χρόα, v. 110) della ragazza e poi allude to,/ veloce se ne vola indietro a raccogliere altro cibo».
IDILLIO II (L’INCANTATRICE) 421
125 e mi sarei contentato anche solo di baciare la tua bella bocca;
ma se mi aveste respinto, sbarrando la porta con il paletto,
scuri e fiaccole senza meno si sarebbero levate contro di voi.

Apprendi, veneranda Luna, donde venne il mio amore.

Ma ora dico di dovere riconoscenza anzitutto per Cipride,


130 e dopo Cipride, tu per seconda mi hai tratto dal fuoco,
o donna, chiamandomi a questo tuo tetto,
così semiarso. Davvero Amore accende una fiamma,
sovente, più temibile di Efesto lipareo,

apprendi, veneranda Luna, donde venne il mio amore,

135 e con funeste follie la vergine allontana


dal talamo, e la sposa, che abbandona il letto ancora caldo
del marito». Così disse, e io, pronta a credergli,
gli presi la mano, e lo feci adagiare sul morbido letto,
e subito il corpo, al contatto con il corpo, si scaldava, e i volti
140 erano sempre più accesi, e sussurravamo dolcemente.

Per non farti lunghi discorsi, cara Luna,


si fece proprio il massimo, e raggiungemmo entrambi il nostro piacere.
E fino a ieri non ebbe a rimproverarmi alcunché,
né io a lui. Ma è venuta oggi da me la madre
145 di Filista, la nostra suonatrice di flauto, e di Melixò,

Nell’ora in cui correvano i cavalli verso il cielo,


portando su dall’Oceano la rosea Aurora;
e tra molte altre cose mi ha detto che Delfi è innamorato.
Se questa volta lo tiene amore di donna, o anche di uomo,

Teocrito e la tradizione bucolica


150 diceva di non sapere precisamente, ma questo soltanto: più volte libava
vino puro all’Amore, e infine se ne andò in fretta,
e diceva di aver adornato di ghirlande quella casa.

Questo mi raccontava l’ospite, ed è veritiera:


in altri tempi tre o quattro volte al giorno veniva da me,
155 e lasciava spesso a casa mia la dorica ampolla;
ora sono dodici giorni che neppure l’ho visto.
Non avrà qualche altro diletto, e si è dimenticato di me?
Ora voglio avvincerlo con i filtri; e se continua

133 Efesto lipareo: anche Callimaco 151 se ne andò in fretta: nella tradizione tomo tipico della malattia d’amore, mentre
(Inno ad Artemide 47 ss.) colloca a Lipari poetica ellenistica il brindare con vino puro è tipico del corteggiamento appendere ghir-
l’officina dei Ciclopi e di Efesto. e scappare via di corsa da un simposio è sin- lande alla casa della persona amata.
422 I MIMI «URBANI»
a darmi pena, sì per le Moire, busserà alle porte di Ade;
160 tali funesti veleni posso dire di serbare per lui nella cesta,
avendoli appresi, o Signora, da un forestiero assiro.

Ma tu volgi lieta i tuoi destrieri verso l’oceano,


o veneranda, e io sopporterò la mia pena così come l’ebbi.
Addio, Luna dal trono lucente, addio, voi altre
165 stelle, che fate corteggio al carro della silente Notte.
[Tr. di B.M. Palumbo Stracca]

T. 5 Idillio XV Con l’idillio XV Teocrito ci propone un mimo vivacissimo, che propone un con-
(Le
(Le Siracusane)
Siracusane tinuo cambio di scena, in un ritmo rappresentativo vorticoso. La vicenda è am-
bientata ad Alessandria e protagoniste sono due donne originarie di Siracusa,
Gorgò e Prassinoa, che si recano al palazzo di re Tolomeo per assistere ai festeg-
giamenti in onore di Adone. Tratti caratteristici del genere del mimo sono la
forma dialogata, la scelta del tema quotidiano e l’adozione di un linguaggio che
riproduce le movenze della lingua parlata, mentre è nuovo il taglio drammatico
dell’azione, nella quale il tempo drammatico non coincide con quello reale, ma
procede con rapide transizioni, in una studiata varietà di scene che si succedono
senza interruzione di continuità.

Scena I In casa di Prassinoa, che deve lavarsi e indossare «lo scialle e la veste con le
fibbie» (v. 21). Ma la conversazione si sperde tra l’attesa della festa (vv. 22 s.:
«Andiamo al palazzo del ricco re Tolemeo, voglio vedere Adone»), espressioni
di disappunto sull’inefficienza dei rispettivi mariti, rimbrotti di Prassinoa alla
schiava (come Simeta nei confronti di Testili nell’Incantatrice), complimenti per
l’eleganza (vv. 34 s.: «Prassinoa, questa veste a pieghe con le fibbie / ti sta ve-
ramente bene») e soprattutto, quale tratto più incisivamente umoristico e ad un
Teocrito e la tradizione bucolica

tempo sintomatico su scala minima della formazione di uno spirito borghese,


preoccupazioni per la corretta educazione del piccolo Zopirione, di fronte al
quale non sarebbe “istruttivo” parlar male del babbo (salvo continuare tran-
quillamente a farlo pur dopo aver accertato che, «per la Veneranda, capisce il
pupo!»).

vv. 1-43
GORGO C’è Prassinoa?
PRASSINOA Cara Gorgò, finalmente! Ci sono.
Che miracolo che tu sia venuta, almeno ora. (A una schiava) Eunoa,
uno sgabello per lei; mettici anche un cuscino.
GORGO Va benissimo.
PRASSINOA Accomodati.
GORGO Disgraziata me! A stento son qui salva,
Prassinoa, dalla gran folla e dalle tante quadrighe;
IDILLIO XV (LE SIRACUSANE) 423
dovunque calzari, dovunque uomini in uniforme,
e la strada non finiva più. Tu stai sempre più lontano!
PRASSINOA È quel matto, che è venuto qui a prendere una bicocca,
non una casa, ai confini del mondo, perché non fossimo vicine,
per farmi dispetto, quel maledetto invidioso, sempre lo stesso.
GORGO Cara, non parlare così di tuo marito Dinone
dinanzi al bambino. Vedi come ti guarda.
Su, (al bambino) Zopirione, tesoruccio. Non parla mica del babbo.
PRASSINOA Per la Veneranda1, capisce il pupo!
GORGO Bello, papà.
PRASSINOA Questo papà l’altro giorno, sicuro, proprio l’altro giorno,
gli dico: «Babbo, al mercato comprami del nitro e del belletto»,
e lui tornò col sale, un omone di tredici cubiti!2
GORGO Anche Dioclide, il mio, è così, butta via il danaro:
ieri per sette dracme ha preso cinque pelli di cane, che erano solo avanzi
di vecchie bisacce, una vera porcheria, e per me lavoro su lavoro.
Ma via, prendi lo scialle e la veste con le fibbie;
andiamo al palazzo del ricco re Tolemeo,
voglio vedere Adone; ho sentito dire che la regina3
ha preparato qualcosa di bello.
PRASSINOA In casa del ricco tutto è ricco.
GORGO Cose che, quando le hai viste, le puoi raccontare a chi non le ha viste.
Sarebbe ora di andare. per chi non ha niente da fare è sempre festa.
PRASSINOA (Alla schiava) Eunoa, prendi l’acqua, e mettila qui,
disgraziata. Le marmotte amano dormire comodamente.
Muoviti, porta l’acqua subito; prima ci vuole l’acqua,
e lei porta il sapone! Dammelo lo stesso. Ma non me ne dare tanto, sprecona!
Versa l’acqua. Disgraziata, perché mi bagni il chitone?
Basta. Come dio ha voluto, mi sono lavata.
Dov’è la chiave della cassa grande? Qua, dammela.
GORGO Prassinoa, questa veste a pieghe con le fibbie

Teocrito e la tradizione bucolica


ti sta veramente bene. Quanto ti è costata?
PRASSINOA Non me lo ricordare, Gorgò; più di due mine d’argento4
puro. E per la fattura ci ho messo l’anima.
GORGO Ma ti è venuta come volevi, lo puoi ben dire.
PRASSINOA (Alla schiava) Dammi lo scialle e il cappello; mettimeli bene.
(Al bambino) Te non ti porto, piccino: morde il babau; c’è il cavallo.
Piangi quanto vuoi, ma zoppo non devi diventare.

1. Per la veneranda!: Persefone, dea che, insieme alla madre Demetra, è particolarmente cara a delle donne
di Siracusa.
2. un omone di tredici cubiti: misura iperbolica (equivalente a oltre cinque metri e mezzo).
3. la regina: Arsinoe II, sorella e moglie di Tolomeo II Filadelfo.
4. più di due mine d’argenti: un prezzo esorbitante, e forse volutamente esagerato, rispetto ai prezzi contem-
poranei dei capi d’abbigliamento: 2 mine corrispondono a 200 dracme e il normale prezzo di un vestito
non superava le 40 dracme.
424 I MIMI «URBANI»

Scena II Per le vie di Alessandria. Le due provinciali appaiono atterrite dalla folla, vista
come un globo di frenetiche formiche; nuovo urlo alla schiava («Eunoa, sfaccia-
ta, non scappi?») incuneato fra le apprensioni per l’impennarsi dei cavalli da
carica del re e per il conseguente ondeggiare degli astanti. Poi, con uno scorri-
mento accelerato del tempo, il quadro si chiude con la vista della grande corte
del palazzo regale verso la quale si riversa la folla.

vv. 44-59
Andiamo. (A un’altra schiava) Frigia, prendi il piccolo e fallo divertire.
Chiama dentro il cane, e chiudi bene la porta.
GORGO (Per strada) O dèi! Quanta gente! Come si potrà passare
quest’inferno? Sono formiche senza numero e senza misura.
PRASSINOA Tolemeo, molte belle cose sono state fatte,
da quando tuo padre5 è tra gli immortali. Non c’è più un furfante
che ti si accosti di soppiatto a molestarti, all’uso egizio,
mentre cammini; non è come prima, che degli individui fatti di frode
ti giocavano brutti scherzi; tutti uguali, imbroglioni, gentaccia.
Cara Gorgò, che sarà di noi? Ecco i cavalli
da parata del re. (A un passante) Amico, non mi pestare.
Quello rosso si è impennato. Guarda come è selvaggio! Eunoa,
sfacciata, non scappi? Ammazzerà il cavaliere.
Meno male che il bambino mi è rimasto a casa!
GORGO Coraggio, Prassinoa! Siamo rimaste indietro,
e quelli hanno raggiunto il loro posto. Anch’io comincio a riprendermi;
fin da bambina, più di tutto ho paura del cavallo
e del serpente freddo. Facciamo presto! Ci viene addosso una gran folla.

Scena III Ingresso all’interno della corte. Nuovamente un’azione risolta per tocchi e ap-
punti laterali, fra due apostrofi ai passanti (una vecchia e un uomo) e l’ansia per
lo strappo subito dallo scialle.
Teocrito e la tradizione bucolica

vv. 60-71
PRASSINOA Vieni dal palazzo, mamma?
VECCHIA Sì, figliole.
PRASSINOA È facile entrarci?
VECCHIA A furia di tentare, gli Achei entrarono a Troia,
bella figliola! Tentando, e ritentando, si fa tutto.
(Si allontana)
PRASSINOA La vecchia ha proferito oracoli e se n’è andata!
UN UOMO Le donne sanno tutto, anche come Zeus sposò Era.
(Arrivano davanti al palazzo)
GORGO Guarda, Prassinoa, quanta gente alla porta.

5. tuo padre: Tolomeo I Sotèr, morto nel 283 a.C.


IDILLIO XV (LE SIRACUSANE) 425
PRASSINOA Straordinaria. Gorgò, dammi la mano; Eunoa, anche tu
prendi quella di Eutichide; tienti stretta a lei, per non perderti.
GORGO Entriamo tutte insieme. Eunoa, tienti stretta a noi.
PRASSINOA Povera me! Mi si è già strappato in due lo scialle,
Gorgò. (A un uomo) Per Zeus, brav’uomo, che tu sia
benedetto, sta’ attento al mio scialle.

Scena IV Lungo un arco per cui il tempo si infittisce e le scene si restringono fino alla
concitazione della scena III per poi dilatarsi nuovamente, qui il quadro torna ad
allargarsi; le espressioni di gratitudine delle due donne al brav’uomo che le aiu-
ta a farsi largo e, per contro, il battibecco con un altro straniero che ne deride
la parlata dorica (ma anch’egli in dorico nel testo!) cedono il posto alla contem-
plazione, improntata a un gusto iperrealistico (vv. 82 s.), delle tele variopinte e
delle figure che vi sono istoriate (prima fra tutte quella di Adone morente).

vv. 72-99
UOMO Io non c’entro; comunque ci starò attento.
PRASSINOA Davvero c’è folla!
Si spingono come porci.
UOMO Coraggio, donna, siamo al sicuro.
PRASSINOA Possa essere al sicuro per sempre tu, carissimo,
che ci hai protette. Che persona dabbene e gentile!
Eunoa ce la schiacciano. Su, fa’ forza, disgraziata!
Benissimo. «Tutte dentro» disse quello che chiuse a chiave la sposa.6
(Entrano nel palazzo)
GORGO Prassinoa, vieni qui. Prima di tutto guarda quei drappi variopinti,
come sono fini e belli. Li diresti vesti di dèi!
PRASSINOA Atena veneranda, che brave tessitrici li hanno lavorati,
e che artisti hanno fatto quei disegni così precisi!
Come stanno vere, e come si muovono vere le figure;

Teocrito e la tradizione bucolica


sono vive, non tessute! Ne ha d’ingegno l’uomo!
E guarda lui, che meraviglia, come giace sul letto
d’argento, con la prima barba che gli scende dalle tempie,
l’amatissimo Adone, amato anche nell’Acheronte.7
ALTRO UOMO Smettetela, disgraziate, di ciarlare in continuazione,
come tortore. Ci uccideranno con la loro pronunzia sguaiata!8

6. quello che chiuse a chiave la sposa: «L’espressione proverbiale sembra riferirsi a un qualche episodio,
divertente o paradossale, nell’ambito dei riti di nozze. L’aneddoto, per noi oscuro, si collegava verosi-
milmente alla figura del παράνυμφος, che aveva il compito di vegliare dinanzi alla camera nuziale»
(Palumbo Stracca).
7. anche nell’Acheronte: le due donne stanno contemplando gli arazzi appesi alle pareti: in uno di essi è
rappresentato Adone, amato da Afrodite, che riceve nell’Ade le attenzioni di Persefone.
8. la loro pronunzia sguaiata!: il verbo impiegato, πλατειάσδοισαι, fa riferimento precisamente alla pro-
nuncia aperta, caratteristica dei parlanti in dialetto dorico, che per la frequenza del suono «a» ingenerava
l’impressione del parlare «a bocca larga». Da qui la risposta piccata di Prassinoa.
426 I MIMI «URBANI»
PRASSINOA Toh! Di dove è uscito quell’uomo? Che T’importa, se chiacchieriamo?
Gli ordini dalli ai tuoi servi! Vuoi darne a delle Siracusane?
Per tua regola, noi siamo corinzie di origine,
come Bellerofonte, e parliamo la lingua del Peloponneso;
ai Dori sarà permesso, credo, di parlare dorico!
Che non vi sia mai, o Melitode,9 chi ci comandi,
fuor che uno solo. Non mi curo di te. Non sprecare il tuo tempo!
GORGO Zitta, Prassinoa: sta per cantare Adone
la figlia dell’Argiva, quella bravissima cantante
che anche l’anno passato fece così bene il lamento.
Canterà qualcosa di bello, lo so; fa già le moine.

Scena V Entro la cornice, che si è già ricordata, costituita dalle battute di Gorgò, la
cantatrice intona un canto che da un lato è un inno ad Afrodite (la dea tie-
ne fra le braccia Adone morente prima che questo spirito della vegetazione
venga accompagnato fino alla riva del mare per il suo viaggio verso l’Ache-
ronte), ma dall’altro, per un virtuosistico intarsio fra generi diversi, riesce ad
essere un encomio di Arsinoe, che nel suo attendere al culto di Adone (v. 111
ἀτιτάλλει Ἄδωνιν) quasi si omologa ad Afrodite, e anche un’ekphrasis dello
scenario che Arsinoe ha realizzato.
Questo scenario comprende, fra l’altro, pergolati di vegetazione dinanzi a
cui sono sospese figure di Eroti in volo e due divani d’ebano e d’oro sui quali
appaiono adagiate le immagini di Adone e di Afrodite: in una riduzione degli
elementi vegetali a pretesto per un gioco d’artificio e, all’inverso, di tinte e
metalli e minerali preziosi (porpora, ebano, oro, argento), a corredo di un rito
che aveva il suo nucleo nella vicenda di morte e rinascita della vegetazione.
Se la festa religiosa era stata il cuore della poesia arcaica, ora si ripropone
in veste inedita. Essa non rappresenta più il ritorno in regolare cadenza di un
culto cittadino radicato nella memoria collettiva, quanto l’estemporanea in-
Teocrito e la tradizione bucolica

venzione di una regina in vena di spettacolari dimostrazioni artistiche offerte


alla popolazione di Alessandria come pubblico stupefatto ma ormai intima-
mente estraneo, che poteva accedere per una volta a quell’immenso quartiere
della reggia (il Bruchion) che occupava un quarto dell’intera città.
Di una tale forma di produzione del consenso praticata dai Tolomei il poeta
cortigiano non si è lasciato sfuggire alcun risvolto: così ha finto partecipazio-
ne lirica al clima sensuale del rito e ammirazione per la sua regale ideatrice,
ma ne ha filtrato i sapori e le voci attraverso l’occhio e l’orecchio deformanti
delle sue provinciali concittadine, seguite passo passo dalla contrastata ve-
stizione iniziale fino all’avvio del movimento di ritorno verso le pareti dome-
stiche.

9. Melitode: attributo di Persefone. L’unico dominatore ammesso è ovviamente il sovrano.


IDILLIO XV (LE SIRACUSANE) 427
vv. 96-149
CANTANTE Signora, che ami Golgi e Idalio10
e l’alta Erice,11 Afrodite che giochi con l’oro,
come è bello Adone, che le Ore ti hanno condotto
dall’eternamente fluente Acheronte
nel dodicesimo mese; le Ore dal passo delicato,
le care Ore, lentissime tra gli dèi, ma desiderate
esse giungono agli uomini, recando sempre qualcosa.12
Cipride Dionea,13 tu Berenice14 rendesti immortale
(così si racconta tra gli uomini), ambrosia
stillando nel seno di lei;
e rendendoti grazie, o dea dai molti nomi e dai molti templi,
la figlia di Berenice, simile a Elena,
Arsinoe, Adone vezzeggia con ogni specie di bei doni.
Vicino a lui stanno i frutti di stagione,
e i teneri giardini custoditi nei canestri
d’argento, e gli aurei alabastri di unguento di Siria.
E i cibi che le donne preparano nel tagliere,
mescolando fiori di ogni genere con la bianca farina,
e quelli che si fanno con dolce miele e nel liquido olio,
tutto è qui, in forma di uccelli e di animali.
Verdi pergole15 son qui preparate, cariche
di tenero aneto; e sopra volteggiano gli Amorini,
come su un albero di ramo in ramo svolazzano
gli usignoletti, provando le ali che crescono.
O ebano, o oro, o aquile di bianco avorio,
che al Cronide Zeus portate il fanciullo coppiere!16
Sopra stanno tappeti purpurei, «più morbidi del sonno»
dirà Mileto, e il pastore di Samo.
Un altro letto è apprestato per il bell’Adone:

Teocrito e la tradizione bucolica


un letto è per Cipride, l’altro è per Adone braccia di rose.
Diciotto o diciannove anni ha lo sposo;
non punge il suo bacio; attorno al labbro ha ancora la bionda peluria.
Ora Cipride goda, avendo il suo sposo;
All’alba, nella rugiada, noi in folla porteremo lui
presso le onde spumeggianti sulla riva;

10. Golgi e Idalio: località cipriote.


11. Erice: nella Sicilia nord-occidentale.
12. recando sempre qualcosa: le Ore sono emblema delle stagioni dell’anno, che allietano gli uomini arrecan-
do loro in dono, di volta in volta, i frutti stagionali.
13. Cipride Dionea: figlia di Dione.
14. Berenice: Berenice I, moglie di Tolemeo I Sotèr e madre di Tolemeo II Filadelfo. Morta nel 279 a.C. essa
risulta divinizzata ad opera di Afrodite, che le avrebbe versato sul petto l’ambrosia che rende immortali.
15. verdi pergole: si trattava di specie di capanne o di baldacchini vegetali sotto ai quali veniva adagiato il
simulacro di Adone in un lettino accanto ad Afrodite.
16. il fanciullo coppiere: Ganimede.
428 I MIMI «URBANI»
e sciolta la chioma, lasciata cadere la veste sulle caviglie,
col seno scoperto intoneremo un canto melodioso.17
Tu solo dei semidei, Adone diletto, qui vieni,
si dice, e nell’Acheronte; non ebbero questo Agamennone,
né Aiace, l’eroe dall’ira tremenda,
né Ettore, il maggiore dei venti figli di Ecuba,
né Patroclo, né Pirro tornato da Troia,
e neppure i Lapiti e Deucalioni più antichi,
né i Pelopidi, e i Pelasgi signori di Argo.
Ma tu sii propizio, Adone diletto, adesso e nell’anno che viene; con nostra letizia
sei venuto ora, Adone, e quando tornerai, caro a noi verrai.
GORGO Prassinoa, che bravura quella donna!
Beata lei, che sa tante cose, ma beatissima perché canta così bene!
Però è ora di tornare a casa; Dioclide non ha ancora pranzato,
e quell’uomo è tutto aceto; non ti avvicinare, quando ha fame!
Salve, Adone diletto; con nostra gioia sei venuto da noi.
[Tr. di B.M. Palumbo Stracca]

17. intoneremo un canto melodioso: la cantante fa riferimento al rituale del giorno successivo, che si terrà
sulla riva del mare, quando saranno abbandonate nell’acqua, insieme alla statua del dio, le piante che ne
hanno costituito l’ornamento.

analisi del testo


Anche per questo idillio gli eruditi antichi chiamavano in cau- da una cantatrice, consente al poeta di concedere uno spa-
sa un mimo di Sofrone (ma in questo caso non è possibile il zio almeno altrettanto ampio al cicaleccio e ai sussulti delle
benché minimo confronto con l’autore siracusano), e punti di due borghesi signore siracusane. E dato che lo stesso raffinato
contatto significativi sono ravvisabili con un mimo di Eronda, lirismo del lamento per Adone intonato dalla cantatrice appa-
il IV (Le donne che offrono un ex-voto e sacrificano ad Asclepio), re incorniciato dalla presentazione terra terra (v. 99: «fa già
che leggeremo a suo luogo; ma certamente originale doveva le moine») e dal brusco congedo di Gorgò preoccupata per la
comunque risultare la strutturazione di questa microcomme- fame del marito (vv. 147-148: «Però è ora di tornare a casa;
Teocrito e la tradizione bucolica

dia scandita in cinque scene, che in più può sfruttare, rispetto Dioclide non ha ancora pranzato»), anche questa sezione ten-
alla commedia, un continuo variare dell’ambientazione grazie denzialmente autonoma e cortigiana (con l’esaltazione della
alle potenzialità inerenti a un’azione affidata, pur nella molte- scenografia fatta montare dalla munifica regina) viene ricon-
plicità delle voci, alla lettura o alla recitazione solistica. Tale dotta alla prospettiva delle due donne non già per un intento
strutturazione, pur se il componimento sfocia nella rappresen- ironico verso lo sfarzo esibizionistico della festa ma per la vo-
tazione della festa organizzata dalla regina Arsinoe II (siamo cazione di un genere che nei dislivelli di registro e negli scarti
fra il 278 e il 270 a.C.) e nella trascrizione di un inno intonato dei punti di vista trovava la sua cifra più congeniale.

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