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tradizione bucolica
Teocrito
P er la scelta di una poesia raffinata e di breve respiro, per la varietà nelle so-
luzioni dialettali di volta in volta adottate e per l’assidua contaminazione tra
le forme tradizionali, Teocrito si allinea senz’altro sul fronte della nuova poeti-
ca callimachea. Egli, però, ha fatto molto di più, aprendo alla letteratura nuove
frontiere, sia col recupero in prospettiva inedita di filoni dimenticati della poesia
del passato (il mimo innanzi tutto), sia con la creazione di un genere, il carme
bucolico in esametri, ideato a partire non già dalla biblioteca erudita ma da filoni
folclorici che da secoli alimentavano le tenzoni di pastori e contadini in varie
regioni della Grecia.
Il corpus teocriteo La sua attività poetica ebbe ben presto larga fortuna e ampio seguito di falsari.
Ci è infatti pervenuto un corpus di scritti sotto il suo nome derivato da una più
ampia raccolta di poeti bucolici. Si tratta di 30 carmi trasmessi dai codici me-
dievali noti con un titolo che difficilmente risale all’autore: Εἰδύλλια «Idilli». A
questi va aggiunta una trentina di versi lacunosi di un trentunesimo (conservato
382 TEOCRITO E LA TRADIZIONE BUCOLICA
su un papiro di Antinoe), una raccolta di 24 epigrammi, molti dei quali compre-
si nell’Antologia Palatina, e un carme figurato, la Zampogna, conservato nella
raccolta dei technopaegnia.
Carmi spuri Si è concordi sulla non autenticità di sei idilli: il XIX (Il ladro di miele), il
e fortuna XX (Il pastorello), il XXI (I pescatori), il XXIII (L’amante), il XXV (Eracle
uccisore del leone nemeo), il XXVII (Collo-
quio d’amore), e si dubita anche dell’auten-
ticità degli idilli VIII, IX e XXVI e di alcu-
ni epigrammi. La presenza dei carmi spuri,
oltre che con l’immediata fortuna, si spiega
col fatto che l’autore probabilmente non curò
personalmente un’edizione delle sue opere,
la cui pubblicazione fu redatta, quasi due se-
coli dopo la sua morte, dal grammatico Arte-
midoro di Tarso, il cui figlio Teone compose
poi un commento.
Parole chiav e
Titiro e Melibeo, dalla prima egloga delle Bucoliche.
idillio Folio 1 del Vergilius romanus (V secolo d.C.). Biblioteca
Apostolica Vaticana (Cod. Vat. lat. 3867). La tradizione virgiliana
Derivato da εἶδος («forma», «componimento») per e latina e, soprattutto dal punto di vista iconografico, quella
cristiana, come si può vedere dal mosaico del Buon Pastore
indicare un carme breve su qualsivoglia argomento, dal Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna (immagine sopra),
il termine εἰδύλλιον «idillio», che compare nei Pro- discendono dai «quadretti», dagli idilli teocritei.
legomena agli scolî teocritei (p. 5 Wendel: εἰδύλλιον
λέγεται τὸ μικρὸν ποίημα) e in un’epistola di Pli-
Teocrito e la tradizione bucolica
Afrodite, Pan ed Eros, gruppo marmoreo ritrovato a Delo (100 a.C). Atene, Museo Nazionale. Il soggetto
risente dell’atmosfera ludica tipica dell’amore descritto nella letteratura e nell’arte alessandrina: Afrodite
tenta di scacciare Pan con un sandalo, mentre un Eros birichino ambiguamente allontana e nello stesso tempo
incita l’assalto ferino della divinità campestre.
fine del mitico Dafni, morto per amore, promettendogli in cambio una coppa istoriata (oc-
casione per una tipica ekphrasis alessandrina, cioè per la descrizione di un’opera d’arte).
Carattere monologico ha l’Idillio III, Κῶμος («Canzone d’amore», «Serenata»), con
la serenata di un pastore all’amata Amarillide nella tradizione del «canto dinanzi alla
porta chiusa» (paraklausíthyron).
Il IV, I pastori, è un dialogo vivace fra Batto e Coridone.
L’Idillio V (Il capraio e il pastore) ha un particolare significato: esso rappresenta la
più realistica testimonianza di un autentico agone bucolico basato sull’improvvisazio-
ne orale, con un giudice di gara scelto dalle due parti (qui un taglialegna di passaggio,
Morsone), un premio pattuito in anticipo e uno svolgimento condotto secondo un rigido
schema di botta e risposta (ἀμοιβαῖον) per cui ciascun contendente canta un distico,
col «rispondente» (qui Lacone) che deve replicare tematicamente e formalmente alla
battuta del «proponente» (qui Comata).
384 TEOCRITO E LA TRADIZIONE BUCOLICA
Un agone bucolico Ecco la sezione dei vv. 104-115, con tre coppie amebee caratterizzate la prima
dall’incipit con ἔστι e dal tema del possesso e del dono, la seconda dall’apostro-
fe a un animaletto accompagnata da un’esortazione, la terza dalla dichiarazione
di odio (μισέω) verso un determinato animale nocivo:
1. Il celebre scultore del IV secolo. È un modo per denotare l’eccellenza degli oggetti.
TEOCRITO 385
Nel VI (I cantori) il clima dell’agone è molto amichevole, tanto che l’idillio si conclu-
trama
de con un bacio affettuoso e uno scambio di doni: scelto il tema dell’amore tra Polifemo
e la ninfa Galatea, Dafni e Dameta lo sviluppano descrivendo l’uno i tentativi di sedu-
zione della ninfa e rievocando l’altro la passione e i giustificati complessi del Ciclope.
L’Idillio VII (le Talisie) è ambientato a Cos in occasione delle feste rurali omonime.
Il protagonista, Simichida si avvia con due amici verso il luogo della festa e durante
il cammino incontra il capraio Licida, con il quale avvia una gara di canto conclusa
dal dono di un bastone da parte del capraio. Ma il contesto pastorale e festivo è anche
l’occasione per un’intensa presa di posizione da parte di Teocrito in tema di poetica e
T. 1 di teoria letteraria.
L’Idillio VIII e l’Idillio IX – due gare di canto fra Dafni e Menalca – sono entrambi
intitolati I bucoliasti ed entrambi sono generalmente ritenuti spurî.
Nell’Idillio X, I mietitori (Θερισταί), all’ambientazione bucolica si sostituisce quella
georgica, ma permane la struttura amebea. Buceo e Milone si contrappongono l’uno
all’altro esprimendo il primo un lamento d’amore, elogiando l’altro la fatica del con-
T. 2 tadino.
L’Idillio XI, Il Ciclope, è dedicato al medico Nicia, malato d’amore, e si apre con
la dichiarazione che non c’è altro rimedio per l’amore che la poesia: così, a conforto
dell’amico, il poeta ricrea il canto che il deforme Polifemo rivolgeva alla marina Gala-
T. 3 tea consolando la sua passione.
i mimi «urbani»
Definizione
C ome abbiamo visto, mimetici sono nella sostanza gli stessi idilli bucolici, sia
per la forma dialogica che per la colorita riproduzione di un definito paesag-
gio. Con «mimi», però, si indicano specificamente quegli idilli (il II, il XIV e il
XV), anch’essi in dorico e in esametri, che nella sistematica assenza di una voce
fuori campo che introduca il dialogo e nella rappresentazione di personaggi lega-
ti al mondo cittadino si richiamano, in una misura solo in minima parte accerta-
bile, alla tradizione ormai lontana nel tempo del mimo siciliano di Sofrone (vedi
vol. II, pp. 68 s.): di qui la definizione di «mimi urbani», anche se propriamente
il racconto che costituisce il nucleo del carme XIV è ambientato presso un podere
di campagna.
τριαι), contiene nella prima parte (vv. 1-63) la descrizione della preparazione di una
fattura, da parte di Simeta aiutata dalla sua ancella Testili, per riconquistare l’amore di
Delfi, che l’ha sedotta e abbandonata; nella seconda parte una confessione alla Luna e
T. 4 la rievocazione del nascere e dello svilupparsi di tale passione.
Nell’Idillio XIV (L’amore di Cinisca) Eschine racconta all’amico Tionico le sue pene
d’amore: Cinisca, di cui è tuttora perdutamente innamorato, ama un altro, un certo
Lupo, e lo ha lasciato dopo una sua violenta scenata di gelosia in occasione di una
cena con amici in un podere di campagna. Disperato, Eschine pensa di arruolarsi come
soldato mercenario: Tionico gli consiglia allora di mettersi al soldo del «migliore fra
tutti», Tolomeo Filadelfo, di cui tesse le lodi più sperticate (vv. 60 ss.: «... è persona
veramente eccellente/ saggio, amico delle Muse, incline all’amore, dolce oltremodo,/
conosce chi l’ama e ancor più chi non l’ama,/ è generoso con molti, non dice di no a chi
chiede,/ come conviene a un re»).
T. 5 di Adone.
epilli
A ltra manifestazione della produzione teocritea sono
gli epilli; l’Ila, i Dioscuri, l’Eracle bambino e, di
dubbia autenticità, le Lene o Baccanti oltre allo spurio
Eracle uccisore del leone nemeo.
L’Ila (Id. XIII) narra l’episodio, raccontato anche da Apollonio Rodio (Argo-
trama
nautiche I 1207 ss.), del rapimento da parte delle Ninfe del giovinetto amato da
Eracle.
Nei Dioscuri (Id. XXII) il proemio di tipo innodico è seguito da un dittico per cui
prima viene narrata la gara di pugilato di Polluce contro Amico, re dei Bebrici (an-
che per questo episodio è possibile un confronto con Apollonio Rodio, Argonauti-
che II 1-98), poi la vittoria di Castore su Linceo, che insieme col fratello Ida cercava
di riconquistare le Leucippidi, rapite dai Dioscuri.
L’Eracle bambino (Id. XXIV) riprende il mito narrato da Pindaro nella Nemea I:
le Ninfe sono colte da un impulso erotico collettivo e lo rapiscono tutte insieme, afferrandolo per la
mano. Ma, soprattutto, le Ninfe teocritee conservano tratti numinosi e terribili assenti in Apollonio, vv.
43-45:
In mezzo all’acqua le Ninfe intrecciavano un coro,/ le Ninfe insonni, le dee temibili per i campagnoli,/
Eunica, e Malide, e Nicea sguardo di primavera
così come, violando le leggi naturali, la voce di Ila implorante aiuto riesce per tre volte ad attraversare
magicamente lo spessore dell’acqua fino a raggiungere l’orecchio di Eracle, vv. 58-60:
“Ila!” tre volte gridò, con quanto fiato aveva in gola;/ tre volte il ragazzo rispose, ma tenue giunse la
voce/ dall’acqua; era vicino e pareva lontano.
Resta problematica la questione della priorità cronologica fra i due racconti: molti pensano a un’aemulatio
da parte di Teocrito condotta in stile callimacheo (e molto callimacheo [cfr. Ecale, fr. 18 Hollis] appare in
effetti la realistica descrizione di un tramonto, ai vv. 12 s., come l’ora in cui
«i pulcini guardano pigolando al loro nido,/ e la madre, intanto, scuote le ali sulla trave affumicata».
Nuova funzione
dell’intellettuale
e dell’arte
E spressione del nuovo rapporto fra l’intellettuale e la corte del tiranno o del
sovrano, gli encomi teocritei (in dialetto ionico-omerico con lieve patina do-
rica) riprendono da Pindaro il motivo della liberalità e della critica all’avarizia.
Ma ben diverso è l’orientamento. Nelle Cariti o Ierone (Id. XVI) Teocrito è
ancora il poeta squattrinato in cerca di un protettore, e in vista di questo obiet-
tivo sono sfruttati sia il motivo del potere dell’arte (un potere “commerciabi-
le”) di donare immortalità sia la prospettiva per cui Ierone potrebbe trovare
nel poeta un accorto consigliere politico, capace di indirizzare il suo regno a
una prosperità da conseguire in primo luogo con l’espulsione dei Cartaginesi
dall’area siracusana.
Epigrammi Generalmente convenzionali appaiono gli epigrammi (per lo più funerari o de-
e Carmi pederotici dicatori).
Una nuova forma di recupero della poesia del passato è invece realizzata nei
carmi XXIX-XXX, due canti d’amore per ragazzi (παιδικά) che anche nel dia-
letto rielaborano temi e stilemi della lirica lesbia, e specialmente di Alceo, ma
per i motivi anche dell’attuale secondo libro della Silloge teognidea. Si tratta di
un’operazione elegante ma piuttosto gelida nello sfruttamento dei topoi, nono-
stante qualche tratto più incisivo come, nel secondo carme, la vergogna di un uo-
mo già in là negli anni (come l’imputato dell’orazione Contro Simone di Lisia),
che rimprovera il proprio animo per la sua insana passione e si sente rispondere
argutamente dall’animo stesso che «chiunque pensi di vincere Amore/ artefice
d’inganni, ritiene di trovare facilmente/ quante volte nove sono gli astri sopra
noi» (Id. XXX 25-27 [tr. di B.M. Palumbo Stracca]).
l’arte di teocrito
Non solo rustica
et pastoralis C ome si può constatare dalla varietà della produzione presente nel corpus,
l’arte di Teocrito non si limita certo alla poesia rustica et pastoralis, elogiata
da Quintiliano in un passo famoso della Institutio Oratoria (X 1, 55), ma è pur
vero che soprattutto alla poesia bucolica deve la sua fama il poeta siracusano,
Il caldo paesaggio La campagna è colta da Teocrito nel manifestarsi del rigoglio dei frutti e delle
rurale… messi, fissata nel pieno dell’estate assolata, in cui l’ombra degli alberi, il mor-
390 TEOCRITO E LA TRADIZIONE BUCOLICA
morio delle fronde e lo scorrere delle acque offrono un locus amoenus ideale nel
quale l’uomo trova ristoro e conforto, come nell’Idillio VII (135 ss.):
In gran numero a noi sul capo stormivano
pioppi e olmi; e da presso risuonava
la sacra acqua sgorgante dall’antro delle Ninfe.
Sui rami ombrosi le cicale bruciate dal sole
frinivano senza riposo, e l’usignolo
gorgheggiava lontano, nei fitti spini dei rovi.
Cantavano le allodole e i cardellini, gemeva la tortora,
volteggiavano intorno alle fonti le bionde api.
Dappertutto un profumo di pingue raccolto,
dappertutto un profumo di frutti.
Pere ai nostri piedi, ai nostri fianchi mele
in grande quantità rotolavano, e si piegavano
i rami carichi di susine fino a terra.
…e le passioni In questo l’ambiente trovano espressione e sfogo le tensioni d’amore, tradotte nelle
amorose «popolari» forme del canto, in una tessitura nella quale l’elemento soggettivo della pulsione
erotica viene filtrato dal rappresentazione mimetica del mondo degli umili, con
incursioni nella cultura «popolare», che emerge dall’uso di quelle cantilene e dai
riferimenti a quei canti di lavoro di cui abbiamo sporadiche attestazioni letterarie
(ne riscontriamo tracce a partire dal XVIII libro dell’Iliade; cfr. anche la «canzone
al telaio» proposta da Saffo in fr. 102 Voigt, vol. I, pp. 523-24), ma che dovettero
essere largamente diffusi anche nella Grecia antica, specialmente nel quadro di
T. 2 attività svolte in cadenza da squadre di lavoratori (vedi Idillio X I mietitori).
Eros e «realismo» La pulsione erotica è rappresentata nella varietà delle sue manifestazioni, rivi-
sitata nella sua genesi e nel suo decorso, fino al prorompere quasi patologico
della passione. Il tormento d’amore è una «malattia» che accomuna molti per-
sonaggi degli Idilli, anche diversi fra di loro, come il goffo Polifemo dell’Idillio
T. 43 XI o la passionale Simeta dell’Idillio II: innamoramento e amore sono momenti
Teocrito e la tradizione bucolica
struggenti di un processo che vive del ricordo, nella ripresa del grande modello
di Saffo, rimeditato e filtrato da una sensibilità nuova. L’indagine intimistica si
manifesta infatti attraverso riferimenti a particolari inusuali della quotidianità,
che richiamano l’orizzonte di quel «piccolo mondo» borghese entro il quale si
svolge l’esperienza umana. E su tutto si delinea il valore consolatorio e catar-
tico della poesia, che consente di riconquistare la ἁσυχία attraverso il canto,
unico rimedio alla sofferenza, come esplicitamente affermato nell’idillio XI,
indirizzato da Teocrito a Nicia, l’amico medico e poeta.
L’orizzonte Specificità caratteristica della poesia teocritea, in particolar modo di quella mi-
del «realismo» metica, è l’opzione «realistica». Si tratta di un «realismo» del tutto particolare,
teocriteo
che sta tutto nell’impegno a riplasmare, coordinare, indirizzare situazioni ed ele-
menti desunti dalla sfera della vita quotidiana attraverso un linguaggio sorveglia-
to e duttile e in un metro, come l’esametro, legato al livello alto della tradizione
epica, ma senza che questa «traduzione» della vita soffochi l’esperienza vissuta:
I BUCOLICI MINORI 391
diversamente dai suoi epigoni, Teocrito usa la «letteratura» per selezionare e
organizzare, non certo per banalizzare il magma del reale.
Il mimo di Teocrito Un termine di confronto con il realismo dei mimi teocritei è in certa misura
e la Commedia Nuova offerto dalla Commedia Nuova, da cui tuttavia la produzione del poeta siracu-
sano diverge (oltre che per il metro) specialmente per una questione di tem-
pi: se in un dramma caratteri e situazioni potevano essere accennati, spesso
obliquamente, disseminando indicazioni sociologiche o spunti psicologici in
zone diverse dell’azione, il mimo deve bruciare tutte le sue risorse lungo un
percorso molto breve e molto intenso.
i bucolici minori
I l nuovo genere bucolico elaborato da Teocrito dovette incontrare larghi con-
sensi se ben presto, come già si è detto, furono composti alcuni carmi che gli
vennero attribuiti. Proprio nell’Idillio VIII, per esempio, è stato visto un primo
campione di manierismo teocriteo, con la stilizzazione di elementi che nel mo-
dello avevano ancora una funzione legata al contesto e alla struttura del singolo
componimento. Mosco e Bione riuscirono invece ad affermarsi autonomamente
entrando, naturalmente con Teocrito, a far parte del «canone» dei bucolici greci.
Mosco
M osco (Μόσχος) nacque a Siracusa e visse nella seconda metà del II secolo
a.C. Fu grammatico oltre che poeta: la Suda [μ 1278] riferisce che fu in stretti
rapporti con Aristarco di Samotracia.
Europa Importante è l’epillio in 166 esametri dal titolo Europa, che narra il ratto di Euro-
pa da parte di Zeus in sembianze di toro. Il tema era già noto all’Iliade e trattato
in componimenti perduti di Simonide e forse anche di Esiodo, di Stesicoro e di
Bacchilide, oltre ad aver costituito un soggetto prediletto dalle arti figurative.
Mosco riesce a vivacizzarlo con spunti presumibilmente inediti, come il sogno
premonitore che coglie Europa all’alba (vv. 8 ss.) o l’ekphrasis del canestro
stupendamente decorato (vv. 43 ss.) per il quale Europa si distingue dalle sue
ancelle quando si reca con loro a raccogliere fiori in riva al mare (un contesto
floreale che richiama alla memoria quello del ratto di Persefone da parte di
Aidoneo nell’inno omerico a Demetra); ma, soprattutto, affiorano in Mosco
392 TEOCRITO E LA TRADIZIONE BUCOLICA
tratti di arguzia maliziosa nella descrizione di Zeus-toro, a cui vengono para-
dossalmente attribuiti, nonostante l’animalesca natura, i requisiti tradizionali
del seduttore: un profumo soave, una voce dolce come il suono dell’aulo e un
atteggiamento così amabile e attraente che anche le compagne di Europa gli si
avvicinano, lo toccano e cercano di salirgli in groppa (vv. 89-92):
Ἤλυθε δ’ ἐς λειμῶνα καὶ οὐκ ἐφόβησε φαανθείς
90 παρθενικάς, πάσῃσι δ’ ἔρως γένετ’ ἐγγὺς ἱκέσθαι
ψαῦσαί θ’ ἱμερτοῖο βοὸς τοῦ τ’ ἄμβροτος ὀδμή
τηλόθι καὶ λειμῶνος ἐκαίνυτο λαρὸν ἀυτμήν.
E giunse sul prato e, apparso, non volse in fuga
90 le vergini, ma a tutte sorse brama di avvicinarsi
e di toccare il bove seducente, la cui divina fragranza
per largo tratto vinceva anche i soavi profumi del prato.
Frammenti Tre estratti citati da Stobeo ci hanno poi trasmesso frammenti su temi vari: la
contrapposizione tra le durezze della vita dei pescatori e le attrattive di quella del
contadino, esempi mitici atti ad illustrare il principio per cui bisogna amare solo
chi ci riama, l’amore del fiume Alfeo per la ninfa Aretusa.
Carmi spuri Infine, nel corpus dei bucolici vengono a torto attribuiti a Mosco altri due carmi:
l’Epitafio di Bione, caratterizzato da un’estrema ampollosità patetica, e l’epillio
Megara, in cui la moglie (donde il titolo) e la madre di Eracle (Alcmena) misu-
rano le rispettive ansie per la prolungata assenza dell’eroe.
bione
B ione (Βίων) di Flossa, presso Smirne, visse verso la fine del II secolo a.C.
e, a stare a un’allusione nel già ricordato Epitafio di Bione, sarebbe morto
Teocrito e la tradizione bucolica
avvelenato.
Frammenti… Oltre a 16 frammenti citati da Stobeo, che talora sembrano brevi carmi compiuti,
tratti da una raccolta indicata come Βουκολικά ma di contenuto per lo più eroti-
co, ci resta di lui un componimento dal titolo Epitafio per Adone, pervenutoci in-
tero e tramandato come anonimo in una parte dei codici teocritei: l’attribuzione a
Bione di questo carme è assicurata da allusioni contenute nell’Epitafio di Bione.
…Epitafio per Adone Nei 98 esametri che compongono questo poemetto Bione propone una serie di
quadri (il sonno di Afrodite ignara della morte dell’amato, Adone morto sui mon-
ti, la disperazione e il lamento della dea, la preparazione della salma), accordati a
un diffuso tono di lamento anche attraverso il ricorrere di un refrain che subisce,
comunque, ripetute variazioni. Per il contenuto, il colorito dorico e l’accurata
tecnica del verso Bione si rifà a Teocrito, ma, fin dalle prime lasse (vv. 1-28),
mostra un più insistito coinvolgimento patetico.
I BUCOLICI MINORI 393
Il carme inizia proponendosi come un vero epitafio, con una dichiarazione di lutto
incipitaria (αἰάζω), ma subito dopo, ai vv. 3-5, il poeta si rivolge ad Afrodite con una
serie incalzante di imperativi («non dormire più ... destati ... batti il petto...») perché
sia lei ad intonare il lamento per il giovinetto amato: «un appello diretto all’azione»
che «instaura subito il movimento mimetico con cui l’Epitafio di Adone cerca di
“mettere in scena” piuttosto che di narrare la morte di Adone» (M. Fantuzzi).
Αἰάζω τὸν Ἄδωνιν, «ἀπώλετο καλὸς Ἄδωνις»·
«ὤλετο καλὸς Ἄδωνις», ἐπαιάζουσιν Ἔρωτες.
Μηκέτι πορφυρέοις ἐνὶ φάρεσι Κύπρι κάθευδε·
ἔγρεο, δειλαία, κυανόστολα καὶ πλατάγησον
5 στήθεα καὶ λέγε πᾶσιν, «ἀπώλετο καλὸς Ἄδωνις».
Αἰάζω τὸν Ἄδωνιν· ἐπαιάζουσιν Ἔρωτες.
Κεῖται καλὸς Ἄδωνις ἐν ὤρεσι μηρὸν ὀδόντι,
λευκῷ λευκὸν ὀδόντι τυπείς, καὶ Κύπριν ἀνιῇ
λεπτὸν ἀποψύχων· τὸ δέ οἱ μέλαν εἴβεται αἷμα
10 χιονέας κατὰ σαρκός, ὑπ’ ὀφρύσι δ’ ὄμματα ναρκῇ,
καὶ τὸ ῥόδον φεύγει τῶ χείλεος· ἀμφὶ δὲ τήνῳ
θνᾴσκει καὶ τὸ φίλημα, τὸ μήποτε Κύπρις ἀποίσει.
Κύπριδι μὲν τὸ φίλημα καὶ οὐ ζώοντος ἀρέσκει,
ἀλλ’ οὐκ οἶδεν Ἄδωνις ὅ νιν θνᾴσκοντα φίλησεν.
15 Αἰάζω τὸν Ἄδωνιν· ἐπαιάζουσιν Ἔρωτες.
ἄγριον ἄγριον ἕλκος ἔχει κατὰ μηρὸν Ἄδωνις,
μεῖζον δ’ ἁ Κυθέρεια φέρει ποτικάρδιον ἕλκος.
τῆνον μὲν περὶ παῖδα φίλοι κύνες ὠρύονται
καὶ Νύμφαι κλαίουσιν Ὀρειάδες· ἁ δ’ Ἀφροδίτα
to fonosimbolico (αἰάζω «dico ahi ahi»), e questo effetto si i riccioli sciolti, gemiti e grida e soprattutto il bacio della dea
espande in un’onda sonora sostenuta dalla allitterazione quadri- al morto, non dissimile da quello che Properzio immaginerà di
membre, nel medesimo verso, di /a/ iniziale (αἰάζω, Ἄδωνιν, ricevere da Cinzia [II 13, 29]: osculaque in gelidis pones supre-
ἀπώλετο, Ἄδωνις); il primo emistichio del v. 2 ripete il secondo ma labellis «e deporrai gli ultimi baci sulle mie labbra gelide»),
del v. 1 ma con la variatio ἀπώλετο/ ὤλετο, mentre gli altri possiamo vedere in questo passo di Bione (ma le cose sostanzial-
due emistichi (αἰάζω τὸν Ἄδωνιν ed ἐπαιάζουσιν Ἔρωτες) mente non cambiano nel seguito del carme) un esempio fra i più
vengono riutilizzati per formare l’ἐπίφθεγμα o refrain dei vv. 6 e vistosi di spettacolo del pathos: un esito inquietante e senz’altro
15; al v. 7 κεῖται καλὸς Ἄδωνις appare variazione dell’ὤλετο riduttivo se ripensiamo a ciò che aveva significato l’esplorazione
καλὸς Ἄδωνις del v. 2; ai vv. 12 e 13 τὸ φίλημα («il bacio») della sofferenza nella grande poesia arcaica e classica e anche in
è collocato in identica posizione metrica; a principio di v. 16 Teocrito o in Apollonio; una manifestazione di «decadentismo»
ἄγριον risulta duplicato, e c’è sottile assonanza fra ἱερὸν αἷμα ante litteram, coi suoi limiti palesi di lusus virtuosistico ma pure
al v. 22 e μέλαν εἷμα al v. 25. con la coscienza che anche nell’arte c’è sempre un nuovo «oltre»
Chiaroscuri: Cipride si deve alzare da coltri purpuree e deve ve- verso cui tendere, con tutti i rischi e i piaceri del caso.
i carmi bucolici
T. 1 Idillio VII Simichida racconta in prima persona una passeggiata fuori città con due amici
(Talisie) per raggiungere la fattoria di un certo Frasidamo, un loro conoscente presso cui
si sta preparando la celebrazione delle Talisie, una festa in onore di Demetra in
occasione della mietitura. Durante il cammino i tre viandanti incontrano il capra-
io Licida, con cui intrecciano un dialogo scherzoso che ha il suo coronamento in
una gara di canto, a conclusione della quale, Licida, conquistato dalla bravura di
Simichida, dona al rivale il proprio bastone, a sigillo dell’incoronazione poetica.
I tre amici proseguono poi il cammino, in un ambientazione che richiama i tratti
del locus amoenus.
1. io ed Eucrito: fin dalle prime battute avvertiamo la ricerca di un effetto di verità anche nell’orientamento
enunciativo dell’idillio. Se infatti lo schema corrente nei carmi bucolici prevede per l’attacco o una
drammatizzazione in medias res, con l’immediato avvio di un dialogo (I, IV, V, X), o, alternativamente,
l’inserimento iniziale di un «io» narrante che funge da voce fuori campo (VI, VIII), qui la voce narrante
appartiene al personaggio centrale del racconto.
2. verso Alente: più che negli altri idilli bucolici, Teocrito si è qui preoccupato di localizzare la scena nello
spazio e nel tempo: la festa è organizzata da personaggi in vista dell’isola di Cos, a cui rimandano anche
toponimi come (v. 2) l’Alente (fiume o distretto che fosse), la fonte Burina (v. 6), il monte Oromedonte
(v. 46), il sepolcro di Brasila (v. 11); la stessa celebrazione festiva per il vaglio dell’orzo in onore di
Demetra non solo sembra definirsi, nel richiamo all’apprestamento di un banchetto per la dea (v. 32:
«offrono un banchetto per Demetra dal bel peplo»), come una teossenia (un tipo di festa in cui uno o più
dèi sono invitati a un banchetto comune coi mortali), ma appare puntualmente riconducibile, sulla base,
in particolare, del v. 143, alla tarda estate, la stagione del raccolto.
396 I CARMI BUCOLICI
Τᾷ Δηοῖ γὰρ ἔτευχε θαλύσια καὶ Φρασίδαμος
κἀντιγένης, δύο τέκνα Λυκωπέος, εἴ τί περ ἐσθλόν
5 χαῶν τῶν ἐπάνωθεν ἀπὸ Κλυτίας τε καὶ αὐτῶ
Χάλκωνος, Βούριναν ὃς ἐκ ποδὸς ἄνυε κράναν
εὖ ἐνερεισάμενος πέτρᾳ γόνυ· ταὶ δὲ παρ’ αὐτάν
αἴγειροι πτελέαι τε ἐύσκιον ἄλσος ὕφαινον
χλωροῖσιν πετάλοισι κατηρεφέες κομόωσαι.
10 Κοὔπω τὰν μεσάταν ὁδὸν ἄνυμες, οὐδὲ τὸ σᾶμα
ἁμῖν τὸ Βρασίλα κατεφαίνετο, καί τιν’ ὁδίταν
ἐσθλὸν σὺν Μοίσαισι Κυδωνικὸν εὕρομες ἄνδρα,
οὔνομα μὲν Λυκίδαν, ἦς δ’ αἰπόλος, οὐδέ κέ τίς νιν
ἠγνοίησεν ἰδών, ἐπεὶ αἰπόλῳ ἔξοχ’ ἐῴκει.
15 Ἐκ μὲν γὰρ λασίοιο δασύτριχος εἶχε τράγοιο
κνακὸν δέρμ’ ὤμοισι νέας ταμίσοιο ποτόσδον,
3. Deò: Demetra.
21. Simichida: già gli antichi ignoravano la ragione del soprannome Simichida attribuito all’«io» narrante,
nel quale comunque riconoscevano un riferimento di Teocrito a se stesso, al punto che l’anonimo autore
di una biografia teocritea (Scholia in Theocritum, p. 1 Wendel) riporta l’opinione secondo cui il poeta
sarebbe stato figlio di Simico (ma che suo padre si chiamasse Prassagora è attestato dalla Suda e soprat-
tutto da A.P. IX 434). Che nelle Talisie si debbano individuare riferimenti diretti al panorama culturale
del tempo è confermato da una serie di precisi riferimenti: l’Arato del canto di Simichida nominato al v.
102 trova riscontro (che si tratti o meno dell’autore dei Fenomeni) con l’Arato a cui è dedicato l’Idillio
VI; il Sicelida citato al v. 40 è plausibilmente identificabile con Asclepiade sulla base della notizia
secondo cui questi sarebbe stato così denominato anche da Callimaco (scolio al fr. 1 Pfeiffer); infine,
il Filita ricordato insieme con Sicelida/Asclepiade è senz’altro l’illustre grammatico-poeta nativo della
stessa Cos.
398 I CARMI BUCOLICI
41. come una rana con i grilli: professando sotto la maschera di Simichida la modestia di chi si sente
come «una rana in gara coi grilli» a confronto con Filita e con Asclepiade (vv. 39-41), Teocrito usa
la figura di un altro poeta – o comunque di un personaggio particolarmente autorevole – nascosto
sotto il nome di Licida per prendere posizione a favore della poesia breve e accuratamente cesellata
cara a Callimaco e contro gli «architetti» di ampi e ambiziosi poemi che, cercando di imitare Omero,
sembrano galli che schiamazzano (vv. 47 s.). Si è inoltre supposto da parte del Reitzenstein che la
menzione di Licida e di altri personaggi isolani implichi che esistesse a Cos una confraternita poetica
dedita a competizioni liriche tenute, almeno in origine, nel corso di adunanze festive del genere delle
Talisie.
Teocrito e la tradizione bucolica
l’investitura poetica
Ὣς ἐφάμαν ἐπίταδες· ὁ δ’ αἰπόλος ἁδὺ γελάσσας,
«τάν τοι», ἔφα, «κορύναν δωρύττομαι, οὕνεκεν ἐσσί
πᾶν ἐπ’ ἀλαθείᾳ πεπλασμένον ἐκ Διὸς ἔρνος.
45 Ὥς μοι καὶ τέκτων μέγ’ ἀπέχθεται ὅστις ἐρευνῇ
ἶσον ὄρευς κορυφᾷ τελέσαι δόμον Ὠρομέδοντος,
53. quando, con i Capretti al tramonto: questa e le successive indicazioni mitico-astronomiche stanno a
teocrito-Simichida
Che a Cos fervesse, sulla scia della produzione di Filita, un’in- mento, come osservava Gow, lascia un certo senso di enigma:
tensa attività culturale improntata a un vivace sperimentali- proprio il personaggio rifondatore del genere bucolico (Simi-
smo è, al di là della questione dell’esistenza di un vero circolo chida/Teocrito) non si presenta in principio con connotati di
comunitario, più che possibile; che dietro Simichida (anche rusticità, bensì come un borghese che si reca alla fattoria di
fonicamente comparabile con l’epiteto/maschera di Sicelida) una stimata famiglia di Cos (quella di Frasidamo e Antigene)
Teocrito alludesse a se stesso è quanto mai probabile, ed ine- per partecipare a una festa locale. Inoltre il canto che egli in-
quivocabilmente callimachee suonano la rivendicazione della tona in gara con Licida (sulla passione dell’amico Arato per
brevità elegante (la λεπτότης) e la polemica contro i piatti Filino) mostra un’ambientazione entro il contesto cittadino in
ripetitori di Omero. Tuttavia corriamo il rischio di una lettu- cui Simichida è solito vivere (egli dichiara di provenire dalla
ra banalizzante delle Talisie se pretendiamo di identificare ad città, ἐκ πόλιος, v. 2). Ma lo stesso Simichida, al momento di
ogni costo con un personaggio reale ogni figura non mitica che introdurre questo suo canto (vv. 91 ss.), dice che esso è di gran
vi risulti nominata, e se le trattiamo alla stregua di un manife- lunga il migliore fra quelli che gli insegnarono le Ninfe mentre
sto programmatico, senza tener conto dell’effetto d’insieme e, pascolava sui monti (ἀν᾽ ὤρεα βουκολέοντα, v. 92), quasi a
soprattutto, del gioco di allusioni che, da tipico alessandrino, confondere volutamente il lettore separando il Simichida per-
il poeta vi conduce. sonaggio del presente e il Simichida compositore, nel passato,
Già nella distribuzione dei ruoli dei personaggi il componi- di canzoni ispirate dalle voci arcane dello scenario pastorale.
IDILLIO X (I MIETITORI) 403
il possente Polifemo, che con le rupi tentava di colpire le navi,
fu persuaso a danzare nell’antro da un tal nettare,
quale è la bevanda che allora temperaste, o Ninfe,
155 presso l’altare di Demetra protettrice dell’aia? Sul suo mucchio
possa io piantare di nuovo la grande pala, ed ella sorrida
tenendo nelle mani spighe e papaveri.
[Tr. di B.M. Palumbo Stracca]
T. 2 Idillio X Non è solo l’ambientazione contadina, dove il lavoro ha tempi e misure più defi-
( mietitori)
(I niti e serrati (senza le soste e gli ampi ristori del mestiere di pastore), a differen-
ziare dagli altri questo idillio: essenziale è anche il fatto che il contrasto, anche
aspro, fra i due dialoganti non si inquadra in una tenzone canora ma si prospetta
come opposizione fra la piena dedizione dell’uno all’opera di mietitura e lo sten-
to dell’altro nel seguire il filare e nel tenere il passo del vicino. Inoltre il canto
sembra pensato come un duetto che si svolge all’interno di un più ampio gruppo
di lavoranti, in un contesto collettivo che legittima l’inserzione, a mo’ di coda del
carme, che rappresenta la mimesi di uno di quei canti di lavoro, attestati fin dal
libro XVIII dell’Iliade (vv. 569 ss.: in mezzo ai vendemmiatori un ragazzo intona,
accompagnandosi con la cetra, un canto detto «lino»). Per quanto assai sporadi-
che siano le attestazioni a noi pervenute di questa forme (ricordiamo la canzone
al telaio di Saffo, fr. 102 Voigt, o quella per la mietitura dell’orzo testimoniato
da Ateneo XIV 618d [849 PMG]), sembra, però, che dovessero essere largamente
diffusi anche nella Grecia antica, specialmente nel quadro di attività svolte in
cadenza da squadre di lavoratori.
11. il cane prova gusto di budella: forse si allude alla credenza secondo cui la cagna che ha appena partorito
mangia la placenta e può finire per divorare anche i suoi piccoli.
404 I CARMI BUCOLICI
15 BUCEO La figlia di Polibota,
quella che l’altro giorno da Ippocione suonava l’aulo per i mietitori.
MILONE Il dio ha trovato il colpevole; hai quello che da tempo bramavi:
una cavalletta che ti si strofinerà addosso la notte.
BUCEO Tu mi prendi in giro, ma non è cieco soltanto Pluto,
20 lo è anche Eros dissennato. Non darti arie!
MILONE Io non mi do arie; tu piuttosto, abbatti la messe,
e leva un canto d’amore per la ragazza; più dolcemente così
lavorerai; eri un buon cantore un tempo.
BUCEO Muse Pieridi, cantate con me la flessuosa
25 ragazza; tutto quel che toccate, o dee, lo fate bello.
Incantevole Bombica, tutti ti chiamano Sira,
ti dicono rinsecchita, bruciata dal sole; io color di miele.
Anche la viola e il giacinto screziato sono scuri,
ma nelle ghirlande per primi sono scelti.
30 La capra cerca il citiso, il lupo la capra,
la gru l’aratro, e io sono pazzo di te.
Oh, se avessi le ricchezze che si dice avesse Creso un tempo!
Ad Afrodite entrambi saremmo dedicati in oro,
tu con l’aulo e una rosa o un pomo,
35 io con vestito e calzari nuovi ai piedi.
Incantevole Bombica, i tuoi piedi sono astragali,
la tua voce è il tricno che inebria, i tuoi modi... non sono capace di dirli.
MILONE Certo non sapevo che Buceo componesse canzoni così belle!
E come ad arte ha misurato la forma dell’armonia!
40 Ahimè, la mia barba che ho fatto crescere invano!
Suvvia, considera anche questa canzone del divino Litierse.
O Demetra dai molti frutti e dalle molte spighe, fa’ che questa messe
sia ben lavorata e feconda oltremisura.
Legatori, serrate i mannelli, che nessuno passando
45 dica: «Buoni a nulla, anche questo salario è perduto».
Teocrito e la tradizione bucolica
31. la gru l’aratro: cercando insetti nella terra smossa dal vomere.
55. spaccando il cumino!: segno iperbolico di avarizia. I semi del cumino erano usati con funzione aroma-
tica.
IDILLIO XI (IL CICLOPE) 405
Queste cose deve cantare chi fatica al sole;
il tuo amore affamato, Buceo, raccontalo
a tua madre, quando sta sveglia nel letto al mattino.
[Tr. di B.M. Palumbo Stracca]
T. 3 Idillio XI Costruito in forma di epistola indirizzata all’amico Nicia, l’idillio Il Ciclope rievo-
(Il Ciclope) ca, come l’idillio VI (I cantori), l’amore del ciclope Polifemo per la ninfa Galatea:
l’essere brutale rappresentato nel IX canto
Un voluttuoso abbraccio
di Polifemo e Galatea; non dell’Odissea qui è raffigurato come un giovane
mancano altri segni «buco- poeta-pastore dal cuore gentile, che tenta in-
lici»: un montone, una si-
ringa e un verga da pastore. vano con il suo canto di attrarre a sé la ninfa
Frammento di pittura mura- bella e ritrosa. «La sua serenata è un saggio
1 Οὐδέν … ἄλλο: «nessun altro far- lui l’Antologia Palatina conserva nove epi- ma non è facile da trovare». Si fa riferimen-
maco esiste contro l’amore». - ποττόν: grammi. - οὔτ᾽ ἔγχριστον … οὔτ᾽ ἐπί- to al φάρμακον della poesia.
forma dorica per πρὸς τόν. - πεφύκει: παστον: «né unguento (aggettivo verbale
«si trova in natura, esiste»; da φύω, è un da ἐγχρίω, ungo), né polvere (aggettivo 5-6 Γινώσκειν … Μοίσαις: «penso
perfetto con desinenza del presente, ca- verbale da ἐπισπάσσω, cospargo)». I due lo sappia bene tu che sei medico e straordi-
ratteristico del dialetto dorico siracusano aggettivi verbali hanno valore attributivo, nariamente amato dalle nove Muse». - Γι-
e frequente in Teocrito. - φάρμακον: la per precisare il generico φάρμακον. - νώσκειν: dipende da οἶμαι. - τυ: forma
cura della malattia d’amore è un tema fre- ἐμίν: forma dorica per ἐμοί. dorica del pronome di seconda persona
quente nella precettistica poetica e nella singolare, equivalente a συ e a σε: qui è
riflessione filosofica ellenistica. Secondo 3 ἢ ταὶ Πιερίδες: secondo termine di accusativo. - πεφιλημένον: da φιλέω,
una testimonianza antica, modello di Teo- paragone rispetto a οὐδὲν φάρμακον ἄλλο participio perfetto. - ἔξοχα: forma avver-
crito è un ditirambo di Filosseno di Citera, del v. 1: «nessun altro farmaco… che le biale dall’aggettivo ἔξοχος, «eccellente».
nel quale il Ciclope invita i delfini ad an- Pieridi». Al male d’amore possono offrire - Μοίσαις (= Μούσαις): dativo d’agente.
nunciare a Galatea ὅτι ταῖς Μούσαις τὸν rimedio solo le Muse, chiamate Pieridi per-
ἔρωτα ἀκεῖται «che egli cura le ferite ché nate nella Pieria, una regione della Ma- 7-9 Οὕτω γοῦν … κροτάφως τε:
d’amore con le Muse» (Scolio a Teocrito cedonia, presso l’Olimpo (secondo un’altra «Così almeno viveva (= διῆγε) nel migliore
XI 1). versione, a noi testimoniata da Pausania, dei modi il Ciclope nostro conterraneo, l’an-
Periegesi della Grecia IX 3, trarrebbero il tico Polifemo, quando era innamorato di Ga-
2 Νικία: dedicatario dell’idillio è Nicia nome da Pieros, l’eroe che avrebbe instau- latea, mentre da poco gli spuntava la barba
di Mileto, medico e poeta, amico di Teocri- rato per primo il loro culto a Tespie, in Be- intorno alla bocca e sulle tempie». - ὁ παρ᾽
to. Il suo nome compare anche nell’Idillio ozia). - κοῦφον … ἐστι: «cosa leggera è ἁμῖν (= ἡμῖν): letteralmente: «quello vicino
XIII, nel XXVII e nell’epigramma VIII. Di questa e dolce (ἁδύ = ἡδύ) per gli uomini, a noi». Una tradizione consolidata a partire
Fortuna letteraria
L’idillio di Teocrito deve avere goduto fin dall’antichità di grande rinomanza, come dimostra la ripresa
allusiva operata da Callimaco nell’epigramma 46 (Antologia Palatina XII 150), un vero e proprio «omaggio
reso al Ciclope di Teocrito» (A. Hauvette):
Teocrito e la tradizione bucolica
Sul valore «farmacologico» del canto contro il dolore, segnatamente amoroso, si veda anche Bione, fr. 3
Gow:
«Eros inviti le Muse, le Muse portino Eros.
A me, che sempre lo desidero, le Muse concedano il canto,
il dolce canto: medicina più piacevole non c’è».
[Tr. di O. Vox]
IDILLIO XI (IL CICLOPE) 407
ὡρχαῖος Πολύφαμος, ὅκ’ ἤρατο τᾶς Γαλατείας,
ἄρτι γενειάσδων περὶ τὸ στόμα τὼς κροτάφως τε.
10 Ἤρατο δ’ οὐ μάλοις οὐδὲ ῥόδῳ οὐδὲ κικίννοις,
ἀλλ’ ὀρθαῖς μανίαις, ἁγεῖτο δὲ πάντα πάρεργα.
Πολλάκι ταὶ ὄιες ποτὶ τωὔλιον αὐταὶ ἀπῆνθον
χλωρᾶς ἐκ βοτάνας· ὃ δὲ τὰν Γαλάτειαν ἀείδων
αὐτὸς ἐπ’ ἀιόνος κατετάκετο φυκιοέσσας
15 ἐξ ἀοῦς, ἔχθιστον ἔχων ὑποκάρδιον ἕλκος,
Κύπριδος ἐκ μεγάλας τό οἱ ἥπατι πᾶξε βέλεμνον.
Ἀλλὰ τὸ φάρμακον εὗρε, καθεζόμενος δ’ ἐπὶ πέτρας
ὑψηλᾶς ἐς πόντον ὁρῶν ἄειδε τοιαῦτα·
da Euripide colloca la residenza di Polife- σμησαν διακρίνοντες τὰς κόμας «talora mente poetico, frequente nell’epos. - φυ-
mo in Sicilia, ai piedi dell’Etna; per questo si lanciavano mele l’uno all’altra e si orna- κιοέσσας: cfr. Omero, Iliade XXIII 693
viene indicato come conterraneo di Teocrito vano la testa, pettinando i capelli». - ὀρθαῖς θίν᾽ ἐν φυκιόεντι «sulla spiaggia coperta
e dell’amico Nicia. - ὡρχαῖος: crasi per ὁ μανίαις: espressione ossimorica, che ri- di alghe». - ἐξ ἀοῦς: genitivo di ἀώς, for-
ἀρχαῖος. - Πολύφαμος: il nome del Ciclo- chiama, per opposizione, ὀρθαὶ φρένες, ma dorica per ἠώς. - ὑποκάρδιον: predi-
pe (= Πολύφημος, con vocalismo dorico) «la mente sana» (Pindaro, Olimpica 7, 91; cativo di ἔχθιστον … ἕλκος. L’aggettivo
significa etimologicamente «molto famoso, Sofocle, Edipo Re 528 ἐξ ὀρθῆς φρενός). ὑποκάρδιος non è testimoniato prima di
rinomato», composto con πολυ- e il tema Viene ripresa, in altro significato, da Eliano, Teocrito. La posizione del dolore d’amore
-φα- del verbo φημί. - ὅκ(α): «quando»; La natura degli animali XI 32, 9 ἔκφρων «sotto il cuore» ricorda Archiloco, fr. 191,
dorico per ὅτε. - Γαλατείας: Galatea è γενόμενος ἔς τε ὀρθὴν μανίαν καὶ ὡς τὰ 1 West τοῖος φιλότητος ἔρως ὑπὸ καρ-
una Nereide, ninfa marina figlia di Nereo e μάλιστα ἰσχυρὰν ἐκφοιτᾷ «va fuori di δίην ἐλυσθείς «un tale desiderio di amore,
di Doride (Esiodo, Teogonia 250). - γενει- senno e piomba in uno stato di autentica e avvinghiatosi sotto il cuore». - ἥπατι: re-
άσδων: dorico per γενειάζων, verbo deno- per lo più violenta follia». - ἁγεῖτο: forma miniscenza di Odissea XXII 83 ἐν δέ οἱ
minativo di γενειάς «barba». - τὼς κρο- dorica per ἡγεῖτο (ἡγέομαι). ἥπατι πῆξε θοὸν βέλος «gli conficcò un
τάφως: forma dorica per τοὺς κροτάφους. rapido dardo nel fegato», con spostamento
12-16 Πολλάκι ταὶ ὄϊες … πᾶξε di senso al piano traslato. Non frequente,
10-11 Ἤρατο δ᾽ οὐ μάλοις … πά- βέλεμνον: «Spesso le pecore tornavano ma ben attestata, è la rappresentazione del
ντα πάρεργα: «Dimostrava il suo amore all’ovile da sole dal verde pascolo e lui (ὃ fegato come sede delle passioni: cfr. Eschi-
non con mele, né con rose, né con riccioli, δέ), cantando Galatea, da solo (αὐτός) lo, Agamennone 432 πολλὰ γοῦν θιγγά-
ma con un’autentica follia d’amore e rite- si struggeva sulla riva coperta di alghe νει πρὸς ἧπαρ «molti dolori toccano nel
neva secondario tutto il resto». Mele, rose dall’alba, con una orrenda ferita nel pro- profondo» [tr. di E. Medda]; Teocrito XIII
e riccioli di capelli alludono al rituale del fondo del cuore, ferita (τό ha valore di 71 χαλεπὸς γὰρ ἔσω θεὸς ἧπαρ ἄμυσ-
corteggiamento. Non si può escludere che, pronome relativo e riprende ἕλκος) che un σεν «un dio crudele, dentro, gli lacerava il
dietro il rifiuto di questi orpelli esteriori, sia dardo proveniente dalla grande Cipride gli fegato»; ecc. - πᾶξε: forma dorica, senza
19-21 Ὦ λευκά … ὄμφακος ὠμᾶς: al neosofista Luciano lo spunto per un gu- per ὠμῆς): da ὠμός, «crudo» o, detto di
«Bianca Galatea, perché respingi chi ti stoso spunto parodistico: Dialoghi marini frutti, «non maturo». L’aggettivo rafforza
ama, più candida di una caciotta a veder- 1, 2 (è la ninfa Doride che parla a Galatea) il senso del sostantivo, in quanto ὄμφαξ
si, più tenera di un agnellino, più fiera di «Del resto, (scil. Polifemo) che altro pote- indica comunemente il grappolo d’uva an-
una vitella, più liscia dell’uva acerba?». va elogiare in te, se non la bianchezza? E cora acerba: cfr. [Zonara] ὄμφαξ· ἡ ὠμὴ
- πακτᾶς: forma dorica per πηκτῆς. questo, penso, perché è abituato al formag- σταφυλή. Teocrito propone l’immagine
È secondo termine di paragone, come i gio e al latte: ritiene belle, dunque, tutto ciò dell’uva acerba in senso positivo, in contra-
successivi genitivi. L’uso sostantivato che vi assomiglia». - μόσχω: genitivo do- sto con la tradizione precedente: Alceo, fr.
dell’aggettivo πηκτός (da πήγνυμι «rap- rico, per μόσχου. - γαυροτέρα: Ovidio, 119, 15-16 Voigt τά]ρβημμι μὴ δρόπ[ω]
prendere»), per indicare «formaggio fre- Metamorfosi 798 saevior indomitis eadem σιν αὔταις/ ὄμφ]ακας ὠμοτέραις ἐοί-
sco», è una novità di Teocrito. - ποτιδεῖν Galatea iuvencis. - φιαρωτέρα: compa- σαις «temo che li colgano acerbi, quando
(dorico per προσιδεῖν): è infinito aoristo rativo di φιαρός «luminoso» ovvero, detto ancora sono aspri» [tr. di A. Porro]. La ri-
con valore consecutivo. Cfr. Ovidio, Me- di persone: «liscio, fiorente». Si tratta di un presa allusiva di Ovidio attua una norma-
tamorfosi XIII 796 mollior… lacte coacto. aggettivo di uso raro e non attestato prima lizzazione: Metamorfosi XIII 795: matura
L’insistenza sul concetto del candore offre di Callimaco. - ὄμφακος ὠμᾶς (dorico dulcior uva.
et, si non fugias, riguo formosior horto; vecchia quercia, più infida dell’onda, più sgusciante dei virgulti di salice
Saevior indomitis eadem Galatea iuvencis, e della vitalba, più insensibile di questi scogli, più impetuosa del fiume,
durior annosa quercu, fallacior undis, più superba del pavone che si sente ammirato, più scottante del fuoco, più
lentior et salicis virgis et vitibus albis, ruvida di un roveto, più ringhiosa dell’orsa che allatta, più sorda dei ca-
his inmobilior scopulis, violentior amne, valloni, più crudele del serpente pestato, e, cosa che più di ogni altra vorrei
laudato pavone superbior, acrior igni, poterti togliere, più veloce, quando scappi, non soltanto del cervo incalzato
asperior tribulis, feta truculentior ursa, da squillanti latrati, ma anche del vento e della brezza svolazzante!
surdior aequoribus, calcato inmitior hydro, Eppure, se mi conoscessi un po’ meglio smetteresti di fuggirmi e pentita
et, quod praecipue vellem tibi demere possem, rimprovereresti te stessa per il tempo perduto e faresti di tutto per legarmi
non tantum cervo claris latratibus acto, a te. Io ho delle grotte – una fetta di monte – con la volta di roccia viva,
verum etiam ventis volucrique fugacior aura, dove né il sole si sente, quando fuori c’è canicola, né si sente l’inverno. Ho
(at bene si noris, pigeat fugisse, morasque frutteti dai rami stracarichi, ho uva che sembra d’oro, sui lunghi tralci, e
ipsa tuas damnes et me retinere labores) ho anche uva porporina: sia questa che quella, la serbo per te.
sunt mihi, pars montis, vivo pendentia saxo [Tr. di P. Bernardini Marzolla]
antra, quibus nec sol medio sentitur in aestu,
nec sentitur hiems; sunt poma gravantia ramos,
sunt auro similes longis in vitibus uvae,
sunt et purpureae: tibi et has servamus et illas.
IDILLIO XI (IL CICLOPE) 409
Φοιτῇς δ’ αὖθ’ οὕτως ὅκκα γλυκὺς ὕπνος ἔχῃ με,
οἴχῃ δ’ εὐθὺς ἰοῖσ’ ὅκκα γλυκὺς ὕπνος ἀνῇ με,
φεύγεις δ’ ὥσπερ ὄις πολιὸν λύκον ἀθρήσασα;
25 Ἠράσθην μὲν ἔγωγε τεοῦς, κόρα, ἁνίκα πρᾶτον
ἦνθες ἐμᾷ σὺν ματρὶ θέλοισ’ ὑακίνθινα φύλλα
ἐξ ὄρεος δρέψασθαι, ἐγὼ δ’ ὁδὸν ἁγεμόνευον.
Παύσασθαι δ’ ἐσιδών τυ καὶ ὕστερον οὐδ’ ἔτι πᾳ νῦν
ἐκ τήνω δύναμαι· τὶν δ’ οὐ μέλει, οὐ μὰ Δί’ οὐδέν.
30 Γινώσκω, χαρίεσσα κόρα, τίνος οὕνεκα φεύγεις·
οὕνεκά μοι λασία μὲν ὀφρὺς ἐπὶ παντὶ μετώπῳ
ἐξ ὠτὸς τέταται ποτὶ θώτερον ὦς μία μακρά,
εἷς δ’ ὀφθαλμὸς ὕπεστι, πλατεῖα δὲ ῥὶς ἐπὶ χείλει.
22-24 Φοιτῇς δ᾽ αὖθ᾽ οὕτως … fra Zeus ed Era). - ἁγεμόνευον: imper- l’epigrammista Dioscoride – invece – le
λύκον ἀθρήσασα;: «(Come mai) vieni fetto da ἡγεμονεύω. Cfr. Odissea VII 30 sopracciglia folte costituiscono un com-
subito, così, non appena il dolce sonno mi ἐγὼ δ᾽ ὁδὸν ἡγεμονεύσω. Si confronti il plemento alla bellezza femminile: Anto-
prende, te ne vai subito quando il sonno parallelo virgiliano: Bucolica VIII 37-38 logia Palatina V 56, 3 γλῆναι λασίαισιν
mi lascia; mi fuggi come una pecora che Saepibus in nostris parvam te roscida ma- ὑπ᾽ ὀφρύσιν ἀστράπτουσαι «pupille
ha visto un lupo grigio?». Questa e le frasi la/ (dux ego vester eram) vidi cum matre raggianti sotto folti sopraccigli». - ποτὶ
successive costituiscono un’espansione legentem «ti ho visto, quando eri bambi- θώτερον: πρὸς τὸ ἕτερον. - μία μα-
dell’interrogativa del v. 19 e implica- na, cogliere con tua madre mele rugiadose κρά: «uno solo, enorme»: i due aggettivi
no il sottinteso τί. - αὖθ(ι): equivale da sulle nostre siepi (ero io che vi guidavo)». determinano comicamente la mostruosità
αὐτίκα «subito» e si lega con ὅκκα e il del sopracciglio. Questo segno di defor-
congiuntivo, per esprimere il ripetersi di 28-29 Παύσασθαι … οὐ μὰ Δί᾽ mità viene ripreso da Filostrato il Gio-
un’azione («ogni volta che»). - γλυκὺς οὐδέν: «Da quel momento, dopo averti vi- vane, nella descrizione del dio marino
ὕπνος: nesso di sapore formulare, fre- sta, non posso più smettere (di amarti), ma Proteo: Immagini II 15, 5 ὀφρῦς λάσιαι,
quente in Omero e nell’epica tarda. - οἴχῃ a te, per Zeus, non interessa proprio nien- συνάπτουσαι πρὸς ἀλλήλας οἷον μία
… ἰοῖσ(α): il participio di εἶμι (ἰοῖσα è te». - τυ: accusativo dorico del pronome «folte sopracciglia, che si uniscono tra lo-
forma eolica per ἰοῦσα), è ridondante e di seconda persona: sta per σε. - οὐδ᾽ ἔτι ro come se fossero una sola». Altrove, pe-
può essere omesso. - ἀνῇ: cfr. Iliade II 71 πᾳ νῦν … δύναμαι: «non posso ancora» rò, i sopraccigli folti, uniti quasi a formar-
ἐμὲ δὲ γλυκὺς ὕπνος ἀνῆκεν, ecc. - πο- l’espressione è piuttosto ridondante; πᾳ è ne uno solo, sono indicativi di una bellez-
λιὸν λύκον: l’epiteto πολιός «canuto» forma dorica per πῃ, particella che raffor- za eroica: nella descrizione di un giovane
riferito al lupo è di matrice epica (attestato za la negazione. - ἐκ τήνω: forma dorica di belle promesse, così si esprime Filo-
in Omero, negli Inni omerici e, in età el- per ἐξ ἐκείνου (sott. χρόνου): «da quel strato, Vite dei Sofisti II 552: τῶν ὀφρύ-
lenistica, nelle Argonautiche di Apollonio momento». Rafforza ὕστερον, con ulte- ων λασίως ἔχειν, ἃς καὶ ξυμβάλλειν
34-37 Ἀλλ᾽ οὗτος … ὑπεραχθέες rio Odisseo» (O. Vox). - ἐπίσταμαι: di siracusano, per ἀφικοῦ, imperativo aoristo
αἰεί: «Ma anche essendo così, pascolo mi- questa presupposta abilità musicale si fa di ἀφικνέομαι. - ἑξεῖς οὐδὲν ἔλασσον:
gliaia di pecore e, mungendole, da queste beffe la ninfa Doride nel dialogo già ci- locuzione idiomatica, che letteralmente si-
bevo il latte migliore; il formaggio non mi tato di Luciano: Dialoghi marini 1, 4 «lo gnifica «non avrai meno» (sott. «di quanto
manca né in estate, né in autunno, né in abbiamo sentito cantare, quando giorni fa meriti»); ἑξεῖς è forma dorica del futuro
pieno inverno; i graticci sono sempre so- ti ha fatto la serenata. Afrodite cara, sem- di ἔχω. - γλαυκάν: l’aggettivo γλαυκός
vraccarichi». - ἐών: participio di εἰμί, con brava che ragliasse un asino!». - τίν: sta indica una tonalità fra il verde-azzurro e
valore concessivo. - χίλια: il numerale per σε. - γλυκύμαλον: si trova solo qui il grigio-azzurro e comprende anche la
indica genericamente una cifra iperboli- e in Saffo, nella famosa similitudine fra nozione dello splendore. - ἔα: imperativo
ca. Si veda la ripresa operata da Virgilio, una mela cotogna e una ragazza arrivata di ἐάω. - ὀρεχθεῖν: ὀρεχθέω è un verbo
Bucolica II 21 mille meae Siculis errant tardi alle nozze (fr. 105a Voigt). - ἁμᾷ: di uso esclusivamente poetico, soprattutto
in montibus agnae. - κἠκ: crasi per καὶ forma dorica per ἅμα. - κἠμαυτόν: crasi epico. Il suo significato, incerto, probabil-
ἐκ. - ἀμελγόμενος: anche in Odissea, per καὶ ἐμαυτόν. - ἀωρί: l’avverbio, da mente indica il rantolare (detto di animali
Polifemo è presentato mentre munge le sue ἄωρος «intempestivo», regge il genitivo morenti), da cui derivano il significato di
greggi: IX 237-238 «poi egli spinse nella νυκτός. - Τράφω: dorico per τρέφω. - «mugghiare» del mare e quello di «palpita-
spelonca le pingui greggi, tutti gli animali τοι: forma dorica per σοι. - ἔνδεκα: a re» del cuore. Il verso viene parafrasato da
che egli mungeva». - οὔτ᾽ ἐν θέρει οὔτ᾽ meno che non si tratti di pura coincidenza, Virgilio, Bucolica IX 43 huc ades, insani
ἐν ὀπώρᾳ: clausola omerica presente in il numero undici contiene un’allusione al- feriant sine litora fluctus. - ἅδιον: dorico
Odissea XII 76. Suggestiva la ripresa virgi- le greggi di Odisseo, elencate da Eumeo per ἥδιον, comparativo dell’avverbio. - ἐν
liana, Bucolica II 22 lacte mihi non aestate nel catalogo dei beni del suo padrone in τὤντρῳ: crasi per ἐν τῷ ἄντρῳ. - παρ᾽
novum, non frigore defit. - ἄκρω: genitivo Odissea XIV «qui, nella parte estrema, ἐμίν: dorico per παρ᾽ ἐμοί. - διαξεῖς: fu-
Teocrito e la tradizione bucolica
dorico (complemento di tempo determina- pascolano greggi copiose di capre, undi- turo dorico di διάγω.
to) per ἄκρου. - ταρσοί: cfr. Odissea IX ci in tutto, e le guardano validi uomini»
219 ταρσοὶ μὲν τυρῶν βρῖθον «i graticci [tr. di A. Privitera]. - νεβρώς: dorico per 45-48 Ἐντὶ δάφναι … ἀμβρόσιον
erano carichi di formaggi». - ὑπεραχθέ- νεβρούς. - μαννοφόρως: «che portano il προΐητι: «Lì ci sono allori, vi sono snelli
ες: forma non contratta per ὑπεραχθεῖς, collare», accusativo dorico per μαννοφό- cipressi, c’è scura edera, c’è la vite dai dolci
da ὑπεραχθής «molto pesante» (da ὑπέρ ρους, hapax teocriteo. - σκύμνως: accu- frutti, c’è fresca acqua, che mi invia l’Etna
e ἄχθος); aggettivo superlativo coniato da sativo dorico per σκύμνους. - ἄρκτων: folta di boschi dalla candida neve, bevanda
Teocrito e usato poi di rado solo nella tarda gli orsi sono comunemente associati agli divina». - ἐντί: dorico per εἰσί. - τηνεί:
epica. animali selvatici, es. Inno ad Ermes 222- dorico per ἐκεῖ. - γλυκύκαρπος: «dai
23 «queste non sono impronte di uomo né dolci frutti» è un hapax. Nella descrizio-
38-41 Σ υ ρ ί σ δ ε ν … τ έ σ σ α ρ α ς di donna, né di lupi grigi, né di orsi, né di ne della propria grotta, il ciclope inserisce
ἄρκτων: «So suonare la zampogna (συ- leoni». Allevarli è una pratica di assoluta elementi tipici dell’idealizzazione idillia-
ρίσδεν = συρίζειν) così come nessuno eccezionalità, indizio della natura ferina – ca: la presenza di una vegetazione lussu-
tra i Ciclopi, cantando te, o mia cara dolce seppure ingentilita – che Polifemo dimo- reggiante e varia, la freschezza offerta da
mela cotogna, e insieme me stesso, spesso stra anche in giovinezza. un corso di acqua gelida. Richiama la de-
a notte fonda. E per te allevo undici cer- scrizione dell’antro di Calipso in Odissea
biatte, tutte con il loro collare, e quattro 42-44 Ἀλλ᾽ ἀφίκευσο … τὰν νύ- V 63-64: «un bosco rigoglioso cresceva
cuccioli di orso». - οὔτις: nel vantare le κτα διαξεῖς: «Ma vieni qui presso di me, intorno alla grotta: l’ontano, il pioppo e
proprie capacità musicali, «Polifemo la- e non ci perderai lascia che il mare grigio il cipresso odoroso» e 68-70 «attorno alla
scia cadere inavvertitamente il fatale pro- si franga contro la riva: nella grotta da me grotta profonda, s’allungava vigorosa una
nome “nessuno” (οὔτις), lo pseudonimo passerai la notte più piacevolmente». - vite, ed era fiorita di grappoli. Quattro
dietro cui si nascondeva il fatale avversa- ἀφίκευσο: è una forma del dialetto dorico fonti sgorgavano in fila con limpida ac-
IDILLIO XI (IL CICLOPE) 411
ἔστι ψυχρὸν ὕδωρ, τό μοι ἁ πολυδένδρεος Αἴτνα
λευκᾶς ἐκ χιόνος ποτὸν ἀμβρόσιον προΐητι.
Τίς κα τῶνδε θάλασσαν ἔχειν καὶ κύμαθ’ ἕλοιτο;
qua» [tr. di A. Privitera]. - πολυδένδρε- dorica della terza persona singolare, per terra e mare, secondo quello che sembra
ος: epiteto già omerico. All’abbondante προΐησι. topos della tradizione siracusana, a giudi-
vegetazione dell’Etna fa riferimento care perlomeno da alcuni titoli a noi per-
anche Pindaro, Pitiche I, 27 Αἴτνας ἐν 49 Τίς κα τῶνδε … ἕλοιτο;: «Chi, al venuti, come ad esempio Γῆ καὶ θάλασ-
μελαμφύλλοις δέδεται κορυφαῖς «(Ti- posto di queste cose, potrebbe preferire il σα (Terra e mare) di Epicarmo e Ὡλιεὺς
fone) è avvinto tra le cime dell’Etna dalle mare e i flutti?». - τῶνδε: costituisce il se- τὸν ἀγροιώταν (Il pescatore [critica?] il
nere foglie». - λευκᾶς ἐκ χιόνος: cfr. condo termine di paragone, in dipendenza contadino) di Sofrone. Cfr. Virgilio, Bu-
ancora Pindaro, Pitiche I, 20 νιφόεσσ᾽ da αἱρέω (ἕλοιτο), che indica preferen- colica IX 39 huc ades, o Galatea, quis est
Αἴτνα, πάνετες χιόνος ὀξείας τιθήνα za. - ἕλοιτο: l’ottativo introdotto da κα nam ludus in undis? «vieni qui, o Galatea,
«nevosa Etna, nutrice incessante di gelo (dorico per ἄν) ha valore potenziale. Po- che divertimento c’è infatti a stare fra le
acuto». - προΐητι: da προΐημι, forma lifemo sottolinea la contrapposizione fra onde?»
immagini topiche
Fuggire ed inseguire per amore
Il motivo della frustrazione di fronte all’inutilità di inseguire la persona amata che fugge è un topos consolidato nella poesia
erotica, si veda ad esempio Saffo, fr. 1, 21-23 Voigt:
Καὶ γὰρ αἰ φεύγει, ταχέως διώξει, Se infatti fugge, presto inseguirà;
αἱ δὲ δῶρα μὴ δέκετ᾽, ἀλλὰ δώσει se non accoglie doni, poi li darà;
αἱ δὲ μὴ φίλει, ταχέως φιλήσει se non ama, presto amerà,
κοὐκ ἐθέλουσα anche se ora non vuole
[Tr. di A. Aloni]
Teocrito VI 17:
καὶ φεύγει φιλέοντα καὶ οὐ φιλέοντα διώκει
Ed infine Ovidio, Amores II 19, 37 quod sequitur, fugio; quod fugit, ipse sequor.
Non mancano riscontri anche nella letteratura italiana, come ad esempio Boccaccio, Rime II 7, 14:
e quanto più la fuggo, più la bramo
50-53 Αἰ δέ τοι … γλυκερώτερον τῶ: sta per τοῦ, genitivo del secondo ter- - πλαταγώνι(α): il petalo del papavero
οὐδέν: «Ma se proprio io ti sembro trop- mine di paragone. (πλαταγώνιον), secondo la testimonianza
po villoso, ho legna di quercia e un fuoco degli scoli antichi, aveva un ruolo parti-
instancabile sotto la cenere: io potrei tolle- 54-59 Ὤμοι, ὅτ᾽ οῦν … πάντ᾽ ἐδυ- colare nel rituale amoroso, in quanto esso
rare di essere bruciato da te anche nell’ani- νάθην: «Ahimè, che mia madre non mi ha veniva utilizzato dagli innamorati per trarre
ma e addirittura nell’unico mio occhio, di generato con le branchie, così che mi po- gli auspici del loro amore: postone uno sul-
cui nulla mi è più caro». - Αἰ: dorico per tessi tuffare verso di te e potessi baciare la mano sinistra, lo si colpiva con la destra
εἰ. - λασιώτερος: comparativo assoluto: la tua mano, se non vuoi (che ti baci) la e quanto più intenso era il rumore prodotto,
«troppo villoso». - ἦμεν: forma dorica bocca: ti avrei portato gigli bianchi o un tanto più favorevole era l’auspicio. - κα …
dell’infinito di εἰμί. - ὑπὸ σποδῷ: al con- delicato papavero che ha i petali rossi, ma ἐδυνάθην: dorico per ἄν … ἐδυνήθην: ἄν
trario di κόνις (latino cinis), che per lo più gli uni (i papaveri) crescono in estate, gli con l’indicativo esprime l’irrealtà.
indica la cenere di morti o quella che funge altri (i gigli) in inverno, così che non avrei
da detersivo, σποδός (ovvero σποδιή) in- potuto portarteli tutti insieme». - ὡς κα- 60-62 Νῦν μάν … τὸν βυθὸν ὔμμιν:
dica per lo più la cenere accesa, sotto cui τέδυν: con i tempi storici dell’indicativo, «Ora certamente, bimba mia, subito impa-
cova il fuoco: cfr. Odissea V 488-90 ὡς ὡς indica un proposito non realizzato o rerò a nuotare, se arrivasse qui, navigando
δ᾽ ὅτε τις δαλὸν σποδιῇ ἐνέκρυψε με- irrealizzabile. «Il Ciclope grottescamente con la sua nave, uno straniero, per capire
λαίνῃ/ (...) σπέρμα πυρὸς σῴζων «come rimpiange di non essere nato pesce per po- che piacere è mai per voi abitare le profon-
quando uno nasconde un tizzone fra la ce- ter raggiungere la Nereide e offrirle gigli dità del mare». Da notare l’insistenza en-
nere nera (...) e conserva il seme del fuo- e papaveri – di cui distingue le stagioni fatica sull’avverbio νῦν, rafforzato prima
Teocrito e la tradizione bucolica
co». Talora può servire anche per cucinare, con pignoleria botanica –: stravolgimento dalla particella asseverativa μάν (μήν), poi
come dimostra un passo di Platone comico di quel topico desiderio dell’innamorato di da αὐτίκα. - νεῖν γε: la particella limita-
(Faone, fr. 189, 9-10 Kassel-Austin), do- assumere un diverso status per giungere a tiva γε segnala una sorta di compensazione
ve si abbrustoliscono i lampascioni sotto contatto con la persona amata» (O. Vox). - consolatoria: se non ha le branchie, il ciclo-
la cenere. - ἀκάματον πῦρ: l’aggettivo è ποτὶ τίν: = πρὸς σέ. - τὰν χέρα τεῦς: pe può «almeno» imparare a nuotare. - ὦ
composto da ἀ privativo e il tema del verbo = τὴν χεῖρα σοῦ. Per il topos del desi- κόριον: diminutivo di κόρα. - μαθεῦμαι:
κάμνω; la clausola è omerica: es. Odissea derio di ricongiungimento con la persona futuro dorico di μανθάνω (= μαθήσομαι).
XX 123 ἀνέκαιον ἐπ᾽ ἐσχάρῃ ἀκάματον amata anche a costo di mutare il proprio - αἴ κα … ἀφίκηται: = εἰ ἄν … ἀφί-
πῦρ «accendevano il fuoco infaticabile sul status, si vedano, ad esempio: Carmina κηται, protasi dell’eventualità. - ὧδ(ε):
focolare». Il riferimento al fuoco che cova convivalia, fr. 900, 1 Page «Ah, se diven- «qui», avverbio di luogo, sia di moto che
sotto la cenere implica ironicamente l’allu- tassi una bella lira d’avorio!» Anacreontica di quiete. L’eventualità di uno ξένος che
sione al futuro accecamento di Polifemo ad 22 West; Teocrito III 12-13 «Oh, potessi giunge per mare è un’ulteriore allusione al
opera di Odisseo: cfr. Odissea IX 375 καὶ diventare quell’ape ronzante ed entrare futuro incontro con Odisseo. - ὡς εἰδῶ:
τότ᾽ ἐγὼ τὸν μοχλὸν ὑπὸ σποδοῦ ἤλα- nella tua grotta». - αἰ μή … λῇς: protasi proposizione finale. - ποχ(α): sta per πο-
σα πολλῆς,/ ἧος θερμαίνοιτο «e allora io dell’eventualità. Il verbo λῶ, attestato solo κα (con elisione e aspirazione della guttu-
spinsi il palo sotto molta cenere, fino a che nelle forme del presente, è dorico ed equi- rale davanti a spirito aspro), forma dorica
non si arroventò». - ὑπὸ τεῦς: = ὑπὸ σοῦ. vale a θέλω. - ἔφερον: dipende ancora da per ποτε. - τὸν βυθόν: «profondità, abis-
- ἀνεχοίμαν: (= ἀνεχοίμην) forma dorica ὡς, continuando la fantasticheria. - κρίνα so», per lo più riferito al mare. Il termine
dell’ottativo aoristo di ἀνέχω, con valore λευκά: poiché crescono in inverno (v. non è attestato prima di Eschilo.
potenziale; regge il participio predicativo 58), potrebbe trattarsi non di gigli, ma di
καιόμενος. - καὶ τὰν ψυχάν … καὶ τὸν bucaneve. - μάκων(α) ἁπαλάν: sta per 63-66 Ἐξένθοις, Γαλάτεια … δρι-
ἕν᾽ ὀφθαλμόν: accusativi di relazione. - μήκων(α) ἁπαλήν, singolare collettivo. μεῖαν ἐνεῖσα: «Oh, venissi tu fuori, o Ga-
IDILLIO XI (IL CICLOPE) 413
ὥσπερ ἐγὼ νῦν ὧδε καθήμενος, οἴκαδ’ ἀπενθεῖν·
65 ποιμαίνειν δ’ ἐθέλοις σὺν ἐμὶν ἅμα καὶ γάλ’ ἀμέλγειν
καὶ τυρὸν πᾶξαι τάμισον δριμεῖαν ἐνεῖσα.
Ἁ μάτηρ ἀδικεῖ με μόνα, καὶ μέμφομαι αὐτᾷ·
οὐδὲν πήποχ’ ὅλsως ποτὶ τὶν φίλονs εἶπεν ὑπέρ μευ,
καὶ ταῦτ’ ἆμαρ ἐπ’ ἆμαρ ὁρεῦσά με λεπτύνοντα.
70 Φασῶ τὰν κεφαλὰν καὶ τὼς πόδας ἀμφοτέρως μευ
σφύσδειν, ὡς ἀνιαθῇ, ἐπεὶ κἠγὼν ἀνιῶμαι.
Ὦ Κύκλωψ Κύκλωψ, πᾷ τὰς φρένας ἐκπεπότασαι;
Αἴ κ’ ἐνθὼν ταλάρως τε πλέκοις καὶ θαλλὸν ἀμάσας
ταῖς ἄρνεσσι φέροις, τάχα κα πολὺ μᾶλλον ἔχοις νῶν.
75 Τὰν παρεοῖσαν ἄμελγε· τί τὸν φεύγοντα διώκεις;
Εὑρησεῖς Γαλάτειαν ἴσως καὶ καλλίον’ ἄλλαν.
latea, e una volta venuta fuori potessi tu di- fer πολλαὶ Κυδίππην ὀλ[ί]γην ἔτι μητέ- perfetto di ἐκποτάομαι. - αἴ κ(ε) … πλέ-
menticare come io ora (faccio), seduto qui, ρες υἱοῖς/ ἑδνῆστιν κεραῶν ᾔτεον ἀντὶ κοις: protasi della possibilità (αἰ è forma
di tornare a casa! Magari tu volessi pascola- βοῶν «ancor piccina Cidippe, molte madri dorica per εἰ). - ἐνθών: dorico per ἐλθών.
re con me e mungere il latte e far rappren- pei figli la chiedevano sposa, in cambio - ταλάρως: forma dorica per ταλάρους.
dere il formaggio, mettendovi dentro caglio di bovi cornuti» [tr. di G.B. D’Alessio]. - Il τάλαρος è un cesto intrecciato, che può
acido!». - ἐξέλθοις … καὶ ἐξελθοῦσα: ἆμαρ ἐπ᾽ ἆμαρ: cfr. Antologia Palatina adattarsi a diversi usi: per il cucito (Odis-
la ripetizione del verbo al participio espri- IX 499, 5-6 ὦ ζωῆς ἀόριστος ἐν ἀνθρώ- sea IV 125-131); per la vendemmia (Iliade
me una stretta connessione con l’azione ποισι τελευτή,/ ἦμαρ ἐπ᾽ ἦμαρ ἀεὶ πρὸς XVIII 568 πλεκτοῖς ἐν ταλάροισι φέρον
principale; si tratta di un uso non isolato in ζόφον ἐρχομένων «indefinibile fine di μελιηδέα καρπόν «portavano in canestri
Teocrito: cfr. II 113 ἕζετ᾽ ἐπὶ κλιντῆρι vita per gli uomini! Vanno verso la notte, intrecciati il dolce frutto [scil. dell’uva]»);
καὶ ἑζόμενος φάτο μῦθον «si sedette sul giorno dopo giorno» [tr. di F.M. Pontani]. - per portare fiori (Mosco II 34 ἀνθοδόκον
letto e, seduto, parlò». - λάθοιο: «possa tu ὁρεῦσα: participio con contrazione dorica τάλαρον «canestro che contiene fiori») o
dimenticare» ottativo aoristo di λανθάνω, (attico ὁρῶσα); regge il participio predica- per contenere il latte cagliato (Odissea IX
con valore desiderativo, come il prece- tivo λεπτύνοντα. 246-47 «fatto cagliare metà del candido
dente ἐξένθοις e il successivo ἐθέλοις (v. latte, dopo averlo raccolto lo depose in ca-
65); regge l’infinito ἀπενθεῖν (ἀπελθεῖν) 70-71 Φασῶ … κἠγὼν ἀνιῶμαι: «Le nestri intrecciati»). - θαλλόν: «germoglio,
del verso successivo. - πᾶξαι: dorico per dirò che la testa e entrambi i piedi mi fan- virgulto» (θάλλω); cfr. Odissea XVII 224
πῆξαι, infinito aoristo da πήγνυμι dipen- no male, perché ne provi tormento, come θαλλόν τ᾽ ἐρίφοισι φορῆναι «portare dei
dente da ἐθέλοις. - τάμισον: termine at- anch’io provo tormento». - Φασῶ: futuro germogli ai capretti». - ἀμάσας: = ἀμή-
testato la prima volta in Ippocrate; il «ca- di φημί. - τὼς πόδας ἀμφοτέρως μευ: σας, da ἀμάω. - νῶν: = νοῦν.
glio» è un acido, oggi estratto dalla mucosa dorico per τοὺς πόδας ἀμφοτέρους μου.
futuro dorico di εὑρίσκω. Cfr. Virgilio, ammirata, oppure con dedizione, fors’an- amore poetando, e se la spassava meglio
Bucolica II 73 invenies alium, si hic te fa- che con soggezione» (G. Burzacchini); si che se avesse speso del denaro». - ἐποί-
stidit, Alexin. - συμπαίσδεν: infinito do- tratta qui di un ascolto che implica una ri- μαινεν: il verbo propone una metafora
rico per συμπαίζειν. - τὰν νύκτα: = τὴν sposta, come in Odissea X 82-83 ποιμένα particolarmente adatta alla condizione di
νύκτα. È accusativo di tempo continuato. ποιμὴν/ ἠπύει εἰσελάων, ὁ δέ τ᾽ ἐξελά- Polifemo. - μουσίσδων: = μουσίζων; è
Riecheggia vagamente un invito disatteso ων ὑπακούει «il pastore rientrando chiama un hapax (al medio si trova una attesta-
a un analogo «gioco», in Anacreonte, fr. il pastore e quello uscendo risponde» [tr. zione nel Ciclope di Euripide). - ῥᾷον
358, 1-4 Page «Di nuovo Eros dall’aurea di A. Privitera]. - ἐν τᾷ γᾷ: = ἐν τῇ γῇ, δὲ διᾶγ(ε): richiama, con ripresa ad
chioma, colpendomi con una palla purpu- in contrapposizione implicita con il mare. - anello, il ῥάϊστα διᾶγε del verso 7. -
rea mi invita a scherzare con la ragazza κἠγών: crasi per καὶ ἐγών. - τις: anche in ἢ εἰ χρυσὸν ἔδωκεν: la conclusione
dal sandalo variopinto». - κιχλίζοντι: = questo caso si può supporre una velata al- dell’idillio propone probabilmente una
κικλίζουσι: come suggerisce lo scolio, si lusione al futuro incontro con Odisseo, che pointe ironica, indirizzata all’amico Ni-
tratta di un riso provocatorio e di derisione, Polifemo conoscerà sotto lo pseudonimo di cia, contro la venalità dei medici: con le
che Polifemo interpreta altrimenti. - ὑπα- Οὔτις «Nessuno». - ἦμεν: = εἶναι. Muse Polifemo ha guarito il male d’amore
κούσω: il verbo ὑπακούω ha un’evidente meglio che se avesse sborsato del denaro
valenza erotica, come in Saffo, fr. 31, 3-4 80-81 Οὕτω τοι … χρυσὸν ἔδωκεν: per farsi curare.
Voigt: significa «ascoltare con attenzione «Così dunque Polifemo pascolava il suo
i mimi «urbani»
T. 4 Idillio II Il mimo rende spunto da una situazione ben nota alle trame della commedia nuo-
(L’incantatrice)
(L’incantatrice va: l’abbandono che una donna subisce da parte del suo uomo, preso da un altro
amore. È particolare il fatto che l’intera vicenda sia presentata esclusivamente
dal punto di vista femminile, secondo una prospettiva non nuova nella lettera-
tura ellenistica (si pensi ad esempio al Fragmentum Grenfellianum contentente il
Teocrito e la tradizione bucolica
16 Perimede: figura di maga per noi oscu- della specie dei picidi (ἶυγξ, iynx torquil- magia, inchiodato su una ruota fatta girare
ra, il cui nome è ripreso da Properzio II 4, 7. la, «torcicollo»), noto per i rapidi movi- vorticosamente in entrambi i sensi. Poteva
menti di torsione del collo nella stagione denotare la stessa ruota .
17 Torquilla: si tratta di un uccellino degli accoppiamenti e pertanto utilizzato in
21 io spargo le ossa di Delfi: il rituale libagione con triplice scongiuro (v. 43) 39 Mindo: città della Caria.
magico di Simeta è finalizzato a «lega- – preparando un filtro d’amore a base di
re» l’amante fedifrago e a «ricondurlo» lucertola (v. 58). 40 questo rombo di bronzo: ruota magi-
da lei (v. 22 ss.): a tal fine vengono ca.
bruciati elementi che simboleggiano 28 l’adamante: di cui è fatta la porta del
l’amante: orzo, alloro, crusca, cera, e, mondo infero. 45 Dia: antico nome dell’isola di Nas-
più concretamente, un lembo del suo so. - Arianna: figlia di Minosse, fuggita da
mantello; il rituale di magia procede poi 31 fa’ risuonare il bronzo: in funzione Creta con Teseo dopo l’uccisione del Mi-
facendo ruotare il rombo e – dopo una apotropaica. notauro e da Teseo abbandonata a Nasso.
IDILLIO II (L’INCANTATRICE) 417
Ippomane è una pianta d’Arcadia: per essa tutte
le puledre sui monti infuriano, e le veloci cavalle.
50 Così possa vedere anche Delfi, ed entri egli in questa casa
simile ad un folle, fuori dalla nitida palestra.
51 fuori dalla nitida palestra: per l’olio di cui si ungevano gli atleti. L’aggettivo λιπαρός è spesso riferito
all’olio.
87 del colore del tapso: dal tapso si pre- la carnagione di chi voleva fingersi malato: sione di Saffo, fr. 31, 14 Voigt: χλωροτέ-
parava una tintura gialla per i capelli o per si tratta di una variazione rispetto all’espres- ρας δὲ ποίας «più verde dell’erba».
IDILLIO II (L’INCANTATRICE) 419
e dal capo mi cadevano tutti i capelli; non mi rimanevano
ormai più che la pelle e le ossa. E da chi non andai,
90 la casa di quale vecchia trascurai, che facesse incantesimi?
Ma nulla era di sollievo, e il tempo passava veloce.
114 il bel Filino: celebre atleta di Cos, vincitore a Olimpia nel 264 e nel 260 a.C.
420 I MIMI «URBANI»
da ogni parte intrecciato con bende purpuree.
Un po’ più su nella scala sociale ci appare il suo amante, di- per rappresentare il momento dell’innamoramento (il v. 82
segnato come frequentatore della palestra e del ginnasio e presuppone i vv. 7 s. Dell’ode di Saffo), poi, ai vv. 106 s., vie-
come assai pratico nell’arte delle serenate e dei riti vari del ne sfruttato, con un sottile processo di risemantizzazione, per
corteggiamento (cfr. vv. 118 ss. e 153), orgoglioso della pro- esprimere attraverso il sudore ghiacciato e il blocco della voce
pria forma atletica e della propria popolarità di giovane agile e non più il «mal d’amore» ma, piuttosto, la paura dell’amore
bello (cfr. vv. 115 e 124 s.), soprattutto capace, in quel primo da parte di Simeta dopo le avance appena intraprese; e, in
incontro che è stato provocato dall’iniziativa della ragazza, di più, con una definizione dell’afasia (sentita come uno stato
prodursi in un ampio e variegato discorso (vv. 114-138), al che non conosce neppure il balbettio dei bimbi quando nel
termine del quale Simeta ταχυπειθής «pronta a credere» (v. sonno parlano alla mamma) che nel suo intimismo e nella sua
138) lo prende subito per mano e lo fa distendere sul pro- «biotica» pregnanza mostra (insieme col successivo paragone
prio letto. Un’agilità di tocco, nel frastagliare il racconto con con la bambola) tutta la distanza fra l’assoluta concisione del
indicazioni sulla collocazione dei personaggi all’interno di un modello e l’arte nuova della figurazione minuziosa e attenta.
contesto sociale fra il borghese e il piccolo borghese, che crea Analogamente, nell’Idillio XIV, Cinisca, a udire il nome del suo
alle singole figure e alle loro manifestazioni uno sfondo, una innamorato segreto, «all’improvviso scoppia in un pianto più
dimensionalità precisa: così non c’è da stupirsi se il primo in- dirotto di una bimba/ di sei anni che vuole andare in braccio
contro è all’insegna di una fisicità per cui il giovane dal corpo alla mamma» (vv. 32 s.) e più oltre (vv. 39 s.) fugge più rapida
splendente (λιπαρόχρων, v. 102) fa ghiacciare di paura «il di una rondine che, «data l’imbeccata ai rondinini sotto il tet-
bel corpo» (καλὸν χρόα, v. 110) della ragazza e poi allude to,/ veloce se ne vola indietro a raccogliere altro cibo».
IDILLIO II (L’INCANTATRICE) 421
125 e mi sarei contentato anche solo di baciare la tua bella bocca;
ma se mi aveste respinto, sbarrando la porta con il paletto,
scuri e fiaccole senza meno si sarebbero levate contro di voi.
133 Efesto lipareo: anche Callimaco 151 se ne andò in fretta: nella tradizione tomo tipico della malattia d’amore, mentre
(Inno ad Artemide 47 ss.) colloca a Lipari poetica ellenistica il brindare con vino puro è tipico del corteggiamento appendere ghir-
l’officina dei Ciclopi e di Efesto. e scappare via di corsa da un simposio è sin- lande alla casa della persona amata.
422 I MIMI «URBANI»
a darmi pena, sì per le Moire, busserà alle porte di Ade;
160 tali funesti veleni posso dire di serbare per lui nella cesta,
avendoli appresi, o Signora, da un forestiero assiro.
T. 5 Idillio XV Con l’idillio XV Teocrito ci propone un mimo vivacissimo, che propone un con-
(Le
(Le Siracusane)
Siracusane tinuo cambio di scena, in un ritmo rappresentativo vorticoso. La vicenda è am-
bientata ad Alessandria e protagoniste sono due donne originarie di Siracusa,
Gorgò e Prassinoa, che si recano al palazzo di re Tolomeo per assistere ai festeg-
giamenti in onore di Adone. Tratti caratteristici del genere del mimo sono la
forma dialogata, la scelta del tema quotidiano e l’adozione di un linguaggio che
riproduce le movenze della lingua parlata, mentre è nuovo il taglio drammatico
dell’azione, nella quale il tempo drammatico non coincide con quello reale, ma
procede con rapide transizioni, in una studiata varietà di scene che si succedono
senza interruzione di continuità.
Scena I In casa di Prassinoa, che deve lavarsi e indossare «lo scialle e la veste con le
fibbie» (v. 21). Ma la conversazione si sperde tra l’attesa della festa (vv. 22 s.:
«Andiamo al palazzo del ricco re Tolemeo, voglio vedere Adone»), espressioni
di disappunto sull’inefficienza dei rispettivi mariti, rimbrotti di Prassinoa alla
schiava (come Simeta nei confronti di Testili nell’Incantatrice), complimenti per
l’eleganza (vv. 34 s.: «Prassinoa, questa veste a pieghe con le fibbie / ti sta ve-
ramente bene») e soprattutto, quale tratto più incisivamente umoristico e ad un
Teocrito e la tradizione bucolica
vv. 1-43
GORGO C’è Prassinoa?
PRASSINOA Cara Gorgò, finalmente! Ci sono.
Che miracolo che tu sia venuta, almeno ora. (A una schiava) Eunoa,
uno sgabello per lei; mettici anche un cuscino.
GORGO Va benissimo.
PRASSINOA Accomodati.
GORGO Disgraziata me! A stento son qui salva,
Prassinoa, dalla gran folla e dalle tante quadrighe;
IDILLIO XV (LE SIRACUSANE) 423
dovunque calzari, dovunque uomini in uniforme,
e la strada non finiva più. Tu stai sempre più lontano!
PRASSINOA È quel matto, che è venuto qui a prendere una bicocca,
non una casa, ai confini del mondo, perché non fossimo vicine,
per farmi dispetto, quel maledetto invidioso, sempre lo stesso.
GORGO Cara, non parlare così di tuo marito Dinone
dinanzi al bambino. Vedi come ti guarda.
Su, (al bambino) Zopirione, tesoruccio. Non parla mica del babbo.
PRASSINOA Per la Veneranda1, capisce il pupo!
GORGO Bello, papà.
PRASSINOA Questo papà l’altro giorno, sicuro, proprio l’altro giorno,
gli dico: «Babbo, al mercato comprami del nitro e del belletto»,
e lui tornò col sale, un omone di tredici cubiti!2
GORGO Anche Dioclide, il mio, è così, butta via il danaro:
ieri per sette dracme ha preso cinque pelli di cane, che erano solo avanzi
di vecchie bisacce, una vera porcheria, e per me lavoro su lavoro.
Ma via, prendi lo scialle e la veste con le fibbie;
andiamo al palazzo del ricco re Tolemeo,
voglio vedere Adone; ho sentito dire che la regina3
ha preparato qualcosa di bello.
PRASSINOA In casa del ricco tutto è ricco.
GORGO Cose che, quando le hai viste, le puoi raccontare a chi non le ha viste.
Sarebbe ora di andare. per chi non ha niente da fare è sempre festa.
PRASSINOA (Alla schiava) Eunoa, prendi l’acqua, e mettila qui,
disgraziata. Le marmotte amano dormire comodamente.
Muoviti, porta l’acqua subito; prima ci vuole l’acqua,
e lei porta il sapone! Dammelo lo stesso. Ma non me ne dare tanto, sprecona!
Versa l’acqua. Disgraziata, perché mi bagni il chitone?
Basta. Come dio ha voluto, mi sono lavata.
Dov’è la chiave della cassa grande? Qua, dammela.
GORGO Prassinoa, questa veste a pieghe con le fibbie
1. Per la veneranda!: Persefone, dea che, insieme alla madre Demetra, è particolarmente cara a delle donne
di Siracusa.
2. un omone di tredici cubiti: misura iperbolica (equivalente a oltre cinque metri e mezzo).
3. la regina: Arsinoe II, sorella e moglie di Tolomeo II Filadelfo.
4. più di due mine d’argenti: un prezzo esorbitante, e forse volutamente esagerato, rispetto ai prezzi contem-
poranei dei capi d’abbigliamento: 2 mine corrispondono a 200 dracme e il normale prezzo di un vestito
non superava le 40 dracme.
424 I MIMI «URBANI»
Scena II Per le vie di Alessandria. Le due provinciali appaiono atterrite dalla folla, vista
come un globo di frenetiche formiche; nuovo urlo alla schiava («Eunoa, sfaccia-
ta, non scappi?») incuneato fra le apprensioni per l’impennarsi dei cavalli da
carica del re e per il conseguente ondeggiare degli astanti. Poi, con uno scorri-
mento accelerato del tempo, il quadro si chiude con la vista della grande corte
del palazzo regale verso la quale si riversa la folla.
vv. 44-59
Andiamo. (A un’altra schiava) Frigia, prendi il piccolo e fallo divertire.
Chiama dentro il cane, e chiudi bene la porta.
GORGO (Per strada) O dèi! Quanta gente! Come si potrà passare
quest’inferno? Sono formiche senza numero e senza misura.
PRASSINOA Tolemeo, molte belle cose sono state fatte,
da quando tuo padre5 è tra gli immortali. Non c’è più un furfante
che ti si accosti di soppiatto a molestarti, all’uso egizio,
mentre cammini; non è come prima, che degli individui fatti di frode
ti giocavano brutti scherzi; tutti uguali, imbroglioni, gentaccia.
Cara Gorgò, che sarà di noi? Ecco i cavalli
da parata del re. (A un passante) Amico, non mi pestare.
Quello rosso si è impennato. Guarda come è selvaggio! Eunoa,
sfacciata, non scappi? Ammazzerà il cavaliere.
Meno male che il bambino mi è rimasto a casa!
GORGO Coraggio, Prassinoa! Siamo rimaste indietro,
e quelli hanno raggiunto il loro posto. Anch’io comincio a riprendermi;
fin da bambina, più di tutto ho paura del cavallo
e del serpente freddo. Facciamo presto! Ci viene addosso una gran folla.
Scena III Ingresso all’interno della corte. Nuovamente un’azione risolta per tocchi e ap-
punti laterali, fra due apostrofi ai passanti (una vecchia e un uomo) e l’ansia per
lo strappo subito dallo scialle.
Teocrito e la tradizione bucolica
vv. 60-71
PRASSINOA Vieni dal palazzo, mamma?
VECCHIA Sì, figliole.
PRASSINOA È facile entrarci?
VECCHIA A furia di tentare, gli Achei entrarono a Troia,
bella figliola! Tentando, e ritentando, si fa tutto.
(Si allontana)
PRASSINOA La vecchia ha proferito oracoli e se n’è andata!
UN UOMO Le donne sanno tutto, anche come Zeus sposò Era.
(Arrivano davanti al palazzo)
GORGO Guarda, Prassinoa, quanta gente alla porta.
Scena IV Lungo un arco per cui il tempo si infittisce e le scene si restringono fino alla
concitazione della scena III per poi dilatarsi nuovamente, qui il quadro torna ad
allargarsi; le espressioni di gratitudine delle due donne al brav’uomo che le aiu-
ta a farsi largo e, per contro, il battibecco con un altro straniero che ne deride
la parlata dorica (ma anch’egli in dorico nel testo!) cedono il posto alla contem-
plazione, improntata a un gusto iperrealistico (vv. 82 s.), delle tele variopinte e
delle figure che vi sono istoriate (prima fra tutte quella di Adone morente).
vv. 72-99
UOMO Io non c’entro; comunque ci starò attento.
PRASSINOA Davvero c’è folla!
Si spingono come porci.
UOMO Coraggio, donna, siamo al sicuro.
PRASSINOA Possa essere al sicuro per sempre tu, carissimo,
che ci hai protette. Che persona dabbene e gentile!
Eunoa ce la schiacciano. Su, fa’ forza, disgraziata!
Benissimo. «Tutte dentro» disse quello che chiuse a chiave la sposa.6
(Entrano nel palazzo)
GORGO Prassinoa, vieni qui. Prima di tutto guarda quei drappi variopinti,
come sono fini e belli. Li diresti vesti di dèi!
PRASSINOA Atena veneranda, che brave tessitrici li hanno lavorati,
e che artisti hanno fatto quei disegni così precisi!
Come stanno vere, e come si muovono vere le figure;
6. quello che chiuse a chiave la sposa: «L’espressione proverbiale sembra riferirsi a un qualche episodio,
divertente o paradossale, nell’ambito dei riti di nozze. L’aneddoto, per noi oscuro, si collegava verosi-
milmente alla figura del παράνυμφος, che aveva il compito di vegliare dinanzi alla camera nuziale»
(Palumbo Stracca).
7. anche nell’Acheronte: le due donne stanno contemplando gli arazzi appesi alle pareti: in uno di essi è
rappresentato Adone, amato da Afrodite, che riceve nell’Ade le attenzioni di Persefone.
8. la loro pronunzia sguaiata!: il verbo impiegato, πλατειάσδοισαι, fa riferimento precisamente alla pro-
nuncia aperta, caratteristica dei parlanti in dialetto dorico, che per la frequenza del suono «a» ingenerava
l’impressione del parlare «a bocca larga». Da qui la risposta piccata di Prassinoa.
426 I MIMI «URBANI»
PRASSINOA Toh! Di dove è uscito quell’uomo? Che T’importa, se chiacchieriamo?
Gli ordini dalli ai tuoi servi! Vuoi darne a delle Siracusane?
Per tua regola, noi siamo corinzie di origine,
come Bellerofonte, e parliamo la lingua del Peloponneso;
ai Dori sarà permesso, credo, di parlare dorico!
Che non vi sia mai, o Melitode,9 chi ci comandi,
fuor che uno solo. Non mi curo di te. Non sprecare il tuo tempo!
GORGO Zitta, Prassinoa: sta per cantare Adone
la figlia dell’Argiva, quella bravissima cantante
che anche l’anno passato fece così bene il lamento.
Canterà qualcosa di bello, lo so; fa già le moine.
Scena V Entro la cornice, che si è già ricordata, costituita dalle battute di Gorgò, la
cantatrice intona un canto che da un lato è un inno ad Afrodite (la dea tie-
ne fra le braccia Adone morente prima che questo spirito della vegetazione
venga accompagnato fino alla riva del mare per il suo viaggio verso l’Ache-
ronte), ma dall’altro, per un virtuosistico intarsio fra generi diversi, riesce ad
essere un encomio di Arsinoe, che nel suo attendere al culto di Adone (v. 111
ἀτιτάλλει Ἄδωνιν) quasi si omologa ad Afrodite, e anche un’ekphrasis dello
scenario che Arsinoe ha realizzato.
Questo scenario comprende, fra l’altro, pergolati di vegetazione dinanzi a
cui sono sospese figure di Eroti in volo e due divani d’ebano e d’oro sui quali
appaiono adagiate le immagini di Adone e di Afrodite: in una riduzione degli
elementi vegetali a pretesto per un gioco d’artificio e, all’inverso, di tinte e
metalli e minerali preziosi (porpora, ebano, oro, argento), a corredo di un rito
che aveva il suo nucleo nella vicenda di morte e rinascita della vegetazione.
Se la festa religiosa era stata il cuore della poesia arcaica, ora si ripropone
in veste inedita. Essa non rappresenta più il ritorno in regolare cadenza di un
culto cittadino radicato nella memoria collettiva, quanto l’estemporanea in-
Teocrito e la tradizione bucolica
17. intoneremo un canto melodioso: la cantante fa riferimento al rituale del giorno successivo, che si terrà
sulla riva del mare, quando saranno abbandonate nell’acqua, insieme alla statua del dio, le piante che ne
hanno costituito l’ornamento.
dia scandita in cinque scene, che in più può sfruttare, rispetto Dioclide non ha ancora pranzato»), anche questa sezione ten-
alla commedia, un continuo variare dell’ambientazione grazie denzialmente autonoma e cortigiana (con l’esaltazione della
alle potenzialità inerenti a un’azione affidata, pur nella molte- scenografia fatta montare dalla munifica regina) viene ricon-
plicità delle voci, alla lettura o alla recitazione solistica. Tale dotta alla prospettiva delle due donne non già per un intento
strutturazione, pur se il componimento sfocia nella rappresen- ironico verso lo sfarzo esibizionistico della festa ma per la vo-
tazione della festa organizzata dalla regina Arsinoe II (siamo cazione di un genere che nei dislivelli di registro e negli scarti
fra il 278 e il 270 a.C.) e nella trascrizione di un inno intonato dei punti di vista trovava la sua cifra più congeniale.